Hystrio 2004 2 aprile-giugno

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S O MMA R I O 2

vetrina Incontro con Paolo Poli - Francesca Musco: con mio padre a casa d'u Re - di Ivan Groznij Canu e Gigi Giacobbe

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la questione teatrale Il ritorno di Diego Fabbri: ma dov'è il teatro cattolico? - di Ugo Ronfani

10 dossier RETROSCENA seconda parte: ···············r1··s{si:°emci .teatrafe··rtaÌ.iano··nefi·;era Berlusconi

Teatri stabili, censura, Biennale di Venezia, una cronaca della discussione di questi mesi sull'Eti e una replica del presidente dell'ente, Mico Galdieri - a cura di Mimma Gallina

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Premio Hystrio alla Vocazione Il bando dell'edizione 2004

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nati 1er1 Diciassettesima tappa nell'Italia dei nuovi gruppi: Davide Enia - di Cristina Ventrucci

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exi t Addio a Egidio Bonfante e Alessandra Galante Garrone - di Ugo Ronfani e Anna Ceravo/o

42 INCHIESTA SCUO E DI TEATR0/6

6 Stati Uniti: l'Actors Studio di New York fondato da Lee Strasberg. Cina: l'Accademia centrale di recitazione e quella di cinema di Pechino - Ivan Groznij Canu e Sergio Basso

teatromondo Jon Fosse: intervista al drammaturgo norvegese - Parigi: in scena fiabe per adulti - I vent'anni della Bill T. Jones-Arnie Zane Dance Company - Le compagnie di Martha Graham a Ferrara e di Alwin Nikolais a Torino, uniche emozioni nella danza d'inverno - di Ricci & Forte, Alessandra Nicifero, Domenico Rigotti

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CRITICHE

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biblioteca Le .novità editoriali - a cura di Albarosa Camaldo

1001a società teatrale Tutta l'attualità nel mondo teatrale - Numeri utili - a cura di Anna Ceravo/o

i n e op e r t i n a : Pro&Contro: Fo e L'anomalo bicefalo - Il Wi/helm Meister secondo Vacis De Amicis a Genova - Il ritorno di Vecchi tempi - Un Pirandello inedito per Castri e Albertazzi - La Medea siciliana di Emma Dante - L'Opera da tre soldi del Biondo di Palermo - Le novità della stagione.

Da Oriente a Occidente - acrilico su carta di Ivan Groznij Canu

.. . e nel prossimo numero: dossier Cechov, la sesta edizione del Premio Hystrio, lettera da Mosca, diciottesima tappa nell'Italia dei nuovi gruppi: la compagnia O Zoo Nò di Torino, recensioni e notizie dal mondo teatrale e molto altro ...


V ET RI NA usava, all'epoca. «Avevo tutti i miei atout, allora. Poi, pian piano quattro ottave di voce van via e le cosce diventan du' stecchi, e viene uno stomaco, guarda! 'e pare un gatto arrotolato con le zampine dietro». E mi guarda, ogni volta, un po' di lato. Forse per sondare l'effetto che la studiata nonchalance delle sue risposte mi fa. La seconda osservazione viene ancora dalla frase di De Monticelli, quel «laureato in lettere» che, per un attore negli anni Cinquanta, era come adesso non avere un titolo prima del nome sui bigllietti da visita. Insomma, un'eccentricità. «Molti attori venivano o dall'awocatura o dall'università e poi lasciavano. Insomma, che abbian finito gli studi non ce n'è un granché. Beh, io ci ho messo dieci anni, dal '49 al '59. E non l'ho adoperata. Solo un anno ho avuto un incarico al liceo scientifico, dove insegnavo francese - sapendolo malissimo -, perché, povero, sono stato, fai conto, quindici, venti giorni a Parigi. Sicché cambia molto col sapere una cosa a menadito (come dicono le femministe)». Riecco la Merteuil. L'avesse detta in filo di sorriso dietro un ventaglio ricamato, non sarebbe stata più credibile di così. «Ho fatto il mio esordio nel '58-'59 alla Borsa di Arlecchino, nel '60 mi son messo in proprio .e ho fatto uno spettacolo al Teatro Gerolamo di Milano». Gli vengono in mente i collaboratori "storici", Celso, la Lawrence, Luzzati. «Nel mio giorno di riposo, vado a trovare qualche vecchio amico. E si parla sempre di gente morta, di periodi lontani. Come con il caro Luzzati. Lui c'ha 83 anni e io ne ho 75, dunque si parla di Onofrio Martelli, il cognato di Moravia che aveva sposato l'Adriana Pincherle ed era il direttore dell'Accademia di pittura. Sicché, quando io fui cacciato dalla scuola come ebreo non ho perso tempo, è stata la mia fortuna. Sono andato a Bologna a trovare quello che fa le bottiglie, poi a Firenze a vedere quello che fa le casine. Poi son stato a Genova, è passato Martelli che veniva da Parigi e avendo sposato un'ebrea e forse lo era anche lui, non ricordo, mi ha aperto un orizzonte nuovo, perché mi ha parlato di Paul Éluard e Mallarmée. Che si sapeva noi in Italia? Niente». Nel ricordo di Aldo "Dado" Trionfo, Poli era entrato alla Borsa genovese al posto di Alfredo Bianchini, impossibilitato all'ultimo momento. Bianchini aveva raccomandato Poli, giovanissimo, assicurando che «avrebbe funzionato bene». (Pausa. Attrezzista che passa. Un saluto in punta di mano, qualche raccomandazione sulla serata. «Ecco, ora finisco quest'interviù e vado»). E poi, toscanissimo: «Dicimi. .. ». Degli esordi alla Borsa di Arlecchino, dicevamo. Sin dalle prime stagioni Poli , che aveva lavorato a Radio Firenze e partecipato a spettacoli popolari in piazza, si adatta «alla struttura di quel teatrino che somigliava un po' a un laboratorio drammaturgico, senza con ciò tradire il repertorio mio di canzoni d'archivio e quel vespaio poetico che ero andato nel frattempo raccogliendo» (come si legge in un'intervista di Rodolfo Di Giammarco). «Dietro Aldo Trionfo» racconta Poli «c'era un professore, Giannino Galloni, che indirizzava le scelte tematiche, faceva la prolusione, faceva alla Società di cultura una bella conferenza. Era un grande aiuto. E poi Dado ha creato un suo stile, che ricordava vagamente quello del Carrozzone di Fantasia Piccoli, dove lui aveva esordito, insieme a Romolo Valli, De Lullo, l'Adrianina Asti. Aveva delle

NON LO FO' PER PIACER MIO ma per far dispetto a Dio

di Ivan Groznij Canu ncontrare Paolo Poli è come intrattenersi in schermaglie verbali con Madame du Merteuil, ove naturalmente non si presuma d'essere Valmont. Ecco, forse mi sento più il cavaliere di Danceny, baldanzoso per difetto e con la guardia levata a metà, non si sa mai donde giunga la stoccata. Ci incontriamo al Carcano di Milano, che ospita l'ultimo lavoro ancora in giro, Jacques il fatalista. Nei camerini, porte spalancate perché di lì a poco comincia la recita serale, mi accoglie col viso già truccato. Forse anche lo spirito si è infilato le pantofole di Voltaire, anche se sospetto che sia da sempre così. Nel ricordo di Roberto De Monticelli, Poli era un «giovanotto smilzo, lungo, biondo e laureato in lettere». Ascolta col sopracciglio alzato (o forse è disegnato così), ghigna un tanto e si siede sul divanetto che, da solo, occupa la metà del camerino (il resto è specchio, ripiano e attaccapanni). «Ero così. È la verità. Ero magro magro, biondo tinto. Una volta anche con i capelli bianchi, che avevo tinto per Fin de partie. Mi pareva che uno che è stato in questo sotterraneo dev'essere bianco come l'indivia, come i lemuri». Ha spesso detto, a intervistatori più o meno incauti, che i critici un tempo si sbizzarrivano ad aggettivare la sua presenza scenica perché non osavano dargli del "finocchio" apertamente. Non

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VET RI buone origini teatrali. Quando io l'ho conosciuto era nella produzione di Senso di Visconti , che stavano girando a Cinecittà. Era la scena della battaglia di Custoza, con un bave che veniva squartato e Visconti voleva il sangue vero, che a luglio coagulava in un momento e allora si ricorse alla Indio, una ditta di trucchi scenici che salvò la scena . E poi nel film si vedeva appena, un attimo. Ma Visconti voleva fare il bave di Rembrandt». Quando racconta i suoi ricordi, dà piglio a una voce allegra e frettolosa , che a volte gli fa perdere il filo ma lascia intravvedere la ricchezza di un vissuto artistico eccezionale, oltre che d'un filtro umoristico che rari - e solo grandi - attori hanno. Il ricordo della Borsa è soprattutto quello dei sipari musicali, più che degli autori. «Avevo fatto delle canzonette tra un atto e l'altro, che poi mi valsero il lavoro televisivo. Bisognava andare dal vivo: alle nove eravamo già truccati e vestiti, bisognava cantare ballare recitare per delle selezioni di "operette" che duravano tre quarti d'ora, salvando quel bel "balzerone", quel duettino comico. E andava bene. Non si tratta neppure di autori tanto "mordaci", più che altro io arrovesciavo il calzino; uno dei miei più grandi successi è stato La nemica di Dario Niccodemi, un testo che fa piangere e io l'ho stravolto per far ridere». La sua natura così libera da schemi e intimamente coerente esalta questi "sipari" canzonettistici, che chiamavano bis infiniti da un pubblico, quello genovese, non celebre per sensibilità, eppure calamitato dalle improvvisazioni sulla Regina madre di Amleto, la favola di Cappuccetto Rosso, i personaggi femminili che costelleranno la sua carriera. Nella primavera del 1961 , chiusa l'esperienza della Borsa, è al Gerolamo con // Novellino, insieme ai fidi Armando Celso e Claudia Lawrence. Uno spettacolo divertente, spiritoso, intelligente come solo certo café chantant sapeva essere, adattando i testi alle necessità parodistiche, come già alla Borsa accadeva. Ma è il notevole livello musicale dei suoi spettacoli a piacere, oltre a quel cinismo estetistico che Poli manterrà in tutto il suo teatro. Se l'inizio è la Cantatrice calva di lonesco, il seguito oltrepassa quella linea un po' modaiola (per gli anni Cinquanta) dell'absurdismo da cantina. Poli "frequenta" lonesco, Adamov e Ghelderode, ma anche la novellistica di matrice toscana, Giordano Bruno, gli illuministi francesi (Diderot, Voltaire), Sade, Monti, Satie, testi medievali (come la monaca Rosvita, che riscriveva Terenzio in chiave edificante nel X secolo, San Gregorio, Santa Caterina e Santa Rita), Dumas, Swift, i più grandi poeti del Novecento italiano, Montale, Saba, Penna, Savinio e Palazzeschi, Gozzano e Pavese. Poi, la televisione. Ero bambino ma lo ricordo benissimo nella parodia dei Tre moschettieri, in cui alternava i ruoli dello spirituale (e sciupafemmine) Aramis e della perfida Milady. «Mi divertivo a fare Milady, anche perché avevo la povera Milena Vukotic che era la mia vittima, e io la sopraffacevo, tutto imparrucato, coi boccoli. Come al solito per l'epoca, fu girato un po' al risparmio; bisognava fare un quarto d'ora al giorno allo Stabile di Torino, e si girava in bianco e nero quando già c'erano le grosse produzioni a colori. lo non ho mai avuto fortuna con le macchine. Preferisco l'uomo dal vivo». Altro sguardo laterale. Abbozzo, rassegnato anche a chiacchierare con Milady de Winter. La televisione mi ricorda un episodio che colloca Poli tra i privilegiati della censura, come Testori e Fo. Il 3 gennaio 1968, dopo un mese di successi romani e un altro a Milano, lo spettacolo

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Rita da Cascia viene ritirato a causa di una censura anonima per «vilipendio alla religione». Blindature democristiane, certo, ma di fronte a Rita che, assisa in Paradiso, chiestole da una consorella in preghiera «Rita cara, ti ricorderai di me?» , santamente replica «Non sono fisionomista» , non stupisce l'intervento di una censura tanto attiva per meno. «lo ho grande stima per Scalfaro, perché in un momento di indigenza filosofica come questo, di cialtronume imperante, di vergogna così enfatizzata, rimpiango la Democrazia Cristiana e la sua dittatura culturale. Tanto in Italia l'unico vero sovrano è il Papa, quindi va bene così. Anche il povero Dante Alighieri e il povero Savonarola sbatterono sul Papa. È così che va in Italia. Solo, mi tocca rimpiangere la Democrazia Cristiana e magari anche Mussolini. Addirittura sì. Mussolini ha avuto il grande torto di spiegare "come si fa", ma voleva solo il potere, non i soldi. I nani di oggi sono molto peggio. Sicché, quando arrivo nei teatri, oggi, e guardo i cartelloni, vedo anche manifesti enormi con due compagnie di Legnanesi che imperano senza più i pezzi forti, solo per la gioia del parliamo fra di noi, come si dice, fra "padani". Quale orrore. Oppure si vedono suoni e danze sconsiderate, che si riferiscono a un argomento vagulo. Insomma, di questi musical che se ne salvino ce n'è pochi, il resto è tutta roba di rumore. Ma la gente si risparmia di pensare e gli va bene. C'è sempre da salvare qualcosa, certo. Bisogna essere ottimisti. Cambiano le forme dello spettacolo. Quando io ho cominciato, alla metà del secolo scorso, c'erano le compagnie di prosa e due persone a

Verso Macondo

Verso Macondo

La incredibile e tri ste storia della candida Eréndira e della sua nonna snaturata

I funerali della Mamà Grande

Angela Finocch iaro Kocani Orkestar

Acqua rag ia drom Lella Costa

!un 5 aprile ore 21 Mappe dal nuovo mondo Derelc Wal cott Stefano Bollani Pietro Cheli Gioele Di x Enrico Rava

/un 1O maggio ore 21 La voce dei senza voce

mar 11 maggio ore 18 La voce dei senza vo ce

mar 11 maggio ore 21 La voce dei senza voce

Rigoberta M enchu

Storia di una bambina Maya

danze Maya con il gruppo Wasshaquib Batz

Gianni Minà Franca Rame

!un 24 maggio ore 21 Ritagli d'ombra

Gabri ella Picciau Giorgio Scaramuzzino

mar 25 _ ven 28 maggio Cimitero Monumentale di Staglìeno

Josè Sarama go Riflusso Fabio De Luigi Ernesto Franco Banda Osiris

Mario Arca ri Ma rcello Chìarenza Rosanna Naddeo Giorg io Gallione


V E T R I NA

In queste pagg. due interpretazioni di Paolo Poli per Jacques il fatalista, di Diderot.

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sedere che parlavano, e basta. lo ti parlo come la sartina di passaggio. Oppure c'erano delle danze classiche. Quando arrivò il balletto di New York, con Norah Key, che faceva una specie di ragno che mangiava gli òmini, quando arrivò il Pomeriggio di un fauno fatto vestito moderno, si allibì. Quando arrivò Gershwin con Porgy and Bess, con tutti i negri, subito mi fidanzai con un negro. Non si faceva mai nulla, perché bisognava serbare il fiato per il si bemolle, però per far rabbia alle mie sorelle che, come Cenerentola, mi tolsero il saluto vedendomi a braccetto con un negro. E da lì, ho capito, dovevo diventare biondo per fare il contrasto di colore. Con la paura che nascessero de' bambini a toppe, come i cagnolini di Walt Disney». Che aggiungere? Certo, la visione del presente non incoraggia un discorso sulle sorti progressive dell'arte, anche se Poli non sembra volersi atteggiare a superiore moralista. Ha i suoi "feticci" particolari: un anticlericalismo quasi ghibellino (tipo «Tutti sono francescani quando si tratta delle esigenze altrui»), la satira del pensiero forte contro i lassismi del consumo, il matrimonio («Probabilmente la santissima trinità dura tanto perché sono tutti uomini»), gli Agnelli e i Medici. Forse un sunto di quel che pensa dell'oggi sta in quello che fa dire a Caterina: «Il dramma della nostra epoca è che gli idioti si son messi a pensare. Finché stanno zitti. .. ma quanti sono!». «È una temperie. Con tutte queste nuove televisioni private, questi giornali infimi, i giovani trovano di che esprimersi. Quando ero io giovane, c'era a Firenze un unico giornale e quindi c'eran tre, quattro giovanotti che si uccidevano a vicenda per fare l'articolino. Allora, se uno faceva l'articolo sulla cantante, l'altro faceva il pezzo di colore, il pezzo curioso. La Cederna essendo donna poteva solo parlare dei vestiti di stagione, invece levò la voce contro lo strapotere maschile, pigliando poi le punizioni e pagando di persona, naturalmente. Però intanto levò un grido di dolore. Noi si arrivava a quaranta-cinquant'anni a essere un pochino conosciuti. lo le prime volte che recitavo avevo sette persone in prima fila. Facevo Bianca nana e i sette nevi». Manco a dirlo, il confine tra il lapsus e il ghigno lessicale è labile a tal punto da azzerare il beneficio del dubbio. Vorrei sapere se è legato a qualche personaggio in particolare oppure non si considera un "interprete", vista la naturalezza con cui passa dalla perfida santità di Rita da Cascia al cinismo machiavellico di Caterina de' Medici. «Non ne ho, personaggi. Il personaggio è tipico dell'Ottocento. lo, al contrario del Grande Attore, del Zacconi, sono più somigliante a Sergio Totano. Spesso, ero così povero che non avevo nessuno da mettermi accanto, ho fatto dei monologhi, mi son travestito in mille modi più per risparmio, non perché avessi bisogno d rimorchiare. lo ho avuto fidanzati e fidanzate sempre. Ero un bambino facile e poi di educazione cattolica, quindi son cresciuto coi preti, mano morte da tutte le parti. Tutto attraverso il cervello, son arrivato vergine fino a ventuno-ventidue-ventitre anni perché c'era la seconda guerra mondiale. Sicché arrivavo dopo altri, che invece hanno cominciato trombando sem-

plicemente, latinamente, sportivamente. Invece io ero arrivato per perversione, per scelta. Ricordo un fidanzato americano bellissimo che mi disse: "ti voglio baciare". Lo baciai in fronte. Però dopo tre mesi gli faccio vedere Giotto, gli affreschi di Firenze. Ma ero perfida. Gli altri subito sbottonavano, invece io ero difficile, ero una di coscia alta». Non c'è di che. Vista la predilezione per le figure senza mezzi termini, dalla doppiezza conclamata, non stupisce che tra la matrigna e Biancaneve non abbia tentennamenti. «Tutt'e due, eh! Anche Biancaneve non scherza, perché la va nel bosco e poi chi adora? dei nani, dei mostri le garbano molto. Forse ci faceva pure qualcosa». Reprimo una lacrima sul ciglio, perché mi ricordo le letture di fiabe con cui devastava l'innocenza disneyana che a tutti i costi ci si voleva propinare da bimbi, mentre io ho sempre avuto il sacro terrore del lupo e ricordo solo la candida crudeltà, quando il cacciatore gli apriva la pancia per far uscire quelle noiose della nonna e di Cappuccetto, con cui dicevo al mio pazientissimo babbo «Poverino, il lupo. Ammazzalo!». Il tempo libero esiste o è una categoria della mente, per un artista? «D'estate, quando ci sono le estive, che cerco di non fare per preparare il nuovo lavoro, posso riposare. Ma la mia giornata si accorcia sempre di più. lo, essendo vecchio, mi stanco subito. Mi metto a letto con un libro e mi ci addormento sopra. Ora sto leggendo i fratelli Goncourt (quelli del premio) e le amanti di Luigi Quindici, la Pompadour, la Du Barry. Non è che li ho scoperti ora. All'epoca mia era ancora giovane Camus. Una volta ci ho mangiato insieme, ma mi tremavano le mani, perché avevo letto Lo straniero e mi era piaciuto moltissimo, e poi era bello, un uomo bellissimo. Cosa dicevo? Ah, sì. Gli spettacoli. Mi impegnano tutto l'anno, anche perché poi col pubblico, alla fine, me la devo vedere io. E non faccio come altri, che fanno la regia ma poi vanno via e lo spettacolo invece di crescere si affloscia. Poi vengono gl'intrighi, come in tutte le comunanze. Invece io son qui, tutti i giorni, rompo 'oglioni a tutti magari. Ora, poi, sono vecchio, c'è un divario grandissimo di età fra me e i miei collaboratori, un salto di cultura, di qualità, di affetti, di divertimenti». Gli domando se ha avuto anche lui, in tempi di reality e di occhio privato, di costanzosciò e cucuzzate vari, delle offerte per tornare in televisione. «Ma che vuoi, mi chiamano per chiedermi se dormo nuda oppure in pigiama o in camicia da notte, e non posso rispondere "Come Marilyn", con la goccia di Chanel che poi brucia terribilmente. Allora un tempo si sperava che la televisione svolgesse un suo linguaggio, ma è rimasta come ha detto Flaiano, "un brutto cinema alquanto migliorato dalla bella pubblicità", che era proprio bella, con quei caroselli che ora sembran delle cose d'arte, eran dei piccoli capolavori. In due minuti succedeva di tutto. Storielline, c'era "Anch'io ho sbagliato. Non ho usato la brillantina Linetti" e "Dopo questa faticaccia non me lo faccio un brodo, me lo faccio doppio". Anch'io ho fatto delle canzoncine per la réclame». Passa un tecnico, poi qualche attore della compagnia. Il tono si fa un po' pressante. «Poi, cosa vuoi sapere?». Lo lascio andare a batter cassa dall'amministratore, deve «rizzare i soldi dell'incasso» per pagare la compagnia e, di questi tempi, mi pare tempo speso bene. Lo saluto. E mi sorride, lieto che non lo impicci ulteriormente. «Scappo. Ciao tesorino, ciao». •


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V ET RI NA

incontro con Francesca Musco I

Con mio padre a casa d'u Re di Gigi Giacobbe ochi sanno che a Messina vive la figlia maggiore del grande Angelo Musco. Francesca, "Francuzza" come la chiamava il padre, ha 80 anni portati con fine ironia e disincantata verve. Vedova da trentuno anni, ha due figli, Amalia e Ciccio, e tanti nipoti che vengono a trovarla nel suo ampio e confortevole appartamento al quinto piano d'un palazzo dove un tempo sorgeva il Grand'Hotel con le sue oltre cento stanze di proprietà dei Musco (e in cui oggi trova posto un grande magazzino). Saltano all'occhio nel grande salone le numerose fotografie dello straripante attore catanese ripreso da solo o insieme alla moglie Desdemona, né sfuggono i tanti libri e le monografie sulla sua figura adagiati intorno ad un tavolo tondo non distante da un olio su tela di Pomì, raffigurante una caricatura di Musco a corte "carico" di decorazioni. Gustosa immagine che appare sulla copertina del libro Cerca che trovi ... dello stesso Musco, o meglio - come scriveva Domenico Danzuso nel saggio introduttivo della ristampa del 1987 - «dettato ad Enrico Serretta, giornalista, drammaturgo palermitano e soprattutto amico (non pretenderemo che Musco autodidatta e con qualche

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verbo italiano claudicante, si fosse messo lui stesso a scrivere materialmente questa sua storia esemplare) ... » La signora Francesca oltre a un fratello scomparso che si chiamava Angelo come il padre, ha un fratello di 75 anni,Vittorio, che vive a Milano, e una sorella, Anna Maria, di 76 anni che vive a HY - Come mai suo padre non l'ha avviata al palcoscenico? MUSCO - Mio padre non ha voluto che io e i miei fratelli facessimo teatro. Ci ha tenuto sempre alla larga. Quando ero bambina, prima dei cinque anni, ho fatto qualche breve apparizione in scena, per esempio, in Pensaci, Giacomino! e in un altro lavoro dove, mi ricordo, canticchiavo una filastrocca che faceva : «Chiavi chiavi chiavi/ l'acqua di'li buoi/ i buoi si maritaru» e così via. HY - A cosa imputa questo diniego? M. - Forse al fatto che mio padre da ragazzo ha sofferto la fame più nera, per via della sua numerosissima famiglia, formata da ventisei persone con a capo mio nonno Sebastiano e mia nonna Francesca Cosenza ... ed è anche per questo motivo che mio padre non è potuto andare a scuola e ed è rimasto analfabeta sino all'età adulta. HY - E dunque cosa ha fatto suo padre? M. - A cinque anni scelse per me il miglior collegio di . Catania, il Sacro Cuore, dove la lingua parlata era il fran-


V ET RI NA cese e se non si era nobili le suore non accettavano le iscrizioni. HY - E con quale escamotage riuscì a frequentare questo istituto? M. - Quanto successe appartiene ormai all'aneddotica di Musco. Dopo l'ennesimo diniego della madre superiora, mio padre vide nel corridoio un crocifisso, prese una sedia, vi salì sopra e mettendoselo sotto il braccio nell'atto di andar via esclamò rivolto al Cristo: «Tu venitinni ccu mia, ca chistu nun è postu mancu ppi tia, pirchì tu si figghiu di mastru d'ascia!» («Tu vieni via con me, che questo non è posto neanche per te, perché tu sei figlio di falegname!») La suora a quel punto chiamò mio padre e gli sussurrò all'orecchio qualcosa che mai nessuno della famiglia seppe. Il risultato fu che io potei frequentare la scuola sino all'età di tredici anni, mentre i miei fratelli furono iscritti nel Collegio Pennisi di Acireale. HY - Capuana, Martoglio, Pirandello e altri drammaturghi hanno scritto dei testi teatrali per suo padre. Lei chi ha conosciuto da vicino? M. - Il figlio di Martoglio, Pippo Marchese, e Luigi Pirandello a Roma durante la lavorazione del film Pensaci, Giacomino! Ricordo che se ne stava con la gamba a cavallo, si lisciava il pizzetto grigio ed era una sfinge. Mio padre era sempre desideroso di sapere se a Pirandello piacevano o no le scene che si giravano davanti a lui. HY - Com'era suo padre? M. - Buono, generoso, affettuoso, premuroso ... conosceva la faccia della povertà, sapeva cosa volevano dire stenti e privazioni. Aiutava tutti e tutti gli volevano bene. Senta questa: una mattina uscendo dal Grand'Hotel mio padre stava per allacciarsi una scarpa, mentre da lontano sopraggiungeva il tram. Il conducente riconobbe mio padre e visto ciò che stava facendo, bloccò subito la vettura e consentì che mio padre potesse agevolmente allacciarsi la scarpa sul predellino del tram. Quando è morto a Milano nella notte del 7 ottobre 1937 all'età di sessantasei anni per un attacco di angina pectoris, la sua salma impiegò otto giorni prima di giungere a Catania, perché in ogni stazione veniva allestita una camera ardente e tutti venivano ad ossequiarlo. HY - Mi pare che suo padre abbia conosciuto Mussolini. Come sono stati i rapporti col regime fascista e col duce? M. - Mio padre era stimato da Mussolini. Una volta il Duce gli mandò una lettera con una sua foto in cui stava scritto: «Al grande Musco che prodiga ampie parentesi di gioia agli uomini grigi di quest'età del ferro . Con ammirazione profonda. Mussolini. 19-Sbre-'922». E pochi giorni prima, 1'11 ottobre del 1922, ebbe parole affabili in una lettera con l'inte-

stazione del quotidiano il Popolo d'Italia: «Caro e illustre Musco, vi mando, nella tema che vi sia sfuggito, questo ritaglio dell'ultimo numero della Reine des deux Monde che si occupa di voi e dell'arte vostra. Che io seguo e ammiro da tempo. Cordialità vive dal vostro Mussolini». Ma quando domandavano a mio padre di quale partito fosse, così rispondeva: «Navigo al largo e approdo in palcoscenico». HY - Suo padre è stato vicino anche ai

cesso di pubblico e critica riscosso al teatro dei Filodrammatici di Milano nell'aprile del 1915 con il Paraninfo di Capuana, recensito in modo lusinghiero dal critico del Corriera della Sera Renato Simoni, diventò un fenomeno nazionale e tutti i teatri lo reclamavano. Al punto che anche il Re e la Regina invitarono la Comica compagnia siciliana del cav.Angelo Musco per recitare al Quirinale. La prima volta fu nel 1921 e mio padre mise in scena la commedia La Rondinella di Francesca Agnetta, la seconda volta lo spettacolo s'intitolava le Due maschere e l'occasione fu il fidanzamento della principessa Jolanda. Poi le visite a corte diventarono molto frequenti. Pensi che una volta mio padre, telegrafando a sua madre per dirle che la Regina Margherita le inviava tanti auguri particolari, mia nonna ebbe a dire: «Bih! Me figghiu è sempre 'n casa d'u Re! ... » Ma anche io bambinetta, mia sorella e mio fratello Vittorio stavamo spesso sulle gambe della regina Margherita. HY - Qualche altro ricordo? M. - Mi ricordo di Alida Valli, bellissima, all'inizio della sua carriera d'attrice che recitava con mio padre nel film Il feroce Saladino (1937). E poi d'un aneddoto con al centro Giovanni Grasso protagonista del dramma Pietra fra pietre di Sudermann la cui battuta finale così suonava: «Il sole di domani illuminerà uno di noi due cadavere!» E mio padre, tirandogli la giacchetta: «Don Giuvanninu e si dumani chiovi?» (Don Giovannino e se domani piove?). Il risultato fu che Grasso non diede la parola a mio padre per tre mesi. •

In queste pagg. alcune celebri caricature di Musco; nella pag. precedente, un'immagine di Francesca Musco.


T E A T R A L E

ma dov'è il teatro cattolico? V')

di Ugo Ronfani

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overoso un saluto a Carmelo Rocca, che ha lasciato l'incarico di segretario generale del ministero per le Attività Culturali dopo la recente riforma (così l'hanno chiamata) del dicastero. Carmelo Rocca è stato l'esecutore solerte e convinto della lunga stagione di un teatro consociativo, con la costante della centralità democristiana e le variabili della presenza socialista e/o comunista. Sono occorse doti di prudenza e di mediazione per questo tipo di "coesistenza pacifica" in un clima generale in cui si dovevano salvaguardare equilibri politici. Oggi però, mentre anche la cultura teatrale, come la cultura tout court, è nel Paese povera di contenuti e di slanci, mediazioni di questo tipo rischiano di gestire il nulla. Bisogna ripensare culturalmente il teatro, nella sua funzione e del suo linguaggio nella società, il che non è certo affare di burocrati. E anche in area cattolica, per quanto paradossale possa sembrare il discorso, sarà bene che si cominci a dire, con precisione, che cosa si vuole. Non siamo, non dobbiamo e non vogliamo più essere, in Italia, gli spettatori di un teatro di ideologie defunte come ai tempi della guerra fredda. Ma è bene che in un teatro che intenda interloquire, "dal vivo" appunto, nelle nuove e gravi questioni che occupano la scena di un (dis)ordine mondiale oggi evidente, il mondo cattolico riassuma le proprie responsabilità. Il gioco delle parti, se ripristinato con chiarezza e responsabilità fuori dalla palude della routine, riapre e fortifica una dialettica teatrale di cui abbiamo tutti bisogno per non perpetuare le scene superflue, o alienanti, del nichilismo, dell'assurdo fine a se stesso, dell'engagement politico vecchia maniera. Il teatro cattolico, invece, sembra aver rinunciato anche in Italia, centro della cristianità - a mettere in tavola i suoi valori. Le sue attese, i suoi dissensi, i suoi sdegni. C'è stato tuttavia in questa stagione sciapa - si dirà - il ritorno di Diego Fabbri. Vero: con La bugiarda, ripresa da Rossella Falk, amarcord della sua interpretazione trionfale con la Compagnia dei Giovani, omaggio a Giorgio De Lullo suo primo regista. La commedia, sappiamo, è di quelle boulevardières di Fabbri, non brucia del fuoco evangelico di Processo a Gesù, né ha le cadenze ascetiIl teatro continua ad accumulare che di Al Dio ignoto. Ma esprime segno della contestazione cattolica, sul piano del costume, nella doppiezza morale di una ritardi e motivi di crisi. E il società romana che s'appoggia incoscientemente sulla cauzioteatro dello spirito, in un paese ne vaticana, imposta il discorso di una morale di comodo, svuocattolico come il nostro, non esce tata di senso, che induce una donna disincantata (non "perverdai limiti della ripetizione sa") a dividersi fra il marito e l'amante appartenente alla "nobiltà e delle celebrazioni uliturgiche" nera" della Santa Sede. E così il discorso di una "vigilanza catDopo Diego Fabbri sono pochi oggi tolica" si riafferma attraverso l'indagine di costume, e la commedia esprime una sua moralità. Ma gli esempi di dra.nmtaturgia cristiana quali e quanti altri esempi di pretra maldestri epigoni, asettiche senza sulla scena del teatro e ricerche filologiche e le ueresie della società ha fornito la tollerate" di Testori e Turoldo drammaturgia cristiana da quando, più di vent'anni fa, Fabbri si congedò da San Miniato - e dalla vita - con Al Dio ignoto? Francamente, pochi. Come se i due aspetti di fondo di questa drammaturgia - quello ontologico, quello della situazione del cristiano nel mondo - avessero rinunciato a proclamare le loro posizioni identitarie. Nel suo intervento per il volume // teatro del Cielo coordinato nel '96 da chi scrive, per il cinquantenario dell'Istituto del Dramma Popolare di San Miniato, Edoardo Sanguineti osservava, con saggezza laica: «Viviamo ormai in tempi in cui la prospettiva di un teatro cristiano, di un dramma popolare

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L A radicato nella visione cattolica, sta diventando più ardua e complessa». Non si direbbe che da allora la situazione sia migliorata. Fra le ricerche filologiche, ancorché benemerite, di un Federico Doglio alle radici del teatro del Sacro e le "eresie tollerate" di Testori, di Turoldo e di maldestri epigoni, è continuato un vuoto che, morto Diego Fabbri, non si è saputo colmare. Penso, in particolare, al declino - oh quanto indicativo! - del Festival di San Miniato. Là, sulla rocca carducciana, con " il sostegno di Silvio D'Amico, un gruppo di intellettuali cat-

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to della visione culturale, anche nel contesto di una cultura teatrale fatta di ripetizioni del passato. Per concludere - chiuso il cerchio - con quanto si diceva in principio: dare al Paese un teatro rinnovato non consiste nel modificare strutture burocratiche di vertice, ma porre prima di tutto il problema dei suoi contenuti nel tempo presente. •

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tolici guidati dal primo direttore, don Ruggini, aveva piantato saldamente la fiaccola di un teatro del Sacro che ,....a:==-----=-=-=a...=-=-=-----='-='""""-=--"""-'==-t=::;;.....;:i.:..=...,,,.._=-=...,_ avevo voluto e saputo presentare come «non un teatro puramente devozionale ed edificante, ma impegnato sui LA BUGIARDA, di Diego Fabbri. Regia di Giorgio De Lullo ripresa da Rossella problemi e le inquietudini spirituali del nostro tempo». E i Falk. Con Rossella Falk, Luciano Virgilio, Fiorella Rubino, Augusto Fornari, cartelloni d'estate, allora ben altrimenti stimolanti, a San Adriano Evangelisti, Maurizio Romoli, Daniele Cecchi. Prod. Compagnia Rossella Falk, ROMA. Miniato avevano proposto testi di Eliot (con la regia di Strehler), di Ghéon, Suffran, Mann, Bernanos, Neveaux, hi è Isabella la protagonista de La bugiarda che Diego Fabbri, cinque Greene, de Ghelderode, Gracq, Cesbron, Wojtyla, anni dopo Il seduttore, nel 1956, scrisse per Rossella Falk suscitando Strindberg. Ma dagli anni Novanta in poi il "Teatro del - il debutto con la famosa Compagnia dei Giovani al Teatro di via Cielo" di San Miniato, per la generale e sfavorevole man- Manzoni di Milano - un piccolo scandalo nell'Italia democristiana d'allora? canza di slanci culturali, per la mediocrità dei successori Una ragazzuola della borghesia romana che, con la complicità di una di don Ruggini, per la pigrizia di un mondo cattolico madre impicciona, si destreggia con abilità sul filo della menzogna fra un «addormentato ai piedi della croce» (l'espressione è di personaggio dell'aristocrazia nera capitolina, gentiluomo da camera del Julien Green), e per il prevalere di riflussi anticonciliari Papa, che le ha promesso di sposarla se riuscirà ad annullare il proprio (bastò il veto del vescovo, ricordo, per impedire la mes- matrimonio, e un mediocre maestro elementare che è il suo fidanzato en sinscena di un testo alto e ispirato, per il quale cercai di titre. La ragazza preferisce sposare quest'ultimo, tanto per sistemarsi, ma si guarda bene di dare il benservito all'altro. Una commedia leggera, La battermi, come A seconda vida de Francisco de Assis di bugiarda, ma condotta abilmente sul fronte di un teatro che potremmo defiSaramago, che di lì a poco avrebbe avuto il Nobel) è nire boulevardiero. Un boulevardiero con forte tinte romanesche. Una comdiventato un appuntamento turistico-mondano controllato media che contiene una misurata satira di costume unita a un certo scettidal sistema bancario, nel quale la grande cena a inviti per cismo sulla natura umana. La sua qualità precipua risiedendo nel dialogo la "prima" con i notabili della zona conta più dei dibattiti vivace, non mancante di una sua eleganza anche là dove sembra cedere a un tempo appassionati sulla drammaturgia dello spirito. certe sguaiatezze popolaresche. Una commedia che, a dispetto degli anni e Fino a diventare, nelle ultime edizioni, una succursale del dello scivolare dalla prima alla seconda repubblica, riesce a mietere ancora Meeting di Rimini di Comunione e Liberazione, più adat- consensi. A catturare ancora l'interesse delle platee piccolo borghesi, quelto a dividere che a unire intorno ai valori ecumenici della le che non s'azzardano a mettere il naso nei teatrini offe certo rifiuterebbefede. Neppure l'onda lunga del Giubileo ha potuto rilan- ro le audacie di Sarah Kane. Cui sembrano ancora attuali le irriverenze delciare, sulle strade degli antichi pellegrinaggi, una dram- 1'autore forlivese, la blanda satira che si distende in essa, il tono un po' farsesco della vicenda. Vicenda che Rosella Falk ha ripreso, rinfrescando qualmaturgia cristiana che ormai sembra dormire nelle biblioche battuta, mettendola su un binario giocoso, cercando di buttar tutto in teche e nelle coscienze. La vera, autentica "teatralizzaridere, ma un riso mai sgangherato. Troppo signora della scena è la Falk, zione" dell'anno del Giubileo la si è avuta a Tor Vergata, che qui naturalmente e con fair play ha passato il testimone, cedéndo il col raduno mondiale dei giovani riuniti intorno al vecchio ruolo protagonistico alla giovane ed esuberante Fiorella Rubino, che, nella Papa polacco: attori di un "teatro nel teatro" sulla scena sua Bugiarda, immette begli umori popolani, le dà più vitalità e autenticità, ignota del Terzo Millennio. Quella mobilitazione sponta- forse, di quanta ne abbia sulla carta. Lei, la mitica Rossella, occupandosi di nea e impressionante della fede dei giovani non ha pro- disegnare, e di farne due piccoli carnei (non è acqua il sapere artistico), gli dotto, però, "sacre rappresentazioni" cristiane che non altri due personaggi. Quello della madre ruffiana e quello della moglie snob che va in visita al marito in attesa che il matrimofossero tiepide esercitazioni liturgiche. C'è da domandarnio sia sciolto (memorabile l'attraversata della scena si se oggi il Teatro del Sacro di Rossella, ogni passo un gesto carico di ironia e di non lo si reciti piuttosto, in comicità studiata). Tocca a Luciano Virgilio calaruna lingua a noi oscura, si nei panni di Adriano il gentiluomo papalinelle moschee che gli no: lo fa con alto mestiere, con totale padrouni vorrebbero chiudenanza del ruolo anche se in qualche re a difesa della civiltà momento non evita l'ammiccamento. occidentale, e altri traBene anche Augusto Pomari nelle vesti sformare in basi di recludel maestrino. Salvata, nel gustoso remake, la scena originale (con tanto tamento di kamikaze: ma dei luoghi simboli della capitale questo è un altro discorso. dipinti sul fondale) dovuta al pittoO, piuttosto, è un re Orfeo Tamburi. Domenico discorso che riconduRigotti ce all'impoverimen-

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In apertura, una caricatura di Fabbri disegnata da Onorato; a sin. i protagonisti de La Bugiarda.

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RETROSCENA II IL SISTEMA TEATRALE ITALIANO NELL'ERA BERLUSCONI a cura di Mimma Gallina


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Il dibattito sollevato dalla prima parte del dossier è una conferma della gravità della situazione organizzativa ed economica del teatro italiano, ed è anche indicativo della volontà del "popolo del teatro" di metterne a fuoco i nodi principali, di discuterne, di cercare soluzioni. Le degenerazioni più o meno recenti e i problemi sono tali che le scelte di questa seconda e ultima puntata non sono state facili. Avremmo potuto approfondire ulteriormente l'analisi del mercato, la questione stato-regioni, i singoli panorami regionali etc. Invece, lasciando un po' di spazio alla discussione che si è aperta sul sito www.ateatro.it, sul quale sono apparsi articoli del dossier, e alle repliche (in particolare all'intervista al presidente dell'Eti, Mico Galdieri), abbiamo scelto di occuparci in primo luogo degli Sta bi l i, punti di riferimento, malgrado tutto, del sistema; poi di un argomento che avremmo voluto non considerare attuale, l a ce nsura (in forme dirette e indirette); e infine della Biennale di Ve nezia (la cui recente evoluzione è indicativa di un nuovo corso impresso alle istituzioni culturali principali da questo governo). Ma Retroscena continuerà su Hystrio, diventando spazio fisso di inchiesta sui mali che affliggono la nostra scena.Hy

nche gli stabili, come l'Eti, sembrano a volte un male ineluttabile: se ne dice sempre più male che bene. Ma mentre l'Eti continua a sembrarmi un organismo obsoleto, anomalo anche rispetto a modelli stranieri confrontabili, nel migliore dei casi da rinventare (e dirlo non è reato di lesa maestà), per gli stabili la questione è diversa. Le funzioni teorizzate da Grassi e Strehler - il teatro d'arte per tutti, per intenderci - e mai in teoria revisionate, corrispondono a un'idea di teatro comune - pur con diversi modelli organizzativi - a tutti i paesi e le culture europee. Questa idea, molto in sintesi, consiste in qualità (buon artigianato, tradizione e ricerca, arte in qualche caso) e contemporaneità (di linguaggi e contenuti, testimonianza/presenza nella società) in una dimensione democratica (accesso/diritto alla cultura), implica una visione dinamica, e presuppone modelli dinamici, ma ha bisogno di strutture solide di riferimento, e farle funzionare è una condizione per preservarla (propugnarla, rilanciarla, o anche solo tenerla in vita nei periodi bui). Personalmente, e in quest'ottica, non riesco a capire fino in fondo la distinzione, pur suggestiva che si è fatta ultimamente (Ronconi per primo, citiamo più avanti), fra "valore" e "servizio", anche alla luce del ruolo minoritario del settore (che vedo come problema da affrontare - ovvero la capacità di comunicare e trovare un pubblico - più che come dato di fatto). Penso che il teatro in quanto valore - accentuazione significativa -, per essere riconosciuto come tale vada anche declinato nel servizio, senza cadere nel rischio che il cosiddetto "primato dell'organizzazione" (Paolo Grassi), diventi "dittatura del marketing". I peggiori nemici - che in questo momento mi sembrano particolarmente agguerriti - dei teatri stabili sono e sono stati quasi sempre dentro gli stabili stessi, e sono le anomalie gravi che li affliggono fin dalla loro nascita e a volte li soffocano fino ad offuscarne quasi totalmente la ragione d'essere: la politicizzazione (intendo l'obbedienza politica che ne guida i vertici e li porta a trasformare istituzioni culturali in giocattoli vuoti, se non in macchine per il consenso), la burocratizzazione (che non di rado impedisce il rinnovamento gestionale), il personalismo delle direzioni (e delle presidenze), lo sperpero (o un certo gigantismo autocelebrativo). Questi difetti storici (o forse malattie genetiche), hanno assunto recentemente sfumature nuove (o forse antiche). La ripresa di controllo delle centrali politiche sui Cda, i presidenti e i direttori, ha portato a forme di clien-

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DOSSIER telismo che non si vedevano da tempo (il caso più appariscente è quello di Luca De Fusco in Veneto e il suo legame con Gianni Letta. Non si pensa certo che una persona capace non possa operare per le sue amicizie o parentele con qualche politico, ma il punto è: quante decine o centinaia di professionisti potrebbero meglio coprire quel ruolo? E quali vantaggi soggettivi - o danni obiettivi - provoca la logica del nepotismo?). Ha inoltre "infiltrato" negli organi di gestione rappresentanti autorevoli della "concorrenza" (in quasi tutti i consigli siedono esponenti di compagnie e teatri privati, come se non fossero portatori di interessi diversi o come se non si potesse collaborare in modo trasparente fra organismi attraverso convenzioni, accordi o semplici contratti, senza bisogno di intrecciare e contaminare le gestioni). È ovvio che in quest'ottica l'obbedienza, o anche solo l'appartenenza politica (per usare una distinzione proprio di De Fusco, che nega la prima e rivendica la seconda), fa passare in secondo piano la discussione sul profilo dei direttori (prevalentemente artistico, critico, organizzativo, l'eventuale recupero dell'accoppiata artista-organizzatore etc.), e il "progetto" (non di rado inesistente). Piccolo inciso: il nostro interesse per "chi è chi" non è pettegolo o "stalinista" (come qualcuno ci ha detto), risponde invece alla logica molto anglosassone secondo la quale chi amministra la cosa pubblica - anche nella cultura - deve rispondere a requisiti di competenza, e la trasparenza in democrazia non è un optional.

Mali antichi e nuovi Anche se molti direttori di Stabili sono registi - che non di rado (ma non sempre intendiamoci) considerano il teatro un proprio strumento produttivo - un altro vecchio vizio tornato in auge soprattutto a opera dei "presidenti" (il presidente che vuol fare il direttore è un altro revival), è tipicamente organizzativo e lo definirei "tendenza al monopolio": occuparsi di tutto, sostituirsi perfino all'ente locale nel rapporto con gli altri soggetti del sistema (negandone di fatto una funzione autonoma). La politica dei cento fiori è molto lontana e non è difficile spacciare per razionalizzazione, l'occupazione di tutti gli spazi possibili (credo sia la tendenza di Torino, in parte e in prospettiva quella del Veneto), senza per questo progettarli e gestirli meglio. Fra gli obiettivi di fatto dimenticati, o mai seriamente perseguiti (anche se non troverete documento ufficiale che non vi dedichi formalmente qualche riga) è un vero ricambio generazionale (che non si identifica con i corsi o i master per attori: pochissimi danno spazi effettivi a giovani registi, nessuno o quasi ne ha visti nascere al suo interno e non è vero che si cercano giovani organizzatori); una vera compagnia stabile; perfino Ronconi non è riuscito a farne uno strumento o un "metodo" sui tempi medio-lunghi (e intanto la situazione occupazionale degli attori è drammatica sul piano quantitativo e qualitativo); e una vera politica per la scrittura contemporanea (quanti sono gli uffici drammaturgia? Che sanno leggere e scrivere, e non solo in italiano). Questi sono alcuni limiti, pressoché generalizzati, e non è certo solo o tanto questione di soldi.

Pubblici e privati Ciascuno Stabile meriterebbe un'analisi a sé, ma abbiamo dovuto scegliere e abbiamo così escluso dai nostri approfondimenti le istituzioni che, pur molto diverse fra loro dal punto di vista organizzativo nonché delle caratteristiche e della qualità produttiva (su cui non entriamo qui nel merito), e in presenza, quasi sempre, di alcuni limiti comuni, ci sembra rappresentino modelli discretamente funzionanti: come, ad esempio, il Teatro di Genova, quello più corrispondente all'idea storica di Stabile; o quelli più proiettati all'innovazione di Modena, Prato o Perugia, o la dimensione un po' familiare ma articolata di Bolzano, o d'"autore" di Brescia. Ci siamo invece indirizzati verso i casi che presentano, sotto aspetti diversi, anomalie, elementi significativi di novità o di degrado, e abbiamo cercato di analizzarli nel contesto territoriale, da cui ovviamente nessun teatro pubblico può prescindere: Milano, Torino, Roma, Napoli, Palermo e il Veneto, con qualche flash puntato a sud. Ci è sembrato importante anche introdurre il confronto con la stabil ità privata. Se l'esistenza di istituzioni pubbliche funzionanti è la condizione di una produzione culturale di qualità, almeno in parte emancipata dai condizionamenti del mercato, anche i limiti costitutivi che abbiamo elencato, rendono indispensabile la presenza di una pluralità di organismi e iniziative indipendenti, che in Italia trovano un modello originale (e il più strutturato), nei teatri stabili privati. Nati dal movimento delle cooperative negli anni Settanta (ne parliamo più diffusamente analizzando la situazione milanese), gli stabili privati rappresentano una risposta alla necessità di una maggiore articolazione dell'offerta e una modalità originale di organizzare la produzione indipendente a livello soprattutto metropolitano. Caratterizzati da vitalità organizzativa - che permane - queste realtà hanno visto spesso declinare il livello artistico e quasi sempre sfumare la funzione propulsiva sul territorio. Il loro ruolo resta complementare a quello degli stabili pubblici e parte costitutiva dei nostri sistemi territoriali (come del resto quello dei centri di ricerca, di cui abbiamo parlato nella prima parte del dossier), ma il punto è - e non può continuare ad essere eluso - come conciliare la funzione pubblica (e la necessità di adeguate tutele contributive) con l'indipendenza, che è la loro ragione d'essere, trovando un accettabile punto d'incontro fra la continuità del "nucleo artistico e organizzativo" (per usare il ministerialese) e il necessario ricambio artistico-generazionale unitamente al mantenimento di un buon livello qualitativo. Mimma Gallina

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RETROSCENA

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• Forse per il suo pubblico, la sua famosa borghesia, una pubblica amministrazione che dal dopoguerra agli anni '80 ha sinceramente creduto nel teatro, la presenza di molti intelligenti operatori, Milano è la città che più delle altre si è dotata di un vero e proprio "sistema teatrale", che ha nei teatri stabili le sue colonne portanti. La presenza storica e prestigiosa del Piccolo Teatro, teatro pubblico della città, i due teatri stabili privati (Franco Parenti e i Teatridithalia) e i Teatri Stabili d'Innovazione, il Crt e il Teatro Litta (per la ricerca), il Teatro del Buratto e FontanaTeatro (per il teatro ragazzi). Intorno a questo nucleo "stabile" ci sono ovviamente anche altri teatri fortemente radicati, la cui funzione cittadina il Comune di Milano ha riconosciuto attraverso . il sistema delle Convenzioni. Oltre a queste esistono poi numerose altre realtà, grandi e piccole, antiche e recenti, commerciali o meno, che forniscono complessivamente alla città un'offerta di teatro e spettacolo vasta, ricca e differenziata. O almeno così era fino a poco tempo fa. Negli ultimi anni qualcosa è cambiato: pare sia proprio il concet- · to di "sistema" ad essere andato in crisi, o meglio ad aver perso le sue peculiarità: cioè quelle di una rete di riferimenti identificabili sul piano delle vocazioni e delle funzioni. In particolare crediamo sia urgente riflettere sul ruolo svolto dai teatri stabili, pubblici e privati, che dovrebbero costituire il nerbo del sistema.

di Anna Chiara Altieri e Pier Giorgio Nosari

Piccolo Teatro Dopo la scomparsa di Strehler, il Piccolo Teatro ha gradualmente modificato il proprio modo di porsi verso la città e verso il suo pubblico, e di conseguenza ha cambiato in parte anche la propria fisionomia. Benché dichiari la propria continuità, con l'instancabile "ricerca del pubblico" nell'ottica di una funzione sociale e popolare, l'antico obiettivo sembra sempre più sbilanciato verso il marketing e, fra "strategie" e "segmentazione", il pubblico appare sempre più ridotto a una categoria di mercato. Il Piccolo Teatro della gestione Escobar-Ronconi era partito, per la verità, con un criterio operativo chiaro e coerente: costruire il teatro "dei pubblici", un'area culturale aperta alle diverse istanze della città, in grado di appagare la domanda culturale di gruppi diversi e assecondare l'evolversi e il frammentarsi della società civile. Da qui l'ospitalità a musica, cinema e conferenze, l'apertura alla ricerca, ~I teatro-ragazzi e persino alla cenerentola

Fondazione Piccolo Teatro di Milano - Teatro d'Euro a Direttore - Sergio Escobar Direttore artistico -Luca Ronconi (scadenza del mandato ottobre 2004) Consiglio d'Amministrazione: Presidente - Roberto Ruozi (ex rettore della Bocconi). Vice Presidente - Emanuele Banterle (nominato dalla Regione e vicino a Cl, fondatore del Teatro degli Incamminati, direttore artistico del Teatro comunale Giuditta Pasta di Saronno, consulente alla programmazione di numerose sale in Lombardia, e non solo, professionista di riferimento, a fianco dell'anziano Elio Schiavoni, dell'agenzia privata Utim di Milano. Consiglieri - Pierluigi Crola (di comprovata fede leghista, fa parte di varie associazione· padane, fra cui L'Antica Credenza di Sant'Ambrogio, associazione culturale che ha per scopo «diffondere, affermare e difendere i valori ~ le tradizioni milanesi, da troppo tempo sopiti e sottoposti all'intransigente supremazia di altre realtà culturali»); Rosa Giannetta Alberoni (in quota Provincia, sociologa, unica sua competenza è essere moglie di Francesco Alberoni, che del resto si è scoperto esperto di cinema e di molto altro); Giuseppe Nanni (avvocato diAn); Federica Olivares (editrice, manager, ex consigliera di amministrazione Rai). Hy

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DOSSIER delle cenerentole, il teatro di figura. Il criterio operativo era organico .con la storia e il prestigio del Piccolo (operare ad alto livello, qualsiasi scelta si Ma è ancora possibile ritenere "servizio" una funzione culturale come quella teatrale della facesse), e coerente con le linee indicate da quale attualmente spesso sembra non avvertirsi più alcuna necessità? Smesse le maschere di Strehler alla vigilia dell'apertura della sala che una retorica pedagogica, un po' in odore di demagogia, credo in effetti che nessuno possa oggi porta il suo nome. Il risultato sono stati il contestare il fatto che ai nostri giorni il teatro non costituisce più una risposta, non dico ad un Festival del Teatro d'Europa e il Festival dei bisogno, ma forse nemmeno ad una reale domanda da parte del pubblico - ammesso e non Bambini, l'esperimento in prima serata delle pro.a. concesso che di un vero e proprio pubblico teatrale si possa ancora parlare. Orbene, se la duzioni d'ombre del Giocovita e delle marionette nozione politico-sociale di teatro come servizio si è ormai fatta anacronistica e se ciononostandi Eugenio Monti Colla, le partnership con RaiSat, te al palcoscenico ancora compete il ruolo culturale e metaforico - mi ostino a credere nel il "ponte" con il Maly Teatr di Lev Dodin. Il pubbli- nostro presente sempre più necessario e insostituibile - di essere luogo di una conoscenza complessa maturata attraverso l'esperienza, non si dovrebbe pensare all'esperienza scenica co, nei primi anni, è cresciuto e ringiovanito: un'income ad un "valore" e che proprio in quanto "valore" il teatro andrebbe tutelato e sostenuto? dagine demoscopica all'indomani del primo (e più (da Luca Ronconi, Perché andiamo a teatro, "La Repubblica", 1/2002) grande) Festival del Teatro d'Europa rivelava che il 52% degli spettatori aveva meno di 26 anni. Poi La convinzione di base è che un teatro pubblico oggi non possa essere caratterizzato dai consono cominciati i guai: i soldi paiono ormai insuffi- tenuti. Quello che conta, laicamente, è un metodo. Il punto è lavorare sulla contemporaneità, cienti a sostenere gli spettacoli di Ronconi (che non nel senso di seguire le mode, ma di stare all'altezza delle ruvidità e delle disponibilità del vengono di fatto pagati grazie alle coproduzioni), pubblico attuale, della drammaturgia, del panorama intellettuale. Senza dircelo Ronconi e io un Cda del tutto allineato con il centro-destra al abbiamo seguito dei principi comuni. Innanzitutto sapere che ci sono i pubblici, e non il pubbligoverno a Roma e a Milano (Regione, Provincia e co: isole non comunicanti con esigenze assai diverse. Poi, scegliere una strada trasversale, Comune), senza nessuna considerazione per la lavorare non sui contenuti, ma sulle relazioni dei linguaggi: teatro e cinema, teatro e musica, tradizione del teatro e della città, gli attacchi nean- teatro e televisione, teatro e internet; E poi fotografia, poesia, Europa, scuola ... (dall'intervista a Sergio Escobar di Ugo Volli, "La Repubblica", 11/1/2001) che tanto velati a Ronconi, le polemiche sulla temuta censura allo spettacolo di Dario Fo. Di quell'iniziale programma (così "imperiale" da mettere in difficoltà gli altri teatri milanesi, in primis il Franco Parenti) oggi resta poco. Per l'esattezza rimane una strategia di difesa che assomiglia tanto a una lenta agonia. Il Festival quest'anno è poca cosa: quattro spettacoli (due Dodin, due Peter Brook: se non altro ... ) e una lettura scenica in tutto (Patrice Chéreau). Eppure non ci sarebbe voluto molto, e neppure molti mezzi a dare un senso alla bella idea di dedicare la manifestazione a Pietroburgo. Il cartellone delle ospitalità, più che pluralista, è "di tutto di più", purché gli spettacoli incassino (fanno impressione i due mesi dedicati ad Anna Marchesini con la Cerimonia del massaggio), non costituiscano un rischio (le "seconde visioni" abbondano) o "scambino", non importa se al ribasso, con Teatro di Roma, Biondo di Palermo, Venezia, mentre Madre coraggio con la Melato va a dare dignità alla stagione del Manzoni. E le produzioni? Di ritorno: Peccato che fosse puttana, Le baccanti e Le rane. Della politica di compagnia stabile che aveva caratterizzato, il progetto di 1 Franco Parenti viene fondato nel 1973, col nome di Salone Pierlombardo, Ronconi non si parla più (gli attori sono in gran parte quelli, ma l'idea era più ambiziosa), e un'isolata presenda Franco Parenti e Andrèe Ruth Shammah con Giovanni Testori e Dante lsella, che insieme realizzeranno la messa in scena dei più importanti testi za giovane (// Grigio di Gaber diretto dalla Sinigaglia), e qualche piccola spazio agli assistenti "storici", non semtestoriani. Con la scomparsa di Parenti nel 1989 la direzione del teatro passa brano prefigurare indirizzi nuovi e diversi. Ci sono semcompletamente nelle mani di Andrée Shammah. A fianco delle proprie produpre, qua e là, ottimi spettacoli. Ma non c'è più un'anima, zioni, il Parenti ha sempre proposto un ricco programma di attività collaterali: e neppure il progetto in nome del quale sembrava di oltre a festival e rassegne, si tengono regolarmente cicli di incontri, serate evenpoterla sacrificare. to o a tema, concerti, presentazioni di novità editoriali, conferenze, proiezioni cinematografiche, in un'ottica multidisciplinare. Il tutto tessendo negli anni una rete solida e fitta di relazioni con gli ambienti della cultura e della borghesia milaStabili privati nese. Nel 1997 il teatro si trasforma in Fondazione e avvia un progetto di recupero di altri spazi interni al complesso di case popolari degli anni '30 che ospita Milano ha due teatri stabili privati riconosciuti dal il vecchio Pierlombardo, diventando una multisala. I lavori in corso porteranno a Ministero per la loro funzione pubblica: il Teatro Franco una trasformazione totale dell'area compresa tra via Pierlombardo, via Vasari e via Sabina - uno spazio di quasi 5.200 mq - la "Cittadella dello Spettacolo", formato da 5 sale teatrali e diversi spazi accessori, lavori che dovrebbero essere conclusi nel 2005. La raccolta di fondi a questo scopo ha già portato alla realizzazione del Fastweb Foyer e della sala Pirelli, nomi che da soli indicano chiaramente lo stretto connubio teatro-privati. Negli anni, il nuovo corso del Franco Parenti ha portato anche alla nascita della Pierlombardo Danza e della Pierlombardo Eventi. a.e.a.

Pensare in Piccolo

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RETROSCENA

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STABILI

Parenti e i Teatridithalia. Sono due realtà storiche, affermate nella città da oltre trent'anni (nascono tutte e due nel 1973), a partire dalla "rivoluzione delle cooperative" degli anni '70, anni di cambiamenti, contestazioni, circolazione di nuove idee. Alcune delle compagnie nate in quel clima, rivolte al nuovo e ai bisogni espressi dal mondo giovanile, si sono col tempo stabilizzate e hanno cominciato a gestire degli spazi, all'inizio in maniera precaria e pioneristica, poi via via in modo sempre più organizzato, radicandosi sempre più nella città e ottenendo, molti anni dopo, il riconoscimento ministeriale come teatri stabili ad iniziativa privata. Questi organismi, secondo i regolamenti ministeriali, sono di fatto assimilati per le loro funzioni ai loro colleghi pubblici (stabilità del nucleo artistico-tecnico-amministrativo, compresenza di produzione ed ospitalità, rapporto col territorio , etc.) da cui si differenziano essenzialmente per la quantità di attività richiesta e, soprattutto, per il loro essere a iniziativa privata, cioè per: l'indipendenza e l'autonomia di gestione, strettamente legata ad un gruppo e ad una storia specifica. I Teatri Stabili Privati sono il settore del teatro che, forse, negli ultimi decenni, a livello nazionale come a Milano, ha dimostrato maggior vitalità organizzativa, inventando a volte nuovi modelli organ izzativi e promozionali e nuove modalità di rapporto sia col pubblico sia con altri interlocutori (enti locali, privati). Pensiamo ad esempio all'intelligente fusione che ha dato vita ai Teatridithalia e al nuovo corso del Franco Parenti, il primo a cogliere le potenzialità che potevano ven i-

nale. Come organismi ormai istituzionalizzati, sono diventate delle piccole roccaforti di gruppi inamovibili , che proprio questa forte identità storica rivendicano: «[ ... ] L'Elfo è stato fondato nel '73 [... ] ci siamo tutti ancora oggi [ ...] siamo tra i pochi che hanno mantenuto un aspetto essenziale di quegli anni: il gruppo [ ... ]» (Elio De Capitani sul sito dei Teatridithalia) - allo stesso modo Andrée Shammah è il Teatro Franco Parenti. Ma questa radicale continuità con le origini rischia di trasformarsi in difesa del "proprio" teatro, cosa che appare però poco conciliabile con il riconoscimento di funzione pubblica che gli stabili privati (milanesi inclusi) , danno per scontato. A questo si deve aggiungere un'altra riflessione, che ci riporta a quanto detto sul Piccolo Teatro: se il teatro pubblico della città sembra orientarsi anch'esso alla ricerca di nuovo pubblico con i più svariati mezzi, dal marketing alla scelta di cartelloni con qualche compromesso in più e che sfruttano spesso la popolarità di certi personaggi, sembra configurarsi una concorrenza sempre più diretta con altre realtà cittadine, in primis gli stabili privati, mentre avanzano sempre più aggressivi e vincenti gli spazi privati, commerciali e non, storici o meno. Tutti multisala, tutti orientati al polifunzionale e al multidisciplinare, tutti alla ricerca di numeri, presenze, incassi, rincorrendo fondi pubblici e privati sempre più esigui. Il "sistema" rischia di collassare in una corsa alla difesa del proprio spazio rivelando una sempre minor capacità propositiva a livello di qualità e contenuti. Ma qualcosa sta cambiando se l'in-

re da un coinvolgimento diretto di forze imprenditoriali e società civile, dimostrando capacità aggregativa e lungimiranza nell'immaginare nuovi scenari e nuovi sviluppi (come

sieme di esperienze e formazioni che lavorano intorno a nuove poetiche e nuovi linguaggi, sembra ogg i sentirsi soffocare: il dato caratterizzante e confortante delle ultime stagioni è la nascita di spazi e nuclei produttivi nuovi , un po'

il concetto di spazio polifunzionale della Cittadella dello Spettacolo, oppure la partnership con aziende a sostegno come negli anni '70. • delle attività strutturali). Per converso, la dimensione propriamente artistica pare invece aver perso la spinta propulsiva ed innovativa che aveva alle origini, e sembra oggi impoverita di Teatridithalia, originariamente Teatro dell'Elfo, nascono nel 1973 su iniziativa di idee e progetti autenticamente validi. Se si Gabriele Salvatore e Ferdinando Bruni insieme a Cristina Grippa, Luca Toracca, osservano i cartelloni degli ultimi anni, essi paioThalia lstikopoulou, e poco più tardi Elio De Capitani, Ida Marinelli, Corinna no sempre più annacquati, spesso ripetitivi Augustoni. Esperienza collettiva nata sulla scia della rivolta giovanile, l'Elfo recita in centri sociali e in teatri alternativi, fino a quando nel 1978 si insedia nello spazio di via (come ad esempio il teatro di repertorio dei Ciro Menotti. Nel 1982 si forma un secondo nucleo di attori (Antonio Catania, Claudio Teatridithalia, pur ammirevole come sforzo proBisio, Paolo Rossi , Gigio Alberti, Bebo Storti, Silvio Orlando e altri) che seguiranno poi duttivo-organizzativo) , di qualità non sempre eccelsa, poco coerenti, alla ricerca affannosa di Salvatores nella sua carriera cinematografica. L'Elfo ha da sempre puntato a cercare nuovo pubblico e nuovo consenso (il cartellone un dialogo diretto con un pubblico giovanile, che è stato in questi decenni essenzialmente quello della stessa generazione dei fondatori del gruppo, ma continua tuttora ad del Parenti negli ultimi anni vira sempre più spesso verso il comico , il cabaret e tutti quei attrarre fasce giovani di spettatori. La scelta artistica è quella di un teatro non borghegeneri di più facile accesso: la stagione se e non commerciale, ma nemmeno necessariamente votata alla ricerca estrema. Nel 2003/2004, "varietè e liberlè", si richiama espli1992 viene presa la decisione di fondersi con il Teatro di Portaromana di Fiorenzo Grassi e Gianni Valle, che porta così i neo-battezzati Teatridithalia a gestire due sale. citamente alla scelta di spettacoli dei più svariaL'anima del Porta Romana, inoltre, aperta ed eclettica contribuirà a rivitalizzare scelte ti generi e linguaggi, avente come intenzione dichiarata la libertà di ricerca espressiva). e repertorio, almeno fino all'abbandono di Valle. Dopo lo sfratto da Porta Romana la compagnia si è vista assegnare dal Comune un nuovo spazio, l'ex cinema Puccini di Tenendo ferma l'autonomia e l'indipendenza e.so Buenos Aires (attualmente in ristrutturazione). Anche i Teatridithalia, come il che hanno connotato queste strutture dalle oriParenti, hanno lavorato molto sulla ricerca di un pubblico fedele, awiando rassegne, gini, che significa massima libertà nelle scelte incontri, dibattiti. E inventato un festival, MilanoOltre, che, se non riesce a imporsi, per artistiche e di gestione, urge però fare una riflescarenza cronica di finanziamenti, come il festival d'Automne milanese, diventa Oltre90 sione sulla loro funzione "pubblica" in rapporto al in collaborazione con Teatri90, che per diverse edizioni ha svolto un'importante funzioforte connotato personalistico che le caratterizne di vetrina del "sommerso" teatrale. a.e.a. za. I gruppi fondatori sono infatti diventati clan

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DOSSIER

Affari. sotto

1e

Moli.

di Laura Bevione Nella primavera del 2002, dopo due anni assai tormentati, Massimo Castri abbandonava la direzione artistica del Teatro Stabile di Torino, adducendo come giustificazione al proprio atto stizzito quegli stessi contrasti "insanabili" che già avevano condotto il suo predecessore, Gabriele Lavia, a lasciare la carica sbattendo rumorosamente la porta. Fra le ragioni addotte dal regista toscano per motivare la propria defezione vi era stato anche il rifiuto di condividere con Gabriele Vacis la direzione artistica del teatro torinese. Il progetto presentato dal consiglio d'amministrazione dello stabile (con una vistosa invasione di campo in una materia chiaramente di competenza del direttore in carica), prevedeva infatti la suddivisione delle varie mansioni proprie del direttore fra tre persone diverse: una che si occupasse degli aspetti amministrativi più pragmatici così da concedere agli altri due "colleghi" il tempo e la libertà mentale necessari per dedicarsi ai contenuti artistici: in particolare Castri si sarebbe dovuto dedicare a produzioni e ospitalità che, semplificando molto, potremmo definire "tradizionali", mentre Vacis avrebbe curato il "settore innovazione" incentrato sulla sperimentazione e sulla ricerca di nuovi linguaggi. Alla base di questa riorganizzazione della gestione dell'istituzione torinese vi era un altro progetto, concretizzato proprio nel marzo 2002, vale a dire l'accorpamento di Laboratorio Teatro Settimo da parte dello Stabile (che segue di un anno circa !"'acquisto" del Gruppo della Rocca). Per la compagnia di Vacis quell'atto è stato formalmente un mezzo per valorizzare le proprie produzioni, sfruttando il sistema di distribuzione solido e capillare dello Stabile torinese. Che questo sia effettivamente successo o meno, certo i soci e i principali collaboratori hanno trovato, almeno temporaneamente, una qualche tranquillità occupazionale dopo molte difficoltà. Gabriele Vacis, tuttavia, non ha assunto alcuna carica istituzionale ma, sostanzialmente isolato, pare proseguire autonomamente i propri percorsi di ricerca. Alla guida dello Stabile sono invece stati nominati Walter Le Moli (l'uomo di teatro forse più potente dell'era Veltroni-Melandri) e, quale vicedirettore e responsabile della scuola di teatro, Mauro Avogadro. Una scelta non priva di aspetti ambigui, subito evidenziati da osservatori acuti come Marco Travaglio che, sulla Repubblica del marzo 2002, rivelò un palese conflitto d'interessi tenuto accuratamente nascosto dalle due parti in causa. Questi i fatti: Agostino Re Rebaudengo, dal 1996 presidente dello Stabile di Torino malgrado il suo dichiarato analfabetismo teatrale, è a capo, insieme alla moglie Patrizia Sandretto, intraprendente promotrice delle arti contemporanee, della Re Rebaudengo & Associati. La società risulta, fra l'altro, principale azionista, insieme alla Fondazione lnda presieduta proprio da Le Moli, di una srl, lnda Sicilia, incaricata di gestire a livello esecutivo l'attività del Teatro greco di Siracusa. Re Rebaudengo e Le Moli, insomma, erano già soci in affari prima di condividere il tavolo direttivo dell'ente teatrale torinese. Una realtà assai poco cristallina, ma lo "scandalo" e l'indignazione hanno vita breve: il sindaco di Torino Sergio Chiamparino decide di accettare le spiegazioni dell'assessore alla cultura Alfieri e ignorare le osservazioni dell'opposizione e di parte della sua stessa maggioranza. Lo Stabile di Torino, dunque, ritrova la calma escogitando un insolito e assai precario compromesso fra differenti modi di intendere - non solo artisticamente il teatro, nel tentativo di soddisfare tutti e di seppellire i possibili motivi di polemica. Il risultato è quello di avere creato un ménage sfavorevole e limitante per le parti in causa (Le Moli escluso) e, più precisamente, Vacis da una parte e Avogadro dall'altra, oltre che le molte compagnie più o meno piccole inserite nel progetto "Convenzioni Teatri" gestito dal Centro Servizi Teatrali. Questo ufficio, emanazione dello Stabile, ma voluto dal Comune di Torino - che delega così all'ente il complesso problema di valutare progetti e distribuire risorse - è un ulteriore tassello della politica di occupazione di tutti i possibili spazi (fisici e non) e funzioni condotta dalla gestione Re Rebaudengo. Ne fa parte da sempre anche il servizio distributivo per il territorio, recentemente "esternalizzato" (in astuta funzione contributiva) nella neonata Fondazione Circuito Teatrale del Piemonte, guidata da quel Bruno Borghi con cui lo stesso Le Moli continua a dirigere (di fatto) il Festival di Parma (principale finanziatore delle ultime produzioni di Ronconi). Le prossime, in compenso, saranno realizzate e ampiamente finanziate (la stampa ha parlato di quindici miliardi di vecchie lire) dagli enti locali torinesi attraverso il comitato olimpico, per le Olimpiadi invernali del 2006. Nel frattempo, dal punto di vista della qualità delle offerte agli spettatori il cartellone è privo di reali fili conduttori. Tutto ciò è incredibilmente riuscito anche a determinare un nuovo deficit: c'è chi dice per errate previsioni contributive legate all'acquisizione di Settimo e all'esternalizzazione dell'Ufficio territorio, chi per lo scarso controllo su, costi di produzione, chi per il calo degli spettatori e chi sottolinea le consulenze esterne "parmensi" molto ben pagate. Il deficit sarebbe del resto passato inosservato se non avesse suscitato le reazioni di Gipo Farassino - egli stesso uomo di teatro con concretissimi interessi nella gestione della scena torinese - ad assessore all'Identità e all'Immagine del Piemonte con delega per il teatro. Un incarico, quest'ultimo, che lo chansonnier-attore della Lega Nord condividerà con l'assessore alla cultura Giampiero Leo, con il quale potrà spartire i finanziamenti regionali alla prosa. Le compagnie piemontesi, intanto, si affannano a studiare Bersezio e Brofferio e a verificare la propria padronanza del dialetto. •


RETROSCENA

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STABILI

In teatro per scelta di.Letta di Anna Chiara Altieri e Mimma Gallina Il Teatro Stabile del Veneto Carlo Goldoni nasce nel 1992 dalle ceneri di Venetoteatro diretto da Nuccia Messina, con doppia sede, Il Goldoni di Venezia e il Verdi di Padova. I due Comuni ne sono infatti i fondatori storici assieme alla Regione Veneto. Da un paio d'anni l'attività si è allargata, con la programmazione dell'Eden di Treviso (grazie ad un accordo con Teatri spa, emanazione di Cassa marca, molto attiva nel recupero e nella gestione delle sale trevigiane) e con l'acquisizione del prestigioso Olimpico di Vicenza. Diretto per i primi cinque anni dall'attore Giulio Bosetti, e dal '97 al '99 dall'organizzatore Mauro Carbonali, è saldamente condotto dall'attuale direttore, il regista napoletano Luca De Fusco. Si trattò, nel '99, di una nomina a sorpresa e non poco (ma per poco) chiacchierata: per la sponsorizzazione determinante di Gianni Letta (che provoca non pochi malumori anche nel centro-destra), per l'assenza di contatti con la cultura veneta, ma soprattutto per la non eccessiva notorietà, dopo che si erano fatti nomi ben più autorevoli. De Fusco del resto non nasconde quanto sia determinante, nell'attribuzione di incarichi come il suo, !'"appartenenza" politica, ma vanta anche la sua frequentazione col Settecento (per quanto napoletano: al festival delle Ville vesuviane), che considera credenziale importante per gestire adeguatamente l'istituzione teatrale di riferimento della cultura più teatralmente ricca d'Italia (con quella napoletana). Naturalmente la politica culturale dello Stabile veneto mette in primo piano la diffusione e promozione del repertorio di lingua e tradizione veneti, a partire dal suo più Teatro Stabile del Veneto - Il Cda recentemente rinnovato celebre autore, Carlo Goldoni: su (non senza polemiche) è così composto: presidente: Laura venticinque spettacoli prodotti in Barbiani (Regione Veneto); consiglieri: Renata Rebeschini otto stagioni ben dieci sono testi gol(Comune di Padova), Alfonso Malaguti (Comune di Venezia, doniani, benché non vengano trascurapresidente Agis Tre Venezie); Gaetano Rampin (Regione ti anche altri autori come Ruzante, Veneto), Barbara di Valmarana (Assemblea dei soci). I finan- Gozzi, Rocca. Se quello della tutela del ziamenti pubblici presentano un andamento alterno, indicati- "patrimonio della tradizione veneta" è vo delle diverse posizioni nei confronti dell'ente. La Regione perciò obiettivo irrinunciabile, per la Veneto ha erogato 2.130.000.000 lire nel 2001, 826.500 euro nel stessa identità dell'ente - con quali 2002, 827.000 euro nel 2003, 711.000 euro per il corrente anno, fondamenti e esiti si potrebbe un calo quindi, almeno del contributo ordinario (parzialmen- discutere: riportiamo a parte un'ote compensato da interventi finalizzati di minore entità e pinione, non l'unica possibile certo naturalmente dall'ingresso dei nuovi soci). Il Comune di - molti sforzi sono stati impiegati Venezia che contribuiva con 700.000 euro annui, oltre a copri- nell'incremento di pubblico, nel re diverse voci di spesa (riscaldamento, bollette etc. del teatro rafforzamento quantitativo Goldoni), ha deciso, in sede di definizione del bilancio di pre- dell'attività, di cui De visione 2004, una riduzione a 520.000 euro, per ridiscutere la Fusco va orgoglioso (in divisione delle quote dopo l'ingresso di nuovi soci, ma anche sede e fuori, con una per «... ridefinire il ruolo che si vuole dare a questa istituzio- capillare pratica di scambi ne, che non ha un progetto di sviluppo chiaro e definito, che e anche di presenze all'enon riesce a promuovere una produzione propria». (Tiziana stero, grazie al sostanziale Agostini, presidente della Commissione Cultura del Comune, appoggio romano), e nel conDs). Per contro, il Comune di Padova ha stanziato nel 2003, solidamento della dimensione regio697.220 euro e quest'anno ha raggiunto 1.000.000 euro, a cui si nale del teatro. La strategia di espandeve aggiungere un intervento per il ripiano di deficit pre- sionismo regionale ha preso forma gressi (approvato anche dal Comune di Venezia). Infine, il con l'allargamento dell'Assemblea Ministero ha assegnato per il 2003, 1.136.000 euro, contributo dei soci: l'ingresso del Comune di incrementato del 10% e.ca rispetto all'anno precedente (anche Vicenza, che porta in dote il Teatro a fronte dell'allargamento di attività all'Olimpico di Vicenza). Olimpico, e la Provincia di Padova, Forse nessun altro ente, nel 2003 può vantare un tale contri- cui dovrebbero seguire prossimabuto che è pari alla copertura del deficit (cioè esattamente mente Verona e Treviso. Galan, Presidente della Regione Veneto ha quello che è stato chiesto). Hy

Il


DOSSIER dichiarato: «Questi due nuovi soci con la loro entrata fanno sì che il Teatro Veneto sia ancor più il teatro di tutto il Veneto. ( ... ) In questo caso il Veneto ha dimostrato di non essere un coacervo di campanili». È indubbio, ma sarebbe interessante approfondire se, quando e in che misura, i campanili significhino anche pluralismo, chiedersi se sia effettivamente positivo che una gloriosa istituzione come il teatro Olimpico perda la sua autonomia e infine se lo stesso Stabile, in questa politica un po' imperialista, non sottragga concentrazione alla qualità della produzione. Nel frattempo, nonostante i risultati quantitativi dello stabile, e l'attivismo del circuito teatrale regionale Arteven, sul piano della produzione teatrale, il Veneto è un sud del nord: non esistono uno stabile privato e uno di innovazione (nel settore ricerca) riconosciuti, le compagnie sowenzionate si contano sulle dita di una mano e, infatti, lo Stato assegna in Regione il 3,3% degli stanziamenti nazionali per la prosa (Fus), concentrati su pochissime istituzioni, a fronte dell'8% degli abitanti. Sarebbe interessante valutare, in questo quadro, la funzione e il significato della presenza capillare di attività amatoriale (teatro, ma anche cori e bande): certo il Veneto è speciale, forse meriterebbe una politica teatrale un po' più meditata e complessa. •

Olim ici

Interessi in gara

na delle più recenti iniziative dello Stabile è la nascita di un nuovo premio teatrale: gli Olimpici del Teatro, assegnati a Vicenza il 20 settembre 2003, promossi, assieme al Teatro Stabile del Veneto Carlo Goldoni, dall'Eti - Ente Teatrale Italiano - in accordo con il Ministero per i Beni e le Attività Culturali. La serata è stata ripresa e messa in onda da Rai Uno (in una passerella imbarazzante, oltre che incredibilmente noiosa e demodé). Il Premio vuole essere, come dicono gli organizzatori, «al pari di alcuni esempi stranieri, come il Tony Award e i Molières, un appuntamento annuale di analisi, di promozione e di festa del mondo teatrale italiano». Il Consiglio direttivo è formato dal giornalista Maurizio Giammusso in qualità di segretario generale, da Angela Spacci, direttore dell'Eti, e dal direttore del Teatro Stabile del Veneto, Luca De Fusco. Le nomination sono stilate da una giuria composta da due attori (Giorgio Albertazzi, direttore del Teatro di Roma e Rossella Falk), quattro critici (Giulio Baffi , Masolino d'Amico, r--------------------------------------------------------------- , Enrico Groppali, Aggeo Savioli), quattro diverse personalità dello spettacolo: Francesca Ardenzi (impresario privato), Emanuele Banterle (operatore teatrale nonché vicepresidente del Piccolo ur essendo stata aggiunta all'Assessorato alla Cultura della Regione Veneto la dizione "Identità Teatro), Carlo Repetti (direttore del Veneta", «lo Stabile è veneto solo di nome e non di fatto» hanno più volte dichiarato con amarezza i Teatro Stabile di Genova in collaboracommendatori Toni Barpi e Wanda Benedetti, grandi protagonisti della straordinaria stagione teatrale zione con Marco Sciaccaluga, candidache ebbe in Cesco Baseggio il suo insuperato interprete. E non si tratta di accodarsi alla Lega Nord, (dalla to nelle terne finaliste) e Franco Scaglia quale, tra l'altro, chi scrive è il più lontano possibile) ma di evidenziare un dibattito culturale annoso e anche (membro della commissione consultiva oggi presente in Veneto. Del resto nel corso degli ultimi anni ci sono stati gli anniversari, ad esempio, di ministeriale per l'assegnazione dei conSimoni e Palmieri (a proposito del quale sembra che il Direttore abbia detto ad un professore di Venezia: tributi), tre rappresentanti istituzionali (il «Ma chi è Palmieri?»), figure centrali nella storia del Teatro Veneto, e non solo, del Novecento, per i quali presidente dell'Eti, il presidente del nulla è stato realizzato. Mauro Carbonali, predecessore di De Fusco alla direzione e dimessosi dopo soli Teatro Stabile del Veneto, il segretario due anni nel 1999, sottolineava come organizzare «un teatro pubblico, che avesse come elemento portante generale del Ministero per i Beni e le la lingua veneta e raccogliesse una compagnia di attori veneti» non interessava. «In Veneto non era possibiAttività Culturali). Ha presieduto la giule nulla del genere, nonostante il grande patrimonio drammaturgico». È una questione che si trascina ormai da decenni, intorno alla quale più volte si è discusso anche pubblicamente non riuscendo stranamente mai ria, nella prima edizione, una personaa risolverla. Ecco ad esempio quanto dichiarava nel 1975 Tonino Micheluzzi: «Non faccio che mangiarmi il lità esterna al mondo del teatro, indicafegato dalla rabbia. Venezia ignora il suo teatro. Le altre città del Veneto la seguono nell'inerzia e nell'indiffetiva della rilevanza istituzionale che si è renza. Se andiamo avanti ancora un poco di questo passo, è tutta una tradizione che rischia di andare a voluto dare alla manifestazione, ma pallino. Tu mi obbietterai che Goldoni si rappresenta dovunque. Ma il teatro veneto non è solo Goldoni. anche della dimensione un po' familiare: Ognuna delle sette città del Veneto ha una sua tradizione teatrale e, ciò che più conta, ha autori di tutto Gianni Letta, sottosegretario alla rispetto che è una vergogna lasciare nel dimenticatoio. Potrei farti i nomi, da Gallina a Simoni, da Palmieri a Presidenza del Consiglio, appassionato Rocca, da Enzo Duse a Wulten, ma preferisco parlare del teatro veneto in generale, perché è di esso che la di teatro (e grande sponsor di de Regione, tanto per chiamare in causa una autorità responsabile, dovrebbe occuparsi. Vorrei che fosse finalFusco). Le terne finaliste sono votate mente realizzato quello che fu il sogno invano inseguito da Cesco Baseggio: una compagnia stabile del teada una seconda giuria (assemblea dei tro veneto». Sono trascorsi quasi trent'anni da quando queste parole vennero pronunciate, ma conservano votanti) composta da 250 addetti ai intatta la loro validità, la loro freschezza progettuale, anzi sono oggi più attuali di ieri, mentre purtroppo permane l'assenza della politica veneta in materia, a partire dalla Regione: eppure essa emanando nel 1992 la lavori tra attori, registi, operatori etc. Legge con la quale partecipava allo Stabile individuava ad esempio «il particolare indirizzo al teatro regiona(molti per la verità, si sono sottratti). le veneto d'arte e di tradizione» oppure «il sostegno all'attività di ricerca e di sperimentazione, anche in colQuesta ampia comunità teatrale vota, a laborazione con le università, nonché alle connesse attività editoriali». Punti, tanto per citarne alcuni, letteralsua volta, un solo nome per settore mente disattesi. Per non parlare della mancanza in regione di una vera e autorevole scuola di teatro che all'interno di ciascuna terna. Non formi nuove leve di attori nel solco della tradizione: oggi quasi nessun giovane attore è in grado di recitare entriamo ovviamente nel merito della davvero in lingua veneta. Questo è un tema essenziale per il Teatro Veneto, se davvero si vuole tramandarqualità dei premiati, che si sono visti in ne la memoria: perché la lingua appartiene proprio alle radici più profonde e autentiche del nostro popolo, molti casi confermare riconoscimenti della nostra terra e sorprende davvero che non diventi centrale nel dibattito culturale relativo al teatro regiogià attribuiti da altre manifestazioni. Ma nale. È una vera impostazione culturale veneta che manca allo Stabile: nel senso più nobile e alto del termiera di un nuovo premio che si aveva ne e nella linea, per quanto attiene alla dizione Teatro Veneto, teorizzata da Palmieri nel 1968. Qualcuno la bisogno? • vada a rileggere, ne trarrà profitto.Carlo Manfio

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di Vanessa Polselli I teatri stabili della capitale non fanno "cartello". Ma mentre il Teatro Eliseo, roccaforte del buon teatro di tradizione apprezzabile o meno ed il Teatro Vittoria, intelligente esempio di repertorio "comico" per attori, manifestano una identità che alimenta le loro scelte artistiche in un quadro organico e consapevole, il Teatro di Roma sembra segnato dall'abdicazione e dalla rinuncia a qualsiasi rischio culturale preferendo restare nel cerchio del "mercato degli Stabili" e pur con qualche offerta di qualità, manca completamente di identità. «Usando il denaro pubblico - scriveva Paolo Grassi - in una deliberata polivalenza di tendenze, di opinioni; cioè trasformando il teatro pubblico in una industria culturale, con preoccupazioni appunto di equilibrio interno e quindi di compromesso ideologico, estetico, artistico e di tendenze, noi arriveremo a uno svuotamento di quel carattere di provocazione, di stimolo, di discussione che una certa drammaturgia e una certa messinscena debbono avere, se vogliono entrare nella storia della cultura e della civiltà del nostro tempo, non dalla porta di servizio, ma dalla porta principale». Il Teatro Eliseo è a livello nazionale una piazza teatrale storica. Centoquattro anni di spettacoli alle spalle hanno fatto di questo teatro sotto la presidenza di Vincenzo Torraca prima e Giuseppe Battista e Vincenzo Monaci dopo, il fulcro di fondamentali avvenimenti culturali: qui ebbe la sua casa Luchino Visconti, si mosse e si alimentò la prima regia teatrale italiana e nacque il coraggioso esperimento della Compagnia dei Giovani. Una storia quindi intessuta di quel teatro che il D.M. 27.2.2003 per le Attività Culturali definisce "teatro nazionale d'arte" e "di tradizione", ma anche di drammaturgia contemporanea ed impegno civile (fu nel passato asilo clandestino dell'antifascismo intellettuale ed oggi ospita la rassegna di Teatro Civile). La programmazione nell'arco degli anni è sempre stata attenta a rispondere a tali istanze e le produzioni hanno definito sempre più l'identità del teatro: un teatro "di tradizione" attento al testo. Uno sguardo al cartellone 2003-2004 mostra come la giusta miscela di tradizione e sguardo al presente, di drammaturgia classica e contemporanea sia manifestazione chiara di questa forte identità culturale. Linea artistica vivace, intelligente e coerente è sicuramente quella della Compagnia Attori & Tecnici in stanza al Teatro Vittoria di Roma. La Cooperativa nasce nel 1977 soprattutto per iniziativa dei due attori Attilio Corsini e Viviana Toniola. Da subito emergono da una parte la centralità dell'interprete, !"'attore responsabile" che non deve abbandonarsi alla stasi dettata dalla pigrizia e dall'altra la scelta di un repertorio brillante ma non dozzinalmente comico. Nel 1983, dopo anni da compagnia di giro, rilevano il Teatro Vittoria e dopo una ristrutturazione lampo, ne fanno la casa di un progetto artistico che fino ad oggi non sembra aver ceduto: un teatro segnato da ironia, comicità, musica - non scontato né di cassetta - si accompagna ad una produttiva attenzione alla formazione dell'attore come del pubblico, atavico problema del teatro italiano. Per il Teatro di Roma non ha senso ricercare radici di una identità artistica nella sua storia: troppo travagliata, discontinua ed affidata dunque a singole personalità perché si possa infine intravedere un filo rosso di intenti. Ha senso però partire dalla storia più recente, anzi recentissima: il "Caso Martone". Mario Martone chiamato a dirigere il teatro della Capitale sembra attirarsi quasi da subito le antipatie e le insofferenze dei quadri immobili del Teatro con una direzione coraggiosa e rischiosa (artisticamente parlando) ma soprattutto desiderosa di uscire dalle secche di un immobilismo teatrale. Il pubblico apprezza e

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DOSSIER prende parte attivamente alle iniziative Teatro Eliseo - È un teatro stabile ad iniziativa privata. Presidente onorario: promosse. Alla fine del 2000 però la Vincenzo Monaci (membro dell'Autorità per le garanzie nelle comunicaziosituazione è ormai lavorativamente e ni); presidente: Giampaolo Vianello (sovrintendente della Fondazione progettualmente insostenibile per il Teatro La Fenice); vicepresidente: Carmine Lavanda (direttore generale di direttore e nella lettera di dimissioni Capitalia e consigliere d'amministrazione delle più importanti società del rivolta al sindaco Rutelli nel novembre gruppo); consiglieri: Fulvio Rohrssen da Limina e Pasquale Santomassimo del 2000, Martone afferma: «Sin dall'ini(già consigliere d'amministrazione di Capitalia); direttore artistico: zio la mia direzione è stata oggetto di Giuseppe Patroni Griffi; consulente alla direzione artistica e generale: fortissimi attacchi. Il sistema teatrale si Antonio Calbi (giornalista ed organizzatore). è coalizzato accusandomi di scarso pluLa direzione artistica di Patroni Griffi è subentrata un po' tempestosamente ralismo culturale: in realtà, offrendo a quella di Luca Barbareschi licenziato senza alcun avviso nell'aprile del finalmente al grande pubblico un teatro 2002. Al fatto seguì l'interpellanza La Russa sull'Utilizzo dei fondi pubblici da tenuto da sempre ai margini, è stata parte del teatro Eliseo in cui l'onorevole Garnero Santanchè dichiarava come la proprio la nostra programmazione a decisione del teatro Eliseo potesse «essere animata da intenti punitivi nei rompere il cerchio che, tranne sporadici confronti del Barbareschi, perché lo stesso aveva denunciato la strana situacasi, domina incontrastato i cartelloni zione di incompatibilità che grava sul presidente onorario del teatro, l'ingedei teatri italiani, impedendo che aria gner Vincenzo Monaci», il quale pur essendo presidente onorario svolgeva nuova vi entri a modificare e a evolvere di fatto il ruolo di presidente dal momento che Vianello, sovrintendente de gli stili di recitazione, le ragioni della La Fenice, era pressoché assente. L'iter di protesta si chiuse dal momento che regia, le modalità produttive». L'epilogo burocraticamente risultava tutto regolare. Con riferimento ai fondi pubblici della storia è esattamente quel rientrare dell'Eliseo, ci si sarebbe potuti chiedere se sia corretto assegnare a un organel cerchio. Il cartellone progettato dalnismo privato contributi così consistenti, non a caso pari a quelli del Teatro l'attuale staff direttivo si presenta come di Roma (1.745.000,00 euro): le sale di via Nazionale, del resto, costituiscono una antologia scolastica: di tutto un po'. la conferma di quanti governi dagli anni Ottanta a oggi, abbiano equiparato Questo non significa che l'offerta sia di di fatto il pubblico e il privato. bassa qualità, anzi, ma un po' di anni fa Paolo Grassi ebbe modo di dire: «i teatri pubbl ici non possono, a mio avviso, essere degli organismi distributivi di spettacoli prodotti direttamente o ricevuti indirettamente; e anche nell'ambito della distribuzione della propria produzione non hanno sostanzialmente ragione di essere in una funzione che ho chiamato di supermarket. Non si tratta di produrre per una pluralità di attese, per una pluralità di compiti: bensì di far coincidere la linea estetica, Teatro Vittoria. È un teatro stabile a diciamo pure la linea ideologica, con la pubblica gestione». Ripeto quindi che non è messa in discussione la qualità di certuni spettacoli ed artisti, ma iniziativa privata. Direzione artistica: il progetto stesso che ha fatto di questo teatro un supermercato dove sono Attilio Corsini. Consiglio Direttivo: presenti "prodotti" per tutti i gusti e dove il rischio culturale, che per una Viviana Toniolo, Annalisa Di Nola. gestione pubblica dovrebbe essere il valore aggiunto , non ha cittadinanza. Contributo ministeriale per il 2003: E chiudiamo la rassegna con un rapido sguardo sulla posizione del comu770.000,00 euro. ne di Roma in fatto di luoghi di spettacolo. A farne intendere chiaramente la fertile politica culturale è sufficiente riferirsi a quanto detto dal sindaco Veltroni un anno fa: «Roma non è solo il centro storico, Roma è anche periferia» e questo intendimento, che sarebbe potuto rimanere solo sulla carta, si è trasformato nella realtà in una strategia di diffusione culturale, nel centro della capitale come anche nei quartieri adiacenti a questa. Luoghi di spettacolo permanenti come il teatro del Lido e quello a Tor Bella Monaca e più di recente l'investimento sul Teatro Palladium testimoniano con le loro attività la volontà ed il desiderio del comune di penetrare e radicare attività culturali su tutto il territorio. Fino ad oggi risultati sono più che apprezzabili. •

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Teatro di Roma. Teatro Stabile ad iniziativa pubblica. Presidente: Oberdan Forlenza (già capo di gabinetto del Ministro per i Beni Culturali durante il governo di centro sinistra, estensore dei provvedimenti normativi in tema di spettacolo negli anni 1996-2001); consiglio di amministrazione: Alessandro Curzi (direttore del quotidiano Liberazione), Silvana Novelli (esperta nel campo della comunicazione), Massimo Pedroni (politico di An, fa parte anche del consiglio d'amministrazione dell'Eti), Antonio Russo (più conosciuto come Tato, attore e regista, direttore artistico del Teatro Bellini di Napoli, teatro stabile privato e del Teatro Comunale di Viterbo); direttore artistico: Giorgio Albertazzi. Ci sembra di un qualche interesse rilevare che due produzioni di Tato Russo sono programmate negli ambitissimi teatri dell'Eti (Pergola e Quirino) e Il mondo di Mr. Peters con Giorgio Albertazzi (produzione del Teatro di Roma) è nel cartellone del Teatro Bellini di Napoli. Non possiamo forse definirli conflitti d'interesse, o almeno nessuno sembra percepirli come tali: si tratta di normali "intrecci", molto comuni nel teatro italiano. Contributo ministeriale per il 2003: 1.745.000,00 euro.


RETROSCENA:

STABILI

Nuovo Stabi.l e o as i.lo poli.ti.ca? di Ernesto Ci lento Scelta "di opposizione", puo' apparire paradossale che la nascita del Teatro Stabile della città di Napoli sia avvenuta nell"'era berlusconiana", superando tutti gli ostacoli che a Napoli avevano sempre impedito un'esperienza di teatro pubblico. Le amministrazioni locali, Regione, Provincia, i Comuni di Pomigliano e di San Giorgio a Cremano, ed in primo luogo il Comune di Napoli, proprietario del Teatro Mercadante, hanno finalmente dimostrato di volere sostenere il progetto di un teatro pubblico di produzione . Originale è stata la scelta di creare un comitato artistico composto da Roberta Carlotta (già direttore di Radio 3 e già membro della Commissione ministeriale) e da tre importanti personalità del teatro napoletano, l'autore-attore Enzo Moscato, l'attore e regista Renato Carpentieri e il regista Mario Martone, già direttore del Teatro di Roma, cui si affianca un Consiglio d'Amministrazione ampiamente rappresentativo del tessuto teatrale cittadino e presieduto da Rosanna Rummo (direttore generale dello Spettacolo al ministero dei Beni e delle Attività culturali nel periodo Melandri, vittima della logica dello spoil-system). La Direzione è affidata a Onofrio Cutaia, funzionario Eti in aspettativa senza esperienza nel campo della produzione, ma molto stimato negli ambienti teatrali, soprattutto legati alla ricerca. Una composizione così articolata non ha suscitato il classico gioco dei veti incrociati, che per anni aveva reso sterile l'operato di numerosi amministatori. Il Mercadante dopo otto anni di gestione affidata alla collaborazione di Eti e Circuito Teatrale Campano con responsabilità esecutiva di uno staff comunale, diventa ora la prima sede dell'Associazione Teatro Stabile della Città di Napoli. Ci si augura che una scelta ponderata per oltre cinquant'anni offra risultati adeguati ai tempi di attesa. È difficile sottrarsi alla metafora dei primi passi e all'entusiasmo di artisti ed operatori coinvolti nell'audace impresa, tuttavia appare evidente che le scelte finora compiute rivelino una certa prudenza e siano ispirate a un'attenta riflessione sul ruolo di uno stabile nell'odierna, incerta, vita del teatro. L'inaugurale Hotel de l'univers, récit chantant affidato a Moscato, è stato l'unico spettacolo prodotto esclusivamente dallo Stabile nel cartellone della presente stagione. Numerose le coproduzioni: in collaborazione con il Centro Teatrale Santacristina (presieduto dalla Carlotta, direttore artistico Luca Ronconi), lo Stabile di Torino e il Festival di Parma il monumentale Peccato fosse puttana di Ford/Ronconi, con la Compagnia di Luca De Filippo, nel solco della tradizione, Napoli milionaria! di Eduardo/Rosi e, sul versante degli emergenti, Medea di Emma Dante con Amat (Associazione marchigiana attività teatrali). I "progetti", invece, hanno sostenuto la dichiarata concezione di teatro aperto, laboratorio vivo, libero dal mercato e diffuso sul territorio regionale e metropolitano, sensibile ai segnali che provengono dalla cultura teatrale partenopea e nazionale. In particolare, Petrolio, il progetto di Mario Martone che ha preso spunto dall'omonima opera postuma di Pasolini con oltre sessanta giorni di attività programmate in spazi non solo teatrali, ospitalità di richiamo come Garcf a e Paolini negli spazi della dismessa ltalsider, collaborazioni con i teatri stabili d'innovazione locali e con numerosi giovani artisti ed operatori, non solo napoletani, attività editoriali, convegni ed una rassegna cinematografica. Un budget di 3.300.000 euro per la prima stagione, circa tremila abbonamenti e 1200 tessere per il progetto Petrolio, oltre ad un buon risultato di botteghino, hanno assicurato tranquillità di gestione per il tutto il 2003 e permesso di attendere il riconoscimento ministeriale nel giugno prossimo con relativa serenità. Per fortuna, i fondatori hanno dimostrato verso il Mercadante una solerzia inusuale, nelle croniche emergenze napoletane: i cinque enti hanno rispettato la scadenza ed entro il mese di gennaio il budget è stato non solo riconfermato, ma addirittura portato a 3.550.000 euro. Nello stesso periodo, il Teatro di San Carlo sembra rischiare il commissariamento per un mancato contributo regionale di circa 2.000.000 di euro. Certo le Fondazioni liriche hanno problemi simili in tutta Italia, Napoli non è un caso particolare, tuttavia il ministro Urbani, nella sua recente visita in città non ha mancato di attribuire la causa dei buchi di bilancio alle previsioni errate del Sovrintendente Lanza Tornasi, prontamente difeso dal Sindaco lervolino. È che verrà trovata una soluzio-


DOSSIER ne. Tuttavia, appare difficile pensare di gestire con sani criteri economici un teatro pubblico, tenuto a programmare la propria attività nei vincoli dei tempi di bilancio degli enti locali, della sensibilità degli amministratori e della congruenza tra composizione politica delle giunte, del governo e del proprio Consiglio di Amministrazione. Come sappiamo, la complessità di un tale quadro di riferimento risulta accentuata dai criteri di spai/ system, neologismo ormai tristemente noto per definire il rapido avvicendamento in tutti gli incarichi di nomina politica. Gli esiti della vicenda del Massimo napoletano proiettano un'ombra sul futuro dello Stabile, il cui bilancio risulta coperto dai contributi dei cinque sunnominati enti locali e presto, si spera, dal Fus di gestione ancora governativa. Il Consiglio d'Amministrazione, da alcuni considerato anacronistico, in realtà sarà chiamato a svolgere un compito di assoluta centralità e di mediazione con il quadro politico, mentre alla Direzione toccherà conciliare gli indirizzi generali e le scelte del Comitato artistico, affrancato dagli infiniti problemi gestionali. Vedremo se tale ingegneria permetterà nei prossimi anni di analizzare, oltre che di armonizzare, i tempi e i modi diversi dei numerosi soggetti coinvolti nella gestione di un teatro pubblico, compresi gli amministratori locali, che ci auguriamo continuino a considerare il teatro e la cultura parte integrante degli interessi generali. •

r----------------------------------------------------------------------------------------, Teatro Stabile privato di Crotone

Funzione pubblica made in Calabria ondato nel 1999 e diretto da Geppy Gleijeses (attore, regista ed impresario napoletano, ex direttore del Teatro Nazionale di Milano), il Teatro Stabile della Calabria (ma a noi non risulta) si definisce «l'unica istituzione stabile privata di prioritario interesse pubblico del Mezzogiorno d'Italia». Il sito del teatro riporta che «il Comune di Crotone ha riconosciuto il Teatro Stabile nel mese di dicembre 1999, la Provincia e la Regione saranno gli interlocutori indispensabili di questa iniziativa e, infatti, hanno già dimostrato grande sensibilità e forte attrazione per questo progetto ambizioso e significativo, consapevoli dell'importanza dell'attività complessiva e del relativo indotto culturale e occupazionale che la nascita di questa nuova istituzione consentirà di creare». Risale al 2001 un progetto di legge della Regione Calabria per il riconoscimento dello Stabile di Calabria quale ente di prioritario interesse pubblico con la funzione di assolvere alle più varie e disparate funzioni culturali artistiche e di promozione, dalla produzione alla distribuzione e ospitalità, dalla formazione professionale alla tutela e diffusione della cultura locale calabrese così come di quella internazionale. La proposta di contributo regionale annuo era nel 2001 intorno a 1 miliardo e mezzo di lire (circa 750.000 euro). Il riconoscimento come teatro stabile a iniziativa privata da parte del Ministero per i Beni e le Attività Culturali, eccezionalmente tempestivo, precede quello regionale e risale al 16/10/2000 in base al D.M. 4 novembre 1999 n. 470, ad appena 1 anno dalla sua nascita: viene concesso per il triennio 2000-2002 un contributo di 2.460.000.000 di lire (pari a cirç~ 42;:,.500 euro annui), che nel 2003 è salito a 640.000 euro. Incremento inedito, oltre il 50%, e contributo superiore a quello di molti stabili pubblici, lo Stabile della Toscana ad es .. Insomma, un decollo alla grande. Lo Stabile di Calabria gestisce 2 teatri a Crotone: il Teatro Apollo (650 posti) e il Teatro Comunale (420 posti). La gestione è affidata alla Gitiesse Artisti Riuniti soc. coop. a r.l., «la più importante impresa di giro del Mezzogiorno» (naturalmente è un' autodefinizione), che fa capo allo stesso Gleijeses. In un panoraTeatro Stabile dell'Abruzzo ma teatrale che storicamente non trova spazio per investimenti di risorse e progetti per il Sud Italia (la Calabria rappresenta proprio una delle aree più depresse in questo senso) negli el luglio 2003 è stato nominato nuovo direttore del Teatro stabile ultimi 4-5 anni e con un'incred'Abruzzo, ente teatrale regionale, Franco Ricordi, intellettuale di formadibile escalation, sono stati zione filosofica - ha pubblicato con Bulzoni Lo spettacolo del Nulla canalizzati su questa realtà doppiatore, attore e regista teatrale incline alla rilettura di grandi opere. Il suo ingenti somme di denaro da nome, pressoché sconosciuto, non risulta legato a spettacoli o interpretazioni parte degli enti locali e dello di rilievo. Misteriose dunque le ragioni che hanno portato a scegliere proprio Stato. Per farne cosa? Sul pano lui. Nato a Milano nel 1958, figlio di Teddy Reno e della prima moglie Vania della produzione, commedie di Protti Traxler, Franco Ricordi ha diretto la Compagnia Teatro Drammatico, che Wilde, ma anche Annibale ha prodotto nel 2003 / masnadieri di Schiller, interpreti lo stesso Ricordi, Ruccello, e spettacoli di musiChiara Muti, Fabrizio Gifuni e la partecipazione di Arnoldo Foà. Primo spettaca-danza-poesia (Poesia del colo firmato dal nuovo direttore allo Stabile d'Abruzzo è Edipo re di Sofocle tango, Lacrime napoletane). Per (ha debuttato a fine marzo) di cui Ricordi è anche protagonista. «Né con le l'ospitalità, scambi alla grande: avanguardie, né con i dinosauri, lo abbiamo dimenticato, ma è una lezione che da Montesano a Sandra Milo, già ci aveva dato Amleto», ci ha tenuto a dichiarare appena approdato da Carlo Giuffrè e Pagliaiall'Aquila. E, dimostrando subito uno stile filosofico, ha aggiunto: «Dall'Abruzzo Gassman a Elenoire Casalegno, possiamo parlare all'Italia: basta con le lobby della cultura, vere e proprie e naturalmente Pirandello, De associazioni a delinquere, anche se non finalizzate al "furto dell'avere", ma al Filippo, Marivaux, e musical, of ben più subdolo "furto dell'essere"». Presidente dello Stabile è Giovanni Pace,

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Un nuovo direttore filosofo

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anche presidente della Regione Abruzzo e di An. •

course. Anna Chiara Altieri

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RETROSCENA:

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Carri.gli.o: oltre il Massimo consentito di Simonetta Trovato Al Teatro Biondo di Palermo si sentono orfani. Macchinisti, impiegati, persino gli attori della compagnia stabile, vagano come se aspettassero un infernale Godot pronto a saltar fuori da qualche angolo recondito . Perché il direttore artistico Pietro Carriglio - vero deus ex machina dello Stabile palermitano, che negli ultimi anni ha praticamente centralizzato il potere teatrale sulla sua canuta persona - da un paio di mesi è seduto sulla poltrona di sovrintendente del Teatro Massimo, probabilmente l'unico caso in Italia di una stessa persona a capo dei due più imponenti enti teatrali della città, nominato per giunta senza che nessuno - centrosinistra, intellighenzia, sindacati - pronunciasse una sillaba. Poltrona imponente, quella del Massimo, poltrona scomoda, poltrona che non lascia spazio e tempo ad altro, visto che il teatro è sull'orlo del tracollo, e Carriglio è stato chiamato per metter le pezze ad una situazione disastrosa. Carriglio è ritornato allo Stabile palermitano - che lui stesso aveva fatto riconoscere come stabile nel 1986 - dopo aver diretto (e risanato) il Teatro di Roma. Chiamato di nuovo a Palermo nel 1998, subentra a Roberto Guicciardini, regista più che direttore, rimasto impastoiato in marchingegni teatrali e politici. Un paio di esempi: una Tempesta ridotta in siciliano da Franco Scaldati, sponsorizzata dalla critica che, in pochi casi (Franco Quadri , ad esempio) conta anche nelle scelte produttive, e da tutta la sinistra, allora al governo, che va in scena con la costosa regia di Cherif e costringe il Biondo a sospendere le repliche il terzo giorno, per mancanza di spettatori; il direttore accettò anche il progetto del Teatro Garibaldi con Carlo Cecchi per i primi tre anni interamente pagato dal Biondo (anche se non è mai risultato da nessuna parte). Nel 1998 Carriglio torna dunque da vincitore, chiamato dalla Regione di centrodestra (a tutt'oggi Carriglio è molto legato al governatore Cuffaro) in una città con un'amministrazione di centrosinistra. Le cose miglioreranno ulteriormente dopo le elezioni, in 61 collegi su 61, Palermo inclusa, Forza Italia brucia tutti, chi è già schierato (e Carriglio non lo ha mai nascosto) è già una spanna avanti agli altri. E al Biondo capiscono subito che tira vento di poppa. Il regista non ammette sconfitte, soprattutto di fronte alla città: e dunque, drastiche riduzioni delle spese, rimodulazione degli incarichi e scambi con gli altri Stabili, produzioni mirate al grande pubblico. La formula riesce abbastanza, a tutt'oggi il Biondo ha un cartellone dove fanno un po' troppa bella mostra di sé soprattutto gli spettacoli dello Stabile del Veneto (quest'anno arrivano addirittura tre produzioni, // trionfo dell'amore del direttore artistico Luca De Fusco, Il cerchio di gesso del Caucaso di Ben no Besson , coproduzione anche con Genova, e L'Ifigenia in Tauride di Lassalle), dell'Eliseo e del Teatro di Roma, che a loro volta accolgono le produzioni (poche) del Biondo pronte

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DOSSIER a valicare lo stretto. Quest'anno si è registrato un calo di abbonati rispetto al 2002 e, prima ancora, al 2001 (9.371 abbonati nel 2001, 9.043 nel 2002, 8.280 nel 2003), a fronte però, di un aumento dei singoli biglietti di circa il 20%. Lontani i tempi del Biglietto d'Oro dell'Agis che lo Stabile palermitano, sotto la guida di Carriglio, ha guadagnato per tre anni di seguito, ma alla crisi non si comanda neanche nel resto d'Italia. Intanto abbonati e pubblico si son visti annullare a stagione in corso il Mercante di Venezia, regia di Carriglio, con Carlo Cecchi (la pace tra il direttore artistico e l'attore, nemico storico di Carriglio sin dai tempi dell'esperienza del Teatro Garibaldi, nata con Guicciardini, è stata

r-------------"""'=--=-destituito Lo Monaco

Teatro Biondo - L'assemblea dei soci dello Stabile è composta da Regione Siciliana, Provincia Regionale di Palermo, Comune di Palermo, Fondazione Andrea Biondo. Consiglio di amministrazione: Presidente: Arcangelo D'Antonio: in quota Comune (è essenzialmente un burocrate in pensione prestato alla cultura, come d'altronde era anche il suo predecessore, Renato Palazzo, indicato dal sindaco Orlando e tra i protagonisti della cosiddetta Primavera, scaduto con la fine della passata amministrazione) Vicepresidente: Gianni Puglisi, anche presidente della Fondazione Andrea Biondo, oltre che attuale assessore comunale alla Cultura e presidente dello Iulm di Milano. Puglisi ruota attorno al Biondo, con cariche diverse, da oltre trent'anni, ma, visti i pessimi rapporti con il direttore artistico, peraltro mai nascosti, non frequenta molto il teatro. Consiglieri: Patrizia Monterosso (Comune); Salvatore Costantino (Regione), docente universitario di comunicazione e studioso di teatro; Matteo Fedele (Regione), ex funzionario del Banco di Sicilia, il giovane Angelo Cuva e Rosario Cali (Provincia). Direttore artistico: Pietro Carriglio (anche sovrintendente del Teatro Massimo di Palermo).

Messina Bronx di Gigi Giacobbe essina, tredicesima città italiana per densità di abitanti e ultima per qualità di vita, nei recenti sondaggi de Il Sole 24 Ore. Una città-terziaria, priva d'industrie; una città-cantiere per i lavori del tram che nessuno avrebbe voluto; una città al trenta per cento di disoccupazione che vede trasferiti ad Augusta la Marina Militare e a Catania il Distretto Militare e che assiste malinconicamente ogni giorno alla chiusura di grandi magazzini, botteghe, negozi. E di cinema, come il Savoia, il Peloro, il Trinacria, il Garden, il Quirinetta, il Metropol, per non dire della chiusura di qualche mese fa della mitica Saletta Milani con i suoi 49 posti, attiva sin dalla fine degli anni '70 e con alle spalle superbe retrospettive cinematografiche e fihn cult e di qualità. Sul versante dei teatri le cose non sono messe meglio: hanno chiuso battenti il Romolo Valli, l'Excelsior (al loro posto case in costruzione già in vendita), il Teatro in Fiera, il San Carlino (già cinema Astra e adesso sede d'un pub), la sala del Teatro Libero; restano in piedi soltanto il Vittorio Emanuele e la Sala Laudamo giusto alle sue spalle. In vita il Cine-teatro Savio e, da questa stagione, il Teatro Annibale Maria di Francia - proprietarie sono le monache dello Spirito Santo - adatti entrambi soprattutto a concerti di musica classica e cameristica, mentre nella periferia di Messina, da qualche anno, è stato aperto un grazioso spazio denominato Teatro dei Naviganti rivolto alla sperimentazione e al teatro di ricerca. Ma Messina, non dimentichiamolo, è priva di sindaco e l'amministrazione comunale è retta da un commissario esterno. A completare il desolante panorama, la notizia che il direttore artistico del Vittorio Emanuele, Sebastiano Lo Monaco, è stato rimosso dal suo incarico dal Consiglio d'amministrazione del teatro perché la magistratura, dopo avere acquisito atti e documenti, sta indagando sulle attività teatrali degli ultimi anni. In particolare sullo spettacolo Uno sguardo dal ponte di Arthur Miller messo in scena da Giuseppe Patroni Griffi e interpretato dallo stesso lo Monaco. La Guardia di Finanza in sostanza dovrà accertare se la circuitazione dello spettacolo prodotto dall'Ente Teatro di Messina, costato circa 450.000 euro, sia stata curata o meno dall'Associazione "Sicilia Teatro" che fa capo allo stesso Lo Monaco (anche il precedente Enrico IV di Pirandello con la regia di Roberto Guicciardini pare risultasse, nei borderò, di Sicilia Teatro). Inoltre, il Cda del teatro scade il 21 marzo, e così il Vittorio Emanuele rischia il commissariamento. Infatti toccherebbe al sindaco nominare il presidente e i tre consiglieri. Anche a Taormina non c'è molto da stare allegri. Da due anni, senza motivo, è scomparso dai programmi il prestigioso Premio Europa per il Teatro, nel settore Teatro di Taormina Arte non c'è più Giorgio Albertazzi a curarne la direzione artistica: l'attore, rimasto in carica per ben otto anni, dal 1995 al 2003, non verrà di certo rimpianto perché la kermesse era diventata sempre più una manifestazione paesana, o tutt'al più un conformista festival estivo. Ma il futuro non si prospetta roseo perché il suo posto verrà occupato dal giornalista-scrittore-regista di Barcellona Pozzo di Gotto (Me), Melo Freni, compaesano di Emilio Fede e del senatore di An, Domenico Nania. •

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siglata fragorosamente pochi mesi fa). Cecchi spiega che il teatro lo ha avvertito che non c'erano fondi per lo spettacolo, ma più d'uno al Biondo pensa che il direttore artistico abbia declinato l'impegno per mancanza di tempo. La poltrona del Massimo, sempre quella, è colpevole probabilmente della defaif/ance. Il direttore artistico dal canto suo, ha riallacciato rapporti con lo Stabile di Catania, dopo gli scambi veementi avuti con il suo presidente Pippo Baudo, sui finanziamenti che toccano agli Stabili siciliani. A proposito di finanziamenti, al Biondo toccano parecchi euro dai tre enti siciliani che, anche se arrivano regolarmente in ritardo provocando le invettive del direttore artistico (e giustificando i clamorosi ritardi nel pagamento a compagnie ospiti e coproduttori, per cui il Biondo è famoso nel teatro italiano), si vanno a sommare ai finanziamenti del Ministero: un totale di più o meno 23 miliardi delle vecchie lire. E il Biondo conta una cinquantina di dipendenti, più gli stagionali, gli artisti e le maestranze legate agli spettacoli. Le produzioni quest'anno, a onor del vero, non sono mancate, come L'opera da tre soldi in versione integrale con


RETROSCENA Cronaca di una staaione oerduta I luogo comune che vuole la Sicilia "laboratorio politico" d'Italia perché là le dinamiche si manifestano con anticipo rispetto al quadro nazionale, nel nostro caso risponde a verità. Infatti l'escursione al Parnaso berlusconiano della vita teatrale a Palermo è cominciata fin dal 1998, quando - nel pieno di quella che veniva definita "la primavera" oppure "nuovo rinascimento" palermitano - la modifica degli equilibri politici nella Provincia Autonoma, segnata dal ritorno alla presidenza di Francesco Musotto detto Ciccio, ha comportato, fra l'altro, una nuova rappresentanza nel consiglio d'amministrazione del Teatro Biondo Stabile di Palermo e la conseguente defenestrazione del direttore Roberto Guicciardini. Sotto la direzione Guicciardini il Biondo aveva ritrovato un rapporto con le voci della città, in sintonia con la politica complessiva di Leoluca Orlando e Francesco Giambrone. Il Biondo patrocinava il progetto pluriennale di Carlo Cecchi al Teatro Garibaldi, era socio del Festival di Palermo sul Novecento, si faceva strumento produttivo - spesso di concerto con le altre due istituzioni palermitane, il Teatro Massimo e l'Orchestra Sinfonica Siciliana - delle iniziative volute dall'assessorato, come la reinterpretazione del Festino di Santa Rosalia o la programmazione della rassegna Palermo di Scena, fino al Festival di Morgana, rassegna di teatro di figura promossa dal Museo delle Marionette. Con le Mille e una notte di Scaparro venne inaugurato lo Spasimo e con L'assalto al cielo di Thierry Salmon vennero riaperti i Cantieri Culturali alla Zisa, due luoghi simbolo del rinascimento palermitano. Nel quinquennio della gestione Giambrone passarono in Sicilia tutti i più bei nomi internazionali del teatro, della danza e della musica oltre che il meglio del nuovo teatro italiano. Furono organizzate mostre, soprattutto fotografiche, rimaste memorabili. Sono stati sostenuti i protagonisti della scena palermitana, da Franco Scaldati a Michele Perriera a Burruano e Sperandeo ma è maturata anche una nuova generazione di musicisti e teatranti che si è imposta a livello nazionale, da Sollima, Betta, lncardona e La Licata a Collovà, Davide Enia, Emma Dante. Il ritorno di Pietro Carriglio alla direzione del Biondo fu salutato positivamente da chi ribattezzava "il rinascimento" come "l'effimero palermitano" ed entusiasticamente dagli oppositori di Orlando (che pure fu consenziente verso questa nomina) che gli rimproveravano di aver speso risorse provenienti dall'Europa al ritmo di 180 miliardi all'anno in spettacoli e Lsu (lavori socialmente utili, ribattezzati Lsi) mentre in tutto il continente si ridimensionava il welfare a favore degli investimenti strutturali. Non ci voleva grande preveggenza nel capire che il nuovo direttore avrebbe avviato la conclusione di quella stagione progressiva, spegnendo le voci, negando l'unicità dell'esperienza palermitana e riportando il dialogo con la città nei binari routinieri della programmazione e dell'organizzazione. Così suonò come un epitaffio l'intervento di Giovanni Raboni che, quasi a mettere a tacere "polemiche e dicerie" sentì il bisogno di scrivere sul Corriere della Sera che «quella del suo ritorno "in pista" era, molto semplicemente, una buona notizia». Il percorso successivo è stato l'inverarsi di un progetto politico. Le sconfitte di Orlando alle elezioni per l'Europa prima e poi per la presidenza della Regione, hanno affrettato l'ascesa degli uomini di Micciché. Sindaco è stato eletto un avvocato che in campagna elettorale sosteneva, ad esempio, che Mani Ovadia e Vincenzo Consolo senza il sostegno della sinistra erano artisticamente "poca cosa". L'assessorato alla cultura è di fatto retto da un consulente "straniero" che ricopre incarichi importanti in diverse altre città. Francesco Giambrone è tornato a fare il cardiologo e gliel'hanno giurata tanto che una sua nomina a Sovrintendente dell'Opera di Genova è saltata all'ultimo momento. Cecchi ha lasciato il Garibaldi dal 2000. Il Festival sul Novecento è finito nel 2001 («faremo qualcosa di più grande» ha dichiarato il sindaco, ma non sono pervenute notizie in merito). Palermo di scena è stata soppiantata da una rassegna estiva a ricalco delle metropoli continentali e al Festino di Santa Rosalia gli Lsu sono scritturati per applaudire il sindaco. Lo Spasimo è stato "normalizzato" come spazio espositivo e ai Cantieri Culturali non succede più niente. In compenso Carriglio collabora a tutto campo con il Piccolo Teatro di Milano (anche coproducendo spettacoli che a Palermo non hanno messo piede), ha messo in scena un testo di Raboni e quest'anno, dopo aver recuperato Brecht ai valori teatrali fuori da ogni ideologia, si è fatto contemporaneamente nominare Sovrintendente al Teatro Massimo. Sarà il "laboratorio politico"? Gianni Valle

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STABILI

Massimo Venturiello, Tosca, Laura Marinoni, Giulio Brogi e Rosalina Neri, le scene di Bruno Caruso e la regia dello stesso Carriglio, che figura in parecchi cartelloni italiani. Non si può dire la stessa cosa per Assassinio nella cattedrale di Eliot che a Palermo è nato e a Palermo è rimasto. Anche per questo cast, i nomi che ruotano sono più o meno gli stessi, Giulio Brogi, Alfonso Veneroso, Liliana Paganini, Gianna Giachetti, che si uniscono agli attori palermitani. Che a loro volta, sono legati al Biondo a doppia mandata, tanto che Carriglio li vuole anche impiegare in opere liriche al Massimo, quasi fossero roba sua. Per altre personalità artistiche di Palermo, di Biondo non se ne parla, ed è defunta del tutto anche la Targa Morvillo per la sperimentazione, voluta da Guicciardini con sede al Ridotto intitolato a Giorgio Strehler. Artisti come Davide Enia o Emma Dante, allo Stabile non mettono piede perché bollati come "di sinistra". E al Biondo, "sinistra" non ne entra. Tranne i giornalisti, visto che nell'entourage di Carriglio ne figurano un paio, militanti da tempo, pagati finora a colpi di programmi di sala, che traghetteranno facilmente al Massimo. Nel frattempo il Biondo rivendica anche il Bellini, teatro storico distrutto da un incendio, di proprietà di privati e affittato dallo Stabile come spazio da adibire alla sperimentazione, avviata dal Candelaio di Ronconi. In questo caso, contando Teatro Massimo, spazio estivo del Teatro di Verdura, Biondo, Ridotto e Bellini, si raggiunge il numero di cinque sale in mano alla stessa persona. •

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DOSSIER censure

di Oliviero Ponte di Pino

n Italia da qualche anno la censura teatrale non esiste più. Almeno in teoria. Fino a tempi abbastanza recenti, prima di portare in scena uno spettacolo era necessario sottoporre il testo a un'apposita commissione per ottenere un "nulla osta per la visione ai minori". Con risultati grotteschi: ancora negli anni Settanta uno spettacolo-manifesto del "teatro immagine" come Pirandello chi? di Memè Perlini rischiava di essere vietato ai minori di 18 anni perché non esisteva alcun testo da far visionare. Finché nel 1998 il ridicolo procedimento contro il film Totò che visse due volte di Ciprì e Maresco ha finalmente indotto il Ministro della Cultura Walter Veltroni ad abolire la censura preventiva (fatta salva la tutela dei minori), sia per il cinema sia per il teatro. Anche se in Italia quella del censore non è più una professione, si trova sempre qualcuno che continua ad aspirare al ruolo . Per esempio Gianfranco Micciché che nell'estate del 2002 ha tentato di bloccare l'allestimento delle Rane firmato da Luca Ronconi a Siracusa a causa dei manifesti degli uomini politici usati nella scenografia (questo il commento a caldo di Curzio Maltese sulla Repubblica: «Penosa e ridicola era già la censura del Micicchè, il piccolo viceré siciliano del premier. Ancor più penoso e ridicolo, oltre l'apparenza liberale, è il comunicato con il quale Berlusconi, travestito anche nella retorica magniloquente da novello Re Sole, concede il "permesso" a Ronconi di satireggiare con la sua sacra immagine. Ma più penoso di tutto è il breve e commosso ringraziamento di Ronconi e Escobar a sua maestà per il gesto di alta "intelligenza e civiltà"»). Al ruolo di censori aspiravano anche quei membri del Cda del Piccolo Teatro che alla fine del 2003 volevano impedire le rappresentazioni milanesi dell'Anomalo bicefalo di Dario Fo: un tentativo di censurare il Premio Nobel bloccato da una denuncia preventiva del direttore Sergio Escobar. D'altro canto per un comico (e in generale per un artista) le censure sono come le medaglie per i generali: una prova di eroismo e integrità che garantisce indipendenza di giudizio agli occhi del pubblico. Insomma, una forma di pubblicità gratuita, che a volte può essere addirittura cercata attraverso lo scandalo. Purtroppo si trovano sempre più di rado quei parroci un po' ingenui e quei sindaci sbruffoni che all'ultimo momento negano la sala al guitto sboccato e sowersivo, garantendo qualche articolo sulle gazzette locali e l'inevitabile solidarietà. Peraltro le frecce della censura non sono rivolte tanto ai big della satira o del dissenso politico. Servono soprattutto a intimidire gli altri, quelli tra gli artisti e soprattutto tra chi programma i teatri che non vogliono crearsi troppi problemi. Perché tutti sappiamo che la forma più efficace di censura è l'autocensura. Del resto esistono mille modalità di repressione assai meno goffe e controproducenti del brutale divieto di andare in scena. Più persuasive. Di questi tempi, per esempio, è molto in voga l'intimidazione giudiziaria. Le querele, più o meno fondate, con annessa richiesta di danni miliardari, sono ormai ordinaria amministrazione per i comici televisivi, da Grillo a Luttazzi a Sabina Guzzanti. Di recente hanno colpito anche il teatro: per querelare Dario Fo e Franca Rame, chiedendo danni per un milione di euro, si è

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Anche se la censura preventiva è stata abolita, c'è ancora qualcuno in Italia che aspira a praticarla - Ma esistono forme meno eclatanti e più efficaci del divieto plateale dell'andata in scena per esercitare un controllo su un settore che dipen~e strettamente dalle risorse pubbliche

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RETROSCENA

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CENSURA

scomodato addirittura il senatore Marcello Dell'Utri, forse temendo soprattutto la trasmissione dell'Anomalo bicefalo in un network televisivo indipendente. Ovviamente in un settore che dipende in misura sostanziale dal sostegno pubblico non è difficile praticare un filtro burocratico, in apparenza neutrale e tecnico, ed evitare così presenze scomode. Possono essere invocati fattori economici, come è successo nel febbraio 2004 per Grillo ad Arezzo: per la sinistra un chiaro caso di censura, per la destra il recital costava semplicemente troppo. A volte può essere chiamato in causa il mercato: se la stagione si accorcia, è più comodo lasciar fuori un lavoro controverso e rischioso. Oppure si può semplicemente decidere che una rassegna di teatro dialettale vale più di un glorioso festival di teatro d'avanguardia, in termini di affluenza di pubblico e di consenso elettorale (come è successo a Opera Prima, cancellato a Rovigo). Spesso dietro queste scelte si avverte la rivalsa dei nuovi arrivati contro tutto ciò che era vecchio, elitario, "di sinistra": probabilmente nasce da motivazioni di questo tenore la decisione di non rinnovare nel 2003 il sostegno a Primavera dei Teatri a Castrovillari (costringendo la rassegna a emigrare a Cosenza). I problemi però non vengono solo dalle giunte di destra: anche per numerosi quadri politico-amministrativo-culturali della sinistra sembra diventato molto difficile giustificare l'investimento della cultura. Così se restano alcune isole felici (vedi Ravenna), altrove trionfano l'ideologia del Grande Evento Gratuito che crea (sperano) consensi elettorali (ma ripetendo le logiche televisive del Festivalbar); oppure subiscono passivamente l'ideologia del mercato e i perversi meccanismi della distribuzione teatrale (con il feticcio dell'abbonato). Tutto questo ha innestato negli ultimi anni una spirale involutiva di cui fanno le spese i festival (a destra come a sinistra: vedi il Festival Theatropolis a Moncalieri) e gli spettacoli meno infeltriti. Può anche accadere che in una regione dove un circuito ha un monopolio pressoché totale una nuova sala - che non risponde alle "normali" logiche di scambio e di progressivo involgarimento - venga boicottata, minacciando di escludere dal giro le compagnie che accettano di recitare lì. Non si può escludere - anzi, si lo sussurra con insistenza - che in certi teatri circolino liste di proscrizione di registi o attori dichiaratamente di sinistra (anche se è impossibile avere le prove), o più in generale di personaggi ritenuti "inquietanti" per la quiete catatonica dello spettatore paratelevisivo. Mentre curiosamente negli ultimi anni si sono moltiplicati attori e registi che rivendicano una antica (ma a lungo clandestina) militanza di destra ... Non è neppure il caso di ricordare la censura attraverso il silenzio: il triste stato della critica teatrale nei grandi organi di informazione è sotto gli occhi di tutti e, se di censura si tratta, riguarda l'interno ambito del teatro di cultura. In genere la vigilanza si accanisce sui soliti tre o quattro temi chiave: il sesso e le parolacce, la religione e la politica (con le loro varie combinazioni). In Italia da qualche anno investe anche ci scrive Carlo Maria Pensa un aspetto fondamentale della comunicazione teatrale. Le disposizioni adottate dopo l'incendio del Cinema Statuto di Torino hanno imposto una Cari amici di Hystrio, nell'ampia prima puntata del dossier Retroscena - Il teatro nell'era Berlusconi a cura di serie di vincoli che riducono notevolmente la Mimma Gallina, apparsa nello scorso numero della rivista, ho rilevato una piccola inegamma delle possibili interazioni tra l'evento sattezza là dove, tra i membri del Consiglio di amministrazione dell'Eti, Maria Bolasco De teatrale e il pubblico, inserendole in schemi Luca è citata come "ex presidente dell'ldi (Istituto del Dramma Italiano)". Appassionata, molto rigidi (privilegiando, più o meno consapecolta, ammirevole personalità del nostro teatro, Maria Bolasco De Luca è stata, dell'ldi, volmente, le sale all'italiana). A lungo andare direttore generale, mentre l'ultimo presidente, succeduto all'indimenticabile Ghigo De queste restrizioni finiscono per limitare in manieChiara, fu il sottoscritto. La rettifica è soltanto un pretesto per ricordare l'ldi, improvvisara drammatica (o ridicola, a volte) la libertà d'emente e ottusamente soppresso (mai se ne è saputo il perché) dall'allora ministro della spressione. Nell'insieme in questi anni, in teatro, cosiddetta Cultura, Walter Veltroni: lasciato morto (l'ldi, si intende) dalla di lui succeditripiù che di censura vera e propria si può parlare ce signora Melandri e definitivamente necrotizzato, nonostante siano cambiati i colori del di stretto controllo, ottenuto soprattutto (e in governo, dall'attuale ministro del Cinema e dello Sport, Giuliano Urbani. A parte la vermaniera quasi indiscriminata) diminuendo le gogna d'aver licenziato, dalla sera alla mattina, i quattro dipendenti dell'Istituto (me escluso, naturalmente, perché avevo rinunciato a qualsiasi emolumento), è mai possibirisorse per un settore ritenuto marginale e scarle che nessuna autorevole voce di protesta si sia levata contro l'assurda estinzione di un samente strategico. Perché sinora (per fortuna istituto che lungo cinquant'anni aveva operato per la ricerca, la valorizzazione, la diffue per sfortuna) il teatro è stato considerato un sione della drammaturgia italiana creando e gestendo compagnie con repertorio naziomedium elitario, frequentato da frange intelletnale, organizzando premi e concorsi, animando il mondo della scena con convegni, tualoidi che non possono avere grande peso "esportando" autori italiani all'estero? Non dimentichiamo che nella storia del teatro itanelle contese elettorali. Rispetto alle censure liano nella seconda metà del Novecento rimangono i nomi di Eduardo De Filippo, Ugo praticate in questi anni in televisione, che hanno Betti, Diego Fabbri, Carlo Terron, Silvio Giovaninetti, Valentino Bompiani e quanti altri colpito i comici, certo, ma anche giornalisti come potremmo citare: ammettiamo pure che di quella felice stagione l'ldi non abbia avuto Enzo Biagi e Michele Santoro, radiati dopo il dikalcun merito. Certo è, però, che oggi, come non esiste più l'ldi, non esiste più nemmeno tat bulgaro di Berlusconi, il teatro pare un'isola una nuova drammaturgia italiana: ridotta, semmai, ad essere ghettizzata in certe insifelice. Anzi, molti personaggi radiati dal piccolo gnificanti rassegne di mise en espace; o entrata in oscuri giretti di sapore politico; o portata alle ribalte minime di qualche autore impresario di se stesso. Eppure c'è ancora schermo riempiono teatri e palazzetti dello sport gente che scrive: che scrive, voglio dire, opere degne d'essere messe in scena. Tra i con fortunatissimi recital. I capofila sono stati Fo centocinquanta, o forse più, copioni che ogni anno mi capita di leggere quale membro di (dagli anni Sessanta, quando venne scacciato giurie, ce ne sono mediamente - a voler essere rigorosi - almeno cinque o sei degni della da Canzonissima) e Grillo (dagli anni Novanta, massima attenzione: ma che, ciononostante, una volta premiati vengono rimessi nel casquando i suoi recital risultarono indigeribili dai setto L'ldi sarà stato un istituto inutile o addirittura non sarà stato niente, e nell'era pubblicitari), a loro si sono accodati i già citati Berlusconi il teatro italiano può continuare a vivere anche senza autori italiani. Purtroppo, Luttazzi e Guzzanti. E naturalmente Paolo non senza certi ministri. Rossi. Insomma, finché non si accorgono che Grazie dell'ospitalità e cordiali saluti. Carlo Maria Pensa il teatro è ancora un po' libero ... •


DOSSIER da Società di cultura a Fondazione

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scenari Urbani La burrascosa riforma della storica istituzione veneziana che il ministro dei Beni Culturali ha tentato, senza riuscirvi, di mettere sotto il suo controllo

di Anna Chiara Altieri a Biennale di Venezia nasce nel 1895 quando, su iniziativa dell'amministrazione comunale, viene inaugurata la prima Esposizione internazionale d'arte della città di Venezia. Nel 1928 viene istituito quello che oggi è l'Archivio storico d'arte contemporanea (Asac). Nel 1930 la Biennale diventa Ente autonomo in base al Regio decreto legge 13/1/1930 n. 33, passando dal controllo del Comune di Venezia a quello dello Stato fascista. Negli anni '30 nascono nuove manifestazioni e la Biennale assume il carattere multidisciplinare che la caratterizza ancora oggi: nel 1930 il Festival internazionale di musica contemporanea, nel 1932 l'Esposizione internazionale d'arte cinematografica, nel 1934 il Festival internazionale del teatro di prosa. Dopo le contestazioni del '68, inizia un periodo di cambiamenti istituzionali che si concluderà, il 26 luglio '73, con l'approvazione del nuovo statuto: viene istituito un Consiglio direttivo "democratico" (19 membri, composto da rappresentanti del governo, degli enti locali, delle maggiori organizzazioni sindacali, nonché da un rappresentante del personale) che elegge il presidente e nomina i direttori di settore. A partire da allora il contributo statale annuo stanziato (oltre a quelli straordinari) viene progressivamente incrementato fino a raggiungere i 1O miliardi di lire nel 1984: l'Ente Biennale si rivela un capitolo di spesa sempre più oneroso per le casse dello stato. Nascono due nuovi settori: l'Architettura nel 1980 e nel 1998 la Danza, fino ad allora presenza episodica e frammentata.

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La riforma Veltroni A venticinque anni dall'approvazione dello statuto, il 23 gennaio 1998 il Consiglio dei ministri delibera la riforma che trasforma l'Ente Biennale in persona giuridica privata denominata Società di cultura la Biennale di Venezia, «consentendo la veste giuridica privata la possibilità di un migliore e più razionale espletamento delle funzioni dell'ente» (premesse del Decreto Legislativo 23 gennaio 1998 n. 19). La Società, alla quale si riconosce «preminente interesse nazionale», non persegue fini di lucro, ma può tuttavia svolgere attività di tipo commerciale, destinando gli utili a scopi istituzionali. La novità più rilevante è la parziale privatizzazione della Biennale: il 60% della Società resta in mano allo Stato (Ministero dei Beni Culturali, Regione

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RETROSCENA:

BIENNALE

Veneto, Provincia e Comune di Venezia) mentre il restante 40% è aperto alla partecipazione di soggetti privati. Il Consiglio di amministrazione è composto dal Presidente, dal Sindaco di Venezia o suo delegato, da un membro designato dal Consiglio provinciale di Venezia, da un membro designato dal Consiglio regionale e da un membro designato dai soggetti privati a condizione che la loro partecipazione al patrimonio della Società non sia inferiore al 5%. Il Presidente della Società non viene più eletto dal Consiglio direttivo (ora sostituito da un Cda) all'interno dei suoi membri, ma nominato dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali sentite le competenti commissioni parlamentari, ritornando di fatto all'impostazione centralista del 1930, con un passo indietro rispetto alla "svolta democratica" del '73. La formulazione degli indirizzi artistici «in un'ottica interdisciplinare e in una prospettiva interculturale», l'organizzazione delle mostre e delle attività permanenti di studio, di ricerca e di sperimentazione, rientrano tra le competenze del Comitato scientifico, formato dal presidente e dai direttori dei settori, individuati tra personalità «particolarmente competenti nelle rispettive discipline» (art. 11 ). Il Cda, cui spetta la gestione delle risorse, e il Comitato scientifico, che definisce programmi e indirizzi artistici , sono due organismi distinti coordinati dal Presidente che li presiede entrambi. La disponibilità finanziaria della Società si basa sulle entrate derivanti dall'esercizio delle attività commerciali, sui finanziamenti in ambito Fus, sui contributi ordinari e straordinari di Regione, Provincia e Comune e su proventi di sponsorizzazioni. La Biennale di Venezia è una macchina culturale da 20 milioni di euro all'anno, di cui 12 coperti dallo Stato (e in misura minore dagli enti locali) e il resto da risorse proprie, mentre il contributo del Comune si traduce essenzialmente nella concessione degli spazi (dati dell'ufficio stampa della Biennale Dmt). Risale al 1999 la nascita di una nuova struttura organizzativa per le attività di spettacolo dal vivo, il Dmt - Danza Musica Teatro. I tre settori vengono coordinati sia per lo sviluppo dell'attività permanente di ricerca, sia per la definizione ed organizzazione delle manifestazioni di rilievo internazionale. L'art. 19 del Decreto Veltroni prevede che per il Dmt sia stanziato un contributo ordinario, con determinazione triennale, a valere sulle somme del Fondo unico per lo spettacolo in misura non inferiore all'1 % di quanto previsto per ciascun settore, quota a cui si aggiunge lo stanziamento a Dmt, da parte della Biennale, di una quota del contributo ordinario annuale, più eventuali contributi straordinari.

Proposta per una nuova riforma In vista della scadenza, nel dicembre 2003, della legge-delega 6 luglio 2002 n. 137 per la riorganizzazione degli Enti culturali, che prevede che il governo possa emettere decreti legislativi sentito il parere delle competenti commissioni parlamentari, il Consiglio dei Ministri approva il 13 novembre, su proposta del ministro Giuliano Urbani, lo schema di decreto legislativo di riforma delle norme sulla Biennale di Venezia. Questi i punti-chiave previsti in questa prima proposta di decreto: trasformazione della personalità giuridica della Biennale di Venezia da Società di cultura a Fondazione di diritto privato, a cui parteciperebbero anche soggetti privati con non più del 40% dei conferimenti complessivi dei soci fondatori; il conseguente allargamento del Cda, oggi composto da 5 membri, a 2/3 consiglieri privati (con l'impegno di finanziare almeno il 20% delle spese di gestione); la possibile tripartizione degli incarichi di direzione per i singoli settori; la possibilità da parte del ministro di emettere atti di indirizzo per l'attività dell'ente; il vincolo di mandato" per i rappresentanti degli enti locali nel Cda, fino ad allora nominati su voto dei relativi Consigli, ora direttamente delegati dai Presidenti di Regione e Provincia. Ma l'elemento forse più controverso è l'istituzione di una Consulta, destinata ad esprimere pareri e indirizzi culturali vincolanti, i cu i membri sarebbero già stati ipotizzati: per il settore architettura e arti visive, la Triennale di Milano (nella persona dell'ex dirigente Mediaset Davide Rampello), la Quadriennale di Roma affidata a Gino Agnese, in quota An; per il settore cinema Cinecittà Holding Spa (di cui il Ministero dei Beni e delle Attività culturali è azionista di maggioranza) e la Scuola Nazionale di Cinema (presieduta da Francesco Alberoni, al contempo membro del Cda della stessa Cinecittà oltre che di RaiCinema); per i settori musica e danza il Teatro La Fenice di Venezia; infine per il teatro l'Ente Teatrale Italiano. Di fatto la proposta Urbani metterebbe la Biennale sotto il controllo di enti controllati dal ministero, direttamente o indirettamente. Secondo questo progetto, quindi, a evocare lo spettro di una Biennale sotto tutela, privata della sua secolare autonomia, non sarebbe tanto la trasformazione in Fondazione dotata di adeguato patrimonio e neppure, in linea di principio, l'ingresso di privati nel Cda. I punti dolenti della riforma sono altri: il rischio che il Cda si trasformi in organo politico con il mandato per delega diretta per i rappresentanti regionali e provinciali, ma, soprattutto, che le attività della Biennale siano condizionate dall'istituzione di una Consulta con rappresentanti esterni che dovrebbero esprimere pareri sui programmi e gli indirizzi di carattere culturale e artistico. La proposta Urbani ha suscitato immediatamente cori di proteste e manifestazioni di perplessità, in primo luogo all'interno del Cda stesso della Biennale, come il dissenso espresso dal vicepresidente Costa, sindaco di Venezia (centro-sinistra), ma a inalberarsi è stato anche il governatore Giancarlo Galan (centro-destra), che non risparmia critiche al suo collega di partito Urbani, ribadendo la necessità di autonomia della Biennale. Il mese di dicembre 2003 è stato ricco di avvenimenti per il futuro della Biennale, con un susseguirsi di assemblee generali, convegni, mobilitazioni e dichiarazioni. Le proteste provengono sia dal mondo politico (il 2 dicembre il Consiglio Comunale veneziano vota compatto contro la riforma della Biennale) che da quello della società civile e della cultura, che animano diverse manifestazioni: dagli appelli al Convegno annuale dell'associazione Gulliver a Roma all'assemblea generale indetta dalla Cgil e dal Consiglio comunale il 12 a Venezia, all'assemblea pubblica, il giorno dopo a Roma, convocata dagli ex direttori della Biennale dal titolo In difesa della Biennale contro la temuta perdita di autonomia della storica istituzione. Fra questi ci sono: Alberto Barbera, Giorgio Barberia Corsetti, Achille Bonito Oliva, Bruno Canino, Carolyn Carlson, Francesco Dal Co, Fréderic Flamand, Massimiliano Fuksas,

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DOSSIER Carlo Lizzani, Franco Quadri, Luca Ronconi. Intanto il sottosegretario ai Beni culturali Nicola Bono apre uno spiraglio negando qualsiasi tipo di blindatura del testo, in particolare sulla Consulta, spiegando che il governo ha agito in base alle indicazioni fornite dal Cda della Biennale. Altra è la versione data dal presidente Bernabè, che rileva nella bozza rielaborata dal Ministero vistosi cambiamenti derivati da mutati criteri ispiratori. «Nel nuovo testo - dice Bernabè - diventava prevalente l'aspetto governance rispetto all'obiettivo primario, che era di creare le condizioni per una più attiva partecipazione privata». L'11 dicembre 2003 la Commissione Cultura della Camera chiede alcune modifiche al documento di riforma della Biennale. I punti di cui si chiede la cancellazione sono la Consulta, la possibilità di una tripartizione degli incarichi di direzione, il vincolo di mandato per i consiglieri di amministrazione, così come l'eventualità di adottare atti di indirizzo da parte del ministero. Nel Cda, composto da 7 consiglieri, potranno sedere al massimo 3 membri privati in proporzione al contributo apportato all'ente (percentuali di un patrimonio attualmente ancora non definibile e pertanto difficile da quantificare). A questo proposito è da notare che, se il patrimonio della Biennale restasse sostanzialmente virtuale, la berlusconiana Medusa e RaiCinema (che Bernabé aveva chiamato a contribuire economicamente, seppur in minima parte, alla vita dell'istituzione) avrebbero gioco facile ad entrare con pochi spiccioli nel Cda della Biennale e da lì far sentire pesantemente la propria influenza. Il 17 dicembre la Commissione Cultura della Camera approva quasi unanimemente le modifiche al decreto che Urbani dichiara di condividere, pertanto il nuovo provvedimento potrebbe diventare rapidamente esecutivo. Intanto il Cda dimissionario della Biennale, in vista della conclusione dell'iter legislativo di riforma, pur mantenendo formalmente i propri poteri, decide di non assumere decisioni che possano impegnare la futura Amministrazione o decadere con la riforma. Viene pertanto sospesa la nomina del direttore del settore cinema, mentre gli incarichi per il Dmt erano già stati stabiliti con anticipo triennale: il settore teatro sarà diretto nel 2004 da Massimo Castri e nel 2005 da Romeo Castellucci.

La riforma Urbani Il 14 gennaio 2004 viene pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale il testo del decreto legislativo 8 gennaio 2004 n.1 che attua definitivamente la riforma della Biennale e la trasforma in Fondazione di diritto privato. I punti più rilevanti del provvedimento sono: 1. i rappresentanti di Regione e Provincia che siedono nel Cda vengono nominati con delega diretta dei rispettivi presidenti, rispondendo cioè ai vertici politici senza una reale autonomia. 2. la presenza dei privati nel Cda è prevista in numero da 1 a 3 per chi conferisce almeno il 20% del patrimonio e garantisce un apporto annuo non inferiore al 7% del totale dei finanziamenti statali. La partecipazione alla Fondazione non può in ogni caso essere superiore al 40% del patrimonio. 3. sia il presidente che gli altri membri del Cda «sono individuati tra personalità di profilo culturale particolarmente elevato e con comprovate capacità organizzative» (art. 4); il Cda, oltre ai compiti gestionali, definisce e adotta il «documento programmatico pluriennale, che determina le strategie, le priorità e gli obiettivi da perseguire, i relativi programmi di intervento della Fondazione stessa, l'organizzazione delle mostre o manifestazioni, nonché le attività stabili di studio, ricerca o sperimentazione» (art. 1O). Il Cda quindi si trasforma da organo puramente amministrativo e gestionale in organo con potere di definire il progetto artistico, sottraendolo ai direttori di settore che devono operare nell'ambito delle direttive emanate. 5. il comitato tecnico-scientifico è istituito con semplici funzioni consultive. I criteri per la sua composizione rinviano a quanto disciplinato nello statuto. 6. è data possibilità di prevedere nello statuto che «in presenza di eccezionale complessità dei programmi, le funzioni di direzione dei settori di attività culturali possano essere attribuite, anche per specifici interventi, ad un collegio di non più di 3 membri» (art.13); i direttori di settore si limitano ad organizzare le attività nell'ambito dei programmi approvati dal Cda. Il decreto definitivo tradisce sostanzialmente alcune modifiche che erano state chieste dalle Commissioni Parlamentari e realizza pertanto una riforma che suscita ancora molte perplessità (in particolare la triade di direttori e la delega diretta per i rappresentanti di Provincia e Regione). All'inizio di gennaio Urbani designa alla presidenza della Biennale Davide Croff, veneziano, manager di lunga carriera alla Fiat e ex amministratore delegato di Bnl. Il 28 gennaio la Commissione cultura del Senato esprime parere negativo sulla nomina: il Ministero, sostenuto dal governatore Galan e dal sindaco di Venezia, si affretta a puntualizzare che questo è solo un parere, assolutamente non vincolante (conseguenza di scontri all'interno della maggioranza). Massimo Cacciari, esponente della Margherita, commenta: «Una storia indecente fin dal suo inizio, dai tentativi del ministro Urbani di fare una riforma piena di contraddizioni fino alla nomina di Davide Croff, un ottimo bancario ma che non vedo cosa c'entri con la Biennale ... ». L'11 febbraio la Commissione cultura della Camera ribalta il parere del Senato votando a favore di Croff con 26 voti contro 12 - si schierano contro la nomina i Ds, Vittorio Sgarbi e Rifondazione comunista. Soddisfatti il ministro, il sindaco Costa e il Governatore Galan. L'ultimo passo il 4 marzo, quando il Cda vota la nomina di Marco Muller a direttore della Mostra del cinema, ratificando di fatto una decisione già presa da Croff, con il consenso del ministro e del sindaco Costa. Muller, direttore per nove anni del Festival di Locarno e anche produttore di nuovi talenti, rimarrà in carica per quattro anni, con una verifica dopo la prima edizione. •

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RETROSCENA:

DISCUSSIONE

Mal d'ente, ma ·non solo

La comparsa di alcuni articoli della prima puntata del nostro dossier Retroscena, e in particolare di Eti: un ente inutile? di Mimma Gallina, sul sito www.ateatro.it curato da Oliviero Ponte di Pino ha sollevato un'accesa e passionale discussione sul sistema teatrale italiano. E ha mostrato anche, che, fra i tanti che preferiscono «continuare a lamentarsi (soprattutto in privato, perché a lagnarsi in pubblico si rischia di mettersi in cattiva luce), a sparlare del prossimo (sempre in privato, perché il pettegolezzo deve restare allusiva arma di ricatto, perché si suppone che tutti "abbiamo il nostro piccolo scheletro nell'armadio", evidentemente), a lanciare disperati e apocalittici appelli quando è troppo tardi», come ha scritto Ponte di Pino nell'editoriale 63, c'è chi invece si espone, facendo sentire con chiarezza la propria opinione critica. Riportiamo qui brevi brani di alcuni interventi (ma ce ne sono altri sul sito, come quelli di Giancarlo Nanni e di Franco D'Ippolito e vi consigliamo di andare a leggerli per intero), nel tentativo di offrire una panoramica dei problemi messi sul tappeto, invitando tutti coloro che operano nel teatro a non lasciare cadere il dibattito e a intervenire anche in merito agli argomenti affrontati in questa seconda puntata.

1 16 dicembre 2003 con una lettera indirizzata al ministro per i Beni e le Attività culturali Giuliano Urbani, al consiglio di amministrazione dell'Eti, al direttore generale dell'Eti e all'Agis e intitolata Quale futuro per l'Ente Teatrale Italiano?, il personale dell'Eti manifesta la propria preoccupazione per lo stato dell'Ente. Si dichiara il timore di una dismissione del Teatro Valle e del Teatro della Pergola, si chiede ragione delle dichiarazioni del presidente Galdieri su un esubero di personale nei teatri, e si denuncia il bilancio preventivo dell'Ente per l'anno 2004 che prevede solo ed esclusivamente la gestione dei quattro teatri. «Per l'attività distributiva sono previsti euro zero. Zero per i Circuiti, zero per il Teatro di Ricerca, zero per il Teatro Ragazzi. Lo stesso vale per i progetti internazionali: zero per i Percorsi Internazionali e per qualsiasi altra iniziativa nel settore. Zero, naturalmente, per tutte quelle iniziative più progettuali e meno distributive che hanno segnato il passaggio negli ultimi anni ad una trasformazione delle funzioni dell'Ente da distributore a promotore del Teatro Italiano». E infine si sottolinea «la mancanza di indirizzi e di una strategia che indichino con chiarezza in che modo si intende dare corpo al ruolo e alle funzioni dell'Ente».

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Il 17 dicembre il consiglio di amministrazione dell'Eti, precisando di avere: visto, preso atto, giustificato, smentito, ritenuto, sottolineato, ritenuto, ricordato, considerato, tenuto conto, delibera infine «di rispondere alla lettera del personale dell'Eti al fine di chiarire esattamente le reali intenzioni del Consiglio di Amministrazione riguardo la dismissione dei teatri Valle di Roma e Pergola di Firenze

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DOSSIER e per la tutela dei posti di lavoro dei dipendenti; di non avere l'intenzione, ne modo più assoluto, di proporre la dismissione dei richiamati teatri; di stabilire con fermezza una difesa ad oltranza, intesa a garantire la gestione dell'attività teatrale e la massima occupazione nei teatri dell'Eti con la partecipazione di tutto il personale». In risposta all'articolo di Mimma Gallina uscito sulla nostra rivista, ribattezzata, chissà perché,"Ystrio" (lapsus redentista?), Luciana Libero, consigliere d'amministrazione dell'Eti invia le sue precisazioni al sito ateatro: «L'Eti oggi: un ente inutile(???) Credo che chi si occupa di organizzazione teatrale, al di là di generici, superficiali, quanto disinformati anatemi, dovrebbe mostrare una maggiore responsabilità, in primo luogo verso i posti di lavoro dei dipendenti. Come si è detto si poteva e si può fare di più e di meglio ma le responsabilità sono diffuse in un mix di smantellamenti, confusioni, controlli verticistici, clientele etc etc. Ma, francamente, sciogliere l'Eti oggi a chi giova? È owio che nel passaggio di competenze tra Stato e Regione vadano ridefiniti ruolo, compiti, progettualità, di un Ente centrale per il teatro ma quali sono le proposte? lo credo che l'Ente è stato in questi anni un patrimonio, nel bene e nel male, di risorse, di competenze, di umane e valide persone e che vada tutelato, protetto, snellito, ridefinito nelle sue competenze». Alla Libero e a Galdieri, che nel frattempo risponde al personale Eti con una lunga lettera (non la riportiamo ma rimandiamo all'intervista), risponde il 26 gennaio Paolo Aniello presidente della Tedarco con Quali funzioni per l'Eti. Riflessioni sugli inte,venti di Luciana Libero e Domenico Galdieri: «Tra i due interventi corre una forte corrispondenza che fa emergere il seguente pensiero: noi del Cda e presidente abbiamo subito le difficili condizioni economiche complessive del teatro e in particolare la "pesante eredità" del passato, abbiamo dovuto operare moralmente sulle orme dello scomparso presidente Ardenzi, abbiamo forse fatto qualche "sbaglio" (come il regolamento), ma se ci attaccate volete la distruzione dell'Eti, abbiamo in realtà aumentato la disponibilità di fondi per la ricerca e il teatro nel complesso, questo e il dover mantenere i costi di tutti i dipendenti e della gestione dei teatri ci obbliga a non poter disporre di risorse per l'attività altra nel 2004, almeno per ora. Pur nelle ampie motivazioni che vengono portate, trovo imbarazzanti tutti e due gli interventi e pongo alcune semplici domande: la prima richiesta è di pubblicare il bilancio consuntivo degli ulti mi due anni in termini leggibili sulle attività e in relazione alle attività svolte. ( ... ) È possibile fare chiarezza sui contributi straordinari assegnati alle compagnie (indipendentemente dalle questioni del Lotto, di cui si parla nell'articolo dell'Espresso) contrawenendo alle norme dell'Eti stesso? Trovo inaccettabile che un ruolo centrale come quello che potrebbe avere lettera dal direttore generale dell'Eti l'Eti nel sistema teatrale italiano venga ridotSignor Direttore, to solamente alla difesa di posti di lavoro. in relazione al mio incarico di Segretario Generale dell'Ente Lirico Non voglio con questo sminuire l'importanza di Arena di Verona Le preciso che venni chiamata allo svolgimento di tale questa difesa, ma proprio procedendo su quella funzione con un contratto di prestazione professionale formato linea si conferma la totale assenza di funzioni dall'Ente in virtù della possibilità (derivatagli da una comunicazione dell'Ente, lo si awicina pericolosamente allo stadella Presidenza del Consiglio dei Ministri - Dipartimento Spettacolo) tus di ente inutile che soprawive fino a quando di sopperire all'eventuale mancanza di personale idoneo a ricoprire non si trova una qualche sistemazione ai lavofunzioni apicali instaurando un tale tipo di rapporto, per superare in ratori impiegati. ( ... ) tal modo la difficoltà derivante dal generale divieto (allora vigente) di D'altra parte è lo stesso Presidente Galdieri a nuove assunzioni nel settore pubblico. denunciare l'inefficacia dell'azione del Cda e Per effetto delle osservazioni di un Revisore dei Conti, la procura della della Direzione, nel momento in cui, a un anno e Repubblica di Verona aprì un'indagine sulla vicenda: ma i chiarimenti dati in ordine al contratto per prestazioni professionali ed al successivo mezzo dall'insediamento, chiarisce che devono concorso ne determinarono l'archiviazione. ancora essere definite le linee e le strategie di Successivamente (ed in ragione di situazioni di contrasto con il nuovo promozione del Teatro e della Danza, per chiariSovrintendente) ritenni di solvere il mio rapporto con l'Ente presentanre le quali sono necessari una serie di incontri, do le mie dimissioni. tra cui quelli con le categorie, ma la promozione L'articolo pubblicato sul numero I anno XVII della Sua rivista menziodel teatro e della danza in Italia e all'estero non na una "chiamata diretta" che, invece, non vi fu; ricorda l'indagine sono la funzione principale che deve ricoprire della Procura di Verona senza menzionare l'archiviazione e definisce l'Eti? come "licenziamento" una risoluzione del rapporto intervenuta invece ( ... ) Come fa un consigliere di amministrazione per mia scelta: le chiedo pertanto di operare doverosa rettifica. a scrivere che il bilancio 2004 rispetta la situaI miei migliori saluti zione degli anni precedenti, dicendo nello stesAngela Spacci so tempo che non ci sono risorse per le attività Riceviamo e pubblichiamo la precisazione di Angela Spacci, ma avremmo preteatrali sul bilancio ordinario, come è sempre ferito accogliere un suo intervento in difesa non solo ed esclusivamente della stato? ( ... ) il Ministero, così come in parte anche propria persona ma anche dell'Ente del quale è direttore generale. l'Eti, in linea con molte azioni svolte dal governo, Evidentemente, la signora non considera che le critiche avanzate nei confronti è partito con il principio che tutto il preesistente dell'Eti siano altrettanto smentibili di quelle rivolte a lei. Oppure l'esigenza di "marcato" centro-sinistra andava cancellato o verità si fa impellente per questioni private mentre se la dorme quando riguarmodificato, indifferentemente che si trattasse di da le istituzioni del paese. Hy azioni o norme valide o sbagliate; il Ministero ha

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valutato che non ci fossero i termini o i soldi per questa iniziativa (aree disagiate), fondamentalmente ha tolto un valore di priorità al progetto, preferendo iniziative come "Les ltaliens" o il progetto di Irene Papas. Scelte che personalmente non condivido, ma che sono legittime: ma allora che paura c'è ad affermare delle scelte, da parte del Ministero o dell'Ente? Forse perché non sono inserite in un progetto organico e portano risorse importanti senza un'adeguata valutazione del progetto stesso? Si aspettavano uno straordinario ritorno di immagine? Tutto ciò non è avvenuto». Con il titolo Le ragioni del radicchio. Ancora sul/'Eti, interviene Silvio Castig lioni, direttore artistico Santarcangelo dei teatri: «Di cosa parliamo quando parliamo di teatro? Come domanda non è originale, ma non me ne viene una più intelligente scorrendo le risposte delle Istituzioni al dossier Eti di Mimma Gallina e soci pubblicato su www.ateatro.it. Un'occasione perduta, almeno fino a qui, per capire indirizzo, campo di lavoro e progetti. A cosa serve l'Eti? E come intende dar corpo alle sue funzioni? Bastava poco per rispondere, e il tempo per pensarci c'è stato. Invece registriamo un imbarazzante silenzio progettuale che fino a prova contraria pare la conseguenza della singolare pratica di fare e disfare cultura a colpi di maggioranza . ... Par di capire invece che la mai abbastanza esecrata eventizzazione della cultura sia finalmente approdata anche all'Eti. Una vera sciagura che ha origini lontane e non è certo un brevetto della maggioranza al governo. Guai perciò a caricare tutto il peso sulle povere spalle dell'attuale dirigenza. Come se si parlasse dell'eventizzazione dell'agricoltura. In nome di che cosa poi? Del cosiddetto ritorno di immagine, che è una espressione che prima ti fa sorridere e poi ti mette i brividi. Basterebbe considerare il teatro alla stregua della coltivazione del radicchio. Che preferisce la cura quotidiana agli avvenimenti epocali seguiti da successivo abbandono. Insomma te ne devi occupare ogni giorno .... Regole, assenza di regole ... Paghiamo ancora l'antica diffidenza nei confronti dello stato borbonico e l'aristocratica paura di un egualitarismo verso il basso. Così gli artisti di teatro italiani, compresi i grandi, spesso hanno preferito concludere un patto separato col principe, piuttosto che usare la loro influenza per ottenere buone regole comuni». Con un pezzo molto lungo e articolato entra nella discussione Adriano Gallina, ritornando sui temi degli Stabili d'innovazione che in parte aveva già affrontato nel dossier di Hystrio dello scorso numero, dove affronta anche il problema della relazione politica e sindacale del teatro con l'interlocutore istituzionale: «Con il più recente regolamento si è a mio avviso evidenziato il più radicale limite della prassi storica dell'Agis nei confronti delle istituzioni: l'incapacità cioè di porsi, rispetto allo Stato, in una posizione - certo civile ma ferma ed intransigente - di controparte sindacale anziché di umile e solerte fiancheggiatore lobbystico e corporativo, sempre a cappello teso alla ricerca di elemosine giorno dopo giorno più risicate, negoziate sempre più al ribasso e spesso, implicitamente, con l'intento evidente di tutelare interessi molto ben identificabili. Una pratica che ha cristallizzato uno stile in cui la "concertazione" è sempre più stata declinata in chiave compromissoria e in cui la tutela dei principi si è sempre più tradotta nell'abdicazione, all'insegna di un "realismo" di basso profilo. Il 2003 teatrale con i suoi disastri, Polo o non Polo, liberismo o non liberismo, crisi del welfare o meno, è lì a testimoniarlo. Del resto l'Agis non è un sindacato ma un organismo più simile - per esemplificare - alla Confindustria. Non rappresenta lavoratori, ma imprese. Il 26 febbraio, a Roma, si apre ufficialmente la cosiddetta "vertenza spettacolo". Con le parole del presidente Francescani "non va interpretata, come farebbe intendere il significato letterale del termine, come azione sindacale promossa "contro" le istituzioni, bensì quale "iniziativa per lo spettacolo" per richiamare l'attenzione su una componente della vita della nazione troppo spesso trascurata o considerata effimera" (circolare n. 23 del 2 febbraio 2004). Ecco: se la terminologia e l'intenzione paiono molto interessanti, molto più preoccupante mi pare l'implicazione dell'excusatio non petita relativa alla precisazione sul senso "non letterale" del vocabolo vertenza. Credo che ciò di cui ha bisogno oggi il teatro, per oltrepassare la dimensione storica della propria subordinazione, sia esattamente - al contrario - la rivendicazione di una dignità economica, culturale, di servizio che può essere sostenuta (con qualsiasi interlocutore) solo in termini schiettamente sindacali, quindi anche di contrapposizione. Che è del resto ciò che distingue, storicamente, il modello sindacale da quello delle corporazioni. È mia convinzione che questo non accadrà, non può accadere attraverso l'Agis, e che la vertenza spettacolo si tradurrà in una testimonianza o in una litania di petizioni di principio che si esauriranno nell'arco di pochi mesi». Riprendendo la metafora del radicchio, interviene Massimo Paganelli, direttore di Armunia: «È esprimere una opinione, sul radicchio e sulle sue ragioni, la mia urgenza. A partire dalla prima delle considerazioni che non può prescindere dall'occasione perduta: cinque anni di governo del centro sinistra e non è accaduto niente; al contrario, la situazione, già precaria, si è ulteriormente degradata. Il radicchio, per rimanere nella metafora di Silvio, si è bruciato, e la terra di coltura rischia di non essere più fertile. Errori, sottovalutazioni e incapacità. Da una parte il teatro non ha saputo, né voluto avanzare in maniera unitaria ed a prescindere dalle poetiche, una proposta sistematica, che desse luogo alle istanze di rinnovamento e che ponesse la "questione" teatro (non si possono avere tentennamenti e false pudicizie) tra le priorità in un paese, il nostro, che lo ha lasciato vivere in stato perennemente emergenziale; d'altra parte, il centro sinistra al governo non ha incentivato il dibattito, dimostrando di non conoscere i reali bisogni cui occorreva dare risposte, ha agito come ritenesse marginale il ruolo dell'arte, ha assunto atteggiamenti spesso supponenti, quando non arroganti. Non ha saputo ascoltare ed ha privilegiato l'interesse verso l'evento piuttosto che verso una politica di reale radicamento del teatro nel tessuto, non tanto urbano, quanto in quello dell'immaginazione e della creatività». •

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DOSSIER alcune domande a Domenico Galdieri

Se l'Eti non ci fosse bisognerebbe inventarlo E TE TEATRALE TALIA O

HYSTRIO - Si fa sempre più urgente l'esigenza di porre mano a modifiche non superficiali del sistema teatrale italiano. Il futuro dell'Eti deve essere considerato in un'ottica di rinnovamento, oppure le funzioni e le strutture attuali le sembrano idonee per favorire la crescita della nostra società teatrale? GALDIERI - L'esigenza di un sostanziale mutamento del

sistema teatrale italiano non è fatto recente, anzi ricordo numerose stagioni teatrali inaugurate con lo stesso spirito ente teatrale irn.liano da "ottobre caldo" che ha segnato tante vertenze e confronti tra le parti e il governo. Da oltre vent'anni, prowediIl presidente dell'ente menti tampone (le circolari prima e i regolamenti oggi) replica alle critiche sono creati sull'urgenza e l'indignazione di un settore "tolavanzate in questi lerato" ma mai riconosciuto. Molti i governi della cultura mesi e ne difende il democristiani allora, socialisti poi per giungere ai recenti di valore e le funzioni centro sinistra (l'attuale di centro destra sta lavorando e fiduciosi attendiamo) hanno annunciato, tentato riforme complessive ma - per motivi profondamente diversi - non hanno avuto seguito. Non essere riusciti a portare a temine una riforma che intendesse il teatro, e lo spettacolo dal vivo in genere, come ambito importante della cultura e della vita sociale del nostro Paese e, in quanto tale, settore da promuovere, tutelare e sostenere - ci riporta all'ennesima urgenza di oggi. A parte le formule di rito, contenute in ogni prowedimento, e riferite a stabilità, professionalità, novità, sostegno al contemporaneo, l'intervento dello Stato sembra essere ridotto a un meccanismo di contribuzione, svuotato dell'originale natura di riconoscimento e di conferimento di funzione "pubblica", nel senso di "importante per la collettività". L'Eti - benché ente pubblico e organismo teatrale nazionale - si trova nelle stesse condizioni di disagio di ogni operatore teatrale, con la differenza che responsabilità, compiti e finalità sono di gran lunga maggiori. La ragione d'essere dell'Ente è il teatro italiano nella sua interezza: produzione, ricerca, distribuzione e formazione. Va da sé che ogni mutamento sostanziale del settore, tanto amministrativo che funzionale, implicherebbe un cambiamento della struttura: un esempio è la riforma del Titolo V della Costituzione e la sua ricaduta nella spettacolo dal vivo. Se alcune competenze venissero assegnate alle Regioni, quale migliore sede, per un tavolo di concertazione e progettazione culturale tra Stato, Regione e Settore, dell'Ente? Non è immaginabile che una normativa, per quanto perfetta, aderisca alla realtà frastagliata e diversissima del teatro nel nostro Paese. La politica teatrale e culturale del paese va concertata, legiferata, ma anche esercitata e articolata. In quest'ottica, credo, bisogna leggere il futuro dell'Ente. La riforma del settore passa innanzitutto attraverso nuove economie e maggiori investimenti per il teatro. Disporre di maggiori risorse sign ifica anche riqualificazione del suo intervento e riorganizzazione della propria struttura. Prima di allora - owero la disponibilità di maggiori risorse - ogni "riforma" rischia di essere pretestuosa o semplicemente propagandistica.

HY - Cosa risponde a chi sostiene che l'Eti sia da annoverare fra gli enti inutili? G. - L'utilità o l'inutilità dell'Ente è una questione sicuramente "provocatoria". Certamente l'Eti subisce un'awersione di principio, motivata soprattutto da sfiducia antica nei confronti dei grandi Enti e dei loro apparati. Il rischio, in questi casi, è quello di consentire, attraverso luoghi comuni, l'attecchire di convinzioni che, tutt'altro che suffragate da fatti, diventano tendenze che, nel mondo della cultura, possono essere deflagranti. Mi chiedo: i musei che tengono gli scantinati pieni di opere d'arte, nessuno ha pensato: "chiudiamoli"; i tredici teatri lirici, ora quattordici, che raccolgono il cinquanta per cento delle risorse del Fus e molte altre dalle rispettive Regioni, Province e Comuni, in continua emergenza occupazionale e produttiva ... Perché non vengono chiusi? Se giochiamo alla provocazione si può continuare a lungo soprattutto sull'utilità o meno degli enti culturali in Italia e in Europa, se è il caso o meno di stimare la loro produttività con il metro economico-commerciale. Purtroppo tra provocazioni e mezze verità sembra confermata una realtà drammatica: esiste una cultura "pregiata" che, pur nelle ristrettezze, va salvaguardata e promossa e un'altra che, nelle stesse ristrettezze della prima, può anche essere lasciata soffocare o estinguersi. Il teatro sembra far parte di quest'ultima. Se l'Eti dovesse essere chiuso il problema non sta solo nella dispersione di un patrimonio culturale e teatrale raro in Europa, quanto nella perdita di un'i-

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dentità centrale e unitaria del teatro. Il nostro Paese sta solo ora riscoprendo la policentricità culturale - che non significa regionalismo -, ma la strada da percorrere è ancora molta prima di ritenere "assolto" il compito dell'Ente Teatrale, a meno che non si voglia sostenere l'ipotesi di un "localismo" culturale esente da confronti. Ritengo che se non ci fosse l'Eti bisognerebbe inventarselo.

HY - Si è anche detto: un ente che deve destinare gran parte delle risorse (esigue, come tutte quelle destinate alla cultura e allo spettacolo) per le spese di gestione interne e del personale, difficilmente può essere definito "utile". Ma è realisticamente pensabile oggi un incremento dei fondi di gestione? Ci sono progetti per economizzare o stornare in altre direzioni le scarse risorse disponibili? G. - Il problema dello stato di salute dell'Eti è un problema recente e solo di questa amministrazione e non per cattiva gestione, ma perché sino a due anni fa, quando siamo stati nominati, viveva una condizione, come gran parte degli Enti di Stato, di protezione. Niente di eccezionale se si pensa che anche gli Enti lirici, sino alla trasformazione in fondazione, erano interamente "coperti" nei loro deficit dall'intervento pubblico, così come gli stabili teatrali pubblici dove il deficit di bilancio viene assunto dai costituenti, regione, provincia, comune ... Sempre di fondi pubblici parliamo. Le cose sono cambiate nella sostanza: in passato l'Eti gestiva un'assegnazione "ordinaria" con cui copriva la gestione e una serie di iniziative, poi aveva riconosciuti i Progetti speciali (in cui rientravano anche manifestazioni ricorrenti come lo Stregatto, gli Incontri Internazionali, Aree Disagiate ... ). Poi potevano verificarsi manifestazioni eccezionali per le quali venivano erogati altri fondi. Infine gli incassi dell'attività ordinaria (gli introiti dei quattro teatri gestiti) figuravano in bilancio come entrate di cassa e non di competenza, per cui il bilancio risultava alterato in positivo. Comunque, al di là di fatti amministrativi e contabili, era proprio una "filosofia" di gestione altra, in cui la certezza di copertura del deficit consentiva assunzioni di impegni anche in corso d'opera. Questo per fare chiarezza su due punti: primo, l'Ente non fa, né spende più di quanto spendesse prima; secondo, il personale dell'Ente, duecentodiciassette dipendenti, è lo stesso da prima di questa gestione e rappresenta un patrimonio di esperienza e professionalità indiscutibile. È stato awiato, ma prima di ogni polemica, un processo di ottimizzazione. La differenza tra il prima e l'oggi è macroscopica: si è passato da una gestione parastatale a quella di ente di diritto privato a finalità pubblica e la responsabilità di gestione non significa solo far quadrare i conti ma anche assunzione di progetti e modalità innovative nella gestione del patrimonio affidato. Patrimonio particolarissimo, perché fondato su un valore, quello culturale, in subitanea trasformazione: se l'Eti dovesse essere paragonato ad altro organismo mi sembrerebbe più idoneo compararlo al Cnr o all'Enea piuttosto che a un ente di distribuzione di risorse e servizi. Non ritengo possibile misurare l'efficacia dell'ente nel momento della sua trasformazione e adottando parametri che, forse, funzionano per un'industria, ma sono estranei ad una istituzione teatrale. Così per le risorse: sino a ieri sono state per lo più statali. Oggi lo Stato propone che la cultura sia sostenuta attraverso il principio di sussidiarietà e concorso; in questo senso abbiamo fatto proposte, su progetto, a regioni e comuni affinché l'attività dell'Ente non sia costretta a segnare il passo. Molto del futuro dell'Eti si gioca su le scelte culturali che il Paese sta intraprendendo: da una parte il Ministero e le Regioni come parte in causa di gran parte dell'attività teatrale: se intendono riconoscere all'Eti quel ruolo, che sinceramente credo gli spetti, di sede della concertazione per una nuova e propositiva stagione del teatro e dello spettacolo italiano, la fisionomia dell'ente verrà improntata di conseguenza. Dall'altra, se gli operatori teatrali credono di poter condurre con strumenti propri e rappresentativi un confronto unitario e nazionale con i diversi governi della cultura - Ministero, Regioni, ma anche Comunità europea -, può darsi che il ruolo dell'Eti si traduca a un compito di studio e monitoraggio del settore, ma questo sinceramente non me lo auguro. HY - In concreto: a) è confermato il "no" dell'Eti alla dismissione della Pergola di Firenze e del Valle di Roma? b) com'è risolvibile il problema degli esuberi di personale? c) in che modo si può evitare che le aree teatralmente depresse del Sud restino emarginate dopo il mancato finanziamento ministeriale del progetto relativo? d) ritiene possibile migliorare un sistema distributivo ingessato come quello italiano avviando un dialogo, ad esempio, fra l'Eti e gli Stabili? e) crede utile e fattibile, più in particolare, la stesura di un progetto distributivo fra Teatri Stabili di innovazione e i gruppi di ricerca? G. - Lo specifico delle domande meriterebbe un'attenzione più ampia, comunque per perentorietà: a) L'attuale direzione dell'Eti non ha mai intrapreso alcunché finalizzato alla dismissione dei suoi teatri, in poche parole non ci ha pensato, non ci pensa e ritiene il patrimonio dell'Ente inalienabile. Se enti locali vogliono esternare il loro interesse a partecipare e contribuire a questi teatri cittadini, che lo facciano attraverso proposte e incontri e non per mezzo di giornali con notizie che allarmano il personale. Comunque, nessun ente locale ha avanzato proposte. b) L'esubero di personale dei teatri non si può affrontare come in fabbrica: si stanno valutando due proposte, una riferita alla mobilità e l'altra all'incremento delle attività. D'altro canto si sta lavorando anche per una riqualificazione professionale, per destinare il personale ad altre e nuove attività a cui l'Ente è chiamato. Non sono in atto iniziative che prevedano l'allontanamento o il licenziamento del personale. c) L'interesse e le rassicurazioni ricevute da parte del ministro sulla questione delle aree depresse induce a pensare positivamente sulla soluzione di questo problema fondamentale. D'altro canto ci stiamo impegnando per far sì che la questione non si riproponga la stagione prossima, soprattutto per consentire agli operatori di programmare gli interventi. d) La questione della trasformazione del sistema distributivo teatrale è sicuramente una scadenza importante per rilanciare il teatro e per garantire la giusta visibilità alla drammaturgia contemporanea e al teatro d'innovazione. Già nei criteri concordati tra l'Ente e i circuiti figura come requisito prioritario la presenza di una quota dedicata sia all'innovazione sia alla produzione coreografica, altro settore in enorme difficoltà. Il dialogo con gli stabili non credo si possa ancora aprire: c'è da aspettare una nuova legge quadro, nuovi regolamenti successivi alla definizione delle implicazioni dovuta all'articolo 117 del Titolo V della Costituzione. I teatri stabili pubblici e privati andranno sotto la giurisdizione nazionale centralizzata o saranno di competenza regionale? •

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BANDO DI l Premi.o al la Vocazione per giovani. attori., gi.unto con crescente successo alla sesta edi.zi.one, si. svolgerà i. l 17, 18 e 19 giugno 2004 a Mi.lana. Il Premi.o è desti.nato a giovani. attori. entro i. 30 anni., allievi. o diplomati. presso scuole di. teatro ma anche autodidatti., che dovranno affrontare un'audi.zi.one di. fronte a una giuri.a altamente quali.fi.cata composta da di.rettori. di. Tèatri. Stabili., pubblici. e privati., e registi.. Il Premi.o consiste i.n due borse di. studi.o da€ 1550 ciascuna per i. vi.nei.tori. del concorso (una per la sezione maschi.le e una per quella femmi.ni.le) e i.n una borsa di. studi.o di. perfezionamento i.nti.tolata a Gi.anni. Agus. Anche quest'anno i. l concorso avverrà i.n due fasi.: una prese lezione riservata a gi.ovani. aspiranti. attori. autodidatti. o comunque sprovvisti. di. diploma di. una scuola i.sti. tuzi.onale di. reci. tazi.one; e una selezione fi.nale per chi. frequenta o si. è diplomato i.n accademie o scuole i.sti.tuzi.onali..

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IL BANDO PER LA PRE-SELEZIONE (fi.ne maggi.o 2004, Mi.lano) Le pre-selezi.oni., riservate a gi.ovani. aspiranti. attori. che, pur sprovvisti. di. di.ploma di. accademie o di. scuole di. teatro i.sti.tuzi.onali., ritengano di. essere i.n possesso di. requi.si. ti. tal i. da gi.usti. fi.care una loro audi.zi.one, avranno luogo nel mese di. maggi.o a Mi.lana. Le domande di. i.scri.zi.one alla pre-selezi.one del Premi.o alla Vocazione devono pervenire alla di.rezi.one di. Hystrio (vi.a Olona 17, 20123 Mi.lana, tel. 02.400.73.256, fax 02.45.409.483, hystri.o@fastwebnet.i.t) entro il 15 maggio 2004 corredate della seguente documentazione: a) un breve curriculum, b) una foto, e) la fotocopi.a di. un documento d'i.denti.tà, d) i.ndi.cazi.one di. titolo e autore dei. due brani. (uno a scelta del candi.dato e uno a scelta fra una rosa proposta dalla Giuri.a) e di. una paesi.a o canzone da presentare all'audi.zi.one. I brani., della durata massi.ma di. di.eci. mi.nuti. e ridotti. a monologo, possono essere i.n li.ngua i.tali.ano o i.n uno dei. di.aletti. di. tradi.zi.one teatrale. I candi.dati. che supereranno la pre-selezi.one parteciperanno alla selezione fi.nale organizzata per i.l mese di. gi.ugno, sempre a Mi.lana. L'ultimo anno di. nascita considerato vali.do per l'ammi.ssi.one al concorso è i.l 1974. La quota d'i.scri.zi.one è di.€ 15 per spese di. segreteria (da versarsi. i.l gi.orno dell'audi.zi.one).

IL BANDO PER LA SELEZIONE FINALE (17-18-19 gi.ugno 2004, Mi.lano) La selezione fi.nale, riservata a gi.ovani. di.plomandi. o diplomati. di. accademie e scuole isti.tuzi.onali. di. reci.tazi.one, avranno luogo dal 17 al 19 giugno a Mi.lana. Le domande di. i.scri.zi.one alla selezione fi.nale del Premi.o alla Vocazione, inoltrate dalle scuole o dai. singoli. allievi. o ex allievi., devono pervenire alla di.rezi.one di. Hystrio (vi.a Olona 17, 20123 Mi.lana, tel. 02.400.73.256, fax 02.02.45.409.483, hystri.o@fastwebnet.i.t) entro il 6 giugno 2004 corredate della seguente documentazione: a) un breve curri.cu-


CONCORSO lum, b) una foto, c) l'attestazione di frequenza o il certificato di diploma della scuola, d) la fotocopia di un documento d'identità, e) indicazione di titolo e autore dei due brani (uno a scelta del candidato e uno a scelta fra una rosa proposta dalla Giuria) e di una poesia o canzone da presentare all'audizione. I brani, del la durata massima di dieci minuti e ridotti a monologo, possono essere in lingua italiana o in uno dei dialetti di tradizione teatrale. L'ultimo anno di nascita considerato valido per l'ammissione al concorso è i 1 1974. La quota d'iscrizione è di € 15 per spese di segreteria (da versarsi il giorno dell'audizione). •

TESTI SCELTI DALLA GIURIA RUOLI FEMMINILI * monologo di Medea sulla condizione delle donne, 1° episodio, da Medea di Euripide * un monologo qualsiasi dei testi di Aristofane e di Plauto * monologo di Lady Macbeth da Macbeth di Shakespeare * monologhi di Giulietta "La maschera della notte mi nasconde il viso ... " o "Correte veloci, cavalli ... " da Romeo e Giulietta di Shakespeare * primo monologo della balia da Romeo e Giulietta di Shakespeare * un monologo da uno qualsiasi dei testi di Molière * monologo di Mirandolina, atto I, scena 9, da La locandiera di Carlo Goldoni * da Pentesilea di Heinrich von Kleist (monologo a scelta) * da Medea di Corrado Alvaro (monologo a scelta) * da Erodiade di Testori (monologo a scelta) * da Giorni Felici di Samuel Beckett (monologo a scelta) * da La morte della Pizia di Friedrich Durrenmatt (monologo a scelta) * ultimo monologo di Rosaura da Calderon di Pier Paolo Pasolini * monologo iniziale della Marchesa in Quartett di Heiner Muller * da Mi riunisco in assemblea e Arriva la rivoluzione e non ho niente da mettermi di Umberto Simonetta (un monologo a scelta) * da Decadenze di Steven Berkoff (monologo a scelta) * monologo di Léo dalla scena VI di Lotta di negro contro cani di Bernard-Marie Koltès * da Le cognate di Michel Tremblay (monologo a scelta) * da Le Confessioni (Hystrio n. 3/1993): La pescivendola di Roberto Cavosi

RUOLI MASCHILI * monologo del secondo Messaggero o primo monologo di Penteo nelle Baccanti di Euripide

* un monologo a scelta dai testi di Aristofane e di Plauto * monologo di Amleto "Se questa troppo troppo solida carne", atto I, scena II, da Amleto di Shakespeare * monologo di Edmund "Natura, tu sei la mia Dea" da Re Leardi Shakespeare * monologo finale di Romeo prima di awelenarsi da Romeo e Giulietta di Shakespeare * monologo di Mercuzio "La regina Mab" da Romeo e Giulietta di Shakespeare * monologo a scelta dalle commedie brillanti di Shakespeare (Molto rumore per nulla, La dodicesima notte, Sogno di una notte di mezza estate) * monologo di Trofimov nel Giardino dei ciliegi di Anton Cechov, finale secondo atto (con Anja) o sottofinale secondo atto (con Gaiev, Lopachin, Liuba, etc.) * Il tabacco fa male di Anton Checov * da Cyrano di Edmond Rostand (monologo a scelta) * da L'uomo dal fiore in bocca di Luigi Pirandello (monologo a scelta) * monologo di Moritz in Risveglio di primavera di Franz Wedekind * da Filottete di Heiner Muller (monologo a scelta) * monologo "L'Uomo nell'ascensore" da La missione di Heiner Muller * un monologo a scelta di Salieri dall'Amadeus di Peter Shaffer * da In Exitu di Giovanni Testori (monologo a scelta) * da Top Dogs di Urs Widmer (monologo a scelta) * da Le Confessioni (Hystrio n. 3/1993): Una svista di Aldo Nicolaj, La Porcilaia di Ugo Chiti; L'imperfezionista di Manlio Santanelli (un monologo a scelta)


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Il giovane autore- di Cristina Ventrucci attore palermitano utilizza dialetto, tecnica del cunto, ricordi personali e generazioè un'immagine che bisogna "vedere": Davide a San Siro in nali per raccontare, mezzo al vuoto ridondante del campo da gioco; a un certo nei suoi spettacoli, I' epunto, con uno scatto fulmineo quell'omino solo dà corpo a una partita contro i fantasmi: un eroe della fantasia, un visiopica del calcio (Italianario a cavallo della realtà. Risultato: · 150 a O per lui. Brasile 3 a 2), la guerra Stiamo parlando di un attore, di un autore, di un costruttore di immagini, oltre che di un giocatore. Davide Enia è un giovane artista teatrale siciliano, anzi palermivista con gli occhi dei tano, anzi "cuore rosanero", se così si definiscono i tifosi sfegatati della squadra di calcio del Palermo. È una figura d'artista che richiede di essere presentata nella bambini (Maggio'43) cornice di uno Stadio, perché è a questo sport che si legano profondamente la sua persona, la sua indole, il suo talento, e al calcio si deve anche il suo felice e recene violenti rituali famite exploit nel teatro italiano. « ... al novantesimo minuto Eder sta per calciare un liari (Scanna) tiro d'angolo per il Brasile. Il giocatore brasiliano dispone il pallone, poi sposta i

e'

cartelloni pubblicitari per prendere 'na rincorsa cchiù potente, corre e colpisce la


N A palla di esterno sinistro, parabola a rientrare, si crea un mischia all'altezza del dischetto del rigore, montagna di carne umana che salta tutta 'nsemula ... il pallone vola verso il galle, beffardo e sicuro, e Zoff si guarda attorno, attonito ed impotente. Nel caos incòccia lo sguardo di Paolo Rossi. È 'na taliàta breve, ma intesa assai. "Dinuzzu -ci fa Pablito- io di galle nni fici tri, e c'ham'a fàri? Pi farne un àutru un ci nnè tìempu! Chi ffa? Ti jècchi e u pari 'stu palluni, oppure hav'a continuàri a tampasiàrtela?"». Italia Brasile 3 a 2 è lo spettacolo che ha fatto conoscere al teatro il suo temperamento immaginifico. L'evento reale cui lo spettacolo si rifà è la partita di calcio Italia Brasile giocata ai quarti di finale dei mondiali di Spagna 1982; lo storico match, finito con un'impensabile vittoria dell'Italia, rivela al giovane autore la traccia di un mito contemporaneo. L'Italia è sì per noi la squadra di casa, ma sembra assurgere in quel contesto - data la sua condizione di grande sfavorita di fronte a un Brasile superdotato, date le circostanze che la vedevano screditata, e dato infine il glorioso risultato - a protagonista di una riscossa dal nerbo epico e dal valore universale.

Un pupo nel pallone

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I ERI

DAVIDE ENIA è nato a Palermo nel 1974. Dopo un percorso di studi in materie letterarie, approfondisce la pratica teatrale con Danio Manfredini e Rena Mirecka, lavora sulla danza con Franco Reffo e Paolo Baccarani della compagnia di teatrodanza Corte Sconta, sviluppa il canto armonico con Tapa Sudana e la drammaturgia con Laura Curino. Tra i suoi primi lavori ricordiamo Studio per 2 petali di rosa (1998) - un dittico composto da Orfeo ed Euridice e Cola Pesce, leggenda popolare sicula - e Il Calciatore. Studio sulla giovinezza in endecasillabi (1999) da lui diretti e interpretati. In seguito, con Malangelità, Enia è finalista al Premio Scenario 2000-2001. Collabora con la còmpagnia Sud Costa Occidentale per la quale ha scritto Il filo di Penelope - testo che ha vinto il primo premio al concorso "Terre d'Arance" di Lentini - e il piccolo studio Una stanza con nessuno dentro (2002). Italia-Brasile 3 a 2 (accanto a lui, nelle diverse edizioni, si alternano i musicisti Settimo e Riccardo Serradifalco, Salvatore Compagno e Giulio Barocchieri) è lo spettacolo che lo ha portato alla ribalta dopo l'emozionante debutto, nel maggio 2002, allo stadio San Siro-Giuseppe Meazza di Milano per la rassegna "Teatri dello Sport". Il suo ultimo lavoro è Maggio '43, presentato in forma di studio la scorsa estate e ora giunto a compimento. Il tragico Scanna gli è va/so, nel settembre 2003, il Premio Pier Vittorio Tondelli al Premio Riccione per il Teatro, mentre Schegge, lo studio per maggio '43, ha ottenuto il premio come miglior spettacolo alla terza edizione del Festival Internazionale di Teatro ''Teatrul Unui Actor" a Chisinau (Repubblica Moldova). È infine del dicembre 2003 il Premio Speciale Ubu «per la nascita di un nuovo cantastorie, dimostrata dalla sua attenta ricerca sulla memoria, sulla lingua, sulla tradizione del cunto di Palermo». Enia ha lavorato anche per la televisione partecipando come narratore alla trasmissione di Rai 3 La storia siamo noi e ha recentemente fondato con i suoi collaboratori l'Associazione Santo Rocco e Garrincha, dedicata al santo protettore di viaggiatori e appestati e al calciatore brasiliano la cui vita somiglia a una struggente poesia. C.V.

Enia ricorre allo sguardo del bambino che egli era all'epoca per guardare i volti di quei protagonisti che saranno presto eroi, dunque scava nei ricordi personali e generazionali, e ricorre poi al dialetto della sua famiglia e al costume del tempo, oltre che al ritmo circolare del cunto, per fare del racconto di una partita di calcio uno spazio in cui immaginare, vedere, sentire ciò che non c'è, ciò che per sempre ci sarà, per fare di quel racconto l'immagine di uno stadio vuoto in cui si svolge una partita, sia essa vera o finta poco importa. La parola più concreta diventa nel racconto di Davide Enia lo strumento per dipingere il più evanescente dei ricordi, o per costruire il ricordo a chi non ce l'ha e farne un patrimonio collettivo che abiterà così anche l'immaginario delle generazioni successive a quella cui appartiene l'evento reale. Forse per superficialità, o inquietante necessità umana alla catalogazione, si tende ad archiviare il lavoro di Enia, come già quello di Ascanio Celestini, nel cassetto della cosiddetta "narrazione", col rischio di sminuire la complessità della sua operazione teatrale a tutto tondo, tra voce, corpo e parola. Enia racconta, sì, non fa che raccontare, anche a tavola dopo lo spettacolo, anche al telefono mentre è in viaggio tra un teatro e l'altro, anche sul suo sito internet (www.davideenia.org) dove accoglie pure certi altri racconti. È un attore e autore siciliano che ha assunto la memoria del cunto e dei paladini, un pupo in carne e ossa che non si

accascia mai. Ma la condizione generatrice di quel suo musicale raccontare sembra essere la visione. Vedere e rivedere, far sprigionare dal più piccolo dei particolari il senso di un istante doloroso, guardare il gesto al rallenty, con zoomate su ciò che la vita reale non permette di afferrare. E poi costruire su questa pratica e su una partitura dal ritmo atavico il più moderno degli eventi, niente più che una partita di calcio, niente meno che un'epica contemporanea. La partita a San Siro invece, di cui si diceva all'inizio, è quella che Davide Enia pare aver giocato tra sé e sé in occasione della sua permanenza nello Stadio monumentale nel 2002 quando la manifestazione milanese "Teatri dello Sport" lo invitò con Italia-Brasile 3 a 2. Lo spettacolo debuttò negli spogliatoi e da allora Enia continua a vincere nei teatri, ma la vittoria incontenibile di cui egli va personalmente fiero, già poesia nonché leggenda metropolitana, è quell'immaginaria partita, . che egli volle figurarsi prima di andare in scena, in nome dell'amato Palermo rosanero contro la fantomatica e capitalistica e nordica megasquadra "Milaninter": come Davide e Golia.

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Davide va alla guerra Le prime volte che si è sentito parlare di lui, il suo nome veniva affiancato a quello di Emma Dante in occasione del Premio Scenario 2001. Entrambi finalisti (vinse poi il premio solo la

STAGE DI DRAMMATURGIA

Dieci giorni di lezioni, workshop, laboratori, in una struttura ampia e suggestiva, con spazio teatrale attrezzato, biblioteca tematica , sala proiezione, postazioni informatiche e quattro attori sempre a disposizione. Quattro serate di spettacoli e letture sceniche, vitto e alloggio, mare a venti minuti e per tutti i partecipanti un sito personale, promozione dei lavori e abbonamento ad Hystrio

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GROTTAGLIE, 2004 30 Luglio/8 Agosto

Dante), entrambi siciliani, il caso bastò perché si parlasse di un"'ondata siciliana", ma a dispetto delle banalizzazioni cui i meccanismi mediatici sottopongono la bellezza delle cose, l'orizzonte che i due giovani artisti portavano al teatro era sì corale, ma piuttosto legato all'arsura, alle parole non dette, a un'esistenza spigolosa, altro che l'immagine di un'ondata. Enia, che forse ancora non aveva trovato il giusto accordo tra il mito e la quotidianità, fra la tradizione e l'oggi, presentava Malangelità, uno spettacolo realizzato con altri due attori (Enzo Di Michele e Giacomo Guarneri) a partire dall'idea degli angeli e dalla visceralità della terra siciliana, affondo nella miseria e nella gloria di un mondo sconvolto dalla guerra che Enia definiva un"'immersione nella mezzogiornità" e che però non risultò del tutto riuscito. Ma è ancora la guerra, con il suo significato reale e con quello simbolico a dominare l'ispirazione di Davide Enia quando scrive Maggio '43 e Scanna, i suoi lavori più recenti. Se il primo è una nuova opera solitaria, compatta e ricchissima di spessore drammaturgico, in cui Enia (unicamente accompagnato dal violoncello di Giulio Barocchieri, uno dei musicisti con cui collabora, l'altro è Salvatore Compagno) ancora una volta si fa bambino per raccontare i bombardamenti a Palermo nella seconda guerra mondiale - le macerie, il mercato nero, il cinismo, la lotta per la sopravvivenza, e ancora una volta ne risulta l'affresco di un passato assai presente - l'altro invece lo vede staccarsi con maggiore evidenza dal sentiero della narrazione, perché ciò che Davide Enia ha composto in occasione del Premio Riccione per il Teatro è un copione fatto di tragedia, di molti personaggi, di sirene d'allarme, lavoro che gli è valso gli onori e il giudizio unanime del Premio Tondelli. Tra citazioni bibliche e attese beckettiane, in Scanna si consuma in un rifugio antiaereo la saga claustrofobica e scannatoria di una famiglia palermitana assediata dalla violenza. Senza mai dimenticare la potenza della leggerezza, senza mai snaturare uno sguardo insieme candido e impietoso, filtrando ogni storia con corpo d'attore e ogni respiro con fantasia acuta, e ponendosi da eterno adolescente in bilico sui precipizi del mondo, Davide Enia si appresta a procurare molto brivido al nostro teatro sempre più ottusamente adulto. •


EXI T

ADDIO A EGIDIO BONFANTE

delle altre pubblicazioni sostenute dall'industriale-mecenate e, dal '70, iniziare una intensa attività come progettista di negozi ed esposizioni Olivetti in Italia e nel mondo; oltre a realizzare centinaia di compagne pubblicitarie, a Londra e a New York, a Parigi e a Pechino e nel Sudamerica. Gli ultimi anni, rasserenati dall'affetto della sua compagna, Rosy, e delle figlie Paola, designer, Valeria, oncologa, e Francesca, docente al Politecnico, sono stati un ritorno appassionato alla pittura. Preceduti dal tempo lungo in cui curò, con competenza ed eleganza, la veste grafica di Hystrio; ed è nel ricordo della sua preziosa collaborazione che noi l'abbiamo visto entrare nel regno delle ombre col passo leggero di quel vecchio fanciullo che, per quanti gli hanno voluto bene, lui è sempre stato. Ugo Ronfani

il pri mo grafico di Hys trio

el febbraio scorso, dopo una tribolata degenza ospedaliera, è deceduto a 82 annf a Milano Egidio Bonfante. Pittore, architetto, grafico e pubblicista, figura storica di "Comunità" di Adriano Olivetti, è stato testimone e protagonista dell'arte del Novecento, non solo a Milano, dove si era trasferito dalla natìa Treviso dopo la giovinezza trascorsa a Novara, e dopo avere concluso la sua operosa e poliedrica attività alla Olivetti di Ivrea. Hystrio ha una ragione in più per unirsi al cordoglio della cultura e dell'arte per questa scomparsa. Egidio Bonfante, infatti, è stato per anni, dall'origine della nostra rivista e per il tempo in cui l'editore di riferimento fu Ricordi, l'ideatore e l'esecutore della grafica di Hystrio. Lo fu per due ragioni. La prima, l'amicizia: quando chi scrive ebbe l'idea, ingenua e temeraria insieme, di fondare un periodico di riflessione e di approfondimento della cultura e del lavoro teatrali, volle riannodare un'amicizia risalente alla giovinezza. E la seconda ragione per cui Egidio accettò di correre l'avventura di Hystrio, fu il suo amore per il Teatro: studente di architettura, aveva fondato e diretto negli anni di guerra Posizione, mensile frondista del Guf che pubblicò i primi scritti di Strehler e Grassi, e che degli stessi curò la prima regia in assoluto di Pirandello e Joppolo a Novara. Poi, già nel '48, grazie alla fama di enfant prodige conquistatasi con le prime mostre, realizzò la scena e i costumi per L'incoronazione di Poppea di Monteverdi alla Fenice di Venezia. Città, Venezia, che amò sopra le altre, dove lo condussero l'amicizia con De Pisis e Comisso, la passione per la grande pittura veneta, il suo successivo lavoro di programmatore di padiglioni ed eventi per la Olivetti; e che fu al centro di successive stagioni della sua pittura, quella fauve con le vedute di Burano, e quella costruttivista, con composizioni a mosaico anche realizzate con le capsule colorate di metallo delle bottiglie, che diedero sfogo al suo estro architettonico di fronte al monumenti della città lagunare. Bonfante fu tra i firmatari, nel '46, del Manifesto del Realismo (ma nel suo caso si sarebbe poi parlato di iper o post-realismo), che nel '46 determinò il risveglio delle arti figurative nella Milano ancora segnata dalle ferite della guerra: manifesto firmato fra gli altri da Giuseppe Aimone, Rinaldo Bergolli, Gianni Dova, Renato Guttuso, Ennio Morlotti, Cesare Peverelli, Giovanni Testori, Emilio Vedova. Sempre a quell'epoca, diresse con Alberto Cavallari, futuro direttore del Corriere della Sera, il mensile di arte e letteratura Numero. Mentre collezionava mostre e premi di pittura, il giovane Bonfante era inesauribile come operatore culturale, assiduo della rivista Domus, delle gallerie d'arte in di Milano; amico e sodale di Music, Fabbri, Birolli, Pomodoro, Tadini, Bartolini, Soffici, Treccani, Baj e, fra i lettedel dopoguerra, rati che animavano la vita culturale Quasimodo e Ungaretti, Strehler e Bigiaretti, Soavi e Zorzi. Finchè, dopo un incontro a Saint-Vincent dove esponeva, fu da Adriano Olivetti invitato a far parte della sua piccola "corte" di intellettuali raccolti intorno alla rivista Comunità di Ivrea, rivista di cui Bonfante studiò la veste grafica, per poi occuparsi

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Alessandra Galante Garrone pedagoga innovativa n' attività pedagogica lunghissima e appassionata, una folla di allievi, negli anni, alimentata da aspiranti creatori, non meri interpreti, perché Alessandra Galante Garrone si proponeva di formare personalità artistiche autonome, in grado di trovare la propria via d'espressione unica e coerente. La Garrone aveva studiato Lingua e letteratura francese a Grenoble, quindi, durante gli anni caldi e avvincenti d'Oltralpe, si era trasferita a Parigi per frequentare l'École de mime et de théàtre di Jacques Lecoq. La vocazione pedagogica non tardò a farsi avanti e, da allieva, Lecoq la volle poi sua assistente e diretta collaboratrice. Rientrata in Italia lavorò come attrice, cantante, danzatrice e coreografa in teatri di prosa e d'opera legandosi, in particolare, alla Cooperativa Teatrale Nuova Scena. Intanto, veniva richiesta da scuole di teatro, Teatri Stabili e Università per tenere seminari su quelle discipline a cui il nostro Paese era ancora poco avvezzo: tecniche di movimento, improvvisazione, uso delle maschere. Nel '76, in collaborazione con il Comune e la Provincia di Bologna, fondò la Scuola di Teatro di Bologna con una proposta formativa alternativa rispetto alle accademie; al centro il lavoro sul corpo, l'acrobatica, la clownerie. Per l'inaugurazione Lecoq tenne un seminario sulla Commedia dell'Arte. Con Lecoq, la Garrone intraprese quindi una lunga tournée, dall"82 al '93, con Tout bouge presentato in Italia e ali' estero. Come docenti della scuola si sono alternati Pierre Byland, Walter Pagliaro, Nanni Garella, Lorenzo Salveti, Guido De Monticelli, Jerzy Stuhr, Piero Maccarinelli, Otello Sarzi e perfino Copi per il fumetto. Lo scorso gennaio Alessandra Galante Garrone aveva ottenuto la conduzione del Teatro San Leonardo, lo spazio che gestiva Leo De Berardinis. La Garrone si era messa subito al lavoro per stendere un cartellone rivolto ai giovani; ma purtroppo il cancro non gliel'ha permesso, fermando la sua vita a soli 59 anni. A. C.

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ome in tutte le altre scuole che abbiamo visitato nelle precedenti tappe di questo nostro percorso, al celebre Actors Studio di New York, fondato da Lee Strasberg, dove si è formata una generazione straordinaria di attori di cinema e di teatro, e alle due accademie di Pechino, l'una di teatro e l'altra di cinema, imprescindibile punto di riferimento appare Konstantin Stanislavskij. Per ragioni, in questo caso, diverse. L'incontro di Strasberg con il maestro russo, ancora in vita, awenne durante la celebre tournée americana del Teatro d'Arte di Mosca nel 1923, e proseguì, attraverso due suoi allievi che si fermarono negli Stati Uniti e fondarono una scuola. Il nome di Stanislavskij è paragonato a quello di Einstein e Freud, per la forza dirompente delle sue indagini: «oggi dobbiamo le nostre conoscenze del mestiere dell'attore alle scoperte che fece un secolo fa». Mentre in Cina, l'insegnamento stanislavskiano fu imposto come "sistema" all 'inizio degli anni '50, quando nacquero le prime scuole su modello occidentale e "sovietico". Anche se, poi, la via cinese al teatro contemporaneo, il regista e pedagogo Huang Zuolin la troverà in una sintesi delle riflessioni di Stanislavskij, Brecht e del grande attore Mei Lanfang. r.a.

scuole teatrof Stati Uniti e Cina


ritratto di Lee St rasbe rg dai suo1 sc ri tti

Antologi.a con Metodo In principio - Se a quell'epoca qualcuno avesse detto ai miei genitori che sarei divenuto un regista di Broadway, un attore di Hollywood, che avrei diretto scuole di recitazione di fama mondiale, si sarebbero limitati a sorridere stringendosi nelle spalle. Non c'era alcun segno nel mio comportamento, nessun background segreto, nessun parente in quell'ambiente, nessuno stimolo illuminante che potesse far pensare a qualcuno, e tanto meno a me, che sarei stato coinvolto in alcune tra le più importanti innovazioni del recitare e del fare teatro. Per caso o per passione All'inizio degli anni Venti ero giovane e cercavo più che altro un sistema per conoscere persone che condividevano i miei interessi. O, in altre parole, cercavo compagnia femminile.( ... ) A quell'epoca la Settlement House era un fenomeno interessante; offriva a molti ragazzi la possibilità, che non avrebbero avuto altrimenti, di impegnarsi in attività atletiche e culturali. Questo club particolare si sarebbe chiamato Students of Art and Drama, o, abbreviato, S.A.D. ( ... ).Alla fine dello spettacolo, quando Loeb venne in camerino per salutare l'amico, mi guardò come esaminandomi e poi mi chiese tranquillamente: «Ti interessa fare del teatro?» lo risposi del tutto calmo e sincero: «No». Non si strinse nelle spalle né reagì in alcun modo. «Beh, se ti interessasse fatti vivo». Dimenticai subito quell'incontro fino a qualche anno più tardi, quando in effetti mi feci vivo, ma questo naturalmente è l'inizio di un'altra storia.

Titani della scena -

Ero fortunato, cominciai ad andare al teatro di Broadway in un periodo in cui la recitazione era considerata ancora in un'età d'oro. Vidi al lavoro Eleonora Duse, Giovanni Grasso, Laurette Taylor, e altri grandi interpreti. ( .. .) La comparsa di Eleonora Duse a Broadway fu un grande momento storico per me e molti altri. Sulla base di esperienze precedenti, avevo imparato in qualche modo a riconoscere la grande recitazione. Ora, ero preparato a vedere quella che era considerata l'attrice più straordinaria dell'epoca. La donna del mare di lbsen fu la prima interpretazione della Duse negli anni Venti a New York. ( ... ) Ciò che vidi era qualcosa di inconsueto: una presenza, la sensazione di qualcosa che aweniva davanti ai miei occhi che subito fuggiva nella sua presentazione ma che era cristallizzata nella mia consapevolezza. Come un sapore che ti rimane in bocca.( ... ) La Duse mi aveva dimostrato che la recitazione non è soltanto scoppi emotivi o la presentazione della profondità dell'emozione. In lei ho colto una consapevolezza attimo per attimo della vita del personaggio. La Duse aveva la straordinaria capacità di stare semplicemente seduta sul palcosce-

nico e di creare una persona che pensa e che sente, senza quella particolare intensità che normalmente caratterizza il comportanemto emotivo.

E del pensiero -

Nei libri sul teatro scoprivo un mondo interamente nuovo. ( ... ) È stata fatta una gran confusione sul significato dell'opera di Craig. Le sue scenografie cercavano di catturare la vita emotiva stessa della rappresentazione e di esprimere quella vita in forme astratte. Molti lo ritengono ancor oggi un visionario poco pratico che mise in parole ciò che non poteva realizzare sulla scena. ( ... ) Craig si occupò anche del problema della recitazione. La sua concezione dell'attore è stata ed è tuttora fraintesa. ( ... ) Craig non voleva sostituire l'attore con una supermarionetta. Questo esempio doveva solo ricordare all'attore che il suo fine era possedere la precisione e l'abilità di una marionetta. In altre parole, recitare dovrebbe essere un'arte. Ho sempre pensato che avesse ragione. ( ...) Facendomi aprire gli occhi su ciò che il teatro avrebbe potuto e avrebbe dovuto essere, l'opera di Craig diede una salda base al mio proposito di divenire un professionista del teatro.

Il Teatro d'Arte di Mosca - 11 passo decisivo nella mia ricerca di una soluzione al problema dell'attore fu la scoperta tra il 1923 e il 1924 del Teatro d'Arte di Mosca. ( ... ) Laddove la tipica rappresentazione americana era costruita intorno a una singola "star", il teatro d'Arte di Mosca utilizzava tre, quattro o spesso un numero maggiore di attori eccellenti nella stessa rappresentazione. ( ... ) Mi sembrava chiaro che non assistevamo solo a una grande recitazione ma a qualcosa che comprendeva un approccio alla recitazione che avrebbe potuto offrire le risposte ai problemi di cu i ero divenuto consapevole. ( ... ) I drammi di Cechov nell'allestimento del Teatro d'Arte di Mosca erano tra le realizzazioni più complete dell'espressione teatrale. ( ... ) Vedo ancora Stanislavskij nei panni del medico in Zio Vanya in piedi al centro del palcoscenico, gli occhi leggermente annebbiati dall'alcool, una musica in sottofondo: Stanislavskij ci suggeriva una danza senza neppure muovere i piedi. ( ... ) Gli insegnamenti di Konstantin Stanislavskij e dei suoi discepoli non hanno cambiato soltanto la mia vita ma anche quella di tutto il teatro del ventesimo secolo. Come la nostra comprensione del comportamento umano e della fisica moderna dipendono dalle scoperte di Freud e di Einstein, così oggi dobbiamo le nostre conoscenze del mestiere dell'attore alle scoperte che Stanislavskij fece un secolo fa . Stanislavskij e i discepoli -

Avevo visto sia Richard Boleslavskij che Maria Uspenskaja recitare con il Teatro d'Arte di Mosca. In realtà avevo visto Boleslavskij sostituire Stanislavskij in un atto unico. Non mi aveva colpito molto come attore, ma sapevo che era stato uno dei primi registi, insieme a Evgenij Vachtangov, dello Studio del Teatro d'Arte di Mosca.( ... ) Ricordo molto bene l'emozione di quei primi giorni al Laboratory Theatre - quasi una rivelazione. Ho un chiaro ricordo delle prime sessioni della scuola,

Il


I NC HI ES T A quando prendevo appunti su ciò che sentivo e pensavo: «Eccoci. Ecco che cosa significa veramente. Ecco di che cosa si tratta». ( ... )Secondo questa scuola la cosa più importante è che non basta vivere una parte per una volta sola e poi rappresentarla molte volte. L'attore deve viverla ogni volta. Oltre ai mezzi tecnici dell'attore (la voce, la declamazione e il suo corpo) l'attenzione è rivolta alla tecnica dei sentimenti, e i sentimenti non sono mai slegati dalla tecnica esteriore; essi vengono usati in tutte le rappresentazioni. ( ... ) Esistono metodi o esercizi concreti concernenti gli aspetti più difficili del lavoro dell'attore, quali la fantasia, l'emozione e l'ispirazione che secondo Boleslavskij sono raggiungibili attraverso la concentrazione e la memoria affettiva. Conobbi queste tecniche nel corso di alcune straordinarie lezioni all'American Laboratory Theatre. ( ... ) Il sistema proposto da Boleslavskij poneva in rilievo la concentrazione e la memoria affettiva. Boleslavskij descriveva il modo in cui queste sono connesse per l'attore: «Ciò che stai facendo sul palcoscenico è la cosa più importante del mondo in quel momento: e la tua memoria ti deve dire come fare». ( ... ) Sia Stanislavskij che il suo grande allievo Vachtangov hanno messo in rilievo il fatto che spesso l'attore non ha sotto controllo la realtà oggettiva. Solo la realtà immaginaria può essere creata e di conseguenza controllata dall'attore. ( ... ) Per far questo, l'addestramento dell'attore doveva cominciare con i cinque sensi ( ... ) più i sensi cinestesici, o motori. ( ... ) Per Boleslavskij lo scopo del training della memoria affettiva non è solo quello di aiutare l'attore a divenire più abile nell'utilizzare gli oggetti di scena che troverà sul palcoscenico ma, sostanzialmente, di addestrare e sviluppare la propria immaginazione; così l'attore sarà in grado di affrontare quella realtà fittizia che è la prima caratteristica del palcoscenico. ( ... ) Ciò che mi è rimasto del Laboratory Theatre, ancor più degli esercizi psicologici o fisici individuali, è l'idea di Boleslavskij di un sistema unitario di addestramento dell'attore. Il training della voce, il rilassamento, il lavoro sul movimento, gli studi di memoria affettiva - tutte queste componenti sono essenziali per l'addestramento dell'attore. Ancor più elettrizzante era il concetto in fieri proposto da Boleslavskij di una sequenza fissa di procedimenti che sarebbero serviti al giovane attore esattamente come le tecniche standard di addestramento servono al giovane musicista una sequenza di esercizi che avrebbe sviluppato sia fisicamente che mentalmente lo stimolo necessario per la creatività dell'attore. ( ... )

La nascita del Metodo - Mi è stato chiesto spesso che rapporto ci sia tra il "Sistema di Stanislavskij" e quello che comunemente viene chiamato "il Metodo". Ho sempre risposto semplicemente che il Metodo si basa sui principi e i procedimenti del Sistema di Stanislavskij. Ho iniziato a usare questi principi all'inizio degli anni Trenta, addestrando e lavorando con giovani attori nel Group Theatre, e successivamente li ho impiegati nelle mie lezioni all'Actors Studio. Tuttavia mi sono

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sempre riferito al nostro lavoro come a un "metodo di lavoro", perché non mi sono mai piaciute le implicazioni del termine sistema. Inoltre, in seguito alle molte discussioni e ai molti malintesi su ciò che "il Sistema" era o non era, con in più la confusione sui diversi periodi del lavoro di Stanislavskij, non volevo che nessuno dei nostri errori fosse attribuito a Stanislavskij. Il mio lavoro può ora essere legittimamente chiamato il Metodo. Esso si basa non soltanto sui procedimenti di Stanislavskij, ma anche sui successivi chiarimenti e stimoli offerti da Vachtangov. Inoltre ho aggiunto la mia interpretazione e i miei procedimenti. Mediante i nostri approfondimenti, analisi, applicazioni e aggiunte, abbiamo notevolmente contribuito al completamento del lavoro di Stanislavskij. ( ... ) Il Metodo è, quindi, la somma dei singoli contributi sul problema dell'attore degli ultimi ottant'anni. Ho una certa responsabilità per questo lavoro e posso parlarne con qualche autorità. La mia parte è stata quella di sviluppare, addestrare e dirigere l'ensemble del Group Theatre. Qui applicammo i procedimenti del Metodo a tutto l'organico. Fin dal 1948, come direttore artistico dell'Actors Studio e nelle mie lezioni private, abbiamo cercato di applicare il lavoro all'attore individuale. ( ... ) Il lavoro su questo argomento svolto sotto la mia direzione al Group Theatre fece intravvedere nuove possibilità che in seguito si sono rivelate un'aggiunta importante ai fondamenti gettati da Stanislavskij e Vachtangov - non solo per quanto riguarda la capacità dell'attore di provare un'esperienza, ma anche rispetto alla sua abilità di esprimere quell'esperienza con vivezza e intensità. ( ... ) Gli anni del group Theatre non sono stati tanto un periodo di scoperta quanto un periodo in cui scoperte già note sono state utilizzate per la prima volta nella realizzazione di effettivi allestimenti professionali. In quel periodo ci preoccupavamo più dell'applicazione pratica che della teoria. Questo era anche un modo per verificare quanto avessimo imparato dal sistema di Stanislavskij così come ci era stato presentato dai nostri insegnanti; era un tentativo di controllare la nostra conoscenza e capacità di usare quei principi per raggiungere i risultati che ci prefiggevamo, senza imitare ciò che Stanislavskij e i suoi altri seguaci avevano già ottenuto.

Controindicazioni e autodifesa -

Quando nel 1948 divenni direttore artistico dell'Actors Studio diventai sempre più consapevole del fatto che un attore poteva provare un'emozione senza riuscire a esprimerla. ( ... ) Il regista francese Jacques Copeau descrisse tale incapacità di trovare i propri "motivi urgenti" come «la battaglia dell'attore col proprio sangue». Questo era il problema che ci proponevamo di risolvere. ( ... ) L'attore poteva battersi col proprio sangue e trovare i motivi urgenti, eppure in qualche modo non essere in grado di esprimerli. Ciò non era stato


SCUOLE di TEATRO ancora riconosciuto in tutta la storia del teatro! ( ... ) Quali che siano le capacità che un essere umano ha alla nascita, è tramite l'addestramento e il condiziona~ento che impara a usarle. ( ... ) Il lavoro con l'attore da me descritto è stato spesso frainteso e ne è nata molta confusione. Alcuni sostengono che questi problemi appartengono più al campo dell'analista, dello psichiatra o del medico. Altri sono arrivati a dire che questo lavoro consiste in analisi da dilettanti o in psichiatria all'acqua di rose. ( ... ) Il fatto è che, poiché ho a che fare con la persona nel suo insieme( ... ) tocco zone di cui ci si occupa anche in altri contesti. ( ... )L'obiettivo dello psicologo quando aiuta il paziente a rilassarsi è quello di eliminare difficoltà e disturbi psichici e emotivi. Nella recitazione non sono interessato a eliminare né le esperienze né le emozioni. La mia intenzione è quella di aiutare ciascun individuo a usare, controllare, dare forma e applicare ciò che possiede al compito della recitazione.( ... ) A volte si accusa il Metodo di creare all'attore problemi che non c'erano mai stati. Problemi e difficoltà sono sempre esistiti, in realtà sono soltanto le loro soluzioni e la scoperta dei sistemi di training a essere moderni. Le scoperte che furono di primaria importanza nel mio lavoro all'Actors Studio e nelle mie lezioni private riguardano l'improwisazione e la memoria affettiva. Con l'uso di queste tecniche l'attore può esprimere le emozioni adatte richieste dal personaggio. ( ... ) Nel lavoro di Stanislavskij owiamente non c'è nessun capitolo dedicato all'improwisazione, ma di fatto gli studi che descrive erano improwisazioni, usate non soltanto nel corso del training ma anche nel processo effettivo dell'allestimento. Anche Vachtangov ha usato gli studi in maniera straordinariamente fantasiosa. ( ... )Alcuni critici del Metodo si chiedono se l'attore possa dawero effettuare una vera e completa identificazione con una parte. Chiedono come sia possibile per l'attore essere il personaggio e credere in ciò che sta facendo, e occuparsi di tutte le altre esigenze del dramma allo stesso tempo. Questo è esattamente ciò che l'attore è capace di fare, e questo è ciò che porta alla seconda fase del lavoro dell'attore, e cioè affrontare più di un esercizio alla volta.

Oltre il Metodo: Artaud, Grotowski, Brecht Gli attori che sono stati addestrati con i procedimenti sopra descritti sono in grado di creare una realtà sulla scena e comunque di aderire alle esigenze della commedia. Sono anche in grado di fare quegli adeguamenti stabiliti dal regista pur mantenendo la verità. Ecco perché Peter Brook, un regista alla continua ricerca di uno stile elevato di allestimento, ha espresso la sua soddisfazione nel lavorare con i cosiddetti attori del Metodo, perché può fare loro le richieste necessarie e loro sono addestrati a eseguirle da soli. ( ... ) Negli anni Sessanta nacquero varie teorie e proposte sperimentali ( ... ) Sono tuttavia i registi Artaud, Grotowski e Brecht, il cui lavoro non realistico sembrò sostituire i risultati di Stanislavskij, quelli che rappresentano l'intenzione del Metodo. ( ... )L'influenza di Antonin Artaud come teorico è ampiamente riconosciuta, ma persino i suoi sostenitori sono consapevoli del fatto che nessuno dei suoi lavori effettivi ha dimostrato l'efficacia delle sue idee. ( ... ) Grotowski non è soltanto un teorico, è anche in grado di mettere in pratica le sue teorie. Il teatro per lui non è stato uno strumento dell'arte, ma sembra essere un sostituto della

vita. Di recente è divenuto più un profeta e sembra promuovere l'anti-teatro. ( ... ) Non possiamo provare altro che rispetto e apprezzamento per la grande disciplina richiesta dal training dell'attore di Grotowski. L'attore viene iniziato a ciò che è equivalente a un ordine religioso o un culto. ( ... )Quando incontrai Grotowski, nel tentativo di chiarire quello che forse non capivo, gli chiesi: «Dove stai andando?» Rispose: «Non lo so». La sua risposta si rivelò come un riflesso profetico del suo stato d'animo. A mio parere, quello che miriamo a esprimere nel teatro resta una ricerca individuale. ( ... )Gli allestimenti di Brecht con il Berliner Ensemble mi sembra rappresentino alcuni dei più notevoli contributi teatrali del periodo post-bellico, non tanto per via delle idee drammatiche dei drammi, ma per via della teatralità e della fantasia superbe dei suoi allestimenti, abbinate a una recitazione semplice, sentita e diretta. ( ... ) Le idee di Brecht mi sembra affrontino la questione di come un attore possa esprimere sé stesso in uno stile teatrale elevato. Benché si creda spesso che il lavoro di Brecht si contrapponga a Stanislavskij e al Metodo, egli applicava molti degli stessi principi di verità e credibilità. ( ... )Brecht disse che l'identificazione dell'attore con il personaggio è qualcosa da evitare. Questo perché Brecht temeva che l'attore, se ha sinceramente esperienza, sia incapace di affrontare gli altri aspetti richiesti dal lavoro sul personaggio e dalle intenzioni della scena. ( ... ) Benché Stanislavskij non usasse mai il termine straniamento, uno dei suoi consigli all'attore era di cercare sempre il contrario: non essere mai soddisfatto della visualizzazione teatrale di un personaggio, ma scoprire gli elementi contrari che aiutano a creare la realtà specifica. ( ... ) li lavoro di Brecht resta per me il più significativo dal punto di vista teatrale dopo Stanislavskij e Vachtangov. ( ... ) Gli allestimenti del Berliner Ensemble, specialmente Il cerchio di gesso del Caucaso, restano tra le cinque o sei notevoli esperienze della mia vita. Ma la teoria del teatro non-aristotelica di Brecht è rappresentata soprattutto nei suoi scritti teatrali, la parte migliore del suo lavoro con gli attori deriva da Stanislavskij e forse usa perfino le tecniche del Metodo.

In apertura, Lee Strasberg durante un seminario di recitazione; nella pag. preoedente, in alto, anoora Strasberg, in basso Harold Clurman e Stella Adler, in questa pag., Sanford Meisner.

Memoria del tempo - La nostra società ha speso così tanto tempo e ha raggiunto risultati così sorprendenti con la scoperta di nuovi processi meccanici di comunicazione, ma abbiamo chissà come dimenticato che il processo di vivere richiede l'abilità di reagire, entrare in contatto e di comunicare la propria esperienza a un altro essere umano. Il problema dell'espressione è stato trattato come un processo puramente meccanico, che implica la voce, il linguaggio, la retorica, piuttosto che un mezzo per condividere il proprio modo individuale di avere esperienza. Soltanto gli artisti sono riusciti a interrompere questo muro vizioso usando la loro sensibilità e le loro capacità particolari nel comunicare le loro esperienze. Tutti gli esseri umani hanno ancor più bisogno di questo, se la vita non deve ridursi a una "recita di ruoli", che molti psicologi e persino gente di teatro, considerano un modo di vivere. A cura di I. C. (Brani tratti da Lee Strasberg, Il sogno di una passione. Lo sviluppo del metodo, Milano, Ubulibri, 1990)

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Actors Studi.o

Uno Studi.o chi.amato desi.deri.o di Ivan Groznij Canu na chiesa presbiteriana in mattoni, nell'impero dei sensi e dei segni che Disney e Virgin hanno esteso su Times Square, è la facciata non forse così improbabiUn mito contemporale dell'Actors Studio, sin dal 1955, come si legge dall'insegna bianca e blu all'inneo, la più famosa scuogresso. Un vezzo di snobismo molto newyorchese, magari. A guardare l'interno, modesto e liso, come i vecchi manila per attori del mondo, festi teatrali alle pareti e le foto di Al Pacino, Marilyn per vent'anni ha impo- Monroe o di Marlon Brando diretto da Kazan, non si sto il Metodo come stile direbbe il tempio più rivoluzionario dello spettacolo americano, che ha formato le generazioni più luminose di recitazione e di vita e disperate dello star system di Broadway e di delle stars di Broadway Hollywood, prima che la crisi degli Studios e del new cinema d~gli anni Settanta prima, e il sorgere del nuovo e di Hollywood imperialismo americano poi, ne appannassero la stella. In questi luoghi, Lee Strasberg ha approfondito gli studi e le sperimentazioni sulla recitazione "naturalistica" ed "emozionale" di Stanislavskij, basando il suo approccio pedagogico sulla natura stessa della scena americana (nella quale aveva militato lui pure sin dagli anni Venti) e in special modo intuendo la portata rivoluzionaria dello sviluppo dell'industria del cinema.

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Il gruppo, la comunità e la pedagogia dell'attore Strasberg può essere considerato il propugnatore di una riflessione consapevole e critica sull'icona dell'attore contemporaneo, lui che aveva conosciuto la stagione d'oro del Grande Attore e l'alba, via via sempre più trionfante, del regista. A lui forse si deve la nascita dell'istruttore come profeta, guaritore, pedagogo e torturatore e il non invidiabile primato d'aver formato generazioni di artisti nevrotici e genialmente autodistruttivi. La sua parabola artistica si può dire inizi negli anni '30, all'ombra dell'utopismo comunitario che tanta parte della cultura radicale americana ha formato, da Thoreau a Emerson a Hawthorne, fino all'esplosione del Living Theatre, dell'Open Theatre e del Bread and Puppet. Il Group Theatre, che Strasberg fondò insieme a Harold Clurman e a Cheryl Crawford, continuava proprio la sperimentazione, in una comunità di attori professionisti, delle utopie artistico-umanistiche ottocentesche e della grande lezione del Teatro d'Arte di Mosca di Stanislavskij. I primi anni del Group furono di assestamento della lezione stanislavskiana sull'attore, basata sulla progressiva uscita dell'edizione americana delle opere del grande russo e sull'esperienza che Strasberg aveva avuto delle tournée americane del Teatro di Mosca. Il Group si affermò come compagnia di "sperimentazione", accanto al teatro di O'Neill e alla drammaturgia americana della Depressione, quella di Williams e di Albee, di Mailer e Vidal in special modo. Perciò il lavoro teorico e pedagogico, per quanto consistente, si convogliò nelle messe in scena di veri spettacoli, di cui il regista (Strasberg, ma anche Clurman e il più celebre di tutti, Elia Kazan) era anche trainer. Non sembra che in questo Strasberg riuscisse molto simpatico. Coltissimo, puntiglioso e maniacale nei dettagli, viene spesso descritto dai suoi stessi amici e colleghi del tempo come sgradevole, freddo e poco incline a suscitare simpatie. Curioso che fosse considerato incapace di comunicare sul piano umano, proprio lui che assunse la direzione degli attori e ne fu l'unico trainer per decenni, fino alla morte. Strasberg fu certo consapevole, più dello stesso Stanislavskij o di Gordon Craig, altro suo mentore teorico, della definizione del ruolo del regista nello spettacolo, non solo demiurgo distaccato, ma dinamico e invasivo anche dello spazio dell'attore, col quale crea, grazie al ruolo di trainer, un rapporto simbiotico.


SCUOLE d TEATRO Di questo furono molto consapevoli anche Kazan e Clurman, i veri registi del Group. Oltre a Strasberg, altri tre attori del Group furono fondamentali per lo sviluppo delle teorie russe sull'attore in America. Stella Adler, star del teatro yiddish, si scontrò sempre con Strasberg sul ruolo del regista e dell'attore, privilegiando quest'ultimo come faceva la scuola inglese e, con lui, anche il testo, unico depositario di verità scenica. Stanislavskij ammirava e aveva conosciuto il padre della Adler, celebre attore, e lei pure, dopo un incontro e alcune settimane di studio con il venerabile russo, nel '34, riportò una puntigliosa descrizione delle azioni fisiche, dei compiti e delle azioni stanislavskiane, con un tentativo già sistematico (cui non sono estranei Mejerchol'd e Grotowski) che diventerà poi dottrina pedagogica nel suo futuro insegnamento. Se la Adler pose al centro il personaggio, in quanto più grande per spessore della vita stessa (in contrasto con il realismo spicciolo del cinema del tempo), Robert Lewis ritenne l'intenzione, ovvero l'atto mentale, l'unità minima di base su cui l'attore deve lavorare perché si chiarisca il "cosa" percorrere in scena, più che il "come" superficiale. Più attento della Adler e di Meisner, in questo, alle tecniche stanislavskiane e alla centralità della memoria affettiva nell'evoluzione dell'attore. Più vicino a Strasberg nella formulazione di esercizi e training, Sanford Meisner curò molto l'improvvisazione e l'approccio dell'attore al testo, che ne fanno un soggetto molto reattivo e sensibile ai minimi impulsi di una parte.

Un rifugio per il sogno

LEE STRASBERG - Israel Strassberg (Budzanow 1901 - New York 1982), ebreo galiziano, emigra con la famiglia negli States nel 1909 e lì, pur parlando solo lo yiddish, si rivela un brillante studente finché, nel '18, si impiega in una manifattura di parrucche. Risale ai primi anni '20 il suo interesse per il teatro amatoriale degli Studenti di Arte e Dramma, alla Chrystie Street Settlement House, per i quali diverrà Lee Strasberg e che dirigerà fino al '24. Segue con entusiasmo le tournée della Duse e del Teatro d'Arte di Mosca, sperimentando le idee di Stanislavskij con la compagnia prima, poi studiando alla Clare Tree Major School of the Theatre, quindi ali'American Laboratory Theatre fondato da due attori del Teatro d'Arte, Richard Boleslavskij e Maria Ouspenskaja. Notato dal direttore cast del Theatre Guild di Broadway, Philip Loeb, viene scritturato come professionista e direttore di scena. Al Guild conosce Harold Clurman e Cheryl Crawford, che nel '31 fonderanno il Group Theatre. Strasberg vi collabora come istruttore, dirigendo i primi spettacoli. Nei ritiri estivi del Group elabora le sessioni basate sui libri di Stanislavskij in corso di pubblicazione negli States. Sono gli anni della Depressione e il Group si rivela dirompente per la scena teatrale americana, anche per i testi di grande impatto politico che presenta. Pur riscuotendo a volte clamorosi successi commerciali, la compagnia non potrà mai contare su continuità di lavoro e sicurezza economica. Dissensi tra attori, registi, fazioni, estetiche e anime politiche spingono Strasberg e la Crawford a lasciare il Group nel '37. Strasberg segue, come altri, la strada di Hollywood ma senza costanza. Nel '47 Elia Kazan, la Craxford e Robert Lewis fondano l'Actors Studio. Kazan è l'unico ex-Group di successo, sia a Broadway che a Hollywood; la Crawford è produttrice, Lewis istruttore. Eliminati i polemici Clurman e la moglie, l'attrice Stella Adler, e bisognosi di insegnanti, Kazan e Lewis chiamano Strasberg che, nel '51, assume il ruolo di Direttore Artistico. In 15 anni le sue sessioni con i più grandi attori americani del tempo rivoluzionano lo spettacolo, fanno emergere un nuovo modo di recitare e una metodologia che, per antonomasia, sarà conosciuta nel mondo come "il Metodo". Strasberg dirigerà lo Studio per 30 anni, fino ai primi anni '60 (con esperimenti di spettacoli prodotti in proprio ma fallimentari per le resistenze interne). Nel '65 alcuni membri fondano l'Actors Studio West a Los Angeles e, nel '66, Strasberg apre una vera e propria scuola, il Lee Strasberg Theatre Institute, cui segue nel '69 il gemello hollywoodiano. Attore e regista mancato, solo nel '74, su invito dell'ex allievo, poi direttore artistico egli stesso dello Studio, Al Pacino, Strasberg recita nel Padrino-Atto II di Coppola, conquistandosi una nomination all'Oscar e inaugurando una tardiva stagione da caratterista di lusso. I.C.

L'ultima stagione del Group coincide con la prima generazione di attori che, consapevolmente, applicarono il Metodo al cinema. Il regista Lumet, che aveva 15 anni quando recitò in uno degli ultimi spettacoli del Group, avrebbe diretto nel '57 Lee J. Cobb, ultimo grande attore di quell'esperienza, nel suo primo film, La parola ai giurati, grande esempio di cinema "da camera", di fortissimo impianto teatrale. Quando nacque, l'Actors Studio non puntò subito sul cinema. Kazan, allora affermato regista teatrale, pensò a una scuola che formasse attori emergenti e plasmasse professionisti, da usare poi nei suoi spettacoli. Da subito coinvolse Lewis, del quale stimava "semplicità, chiarezza, e senso dell'umorismo", doti che difettavano a Strasberg, più portato a "enfatizzare l'evento emotivo interiore" invece del "lato più sfacciato e immaginativo della recitazione". Ma Lewis fu un insegnante solo di passaggio, la Adler non andava d'accordo con Kazan e, perciò, con una disinvoltura per lui tipica (la stessa con cui named names, ovvero denunciò alla Commissione di McCarty nell'aprile del '52 amici e colleghi di "simpatie a sinistra", distruggendone la carriera e bollando se stesso del marchio di traditore, mai perdonato da Hollywood fino al contestatissimo Oscar alla carriera nel 1998) chiamò l'unico che aveva collezionato sufficienti insuccessi lavorativi da guardare con interesse all'insegnamento, Strasberg, appunto. A parte i veleni profusi dagli exGroup, Kazan dichiarò sempre la sua ammirazione per il lavoro sull 'attore di Strasberg, conscio anche delle potenzialità cinematografiche del Metodo e della grande precisione e puntigliosità dell'insegnamento di Strasberg. Allo Studio

In queste pagine, da sin., Marlon Brando in Un t!àm che si chiama desiderio, regia di Elia Kazan; James Dean in La valle dell'Eden, regia di Kazan; Robert De Niro e sotto Elia Kazan fotografato da Annie Leibovitz.


I NCHI ES T A Strasberg forgia quella figura d'attore sempre più consapevole di sé, della sua autonomia creativa, pragmatico e idealista al tempo stesso che, proprio per questo, troverà il suo palcoscenico non a teatro ma nel cinema.

E lucean le stelle Il nuovo paradosso dell'attore, questa sua autonomia e autorevolezza nell'entrare e uscire da ogni tipo di performance sempre integro e sempre pronto per una prova ancora più radicale, si innesta sulla questione del divismo cinematografico, la nascita delle "stars". Il cinema aveva esaltato, sin da Rodolfo Valentino, Mary Pickford o Greta Garbo, la popolarità dell'attore e il "tipo" incarnato in ogni film, al punto da costruire drammaturgie apposite in cui si esaltassero le caratteristiche degli attori. In tal modo, il pubblico adorava, vedendoli ingigantiti sullo schermo, non le persone ma i ruoli, i personaggi. In questo senso si possono leggere le carriere dei cosiddetti attori "naturali", come furono Gary Cooper, James Stewart, John Wayne, Clark Gable. Allo Studio, Strasberg ebbe modo di intervenire direttamente su star affermate ma insoddisfatte del rapporto con il mestiere, nevrotizzate da ansie, fragilità Anno di nascita -1947 umane e professionali ormai così intrecciate Indirizzo - Sede di New York: 432 West 44th Street, New York, 10036. Tel. 212.757.0870. Sede di Los Angeles: 8341 De Longpre Avenue, West da essere inestricabili. Attori di indubbia fama Hollywood, CA 90060-2601. Tel. 323.654.7125. Fax: 323.654.8266. seguirono le sessioni di Strasberg, le sue Struttura - Lo Studio non è una scuola, ma un laboratorio, perciò non è scelte drammaturgiche, l'impostazione teatrastrutturato in classi, né si danno "credits". È strutturato in tre "units". le, per arricchire il proprio talento e mettersi Quella, più importante è l'Actors Unit, la sessione per gli attori professio·alla prova. Il caso emblematico di Marilyn nisti. Le sessioni sono private, dedicate solo agli attori professionisti. Di Monroe, prediletta di Strasberg, amica intima recente, convenzionato con la New School For Social Research di New di sua figlia Susan, basta per tutti, col benefiYork, lo Studio ha costituito una scuola dove membri importanti cio dell'estremo. Marilyn era un'attrice brillandell' Actors Studio sono anche insegnanti. Le sessioni per i registi te, carne da Studios, specializzata in ruoli da (Directors Unit) e per i drammaturghi (Playwrights Unit), ritenute margioca giuliva, fatalona suo malgrado, bellona nali da Strasberg, non furono da lui mai sviluppate e, infine, perfino sopcanterina per la felicità della Fox. Nel 1955 ha presse. Solo dal 1998 sono state riprese sotto la direzione del presidente dello Studio, il regista Arthur Penne da Frank Corsaro, regista teatrale ed già all'attivo la camminata più sensuale (in ex-direttore artistico dello Studio. Niagara, di Hathaway, 1953), la miopia più Modalità d'ammissione - Gli attori professionisti (comunque sopra i 18 sexy (in Come sposare un milionario, di anni) vi accedono previo esame di ammissione e audizione da parte della Negulesco, 1953) e il concerto di commissione direttiva. I membri restano tali a vita, le sessioni sono graRachmaninov più venduto (in Quando la tuite, due alla settimana, il martedì e il venerdì, dalle 11.00 alle 13.00. Gli moglie è in vacanza, di Wilder, 1955). Ma attori che prenotano una sessione con il trainer presentano una scena di 5 anche due divorzi, fra cui quello col campione minuti (materiale a scelta dal 1930 ai contemporanei, teatrale, cinematoJoe Di Maggio. Rifiuta un nuovo grafica o narrativa), un'improvvisazione, un problema particolare su cui film con la Fox per andare a New lavorare. Le audizioni avvengono una volta al mese, previa registrazione York per studiare con Strasberg, telefonica (escluso il periodo estivo) in due tempi. È necessario passare dove per una sera interpreta Anna l'audizione preliminare prima di fare l'audizione finale (che si fa una volta l'anno). A questa si viene contattati un mese prima per telefono o eChristie a fianco di Maureen mail è si può ripresentare lo stesso brano della preliminare. Stapleton. Dal Metodo trarrà forza Punti di riferimento teorici - Stanislavskij, Vachtangov, Brecht (riletti per ruoli più impegnativi, meno di attraverso il Metodo di Strasberg, le sue sessioni trascritte da registraziocliché, come quello drammatico ni sin dal 1956). Di recente, anche la Tecnica Alexander. che il terzo marito, il drammaturgo Insegnanti di rilievo passati e presenti - I fondatori furono anche i primi Arthur Miller, scriverà ne Gli insegnanti: Elia Kazan, Robert Lewis, Lee Strasberg (poi Direttore Spostati, in cui recita con un altro Artistico e unico trainer degli attori fino alla morte) e Sanford Meisner. nevrotico doc del Metodo, Dalla fine degli anni Ottanta, membri dello Studio tra i più famosi sono Montgomery Clift e un gigante diventati moderatori e trainers. Dal direttore artistico Estelle Parsons della vecchia e decrepita (Oscar per Gangster Story, regia di Arthur Penn, presidente dello Studio) Hollywood, Clark Gable. In quegli ad Al Pacino (per due anni direttore artistico), a celebri attori del Metodo come Martin Landau, Shelley Winters e Mark Rydell. Attualmente i anni Cinquanta frequentano lo membri permanenti dello Studio sono circa ottocento. Studio James Dean e Martin

The Actors Studio New York - West Hollywood

Landau, Patricia Neal, Jason


SCUOLE di. TEATRO Robards, Eli Wallach, Rod Steiger, Paul Newman e, naturalmente, il più celebre divo dell'epoca, · Marlon Brando. A lui Elia Kazan regalò una carriera folgorante. Nel '47 è Kovalski in Un tram che si chiama desiderio, a fianco di Jessica Tandy, un trionfo tale di brutalità e tenerezza che Tennessee Williams gli concederà, dopo averlo visto in scena, carta bianca sulle battute. È durante le pause che, boxando con gli attrezzisti, si rompe il naso. Il naso storto più celebre del cinema americano. Nel '51 il successo della piéce arriva anche al cinema, complici la prima t-shirt sudata della storia e una splendida Vivien Leigh. A Kazan, del resto, Hollywood deve anche il meglio di sé. Con Brando girerà ancora Viva Zapata! e Fronte del porto, omaggerà ancora Williams con Baby Do/I (1956), lancerà il giovane James Dean ne La valle dell'Eden (1955) e Warren Beatty e Nathalie Wood in Splendore nell'erba (1961). La sua ultima creatura, filtrata da Fitzgerald, gli Ultimi fuochi (1976) è anche l'affermazione della generazione di Robert De Niro, Dustin Hoffmann (rifiutato ben sette volte al provino per lo Studio), Al Pacino, Robert Redford, Anne Bancroft.

Viale del tramonto

Tradurre e tradìre n equivoco permea la genesi e la diffusione dell'opera di Stanislavskij e, fatto ancora più significativo, della sua importanza nella storia del teatro del '900. Negli anni Venti Stanislavskij è una celebrità a livello internazionale. La decisione di scrivere e pubblicare delle opere che diffondano la sua concezione del teatro e il lavoro con gli attori del Teatro d'Arte, però, si scontra con la mancata adesione dell'Unione Sovietica alla Convenzione internazionale sui diritti _d'autore, che lo priverebbe degli introiti delle vendite all'estero, limitandone la diffusione a un mercato interno inadeguato. L'unica strada è aggirare l'ostacolo, separando le edizioni russe da quelle internazionali. Nel '23 il Teatro d'Arte è in tournée negli Stati Uniti e Stanislavskij, anche per far fronte alle ingenti spese mediche per curare il figlio Igor in Svizzera, accetta di scrivere un'autobiografia per la Little-Brown and Co. di Boston, che uscirà nel '24 col titolo My /ife in Art. Non conoscendo l'inglese, Stanislavskij detta in russo i capitoli che vengono poi non solo tradotti, ma anche un poco rimaneggiati, lasciandolo infine tanto insoddisfatto da fargli rielaborare il dattiloscritto per una quasi immediata edizione russa, nel '26, che si può considerare il vero originale. Le differenze sono significative, soprattutto di struttura. L'opera nell'edizione americana è divisa in due periodi: fino al 1905 e da lì in avanti; quella russa, invece, in tre, con il 1917 come data discriminante, non solo in omaggio alla Rivoluzione ma come vero e pro- · prio ripensamento artistico della propria vicenda. Nella prefazione all'edizione russa, Stanislavskij prefigura l'opera specifica sul "sistema", owero i due volumi del Lavoro dell'attore su se stesso, dei quali egli sente La mia vita nell'Arte come una premessa indispensabile. La connessione tra i suoi libri è, infatti, profonda e puntuale: gli argomenti delle lezioni del Lavoro hanno un ordine cronologico, con tanto di data, così da dimostrare come la successione del lavoro attorale segua l'evoluzione della vita artistica. Proprio l'opera più nota e usata di Stanislavskij ha avuto la gestazione editoriale più complessa. Nel '30 Stanislavskij, con il libro già abbozzato e strutturato, firma un contratto d'esclusiva con la studiosa americana Elisabeth Reynolds, che diviene unica depositaria dei diritti dell'opera omnia in ogni traduzione, compreso il russo e con effetto retroattivo. La Reynolds traduce e "adatta" i testi dal russo, lasciando a Stanislavskij un margine autonomo e "filologico" sull'edizione russa. Sin dal titolo è incredibile la virata di significato: An Actor prepares è già un manuale, senza manifestare neppure nella prefazione che si tratta del primo di due tomi indivisibili in cui l'opera è divisa e non di una "grammar of acting" con esercizi di lavoro ad uso di ogni sorta di attore. Stanislavskij sarà costretto a smentire nell'edizione russa questo equivoco, prendendo sempre più le distanze da questa semplificazione commerciale americana, che però resterà impresso nelle sorti non solo dell'opera ma di tutta la fortuna del lavoro stanislavskiano in Occidente. La sua morte nel '38 gli impedisce di vedere l'uscita dei libri. L'edizione si completa del secondo tomo solo nel '48, col titolo Building a character che, nell'introduzione, finalmente precisa la struttura indivisibile dell'opera e la distanza dal "ricettario" manualistico. Ma ormai la frittata è fatta. Per la Reynolds l'opera di Stanislavskij resta un "sistema", per quante virgolette si vogliano mettere e lo spirito pragmatico americano ne fa un manuale, destinando il primo volume alla preparazione di base dell'attore, il secondo alla costruzione del personaggio. La cristallizzazione in metodo e la visione di Stanislavskij come apostolo della psicotecnica della reviviscenza, si trasmettono a generazioni di attori, perfino quando i discepoli stessi di questo "metodo", come Strasberg, rifiuteranno ancora di sistematizzare il proprio approccio, condividendo col maestro russo il sospetto verso ogni impianto dogmatico. /.C.

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Se negli anni Sessanta il sogno di Strasberg di creare un "repertorio americano" (condiviso anche dagli altri gruppi radicali ·sulla scena) si infrange contro il mercato, traducendosi in una serie di occasioni mancate (rifiuterà di produrre Chi ha paura di Virginia Woo/f? di Albee, uno dei vertici della nuova drammaturgia americana), indecisioni, rancori, che affosseranno l'unico tentativo dello Studio di farsi anche produttore di spettacoli (la tournée londinese di Tre sorelle fu un fiasco epocale, pur essendo stato il migliore degli spettacoli prodotti dall'Actors Studio Theatre), sul piano formativo e pedagogico la fama di Strasberg e dello Studio rimase intatta per tutto il decennio successivo, tanto che Strasberg fonderà il Lee Strasberg Theatre proprio per far fronte alla richiesta di una scuola vera e propria basata sul Metodo e conoscerà un tale successo, da "partorirne" le gemelle hollywoodiane, vicine quanto basta alla Mecca del cinema. Le filiazion i dello Studio, più o meno spurie, così come le scuole aperte da membri illustri sia del Group che dello Studio, hanno diffuso il Metodo in tutto il mondo, creando un tale debito (anche reciproco, infine), tra lo Studio e Hollywood, da rendere inscindibili per decenni queste realtà pur così diverse in partenza. Negli anni Settanta emerge l'ultima generazione organica al Metodo e alle sessioni di Strasberg, quella di Dennis Hopper, Christopher Walken , Sally Kirkland, Harvey Keitel , Bruce Dern, Jane Fonda. È il periodo del cinema indipendente di Cassavetes, che molto amava gli attori più eretici del Metodo (come il prediletto Ben Gazzara). Con la crisi degli anni Ottanta, la fine o la fusione degli Studios in majors senza leader e in mano a consigl i d'amministrazione, anche lo Stud io accusa una flessione. Un infarto lo priva di Strasberg nell'82. Hollywood degli attori più quotati, mentre a New York poco succede e l'ombra dell'istituzione da venerare ma senza darvi troppa retta, come un vecchietto bizzoso si allunga su un placido presente. •

Nella pag. precedente, da sin., Liz Ta0or e Montgomery Clift in Un posto al sole, regia di George Stevens (1951); a destra, Dustin Hoffman in Alfredo,Alfredo di Pietro Germi (1972) e, in basso, Clift con Marilyn Monroe in un fuori scena de Gli Spostati di John Huston (1961); in questa pag., a sin., Robert Redford e Paul Newman in Butch Cassidy di George Roy Hill (1969) e, in basso, Al Pacino e Marlon Brando ne Il Padrino di Francis Ford Coppola (1972).


I NC HI ES T A Pechino

Diventare attori di Sergio Basso an Kai solleva lo sguardo dalla ciotola di /amian, le tagliatelle tirate a mano. Le lamian gli piacciono dannatamente piccanti. Me ne offre, declino con un sorriso: digerisco il piccante fino al livello standard; oltre, il sudore è superiore al piacere. Il mio commensale guarda fuori, oltre le vetrate della mensa. Siamo nella pausa pranzo delle riprese di un cortometraggio, e Nan Kai scruta la prossima location, il campo da calcio dell'Accademia. La luce postprandiale sembrerebbe perfetta, ci restano pochi minuti di ozio. Si stanno girando degli esterni al campus del Beijing Dianying Xueyuan, l'Accademia di Cinema di Pechino dove, vent'anni fa, si diplomarono Zhang Yimou, Chang Kaige e gli altri registi del cosiddetto "Quinto Corso". Nan Kai abita nel campus: si è diplomato da poco. Nan Kai mi offre un caffè al bar dall'altra parte del campus: un pretesto per girare attorno all'enorme, compatto edificio che - con qualche dépendance - ospita i dipartimenti di letteratura, regia, sceneggiatura, cinematografia (con offerte di corsi che spaziano dalla Computer Graphics alla fotografia per documentari o per video musicali), missaggio, estetica, produzione e distribuzione, storia del cinema, animazione, suono, fotografia, pubblicità e naturalmente recitazione. «Esistono due corsi, - mi spiega Nan Kai uno intensivo biennale e uno un poco più "disteso", quadriennale. Il programma è grosso modo lo stesso, nel primo caso la frequenza è più stressante. Il corso biennale è assiepato di artisti agguerriti, gente che vuole confrontarsi presto con il mondo del lavoro, sebbene l'Istituto non garantisca entrature privilegiate ai neodiplomati». Grazie all'impostazione cinematografica dell'Istituto, vi sono corsi - obbligatori per tutti i dipartimenti - che raramente vengono offerti in altre accademie teatrali: storia del cinema cinese ed internazionale, analisi del film, educazione musicale, rudimenti di recitazione, di suono, di fotografia, di regia e di sceneggiatura, introduzione alle tecniche filmiche, letteratura, produzione e marketing; senza contare la mediateca, imprescindibile punto di riferimento per qualunque ricercatore in cinema cinese. Gli allievi del dipartimento di regia chiamano spesso gli allievi del dipartimento di recitazione come protagonisti dei loro cortometraggi di esercitazione e di diploma: ciò garantisce agli studenti della Beijing Film Academy una certa dimestichezza con la macchina da presa. Chiedo, un po' ingenuamente, se studino rudimenti dell'Opera di Pechino. «No, o almeno non necessariamente. Per quello c'è il Zhongguo jingju yuan, l'Istituto per l'Opera di Pechino. E devi iniziare giovane, è una formazione specifica. Non è detto che c-apiamo tutti i gesti». «Ma studiamo movimento scenico e danza». È la voce di Tang Mingshu a integrare le osservazioni di Nan Kai. «Ogni settimana abbiamo lezione di training, in cui facciamo rientrare le posture di alcune arti marziali, come il dachengquan. Durante i due anni abbiamo seminari con vari insegnanti, ma ogni classe ha un "direttore didattico" con cui condivide la maggior parte delle ore di lezione e che monta i saggi di diploma. Il nostro era il professor Wang, fervente buddista, un uomo di una fermezza e di una dolcezza straordinarie. Ciascuno studente lavora in più micro-spettacoli, così ci sono ruoli ed occasioni per tutti. È il primo invito alla versatilità. Tuttavia la scuola insiste sull'impostazione stanislavskiana: meglio avere una base solida che tante direzioni appena accennate; per prendere dimestichezza con altri approcci c'è tutto il tempo: quello del lavoro, del post-scuola». Beato pragmatismo cinese, penso io. «Un esempio di approccio sperimentale, che tenga conto della forma occidentale e del patrimonio cinese, è il seguente. Il professor Wang quest'anno ha tentato la mise en espace di poesie di Li Bai. Ne sono usciti monologhi di una potenza straordinaria. Nonostante si tratti di composizioni in cinese classico, il pubblico era assorbito,

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Come e cosa si studia all'Accademia di Cinema e a quella Centrale di Arte drammatica

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SCUOLE di TEATRO anche perché i poeti della dinastia Tang (VI-IX secolo) sono molto amati e studiati tutt'oggi». Le scuole di formazione per attori vennero I fondate nei centri-chiave di Pechino e Shanghai, oltre che nei capoluoghi regionali ; attive sin dagli anni Cinquanta, conobbero un boom di iscrizioni durante gli anni Ottanta, soprattutto per le specializzazioni nelle forme teatrali musicate. L'accesso a tali accademie comporta una massiccia selezione, che fino a qualche tempo fa comprendeva anche un esame ideologico. L'esame di dottrina marxista-leninista è una tappa ineludibile nelle Accademie dei Paesi comunisti: non molto più doloroso dell'ora di religione in Italia. Oggi si è dispensati da questo controllo ideologico, anche se ancor oggi , ai futuri attori, tra le altre materie di studio, si impartiscono lezioni di marxismo-leninismo. Si cita talora il caso dell'Accademia di Lhasa, come un allentamento della tenaglia cinese sulla cultura tibetana. In realtà la situazione di Lhasa è decisamente rappresentativa della distonia tra dati in nostro possesso e pratica quotidiana. Quello di Lhasa è un ambito assolutamente artefatto. Gli insegnanti della vera Accademia Tibetana sono tutti in diaspora: la riforma agraria prima e la Rivoluzione Culturale poi li avevano relegati a fare i contadini . Recuperati - spesso in stato di denutrizione - da emissari del Dalai Lama, vennero radunati a Dharamsala, in India, per la costituzione della Tibetan Academy of Performing Arts in esilio. Gli insegnanti della Tapa sono i primi ad ammettere che l'esecuzione dell'Opera Tibetana, l'Ache Lhamo, fu di nuovo permessa dalle autorità cinesi a partire dal 1979, ma i cambiamenti apportati ai libretti e allo stile di esecuzione, in un senso comunista e moderno, deformano irrimediabilmente la sua forma originaria in terra cinese. 1 In un passato non troppo remoto le Accademie accettavano un numero maggiore di attori maschi, data la maggior richiesta di ruoli maschili; ma da quando nella tradizione jingju i ruoli dan si lasciano impersonare da attrici, è esplosa la richiesta di attrici. È dai primi anni Cinquanta che il Pcc ha pressoché abolito il ruolo dan al maschile, con qualche eccezione: al Jiangsu sheng xiju xuexiao (Scuola Provinciale di Teatro del Jiangsu) si può ancora incrociare qualche apprendista di ruoli dan. Nelle Accademie, l'insegnamento e l'assistenza medica sono gratuiti ; talora - ma non sempre - lo è anche la mensa. Gli studenti , che godono di vacanze invernali, estive, del riposo domenicale e delle solite vacanze nazionali, vengono alloggiati in campus in stanze che arrivano ad ospitare sino a otto ragazzi. Il rapporto, sicuramente molto alto, tra il numero degli insegnanti e quello degli allievi, al Sichuan sheng chuanju xuexiao - a mo' di esempio - è di 75 su 145. Fiore all 'occhiello della Beijing Film Academy è lo Youth Film Studio, fucina di trasmissione tra mondo della scuola e mondo professionale. Creato nel 1979, tra gli studios che godono del riconoscimento ufficiale del governo, da allora ha prodotto più di 70 film, tra cui La storia di Qiu Ju di Zhang Yimou (1992) e Good morning, Beijing. Agli occhi di un ricercatore occidentale, è più che legittimo (e forse più plausibile) aspirare a studiare all'Accademia di Cinema di Pechino per cinematografia, piuttosto che per recitazione. Da pochi anni è previsto un ottimo corso annuale intensivo di film-making. Agli stranieri può anche allettare l'idea di un dottorato in uno dei tanti campi di specializzazione dell'Accademia: mentre per corsi undergraduate sono previste cursoriamente alcune attività per anglofoni, per il dottorato è necessario saper parlare cinese - il che non deve spaventare: se quest'idioma è parlato da un miliardo e duecento milioni di persone, non dev'essere impossibile impararlo. Il sistema universitario cinese ha un sistema simile al Toefl americano per monitorare la Indirizzo - International School Beijing Film Academy, 4 - Xi Tu Cheng competenza linguistica dei candidati: si tratta Road, Haidian District, Beijing 100088, P.R.China; www.bfa.edu.cn; info: dello Hanyu shuiping kaoshi (esame di profiguopei@bfa.edu.cn ciency in cinese) , più sbrigativamente Hsk. Per Finanziamenti - Statali. dovere di cronaca: nel caso della Beijing Corsi di studio - Letteratura, regia, recitazione, cinematografia, missaggio, dianying xueyuan, il livello Hsk richiesto per i estetica, produzione, storia del cinema, animazione. dottorati è 8. (Per conoscere modalità e date Durata dei corsi - Biennale per il corso intensivo di recitazione; quadriendelle sessioni italiane dello Hsk potete contattanale per quello estensivo. re la professoressa Clara Bulfoni presso Prove, saggi di diploma - Presentazione di atti unici in diverse serate, l'ultil'Università Statale di Milano, Corso di mo anno. Mediazione Culturale, allo 02.50321638/22) . Impegno in ore - 28 ca alla settimana. Tang mi suggerisce - e vari operatori mi conferPunti di riferimento teorici - Stanislavskij , Brecht. mano - che il Beijing dianying xueyuan si è Materie di insegnamento - Voce, canto, danza, recitazione, storia del teatro, spesso rivelato più dinamico e ricettivo nelle analisi del testo. proposte pedagogiche e nei progetti, mentre il Ex allievi illustri - Zhang Yimou, Chang Kaige. Zhongyang xiju xueyuan, l'Accademia Centrale

in Cina

Beijing Dianying Xueyuan Accademia di cinema di Pechino

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I NC HI ES T A di Recitazione, in cui ora entreremo, è solitamente più paludata e burocratica. Quasi affondo nella poltrona di pelle rossa, mentre aspetto il dottor Zhou Shaoyu, responsabile delle Relazioni con l'Estero dell'Accademia centrale d'arte drammatica (Zhongyang xiju xueyuan, questo il nome della scuola, ma gli studenti di Pechino lo abbrevino in "Zhongxi"). Sono arrivato un poco in anticipo, per curiosare in giro. Amo il quartiere in cui l'Accademia è incastonata: un dedalo di piccoli vicoli su cui si affacciano i siheyuan, case basse, a pianta quadrilatera con corte centrale (ricordano un po' le domus romane). A qualche centinaio di metri inizia il Beihai, parco delle birrerie e caffetterie pechinesi; non distante si può visitare la casa di un grande drammaturgo e storico dell'arte, Guo Moruo. L'Accademia venne fondata nell'aprile 1950, sulla scia di fondamentali esperienze precedenti: negli anni Trenta, il Lu Xun Art College a Yan'an, quartier generale comunista; e la Nanjing National Academy of Drama, nonché il dipartimento d'Arte della North China University, negli anni '40. Finché durò la cooperazione con l'Urss, il metodo Stanislavskij, nonostante il pedagogo Huang Zuolin lo considerasse già parzialmente superato negli anni Cinquanta, proprio in quegli anni venne introdotto massicciamente in Cina da esperti del Teatro d'Arte di Mosca e della Scuola di San Pietroburgo, invitati ad assistere il corpo docente delle costituende Accademie di Recitazione di Pechino e di Shanghai. Con il 1956, e il processo di destalinizzazione in corso, l'influenza sovietica in campo artistico si fece meno pressante e la leadership politica si rese conto che era venuto il momento di concedere maggiore spazio al patrimonio autoctono cinese. Il Teatro Popolare d'Arte di Pechino, diretto negli anni Cinquanta dal grande drammaturgo Cao Anno di nascita - 1950. Yu, e l'Accademia Centrale di Recitazione, erano lndizzo -39, Dong mianhua hutong, Eastem District, 100710 ormai assurti a tempio dello huaju, il teatro di prosa. 0086.10.64035626; fax: 0086.10.64016479 - www.chinatheatre.edu.cn A differenza di quanto il nome "Teatro Popolare Finanziamenti - Statali. d'Arte" lascerebbe credere, non si trattava di un Corsi di studio - Sei dipartimenti: letteratura teatrale, regia, recitazione, teatro stabile, bensì di una compagnia, che in ogni scenografia, arte televisiva, produzione; due scuole specialistiche: caso aveva un palco di riferimento privilegiato sul Formazione Adulta, Arte del Cinema e della Tv. quale far debuttare i suoi spettacoli: lo Shoudu Durata dei corsi - Da un mese a quattro anni. juchang (Teatro della Capitale). Il dottor Zhou Prove, saggi di diploma - Allestimento di diversi spettacoli all'ultimo Shaoyu arriva. Dalla finestra lo intravedo smontare anno, con un affermato regista esterno, all'Erdong juchang, il Teatro rapido dalla bicicletta; affonda anche lui nella poldell'Infanzia, con tanto di vendita e pamphlet del copione e book della trona di fronte alla mia. Ha un viso affabile, domiclasse per spettatori e operatori. nato da occhi piccoli, sveglissimi, da lince. A incontro concluso, me li ricorderò addirittura azzurri, il Impegno in ore - 28 ca alla settimana. che sarebbe un miracolo genetico, per un cinese. Punti di riferimento teorici - Mei Lanfang, Stanislavskij, Brecht, Huang Mi spiega che, archiviata l'esperienza della Zuolin. Materie di insegnamento - Voce, canto, danza, recitazione, storia del teaRivoluzione Culturale, nel 1976, alla ripresa delle tro, analisi del testo; opzionali: coreografia e trucco nell'Opera di iscrizioni internazionali, si pensò di creare l'lnternational Cultura! Exchange Centre, per ovviaPechino. Insegnanti di rilievo passati o presenti - Huang Zuolin. re nella maniera più semplice agli evidenti ostacoli linguistici dei molti cultori del teatro, provenienti da Ex allievi illustri - Gong Li, Jiang Wen. tutto il mondo, che si dimostravano vivamente attratti dalla tradizione cinese ma anche dalla fucina di ricerca e di dialogo con forme più moderne in atto nel Paese. L'Exchange Centre offre tutt'oggi corsi di cultura teatrale in cinese e corsi di cinese attraverso la pratica teatrale. Lo studente può fermarsi uno o più semestri, destreggiandosi tra corsi di cinese attraverso scene teatrali, con testi specifici per chi compia studi letterari e artistici; ottimo il corso di dizione (chi ben comincia è a metà dell'opera). E potrà vantare ottimi compagni di banco, visto che tra gli ex-allievi figurano Gong Li e Jang Wen (per intenderci, due dei protagonisti di Addio, mia concubina). I corsi di cinese costano da un minimo di 250 dollari per una settimana a un massimo di 520 dollari al mese, con un tetto di 15 persone per classe; si possono seguire lezioni opzionali di trucco e movimento nell'Opera di Pechino, di storia del teatro cinese e di call igrafia. Per coloro che raggiungessero un livello adeguato di cinese, l'Istituto apre le porte delle sue specializzazioni, gomito a

Zhongyang Xiju Xueyuan Accademia centrale d'arte drammatica di Pechino

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SCUOLE gomito, con i suoi 90 insegnanti. Sei dipartimenti (letteratura teatrale, regia, recitazione, scenografia, arte televisiva, produzione) e due scuole specialistiche: Formazione Adulta, Arte del Cinema e della Tv. I programmi dispiegano un'invidiabile completezza, dall'educazione musicale all'Opera di Pechino passando per la storia e teoria della televisione. Gli insegnamenti di illuminotecnica, costumistica, scenografia e trucco vantano una tradizione di qualità altissima. Non posso negare che l'Accademia di Recitazione sia una fucina di incontri stimolanti: nell'anticamera dell'ufficio del dottor Lu incontro un docente universitario di Helsinki, a Pechino per una ricerca sul teatro cinese del secondo dopoguerra. Il dottor Lu mi fa strada verso la biblioteca; ho appuntamento con una dottoranda in storia del teatro: mi sono impelagato nella ricerca di alcuni copioni contemporanei. Oggi, l'Accademia si presenta composti da quattro edifici principali (gli alloggi per gli studenti, le aule, il centro direzionale e la biblioteca, più una fornitissima libreria teatrale) in stile un po' Old Manchester, con mattoni-brunati a vista. Anche quest'anno gli studenti dell'ultimo anno hanno allestito diversi spettacoli con affermati registi esterni il Teatro all'Erdong juchang, dell'Infanzia. Il nome del teatro non deve trarre in inganno: la tradizione russa e quella cinese ascrivono la massima importanza alle sale dedicate ai bambini, che spesso ospitano gruppi d'avanguardia. L'Accademia Centrale di Recitazione patrocina i propri neodiplomati promuovendo un pamphlet del copione e un book della classe per spettatori e operatori nel foyer del teatro, con tanto di sessione di autografi. Il dottor Zhou Shaoyu mi invita allo spettacolo di stasera, Cara professoressa di Ljudmila Petrusevskaja, poi inforca la bicicletta per sparire tra un nugolo di pechinesi velocipedi che passano nel vicolo. • 1 lsabelle Henrion-Dourcy, "Lhamo in The Tibet Autonomous Region Since The 1950's. A First Assessment", in Proceedings of Practica/ Workshop Tibetan Opera. A Living Theatre, Biennale / Cini Foundation, Venezia, 58 maggio 2001.

i TEATRO

celebrato dall'America alla Russia

Mei Lanfang attore primattrice 1 termine jingju è quello che noi traduciamo "Opera di Pechino". Sul suolo cinese esistono varie tradizioni di teatro classico, basate su un'affascinante miscela di astrazione, codificazione gestuale, arie cantate intervallate da recitativi, acrobatica, costumi e trucchi fortemente simbolici. Ogni regione produsse la propria sintesi di questi ingredienti; oggi è più nota la versione "di Pechino" perché fu quella approntata per la Corte imperiale. Dall'arrivo delle forme e dei generi del teatro occidentale, gli artisti cinesi non hanno mai smesso di interrogarsi sul modo di far interagire il patrimonio teatrale autoctono con quello europeo. Lo studio dell'Opera di Pechino comporta una dedizione quotidiana sin dall'infanzia. A Pechino il miglior Istituto che se ne occupa è il Zhongguo jingju yuan (Istituto cinese per l'Opera di Pechino). Uno degli insegnanti di riferimento, Chen Zhenqia, fu invitato quattro anni fa a San Vito al Tagliamento da Ferruccio Merisi e dalla sua Scuola Sperimentale dell'Attore, in occasione della manifestazione "L'Arlecchino errante". Per tre settimane, attori-ricercatori di Commedia dell'Arte e due professori del Zhoongguo jingju yuan si sono scambiati i rudimenti del codice gestuale e corporeo delle rispettive tradizioni, sperimentando poi possibili ibridazioni. Il ruolo dan è il ruolo protagonista femminile, interpretato tradizionalmente da un maschio sino alla rivoluzione comunista del 1949. Tra i più insigni attori dan della storia del teatro cinese, figura Mei Lanfang (1884-1961). Nipote d'arte, iniziò a studiare a otto anni ed esordì a venti. In occasione di due tournée a Shanghai nel 1913 e nel 1914, venne a contatto con il teatro occidentale ed ebbe l'idea di commissionare al drammaturgo Qi Rushan opere tradizionali ma in abiti e ambientazioni moderni. Nel 1919 e nel 1924 compì tournée in Giappone: il pubblico ne fu talmente incantato che un suo spettacolo, La donna celeste sparge i fiori, venne adattato per entrare nel patrimonio kabuki. Nel 1929 è la volta degli Stati Uniti: colgono l'occasione per confrontarsi con le sue tecniche vocali ed acrobatiche il drammaturgo David Belasco, Charlie Chaplin, Mary Pickford, Cecile B. De Mille. Nel marzo-aprile del 1935 gira l'Urss: assistono ai suoi spettacoli e alle sue conferenze Nernirovic-Dencenko, Stanislavskij (nella sua Casa-Museo a _Mosca è ancora conservata la scatola con modellini di personaggi dell'Opera di Pechino di cui Mei Lanfang gli fece dono), Mejerchol'd, Gor'kij, Ejsenstein (che filmò in studio scene de Il passaggio dell'arcobaleno), ma anche Gordon Craig, Brecht (L'anno successivo Brecht scriverà il saggio Effetti di straniamento nell'arte scenica cinese), Piscator. Tornato in Cina, dal '37 al '45 si lasciò crescere la barba, in segno di protesta per l'occupazione giapponese. Solo nel 1945 riprese a recitare, per sfuggire a una minacciata rappresaglia del governo giapponese di occupazione. Con l'avvento del governo comunista, i suoi allestimenti si fecero meno sfarzosi, ma la sua arte recitativa si fece più intima e profonda; fu attivissimo nell' associazionismo professionale e nella ricerca. Si deve a Mei Lanfang, che proveniva dall'opera kunju, l'introduzione della danza nel jingju; abbassò l'altezza del canto dei ruoli femminili, per ottenere un falsetto più rotondo; ricorse a una treccia posticcia, per rendere il viso più ovale e aumentare la gamma gestùale; affiancò al violino cinese, l'erhu, un secondo violino, il che suscitò ulteriori cambiamenti nell' orchestrazione. Sergio Basso

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In queste pagine, alcune prove di trucco e di maschere della tradizione cinese; in basso, Mei Lanfang in alcune foto (in basso è riconoscibile Stanislavskij).


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I NC HI E S T A

HUANG ZUOLIN

via cinese tro contemporaneo attraverso una sintesi di Stanislavskij, Brecht e Mei Lanfang

uang Zuolin (1906 - 1994) è tra i motori dell'avanguardia di Shanghai, prima fondando la Kuguan jutuan (Compagnia del Duro Lavoro), poi collaborando con lo Shanghai Renmin yishijujuan (Compagnia d'Arte del Popolo). Forte di una formazione britannica e fresco di un dottorato su Shakespeare, Huang torna in Cina negli anni '30 ad insegnare in alcune università. In un primo tempo si dedica alla figura di Bernard Shaw e alle teorie di quest'autore sull'importanza del ruolo sociale del drammaturgo; nel lavoro scenico convoglia il metodo Stanislavskij, le esperienze maturate nell'incontro con le tecniche di Michel Saint-Denis della scuola francese di Jacques Copeau, e con quelle d'addestramento coreografico di Kurt Jooss. Le sue prime regie sono riadattamenti di classici europei, volte a satireggiare l'occupazione giapponese e la società del tempo. Rientra in questa produzione il suo Macbeth, dal titolo cinese Luanshi yinxiong (L'eroe dei giorni del caos): la regia è affidata a Li Jianwu. Dopo la Liberazione, Huang si occupa di cercare uno stile autoctono, una via cinese al teatro di prosa, che in realtà è un prodotto "eteroctono", importato dall'Occidente, fondamentalmente estraneo alla tradizione letteraria cinese: egli compie una scelta coraggiosa ed avanguardista per quei tempi, mettendo da parte il metodo Stanislavskij e i suoi addentellati, come il dramma borghese da salotto, e prendendo come punto di riferimento le ricerche di Bertolt Brecht. In realtà il metodo Stanislavskij venne introdotto massicciamente in Cina proprio dopo la Seconda Guerra Mondiale da esperti del Teatro d'Arte di Mosca e della Scuola di San Pietroburgo invitati ad assistere il corpo docente delle costituende Accademie di Recitazione di Pechino e di Shanghai. È un periodo, quello dei primi Anni Cinquanta, in cui si cercano nuovi ibridi, nuove sinergie: negli articoli dell'epoca ricorrono spesso termini come xin geju (nuova opera), wuju (teatro danzato), gewuju (teatro cantato e ballato), termini che abbracciavano anche spettacoli stranieri e di minoranze nazionali. Uno dei primi risultati di questo nuovo percorso è lo spettacolo Kangmei yuanchao dahuobao (Reportage sulla resistenza coreana all'invasione Usa), frutto di una drammaturgia collettiva con gli stessi attori, con regia sua, e presentato nel 1951, sulla falsariga di Terrore e miseria del Terzo Reich e del teatro documentaristico di Erwin Piscator. Tali opere sono prodotti tipici del loro tempo, un tempo in cui gli scrittori si rifugiano volentieri nei generi documentaristici del texie (reportage) e del duanpian xiaoshuo (romanzo breve), che corrispondo-

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S e·U O L E d i T E A T R O no a una sorta di autorestrizione dei campi d'indagine per evitare rischi politici. Lo spettacolo consta di cinquanta episodi; il concetto di episodio come unità del procedere narrativo è felicemente attinto dalla tradizione autoctona: si pensi allo storytelling o alla tradizione dei copioni del jingju, costituiti appunto da un alto numero episodi, tra i quali il patrono dello spettacolo sceglieva, come da un menù, sera per sera, quali rappresentare. Nel marzo 1962, alla Conferenza Nazionale sul Dramma Parlato, dell'Opera e delle Produzioni per Bambini, a Guangzhou, Huang Zuolin espone la propria visione in un lucidissimo intervento, poi pubblicato su Renmin ribao con il titolo Mantan xijuguan (Degli approcci teatr.a/J): in esso, Huang distingue appunto tre possibili visioni teatrali (il termine da lui usato, xijuguan, è un neologismo per la lingua cinese: indica il "rapporto tra teatro e realtà", "come il regista e gli attori si pongono nei confronti del teatro") a disposizione dell'attore: Stanislavskij, Brecht, Mei Lanfang. Da notare che il terzo si pone come artista superlativo di tradizione, mentre il primo e il secondo sono forgiatori di modi spettacolari e pedagogici del tutto nuovi. Huang propone una distinzione acuta, che ha un forte potere ermeneutico: per Stanislavskij esiste la quarta parete, Brecht vuole romperla, per Mei non era mai esistita. Se ci si preoccupa dunque della messinscena, dell'"inquadratura" che lo spettatore vedrà, e che tale inquadratura sia verosimile, sia credibile, siamo di fronte a un tipo di teatro definibile come "fotografico"; con l'avvento del cinema, questo approccio, mediato da Lee Strasberg, ha permesso lo sbocciare della tradizione hollywoodiana, ma rischia di avvizzire il teatro. Altrimenti siamo di fronte al teatro simbolico. La ricerca di Huang esplorò la possibile sintesi di questi tre sistemi (san da tixi de jiehe). Dopo aver iniziato a mietere consensi tra i colleghi grazie a queste puntualizzazioni, Huang continua con l'allestimento di Jiliu yongjin (Controcorrente, con fermezza), 1963, di Hu Wanchun, in cui mette in scena una serie di episodi della vita di una comune durante il Grande Balzo in Avanti. Come il primo attore metteva piede in scena in liang xiang (la posizione d'entrata, vale a dire la prima posizione dell'attore nell'Opera di Pechino), Huang faceva comparire le scene con una retroproiezione, per aumentare la poeticità dell'ambiente e il coinvolgimento dello spettatore; il narratore, durante i cambi di scena a scena aperta, intratteneva il pubblico. Dopo la Rivoluzione Culturale, con il Teatro Giovanile d'Arte del Popolo, ritenta una regia brechtiana, con Vita di Galileo di Brecht, nel marzo 1979, prima pièce straniera allestita in Cina dopo la Rivoluzione Culturale; il pubblico non fatica a trarre un parallelo fra le costrizioni subite da Galileo dal Tribunale ecclesiastico e le restrizioni patite dal popolo cinese a causa della Banda dei Quattro: finalmente il pubblico ha gli strumenti per apprezzare l'operazione, e Vita di Galileo è un immediato successo. Huang ritorna sulla definizione critica delle proprie premesse estetiche in un articolo pubblicato in inglese nel 1980, poi tradotto in cinese nel 1981. Il tentativo, da parte dei suoi attori, di fondere le scuole recitative di Stanislavskij, Brecht e Mei Lanfang venne presentato al pubblico europeo nel corso della conferenza Il nostro teatro e quello straniero, al Bad Hombourg di Francoforte, nella primavera del 1988, in un simposio con Richard Schechner, Erika Fischer-Lichte, James Brandon, Nicola Savarese e Eugenio Barba. Dopo aver ribadito i tre approcci teatrali possibili, rappresentati dalle tre figure di riferimento di Mei Lanfang, Stanislavskij e Brecht, Huang Zuolin coglie, con lucida sintesi, come il teatro tradizionale cinese faccia leva su quattro caratteristiche esterne: la flessibilità nello sviluppo drammatico e nella pratica della rappresentazione; l'assenza di limiti di tempo e di spazio; la scultura della presentazione tridimensionale dei caratteri in uno spazio aperto, evidentemente in contrasto con la presentazione bidimensionale del teatro europeo fino alla fine dell'Ottocento (sebbene la festa rinascimentale italiana fosse all'aperto e presentasse una forma aperta); una serie di espedienti stilistici altamente formalizzati; a queste quattro caratteristiche esterne, fanno eco altrettante peculiarità interne: "riduzione all'essenza" della vita; essenzialità del movimento; del linguaggio; della scenografia. Con il termine "riduzione all'essenza" traduco il cinese xieyi, "cogliere e trascrivere l'essenza di un oggetto", un'espressione mutuata dalle teorie pittoriche classiche cinesi: quando un pittore cinese dipinge il monte Lu sulla seta, non è interessato a cogliere l'apparenza della montagna in quel dato momento, ma la summa di tutte le esperienze soggettive di quel monte da lui avute nel corso di una vita. Quale equilibrio trovare per non rinunciare del tutto al realismo, per non cadere, dal simbolismo, nella criticità? Huang Zuolin stesso suggeriva che «Se non c'è somiglianza con la realtà non si può parlare di teatro, ma se la somiglianza è eccessiva, non si tratta più di arte». Sergio Basso

In apertura, un'immagine di Madre coraggio di Brecht, regia di Huang Zuolin, ritratto in questa pagina.


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rotto dalla voce del narratore e tutto il "bagaglio a mano" dei personaggi viene fuori indirettamente. Quello che mi interessa è il ritmo che, sembra sì monotono, ripetitivo ma è, invece, vicino alla coscienza in prima persona. Le ossessioni, le sensazioni, gli stessi pensieri e sentimenti corrono e ricorrono continuamente, mostrando la struttura serrata, claustrofobica dell'azione. Sono i suoni inarticolati o staccati dalle parole, "la voce misteriosa del silenzio" o le pause tra quello che si dice che danno il vero significato, al di là del significato letterale di ciò che si è detto. Le parole possono essere mute ... il silenzio della meditazione parla.

incontro con Jon Fosse

R&F - Una questione tanto sotterranea quanto attuale: ''la narQuarantaquattro anni, norIdi Ricci & Forte razione dell'Io': cioè quell'idenvegese, è uno dei più origi.................iiii.............------ii i i,i,i,- -......- ......- - - - - - -OÌi i o... tità dell'autore, la forza creativa noli drammaturghi conche l'Io, a diversi livelli e con tutti temporanei. Con stile i suoi travestimenti, esercita nella propria opera. Nella narrai Fosse, che quest'animpietoso racconta le afativa contemporanea, realtà e finzione non sono più antagonino spegnerà quaransie, le incomprensioni, il ste ma si presentano in un'unica inestricabile vertigine. Cosa tacinque candeline, si ne pensa? O per lei in arte, invece, "è solo vero tutto ciò che parla come di un gioco al massacro della è falso e sempre falso tutto ciò che è vero'? signore che si prende vita quotidiana. E il desideF. - Se non ci fosse stato qualcuno a precisare questa "chiave" troppo sul serio, ombroso, un orso rio di fuga di creature alla inawicinabile: insomma, un autore prima di me, avrei preferito morire con l'inchiostro in bocca piutderiva impossibilitate a diri- alquanto antipatico. Niente di tutto tosto che fornirgli io la "serratura" adatta visto che, come diceva gere la propria esistenza questo! È un uomo amabile, ironico e Valery, «tocca all'altro fornire i sentimenti, non all'autore». Per

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anche piuttosto chiacchierone. È a Viterbo, in una piazza storica, che lo incontriamo per la prima nazionale di Variazioni di Morte, l'ultima pièce, in ordine di tempo, allestita dal regista Luciano Melchionna. Lo vediamo arrivare nella luce del pomeriggio: il look tota/ black, gli occhiali a specchio che nascondono lo sguardo e un'asciutta riservatezza si disintegrano di fronte al suo primo sorriso.

RICCI & FORTE - Lei è considerato una "macchia indelebile': un gigante che ha gettato la sua "ombra maestosa" sulle radure desolate di un paesaggio letterario - quello scandinavo e non solo, dominato da un pesante conformismo e realismo sociale - introducendo il post-modernismo. Nel suo caso, a differenza di altri, questo nuovo orientamento non traspare in una tecnica di scrittura ricca di riferimenti intra o meta-testuali ma piuttosto marcata da ''vampate" di religioso silenzio. FOSSE - Descriverei la mia tecnica narrativa come "urlo della coscienza", citando un famoso quadro di Munch e parafrasando lo stream of consciousness di joyciana memoria. L'azione ha sempre luogo nel presente e non c'è un narratore onnisciente che sa di più rispetto a quello che è vissuto da colui che racconta in prima persona: in questo modo il flusso di parole non è inter-

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quanto mi riguarda, se di autobiografia si tratta nel mio lavoro è sempre quella del lettore-spettatore, non mia. Ripudio il documentarismo, il naturalismo. La sua direttiva è abbandonata allo scopo di creare invece una formula "a dissolvenza", una forma molto più ricca, una sfera incomparabilmente più ampia di espressione, una molteplicità di possibilità nuove. È l'affioramento del passato, dalle cantine del Nulla o del Tutto, che ha più sostanza del presente. Quello che si scrive e si dice in fondo non è altro che una menzogna, che attraverso me, è trascritta come una verità. Alla fine quello che importa è solo il contenuto di verità della menzogna.

R&F - // compito che lei si è assunto è quello di raccontare con uno stile personale, inquietante e impietoso, senza iperboli o metafore - le confessioni spietate, l'afasia, le incomprensioni dei rapporti, gli orrori della vita privata, il gioco al massacro e il campionario delle torture della quotidianità. La vita, quindi, non è mai un film di Doris Day? F. - È un doloroso calvario! (ride, arrossendo) Una sfacciata, tenera, vorticosa danza di morte tra volti senza nome, voci non incarnate, soffi, fantasmi. R&F - // suo pennino da sismografo, che trasforma in scrit-


tura ogni minima intermittenza e transizione/stagione del cuore, registra cardini emotivi come la malinconia, il desiderio di fuga - con gli spasmi che procura - la sensazione di un pericolo incombente. Riti intimi intorno ai quali costruire la propria vita? O un modo per ricongiungersi, ogni giorno, a qualcosa che dia il senso misterioso dell'eternità? F. - In bilico tra emozioni e ambiente esterno, tra paesaggio interiore ed esteriore, le mie creature non dirigono la propria vita quotidiana. Sono alla deriva, imprigionate in un meccanismo di incastri da cui non riescono a liberarsi: vinte dalla diffidenza si danno e si rifiutano, entrano ed escono da gallerie buie, coni d'ombra del loro rapporto, per cercare la luce dell'esistenza. Nemmeno la morte le lascerà libere di impiegare la loro vita come credono. Una coppia, in un'oscillante equilibrio per trovare la serenità, sfuggire alla routine e vivere indisturbata il proprio idillio - deve evitare tutti gli elementi esterni. La fuga è sempre dolorosa ma per alcuni versi è la più classica delle condizioni. La fuga che prova la vittima di una persecuzione, un povero che sfugge alla miseria, o anche chi semplicemente si trova a disagio nel vivere, è metafora della condizione umana.

stessi e cambiare, intuire gli altri e far finta di niente, tradire ed essere traditi. Qual è il filo che tiene insieme le storie di questo suo labirintico affresco narrativo, in cui il lettore-spettatore può rischiare di perdersi? F. - Situazioni semplici, dialoghi atonali, linguaggio asciutto, scarnificato in una sintassi elementare, involgarito da gesti allucinati, pause, silenzi, ritmo creato per il gusto della digressione e per una reiterazione quasi maniacale - ma quanto seducente! - di temi e condizioni esistenziali sono lo specchio psicologico del nostro modo di vivere: povero, ripetitivo, privo di meta. A me piace moltissimo la musica. A volte penso che - nella misura delle possibilità della scrittura - io tenti di fare delle cose che spesso si fanno in musica. Frammenti di immagini, conversazioni, ricordi - simili a fotografie strappate di cui non si riesce a riattaccare i pezzi - pian piano ricompongono il puzzle, intessendo così una partitura musicale.

R&F - Le sue creature sembrano avere più anime, più corpi, più modi di pensare e amare. Sono awolte da una luce particolare che ricorda ancora una volta Munch: facce trasparenti in comici ovali. E in questo Universo c'è un forte slittamento spaziotemporale. Il tempo sembra rallentare, ogni istante fa vivere grandi emozioni ... F. - Cerco di raggiungere la meta che mi sono prefissato: creare sospensioni, momenti in cui un angelo sta per passare in scena. Amo giocare con la frantumazione, con le atmosfere livide, ritrarre con sincera pietas il disagio anche fisico di questi "scarti" della società - con cui empatizzo e lo stesso fa il lettore-spettatore - per svelare in modo impalpabile le contraddizioni della vita. Gli anni fuggono e tornano, come le lancette dell'orologio che passano e ripassano correndo e ritardando sempre sulle stesse cifre.

R&F - Parliamo di modelli. O di gusti "musicali". Questi suoi tic, se così possiamo dire, la accostano idealmente a Pinter e lonesco, piuttosto che al conterraneo lbsen. F. - Nelle mie reiterazioni non ci sono mai le stesse identiche parole, ci sono quelli che chiamerei echi o sistemi di risonanze.

R&F - Approfondiamo questo concetto ipnotico del Tempo. I suoi sono testi onirici, dalla sapida carnosità, poetici, ma sempre sorretti da una sottile e vivacissima ironia - con sonori rintocchi di tragedia - che a tratti scivola verso un sarcasmo anche feroce... come se l'irrisione creasse una dimensione immobile. Una zona franca dove riprendere fiato. F. - Sono un autore tragicomico che, a seconda delle situazioni, enfatizza la tristezza o la comicità. Sembro buono perché a volte getto un salvagente ai miei personaggi. (fa una lunga pausa) In realtà, è la mia vendetta per prolungarne l'agonia! Credo che l'unico modo per capire se una mia pièce è riuscita sia vedere le reazioni degli spettatori: nel corso dello spettacolo devono aver avuto almeno una volta l'occasione di ridere o piangere. La comicità deve venire fuori da sola, dai personaggi, dalle situazioni. Non funziona se, invece, ci si sforza di far ridere. R&F - Parlare e tacere, ricordare e dimenticare, sapere e ignorare, rimanere uguali a se

R&F - Una musica da camera. Il numero dei personaggi in scena è di due, tre, al massimo quattro persone insieme ... F. - Così la concentrazione aumenta, la percezione si acuisce.

R&F - Una sinfonia di variazioni ... come appunto succede nelle opere musicali? F. - La musica diventa ancora più emozionante quando si riconosce un tema, un motivo a volte suonato da un singolo strumento, a volte dall'intera orchestra. Quando ripropongo un'espressione verbale, una formula linguistica, magari delle intere frasi che girano su se stesse come una vite senza fine, la mia intenzione è che l'effetto sia sempre un po' diverso dalle volte precedenti e che possa perfino illuminarle. R&F - I luoghi delle sue origini (costa occidentale della Norvegia) sono presenti in quasi ogni cosa che scrive, ergendola a paladino del neo-norvegese, l'idioma costruito su vari dialetti. Una ·fascinazione per la parola sfuggita per errore che ha l'aria di rinnovare continuamente l'affitto della nostra attenzione: strega, insulta sanguinosamente, incantesima ... F. - La parola è qualcosa che si addice al mio ritmo, si salda ai vincoli per la mia terra e si offre come nuance "politica". L'uso della lingua è necessario per l'affermazione della nostra identità. Senza perdere la lingua dei nostri padri ma confrontandola. Il mio teatro ha radici nella lingua parlata, nella parola-parolaccia, in quell'impasto mobile che veicola l'infinita gamma di emozioni, si sfrangia in regionalismi e funziona come segno, carattere e appartenenza. Da quando gli attori entrano in scena e iniziano a muoversi e parlare, si può subito dire da dove provengono, che tipo di educazione hanno ricevuto, se sono ricchi o poveri, se si sono imborghesiti.

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R&F - La tendenza nel moltiplicarsi di segni capaci di rinnovarsi ogni volta, anche se rimandano a segni precedenti, diventa una priorità per un drammaturgo contemporaneo. Senza ricerca il teatro è destinato a languire? F. - È nella natura del drammaturgo rimettersi in discussione in rapporto alla società, modellare la propria lingua, diretta o metaforica, sul tempo storico della rappresentazione. La ricerca è il suo respiro, la sua energia vitale. Apprezzo molto chi, oltre a raccontarmi una storia coinvolgente, mi costringe a fermarmi e a pensare che contenga qualcosa su cui venga richiamata la mia attenzione. Consegnare proposte aperte allo spettatore, provocare sollecitazioni. Non intendo scrivere dei thriller a cui garantire soluzioni, mirare a esiti pedagogici o trasmettere messaggi. Non credo neanche alla virtù terapeutica della letteratura poiché non mi ritengo più intelligente del lettore-spettatore, potendo entrare solo in dialogo con lui. L'antico teatro, quello tradizionale, è un maestoso testimone delle grandi civiltà del passato; oggi, per me il teatro, luogo della parola nella sua purezza assoluta, è un evento fortemente significativo nella vita culturale, sociale e politica di una comunità. È un'occasione di crescita dove la curiosità e lo spiazzamento spostano in avanti l'orizzonte d'attesa e di gusto del pubblico.

io elenco due semplici ragioni: uno, non avere un capo; due ... non svegliarmi presto la mattina. Vi pare poco? R&F - Tre, aggiungiamo noi, perché il palinsesto interiore ha una programmazione più ricca ed entusiasmante di quell'elettrodomestico con l'antenna che sta azzerando il gusto collettivo, dilagando coi suoi effetti nefasti anche attraverso il velluto dei sipari. F. - (ride) Sono d'accordo. Ma posso garantirvi che quel genere di "abbonamento" di cui usufruiamo costa più caro di quello televisivo. È più faticoso da sostenere. R&F - Le dodici fatiche di Ercole sono una passeggiata al confronto ... ma noi, per esempio, abbiamo compreso che la nostra Idra di Lerna, il mostro a nove teste, non è necessario ucciderla. Basta darle un osso ... F.- Bravi! Anch'io ho smesso di aiutare Atlante a reggere il mondo sulle spalle. R&F - Ma allora chi è Jon Fosse? F. - Chi sono io? Chi immaginate che sia? Sono uno qualunque che conduce, come migliaia di altre persone, la sua vita più o meno tranquillamente; un personaggio conosciuto di cui ci si è fatta un'opinione; un autore, un qualcosa che appartiene solo a me stesso: è più un'attività che un'identità e, probabilmente, non coincide con Fosse uomo comune e personaggio pubblico. Come vedete, parlare e parlare .... è il modo più semplice per rendersi sconosciuti. •

R&F - In un'Europa imbevuta di riflusso culturale, cartina di tornasole di balletti politici a dir poco frastornanti, che attribuiscono al palcoscenico una stitica attività sedante e "consumistica': la memoria può diventare urgenza di spettacolo? F. - Nelle fasi di trapasso storico la memoria diventa una casa comune dove tutti vogliono abitare. Chi pretende di JON FOSSE - Rivelazione della scena internazionale degli ultimi anni, considerato dalla ricordare questo, chi quell'altro. Ognuno aspira a una critica uno dei più originali drammaturghi contemporanei, è rappresentato in tutto il mondo tradizione in cui riconoscersi per poter credere nella suc,3 (più di un centinaio sono le realizzazioni delle sue pièce dirette, tra gli altri, dal russo Klim, identità, fino al punto di certificarla. Pirandello, giocando Thomas 0stermeier, Luc Perceval, Claude Regy). Nasce nel 1959 a Haugesund - con sagacia non priva di malizia - le carte della cultu(Norvegia), cresce a Strandebarm ma da vent'anni vive a Bergen. È passato dal segreto ra moderna, ha ridicolizzato l'umana pretesa di poter raccoglimento delle liriche e poemi, Angel with water in his eyes, (1986) - caratterizzate da essere soltanto se stessi. .. favorendo la riflessione, tipiun diabolico espressionismo - ai libri per bambini, dalle raccolte di saggi e racconti, Prose camente novecentesca, sul celebre assioma dell"'uno, from a growing up (1994), al clamore pubblico della letteratura con i romanzi Red, black nessuno e centomila". (1983), Locked guitar (1985), The stone of blood (1987), Melancho/ia I e Il (1996), dedicati al pittore ottocentesco Lars Hertervig, fino all'ultimo Morning and Eve (2000). Lead and R&F - Ma il teatro non si fa all'ombra di quattro parewater (1992), col giornalista e la ragazza drogata incontrata per caso, o forse no, su una ti e una macchina da scrivere. Ovunque ormai nelle panchina di un parco - e di cui si prenderà cura lasciando moglie e lavoro - è stato un istituzioni teatrali imperversa la burocrazia e si gioca romanzo-svolta nella sua carriera, preludio al dramma Inverno e al suo teatro. Dal 1990 ha iniziato a scrivere principalmente per il teatro realizzando: E non ci separeremo mai (1994); al ribasso: impera una terribile mediocrità e i medioIl nome (1995); Qualcuno arriverà (1996, anno in cui riceve il Premio lbsen), messinscena cri si proteggono tra loro ... italiana della compagnia Il battello Ebbro - presentato a Viterbo da Gian Maria Cervo nel F. - Da collega, mi permettete un consiglio? Se fate 2001, con la regia di Sandro Mabellini, al festival di drammaturgia contemporanea troppo bene il vostro lavoro, ne pagherete le conse'Quartieri dell'Arte" - dove, in un astratto prato verde e attigua cucina delle bambole di una guenze: se fate una cosa che gli altri non fanno, questo casa eremo, il sogno a due di una Donna e di un Uomo, suo partner, è infranto da un crea dei problemi ... e allora si può lavorare in un luogo Intruso terzo incomodo, forse un ex amante; Un giorno d'estate (1999); Sogno d'autunno dove se uno fa troppo bene il proprio lavoro, questo gli (1999); Inverno (2000), prima assoluta al festival di Asti nel 2003, regia di Walter Malosti si ritorce contro? (altra lunghissima pausa) Voi non me in cui, in un efficace doppio impianto di spazio chiul'avete chiesto, però ... so di una stanza d'albergo e spazio aperto di un parco cittadino, un Uomo e una Donna si scontraR&F - Cosa non le abbiamo chiesto? no e si attraggono in un'ossessiva danza di amplessi linguistici. Variazioni di morte, dove una coppia F. - La prima domanda che mi arriva puntualmente è: "peranziana percorre a ritroso nel tempo il fallimento ché scrive?" della propria unione, culminato col suicidio della figlia (2001 ). Con La ragazza sul sofà (2002) ottieR&F - E lei che risposta dà? ne il riconoscimento di migliore autore straniero. Di F. - Ho sempre evitato risposte solenni del tipo: ho bisoprossima pubblicazione in Italia, presso Ubu libri, gno di esprimere i miei demoni, le miei ossessioni, il una collana dei suoi testi più rappresentativi. • bambino che è dentro di me, cose ridicole ... in genere 1L------------------------------

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In apertura un'immagine di Inverno, regia di Valter Malosti; nella pag. seguente Stefano Ricci e Gianni Forte e, in questa pag., Jon Fosse.

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lettera da Parigi

di Giuseppe Montemagno Le storie di La Fontaine viste attravero l'occhio lieve di Bob Wilson, il racconto filosofico di Voltaire, Micromega, nell'allestimento poetico di un giovane regista argentino e una fiaba thriller moderna, Gli scassinatori, con cui l'autore e regista, José Pliya, ha ottenuto il premio del teatro giovane 2003 dell'Académie française antasmi della memoria, creature immaginifiche emergono da un lucore primordiale, si materializzano improvvise, capolavori della fantasia e della filosofia barocca. È sulle note di una marcia d'antica e travolgente passione che approdano sul palcoscenico i protagonisti delle Fiabe di La Fontaine, un corpus di quasi duecentocinquanta narrazioni brevi da cui Bob Wilson ha cavato il materiale per uno degli spettacoli più ispirati degli ultimi anni, che ha debuttato alla Comédie Française imponendosi come uno degli appuntamenti più attesi della stagione. Le rappresentazioni parigine, peraltro, sono state l'esito di un cammino di ricerca drammaturgica iniziato nell'estate del 2003 nel corso del laboratorio annuale organizzato dall'artista texano al Watermill Center di Long lsland. Misurarsi con uno dei monumenti della letteratura francese era impresa apparentemente rischiosa, in realtà facilitata dalla possibilità di creare tableaux di folgorante rapidità, in cui la narrazione sfocia nella riflessione imponendosi con immediatezza. La scelta delle diciannove fiabe, selezionate dalla Hammer, ha privilegiato quelle in cui la presenza di animali fosse, se non esclusiva, almeno preponderante, elaborando un itinerario di cui progressivamente si scopre la straordinaria coerenza. Si comincia con Le Lion amoureux, in cui il re della foresta, invaghitosi di una «bergère à son gré», auspica di unirsi con la razza umana, suggellando un vincolo che presto si rivelerà rovinoso. Storie di innata furbizia e di sorprendente sagacia diventano raffinata metafora di un potere assoluto del quale La Fontaine (l'eccellente, commovente Christine Fersen), con alterne fortune, tenta di farsi pedagogo ed accorto consigliere. La conquista del potere e l'amministrazione della giustizia diventano momenti centrali dello spettacolo, inquietante indagine sull'importanza dei giudizi di corte e sul trionfo della scaltrezza sulla sincerità (Les Animaux mala-

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Fiabe, di Jean de La Fontaine. Regia, scene e luci di Robert Wilson. Drammaturgia di Ellen Hammer. Costumi di Moidele Bickel. Maschere di Kuno Schlegelmilch. Musiche di Michael Galasso. Consulenza per la danza barocca di Béatrice Massin. Con Christine Fersen, Gérard Giroudon, Cécile Brune, Éric Génovèse, Christian Blanc, Florence Viola, Céline Samie, Laurent Stocker, Nicolas Lormeau, Christian Gonon, Julie Sicard, Madeleine Marion, Bakary Sangaré, Audrey Bonnet Charles Chemin. Prod. Comédie Française, Salle Richelieu, 2004. Micromégas, da Voltaire. Adattamento di Ézéchiel Garcia-Romeu e Pascale Pinamonti. Regia di Ézéchiel Garcia-Romeu. Scene di Ézéchiel Garcia-Romeu e François Tomsu. Costumi di François Tomsu. Luci di Marie-Christine Scaglia. Video di Frédéric Moire e Olivier Gillon. Con Jacques Fornier, Mousse i manipolatori d' oggetti Ézéchiel Garcia-Romeu e Pascale Pinamonti. Prod. Théatre National de Chaillot 2004. les Effracteurs (Gli scassinafor,) di José Pliya. Regia di José Pliya. Scene di Franck Waléga. Luci di Éric Dumas. Con lsabelle Gardien, Jéròme Pouly, Laurent Natrella e Miche! Vuillermoz. Prod. Comédie Française, Studio-Théatre, 2004.

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Parigi/Kyoto

Viaggio per smarrimenti con il Collettivo Dumb Type 1 gruppo giapponese fondato nel 1984 a Kyoto da Teju Furuhashi (morto di aids nel 1995), è un collettivo di artisti provenienti da ambiti disciplinari diversi (video, performance, musica, danza, architettura, informatica). Il gruppo si è da sempre distinto per la spettacolarità delle loro installazioni video e performance multimedia ed è la realtà tecnoperformativa internazionale più interessante degli ultimi anni. Le loro creazioni partono dapprima come installazioni (video e interattive) e successivamente diventano performance; oppure nascono le due forme contemporaneamente e si mantengono autonome anche se gemelle, tematicamente e nominalmente; in atri casi lo spettacolo prevede una prima immersione nell'installazione e successivamente nella performance di danza, suoni e immagini, come in una metamorfosi iniziatica. In Voyage presentato alla Maison des arts de Creteil di Parigi nei mesi scorsi e distribuito da Epidemie, il gruppo ha rinunciato a una narrazione, anzi, per meglio dire, alla parola. A vantaggio di uno spazio fatto di micro coreografie, di suoni di sintesi granulare e di immagini ad altissima definizione proiettate su schermo e raddoppiate nel pavimento di specchi. Tutto a generare la percezione di un'interiorità angosciata, di una collettività in crisi, di una identità smarrita, di un'immaginario violato. Storie mentali, sensoriali, mnesiche; storie di paure ancestrali (il buio, il vuoto, gli abissi, il nulla, la morte), angosce (la solitudine, la perdita della rotta), desideri (la trasformazione della nostra vita). La macchina tecnologica è quel supporto - ovvero, maschera- che permette di viaggiare oltre il carcere spazio-temporale, oltre la convenzione rappresentativa, a contatto diretto con l'astrattezza assoluta dei nostri pensieri, con un'assimilazione significativa del neurologico al tecnologico e in un vortice coinvolgente di metamorfosi suggerite dalle diverse situazioni tecnoperformative: di ciò che si è e di ciò che vorremmo diventare o di ciò che non vorremmo mai più essere. Siamo precipitati dentro gli "spazi siderali" e le "infinite profondità" della nostra mente. Rimane ancora una volta l'interrogativo del perché opere come queste, da inscriversi pienamente all'interno della ricerca teatrale, debbano essere ancora relegate a un ambito di varia e generica artisticità. Anna Maria Monteverdi

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In apertura, un bozzetto di Le loup et l'agneau, una delle Fiabe di La Fontaine dirette da Bob Wilson; in basso un momento di Micromégas, regia di GarciaRomeau.

des de la peste), sino alla constatazione della brutalità e della violenza dell'uomo che impone con arroganza le ragioni del più forte (L'Homme et la Couleuvre). Non sorprende così che l'ultimo pannello (Les Compagnons d'U/ysse) sia dedicato alla spedizione dell'uomo più furbo della storia, i cui compagni, mutati in bestie dal «funeste poison» di Circe, decidano di rinunciare alla forma umana per assaporare i privilegi ed i vantaggi di quella animale. L'amaro disincanto degli apologhi evita programmaticamente di assumere toni grevi e pensosi, poiché mira, grazie al potere suasivo di «agréables mensonges», ad «amuser camme un enfant» un mondo ormai corrotto. Questo è il potere delle favole di La Fontaine, mirabile specchio di vizi e virtù di un'umanità varia e multicolore, che Wilson mette in scena con tono lieve e sorridente. Il piccolo palcoscenico della Comédie diventa spazio aperto ed epurato, modulabile secondo l'angolazione di .due pannelli posti ai lati della scena. L'approccio estetico del regista fa riferimento a suggestioni di varia provenienza, perfettamente miscelati e volti a creare un universo visivo d'assoluta bellezza. Le ricerche sul teatro, sulla musica e sulla danza del periodo barocco, i riferimenti alle arti marziali, la sobria eleganza di costumi che si arricchiscono delle ricercate maschere firmate da Schlegelmilch, sono solo alcuni degli elementi che contribuiscono a creare immagini di straniato nitore, orizzonti espressivi resi cangianti dal trascolorare delle combinazioni cromatiche: la mano rossa della volpe, sulla quale si staglia il cacio bianco rubato al corvo, o la macchia verde della rana che vuol assomigliare al bove, che progressivamente invade la scena, sono tra i capolavori del minimalismo wilsoniano. Benché elaborate elettronicamente ed acusticamente innaturali, le voci degli interpreti perfettamente aderiscono alla ricchissima varietà di metri della poesia del favolista francese, prezioso tramite per accedere ad una lingua evocata nei suoi tratti più gustosi ed ironici.

L'umanità al microscopio

Favole per bambini, dunque, ma anche, o forse soprattutto, per i più grandi. Proprio come Micromégas, il racconto filosofico di Voltaire da cui la fervida fantasia di un teatrante argentino, Ézéchiel Garcia-Romeu, trae uno spettacolo d'insospettata poesia. La breve storia narra di due personaggi immaginari (un po' come Jacques e il suo padrone, o Candide e Pangloss), un gigante alto otto leghe, proveniente dal pianeta Siria, ed il segretario dell'Accademia di Saturno, che, dopo aver vagato a lungo nell'universo, il 5 luglio 1737 approdano sulle sponde del Baltico. La satira si fa corrosiva quando i due giganti si confrontano con un manipolo di abitanti della terra, tanto piccoli da essere visibili solo al microscopio, piccoli atomi dei quali carpire l'essenza e verificare se in possesso di idee, volontà, libertà, e, soprattutto, di un'anima. Lo sguardo da entomologi degli alieni diventa occasione di autentico confronto filosofico con gli esseri umani, asserviti alle più diverse credenze, e non può che essere suggellato da una liberatoria risata che tutto mette a soqquadro e rimette in gioco. Parzialmente celati in un piccolo palcoscenico spoglio, Fornier e Mouss sono il maestro saggio ed il discepolo malde-


Teatro Llure di Barcellona

Giulio Cesare, martire repubblicano JULI CÉSAR, di William Shakespeare. Adattamento e regia di Alex Rigola. Scene di Bibiana Puigdefàbregas. Costumi di M. Rafa Serra. Luci di Maria Domènech. Suono Jordi Collet. Coreografie di Ferran Carvajal. Con Mireia Aixalà, Pere Arquillué, Ferran Carvajal, Tilde Espluga, Cristina Genebat, Julio Manrique, Alicia Pérez, Xavier Ripolo, Eugeni Roig, Joel Roldàn, David Selvas, Ivan Benet. Prod. Teatro Llure di BARCELLONA.

ccolto con grande successo di pubblico e di critica, è stato nella stagione 2002-2003 lo spettacolo più rappresentato in Spagna. A ragione del resto, poiché si tratta di uno spettacolo di notevole livello, dove il giovane Alex Rigola, di recente nominato direttore del prestigioso teatro catalano, mostra di possedere un sicuro talento capace di raccordare con sorvegliata lucidità un allestimento di asciutta e tesa intensità. Dove l'azione si snoda con ritmo di incalzante coerenza su un adattamento, firmato dallo stesso regista, che, pur nella massima fedeltà al testo, tende a mettere in rilievo l'eternità dei sentimenti umani e la sete di potere, che di essi fa parte. Scandagliando nel testo shakespeariano, ma con l'occhio rivolto al presente, un conflittuale opporsi di confini etici e politici, di cui spesso è possibile cogliere il perdurare attraverso le notizie della nostra attualità. Un intento, questo, che si manifesta già nei costumi scelti per la messinscena: tutti gli attori recitano in abiti moderni. Le figure scure dei personaggi si stagliano sulla nudità della scena, nettamente delineata entro un perimetro di pareti bianche. Mentre la parola risuona per restituire, di volta in volta, la nobiltà idealistica di Bruto, la veemenza pragmatica di Cassio, l'eloquenza capziosa di Antonio o l'amore trepidante di Porzia. Personaggi tra i quali Cesare si aggira come isolato in una consapevolezza di aristocratica alterigia, destinata ad ammantarsi, sull'incalzare degli eventi, dell'allusività inquietante di una visione onirica o a risorgere tra i congiurati imbrattati di sangue come una vittima sacrificale che il martirio awolge nell'alone di una ieratica immortalità. Lo spettacolo si snoda con straordinario vigore sul dinamismo incessante di linee di tensione che convergono, si scompongono, si dilatano in giochi coreografici di coralità vibrante, a delineare la viltà dell'uccisione di Cesare, la rivolta della plebe infuriata o il concitato clangore della guerra. Grazie anche all'efficacia di una colonna sonora frammista insieme di suggestioni malinconiche e struggenti, di travolgenti accenti eroici o di percussioni di martellante insistenza, chiamata a far da supporto imprescindibile e determinante di un allestimento vorticoso e coinvolgente. Al cui interno gli eventi si susseguono con linearità di lucidissima e spigliata modernità, come inseguendo il filo sotteso di una nemesi fatale che consegna al respiro della tragedia la sconfitta di Roma repubblicana e il profilarsi del nascente impero. Antonella Melilli

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stro, demiurghi consapevoli della relatività del mondo, interpreti del confronto tra !'infinitamente grande e l'infinitamente piccolo, quest'ultimo rappresentato dalle marionette e dai minuscoli oggetti di scena animati dal regista, immagine di un'alterità rappresentata in tutta la sua radicalità. Insieme con allusioni alle fantasmagorie del circo, alle magie della prestidigitazione e all'illusione della lanterna magica, si riscopre così il piacere del racconto - quello settecentesco presso il focolare domestico o quello davanti al teatro di burattini - unito ad una spiccata sensibilità poetica nel dare vita alle miniature, alle apparenze, alle ombre, alla manipolazione della realtà, rivisitata dal teatro con spirito critico. Sono proprio i confini tra realtà e fantasia a diventare labili e sfumati nella sapida bouffonnerie crimine/le con cui José Pliya ha ottenuto il Premio del Teatro Giovane 2003 dell'Académie française. Gli scassinatori è infatti una moderna favola condotta sul filo del thriller, una sorta di grande partita in cui è più impor-

tante bluffare che vincere, prevalere rimescolando le carte e confondendo le piste. Tutte le tessere del mosaico, peraltro, vengono fornite, quasi distrattamente, nel corso dello spettacolo, benché solo alla fine si riesca ad assemblarli in un insieme coerente: da qui il senso di stupore prodotto ogni volta che la situazione si ribalta e che il gioco delle identità s'infittisce. Nico e Léo sono infatti due scassinatori chiamati ad eseguire un furto su commissione; salvo venire scoperti da Clive e Bonie (omofoni della celeberrima coppia di malfattori), ladri d'emozione sopraggiunti per svaligiare i sentimenti, l'intimità stessa della casa. Per questo viene organizzata un'improbabile cena, nel corso della quale si ascolterà la schubertiana Fanciulla e la morte, funesto preambolo all'inarrestabile passione che unirà Bonie e Nico e che costringerà Clive ad assoldare Léo per far uccidere i due amanti ... Una sorta di grande, rocambolesco girotondo si muta in circolo vizioso ed origina il crimine, in un ambiente che Pliya immagina neutro ma claustrofobico, animato con straordinaria efficacia ed evidenza solo dalle voci, dai volti e dai corpi di personaggi intenti ad usurpare l'identità degli altri, senza mai mettere in scena la propria. Ombre senza maschera, i quattro diventano cacciatori di emozioni e di ricordi, di sensazioni e di profumi, incapaci di ritrovare se stessi e pronti ad uccidersi, quando sembrano ritrovare l'eden smarrito e tenacemente ricercato. Cittadino del mondo - nato nel Benin, formatosi in Francia, poi residente in Camerun e nei Caraibi francesi - Pliya interpreta così il tema del viaggio senza approdi e di una ricerca di sé che si nutre del rapporto con l'altro e con il diverso. •


Bill T Jones-Arnie Zane Dance Company

20 ANNI IN CONTINUO K>VIMENTO

elebrare l'anniversario del primo ventennio per la Bill T Jones-Arnie Zane Dance Company non poteva che essere un momento di riflessioni, resoconti e nuovi proponimenti. Phantom Project, così è stato intitolato l'anniversario, si è rivelato un tuffo nella memoria coreografica degli an,ni Ottanta e .Novanta per niente nostalgico, anzi rinvigorito dall'energia creativa dei nuovi lavori, e con lo sguardo proiettato nel futuro. Bill T Jones e Arnie Zane si erano imposti all'attenzione nel mondo della sperimentazione artistica a partire dagli anni Settanta. Non solo per le loro innovative interrogazioni sull'essenza stessa della danza, nell'ambito di quel movimento che verrà in seguito riconosciuto come postmodem dance, ma con il loro sem-

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Idi Alessandra Nicifero

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Phantom Project: così è stata inti -

tolata la manifestazione organizza ta per l'anniversario della compagnia Un tuffo nel passato, con la ripro posta di spettacoli degli anni Ottanta e Novanta, per approdare al pre s ente con i nuovi lavori ricchi di energia creativa

plice essere coppia, nella vita privata e in scena, avevano dato prova lampante che molte barriere sociali potevano essere abbattute. Con i loro primi duetti, infatti, non avevano semplicemente strappato e ricucito modi alternativi di interazione tra due corpi maschili in movimento, ma avevano dimostrato, con una tenace naturalezza, che rigidi codici basati su pregiudizi e stereotipi etnici o sessuali potevano essere demoliti. L'attenzione focalizzata sul corpo, nell'accezione di materia che occupa uno spazio non puramente geografico ma sociale, era stato il punto costante nella ricerca di entrambi. Arnie Zane aveva iniziato la sua sperimentazione artistica prediligendo come media la fotografia, con il corpo come soggetto protagonista tanto nella sua bellezza quanto nella sua deformità, in movi-


• mento o fermo in pose statuarie. Alla danza, dunque, ci era arrivato dopo l'incontro con Bill T Jones ed un workshop di contact improvisation, trasportando la sofisticazione compositiva della fotografia nell'organizzazione dello spazio in scena e nella coreografia stessa. Dopo quasi un decennio di sperimentazione come American Dance Asylum, con anche Lois Welk, la Bill T Jones-Arnie Zane Dance Company viene fondata nel 1982, mantenendo lo stesso nome anche dopo la scomparsa di Zane, avvenuta nel 1988. In contemporanea alla celebrazione dell'anniversario della compagnia si è tenuta una retrospettiva fotografica del lavoro di Arnie Zane alla Paula Cooper Gallery.

Quarantaquattro gesti The Phantom Project, partito con una prima settimana di eventi e spettacoli lo scorso autunno al The Kitchen, ha riportato in scena, durante la prima settimana di febbraio al Brooklyn Academy of Music, alcuni dei momenti salienti della compagnia insieme a nuovi lavori. Continuous Replay (1978), firmato da Zane ed inizialmente pensato per un assolo, è stato riproposto e reinventato da Jones per l'intera compagnia in modo del tutto spettacolare. Il pezzo, una sequenza strutturata in quarantaquattro movimenti, ha tutte le caratteristiche dei primi lavori più formalisti ed astratti, con elementi come la ripetizione e la rigidità degli arti, la presenza della camminata e corsa, tipici del vocabolario della post-modem dance. La performance, accompagnata dal vivo da dj Spooky, ha visto la presenza non solo dei giovani danzatori dell'attuale compagnia ma anche di quelli che hanno fatto parte dell'ensemble nel passato, incluso lo stesso Jones . I danzatori dapprima nudi, iniziano ad aggiungere, come nella sequenza dei gesti , pezzi d'abbigliamento rientrando in corsa da entrambi i lati del palco. L'altra coreografia di Zane, riproposta per l'occasione, è stato The Gift/No God Logie, un pezzo del 1987 creato poco prima della sua morte. La drammaticità (e pomposità) verdiana della Forza del Destino viene diluita dal rigore della ripetizione e dalla struttura geometrica del quartetto coreografi-

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co, interrotta a volte da ironici ed improvvisi saltelli. Il pezzo, in questo caso, è lasciato intatto, con gli stessi costumi disegnati allora da Demian Aquavella, uno dei quattro originali danzatori, scomparso nel 1990. Gli altri tre, Arthur Aviles, Sean Curran e Heidi Latsky tornano per l'occasione, e Aquavella viene sostituito da Germaul Yusef Barnes. Del passato degli anni Novanta non potevano che essere selezionati due tra i pezzi più ammirati e discussi della compagnia. Di The Last Supper at Une/e Tom's Cabinl The Promised Land (1990), sono stati scelti solo alcun i momenti video, tra cui quello di Bill T Jones in un assolo, accompagnato dalla madre Estella Jones, scomparsa lo scorso anno, mentre canta il gospel. Sti/1/Here Looking On è una rivisitazione più breve della versione del 1994 che, a differenza dell'originale, vede la presenza in scena di Bill T Jones. Per i primi quindici minuti, i danzatori e Jones raccontano con parole e movimenti la storia della compagnia attraverso le composizioni coreografiche, fino a Sti/1/Here: il risultato di un viaggio che aveva portato Bill T Jones a condurre workshop con malati terminali di tutte le età, in undici diverse città, raccogliendo gestualità ed emozioni , e rielaborandoli in una danza energica e vitale. Con ancora il video originale di Gretchen Bender, la musica di Vernon Reid e la voce di Cassandra Wilson. Il tuffo nel passato termina con There Were ... , in una rivisitazione del 2002, con musica di John Cage. Un pezzo leggero e delicato, descritto dallo stesso Jones, come un acquarello. La serata dedicata ai nuovi lavori parte con il lirico assolo di Jones, Chaconne, su musica per violino di Bach. Come la composizione Chaconne in musica ha una struttura armonica che si ripete con variazioni tematiche minime, così è anche per l'assolo danzato.

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Pur usando movimenti comuni agli altri due nuovi lavori, il pezzo è più introspettivo e lento. È come se i movimenti minimalisti, sfidando continuamente baricentri ed equilibri, esplorassero spazialità interiori più che fisiche. L'assolo è accompagnato da un monologo di poche frasi ripetute, nello stile di Jones, con chiari riferimenti alla scomparsa della madre, o forse, più in generale, all'assenza. Il video, con figure sfuggenti che si duplicano nelle tonalità del grigio, è di Paul Kaiser e Shelley Eshkar.

Nonno e nipote in viaggio Reading, Mercy and the Artificial Nigger, e Mercy 1O x 8 on a Circe sono i lavori più recenti. Il secondo è la versione più sintetica e priva di testo del primo; condividono, infatti, una fraseologia coreografica comune ed i costumi. Il racconto di Flannery O'Connor, The Artificial Nigger, del 1952, a cui s'ispira il pezzo coreografico, è essenzialmente la storia di un viaggio dalla provincia alla grande città di Mr. Head e Nelson: un nonno ed un nipote. Il vecchio saggio (o almeno così dovrebbe essere) ed il giovane inesperto apprendista vengono associati dalla stessa autrice a Virgilio, conoscitore dei due mondi, e Dante il ricercatore della chiave di lettura della vita. Quello che si dà per scontato all'inizio sui ruoli dei due personaggi viene rimesso in discussione dagli imprevedibili eventi ed incontri durante questo breve viaggio. E sarà ancora una volta un evento occasionale, la vista di una statua-lampione, l'artificial nigger per l'appunto, in un giardino di una periferia, a riportare l'ordine nella relazione dei due. La riappacificazione tra il nonno ed il nipote, sebbene la relazione sia permanentemente modificata dall'esperienza del viaggio, comporta tristemente il rafforzamento delle paure del giovane che non vorrà rimettere mai più piede in città, e la permanenza dei vecchi pregiudizi. L'adattamento teatrale del racconto della O'Connor, curato dallo stesso Bill T Jones, viene letto in scena da attori che disegnano, con la loro camminata e pause, un quadrato periferico sul palcoscenico. Di tanto in tanto i due attori accompagnano i danzatori - o sono i danzatori ad accompagnare le voci narranti? - come un autore fa con i propri personaggi. La scenografia, firmata da Bjorn Amelan, ha un minimalismo quasi simbolista. La luna, una presenza determinante nel racconto che modifica scene ed atmosfere della città, sul palcoscenico è un cerchio ipnotico che si trasforma continuamente, trasformando lo spazio di luci. La musica di Daniel Bernard Roumain, accompagna i cinque energici duetti talvolta sincronizzati e simmetrici sul palco, talvolta ripetuti a distanza di tempo. Lo stile coreografico di Jones è riconoscibile dalla presenza di una gestualità descrittiva delle mani, accanto a linee più

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astratte in cui si mettono continuamente in gioco pesi e stabilità d'equilibri. I dieci giovani danzatori indossano una divisa maschile grigia, urbana. Più che a neutralizzare le differenze etniche e di genere dei danzatori, la divisa sembra voler sottolineare una certa democraticità nei ruoli. Quello che ha da sempre reso unica la Bill T Jones-Arnie Zane Dance Company in fondo non è tanto il semplice essere una compagnia multietnica, con grandi talenti provenienti da tutto il mondo (Denis Boroditski dalla Russia, Asli Bulbul dalla Turchia, Weng-Chung Lin da Taiwan, Erick Montes dal Messico, mentre gli altri sono americani, e afro-americani: Germaul Yusef Barnes, Catherine Cabeen, Lea Cox, Shaneeka Harrell, Ayo Janeen Jackson, Malcom Low) ma quello di riuscire a mantenere riconoscibili le personalità culturali di ciascun danzatore. Nella loro convivenza interattiva sta in parte la forza della compagnia. Jones, nel lavoro d'adattamento teatrale, non commenta o traduce la storia, non la interpreta neppure, ma giustappone azioni danzate che non corrispondono a quello che viene letto. Quasi volesse creare uno stato di allerta negli spettatori, suggerendo di usare i sensi indipendentemente, senza fidarsi passivamente di uno solo, perché a volte il racconto può differire dal fatto. La strategia di rendere consapevole il pubblico del proprio ruolo, cercando di rompere la velina trasparente e separatoria tra palco e spettatori, ha sempre fatto parte delle performance di Jones, ora forse in modo meno diretto e quasi subliminale. Se la storia di Flannery O'Connor non è esplicitamente una storia sulle differenze di razze, forse la scelta da parte di Jones non è del tutto casuale. Nello stesso periodo in cui si è celebrato l'anniversario della compagnia, si poteva vedere all'lnternational Centre of Photography una maestosa e ricca raccolta fotografica dal titolo Only Skin Oeep: Changing the Visions of the American Self a cura di Coco Fusco e Brian Wallis. L'obiettivo della mostra non è stato tanto quello di stabilire la persistenza o no del razzismo nella società americana, ma di capire come l'immagine fotografica, non solo quella d'autore ma tutte le immagini parte della nostra quotidianità che hanno lo scopo di rappresentare una società, continui a farci "vedere" (e con quali strategie e tecniche) le differenti razze. In un qualche modo credo che entrambi i lavori vogliano mantenere aperto un discorso (creare uno stato d'attenzione, appunto) che erroneamente viene dato per concluso e risolto in queste nostre società democratiche. Come sostiene Toni Morrison nel suo Playing in the Dark, «il razzismo è in buona forma oggi tanto quanto durante l'Illuminismo», e continua a sopravvivere, proprio attraverso una falsa visualizzazione del problema come risolto dalle immagini propagandate dalla cultura di massa, che costruiscono e modificano il nostro immaginario. •


Ferrara e Tori.no

guire, rasentare il catatonico. Quasi del tutto assente, se non con marginali proposte, la drammaturgia del presente di casa nostra; con il contagocce gli appuntamenti con le compagnia straniere; e una sola rassegna, il già glorioso Torinodanza riemerso dalla sue ceneri sotto rinnovata forma o formula (ecco, fin dalla passata stagione, quelli che sono stati chiamati Focus) e ispirato a una visione "global" della scena. Cioè balletti dove entrano in gioco e in maniera vistosa nuove tecnologie, segni grafici, mediazioni letterarie e anche quel circo o nouveau cirque che sta tra le passioni predominanti del suo giovane e ben determinato direttore artistico, Gigi Cristoforetti. Il quale per il primo Focus di quest'anno, il Focus 3, ha puntato sul tema dei "Corpi virtuosi" (quelli che seguiranno, a Calendimaggio e poi a cavallo dell'autunno, avranno per soggetto "La danza crudele" e "La musica del corpo"). Modi diversi di intendere il virtuosismo e, talvolta, un virtuosismo anche fine a se stesso. Il caso, ad esempio, di La Sincope du 7 della coreografa belga Fatou Traoré. O un virtuosismo, ancora, che cerca di saldarsi a un solido impianto drammaturgo e però fallisce lo scopo. Il caso più eclatante è Chantier Musi/ di François Verret, cioè uno dei più importanti ex della nouvelle danse di Francia. Il "cantiere" del titolo è una grossa intelaiatura meccanica sulla quale e intorno alla quale si danno da fare acrobatici danzatori e il grande autore austriaco funge da colonna vocale grazie alla lettura di estratti da L'uomo senza qualità, libro cult degli anni Sessanta. Le parole di Musil ci portano alla vigilia del primo conflitto mondiale, all'incubo della guerra, alla follia collettiva, ai crimini che sconvolgono una metropoli. Su due schermi appaiono figure bizzarre e temibili alla maniera di Bacon. Salvo pause silenziose, violento è il tessuto musicale. Alla fine: molto rumore per nulla. Il verbo di Musil non sedimenta nello spettatore, e i giochi coreografici sanno d'antan, cioè anni SettantaOttanta. Uno sperpero di movimenti a terra, atti ginnici e rotolii. Nessun messaggio da portar via dopo una serata uggiosa. Tutto al contrario, insomma, dei "corpi virtuosi" lasciatici invece in eredità da Alwin Nikolais, omaggiato al torinese Focus 3 con una splendida retrospettiva di sui balletti fatti rivivere dalla compagnia che ancora porta il suo nome e guidata da Murray Louis. Scomparso nel 1993, è un sommo anche Nikolais, come la grande Martha. Un grande delle scoperte visuali; teorico della "motion" (di contro all"'emotion"). I suoi lavori, quasi sempre con musica elettronica, si presentano come opera d'arte dinamica astratta e metamorfica, con i corpi dei danzatori in costumi bizzarri e deformanti su cui proiettare diapositive con sapienti effetti illusionistici. Di fronte al nuovo che non c'è, o almeno in casa nostra non si vede, in attesa di un nuovo transatlantico che parta, due vecchie navi da crociera sicura: la fantasia di Nikolais, il genio della Graham. •

NIENTE DI NUOVO

(tranne

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vecchi miti)

di Domenico Rigotti

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sempre un fatto di cultura oltre che un grande godimento estetico ritrovare sulla scena le opere di Martha Graham, la grande vestale della modem dance. Significa l'incontro con un'armonia di linee, la coerenza di un universo espressivo; significa felicità d'invenzione, rigore e purezza di disegno. La Graham è scomparsa nel 1991. Il suo messaggio continua ad essere portato nel mondo dalla Compagnia che reca il suo nome e che dopo un periodo di insicurezza ha trovato, grazie anche alla presenza forte e coraggiosa di Terese Capucilli, già danzatrice prediletta di Martha, e di Christine Daken che ora la guidano, il suo posto bello e ci si augura definitivo dentro l'universo della coreutica di oggi. Dopo anni di assenza, la Martha Graham Dance Company ha ritrovato anche la via italiana ed è stata ospite di cinque importanti teatri e città della penisola. E in testa, il Comunale di Ferrara, una delle poche sedi dove si crede ancora, e a fondo, nel valore della danza, dove la compagnia americana si è ripresentata con una serie di opere fra le più fulgenti e vive dell'artista americana e il soffio della "grande signora" ad aleggiare sui forti e ben preparati danzatori. Quella che si è rivista è stata un'antologia preziosa, dedicata a due fra i momenti più fervidi della parabola grahamiana. Quello che fa perno sui grandi temi del mito e della religione e quello legato all'osservazione del vivere contemporaneo con le sue ansie, le sue angosce, le sue paure legate alle guerre e alle ingiustizie del mondo. Ed ecco appartenente al primo nucleo, oltre all'elaboratissimo, ma oggi piuttosto sfiorito, Circe e al naif e popolaresco El Penitente, lo storico e perfetto Errand in the Maze, un gioiello valorizzato dalla musica di Giancarlo Menotti e dalle preziose strutture filiformi di lsami Noguchi. Esempio, Errando nel labirinto, di suprema chiarezza e concisione nel rileggere la storia di Arianna che lega e slega il filo freudiano del suo amore-ripulsa per l'uomo-toro. Ma il momento forse più alto e pregnante ad arrivare in finale di programma con gli Sketches from "Chronicle", lavoro del 1936 su musica di Riegger, è un balletto di contestazione delle dittature per cui la Graham fu considerata a suo tempo politicamente "sospetta". Tre splendenti spezzoni isolati di Spectre - 1914 (un cupo e folgorante "a solo" affidato alla bravissima Fank Yi Seu che è sembrata far rivivere il fantasma stesso della Graham), di Steps in the Street e di Prelude in action. Tre sequenze incandescenti che rivelano sotto la stupefacente superficie formale una sostanza creativa densa di inquietudine. È di una intensità emotiva straordinaria, un autentico capolavoro, soprattutto Steps in the Streets. Una marcia di nerovestite Erinni, a salti, a balzi, a percussioni con i piedi nudi. Un cammeo di sconvolgente intensità. Che testimonia l'inossidabile modernità della "grande madre" della danza americana. La Graham "fiore di serra" tornato a sbocciare in questo "inverno del nostro scontento", perché mai come in questi mesi invernali il teatro-danza è parso lan-

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Nelle pagine precedenti, Bill T Jones; a sin. François Verret.

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e R I T I e H E R O& C O N T R Q____________________________ _ L'anomalo bicefalo

Berlusconi nel salotto del giullare L'ANOMALO BICEFALO, di e con Dario Fo e Franca Rame. Testo, regia, scene e costumi di Dario Fo. Musiche di Fiorenzo Carpi. Con Dario Fo e Franca Rame. Prod. C.T.F.R. srl, MILANO

a tournée dell'Anomalo bicefalo si è da poco comelusa con una trionfale serata al Forum di Assago, alle porte di Milano: 2000 biglietti venduti e maxischermi all'esterno per dare la possibilità, a chi era rimasto fuori, di "assistere" allo spettacolo. Stessa infilata di sold out ha accompagnato l'ultima fatica di Dario Fo e Franca Rame nel corso di tutte le repliche. Buon segno. Segno che c'è ancora un'ampia fetta di pubblico che non ha perso il gusto del divertimento intelligente e della "giullarata" che risveglia il pensiero. «Guai a un paese dove non si sa ridere di se stessi e dei propri governanti, soprattutto di questi ultimi», diceva Voltaire, e Dario Fo lo cita spesso. E per ridere dei nostri governanti non c'è neanche più bisogno, purtroppo, di inventarsi chissacché. Questo vuol dire che la verve satirica della drammaturgia della celebre coppia si è indebolita oppure che oggi la satira ha preso altre forme? Certo, altre loro pièces erano ben più strutturate. Ma è anche vero che, in epoca di media totalmente inaffidabili, la funzione della satira (penso anche a Grillo e Luttazzi) è diventata principalmente quella di informare. E allora mi pare perdonabile che il comunque geniale pretesto narrativo - entrambi vittime di un attentato, Berlusconi e Putin vengono in qualche modo "assemblati" . Come un novello Frankenstein, al primo viene trapiantato un pezzo del cervello del secondo, per il resto irrecuperabile. L'operazione riesce , ma il nuovo Presidente del Consiglio ha

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ora un'anima divisa in due e la parte russa non riconosce più né approva quella italica, creando esilaranti cortocircuiti di memoria e di coscienza - non venga sviluppato più di tanto per lasciare spazio alla nuda cronaca. Sono fatti e misfatti dei nostri governanti che, in buona parte, già conosciamo, ma che non dobbiamo stancarci di ricordare, con l'unico sollievo della risata che, comunque, castigat mores. E poco male se Dario e Franca stanno in scena come nel salotto di casa, battibeccando come una qualsiasi coppia di vecchi coniugi. Il teatro è sempre stato la loro vita e l'essere coinvolti come complici in questo "rituale domestico" annulla le distanze tra chi il teatro lo fa e chi lo va a vedere. Intanto loro, con un occhio al recente Ubu bas (quasi uno spettacolo preparatorio) e uno al Fanfani rapito, irresistibile farsa del 1975, in cui Fo già compariva, con vecchio trucco da comico dell'arte, come un clownesco nanerottolo, ci ricordano che della verità si può ridere, ma prima bisogna conoscerla e raccontarla. Come moderni giullari. Claudia Cannella anomalo bicefalo mette inconsapevolmente in scena l'impossibilità della satira in un'epoca dove la politica è diventata spettacolo e il teatro ha smarrito la propria peculiarità ' espressiva. L'allestimento manca di una vera e propria azione scenica che non sia la continua iterazione di gesti e codici ormai già visti. Peccato che alla brillante idea di un Presidente del Consiglio rimasto bicefalo - in seguito all'innesto di una porzione del cervello di un Vladimir Putin ormai morente - Dario Fo non abbia unito la sua straordinaria capacità linguistica di inventarsi un personaggio realmente bilingue e schizofrenico. Così la trovata diventa un macchinoso stratagemma per consentire allo spettatore di venire a conoscenza dell'irresistibile ascesa di un Silvio Berlusconi smemorato e per questo costretto ad ascoltare incredulo le proprie vicende giudiziarie raccontate, con compiaciuta ironia, dalla moglie Veronica (Franca Rame). La drammaturgia dello spettacolo denuncia la tragedia di una satira che non riesce più a deridere, indignare, smascherare e fustigare il potere perché appiattita ai codici espressivi di una com icità televisiva. I finti litigi e le baruffe in scena della coppia Fo-Rame, più che ispirarsi libe-

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OMBARDIA ramente alla commedia dell'arte, sembrano concedersi un po' troppo agli sketch televisivi di Casa Vianello. Date queste premesse avremmo preferito sentir leggere esplicitamente in scena le numerose pagine di Repubblica o dei tanti libri di Travaglio (le cui riflessioni il testo di Fo ripropone con precisione filologica) o ascoltare le domande di Michele Santoro a un Marcello Dell'Utri eludente, piuttosto che assistere ad un finto blob mediatico sulla deficienza televisiva delle sole reti Mediaset proiettato sul fondale della scena. I momenti più interessanti restano quelli in cui Fo, con l'ausilio di un bravissimo mimo e di alcuni pupazzi, svela i meccanismi scenici del suo fare teatro. Per il resto ci domandiamo se non bastassero già le intercettazioni telefoniche, i lifting, le barzellette, le menzogne, le gaffe, le assurdità, i giuramenti sulla testa dei figli e i deliri di religiosa onnipotenza ai quali da tempo siamo stati abituati. Da una coppia di artisti come Dario Fo e Franca Rame che conoscono estremamente bene i vizi e le assurdità di un'intera classe politica - continuiamo ad aspettarci qualcosa di più di una semplice citazione dell'anomalia berlusconiana. Lo spettacolo rischia così di trasformarsi in una giullarata di corte tanto più innocua quanto più simile a un rito consolatorio dal sapore vagamente autoassolutorio. Come una sorta di esorcismo politico gratificante per la gioia irrefrenabile di una parte del pubblico compiaciuta e colpevolmente seppellita da una risata tutt'altro che innocente. Dimitri Papanikas

Una Bisbetica senza veli LA BISBETICA DOMATA OVVERO L'INIZIAZIONE DI SLY, da William Shakespeare. Adattamento, regia e scene di Antonio Latella. Costumi di Annelisa Zaccheria. Luci di Giorgio Cervesi Ripa. Con Giovanni Franzoni, Paolo Giovannucci, Massimiliano Paggetti, Fatima Martins, Cristiano Nocera, Giuseppe Sangiorgi. Prod. Elsinor Teatro Stabile d'Innovazione, MILANO.

Arrivato al suo ottavo incontro, o scontro, con Shakespeare nel volgere di solo quattro o cinque stagioni, Antonio Latella, regista diventato per molti quasi un cult per quel suo modo" estremo di fare teatro (qualcuno ha già provato a definirlo il Nekrosius italiano), incappa in un errore di percorso (in verità, gli era già avvenuto con il precedente La Tempesta) e il materiale acceso, la miccia forse troppo corta, gli frana fragorosamente addosso. Intendiamoci, non che le intenzioni che muovono questo La bisbetica domata o l'iniziazione di Sly siano da scartare in toto. Anzi. Latella ha talento ed è mosso da idee non certo peregrine anche se forse non del tutto nuove. E l'idea base, insieme all'altra che le lotte d'amore tra sessi sono dure, spietate e spesso cruente se non mortali, è quella che tutto nella vita e nel teatro è finzione. Che il travestimento serve solo a mascherare ciò che noi siamo veramente. La nostra più vera intimità. Ma è proprio il continuo ed esasperato gioco dei travestimenti, quel soffocante tour de torce cui vengono sottoposti gli attori (denudati e vestiti, al punto che l'atmosfera diventa morbosa; ma chissà forse questo voluto perché fa tendenza) che finisce col nuocere all'operazione. In quello spazio che rimanda a un teatro di varietà,_ma un

tantino anche a un bordello, Latella movimenta una specie di viaggio agli Inferi dove è continuo, frenetico scambio d'identità con prospettive che a un certo punto non sono più riconoscibili. Gli attori, i costumi anche permettendo, si scambiano con frenesia i ruoli o sommano su se stessi i vari ruoli (a cominciare da Paolo Giovannucci che da Sly diventa Petrucho, ma soprattutto l'impegnatissimo Giovanni Franzoni che è Caterina la bisbetica ma a un tempo anche la sorella Bianca, la gattamorta di casa, fino a che i due personaggi si fondono in uno solo). Ma il gioco, a un certo momento, si fa stucchevole. E stucchevole anche perché poco chiara, confusa è la drammaturgia. E la cifra espressiva insegue troppo strade. L'espressionismo va a braccetto al tanto caro (a Latella ) teatro della crudeltà di artaudiana matrice, il varieté al sofisticato cabaret. Alla fine, nonostante qualche momento, qualche immagine di indubbia presa emotiva, i troppi elementi messi insieme, il troppo affollarsi di segni e di figurazioni come in quadro di Jeronymus Bosch finiscono coll'offuscare il disegno che il regista aveva in mente. Ci si ferma al "cartone" scarabocchiato e non s'arriva al quadro. Domenico Rigotti

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In queste pag., Dario Fo e Franca Rame in alcuni momenti de L'anomalo bicefalo {foto: Paolo Ruffini); in basso, due attori della Bisbetica domata secondo Latella.


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eLOMBARDI HE A·-·-·-·-·-·-·-·-·-·-·-·-·-·-·-·-·-·-·--·-·-·-·-·sopravvivenza. Clov, a un certo punto, vede un bambino fuori della finestra e decide di andarsene. Hamm si copre il volto con un fazzoletto, resta seduto sulla sua sedia a rotelle perpetuando la propria infernale attesa. Questa in sintesi la trama. Come spesso accade nei testi di Beckett, la sostanza di quanto esplicitato sulla scena significa proprio l'opposto di ciò che si rappresenta. Alla frenesia verbale di Hamm, infermo per vocazione, si oppone la sardonica fisicità ricolma di tic di Clov. I dialoghi creano una realtà che, per paradosso, denuncia tutta la propria inconsistenza e finitezza. L'ironica lettura di Loris, cui magistrali Pierobon e Genovesi hanno

offerto corpo e voce, è stata senz'altro assai efficace. L'orizzonte di disperazione che Clov scruta dalle. finestre della stanza di Hamm è una volta di più la solitudine in cui si bagna il mondo. Solo un riso amaro può soffocare il grido di disperazione e pena che sorge nel petto di chi guarda. Alessandro Tacconi

Goetz tra bene e male IL DIAVOLO E IL BUON DIO, di Jean Paul Sartre. Regia di Annig Raimondi. Scene e luci di Fulvio Michelazzi. Costumi di Nir Lag ziel. Con Annig Raimondi, Paolo Bignamini, Ruggero Dondi, Maria Eugenia D'Aquino. Prod. Teatro dell'Arsenale, MILANO.

Global p aella on stage oglio la testa di Garda» recitava NOTE DI CUCINA, di Rodrigo il perentorio titolo di un mitico Garcìa. Regia di Lorenzo Loris. western-spaghetti: «Voglio un Scene di Daniela Gardinazzi. Costumi di Nicoletta Ceccolini. testo di Garda» è il grido del teatro in voga- Con Gigio Alberti, Elena Callegari, nouvelle vague. Un po' global-paella. Don Mario Sala. Prod. Out Off, MILANO Rodrigo, bad boy della scena internazionale, è - Istituto Cervantes, MILANO. uno dei Bravi (bravissimi) del momento: viene da Buenos Aires, dov'è nato nel '64, opera a Madrid. Il suo gruppo si chiama La Camiceria: elementi costitutivi l'acida ironia del compianto Copi e la furia scenica di La Pura del Baus. Ora a Milano è in scena il suo lavoro del '94, Note di cucina. Il regista Loris appronta, nell'arena del teatro Out Off di via Duprè, un'allucinante cucina con tre pareti-megascreen dove si muovono i tre interpreti della piéce. Sono: lo stralunato Gigio Alberti, l'allarmante Elena Callegari e Mario Sala, con una faccia da Hinkler Charlot nel capolavoro cinematografico Il grande dittatore. Il trio esegue la partitura drammaturgica di Garda atonalizzata su una sonorità alla Kagel con impressionante perizia. E intanto cucina. E sugli schermi i rimandi d'immagine rimandano al filmaker Bob Viola (il progetto visivo è firmato da Dimitris Statiris e Stefano Bruscolini). Il testo sciorina irresistibili attacchi alla pubblica istruzione (sempre viva il ricordo di Ivan Ilich e il suo appello alla descolarizzazione della società!) e sogni trasgressivi al ristorante e al grand'hotel: nouvelle cusine teatrale capace di accostare Céline a Niki Lauda. Un padre ubriaca il figlioletto di anice con ghiaccio prima di portarlo a scuola a sopportare la (sotto) cultura della «maestra-troia», poi, a casa, gli insegna a divertirsi con Joyce. Un invito chez Maxim si trasforma nell'umiliazione di chef e maitre davanti a un piatto di patatine di McDonald's, inaffiate di supervino di grande annata. Una notte nella suite regale di un albergo stellare viene attraversata da un'arca di Noè di poetici/patetici animali alla Ligabue (il pittore, non il cantante, veh!). E via di questo passo, a passo di carica tra convenzioni teatrali allegramente calpestate e convinzioni sociali bellamente sbertucciate. Fino a un matrimonio celebrato allo stadio Santiago Bernabeu con l'intera squadra madrilista a far da sfondo. Bigio di chiome, Gigio c'incanta con folgoranti ricette come questa: «una coscia di rana sopra una foglia di dente di leone». Nero di baffetti, Sala mastica e forbisce un bizzarro, accattivante accento lombardo post-testoriano e metamazzarelliano. Ingrugnata d'espressione, Callegari intona alla perfezione elenchi arbasiniani di pugili e titoli mozartiani, emozionando a freddo (e a crudo) con una sorta di litania del piacere femminile. Spettacolo strepitosamente attuale. Ci si augurano uno, dieci, cento Garda. Fabrizio Calefft ( (

In alto gli interpreti di Finale di partita di Beckett, regia di Lorenzo Loris.

FINALE DI PARTITA, di Samuel Beckett. Traduzione di Carlo Fruttero. Regia di Lorenzo Loris. Scene . di Daniela Gardinazzi. Costumi di Nicoletta Ceccolini. Consulenza musicale di Andrea Mormina. Luci di Monica Gorle. Con Paolo Pierobon, Alessandro Genovesi, Giorgio Minneci, Elena Arcuri. Prod. Teatro Out Off, MILANO.

Hamm, padre cieco e infermo sulla sedia a rotelle, e Clov, (forse il figlio adottivo) destinato a stare in piedi per sempre, vivono in uno spazio senza tempo, chiuso da quattro mura. Alle pareti due finestre in alto, che si raggiungono per mezzo di una scala, da cui si intravedono la terra e il mare. Sulla scena vi sono due bidoni per i rifiuti, in cui sono imbottigliati i corpi mutilati di Nagg e Nell, genitori di Hamm, che hanno perso le gambe in un incidente stradale mentre pedalavano su un tandem. I vecchi, di tanto in tanto, implorano la pappa e ricordano senza rimpianti i maltrattame11ti inflitti al figlio. Il legame tra Hamm e Clov si costituisce sulla falsariga di giochi di parole, che evidenziano una reciproca dipendenza per la

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e RI T ·-·-·-·-·-·-·-·-·-·-·-·-·-·-·-·-·-LOMBARDI A Nel vicino centenario della nascita (1905), è piuttosto diffusa l'opinione che il teatro di Sartre sia diventato inattuale, dunque improponibile, dopo il tramonto dell' engagement ideologico, con la conseguente archiviazione del teatro delle idee. Ma è sufficiente - come va facendo il milanese Teatro dell'Arsenale - che i testi sartriani destinati alla scena vengano riletti senza intoppi ideologici o astratte semplificazioni, come drammi dell'esistenza al di là e al di sopra delle convinzioni politiche che li avevano determinati, perché ricevano l'attenzione di un nuovo pubblico. È questa l'impressione che si ricava registrando l'interesse che gli spettatori della sala di via Cesare Correnti, anagraficamente giovani nella loro maggioranza, stanno dedicando a un "progetto Sartre" cominciato con la riproposta di Le mani sporche, e proseguito con Il diavolo e il buon Dio. E così Le mani sporche diventa oggi, nella proiezione di una tragica allegoria, il problema ancora straordinariamente attuale del conflitto, in certi casi lacerante, fra la salvaguardia dei valori assoluti e il cinico determinismo della politica. Non avrei assistito all'Arsenale a una rivisitazione museale del teatro delle idee del dopoguerra? Quella di uno scontro manicheo fra il male e il bene tutto consumato nella sola, superba coscienza del mercenario Goetz, prima in rivolta contro Dio e poi, dopo la partita ai dadi truccata, al servizio del Cielo: ma sempre in orgogliosa solitudine, escluso dalla Grazia, fino a scoprire che «il Cielo è vuoto» per chi non ha nulla da dare? È accaduto invece - lieta sorpresa - che l'allestimento di Annig Raimondi tutto lampi impressionisti e grotteschi, sul filo di un'ironia graffiante nel suo minimalismo situazionista, abbia di molto ridotto la retorica ontologica della pièce e lo schematismo filosofico dell'assunto. Per puntare invece sul rovello autenticamente "esistenzialista" di Goetz, facendone una riflessione aggiornata, balenante di invenzioni sceniche, sul tema antico (da Sofocle a Camus) della responsabilità del proprio destino da parte dell'uomo. Al fuoco di situazioni che sempre mutano, l'uomo sconfitto come Goetz se si misura soltanto con se stesso - non può non vivere il dramma dell'esistenza comune. Ne risulta come un aggiornamento del teatro di Sartre. Ugo Ronfani

Quando la vita fa notizia LE NOTIZIE, di Carlo Fava e Gianluca Martinelli. Regia musicale di Beppe Quirici. Con Carlo Fava, Vittorio Marinoni, Beppe Quirici. Prod. Adele Di Palma e Maurizio lotti, MILANO.

Pensieri e sentimenti, tra pubblico e privato, sono le coordinate entro cui Carlo Fava e Gianluca Martinelli hanno costrui-. to il loro nuovo spettacolo, Le notizie, uguale e diverso dal loro precedente Personaggi criminali. Ugùale perché appartiene allo stesso genere, quel "teatro-canzone" a cui si abbina fatalmente il nome di Giorgio Gaber. Diverso perché non di bizzarri e inquietanti malavitosi si parla, bensì di quel che di grande e piccolo compone le nostre vite quotidiane. Ci sono le notizie del telegiornale, gli amori perduti al tavolo da ping-pong, partite di calcio che all'incontrario vanno, l'ltalietta becera delle televendite, che non legge il giornale e si perde nel mercato globale, confondendo Topolino con Gramsci. Il quadro non è certo rassicurante, ma il tocco leggero dell'ironia stempera disillusioni e malinconie. Cantante, musicista, attore, Carlo Fava, dietro il suo pianoforte, alterna brevi monologhi e canzoni, accompagnato alla batteria da Vittorio Marinoni e, al basso, da Beppe Quirici, che firma anche la regia musicale e che, guarda caso, è stato il produttore dell'ultimo Gaber. Ma anche altri sono gli echi che risuonano tra le notizie del nostro scontento. C'è il sapore pungente del primo Kurt Weill con le sue ballate popolaresche dal retrogusto amaro, l'intimismo struggente dei cantautori francesi, ma anche un pizzico di De Andrè e di Paolo Conte. E così, al posto dei mitici criminali affogati nella nebbia del Giambellino, ecco l'uomo flessibile che ci sa fare con la vita ma non con la felicità, la famiglia e i cellulari, il teatrino della politica e l'amore ai tempi del digitale. Insomma, «se fossi il futuro mi vergognerei», come dice il refrain della canzone che apre e chiude lo spettacolo. Claudia Cannella

Il dolore che spacca in due LA NUMERO 13, di Pia Fontana. Uno studio di Elio De Capitani. Luci di Nando Frigerio. Con Cristina Crippa. Prod. Teatridithalia, MILANO - Outis-Centro Nazionale di Drammaturgia Contemporanea, MILANO.

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Parafrasando il poeta inglese Gray, Capitani ci propone, toccando la quasi invisibile nostra drammaturgia contemporanea, un'elegia nel Cimitero monumentale di Milano. Un monologo al femminile (pubblicato su Hystrio 1.2004) che racconta la schizofrenia di una donna trasformata in poesia, costretta a trovare un doppio, una sorella immaginaria nella quale sublimare il dolore per la perdita di una figlia. Un'anima metropolitana che traduce nella sua testoriana milanesità il mithos dell'antica tragedia. Nello spazio Expo di Milano, un open space dall'essenzialità industriale colonizzato dal teatro, Cristina Grippa dipinge col giallo, amato dalla figlia scomparsa, le pareti con la cromatica frenesia di Van Gogh e la sfacciata grandiosità spaziale di Polloch. Anima buona e cattiva di Sezuan, questa donna, assumendo come correlativo oggettivo la scultura tomba numero 13 del Monumentale, un angelo senza testa, si abbandona ad un ininterrotto flusso di coscienza alla ricerca di una impossibile catarsi, di una gaddiana cognizione del dolore. L'attrice con la sua dolorosa agilità si arrampica e si muove nella sua bianca cattività obbedendo all'imperativo del paint it yellow. La sua interpretazione ricorda a tratti la provocatoria garçonerie della Moreau truffautiana. La sua fonazione è il risultato di una psicosi interpretativa e se da una parte incarna il sospeso flautistico pudore dell'io artistico, proiezione delle pulsioni della figlia, dall'altra si lascia sporcare da una clocharderie che lascia sulla laringe il catrame degli "uomini da marciapiede". Danilo Caravà

Ridere Aspettando Godot ASPETTANDO GODOT, di Samuel Beckett. Progetto e regia di Massimiliano Cividati. Musiche di Rhapsodija Trio. Con Marco Cacciola, Silvio da Rù, Pietro Pilla. Prod. Aia Tausmatica - Teatro Lifta, MILANO. ·

Per realizzare questo lavoro beckettiano il regista ha grattato il nitrato d'argento dalle pellicole delle vecchie comiche americane. La coppia archetipica del Clown bianco e dell'Augusto, tradotti nella vulgata cinematografica d'Oltreoceano in Stanlio e Ollio, rivive qui in una lettura

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e RI T I e HE LOMBARDI A_·-·-·-·-·-·-·-·-·-·-·-·-·-·-·-·-·-·-·-·-·-·drammaturgica suonata sulla tonalità dell'irresistibile leggerezza del comico. I Rhapsodija Trio regalano i colori della vivace e poetica cialtroneria gitana delle anime morte del regista balcanico Kusturica. L'idea di trasformare Lucky nell'oggetto-scopa oltre a un semiologico slittamento del significante nel significato, sembra proporci l'irrivirenza di un'opera di Duchamp o una felice intuizione brechtiana sull'alienazione dell'uomo contemporaneo. La cabina di legno nella quale Vladimiro ed Estragone cominciano, o meglio ripetono, la loro attesa è una sorta di improbabile rifugio o anche l'oscillante baracca nella quale è giocato il finale della chapliniana età dell'oro. Il tempo circolare della piecè, grottesca versione del nietzchiano eterno ritorno, dà lo spunto per costruzione di lazzi, di categorie del com ico che girano volutamente a vuoto al di là dell'evento empirico. La vocalità, un po' fumettistica del barbuto Pozzo, straniato Barbablù con fonemi grattati e orcheschi, completa questa chiave di lettura che si scrolla con la sua livresse, forse troppo disinvolta, le geometriche e metafisiche interpretazion i della tradizione. Danilo Caravà

Argentina, miseria e borghesia GENTE COME UNO, di Manuel Ferreira e Elena Lolli. Regia di Elena Lolli. Fotografie di Bruna Orlandi tratte dalla mostra "Que se vayan todos". Luci di Andrea Violato. Con Manuel Ferreira. Prod. Alma Rosé, MILANO.

Manuel Ferreira sta su una scena spoglia da narratore, tra una sedia qualche oggetto e un microfono, ma non resta a lungo fermo nel suo monologare. Presto inizia a misurare lo spazio a passi rapidi, a salti, di corsa, con un'energia che cresce insieme all'urgenza di quello che racconta . Rabbia, dolore, stupore gli mettono corpo e voce in movimento, fino all'affanno, a volte all'eccesso, men-

tre racconta l'Argentina di oggi: quella che lui, argentino trapiantato in Italia, si è trovato davanti nell'ultima visita a Buenos Aires. Un paese privato di tutto, in cui i bambini muoiono di fame e dove la "gente come uno", ovvero la normalissima classe media assuefatta al consumo rateale e senza limiti nei centri commerciali , non ha soldi in tasca per cibo, casa, medicine. Come ciò sia potuto accadere, è la domanda da cui sorge Gente come uno e che Ferreira prende su di sé da testimone-attore, incarnando via via se stesso, sua madre che pratica il baratto, gli amici manager disoccupati, i "cartoneros" che separano l'immondizia. Ma anche le donne che battono le pentole, perché infine questa classe media è scesa in piazza, unita, per non farsi più spazzare via dalla propria cieca passività e distrazione. E vediamo un teatro politico giovane e generoso che nega ogni distanza tra sé, attore e pubblico, e che ci inquieta come fosse uno "specchio del nostro sonno". Gente come uno di Alma Rosé (la compagnia nata nel 1997 con il Premio Eti Scenario per l'anonimo spettacolo) è inserito nel progetto teatrale collettivo milanese "Memoria del Presente" a cura di Annabella Di Costanzo, Manuel Ferreira, Elena Lolli. Emanuela Garampelli

Messa nera per Macbeth MACBETH, da William Shakespeare. Progetto e regia di Corrado d'Elia. Scene di Fabrizio Palla. Costumi di Enza Bianchini. Con Marco Brancato, Margherita Di Rauso, Guglielmo Menconi, Maria Pia Pagliarecci, Elisa Pella, Marco Brambilla, Davide Palla, Fabio Paroni. Prod. Teatri Possibili, MILANO.

Non manca di una sua fascinazione questo Macbeth, aspro, duro, allestito da Corrado d'Elia e che segna il suo terzo incontro, Otello e dopo Romeo e Giulietta, con il Bardo. Certo riserve sarebbero da farsi, e parecchie. Sul piano del plot, per cominciare. Nell'ansia di arrivare al nuclèo

centrale, d'Elia scarnifica, riduce a man salva, toglie personaggi giganteschi (Marcduff per cominciare). E la povera Lady Macbeth viene privata della scena del sonnambulismo. Dal copione con troppa furia strappa via vers i, anche i più folgoranti, e riduce l'azione a cinquanta minuti di spettacolo. Un record. E però non manca di lasciarci un segno, e forte. A d'Elia non preme "illustrare" , e tantomeno dissacrare, come ha fatto Carmelo Bene e dietro di lui una serie di accoliti, interessa piuttosto puntare direttamente su quel tema del male e della follia omicida che divora Macbeth, il guerriero generoso e che però dopo l'incontro con le streghe scivola in un incubo, in un'ossessione dove la Storia prende l'aspetto di un meccanismo che via via va in folle e la coscienza subisce la violenza di un volano che la dilania e la distrugge. Lo divora insieme a quella sorta di alter ego che è la sua Lady (Margherita Di Rauso in pieno vigore di mezzi, la voce acre e scura come si conviene a un personaggio terribile). Quella follia sempre presente nella storia dell'umanità e soprattutto nel nostro tempo. Sulla scena, Macbeth (il bravo e sotto sforzo Marco Brancato) monologa il proprio delirio e non le proprie ragioni: testimone di ciò che ha perduto, il sonno per un verso e per l'altro la luce. Vive in una notte perpetua, in una veglia ininterrotta attraversata da allarmi, da gemiti indecifrabili, da orribili vis ioni che lo gettano in un'ansia senza nome e maledetta . Chiuso in una scatola nera (idea vincente anche se non nuova. Anche il Macbeth di Glauco Mauri era prigion iero di una stanza nera attraversata come qui da coni e lame di luce) che è luogo artificiale e astratto della coazione e del destino. Il Macbeth di d'Elia, ridotto a un'idea mentale calato in un'atmosfera orgiastica e ritual istica da messa nera (sfondo sonoro le canzoni di Marilyn


LOMBAR Manson e Diamanda Galas) che anche ci ricorda una chiacchieratissima edizione inglese (e che come questa sdegnava la musicalità del testo) degli anni '70 della Royal Shakespeare Company con Nicol Williamson. Certo quella con mezzi più fastosi, qui tutto più al risparmio. Anche se non certo risparmio di energie e di coraggio. Il coraggio di andare controcorrente per conquistare un nouveau publique. Quello che non si è mai scontrato coi versi smaltati e granitici di un certo poeta di nome Shakespeare. Domenico Rigotti

Il doppio in sala d'attesa LA COSM ETICA DI AM ÉLI E, dramma turgia, regia e scenografia di Corrado Accordino. Scene e costumi di Ma ria Chiara Vita li. Con Corra do Accordino, Al essandro Conte, La ra Fra nceschetti. Prod. Teatri Possibili, MILANO.

Si parte da un aeroporto, o meglio sarebbe dire: si è in attesa di un volo e si pazienta in sala d'attesa. Così, nel frattempo, s'intavola un discorso con chi ci sta di fronte, forse casualmente. L'interlocutore impertinente si chiama Textor Texel, l'altro è Angust. I nomi dei due protagonisti rimandano già a delle sottili e anguste trame/intrecci, che finiscono con il vincolare in maniera sempre più lancinante le parole dell'uno ai sentimenti dell'altro. È proprio l'ironia e il progressivo riconoscimento dei vari particolari narrati da Texel a intrigare sempre più Angust, trascinandolo al fondo dell'orrore di una storia che egli conosce fin troppo bene. È in scena una vicenda

che ha a che vedere con l'intramontabile tema del doppio, ma con tutta l'imprevedibilità degli stilemi narrativi del noir contemporaneo (è tratto da romanzo cult La cosmetica del nemico di Amélie Nothomb). Esemplare la recitazione di Accordino e Conte, che tolgono progressivamente il fiato al pubblico in sala, in un crescendo vertiginoso di colpi di scena e disvelamenti orrorifici e grotteschi. Lara Franceschini è una figura inquietante che siede sullo sfondo per una buona parte della rappresentazione: è l'annunciazione di un destino tragico e drammatico, che attende di compiersi nonostante l'amnesia e la rimozione operata dalla mente di Angust. Il dialogo tra i due protagonisti maschili è quind i un pretesto per riflettere sul doppio, sulla schizofrenia, sull'altro, su chi verrebbe da dire - ci abita. La Nothomb argomenta intorno a una "nuova" scienza che è molto antica, come insegnano i tragici greci. La cosmetica non è, infatti, la disciplina che studia ciò che ha attinenza con i prodotti di bellezza, ma riguarda l'estetica del cosmo, un mondo a noi molto prossimo, che ha delle argomentazioni inconfutabili perché, come dice l'autrice: «Le prove dell'esistenza del nemico interiore sono evidenti e quelle del suo potere schiaccianti». Alessandro Tacconi

Berkoff a Porta Romana KVETCH, di Steven Berkoff. Regia di Julio Maria Ma rtino. Con Vanessa Ackerman, Richard Boyce, Victoria Byrne, Josh Cole, Benjamin Na than. Prod. Artcore Theatre, MANC HESTER.

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Il Teatro della Contraddizione sta in una zona centrale di Milano, quasi in centro, ma è un loft, caratteristica della neosperimentazione . E Stagione Sperimentale Europea s'intitola il suo cartellone. Martino, il regista della compagnia di Manchester che presenta il suo Kvetch è italo-inglese ed è stato premiato al Fringe di Edimburgo. Ha a disposizione un quintetto di attori la cui preparazione e la cui abilità possono invidiare i maggiori palcoscenici d'Europa. Temibili quanto i giocatori reds del Manchester, questi cinque campioni danno dell'Autore una lettura giocai. La crudezza del testo si esalta nel grottesco dell'interpretazione iper-comunicativa. Le battute di Berkoff crocchiano sotto i denti di questi attori come il pane a trecce del sabato, detto khale in yiddish. Come scenografia, basta un tavolo multiuso, gestito come usava il grande Dado Trionfo: un regista fondamentale, ma chi se lo ricorda più? Intorno al tavolo si celebrano i riti di una quotidianità distorta, fino al virtuosismo del concertato «l'm afraid, I need, I want»: ho paura, ho bisogno, ho voglia di. Nell'amante di Donna, la signora al centro degli intrecci erotico-esistenziali, ci sono vistose tracce dei Monty Phyton. Boyce, palazzeschiano Uomo di Fumo, è Hai e un gustoso cameriere che parla un po' italiano, come nei ristoranti trendy della città e nelle trattorie di Manhattan. Donna è Victoria Byrne e il suo amplesso mimato è tutto da godere. Vanessa è sua madre, un autentico carattere. Cole e Nathan sono Frank e George e anche quegli Italiani che giustamente la riforma Moratti vuol costringere ad imparare almeno il common English, ma che non vanno ancora tanto più in là di «this is the table», capiscono tutto: proprio come accadeva con il polacco della compagnia Cricot2 di Kantor. Global e giocai, il teatro è la cucina fusion del terzo millennio. Vivissimo successo, come si usa dire, ma, in questo caso, non è un'espressione convenzionale. Bene: il pupik (l'ombelico) del nuovo teatro a Milano è in via Braida, a Porta Romana. Fabrizio Caletti

Nella pag. precedente, a sin., Manuel Ferreira, protagonista di Gente come uno; a destra una scena di Macbeth, regia di Corrado d'Elia; in alto due attori di Kvetch e, in basso, i protagonisti de La cosmetica di Amélie di Corrado Accordino.

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Marlowe poeta "contro" MARLOWE, di Mauro Maggioni e Claudio Tornati. Regia di Mauro Maggioni. Scene di Anna Albanese. Costumi di Francesco Zucca. Luci di Francesco Paca. Con Domenico Cicchetti, Leonardo Dandolo, Lia Gallo, Stefano Innocenti, Fabio Lastella, Laura Milani, Giannicola Resta, Christian Sgarella, Swewa Schneider. Prod. Controscena, MILANO.

siparietti di corte e di vita intervallati da un ritornello musicale che si fa sempre più nefasto. Il risultato è uno spettacolo in cui grottesco, satira, sensualità, vita e morte si mescolano sullo sfondo di una corte senza tempo, owero il classico parlare del passato per capire meglio il presente. Giulia Ca/figaro

Pirandello work in progress

In basso una scena da Marlowe, di Mauro Maggioni e Claudio Tornati.

Essere "contro" è il dovere di ogni artista, ma questo essere "contro" è anch'esso parte del gioco. Il potere ha bisogno di noi per dimostrare la sua liberalità. Noi abbiamo bisogno del potere per dimostrare il nostro essere "contro". È una trappola mortale dalla quale non è possibile fuggire. Partendo da questa morale, Mauro Maggioni, organizza la messa in scena di Marlowe. Si narra, oscillando tra passato e contemporaneo sia con il linguaggio scenico che con quello verbale, la storia di un poeta di corte, Marlowe appunto, sfrontato e vizioso, tanto abile con la parola quanto con la penna, sempre in bilico fra il favore e l'affronto di chi, per volontà divina o terrena, comanda. Solo l'amicorivale Shakespeare potrà comprendere questo dilemma, e nel momento stesso in cui lo farà, sarà parte stessa della macchinazione che travolgerà i due poeti, stabilendo chi sarà vittima e chi leggenda. Il tutto sullo sfondo di una scacchiera inesorabile, che divide senza indugio chi tira i fili della storia e chi vi partecipa da com. parsa. Si instaura dunque anche un discorso metateatrale, fortemente iconizzato nella matronale figura della regina che sovrasta con il suo rosso mantello tutto lo sfondo, spesso affiancata dal cappello a punta del potere clericale. Buona la recitazione corale della compagnia, guidata da un'intelligente regia e da un ottimo montaggio scenico, suddiviso per

QUESTA SERA SI RECITA A SOGGETTO, di Luigi Pirandello. Regia di Roberto Brivio. Scene e luci di Fabrizio Cameroni. Costumi di Raimondi-Paganini. Con Roberto Brivio, Riccardo Mozzarella, Federika Brivio, Gerardo Paganini, Manuela Annovazzi, Alessandra Giuntini, Graziella de Giorgi, Gaia Gulizia, Paolo Gadaleta, Gigi Torinese, Mauro Giordani, Angelo Attèndoli, Claudio Elli, Piero Sampietri, Lino Libri, Franco D'Onofrio, Luisella Pescatori. Prod. Teatro Ariberto, MILANO.

Roberto Brivio si cimenta con il complesso testo di Pirandello che chiude la "trilogia del teatro nel teatro", riproducendolo integralmente senza tagli, né modifiche, né ammodernamenti, ma puntando sul

dinamismo del testo stesso reso con una vivace interpretazione degli attori. Avvalendosi anche degli allievi dell'Accademia d'Arte drammatica da lui diretta, spinge i suoi attori a curare particolarmente le singole interpretazioni, senza perdere di vista il disegno corale del testo. Egli, interprete del dottor Hinkfuss, si aggira fra la platea correggendo la recitazione, modificando le scene, irrompendo sul palcoscenico quando qualcosa lo contraria. Incisivi sono anche gli interventi dei giovani che, confusi fra gli spettatori, incarnano il pubblico che tenta di dimostrare che la recita non è a soggetto come gli attori vogliono far credere. La commedia propone una riflessione sulla condizione del teatro, sui rapporti pubblico-autore-attore-capocomico. Hinkfuss rispetto al Capocomico dei Sei personaggi, si fregia del titolo di dottore, non è semplice coordinatore degli attori, ma è dispotico, un regista come quelli moderni che crea lo spettacolo, scavalca l'autore della novella Leonora addio da cui la recita prende spunto, e impone ai suoi attori di recitare a soggetto, combattendo con la loro resistenza poiché si sen-

Un Tucidide piccolo piccolo opo il matematico di Infinities, che MEMORIALE DA TUCIDIDE - Pericle e la ben si accomodava tra Lolita e peste, di Enzo Siciliano. A cura di Luca Maisie, ora Ronconi completa l'iter Ronconi. Luci di Gerardo Modica. Con pedagogico classico con una lettura della Massimo De Francovich, Francesco Guerra del Peloponneso, facendo filtrare la Siciliano e gli allievi della Scuola del Piccolo Teatro di Milano. Prod. Piccolo scabra prosa tucididea nientemeno che da Teatro, MILANO. Enzo Siciliano. Lo scrittore ha pensato di fame un racconto per due attori e coro, tutto teso all'emergere della tragedia d'un'epoca a confronto con le similari tragedie della nostra. I declini dell'Occidente si assomigliano in modi e mode inquietanti: la storia non insegna un bel nulla e qui, nella caduta della soleggiata e petrosa Attica, dovremmo assistere alla nemesi dei nostri giorni. Ronconi si defila, ci tiene a non firmare una regia di cui, in verità, non si vede granché. De Francovich come narratore accorato e Siciliano Jr. come contraltare beffardo, recitano in punta di sbadiglio. Gli allievi diligentemente posizionano e spostano sedie, attraversano, compresi del tutto, la pedana e le scale, le salgono, vi cadono. Il curatore dice che è un testo per frammenti e questo acuirebbe la forza etica del messaggio, non conta chi sia Tucidide né se si stia recitando il collasso d'un'epoca o esorcizzando il nostro. Ancora una volta, lui che stilla parole come fossero sangue del Cristo, sottintende tropp-o. Gli spettatori dovrebbero cogliere la profondità del non espresso e plaudere accorati e grati. Ma la "cura" che · sigla questo spettacolo è un'infelice trovata semantica. A quel che si vede, tutto è frammentario: il testo, il senso dell' operazione, la destinazione degli attori, la cura del tutto. Neppure la celebre descrizione della peste morde più, così diluita in un narrare senza passione. Non a tutti riesce di scrivere Madre Coraggio o Antigone, certo. Siciliano rende medio un testo grande, come una diligente lettura ginnasiale. Forse Ronconi, da bibliofilo, avrebbe fatto miglior acquisto chiedendo a Luciano Canfora, che di Tucidide è il nostro più grande storico, di adoperare i suoi saggi, dalla scrittura accesa, curiosa e appassionata. Se non il teatro, almeno gli spettatori ne avrebbero avuto sollievo. Ivan Groznij Canu

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-·-·-·-·-·-·-·-·-·-·-·-·-·-·-·-·-·-·-·-·----~l O MB A R D A tono spiazzati di fronte alla richiesta di improvvisare. La presentazione degli attori in scena avviene secondo le tecniche dell'avanspettacolo e del cabaret ben note a Brivio. Ma nonostante la buona volontà di tutti gli interpreti lo spettacolo un work in progress appare dell'Accademia di Brivio che, credibile Hinkfuss, sovrintende su tutti con intonazioni ora sommesse, ora indignate. Albarosa Camaldo

L'amaro riso di Welsh FORMALINA, liberamente tratto dai racconti di lrvine Welsh. Drammaturgia e regia di Massimo Navone. Scene di Fabrizio Palla. Costumi di Claudia Botta. Luci di Paolo Latini. Con Alessandra Faiella e Giorgio Ganzerli. Prod. ITC 2000 srl, MILANO

C'è qualcosa di irritante nella compiacenza modaiola che esalta gli scrittori anglosassoni quando escono dall'aplomb e si arrabbiano. Così era negli. anni Sessanta, quando si definiva geniale Osborne e la sua rabbia generazionale. E ora che non ci si ricorda più granché di lui, né del dissacrante Orton, in auge quando i Beatles diventavano baronetti (giusto Pinter ha segnato di sé il tempo, anche perché ha colorato con la sua elegante e ruvida scrittura il cinema di Losey); ora si riscopre il gusto post punk, l'anatomia patologica di cui è intrisa l'arte britannica. Così, la moda ha scoperto lrvine Welsh e ha portato al successo l'acido Trainspotting, la bonomia del "facchiù" e dello "scìt" come cadenze linguistiche adolescenziali. Ma, come nel coevo cinema del dopo Thatcher e, ora, del "during Blair", Welsh resiste alla consunzione dei salotti, forse perché lo humour salva davvero più del cinismo. I suoi racconti brevi, portati in scena da Massimo Navone come un collage di sketch, disegnano un'umanità squallida e periferica, ossessiva nel quotidiano, come la donna in carriera che si autoesalta «sono una figa, sono una figa» per concludere d'essere solo una «merda» e rinchiudersi nella tristezza dell'anonimo appartamento. O i due vicini di casa che a malapena smozzicano due frasi in ascensore, ogni giorno uguali, per sfogare poi le frustrate attrazioni con tristi masturbazioni al lattice. O, anche, il grottesco ménage di una donna con il marito, la cui testa, sopravvissuta intatta dopo un incidente, vegeta sotto formalina, preda di

impulsi elettrici e del patetismo consolatorio della moglie. Protagonisti della scena, . Alessandra Faiella e Giorgio Ganzerli, sono fisicamente stralunati senza essere macchiette, spiazzando quando le note tendono all'amaro, con leggerezza. Meno graffiante il contesto, dalla musica così anonima ad una scenografia rigida. La cornice sulla sessualità degli animali è furbescamente strapparisate, ma davvero simpatica. Non fosse che il finale sulle scimmie, che azzerano la conflittualità con il sesso libero e giocondo, ha il difetto dell'ovvietà moralistica che quel buontempone di Lorenz non gradirebbe. Ivan Groznij Canu

Alcesti o il sacrificio dell'arte ALCESTI O LA RECITA DELL'ESILIO di 1 rifacimento in tempi moderni della Giovanni Roboni. Regia di Cesare tragedia di Euripide da parte di uno Lievi. Luci di Gianni Saccomandi. dei maggiori poeti contemporanei Costumi di Valeria Ferremi. Con Ester induce alla tentazione di confrontare il Galazzi, Roberto Trifirò, Gianfranco testo raboniano con l' Alcesti seconda di Varetto, Francesco Vitale. Prod. Teatro Vittorio Alfieri: con il risultato di far Stabile di BRESCIA. emergere due linguaggi così lontani da lasciare il sospetto di dover affrontare due lingue difformi. A parte le divaricate prese di distanza dall'originale bimillenario, il verso raboniano assume una discorsività suadente del tutto estranea all'empito tragico dell'astigiano pur capace di cogliere la raffinata femminilità della protagonista. Nell'odierna versione affidata alla sensibilità registica di . Cesare Lievi la vicenda euripidea compie un salto di millenni risultando trasportata in un paese dei nostri giorni dove una cruenta rivoluzione ha travolto Admeto e la moglie Alcesti, costretti a sottrarsi all'incalzante inseguimento dei nemici.Nell'incalzante "recita dell'esilio" Alcesti ha preso il nome di Sara, Admeto quello di Stefano e infine il suo vecchio padre quello di Simone, tutti e tre affidati a un ambiguo custode che all'improvviso li informa che nella salvifica nave del fatale esodo c'è posto soltanto per due passeggeri. Di fronte alla malinconica lotta per la sopravvivenza che oppone padre e figlio si stagliano la lucidità e la generosità di Sara-Alcesti che non accetta il coinvolgimento riduttivo esceglie di autocondannarsi per salvare insieme il pragmatico coniuge e l'illuminato suocero con cui condivide l'amore per la letteratura e per il teatro. Non a caso il raffinato e problematico dramma di Raboni si svolge nel significativo labirinto di un vecchio teatro dove Alcesti aveva recitato tanti anni prima ed è ora assurto a estremo baluardo nei confronti degli incalzanti rivoluzionari. Tra i meriti dell' attenta e partecipe regia è la felice scelta di aver affidato alla giovane e trascinante Ester Galazzi il ruolo della generosa protagonista che alla fine decide di sacrificarsi per salvare il marito impersonato dall'eccellente Roberto Trifirò e l'inarrendevole suocero in cui bravamente si compenetra Gianfranco Varetto. In accorto bilico tra generosità di "salvatore" e maschera di traditore si colloca la presenza inquietante della enigmatica guida affidata alla personalità sfuggente di Francesco Vitale. Gastone Geron

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In alto, Alessandra Faiella e Giorgio Ganzerli interpreti di Formalina, da lrvine Welsh, regia di Massimo Navone; in basso una scena da A/cesti o la recita dell'esilio di Giovanni Raboni, regia di Cesare Lievi.


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LOMBA DIA-PIEMONTE---·-·-·-·-·-·-·-·-·-·-·-·-·-·-·-·-·-·-·-·il ritorno delle Carmelitane a Milano

La voce pura del martirio

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he il teatro soffra di ripetitività, DIALOGUES DES CARMÉLITES, di Francis tutto concentrato nell'arte della Poulenc dal libretto di Georges sopravvivenza ai tempi grami, è Bernanos. Direttore Riccardo Muti. Regia di Robert Carsen. Scene di Michael assioma che trova parziale conferma anche Levine. Costumi di Falk Bauer. Con C. nella stagione scaligera agli Arcimboldi. Robertson, D. Schellenberger, G. Gietz, A. Parziale, perché in fondo il limpido Silja, E. Matos, B. Dever, L. Aikin, A. Poulenc, in cerca di sollievo dalle ansie del- Popescu, S. Allegretto, M. Bolognesi, G. 1'esistere nella tormentosa religiosità di Altomare. Allestimento di De Bemanos, è una bella ripresa. In questo, la Nederlandse Opera di Amsterdam. Prod. scelta di Dialogues segue l'ideale percorso Teatro Alla Scala, MILANO. della Literaturoper, da Wozzeck a Pelléas et Mélisande, che la Scala ha prediletto nel tempo quando si è approcciata all'opera novecentesca. Tuttavia, proprio la scelta particolare fa pensare. Il dramma delle carmelitane che, sotto la Rivoluzione francese, per non sciogliersi nell' abbruttimento iconoclasta, privilegiano il martirio collettivo (tratteggiando al suo interno le storie personali di Marie, delle due Superiore e delle consorelle), perde oggi di attualità e non trasmette più l'emozione che a suo tempo (gli anni '50, così densi di drammaturgia religiosa) suscitava, e pure la musica di Poulenc si isola in un clima che tutto deve a Debussy, con qualche richiamo alla vocalità di Musorgskij (i cori, dal Requiem all'Ave Maria). È un indubbio piacere escoltare questo musicista così pulito, che dichiarava il suo amore per Apollinaire ed Éluard, ma si ha la sensazione di un salto indietro non dico nel tempo, ma in un non-luogo astorico, che è poi quel che si prova ascoltando le sue composizioni sacre. Pure, ci son momenti musicali che sposano perfettamente la drammaturgia ed emozionano, come l'agonia della Madre superiora e la crisi della fede, o tutti i momenti corali e, naturalmente, il Salve Regina finale, pezzo di bellezza superiore sempre degno d'ascolto. L'edizione dell'Opera di Amsterdam non sembra uscire da una diligente ma un poco piatta vocalità, le voci principali che faticano ad emergere. Ma regia e scena sono perfette, quasi sposassero la regola ascetica le quinte verticali, dominate dal bianco, nero e grigio e da luci radenti di forte impatto emotivo, soprattutto nell'approssimarsi del dramma, come sottolinea la posizione del coro ai lati, inquietante incombere della furia distruttrice. La suggestione fa pensare a come sarebbe quest'opera letta dalla maestria luminotecnica e dall'orientalismo essenziale di Wilson. Ivan Groznij Canu

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regia di Vacis

Wilhelm Meister vocazione VOCAZIONE/Set. Teatro del diventare grandi secondo Wilhelm Meister, da Johann Wolfgang Goethe. Regia di Gabriele Vacis. Scenofonia e luci di Roberto Tarsco. Architetture di Paolo Data-Blin. Costumi di Sartoria Bassani. Coreografia di Paola Colonna. Sonorizzazione spazi di Fabio Vignaroli. Con Claudia Giannotti, Giovanni Moretti, Ruggero Cara, Milvia Marigliano, Alessandro Adriano, Paola Colonna, Mattia Fabris, Lorenzo lacona, Tatiana Lepore, Maria Pilar Perez Aspa, Arianna Scommegna, Lorenzo Bartoli, Christian Burruano, Laura Cardia, Andrea Loreni, Valerio Perino, Francesca Porrini, Alice Rohrwacher, Valeria Solarino, Ilaria Schettino (pianoforte). Prod. Teatro Stabile di TORINO.

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rescere, scoprire i propri talenti e tentare di sperimentarne la reale consistenza: in sostanza, imparare a riconoscere la propria "vocazione", per la vita, ancora prima che per l'arte. Lo spettacolo che Vacis ha tratto dal Wilhelm Meister di Goethe - articolato in tre capitoli e in due eventi speciali parla appunto dell'affascinante e allo stesso tempo doloroso cammino verso la maturità di un adolescente inquieto e sensibile, ispirandosi al Bildungsroman ma non dimenticando le molte esistenze "sprecate" che hanno in qualche modo impoverito il secondo Novecento, da James Dean a Kurt Cobain. Vacis e Tarasco - questo autore di una scenofonia che è complemento e scatola di risonanza di quanto viene pronunciato e agito sul palcoscenico - affiancano a quel discorso sulla nascita e sull'approfondimento della propria passione teatrale che percorreva gli allestimenti del loro Teatro Settimo, una riflessione commossa e partecipata sulla difficoltà di affermare il proprio non omologabile sé in una società fondata sull'ordinarietà. Il primo capitolo, denominato Epifanie, è un viaggio a occhi spalancati e cuore pulsante nel fatato mondo del teatro: il bambino Wilhelm scopre l'incanto della scena grazie alla nonna, che ne è in qualche modo severa coscienza e primo incitatore a seguire le proprie


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in tre puntate passioni. Il pubblico esplora con il giovane un universo altro, rifugio dalle meschinerie che dominano la sua vita familiare, e abitato da esseri meravigliosi, antichi cavalieri e colorati animali esotici. Si tratta delle splendide marionette e dei pupi siciliani collocati in due sale dell'Archivio di Stato di Torino, in cui è stata allestita questa prima parte e attraverso le quali giungiamo all'adolescenza di Wilhelm, accompagnati dal battito amplificato del suo cuore. In Convalescenza, messo in scena nella sontuosa sede del Circolo degli Artisti, il ragazzo è malato, incapace di affrontare e superare il tradimento della bella Marianne, attrice e mantenuta. Si accentua qui la distanza fra Wilhelm, ancora fiducioso della possibilità di realizzare i propri sogni d'arte e d'amore malgrado la cocente delusione, e l'amico d'infanzia Werner, pragmatico e concreto, saldo nel suo ruolo di assennato amministratore della ditta Meister e in quello di marito affettuoso di Amalia, l'adorata sorella del protagonista. Nella terza parte - Incontri con uomini straordinari, alla Cavallerizza Reale - questo distacco sarà definitivo e neppure la tragica conclusione dell'avventura di Wilhem a seguito della raffazzonata compagnia guidata dalla Signora De Retti distoglierà il giovane dalla sua sempre più consapevole vocazione. Una responsabile scelta di vita che accomuna a Wilhelm non soltanto Vacis e Tarasco, ma anche i molti interpreti,

tutti acutamente selezionati: il candore e la timida recitazione del giocoliere Valerio Perino nella parte del protagonista; la bonaria e scaltra professionalità di Giannotti, Marigliano, Moretti e Cara; la scanzonata dimestichezza di Scommegna, Fabris, Perez Aspa, Rohrwacher e Lepore; la fresca generosità di Batoli, Adriano, Porrini, Cardia e Burruano; e la bellezza dal talento esitante di Solarino. Laura Bevione

Baby doli si fa in quattro BABY DOLL, di Tennessee Williams. Traduzione di Gerardo. Guerrieri. Regia di Paola Rota. Drammaturgia di Valentina Diana. Scene di Giorgio Barullo. Costumi di Viola Verra. Luci di Andrea Violato. Musiche di Paolo Serazzi. Con Elena Russo Arman, Ida Marinelli, Alessandro Genovesi, Bolo Rossini. Prod. 'O Zoo Nò, TORINO - Il Contato/Teatro Giacose di IVREA.

Nel 1956 Baby Do/I, film diretto da Elia Kazan e sceneggiato da Tennessee Williams, suscitò scandalo e pubbliche dimostrazioni di sdegno. La vicenda dell'adolescente sposata da due anni con il maturo ed esasperato Archie Lee, costretto da un patto crudele a non toccare la moglie fin quando questa non avrà compiuto vent'anni, diventava il cinico caleidoscopio in cui frustrazioni, ossessioni e disperazioni di un'intera società si affastellavano implacabilmente. Williams disegnò accanto alla coppia molti altri personaggi, figurini esemplificativi di un malessere diffuso. Paola Rota, al contrario, decide di contrarre il dramma a soli quattro soggetti: accanto a Baby Doli e al marito, l'anima semplice Zia Rose e lo spregiudicato Silva Vaccaro. Una scelta che si ritiene dettata dal desiderio di imprimere all'allestimento un ritmo stringente avvolgendolo anche in un'atmosfera di tesa e soffocante oppressione. La regia, tuttavia, pare esitare di fronte alla necessità - nata dalla stessa natura claustrofobica e inquieta della drammaturgia di Williams - di percor-

rere autorevolmente quella strada stilistica e oscilla indecisa fra un'intonazione comica e quasi grottesca da una parte e, dall'altra, brevi spunti blandamente malinconici. L'adattamento stesso risulta a tratti eccessivamente prosciugato, con collegamenti a tratti forzosi fra le singole scene. Paola Rota è un'abilissima costruttrice di parodiche dissacrazioni, di clownesche pitture della realtà e di grottesche deformazioni di tic e abitudini diffusi e ci sembra piuttosto a disagio con l'umor nero dell'americano. Un'incompatibilità che disorienta anche i suoi attori che riescono nondimeno a offrire salde e generose interpretazioni, fra le quali spicca quella della scaltramente svanita Ida Marinelli/Zia Rose. Laura Bevione

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Nella pag. precedente gli attori di Vocazione, regia di Vacis; in alto Elena Russo Arrnan in Baby Do/I di Tennessee Williams, regia di Paola Rota; in basso due interpreti de L'estrema solitudine di Ola Cavagna.

Il colore della solitudine L'ESTREMA SOLITUDINE, di Ola Cavagna, liberamente ispirato all'opera di Tahar Ben Jelloun. Regia di Ola Cavagna. Scene e costumi di Elena D' Agnolo Vallan. Luci di C laudio Coloretti. Video di Liborio L'Abbate. Con Emilio Bonelli, Nicola Bortolotti, Caterina Corsi, Lorenzo Fontana, Riccardo Lombardo, Sax Nicosia, Samba Diarra Mbaye, Cheikh Mbodji, lbrahima Tenor Seck, Cheikh Tidiane Sene, Ndongo Thiam. Prod. Teatro Stabile di TORINO Associzione Baretti, TORI NO.

Cinque giovani attori italiani - tutti diplomati alla scuola del Teatro Stabile di Torino - si fanno specchio di altrettanti giovani uomini senegalesi che, nella vita di tutti i giorni, svolgono lavori ben diversi, dall'ambulante all'operaio metalmeccanico. Questa l'idea registica su cui Ola Cavagna ha costruito il suo spettacolo che, ispirato al racconto dell'isolamento culturale e affettivo vissuto dagli emigrati maghrebini in Francia _ intessuto da Tahar Ben Jelloun, vuole riflettere in primo luogo sulla sofferta vita sessuale di chi è costretto ad abbandonare la propria terra. Italiani e senegalesi si tengono per mano, si scambiano segni di ver-

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Ai Marcido piace Beckett ultima produzione teatrale di TRIO PARTY. MARCIDO IN BECKETT' LOVE, Samuel Beckett è contraddi- da Samuel Beckett. Regia di Marco stinta dai cosidetti dramaticule, lsidori. Scene e costumi di Daniela Dal vale a dire brevi pezzi costruiti su un'u- Cin. Con Maria Luisa Abate, Alessandro nica situazione risolta, più o meno Curti, Paolo Oricco, Grazia Di Giorgio, Roberta Cavallo, Davide Barbato, Elena esplicitamente, in un arco temporale ·serra, Isodoro Pei, Carlino Sorrentino. assai contratto. Tre di questi testi - Prod. Marcido Marcidorjs e Famosa esemplari dell'indefessa sperimenta- Mimosa - Teatro Stabile, TORINO. zione linguistica che sempre mosse l'irlandese - sono stati scelti da Marco Isidori per l'ultimo spettacolo dei Marcido che, insolitamente, rinunciano all'unità drammaturgica e spaziale. In Quella volta due uomini, accompagnati da un coro pressoché muto, si arrampicano su un'essenziale struttura scenica, simile a un albero maestro immaginato quale ultimo resto di una nave tragicamente affondata. Gli attori, con gli occhi oscurati da quelle che paiono palline da ping pong colorate e vestiti come personaggi tratti dalle pagine di Topolino, agiscono davvero come cartoni animati. La rievocazione di momenti forse felici del passato da parte dei due interpreti assume così la surreale consistenza di un fumetto. Nel secondo pezzo, Dondolo, il palcoscenico è occupato dall'enorme sagoma di una donna anziana, oramai sfatta, in sottoveste e pantofole, sdraiata appunto su una sedia a dondolo. Una struttura realizzata dall'accostamento di singoli tasselli, ognuno dei quali manovrato da uno degli attori che, all'unisono, recitano il reiterato monologo della vecchia. Completa lo spettacolo Non io, affidato alla flessibilità vocale e fisica di Maria Luisa Abate, costretta in una sorta di antro inospitale. L'attrice dà prova degli alti livelli raggiunti nella ricerca sulle potenzialità espressive della voce da parte della compagnia, la cui rinuncia a un microcosmo scenografico unico e densamente significativo non deve dunque spingere a ipotizzare un possibile cambio di rotta. Anzi, i Marcido mantengono inalterati pregi e, purtroppo, difetti: una preparazione tecnica encomiabile ma un formalismo fine a se stesso. Così neppure un isolato scampolo della disincantata ironia di Beckett riesce a raggiungere lo spettatore che i pur raffinatissimi esercizi di stile escogitati da Isidori & co. desolatamente sprofondano in un vuoto torpore. Laura Bevione

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I Marcido in rrio Party da Beckett, regia di Marco lsidori.

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nice - significativamente bianca e nera - sulla fronte, quasi come se i secondi volessero legittimare i primi a diventarne portavoce. E le storie narrate dicono della solitudine, della mancanza e della voglia del contatto fisico, delle attenzioni da parte di chi nella società vive una

similare condizione di emarginazione a causa però non del colore della pelle ma delle proprie propensioni sessuali. Unica vitale consolazione è la musica e i singoli racconti sono dunque intervallati dai suoni, dai canti e dalle danze dei cinque senegalesi. Intermezzi che dicono molto più delle parole della malinconia ma anche del disincanto e della volontà di vivere comunque. Nella seconda parte dello spettacolo compare in scena un nuovo personaggio, Fatima, giovane immigrata - interpretata però dall'italiana Caterina Corsi - che rievoca tristi episodi di cronaca nera che le forniscono spunto per riflessioni varie sui molti ostacoli all'integrazione. Il tono della messa in scena a questo punto vira forse verso una direzione eccessivamente retorica, correndo pericolosamente il rischio di reiterare considerazioni che l'eccessiva ripetizione ha purtroppo svuotato di senso. Meglio avrebbe fatto Ola Cavagna a privilegiare la musica, sfruttandone l'ineguagliabile capacità di comunicare direttamente al cuore del pubblico la vera anima di chi la crea. Laura Bevione

Belfast, bambini in guerra MOJO MICKYBO, di Owen Mc Cafferty. Traduzione di Noemi Abe. Regia di Jurij Ferrini. Con Alberto Giusta e Antonio Zavatteri. Prod. Progetto Urt, OVADA (AL) Teatro di GENOVA.

Nel sedizioso guizzo d'inizio di Mojo Mickybo c'è l'intero evolversi della vicenda. Un racconto all'apparenza semplice e lineare, costruito sull'amicizia fra due bambini che passano il loro tempo a giocare per le strade di Belfast. È il 1971, l'anno in cui il governo dell'Irlanda del Nord approva una legge che consente l'internamento senza processo di tutti i sospettati di terrorismo. La repressione che segue provoca lo scatenarsi della guerra civile a sfondo ideologico e religioso. Questa tempesta si agita sopra i due amici, ma loro continuano i giochi e si rotolano giù dalla collina. Il turbine, alimentato dall'odio degli adulti, travolgerà, però, anche il loro mondo, rendendolo impossibile. Essi non vivono la stessa realtà, Mickybo è di famiglia orangista e Mojo di famiglia cattolica,


·-·-·-·-·-·-·-·-·-·-·=·-·-·-·-·-·-·~·-·-·-·-·-LI G U abitano spazi diversi della città, separati da un ponte che ricorda l'artificiosità della sua costruzione. Il testo del giovane drammaturgo irlandese Owen Mc Cafferty rappresenta «il tentativo di dimostrare l'assurdità del settarismo ideologico e religioso irlandese». A riprenderlo è il Progetto Urt, con la coproduzione del Teatro di Genova e, a curarne la regia, il genovese Jurij Ferrini, che afferma di essere stato affascinato dalla lingua di Mc Cafferty, che è «veloce, moderna, spezzata, quasi una sorta di videogioco in grado di rendere sia la tensione dell'argomento sia

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la giocosità del parlato dei ragazzi». In scena ci sono due applaudite conoscenze del mondo teatrale ligure: Alberto Giusta e Antonio Zavattieri, che, per tutta la durata dello spettacolo, senza ausilio di una scenografia reale, affidati solo alla forza della recitazione e del gesto, gettano ponti per la riflessione con lo scopo di unire, per non lasciare il passato irredento e, forse, per tornare a giocare ancora insieme. Andrea Gar/et

Teatro della Tosse 11

La classe morta'' di De Amicis onino Conte porta spesso in scena IL LIBRO CUORE, testo e regia di Tonino interventi di gruppo. Così per le scene pagine letterarie celebri. Stavolta Conte da Edmondo De Amicis. Scene e della rieducazione dei sordomuti o del leggendo quelle del libro Cuore, le costumi di Guido Fiorato. Coreografie di ballo dei ciechi, che offrono la visione interroga sullo stato della propria imma- Claudia Lawrence. Musiche di Franco allarmante e risibile dello stato di distrugine, innanzi tutto teatrale. Trovandola Piccolo. Burattini di Bruno Cereseto. Luci zione di tanta parte della società evocata. forse un po' sciupata, decide (a suo meri- di Maurizio Longano. Con Alberto Rispetto alle "maschere" assunte, il realito) di accettarla fino a trasferirla nei per- Bergamini, Enrico Campanati, Massimo smo degli attori produce straniamento, Di Michele, Pietro Fabbri, Claudia una sorprendente sfasatura tra le battute sonaggi dell'ultima sua creazione. Lawrence, Davide Lorino, Mario Marchi, Riandando alle illustrazioni di Flavio Franco Piccolo, Lorenza Pisano, Franco e i reali rapporti instaurati. Così il paterCostantini che accompagnavano l' edi- Ravera, Myria Selva, Vanni Valenza. Prod. nalismo conformista del genitore di Enrico emerge da un Vanni Valenza in zione 1977 del libro, e rivivendo l'indi- Teatro della Tosse, GENOVA. perfetto stereotipo borghese. Il Garrone menticabile impressione suscitata dalla di Franco Ravera ha la schietta generosità Classe morta di Tadeusz Kantor, l'autore concepisce lo spettacolo come una spettrale cavalcata nei ricor- impulsiva del gigante buono e popolano. Myria Selva propone di dei protagonisti ormai vecchi (o trapassati), usciti dal Diario direttamente al pubblico la sua marionetta cadaverica, quale di Enrico, scolaro torinese di fine Ottocento. Sono proprio le presenza esasperante della morte. Lorenza Pisano è sorella immagini del pittore a provocare lugubri distorsioni fisionomi- amorosa di cure molto sensuali per il narratore. Il Franti di che, lividi ritratti ambientali; così che gli alunni hanno i volti Pietro Fabbri riassume la perfidia e il cinismo pervasivi delsegnati da un'indefinibile età adulta. L'adattamento è molto 1' ambiente. La teatralità più giocosa scaturisce dal ruolo di sintetico, con due episodi appena tratti dai "Racconti del Claudia Lawrence, effervescente Maestrina dalla penna rossa. mese": Sangue romagnolo e Naufragio, la cui melodrammaticità è Anche l'omaggio a Kantor appare puntuale e naturale. La scorisolta con ombre e burattini. Il patriottismo, l'esortazione ai laresca compone a momenti sui banchi allineati quadri analobuoni sentimenti di classe (dominante); i razzismi o le carità ghi, in citazione pudica, a quelli della Classe morta del grande pelose, evidenziati dal pittore, risorgono, pregnanti fino al artista. Dopo gli ultimi spettacoli di Conte, troppo indulgenti grottesco, dalle attuali caratterizzazioni. L'accompagnamento all'autocitazione, a un programmatico uso ludico del teatro, finalmente una prova convincente. Gianni Poli di fisarmonica produce atmosfere ironiche o malinconiche. Il dispositivo scenico allestito nella Sala Trionfo, pone l'aula scolastica a pianterreno e in soffitta gli oggetti perduti. Specialmente i costumi stabiliscono un al di là del nostro tempo e di quello del romanzo. L'immaginazione acquista una dominante coloristica grigio e marrone, da cui a tratti un rosso o un giallo si accendono nei giocattoli o negli accessori. Allora dilaga la fiera, la parata, o la gioia convulsa della battaglia a palle di neve. Sono soprattutto gli abiti d'epoca, autentici quanto a modello (scarponcini, marinare, fiocchi, cappelli e berretti, pastrani), ma sporchi e stinti, a connotare i loro contenuti umani dolenti. Stilisticamente molto intonate, le coreografie di Claudia Lawrence, per gli

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In alto Alberto Giusta e Antonio Zavatteri, protagonisti di Mojo Mickybo di Owen Mc Cafferty; in basso una scena da li libro Cuore da De Amicis, regia di Tonino Conte.

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Menestrelli di mare NOI CHE SEMPRE NAVIGHIAMO, testo e regia di Tonino Conte (dall'Anonimo Genovese). Scene e immagm1 di Emanuele Luzzati. Costumi di Bruno Cereseto. Musiche di Filippo Gambetta. Luci di Emanuele Conte. Con Alberto Bergamini, Enrico Campanati, Lisa Galantini, Pietro Fabbri, Filippo Gambetta. Prod. Teatro della Tosse, GENOVA.

In basso, un'interprete di Noi che sempre navighiamo di Tonino Conte.

Un curioso raccordo (o parallelo) lega le poesie in italiano volgare dell'Anonimo Genovese e il "cantar cortese" dei Trovatori provenzali. Tonino Conte evidenzia nel suo protagonista il piglio polemico e apologetico, ricavandone un contrasto spettacolare. Il confronto coinvolge la lingua popolare, impastata nell'attività marinara e commerciale dell'epoca (Xlii secolo) e trascritta in opposizione a quella usata nell'illustrare un ideale disincarnato. Presa a bersaglio la figura del menestrello, lo spettacolo sceglie, saltando parecchi secoli, il Trovatore di Verdi quale schema melodrammatico per un in izio giocato . in parodia. La cornice scenografica, invece, è un arcoscenico da marionette e un fondale dipinto in prospettiva accentuata, dai profili surrealisti, col mare e il suo molo. In questa eclettica ambientazione giunge garbato il discorso del Poeta-moralista, che richiama all'ossequio dei buoni valori protoborghesi di casa lavoro famiglia, ordine e religione. L'Anonimo è interpretato da un barbuto Alberto Bergamini in severa veste viola. Rivolge una stentorea esortazione all'onestà dei costumi, viva in facondia paternalistica, quando canta le piccole cose quotidiane naturali; o le grandi, come l'amore. Una vena sensuale è sottolineata dal regista-autore, quando le allusioni del Cavaliere alla sua Dama si fanno immagini mosse da schietto impulso sessuale. L'elemento musicale è affidato alle elaborazioni di Filippo Gambetta

su echi di canti e ritm i trovadorici, eseguiti all'organetto. Una traccia narrativa è affidata a Enrico Campanati, anche nel ruolo di spettatore degli episodi più vivaci e significativi dell'opera verdiana. Allora la tecnica del play-back per musica e canto è sfruttata con grazia e comicità dalla mimica perfetta degli attori che impersonano Leonora (Lisa Galantini dal sontuoso manto dorato), il Conte di Luna (Enrico Campanati, con pronta mano all'elsa della spada) e il Trovatore (Pietro Fabbri, in panni oleograficamente romantici). La concitazione raggiunge l'acme dopo sequenze rappresentate con un certo ieratico ironico manierismo. Il tono satirico e scherzoso non si smentisce quando si tessono le lodi della Città o se ne additano i vizi. In proverbi ed epigrammi, svolti in rime strette, si completa il campionario con la distribuzione al pubblico di brevi poemi e col racconto (tratto da Jacopo da Varagine) di Pietro il Banchiere, archetipo di avaro destinato a edificante conversione. Vividi, freschi e colorati i costumi; diretto e cordiale il contatto col pubblico. Gianni Poli

Confronti di coppia NIGHTINGALE E CHASE, di Zinnie Harris. Traduzione della Compagnia. Regia di Valerio Binasco. Con Eva Cambia le e Nicola Pannelli. Prod. Teatro H.O.P. Altrove, GENOVA.

Nella linea più attuale, certo discutibile, della drammaturgia-racconto, svolta in forma di monologo (o monologhi paralleli), può inserirsi il lavoro di Zinnie Harris. La sua voce pare già lontana dagli autori inglesi del "rifiuto" (Hare, Keeffe e Mercer), vivaci innovatori negli anni Ottanta, e scostarsi anche dalle ferite dei crudeli personaggi di Sarah Kane. La coppia del titolo rivolge di rettamente e in alternanza al pubblico-testimone le ragioni minime o assolute della propria storia. Vicende separate, quanto a punto di vista e sensibilità; unite fino all'osmosi patologica, quanto a vissuto. Ogni esperienza confessata infatti (processo d'autodifesa o di vana esplicazione?) è significativa dei casi, pietosi o disgraziati, di cui è tessuta. Il linguagg io s'adegua a un minimalismo neorealistico, con scarti melodrammatici anche contrastati a cui non sempre s'aggiunge l'autoironia. L'uomo prende la parola,

con la burbera velleità di ch i vorrebbe dominare situazione e partner, confondendosi però in motivazioni contraddittorie. "È quel che resta di un professionista fallito", propone il regista. Nella violenza con la quale ha trattato la sua sposa-bambina è racch iuso forse un segno di impotenza. La corposa e ripiegata presenza di Nicola Pannelli lo evidenzia concretamente. Segue la versione di Chase, folta di sfortune, scacchi e sevizie subite. Ha fatto un figlio, è stata in prigione e il bambino è dato in custodia a un'amica, mentre il padre lo trascura. Eva Cambiale attraversa in Chase un delirio d'identità con sintomi nevrotici; febbrile, cinica e tenera insieme. Trova la lucida intenzione di riappropriarsi del fig lio e ricade nell'inclinazione candida e congenita di rubare: stavolta, giocattoli per il piccolo. Lo sguardo è fisso a uno scopo irraggiungibile e non le basta riconoscersi vittima per ottenere giustizia e comprensione. La compresenza costante dei due interlocutori, pure in spazi separati, volge in processo il loro discorso patetico e tormentato. È per questa linea-gu ida scelta da Binasco che la resa scenica convince. Gli attori ci comunicano un condizione viva e originale di disfacimento progressivo, con un residuo di umanità da compatire. Gianni Poli

Nel labirinto della vita LA STORIA DEL LABI RINTO, di Mara Baronti. Regia di Valerio Binasco. Scene di La ura Benzi. Luci e video di Francesco Monconi. Con Mara Baronti, Enzo Favata (sassofoni, strumenti etnici a fia to, live electronic), Michele Rabbia (percussioni e live electronic). Prod. Teatro della Tosse, GENOVA.

La fascinazione della parola segue spesso vie tortuose, con bruschi arresti e ritorni indietro. Ma in questo ritmo diseguale, sincopato, sempre in tensione, risiede l'aspetto affascinante. Così Mara Baranti incanta con la forza della parola. La Storia del Labirinto è, in fondo, questo: un racconto che si adegua al suo contenuto, il labirinto appunto. Immagine che da sempre attrae, perché evidenzia, nella sua forma, quell'itinerario mentale che ha accompagnato l'uomo nella storia e nel suo cammino di conoscenza. Anti ca malia presente fin dall'origine dei tempi, ma che ha ricevu-


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··-·-·----~·-·-·-·-·-·-·-·-·-·--~·-·-·-·-·-LIGURIA-TRENTINO ALTO ADIGE to la sua elaborazione più compiuta con Le storie cretesi, quei miti che hanno per protagonisti Dedalo, Icaro, Arianna, Minosse, il Minotauro e che la Baranti intesse per offrirli al pubblico di oggi. Queste storie narrano la nascita della nostra civiltà e in ciò sta anche la loro attualità: seguendo le connessioni, mai definitive, del mito si possono ancora trovare preziosi insegnamenti per districarsi nel labirinto della vita, dove non esiste sicurezza di vittoria, bensì necessità di affrontare la prova. Lo spettacolo lascia spazio alla parola, il testo non è recitato, ma raccontato, in una forma che non prevede la mnemonica ripetizione, quanto piuttosto un'improvvisazione su un tema noto, simile, in questo, al jazz. Ed è proprio la musica, frutto della collaborazione dell'attrice con Enzo Favata e Michele Rabbia, che offre al racconto l'occasione per reinventarsi e rimodularsi. Grazie all'intreccio fra suono e parole, che imprime un ritmo profondo a una scena statica, pure lo spettatore può uscire dal labirinto, perché da esso si esce solo con la massima apertura sensoriale. Andrea Garlet

Un micro-teatro per Poe LA NOTTE DEL QUINTO GIORNO, ideazione e realizzazione di Franco Maurina. Scene di Mirko Bonelli. Luci di Mirko Bonelli e Marco Comuzzi. Con Alvise Battain. Prod. Teatro Stabile di BOLZANO - La Biennale di VENEZIA.

Scene da una maternità

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n un reparto Maternità, due puerpere assistono all'arrivo di una paziente in preda a dolori che non sono doglie del parto, ma sin-

NARA LIVET. ALLE SOGLIE DELLA VITA, di Ulla lsaksson e lngmar Bergman. Traduzione di Renato Zatti. Regia di Sergio Maifredi. Scene e luci di Emanuele Conte. costumi di Danièle Sulewic. Con Eva Drammis, Lisa Galantini, Valentina Picello, Anna Guai do, Enrico Campanati. Prod. Teatro della Tosse, GENOVA.

tomi di un aborto. Tre letti affiancati, tre casi rappresentativi della condizione femminile della società svedese negli anni Cinquanta, organizzata in previdenze sensibili ed efficienti, ma certo inadeguata di fronte al mistero della nascita. Un mistero naturale sul quale sceneggiatrice e regista si chinavano con particolare delicatezza e attenzione nel film presentato a Cannes nel 1958, accettandone l'intera problematica, compresi i limiti esistenziali, fino agli effetti della grazia, del destino o del caso in ogni persona. Così le domande assolute si ripropongono alle protagoniste, impegnandole in un esame esteso ai propri rapporti con la famiglia e la società nel tentativo di spiegare il senso della nascita (che per due di loro finisce in perdita e mancanza, mentre per la terza è fonte di speranza). Nel rilevare la teatralità insita nel film, Maifredi coglie in questa sceneggiatura innanzi tutto il valore di "metafora sulla creatività artistica". La rappresentazione appare sobria, sospesa a una "leggerezza" di commedia, le cui allusioni più inquietanti non giungono a ferire tragicamente né i personaggi né gli spettatori. La linea di demarcazione tra cinema e teatro è segnata non tanto dalla recitazione realistica quanto dal rapporto con lo spazio e il pubblico. La scenografia risolve lo spettacolo usando sulla parete di fondo specchi trasparenti, che permettono di seguire le donne giacenti a letto e i loro interventi rivolti all'esterno. La luce definisce sia lo scorrere del tempo, sia uno stato psicologico peculiare a ciascuna protagonista ed evoca dal fondo, quasi fossero immagini proiettate, alcuni personaggi dell'ospedale (il Dottore) ed esterni (il marito di Cecilia). I caratteri complementari delle tre donne sono resi con differenti modalità vocali e gestuali. Lisa Galantini è Cecilia, libera di sfogare la delusione soprattutto con il marito, quando, sfumando l'anestesia, trova una straordinaria lucidità per motivare la propria inadeguatezza all'accoglienza della vita attesa e perduta. Eva Drammis esprime il vitalismo ottimista, l' estroversione di Stina, la sua contagiosa allegria, volta poi in stupore traumatico per l'inspiegabile perdita del bambino. Personaggio più amaro e dolente, Hjordis trova una nevrotica incarnazione, via via rasserenata, in Valentina Picello. Sarà lei a lasciare per prima l'ospedale, con buffa, patetica improntitudine di ragazza-madre che ritrova identità e coraggio, persino riconoscenza, nel ritorno a casa. Emico Campanati ha il ruolo di narratore e conduttore dell'azione, mediante l'enunciazione delle didascalie e l'interpretazione estemporanea dei vari personaggi maschili. Ad Anna Gualdo toccano i restanti ruoli femminili, fra i quali ha rilievo l'Infermiera Mari per la freddezza educata, l'asettica cordialità burocratica. Gianni Poli

Il manoscritto trovato in una bottiglia e Una discesa nel Maelstroem. Da questi due racconti di Edgar Allan Poe Franco Maurina, musicista, compositore e non solo, ha creato uno dei progetti più originali e suggestivi di questa stagione: uno spettacolo di teatro automatizzato realizzato in scala 1:10. Mescolando un sapere artigianale dal sapore antico (tutto è stato costruito da lui, dai microscopici riflettori agli oggetti di scena), che ricorda le meraviglie del teatro mec-

Nella foto, Mara Baranti regista e interprete de La storia del labirinto.

canico del '700, alla più sofisticata tecnologia di un software, ha dato vita a uno spettacolo automatizzato senza intervento umano, se non quello che dà il via al programma del computer. In poco più di trenta minuti, un minuscolo automa-narratore (le sembianze sono quelle di Alvise Battain, che poi ricomparirà in proiezione), superstite di un naufragio, perde lentamente contatto con tutti i punti di riferimento (spazio, tempo, orientamento) ·per poi trovarsi

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TRENTINO ALTO ADIGE-FRIULI VENEZIA GIULIA---·-·-·-·-·-·-·-·-·-·-·-·-·-·-· catapultato su un antico veliero, dove ogni elemento è misterioso e inspiegabile, finché un vortice non inghiotte tutto. Ma non è tanto l'aspetto narrativo che interessa a Maurina, quanto avere degli spunti per ricreare negli spettatori le stesse alterazioni delle percezioni sensoriali, che Poe descrive nei suoi racconti. E questo spiega la scelta di costruire un teatro in miniatura con caratteristiche particolari (visione a 180°, 15 spettatori al massimo), di far abituare il pubblico al buio, all'immobilità e al silenzio assoluto prima di dare inizio allo spettacolo. Anche perché tutto è comandato dai suoni, che sincronizzano luci, movimenti, video-proiezioni e musiche, poi registrate e controllate dal computer. Un lavoro affascinante e inquietante, a tratti faticosamente intellegibile per la minimale illuminazione di certi passaggi e per il sussurrato sonoro (ma forse è solo il segno delle nostre capacità percettive ormai anestetizzate dal dolby surround), che sarà completato, con la sua terza e ultima parte, la prossima stagione. Claudia Cannella

Lasciarsi con Chopin LA VOCE UMANA, di Jean Cocteau. Traduzione e adattamento di Enrico Groppali. Regia di Antonio Salines. Scene di Fabiana Di Marco. Musiche eseguite da Gianluca Pezzino. Con Daniela Allegra. Prod. Maura Catalan, TRIESTE TAORMINA Arte. In basso, Pabizia Milani, Paolo Bonacelli e Carta Simoni in La pulce all'orecchio di Feydeau, regia di Marco Bemardi; nella pag. seguente, Mario Scaccia e Max Malatesta in Memoires di Goldoni, regia di Maurizio Scaparro.

Cocteau in questo famoso monologo, una vera acrobazia per attrici di gran caratura, non lascia nulla al caso: ogni dettaglio deve essere predisposto per creare una situazione di algida agonia, di passione soppressa, di morte contenuta, di dissanguamento lento che solo

in conclusione mette a vista i suoi fiotti. La scena deve essere al mezzo tra una situazione intima e un luogo di tortura e di esecuzione capitale. Arma impietosa è un apparecchio telefonico da cui la protagonista attende l'ultima telefonata dell'amante che l'abbandona. La voce di lei cerca, prima dignitosamente poi sempre più disperatamente, di invertire il corso di una storia d'amore finita. Attraverso i suoi terribili silenzi immagi-

niamo cosa le arrivi dall'altro capo del filo. «Dunque - dichiara Salines nelle vesti del regista - si tratta di una doppia prova d'attrice: esprimere se stessa e dare consistenza a un interlocutore che ha un carattere, un modo di essere, una umana vigliaccheria da nascondere, e un passato felice con lei da far dimenticare». Tuttavia questo crescendo di gelo e fuoco insieme non appare ben gestito nella prova da lui diretta, che vede in

regia di Bernardi

Feydeau, Einstein della risata na commedia centenaria, La pulce LA PULCE ALL'ORECCHIO, di Georges nell'orecchio di Feydeau. Sarei ten- Feydeau. Traduzione di Angelo tato di parlare della "rivelazione" Dallagiacoma. Regia di Marco di un giovane autore: perché la macchina Bernardi. Scene di Gisbert Jaekel. fabbricarisate di Feydeau funziona ancora Costumi di Roberto Banci. Luci di a tutto regime, la sua comicità euclidea Andrea Travaglia. Con Paolo sembra programmata al computer, il gioco Bonacelli, Patrizia Milani, Carlo Simoni, Alvise Battain, Roberto dei quiproquò; degli scambi, dei ridicoli Tesconi, Maurizio Ranieri, Luigi cataclismi, delle pareti mobili e delle porte Tontoranelli, Cesare Saliu, Gianna galeotte fanno carambola come al biliardo e Coletti, Carla Castelli. Prod. Teatro noi spettatori possiamo ridere delle disav- Stabile di BOLZANO - Teatro di venture delle quattordici marionette in Sardegna, CAGLIARI. scena come delle disgrazie di Charlot. Marionette? Qualcosa di più: Marco Bernardi ha spazzato via gli stereotipi che non hanno risparmiato neppure Feydeau. Ha preferito il vaudeville elegante alla farsaccia; ha chiesto allo scenografo (Jaekel) e al costumista (Banci) di posporre il tutto in una sorta di Art Déco anni Venti. Tutto questo rispettando la stravaganza onirica di ,questa storia che comincia con un paio di bretelle dimenticate in un albergo a luci rosse, l'Hotel del Minet Galant da un maritone tipo Cecchi Gori, sospettato di infedeltà da una sposina delusa dal calo del suo ardore settimanale: ma si sbaglia. E che finisce -s'intende- in una gigantesca risata liberatoria dopo più di due ore di colpi di scena a cascata che non so raccontare, perché sarebbe come risolvere un'equazione di terzo grado. Il mestiere di Bernardi regola il tutto rispettando al millimetro le didascalie maniacali di Feydeau. All'Hotel del Minet Galant (nella versione di Dallagiacoma Albergo del Micio Spasimante) Poche, portiere tuttofare al servizio del tenutario Ferraillon, un ex-militare (Cesare Saliu) assomiglia come una goccia d'acqua a Vittorio Emanuele Chandebise, il marito delle bretelle, e nelle due parti campeggia la comicità ingarbugliata, monumentale, rabelaisiana di Paolo Bonacelli, eh' è alla pari per vis grottesca a quella di Mazzarella. Immaginate dunque il resto e aggiungete per buona misura le manovre muliebri della sposina sospettosa, Patrizia Milani, grande attrice milanese diventata bolzanina, che sta al gioco facendo di un cliché un'interpretazione tutta sfumature; un Carlo Simoni beau garçon con ironia e sfortunato in amore; Alvise Battain medico libertino; Roberto Tesconi che si ruba applausi personali nel ruolo del nipote di Chandebise il quale senza palato artificiale si mangia le consonanti e dice «E ai? ei aa?» per «Che fai? Sei matta?». Aggiungete ancora Luigi Tontoranelli, Otello sudamericano dalla pistola facile, Gianna Coletti, sua moglie spumeggiante, Riccardo Zini, turista inglese arrapato, e Libero Sansavini, Cristina Scagliotti, Stefania Gerbaudi, Carla Castelli, tutti bravi. Feydeau nostro contemporaneo: perché no, visto che ci troviamo spesso a ridere per non piangere? Ugo Ronfani

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·-·-·-·-·-·-·-·-·-·-·-·-·-·-·-·-·-·-F R TU LI Daniela Allegra la voce recitante. Resta ambigua l'introduzione in scena del pianista che, figura alquanto inquietante, abita la stanza del dolore della donna, eseguendo partiture di Chopin da cui si libera progressivamente. È lo stesso Salines a indicare in lui un doppio del poeta, ma onestamente mettere Chopin in una situazione di tal fatta appare una trovata quanto meno retorica, enfatizzata per altro, dopo un incipit che faceva sperare in un'idea originale in cui l'attrice smaschera il proprio artificio mostrandosi con il copione in mano, da una distribuzione di pianto e dolore omogenea lungo tutta l'ora di spettacolo. Concludono l'opera le scene, in formato bomboniera, che si infiammano a cospargere sangue non appena si ventili la presenza della morte. Resta la forza del testo: ancora oggi un meccanismo perfetto. Giulia Ca/figaro

Nel tunnel dell'amore TUNNEL, di Giulia Calligaro. Regia di Vittoria Pituello. Luci di Francesco Tagliabue. Video maker di Mario Catto. Con Alessia Vicardi, Wally Pit~ello (violoncello) . Prod. Giulia Calligaro, PORDENONE .

È una gabbia, una gabbia fisica e psicologica quella nella quale si trova la protagonista di Tunnel, prima opera teatrale di Giulia Calligaro. A ribadire questo senso di costrizione c'è poi il titolo stesso della pièce e il tunnel è quello della metropolitana di una città. Lì, fra quell'umanità frettolosa e distratta, un clown, accompagnato da una violoncellista, intrattiene i passanti. A un certo punto quel clown - in realtà una ragazza - si mette a parlare con aria stralunata con qualcuno a caso delle persone della metropolitana. Ed ecco che la storia prende forma e si capisce il perché del tunnel, della gabbia. Ciò che lega quella ragazza è una storia d'amore e d'abbandono, una storia di dolore, che la macera fino all'idea della morte. Fermandosi alla superficie, la storia in sé - ovvero la fine di un amore - potrebbe apparire banale; ma l'autrice punta dritta sul dolore, che nasce proprio dal ricordo di quell'amore e di tutto ciò che aveva tenuto unite due persone. Sono brandelli di vita quelli che affiorano dalle parole della ragazza-clown: basta un nulla per ricordarle il compagno. I ricordi sono

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dolci, appassionati, sono come un sogno durato finché lei è stata «solo per lui», ma che si è spezzato quando ha fatto emergere la propria personalità. Le conseguenze sono l'abbandono, il vivere l'orrore che diviene orrore di vivere, la pastiglia che dovrebbe risolvere tutti i problemi, il percorso verso la pazzia. Un tunnel, insomma, dal quale è possibile

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uscire? In fondo una luce c'è sempre e anche il dolore più grande si attenua: ma allora - si chiede la Calligaro, che palesa una già discreta capacità di scrittura teatrale - che senso ha avuto soffrire tanto? Il senso sta nel ritrovarsi con un cuore più grande. Buona e applaudita la prova di Alessia Vicardi e di Wally Pituello. Nico Nanni

regia di Scaparro

MEMOIRES antologia di cover d'autore iorgio Strehler accarezzò a lungo l'idea di mettere in scena i Memoires di Carlo Goldoni. Morì prima di riuscire a realizzarla. E inevitabilmente, pensando agli altri suoi capolavori goldoniani, ci ha lasciati con l'ansia dell'immaginazione su quella che sarebbe potuta essere la lettura del grosso diario senile del drammaturgo veneziano, redatto in Francia, dove si recò nell'ultima parte della vita. Tanto più perché oggi un Goldoni senza idee diventa oleografia MEMOIRES, di Carlo Goldoni. pura. E purtroppo è questo il gusto che Adattamento di Tullio Kezich e resta in bocca nell'edizione di Maurizio Maurizio Scaparro. Regia di Maurizio Scaparro degli stessi Memoires, realizzati Scaparro. Scene di Roberto Francia. per il Teatro Stabile del Veneto. Già il testo Costumi di Santuzza Cafi. Musiche di Germano Mazzocchetti. Luci di Gino (confezionato dal regista assieme a Tullio Potini. Con Mario Scaccia, Gaia Kezich) risulta poco più che un'antologia Aprea, Max Malatesta, Enzo Turrin. di cover dell'autore, salvo che poi tra le Prod. Théatre des ltaliens, PARIGI varie presenze notabili del repertorio, da Teatro Stabile del Veneto "Carlo Mirandolina della Locandiera, ad Goldoni", VENEZIA. Arlecchino dell'Arlecchino servitore di due padroni, ancora a Orazio il capocomico del Teatro comico, Bettina della Bottega del caffè, Lelio del Bugiardo, i due giovani litigiosi degli Innamorati, via via fino alle Baruffe chiozzotte, non si fa che rimpiangere ben migliori, anche recenti (è il caso della bellissima edizione degli Innamorati di Massimo Castri) letture delle opere citate. La scena rappresenta un mondo-teatro, con una nuda impalcatura da un lato e un velario che divide in profondità le varie dimensioni della rappresentazione. Mario Scaccia è un diligente Goldoni nell'età anziana, cui fa da contrappunto il piccante Max Malatesta, Anzoleto dell'Ultima notte di Carnovale, e anche alter ego giovane del drammaturgo. Scorrendo le pagine delle memorie, viene dunque rimessa in scena la vita, la poetica e la dedizione teatrale di Goldoni. Compare dunque la sgangherata compagnia del Medebach, con cui l'autore collaborò nelle prime intensissime stagioni, cui saranno affidate le citazioni delle pièces più note, nonché l'aspra polemica sul passaggio dalla commedia all'improvviso a quella di carattere. L'antologia prende in più tratti la dimensione del musicalvarietà, dando una volta ancora risalto alle qualità canore di Gaia Aprea. Il tutto resta però sempre molto superficiale, abbozzando un discorso metateatrale, ma acchiappando al massimo, talvolta, complice la stagione del Carnevale, la corda della nostalgia, di cui però ci si augura che anche il pubblico veneziano si sia un po' stufato. A meno che non si puntasse soprattutto a far colpo sulle mascherine, ormai quasi solo giapponesi, che affollavano le calli di Venezia: insomma un Goldoni made-in-Italy, pronto per i banchetti con gondole e miniature di San Marco. Giulia Calligaro

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Ricordi in costruzione

Orsini ancora protagonista

Vecchi tempi nostalgia di scandali candalizzò la prima rappresentazioVECCHI TEMPI, di Harold Pinter. ne italiana di Vecchi tempi di Harold Traduzione di Alessandra Serra. Pinter. Luchino Visconti la ambientò Regia di Roberto Andò. Scene e luci di Giovanni Carluccio. Costumi di su un ring e rese esplicitamente omosesNanà Cecchi. Regia video di Luca suale la relazione fra le due donne, Kate e Scarsella. Suono di Marco Olivieri. l'amica di università Arme, che arriva a Con Umberto Orsini, Valentina Sperfi, trovarla, dopo vent'anni, nella casa sul Greta Scacchi. Prod. Emilia mare dove vive con il marito Deeley. Kate Romagna Teatro Fondazione, MODEera Adriana Asti, Valentina Cortese era NA _ Teatro Stabile di CATANIA. Arme, e rimase famosa la scena in cui la Cortese con un piumino cospargeva di borotalco l'altra, uscita nuda dalla doccia. Lo spettacolo fu vietato dallo stesso autore, che non apprezzò la scelta di dichiarare lesbica la relazione fra le due donne. Umberto Orsini era l'uomo in quella edizione e torna a esserlo nello spettacolo firmato da Roberto Andò, un regista che conosce bene il teatro di Pinter e che vanta un'amicizia personale con lo scrittore. La storia inizia come un dramma di conversazione, per aprire derive di ogni tipo sulla memoria, la verità, la finzione, l'illusione, la realtà di rapporti che possono assumere angolature e verità differenti a seconda dei punti di vista. Deeley dichiara di non conoscere Arme, eppure forse scopriremo, nel procedere dell'incalzante faccia a faccia a tre, che l'ha incontrata, forse l'ha amata o addirittura uccisa, e che ci troviamo in un qualche recesso della mente. Le due donne esibiscono affetto, intimità, e l'azione dimostra le incrinature, i malintesi, gli odi o perlomeno le diffidenze nascoste. L'apparenza si rivela un involucro di qualcosa di tanto mobile da risultare destabilizzante. Forse Deeley è andato a letto con Arme, forse le due donne sono state più che amiche, e forse ogni cosa che vediamo è solo un'ipotesi della memoria, del desiderio, dell'immaginazione, del rimpianto, del rimorso, aggrappata come pianta parassita a una vita trascorsa, inconoscibile. Il testo è meno incisivo di altri del drammaturgo inglese; sicuramente vincolato alla maestria degli attori. In questo allestimento Roberto Andò costruisce intorno ai tre interpreti una stanza fatta di schermi, di proiezioni, che evocano i pensieri ambigui dei protagonisti, ma anche forniscono materia di immagini a spunti del testo, con risultati troppo didascalici, che a volte distraggono la concentrazione. Deeley è un documentarista, Arme si è ritirata in Sicilia, e allora filmati di vulcani, o altri reperti da neorealismo invadono lo sfondo, insieme a primi piani, onde, ondeggiare, aggiungendo senza approfondire, senza indicare strade diverse da quelle segnate già dalle parole. Valentina Sperlì è una Kate troppo legnosa, abbastanza incolore; più a suo agio sembra Greta Scacchi con le distanze squittenti, ironiche, di Arme. Orsini, freddo e loico, gioca una partita nervosa e compiacente con il passato che vorrebbe tenere lontano: sembra incidere ogni parola per andare avanti e fronteggiare l'oscurità anteriore, o interiore; è bravo, ma piuttosto ingabbiato da una regia senza guizzi.

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Greta Scacchi, Valentina Sperlì e Umberto Orsini, protagonisti di Vecchi tempi di Pinter, regia di Roberto Andò.

Massimo Marino

LA MEMORIA DELL'ACQUA, di Shelagh Stephenson. Regia di Massimiliano Farau. Traduzione di Massimiliano Farau e Laura Mazzi. Scene e costumi di Ilaria Albanese. Luci di Luca Bronzo. Con Maria Paiato, Georgia Lepore, Sonia Barbadoro, Sara Bertelà, Fabio Cocifoglia, Salvatore D'Onofrio. Prod. Fondazione Teatro Due, PARMA.

Una commedia caustica sul risentimento e sulla possibilità di redenzione attraverso la costruzione di ricordi a uso e consumo del presente. Il testo di Shelagh Stephenson fu messo per la prima volta in scena all'Hampstead Theatre di Londra nel 1996 e vinse l'Olivier Award come miglior commedia nel 2000. Tra nevrosi croniche e nostalgie per momenti di vita non vissuta - per cui diventa lecito provare comunque nostalgia - tre sorelle si ritrovano alla vigilia del funerale della madre a inventarsi un'infanzia dimenticata e a fare i conti con un passato confuso che non riesce a liberarsi dal fardello dei disturbi di memoria. L'allestimento di Massimiliano Farau accentua con grande ironia i piccoli rituali quotidiani di una situazione ai limiti di una banale normalità senza concedersi troppo a facili e ridondanti compiacimenti. Tra new age e vegetarianesimo, farmaci omeopatici e macrobiotica passando per meditazioni orientali, la reciproca afasia delle tre protagoniste - Mary (Maria Paiato), Catherine (Sara Bertelà) e Teresa (Sonia Barbadoro) - diventa il perno fondamentale della drammaturgia. Maria Paiato ha una naturalezza e un umorismo inconfondibili nel mettere in scena i moti dello spirito dei suoi personaggi e dà un'ottima prova di sé soprattutto in un serrato dialogo con l'ombra di una giovane madre (interpretata dall'algida Georgia Lepore) la cui approvazione, da tempo, la protagonista ha smesso di cercare. Le scene di colore pastello, gli arredamenti in stile anni Cinquanta e le luci abilmente dosate contribuiscono a sfumare i contrasti metaforici tra le parti dotando di buon ritmo l'intera commedia. Le tante piccole amnesie si trasformano così in un'amnistia col passato e il liquido amniotico materno diventa - come l'acqua per le sostanze in essa disciolte - il conduttore estremo delle memorie più


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-·-·-·-·-·-·-·-·-·-·-·-·-·-·-·-·-·-·-·-·-·-·-·-·-EMI l I A-ROMAGNA intime di uno spettacolo elegante e raffinato. Dimitri Papanikas

Didone regina del grottesco DIDO. LA TRAGEDIA DI DIDONE, REGINA DI CARTAGINE, di Christopher Marlowe. Traduzione di J.R. Wilcock. Regia di Federico Dilirio. Scene e costumi di Emanuela Dall'Aglio. Luci di Luca Bronzo e Davide Sardella. Con Monica Foggiani, Sara Galli, Silvia Giuliano, Cecilia Lattari, Luca Levi, Gerardo Maffei, Angelica Zanardi. Prod. CREXIDA/Teatro Due, PARMA.

vicino al grottesco che alla tragedia vera e propria, mostrata in una sua forma degradata, viene "adattato" dalla giovane Compagnia in una maniera che ne aumenta e amplifica gli aspetti più superficiali e assurdi, in un "gioco" registico ambizioso che richiama il lavoro di Aldo Trionfo e Cobelli, ma non trova un immediato riscontro sul piano della recitazione, né su quello del disegno interpretativo più generale. Le varie scene vengono così caricate di troppe suggestioni, il senso della tragedia di Dido si frantuma di fronte

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alle azioni degli altri personaggi: quasi si trattasse di un dramma collettivo, e non come al contrario è, perentoriamente centrato su una sola figura femminile. I costumi hanno una visibilità in eccesso, quasi a nascondere il lavoro degli attori, mentre le sequenze musicali risultano spesso discordanti con l'immagine, che si avvale, comunque, di ottimi effetti di luce. Bravi gli interpreti a non lasciarsi fagocitare del tutto da un'impresa che richiede una maturità espressiva ancora non pienamente raggiunta. Giuseppe Liotta

Modena Nell'ambito della sezione Carta bianca agli attori, promossa da qualche anno dalla Fondazione Teatro Due, ha debuttato, in uno spazio forse poco adatto a questa particolare e curiosa rappresentazione, Dido. La tragedia di Didone, regina di Cartagine che ha visto l'esordio di un gruppo di nuova formazione, e di Federico Dilirio, un giovane attore formatosi alla Scuola del Teatro Stabile di Torino, qui alla sua prima regia. Tutte informazioni utili e indispensabili per riuscire a contestualizzare una proposta teatrale che ha i pregi e i limiti dell'azzardo giovanile, non sempre aiutato dalla indispensabile esperienza e da adeguati mezzi espressivi. Così, questo singolare testo di Marlowe, che non ha una struttura drammaturgica ben definita, che deraglia volentieri nella parodia, nello scherzo, in uno stile p i ù

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addalena Sacer ha una bella MADRE E ASSASSINA, ideazione di Pietro Bobina e Fiorenza Menni. Regia, dramfamigliola anni Cinquanta che cresce davanti a noi, due bam- maturgia e musica di Pietro Bobina. Dispositivo video di Pier Paolo Ferlaino. bini, macchine sempre più lussuose, fiori, piante, un mondo sicuro, solido, in Con Fiorenza Menni, Angela Presepi, Barbara Folchitto, Biagio Forestieri. Prod. una città evocata per proiezioni video Teatrino Clandestino, BOLOGNA - Emilia sullo schermo che chiude la scena, straRomagna Teatro Fondazione, MODENA de di periferia, spogli alberi autunnali, Théatre Garonne di TOULOUSE. casette di carta disegnate che indicano il municipio, la fabbrica, la scuola, la chiesa, il reparto maternità ... La felicità è appena incrinata dalla ripetizione, dalla quale si può evadere con un'amica nubile che racconta di una vita professionale intensa, e mette nell'orecchio la pulce di un'autodistruzione del mondo per inquinamento. In un viaggio in macchina, l'auto sospesa su un asfalto grigio che corre come un fiume, fra emissioni venefiche, davanti a immagini di dolore e povertà, il viso della bella mammina, fatto risaltare in cinematografici primi piani, si corruga, si blocca. E poi, una mattina come un'altra, senza relazione, scoppia il fatto inspiegabile. Maddalena si trasforma in ombra su sfondi cupi, rossi e neri, in diavolo che su suoni ostinati o striduli massacra a coltellate i figli. Per rimanere svuotata, abbandonata su una sedia come un oggetto, col grembiule lordo di sangue tra le sue piccole, graziose, inutili cose. Nulla viene risparmiato a questa Medea senza tradimento di Giasone: un'implacabile intervistatrice spunta da fiamme infernali per chiederle ragione del suo gesto, come in una squallida, gotica trasmissione di una qualche Maria De Filippi, Alda D'Eusanio o altra esploratrice del trash della rappresentazione del reale. Ma nulla si può spiegare, urlerà Maddalena: sono uscita fuori di me e non so come rientravi. È uno spettacolo che inganna questo di Teatrino Clandestino, smagliante, cupo, fortissimo. Fornisce false piste in continuazione, ci fa credere di essere ingenuo per rimarcare la nostra superficialità, la nostra fiducia nelle apparenze. Alla fine gli attori svaniscono: anche loro, come la felicità famigliare, come gli allarmi, gli anacronismi e le facili spiegazioni disseminati ad arte, erano solo ombre, proiezioni elettroniche che ci hanno dato un'impressione di consistenza. Solo le voci degli attori erano vere, presenti, e il veleno di dolore ·che hanno insinuato nella nostra immaginazione. Massimo Marino

A sin. la protagonista di Memoria dell'acqua di Shelagh Stephenson, regia di Massimiliano Farau; in basso una scena di Madre e assassina di Teabino Clandestino.


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Pasolini/Bertolucci/ Gifuni

Metamorfosi di un omicida nserito nel "Progetto Petrolio", ideato da Mario Martone per il Teatro Stabile di Napoli, 'Na specie de cadavere lunghissimo nasce dai profondi interstizi tra lo sdoppiamento linguistico della prosa politica

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In basso Fabrizio Gifuni in 'Na specie de cadavere lunghissimo, regia di Giuseppe Bertolucci.

'NA SPECIE DE CADAVERE LUNGHISSIMO, da un'idea di Fabrizio Gifuni. Tratto da Pier Paolo Pasolini e Giorgio Somalvico. Regia di Giuseppe Bertolucci. Luci di Cesare Accetta. Con Fabrizio Gifuni. Prod. Teatro delle Briciole/Teatro Stabile di Innovazione, PARMA Fondazione Culturale Edison, PARMA.

pasoliniana degli Scritti Corsari, delle Lettere Luterane e gli endecasillabi in romanesco del poeta milanese Giorgio Somalvico. Attraverso una progressiva metamorfosi linguistica e fisica evocata da una danza macabra, Fabrizio Gifuni mette in scena un Pasolini disperato che si trasforma lentamente nel proprio giovane omicida. Un cadavere parlante lunghissimo si erge contro una generazione di giovani che tuttavia Pasolini, pur condannando, non riesce a odiare. Tre sono i capitoli della partitura drammatica allestita da Giuseppe Bertolucci e Fabrizio Gifuni è bravo nel dimostrare un'ottima padronanza della scena sottoponendo la propria recitazione a una precisione a tratti maniacale. Dai primi istanti di timore quasi reverenziale nei confronti della prosa orante pasoliniana si emancipa attraverso l'utilizzo di un corpo e di un linguaggio vivo e dialettale, capace di trasformare il delirio dell'omicida Pelosi in un'elegia fortemente eccitata e drammaticamente attuale. Lo spazio scenico irrompe in un ambiente tutt'altro che evocativo per giungere a identificarsi con la nudità, non solo esteriore, del proprio protagonista. Il pubblico siede accanto a Gifuni- che è già presente in scena all'ingresso degli spettatori - come in una sorta di bar notturno in un'epoca a metà strada tra il moderno e il contemporaneo. Le luci di sala accese per tutta la prima parte dello spettacolo, l'assenza di un palcoscenico, di quinte e di musiche di scena sottolineano l'impossibilità di tracciare i confini tra azione scenica e spettatore. Tutto è scandalosamente presente e adombrato dalla consapevolezza dell'ineluttabilità tragica della profezia di Pasolini. I testi - risalgono tutti ai suoi ultimi mesi di vita - suggeriscono l' abbandono dello scrittore a un pessimismo cosmico estremo. La società dei consumi ha vinto la sua guerra e un nuovo e ben più pericoloso fascismo si è annidato nello spirito della modernità. L'adattamento di Bertolucci, dotato di un ritmo costantemente in bilico tra lucidità prosastica ed emotività tragica, utilizza i versi del poeta Giorgio Somalvico - ispirati a un ipotetico monologo in dialetto pronunciato dall'omicida Pelosi sul litorale di Ostia - come ultimo e disperato grido di uno dei tanti ragazzi di vita che Pasolini amò con sincerità. Una drammaturgia estremamente elegante e un'esecuzione raffinata e appassionata rendono obsoleto ogni pietismo moralista di circostanza. Uno spettacolo da non dimenticare. Dimitri Papanikas

Le voci di Medea MEDEA, di Christa Wolf. Traduzione di Anita Raja. Con Elisabetta Pozzi, Daniele D'Angelo. Prod. Teatro Due, PARMA.

Si sottotitola Voci il romanzo polifonico con cui Christa Wolf nel 1996 rilegge la figura di Medea. Contrawenendo ad una che, da tradizione Euripide a Muller, aveva

fatto della maga una leggendaria infanticida, la Wolf ritorna infatti a una lezione arcaica del mito, analizzando così i problemi della difficile integrazione di una donna venuta dall'Oriente in un Occidente "civile" e dominato dalla razionalità. Guaritrice e astronoma, legata al «sapere del corpo e della terra», Medea diventa testimone di momenti di crisi, di passaggi di potere dalla tradizione matriarcale ai nuovi assetti patriarcali (maschilisti?) e democratici sia nella Colchide, dove il padre Eete sacrifica il giovane Apsirto, sia a Corinto, dove Creante rafforza la sua

autorità uccidendo la primogenita lfinoe. E proprio la scoperta di questi crimini, posti alla base del potere e immagine della violenza gestita dalle pubbliche istituzioni, diventa dapprima motivo di fuga al seguito di Giasone, poi di emarginazione. E lei, straniera, evoca una visione straniata della realtà, grazie a quel «secondo sguardo», a quella profondità d'indagine che la rende nemica da sopprimere perché a conoscenza di misteri che potrebbero minare il potere consolidato. Lo scontro tra opposte visioni del mondo capitale nella Germania riunificata, arrogante con i deboli e debole con i forti viene efficacemente adombrato in un romanzo di cui Elisabetta Pozzi coglie la straordinaria, innata teatralità, dando vita con pochi, efficaci gesti ai sei personaggi che non narrano una vicenda, ma ne forniscono tasselli che si accostano e danno vita ad altrettante visioni differenti della realtà. Il risultato è a dir poco sorprendente e convincente, non tanto per il contributo musicale live di D'Angelo, più funzionale che originale, quanto per l'entusiasmante immedesimazione della Pozzi nel calarsi in un testo ora estremamente poetico - l'incontro con Giasone non è mai stato evocato con tanta forza di seduzione - ora terribilmente lucido nell'indagare le ragioni della differenza. Giuseppe Montemagno

In catene nel foyer LA VITA È SOGNO, da Calderon de la Barca. Traduzione, riscrittura, drammaturgia, imagoturgia di Francesco Pititto. Regia di Maria Federica Maestri e Francesco Pititto. Installazione scenica e liriche plastiche di Maria Federica Maestri. Musiche ed elaborazioni elettroniche di Andrea Azzali e Adriano Engelbrecht. Luci di Rocco Giansante. Con Giuseppe Barigazzi, Giuseppe lmprezzabile, Elisa Orlandini, Alessandro Sciarroni, Sandra Soncini, Barbara Voghera. Prod. Lenz Rifrazioni, PARMA.

Lenz Rifrazioni non "mette in scena" i testi: viaggia in universi drammaturgici estraendo, ricostruendo, inventando percorsi sentimentali e intellettuali. Così è con La vita è sogno di Calderon de la Barca. Il principe lo incontriamo, incatenato come uno schiavo, già in un angolo del foyer. Nella sala ci conduce la sua catena, fino a una scena di tubi metallici. La storia di Sigismondo, rinchiuso in una torre dal re padre per una profezia, riportato al regno


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EMILIA-ROMAGNA e poi, a causa delle sue crudeltà, di nuovo sprofondato nella cella con la convinzione di aver sognato, fino al ritorno al trono con spirito mutato dall'esperienza, viene interpretata per residui testuali, per fantasmi di azioni. Soprattutto agiscono corpi seminudi e nudi, due giovani uomini, due giovani donne, un vecchio vestito da torero che riassume il re e il tutore-carceriere del principe, un servo interpretato da una ragazza con handicap entrata ormai stabilmente nella compagnia. La "diversità" qui osserva, commenta, sta sui margini di servizio: all'attore, alla sua presenza stretta in catene da cui spesso pendono armi di plastica, al suo dimenarsi, trascinarsi, lanciarsi, rotolarsi, è affidato il viaggio centrale nella prigione dei simboli del testo. Al fronteggiarsi fisico di corpi, storie, amori, rivalità, corrisponde un viaggio dentro i sogni e le pulsioni, per immagini proiettate su schermi che fanno da mobile fondale. Scorrono figure pittoriche, statue e architetture di Madrid, figure di attrici sovrapposte a specchio all'azione reale come madri lontane, donne di desiderio, tracce e segni di profondità da cui irrompono nella natura e nella società le maledizioni, le benedizioni, i misteri degli dèi. Intendendo per dèi gli agenti di quanto di oscuro si muove dentro, sotto, a lato delle apparenze: quel sogno cui il testo allude, quel percorso di formazione attinto attraverso un cammino di sofferenza, di confusione, di disinganno, di conoscenza. Massimo Marino

Lettere dalla miniera ITALIANI CINCALI! PARTE PRIMA: MINATORI IN BELGIO, di Nicola Bonazzi e Mario Perrotta. Interpretato e diretto da Mario Perrotta. Prod. Teatro dell'Argine, SAN LAZZARO DI SAVENA (BO).

Storie di straordinaria emigrazione. Non quella che ha portato gli italiani oltreoceano, nelle Americhe, in Brasile o in Argentina agli inizi del secolo scorso, quella del sogno e del non ritorno, ma l'altra, cominciata alla fine della Seconda Guerra Mondiale, più tragica e sofferta, che spinse molti italiani del Sud a prendere il

treno e andare al Nord: chi all'interno dei confini italiani, chi raggiungendo Paesi come la Svizzera, la Germania, la Francia, il Belgio, per andare là dove veniva garantito un lavoro, e magari dopo qualche anno il ritorno a casa. Ma quei due soldi di speranza per molta gente si trasformarono in destino di morte, in incubo quotidiano, rassegnazione, e nostalgia della famiglia lontana. Il teatro, a differenza del cinema, non ha quasi mai trattato questo tema, a cui la Compagnia del Teatro dell'Argine ha deciso di dedicare un Progetto che darà vita a due distinti spettacoli, il primo dei quali riguarda i minatori italiani in Belgio, giunti lì da ogni parte del meridione d'Italia, soprattutto dalla Puglia, da Lecce, regione da cui è nativo Mario Perrotta, che con passione si è dedicato alla ricerca di una possibile memoria storica di questo recente passato, individuandola nelle lettere che i minatori, insieme ai soldi, inviavano alle proprie famiglie. Testimonianze desolate, terribili, racconti allucinanti delle discese nell'inferno delle miniere, e la paura di non riuscire più a risalire, sepolti vivi, come accadde a Marcinelle 1'8 agosto del 1956, dove morirono 136 italiani, insieme ad altri 126 minatori di altri paesi, e dove vera giustizia non fu mai fatta. Mario Perrotta crea teatralmente la figura di un postino, personaggio a cui dà voce insieme a tanti altri di cui ci parla sia attraverso le parole scritte che quelle trasmesse oralmente: documenti ufficiali, note didascaliche, dialoghi felicemente ricostruiti, situazioni inventate. Un intelligente e sensibile miscuglio di dati certi e fatti plausibili dà al denso monologo uno spessore e una incisività scenica semplice e coinvolgente, cui forse fa da unico limite la visibile differenza fra l'enorme impegno mostrato in scena, la ricca qualità del materiale raccolto, e una recitazione, toni e gesti, troppo uniformata alle varie, esemplari, modalità del teatro di narrazione. Giuseppe Liotta

Attentato a Mussolini L'ATTENTATO, di Luigi Gozzi, Nicola Bonazzi, Pietro Floridia, Andrea Paolucci. Regia di Luigi Gozzi. Con Marinella Manicardi, Lorenzo Ansaloni, Micaela Casaboni, Andrea Gadda, Carlo Massari, Giovanni Malaguti. Scene e costumi di Davide Amadei. Musiche e documenti sonori di Antonia Gozzi. Prod. Teatro Nuova

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Edizione/Moline, BOLOGNA - Teatro dell'Argine/Ife, SAN LAZZARO DI SAVENA (BO).

L'attentato a Mussolini nel 1926, a Bologna, fu un complotto, un mistero. Non si sa chi veramente sparò, anche se la colpa fu immediatamente attribuita a un ragazzo di quindici anni un po' sperso, Anteo Zamboni, individuato dagli squadristi al seguito del duce come attentatore e massacrato sul posto, nel Canton dei fiori, oggi l'angolo fra via Indipendenza e via Rizzali. La cosa certa fu l'accelerazione data all'approvazione delle leggi speciali, che tolsero all'Italia ogni residuo di libertà. Luigi Gozzi fa rivivere questo episodio, e i suoi lati oscuri, in uno spettacolo intenso, scritto con tre giovani autori, Nicola Bonazzi, Pietro Floridia, Andrea Paolucci, presentato all'ltc di San Lazzaro, negli immediati dintorni di Bologna, un teatro che sta puntando tutto su una drammaturgia volta a scandagliare la memoria storica e a interrogarsi sul presente. In scena Anteo è assente: la storia è ricostruita attraverso i dialoghi dei suoi parenti, il padre tipografo, un anarchico individualista con simpatie per il nuovo regime e amicizie fra i gerarchi locali, la zia, amante dell'uomo, la madre, emarginata, sola, forse debole di testa, smarrita, interpretata da Marinella Manicardi in particolare stato di grazia. Suoni e voci d'epoca irrompono con documenti sonori, mentre un vigile urbano conduce lo spettatore attraverso le strade di una Bologna diversa da quella ricca e consumista di oggi e due fascisti rappresentano, in modo caricaturale, la violenza di un regime al quale la sinistra non seppe opporsi per le sue divisioni. Lo spettacolo non si limita a percorrere in modo non lineare i fatti: ci trasporta dentro paure, sentimenti, titubanze delle persone, materializzando sottilmente l'invadenza di un potere che spiana ogni differenza travolgendo le vite, trasformando le città in deserti di paura e conformismo dove si può solo «credere obbedire combattere». Massimo Marino

Asin. Mario Penutta, autore di Italiani cincali!; in basso, una delle interpreti de L'attentato, regia di Luigi Gozzi.


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testo e regia di Chiti

Storie di paura per bambini toscani I RAGAZZI DI VIA DELLA SCALA, testo e regia di Ugo Chiti. Scene di Daniela Spisa. Costumi di Giuliana Colzi. Luci di Marco Messeri. Con Massimo Salvianti, Lucia Socci, Dimitri Frosali, Andrea Costagli, Giuliana Colzi, Maurizio Lombardi, Alessio Venturini, Teresa Fallai, Daniel Dwerryhouse, Francesco Mancini. Prod. Teatro Metastasio Stabile della Toscana, PRATO - Arca Azzurra Teatro, SAN CASCIANO (FI).

no spettacolo, questo collage di "storie di paura" fuse insieme tra di loro e con uno sfondo anni '50'60, che segna, prima di tutto la fin troppo ritardata inclusione nella compagnia di Chiti di un gruppo di giovani attori, venuti a rimpinguare una formazione dell' "Arca Azzurra" ormai esigua numericamente, e con vuoti anagrafici che creavano spesso problemi. Ma non solo per questo motivo I ragazzi di via della Scala sembra un testo, e uno spettacolo, in cui Chiti tenta strade nuove. Siamo di fronte quasi a più spettacoli che coesistono in uno. E uno dei meriti principali di questo lavoro è quello di riuscire a trovare un difficile equilibrio nell'incastonare in una cornice di (finta) narrazione le storie che si descrivono come narrate da questi ragazzi che si ritrovano per strada, o in un cortile, ogni giorno. Allo stesso modo, si equilibrano bene modernità della cornice e dimensione senza tempo - oppure favolosamente "antica" - delle storie narrate. Tuttavia, sono queste "storie di paura" che sembrano andare in direzioni diverse: da quella del vecchio avaro, la bellissima donna ed il diavolo a quella del bambino-santo che uccide i genitori, che sembra portare fino

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Una scena de / ragazzi di via della Scala di Ugo Chili.

al grado zero una indagine non nuova di Chiti su miti-archetipi profondi e inquietanti. Oppure, ecco il fiabesco crudele, atroce del Principe bestia o la fiaba grottesca e beffarda della madre dal braccio e dalla gamba d'oro e del suo rapporto esemplarmente "malato" con i figli. Atmosfere e stili distanti, frammenti di possibili spettacoli tutti interessanti e molto differenti: distanti anche dalla cornice quasi contemporanea. E questa cornice è tanto la parte più centrata dello spettacolo quanto quella più vicina ai climi e ai temi tipici del mondo creativo chitiano. Frammenti di realtà crudi e terribili, ma anche lirici e lancinanti (dal cieco pedofilo al ragazzo ritardato, vero protagonista) senza dimenticare tinte vivaci e pittoresche, tutte toscane. Gli attori se la cavano bene, in più parti: l'unico che ne ha una soltanto è Maurizio Lombardi, Giovannino, !"'innocente", indimenticabile. Ma anche Lucia Socci è una "bambina" straordinaria, mentre Massimo Salvianti si mette in mostra soprattutto nel rendere pienamente plausibile la parabola del Principe bestia, che divora l'amore. Francesco Tei

Don Giovanni in scatola DON GIOVANNI, di Molière. Traduzione di Luigi Lunari. Adattamento e regia di Giuseppe Emiliani. Scene di Graziano Gregori. Costumi di Carla Teti. Musiche di Franco Piersanti. Con Marcello Bartoli, Dario Cantarelli, Michela Martini, Michela Macchioutti, Lino Spadaro. Prod. Compagnia di teatro "I Fratellini", FIRENZE.

Non è Tartufo, non è L'Avaro, non è// Misantropo. Drammaturgicamente Don Giovanni non sta in vetta alle commedie di Molière. Ci sono scompensi stilistici. L'intreccio ha gravi sbilanciamenti. Eppure ogni volta che si incappa in essa e in quella sua continua alternanza di toni, il comico che trascorre nel tragico, l'astratto nel concreto, il filosofico nel convenzionale, il quotidiano nel soprannaturale ti afferra e ti seduce, più di tanti altri

e più autentici capolavori. Sono Don Giovanni e Sganarello due personaggi che, alla pari di Don Chisciotte e di Sancio Panza, non sono pensabili separatamente. Non c'è alcun primato teatrale dell'uno sull'altro, ma neppure sovrapposizione. E in questa versione che offrono I Fratellini ( Marcello Bartoli e Dario Cantarelli, adattissimi all'impresa) la cosa emerge in maniera chiara e perfetta. Con lo svolgersi dell'azione poi il personaggio veramente enigmatico si rivela essere Don Giovanni. Un Don Giovanni che sfugge inesorabilmente a ogni definizione. E anche in questo sta la sua grandezza, ma anche la difficoltà per un attore e un regista di restituircelo. Restituircelo, viene da aggiungere, facendolo vivere in maniera tale da non doverlo giudicare. Questo, anche perché attraverso la sua figura, o meglio l'incontro dello straordinario personaggio, Moliére (e anche qui sta la sua modernità) ci propone una straordinaria raffigurazione del nostro inconscio. Difficoltà che mi pare bene riesce a superare Dario Cantarelli in questo allestimento di Giuseppe Emiliani freddo, quasi onirico, che verso la fine inciampa in qualche concessione di troppo al macabro e rasenta un blasfemo che diventa solo grottesco. Tutto giocato in chiaroscuro in uno spazio costrittivo, una sorta di grande scatola che tutto imprigiona, dove gli elementi comici non mancano, ma anche subito si raggelano. Cantarelli, presentandoci un Don Juan dalla sonnambolica indifferenza, facendone un essere opaco, un assente che va lentamente, ghiacciato, muto, verso la sua ineluttabile fine, va verso quella mano che il Commendatore (Lino Spadara, che con bella versatilità restituisce anche gli altri personaggi maschili) gli tende dalla sua stessa bara. Di fronte a lui, non meno ammirevole, Marcello Bartoli dà vita a un umanissimo Sganarello, misteriosamente embourbé, ligoté, désarmé, per dirla con tre aggettivi francesi e molto moliereschi. Domenico Rigotti.

Un Matrimonio giocattolo SUPERFLU, da Il matrimonio, di Nikolaj Gogol'. Regia di Viktor Kramer. Coreografie di Maria Bol'sakova. Scene e costumi di Dina Khajcenko e Aleksej Votjakov. Luci di Roberto Innocenti. Con Roberto Andrioli, Alessandra Bedino, Sergej Byzgu, Andrea De Carne, Elena Kramer, Valerij Kukharesin


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·-·-·-·-·-·-·-·-·-·-·-·-·-·-·-·-·-·-·-·-·-·-·-·-·-TOSC A Ol'ga Samosina, Murad Sultanijazov. Prod. Teatro Metastasio Stabile della Toscana, PRATO - Baltijskjj Dom, SAN PIETROBURGO.

Macchine fantastiche, sogni e idee, ma anche un po' di approssimazione infantile (probabilmente voluta) fanno da sfondo a Superf/u, lo spettacolo che il regista russo Viktor Kramer ha tratto da Il matrimonio di Nikolaj Gogol'. In questa fantasiosa messa in scena (inserita nella rassegna "Finestre sul mondo", che quest'anno è dedicata al teatro russo) il mondo dell'infanzia fa da padrone. E gli attori-marionette e persino le scenografie si trasformano in giocattoli di scena. Tutto è smontabile, smontato e rimontato, come in uno stupendo meccano teatralizzato, come in un gioco delle costruzioni gigante. Forse da una rilettura di Gogol', ci potevamo aspettare di più dal punto di vista drammaturgico, ma il senso del gioco, dell'ironia è più che palpabile. Insomma ci si diverte dawero ad assistere a Superflu. E questo non è poco. Soprattutto se si pensa che il lavoro è il risultato di una intelligente collaborazione produttiva tra il Teatro Metastasio Stabile della Toscana e il Baltijskjj Dom di San Pietroburgo. Lo spettacolo è infatti frutto dell'inventiva di tecnici e attori russi e italiani, che comunicano fra loro in scena più che altro attraverso il movimento, attraverso una poesia visiva da bebè. Fra un quadro e l'altro, si va vanti per lo più senza uso di parole. I rari interventi in lingua russa e in italiano, non cambiano il senso fiabesco, vagamente metafisico di una drammaturgia giocattolo (in tutti i sensi), che si diverte a esplorare un mondo dove tutto è possibile. Anche il matrimonio. Giovanni Ballerini

Il rap del giovane Lear FOOL LEAR, ideazione e regia di Alessandro Garzella. Drammaturgia di Ciro Lenti. Scene e costumi di Rosanna Monti. Musiche di Dimitri Grechi Espinoza. Luci di Giuliano De Martini. Con Elisa Cosci, Gemma Ferroni, Stefania Luberti, Vania Rotondi, Francesca Russo, Lulzim Zeqja, Dinamitri Jazz Folklore Pee Wee Durante, Dimitri Grechi Espinoza, Mirco Mariottini, Andrea Meloni e Emanuele Parrini. Prod. Sipario Toscana, CASCINA (FI).

Protagonista del Fo/1 Lear è un giovane Lear, il biondo e riccioluto albanese Lulzim Zeqja; il cui accento ci conduce al tema dell'estraneità della terra in cui vivia-

mo o dell'universalità - e attualità - delle tragedia shakespeariana. Questo Lear, un po' deforme e un po' cencioso, scopre nel suo viaggio fuori dal potere e dalle luci dorate, la tragica verità; il monologo: «Cosa è cambiato folle Lear. Questa maschera sul viso ci rende incoscienti» è un momento di grande intensità anche interpretativa, contrappuntato dalla musi-

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ca in diretta. Perché lo straniamento viene anche dalla presenza dell'orchestra tzigano-jazz di Dimitri Grechi Espinoza, tra i momenti più intensi dello spettacolo, che passa da sonorità alla Mingus di Pithecantropus a Goran Bregovich . Che dietro ci sia un omaggio all'attore-jazz di Leo De Berardinis, i cui Lear sono stati dawero indimenticabili? Nell'eliminazione

Di Francescantonio

Un attore di giro fra Tolstoj e Guccini uò sembrare un vezzo d'altri CONFESSIONE, di Lev Nikolaevic Tolstoj. tempi, ma nel 2004 c'è ancora chi Traduzione e regia di Riccardo Sottili. preferisce essere un attore da giro, Con Franco Di Francescantonio. PERLE da tournée, piuttosto che produrre spetta- RARE, di e con Franco Di Francescantonio. coli con una compagnia stabile. È il caso RECITARCANZONI. Regia di Riccardo di Franco Di Francescantonio, 52 anni, Sottili. Con Franco Di Francescantonio romano, ma da tanti anni (da quando e con (musicisti) Stefano Agostini, Nino venne a studiare scenografia e costumi Marini e Marco Gammanossi. Prod. all'Accademia di Belle Arti) ha scelto Occupazioni farsesche, BARBERINO DI Firenze come sua patria. Anche se ultima- MUGELLO (FI). mente è più spesso a Barcellona, dove insegna all'Istituto del Teatro e si misura con importanti regie e produzioni. Abbiamo visto questo poliedrico attore, che ha vinto due volte il premio della critica barcellonese e due volte il premio del festival "Monologhi" in Russia, protagonista di tre interessanti spettacoli in Toscana: Perle Rare, Recitarcanzoni e Confessione. Ci ha colpito soprattutto l'eleganza e la modernità della messa in scena dello spettacolo tratto da Le Confessioni di Tolstoj. La pièce, che ha vinto il primo premio al Festival Monokl di San Pietroburgo 2001 e il premio della critica di Barcellona per la migliore interpretazione, è frutto di un lavoro di scavo morale, un interrogarsi dinamico sulle connessioni fra teatro e filosofia. Il linguaggio tolstojano si trasforma in un codice etico che riesce a svelare tante contraddizioni del nostro (e del suo) tempo. E l'intensa recitazione di Di Francescantonio, aspra e tagliente, come la razionalità di Tolstoj, istiga riflessioni sul senso della vita, ma anche sul ruolo del creativo, dell'artista contemporaneo. Un esempio di teatro, di recitazione a tutto tondo, è invece il delizioso Perle rare, in cui Franco Di Francescantonio interpreta Tofano, Kafka, Cechov e le canzoni di Dino Campana, sconfinando amabilmente fra generi diversi. Parola, danza, canto, si scoprono drammaturgicamente fusi, emotivamente necessari in uno stato virtuoso di curiosità creativa. Sulla stessa lunghezza d'onda nasce Recitarcanzoni, recital in cui Di Francescoantonio e i tre musicisti (Stefano Agostini, Nino Marini e Marco Gammanossi) si misurano con le canzoni di Jannacci, Guccini, De André, Conte, Endrigo, Bindi, Modugno, Tenco e di altri cantautori (per l'occasione ne è stato realizzato un cd). L'avvelenata di Guccini viene recitata al leggio, come fosse un classico della letteratura, ma per il resto è soprattutto la parola cantata a fare da protagonista. Lo spettacolo, che ha vinto il premio della giuria a San Pietroburgo rappresenta un'intelligente occasione di riscatto della parola, rispetto alla musica. E, attraverso le atmosfere create ad hoc dall'interpretazione di Di Francescoantonio, la forma canzone si riappropria di un po' di nostalgia, di un po' di tenerezza perduta. Giovanni Ballerini

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In basso, Franco Di Francescantonio.


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TOSC AN A_·-·-·-·-·-·-·-·-·-·-·-·-·-·-·-·-·-·-·-·-·-·-·-·-·-·-· di tutto quello che non era il nucleo prescelto a rappresentare la tragedia (i rapporti di potere, il tema della fedeltà) sono stati sacrificati passaggi e personaggi chiave. Nella con-fusione di generi e atmosfere, Garzella ha infatti scelto la contaminazione alla purezza, per mescolare la fiaba (le sorelle di Cordelia sono quelle di Cenerentola?) al rap. E così, Lear declama ritmandolo, il suo monologo. Dall'alto cade incessantemente una sabbia inesorabile, fin troppo evidente - e letterale - il suo significato: di quello che la . storia racconta, non rimarrà più niente, delle lotte di potere non resterà che un cumulo di detriti. Quella sabbia serve anche come misura del tempo della rappresentazione. Felice la soluzione della scena di legno rialzata dal palcoscenico (intorno al quale siedono gli spettatori) da dove appaiono e scompaiono i personaggi: un po' trabocchetto, un po' labirinto di castello, un po' inner stage. Intorno, dentro, sotto e sopra di esso scalpitano come Baccanti o Furie le tre sorelle e la voce narrante femminile, mentre a tratti compare un lugubre messaggero a dare notizia degli eventi. Plauso per Francesca Russo-Cordelia - giovane e bellissima apparizione, eterea e magnetica. Anna Maria Monteverdi

come la drammaturgia. Imprigionati nel labirinto delle parole del drammaturgo tedesco come in una ragnatela, i registi Annalisa Bianco e Virginio Liberti mettono a fuoco il tema del dolore. Amplificandolo fino al parossismo e al limite dell'assurdo che trasfigura in comico. Bisogna dire che Muller funziona ancora in teatro, riuscendo a trasferire inquietudini e domande senza risposta, come ben rappresenta la sequenza afona della mummia umana, esemplificazione del dolore e dell'assurdità che in scena, come nella vita, subisce senza capire. Le stazioni del dolore, i vari passaggi di stato, mostruosamente suggellati dalla compassata tranquillità delle compresenze femminili - le infermiere angeliche e diaboliche - sono spezzate da sequenze video proiettate su un maxischermo. Si tratta di volti e macro sezioni di particolari (orecchie, bocche, nasi, capelli) di giovani ragazze rigorosamente in bianco e nero. Il video restituisce amplificandola, una sensazione di sospensione che si trasforma, nella durata, in malessere e poi in angoscia che urge dalla sensazione di inutilità e dilatazione del tempo e dello spazio. Fotosequenze che ricordano certa cinematog rafia di matrice fassbinderiana anche come corredo di climax. Renzia D'lncà

Nel labirinto del dolore

Una scena di Hamletmachine di Muller, della compagnia Egumteatro (foto: Andrea Messana); a destra, un'azione di Storie mandaliche 2.0. Nella pag. seguente una scena di Quando si è qualcuno di Pirandello, regia di Massimo Castri.

HAMLETMACHINE, di Heiner Muller. Regia di Annalisa Bianco e Virginio Liberti. Compagnia Egumteatro, ABBADIA S. SALVATORE (SIENA).

Egumteatro, dopo Quartett, ha scelto di confrontarsi ancora una volta con la scrittura di Heiner Muller mettendo in scena Hamletmachine. Una testualità dura, sconvolgente, scandalosa su un impianto scenico scarno. Essenziale

La maschera digitale STORIE MANDALICHE 2.0. !per-racconti di Andrea Balzola. Segnal'azioni di Anna Maria Monteverdi. Narr'azione e Direzione di Giacomo Verde. Sonorizz'azioni interattive di Mauro Lupone. Elaborazioni finali FlashMX di Lucia Paolini. Prod. ZoneGemma-Xear.org Armunia Festival Costa degli Etruschi, CASTIGLIONCELLO (LI).

Spesso la sinergia fra teatro e tecnologia è solo uno slogan, un modo per celare, dietro il pretestuoso nuovo che avanza, poche idee, se non addirittura confusione drammaturgica. Non è certo il caso di Storie Mandaliche 2.0, che la compagnia Zone Gemma - Xear.Org (in collaborazione con Armunia Festival Costa degli Etruschi) ha presentato in prima nazionale al Teatro Fabbrichino di

Prato all'interno del progetto "Frequenze di Teatro" in Toscana. Storie Mandaliche 2.0 è uno spettacolo piacevole, che scorre benissimo e intriga il pubblico con l'intersecarsi delle sue storie, ma è soprattutto la sua vocazione digitale (e la puntuale comunicazione della stessa) a fare la differenza fra questo lavoro e tante altre produzioni di questo tipo. C'è innanzitutto una squadra che funziona (Andrea Balzola, Anna Maria Monteverdi, Mauro Lupone, Lucia Paolini) e si integra a meraviglia con la narr'azione di Giacomo Verde. Un autentico cyber-cantastorie, che usa la tecnologia come se fosse una maschera della commedia dell'arte. E si cala nella narrazione come se facesse teatro di strada. Il risultato è un cyber teatro adatto a grandi e piccini, in cui la tecnologia non è un mezzo alla moda o una scorciatoia drammaturgica, ma l'essenza stessa dell'azione narrativa (ecco perché narr'azione). La nuova versione di Storie Mandaliche, abbandona lo schema rigido del sistema "Mandala System" per passare al più malleabile FlashMX. Anche in questo caso non si tratta di una scelta tecnologica, ma espressiva. I fondali interattivi utilizzati dal cyber-contastorie (che sono stati rielaborati durante il corso di Computer Art del Corso Multimediale dell'Accademia di Belle Arti di Carrara) hanno infatti la possibilità di essere navigabili anche in Internet. Anna Maria Monteverdi sta curando con Andrea Balzola (per la casa editrice Nistri Lischi di Pisa) un testo-diario con allegato cd-rom, che illustra le modalità di scrittura e messinscena sperimentate durante la realizzazione di questa tecnonarrazione. Giovanni Ballerini


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Pirandello/ Castri/ Albertazzi

Benvenuti nell'Ade tra i fantasmi del desiderio

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ostantin Stanislavskij racconta di uno QUANDO SI È QUALCUNO, di Luigi spettacolo in cui il pubblico non riusci- Pirandello. Regia di Massimo Castri. Scene va a staccare gli occhi dalla vestaglia e costumi di Maurizio Balò. Con Giorgio cremisi indossata da un attore: lo si poteva Albertazzi, Paola Bacci, Paolo Calabresi, nascondere ovunque, questo Gribunin, che il Giovanna Di Rauso, Giuliano Esperati, suo costume squillante rispuntava fuori in Pietro Faiella, Silvia Frasson, Miro Landoni, Beppe Lo Console, Fernando Pannullo, continuazione, offuscando tutto il resto. Il Bruna Rossi, Renato Scarpa, Anna Sesia, rosso turbava e disturbava, portando altrove Danilo Vitale. Prod. Teatro di ROMA - Teatro lo spirito della commedia. Ben diversamente Biondo stabile di PALERMO. avrebbe funzionato - aggiunge il regista russo - nel caso di un dramma rivoluzionario, magari incentrato su una bandiera ... Diciamo che, vestendo Veroccia con un accappatoio di un rosso aspro, acceso, Massimo Castri ha issato il suo stendardo rivoluzionario sulla scena di Quando si è qualcuno di Luigi Pirandello. E se inizialmente lo spettatore fatica a distogliere lo sguardo dall'insieme un po' demoniaco formato dalle gambe nude di Giovanna Di Rauso e dalla macchia sanguigna della corta tunica che l'avvolge, è perché la regia, con calcolata perfidia, lo vuole. Quel rosso provocante e animoso, da cui alla fine del Il atto scaturirà un corpo nudo altrettanto ineludibile, è l'unica nota di passione in un testo dove il rimpianto per la vita suona più forte, più straziato, delle isteriche professioni di vitalismo che lo costellano. Una volta in più, Castri ha messo in scacco Pirandello. Da un dramma crepuscolare del 1933, praticamente mai rappresentato, ha estratto un vero, e per nulla allusivo, oggetto di scandalo: il corpo stesso del desiderio, la sua ossessione che va e viene sempre uguale, rossa come le chiome di Marta Abba, come i capelli di Veroccia secondo la didascalia di Quando si è qualcuno. Non pago, perché lo scandalo non appaga mai, ha trasformato il passo afasico della pièce nel macabro allegretto di una concitata sonata di fantasmi che gira attorno alla presenza-assenza dell'oscuro "tre stelle" interpretato da Giorgio Albertazzi, l'autore consacrato che vorrebbe vivere una seconda giovinezza artistica (ed erotica) nella maschera di bellezza di uno pseudonimo. Già, perché non è certo che Albertazzi, immerso nella musica distante del personaggio, sia lì, in scena, a tutti gli effetti, come potente soggetto - autore, attore, mattatore - e non si appresti invece a dileguare nel luttuoso bianco che lo veste da capo a piedi, in un "a parte" dove presenza e memoria si confondono. In fondo, è l'ospite d'onore del funerale che familiari e amici interessati gli celebrano già in vita - privilegio questo, squisitamente pirandelliano - l'ironico convitato di pietra di una beffarda metamorfosi della vita in forma, la vittima designata (e complice) di una soffocante Immortalità. Come sempre, le scene di Maurizio Balò assecondano il movimento drammaturgico, si muovono e mutano, partono in un modo e finiscono, grandiosamente, in un altro: giardino mediterraneo nel primo atto, irrorato da una calda luce color arancio, decadente parco cechoviano nel secondo, fiabesco oltretomba nel terzo, quando il cancello semi-aperto del fondo avanza fino al proscenio e diviene una poderosa inferriata che il vecchio servo in marsina apre faticosamente per far entrare gli invitati. E la neve cade, come nel John Gabriel Borkman allestito da Castri tre anni orsono, cade-direbbe Joyce- «like the descent of their last end, upon all the living and the dead», come la venuta dell'ultima ora sui vivi e sui morti: soffice apocalisse che tutto assorbe e modifica nella sua prospettiva infinita, anche la cattiva infinità anchilosata nelle dialettiche morali del teatro borghese. Nel silenzio, bianca sul bianco, sorge la statua di Qualcuno: patetico uomo di neve. E il pirandellismo - benvenuti nell'Ade - è ormai una voce lontana, un disco rotto che si incanta nel grammofono del Novecento. Attilio Scarpellini

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Com 'è britis h Columbro FUNNY MONEY, di Ray Cooney. Regia di Patrick Rossi Gastaldi. Scene di Alessandro Chiti. Musiche di Bruno Coli. Con Marco Columbro, Francesca Draghetti, Cristina Borgogni, Pietro De Silva, Gianluca Machelli, Andrea Garinei, Roberto Stocchi. Prod. Francesca e Lucio Ardenzi-Teatro 3, ROMA.

Da quelle due o tre cose che so di teatro, so che si possono verificare tre circostanze: a) gli attori si divertono, il pubblico no; b) non si divertono nè gli attori nè gli spettatori; c) ci si diverte tutti, in scena e in poltrona. È questo il terzo felice caso dell'allegra commedia con Marco Columbro, Francesca Draghetti (della Premiata Ditta) e ottimi comprimari tipo Pietro De Silva e Gianluca Machelli. Luogo dell'azione: Londra. Atmosfere tra il giallo brillante e Feydeau. Debutto londinese nel 1995, anche se il sicuro artigianato di Cooney sembra retrodatare questa scrittura. Esito entusiastico. «Due ore di estasi demenziale» scrisse il Sunday Times. Successo mondiale. Operazi0ne sempre delicata tradurre questo tipo di prodotti in italiano e inserirli nel nostro sistema non-sistema teatrale, annoiato da ambizioni sbagliate e immalinconito da divertimenti televisivi. Columbro, che faceva teatro prima di diventare il primo volto popolare di Canale 5, regge benissimo il british plot e la trovata della valigia piena di denaro, che rende «tutti pazzi per i soldi», come recita il sottotitolo, funziona a meraviglia. Altrettanto bene Marco regge il recupero dopo la malattia che l'ha colpito e questa è una piacevole nota personale, condivisa con il pubblico che gli dimostra sincero affetto. Autorevole affetto

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tributato a Columbro anche dal Presidente del Consiglio, che non abbiamo incontrato alla "prima", poiché ha scelto la sera dell'apertura della stagione lirica agli Arcimboldi per andare invece al teatro Manzoni. Fabrizio Caleffi

Lennon, mito dai due volti LENNON & JOHN, di Giancarlo Lucariello e Ennio Speranza. Regia di Massimo Natale e Giancarlo Lucariello. Scene di Stefano Cola. Musiche di Maurizio Fabrizio. Con Giampiero lngrassia, Giuseppe Cederna, Gabriele Foschi. Prod. Gabriele Guidi e Giovanna Romagnoli, ROMA - Salieri Entertainment, MILANO.

In basso, Giampiero lngrassia e Giuseppe Cedema in Lennon & John; nella pag. seguente, le interpreti di Tre sorelle di Cechov, regia di Maurizio Panici.

Singolare lo spettacolo proposto con la regia di Massimo Natale e Giancarlo Lucariello dedicato all'intramontabile mito di John Lennon. Ma se lo spettatore crede di assistere a un'agiografia di Lennon e di riascoltare le sue celeberrime canzoni rimarrà spiazzato. In scena, infatti, è un inquieto personaggio vestito di nero (Giampiero lngrassia) che dialoga, discute, lotta con un altro più pacato, più razionale vestito di bianco (Giuseppe Cederna), una sorta di voce della coscienza. I due rivelano di avere vissuto le stesse esperienze, di avere fatto gli stessi incontri, ma di avere reagito diversamente: infatti Cederna incarna Lennon nel suo privato, mentre lngrassia è il personaggio pubblico; essi, in continuo contrasto, non riescono più a convivere. Ed è proprio dai loro litigi che emergono i punti salienti della vita dell'artista sottolineati solo in alcuni momenti dalle musiche originali di Maurizio Fabrizio eseguite in versione strumentale. Un terzo misterioso personaggio (Gabriele Foschi) interviene ogni tanto ora nei panni di un giornalista, ora di un fan del cantante che da tempo aspetta di incontrarlo e che poi sarà il suo assassino. Sulla scena, ideata da Stefano Cola, asettica, bianca, che sembra il richiamare video di lmagine, vivacizzata solo dalla proiezione dell'orario del-

Zuzzurro e Gaspare

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otissimo anche in casa nostra, l'ingle- PARENTI APPARENTI, di Alan se e spiritosissimo Ayckboum (classe Ayckbourn. Regia di Andrea 1939) del quale, in nome del puro Brambilla. Scene di Paolo Polli. Costumi di Pamela Aicardi. divertimento , la coppia Andrea Brambilla e Musiche di Ricki Gianco. Con Nino Formicola, più nota come Zuzzurro e Andrea Brambilla, Nino Gaspare, ha ripescato con rumor di successo Formicola, Magda Mercatali e (giustificato ) quella che fu una delle sue Roberta Cartocci. Prod. Fox & prime e fortunate commedie, Relatively Gould Produzioni, ROMA. speaking, già conosciuta in casa nostra col titolo di Sinceramente bugiardi e che questa volta, forse per il piacere della cacofonia, si è preferito ribattezzare Parenti apparenti. Commedia dove il gioco degli equivoci è la sola, ma oliatissima, molla che regge tutto l'impianto. Quasi una scommessa quella lanciata da Ayckboum. La scommessa si direbbe di un matematico che, spiritosissimo, tenta e vuole analizzare tutte le possibili varianti e combinazioni negli scambi di personaggi. Spesso un quartetto, come è in questo caso, dove la comicissima partita si gioca fra due coppie. L'una più attempata e che alla frenesia della "city" preferisce la tranquillità di vivere in campagna ma in lussuosa villa, ovvero Philip e Sheila; l'altra, Greg e Ginny, più giovane, e prossima alle nozze , che vive da bohémien in un bilocale a Londra. Normale ménage e l'uno e l'altro. Ma un giorno Greg viene preso dal terribile sospetto di non essere l'unico uomo di Ginny. Telefonate che si bloccano all'improvviso quando lui va a rispondere, pantofole non sue trovate sul pavimento, scatole di cioccolatini in un cassetto suonano come un campanello d'allarme. E che fa Greg quando Ginny annuncia di andare a trovare i genitori? Decide di seguirla. Sospetti fondati. La giovane donna si sta infatti recando dal suo ex amante Philip, in realtà solo per recuperare certe lettere visto che la relazione è ormai conclusa. Il caso vuole, tuttavia, che Greg scambi veramente Philip e sua moglie per i genitori di Ginny. Non basta, crede anche che essa sia figlia illegittima di Philip. Che pasticcio! Ma non è che l'inizio degli equivoci. Come se Ayckboum volesse mettere lo spettatore su un treno ribelle che il manovratore non riesce più a fermare. E via in un zigzagare folle di trovate e di battute servite anche come una blanda satira della middle class. Andrea Brambilla ha fiutato nel copione una riserva aurea per la sua (felicissima) e altrui (pure di segno alto) comicità e lo ha rispolverato (sua la regia) attento a non guastare un effetto. Tutte mosse da scacchista patentato che conosce come le pedine della comicità - quella autentica, quella non volgare e gridata - vanno messe nella casella giusta, spingendole anche verso un terreno ioneschiano, ovvero da teatro dell'assurdo che non guasta. Bravissimo Andrea Brambilla nel disegnare tra finta flemma e pause piene di stupore il suo personaggio ma attorniato anche da colleghi che sanno bene che vuol dire humour. L'amico Nino Formicola in testa che su registro più nevrotico dà veste all'imbarazzato e più ingenuo Greg, e la giovane Roberta Cartocci e una smagliante Magda Mercatali impensabile così brava anche nel teatro boulevardiero.

Domenico Rigotti l'ultima notte di vita di Lennon (1'8 dicembre 1980) che scorre inesorabile sullo sfondo e con un pavimento che riproduce una scacchiera, i due protagonisti giocano l'ultima e decisiva partita. I tre interpreti offrono una notevole prova d'attore, poiché nel corso dello spettacolo succede ben poco, ma tutto è affidato alla loro capacità evocativa di contrasti intimi e di tensioni psicologiche, anche se il dialogo, talvolta, diventa troppo

lento e manca di mordente. lngrassia, che proviene da celebri musical come Grease e The Full Monty, se la cava nella sola recitazione facendo bene emergere la fragilità del cantante, mentre Cederna si distingue in una interpretazione di grande intensità indagando nella psiche umana del suo rivale e caratterizzando abilmente il suo evanescente personaggio con pochissimi tratti. Albarosa Camaldo


-·-·-·-·-·-·-·-·-·-·-·-·-·-·-·-·-·-·-·-·-·Nostalgia in bianco TRE SORELLE, di Anton Cechov. Regia di Maurizio Panici. Scene e costumi di Aldo Buti. Musiche di Paolo Vivaldi. Luci di Giuseppe Ardizzone. Con Fabio Bussotti, Antonella Attili, .Valeria Ciangottini, Pamela Villoresi, Silvia Budri, Paurizio Panici, Manrico Gammarota, Sergio Basile, Renato Campese, Giorgio Borlotti, Licia Ricalzone. Prod. Coop ARGOT, ROMA.

Forse dopo Cechov solo Beckett ha saputo declinare con clownerie disarmante l'angoscia dell'uomo contemporaneo oscillante come un pendolo fra la noia e la nausea. Di questo soffrono i personaggi delle Tre sorelle. Ma anche di nostalgia. Una malattia che origina dai progetti che le tre sorelle Prozorov, compreso il fratello maggiore, avevano in mente di realizzare e che poi invece li hanno visto volatilizzare. Olga, la più anziana del gineceo, insegna senza gioia in una scuola e la promozione a direttrice la lascerà indifferente. Masha, innamorata del professore di ginnasio Kulygin lo sposa a soli 18 anni, per accorgersi poi di non amarlo perché ne aveva troppo sopravvalutato intelligenza e cultura. Irina, la più giovane, ricca di entusiasmo per la vita è colei che desidererebbe più d'ogni altro far ritorno a Mosca. Andrej, il fratello ricco di progetti, sogna di diventare uno scienziato famoso e invece si dovrà accontentare di lavorare in un consorzio agrario e di sposare Natasha, una

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regia di Pagliaro

Nella stanza di Marie palcoscenico del mondo

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i soffoca, dietro le finestre: tre, imponen- IL TEMPO E LA STANZA, di Botho Strauss. ti, pericolosamente in bilico sulla testa Traduzione di Roberto Menin. Regia di degli spettatori, sul proscenio. Dietro i Walter Pagliaro. Scene e costumi di vetri, una camera qualsiasi di una città qual- Alberto Verso. Luci di Camilla Piccioni. siasi, piena di tante sedie, forse un tempo Con Micaela Esdra, Sergio Di Stefano, occupate ma ora destinate a rimanere vuote. E Andrea Lavagnino, Daniele Valenti, Tiziana Avarista, Giuseppe Butera, Julius, che di quella stanza è il proprietario, o Martina Carpi, Davide Marzi, Adriano forse solo uno degli abitanti, tutto annota in Braidotti e un intervento di Paola un piccolo taccuino. Campanelli che trillano, Mannoni. Prod. Associazione Culturale porte che sbattono scandiscono il tempo circo- Gianni Santuccio, ROMA. lare che segna arrivi e partenze, primo fra tutti quello di Marie Steuber, misteriosa, sfuggente icona che tutto conserva nella sua valigia, tutti conosce e attira nella stanza. Dalla valigia emergono frammenti per definire tipi ideali, categorie più che personaggi (l'impaziente, l'addormentata, l'uomo senza orologio, l'uomo con il cappotto, il perfetto sconosciuto), tutti accomunati da relazioni passate, presenti o forse future con l'inquietante Marie. E allora la stanza diventa palcoscenico del mondo, laboratorio claustrofobico in cui alimentare la memoria, ritrovare tracce, spezzoni, tessere di un mosaico impazzito: che non si vuole ricomporre né ricostruire ma elaborare secondo logiche casuali, ripetizioni e sovrapposizioni folgoranti, labili, sfuggenti. E se il primo tempo si chiude nel segno di quelle luci psichedeliche che, animate dalla protagonista, rifrangono mille inafferrabili cristalli di luce, il secondo riprende laddove il precedente era finito, o forse prima ancora che iniziasse, imprimendo un'ulteriore accelerazione alla successione delle sequenze. Walter Pagliaro si confronta con mano sicura con un testo difficile, scomodo, intelligibile solo quando si coglie il desiderio di fermare l'attenzione su un dettaglio, di leggere tra le pieghe di un volto, di cogliere il tormento di una mano, prima che tutta trascorra senza sedimentare nella memoria. E se lo spettacolo comincia al fioco bagliore di una candela è perché la luce progressivamente s'impossessa degli angoli più riposti di una stanza di anonima, devastata vastità, quindi di quei personaggi messi a nudo in quei tratti che imperiosamente si affermano con tragica evidenza. Una, nessuna e centomila, Marie Steuber diventa figura enigmatica e affascinante nell'interpretazione di una Micaela Esdra che raggiunge vertici di autentico, trascinante virtuosismo in un ruolo che unifica, intreccia, raramente dipana. Tra gli altri, i profili di Julius (Sergio Di Stefano) e Olaf (Andrea Lavagnino) risultano particolarmente riusciti, ennesima incarnazione di quel doppio che diventa metafora d'inafferrabilità, figura bifronte di pacatezza e di rabbia, di certosina classificazione scientifica e di umorale espressione d'istintiva passionalità. Poi, dietro le finestre, sarà la volta di altri passanti, indefinibili fantasmi che si materializzano grazie al teatro, effimera ancora di sopravvivenza negli alterni destini dell'umanità. Giuseppe Montemagno

piccolo borghese avara e invadente e per giunta pure fedifraga col principale del marito. Fra tutti si erge la figura saggia del medico militare Cebutykin, forse la stessa anina di Cechov, cui toccano le battute più metafisiche ( «forse non esistiamo») e le più concrete ( «il matrimonio è la tomba dell'amore»). L'eccellente regia di Maurizio Panici, pure nei panni dell'innamorato professore Kulygin, esalta le varie fasi della vita dei personaggi, creando pure momenti di divertissement che si svolgono nei primi due tempi in un ampio salone bianco, confinante tramite due colonne neo-classiche con un tinello

da cui traspaiono mobili e supellettili bianche, andando via via negli altri due tempi spogliandosi degli arredi sino a diventare nuda, astratta quasi, a indicarne la solitudine di chi resta. Belle le luci di Giuseppe Ardizzone oscillanti tra il "luminismo" di Leonardo e il "realismo" di Caravaggio ed emergono nel contesto le tre sorelle: la svanita e concreta Pamela Villoresi, la rassegnata e confortatrice Valeria Ciangottini, l'entusiasta Silvia Budri, e con loro le presenze convincenti di Maurizio Basile, Manrico Gammarota, Renato Campese. Gigi Giacobbe

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Barberio Corsetti

Ma quanto è noiosa la volgarità del quotidiano a un po' l'aria dell'esito di un METAFISICO CABARET, drammaturgia e seminario universitario que- regia di Giorgio Barberio Corsetti. Scene sto Metafisico Cabaret, ultima di Giorgio Barberio Corsetti, Mariano fatica di Giorgio Barberio Corsetti che, Lucci, Luca Da Dalto. Costumi di Marina dopo tanti anni, torna anche a recitare, Schindler. Luci di Antonio Accordo. seppure in una piccola parte. C'è quel- Musiche di Gianfranco Tedeschi. Con l'aria da vitalistico bric-à-brac, carico di Filippo Timi, Giorgio Barberio Corsetti, Damien Caufepe, Fortunato Cerlino, giovanile entusiasmo e di retrogusto Federica Santoro, Raquel Silva. Prod. (volutamente?) naif, che caratterizza le Compagnia Fattore K - Teatro Palladium performance di chi è alle prime armi. - Università Roma Tre, ROMA. Se così fosse, sarebbe perdonabile. Ma trattandosi di uno dei nomi di maggior esperienza del teatro di ricerca italiano, la cosa lascia perplessi. Il tema di fondo è nobile: una sorta di invettiva "metafisica" contro la volgarità e il materialismo, di cui è intriso il nostro presente. A introdurci nel grottesco contenitore-varietà di "numeri a tema" sui piccoli e grandi orrori del quotidiano, è uno scatenato imbonitore in frac e paillettes (il bravissimo e strabordante Filippo Timi, vero protagonista dello spettacolo), che mescola ammiccamenti petroliniani al kitsch en travesti dei film di Buz Luhrman e alla parodia di certe assatanate conduttrici di programmi di tv-verità. Sul palco due musicisti (vibrafono e contrabbasso), un frigorifero, da cui esce Barberio Corsetti leggendo noiosi proclami da intellettuale (e per questo viene fatto fuori con un colpo di pistola), uno schermo-fondale, su cui vengono proiettati filmati del pubblico presente in sala, e un gruppo di giovani spettatori-attori (altri sono sistemati nelle prime file in platea). Naturalmente lo spettacolo sconfina in sala, con due inservienti in livrea, che si arrampicano in galleria su scale a pioli, saltano su . materassi elastici e, più in generale, cercano di produrre un caos para-circense. La sensazione è quella di una giustapposizione di "numeri", che hanno smarrito il fil rouge enunciato nelle note di regia e che si accumulano affannosamente senza graffiare né, alla lunga, divertire. Solo quando il gioco si fa cattivo, vengono fuori alcuni momenti di teatro davvero intensi. Penso all'agghiacciante scenetta della bruttina reclutata fra il pubblico e verbalmente massacrata e poi sedotta in scena dal cinico presentatore in versione simil Carrà, o al monologo del bambino stuprato in forma di allucinata filastrocca o ancora all'elenco di tutto ciò che uccide eseguito a passo di tango. In due ore e mezza di spettacolo francamente è un po' poco. La seconda parte poi ripete a ritroso "numeri" simili a quelli della prima, aggiungendo ingiustificata lunghezza a un impianto drammaturgico già abbastanza fragile in partenza. E per concludere l'abbuffata di citazioni, tutta la compagnia, in abiti impiegatizi, ci offre un simpatico balletto che non può non ricordarci il folgorante inizio di Die Spezialisten di Marthaler. Prima di lasciare la sala, vino per tutti, ma forse ci vorrebbe un alkaselzer. Claudia Cannella

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In basso, Giorgio Barberia Corsetti; a destra, un'immagine da Il paese dei sussurri.

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IL PAESE DEI SUSSURRI, dall'omonima fiaba di Simone Giorgi. Ideazione, scene, luci e regia di Fabrizio Pallara. Con Alessandro Cassoni, Francesco Grillo, Margherita Lacché, Giuliano Polgar. Prod. Teatro delle Apparizioni, ROMA. HAIKU. Ideazione e messinscena di Denaro Meléndrez Chas. Coreografie di Dakei, Compagnia Shizuku. Musiche di Nicola Campogrande. Video di Giuseppe Zambon. Con Eiko Yamaguchi, Massimo Albarello, Jenero Meléndrez Chas, Alberto Jona. Prod. Controluce Teatro d'Ombre, TORINO - Juvarra Multiteatro, TORINO.

a proposta: // paese dei sussurri testo di riferimento di Simone Giorni, regia di Fabrizio Pallata, Teatro delle Apparizioni. La fabula: in un paese lontano regna il silenzio, un liutaio cattivo ha catturato tutti i suoni e li tiene nascosti. Il principe compie l'impresa di liberarli. Scopre che è la musica a far sì che il silenzio esista e che la perfezione è solamente il rischio che la tiene in vita. Le immagini dello spettacolo emergono dal buio e scompaiono nel buio come scintille capaci di generare altre scintille nello spettatore. Poi, sotto il flusso inarrestabile del ricordo, si trasformano in azione, determinando il passaggio dal "racconto alla vita, dalla fiaba al sogno". Se a livello teorico il progetto di regia è chiaro, a livello pratico punte di estetismo, semplificazioni eccessive, ritualizzazione continua ostacolano il primo passaggio ipotizzato e impediscono l'afflusso delle "forme orga-

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-·-a-•-·-·-·-•-•-•-11-•-•-·-•-•-·-•-•-•-•-•-•-•-•- LAZIO-CAMPANIA la il realismo trasfigurato della pioggia, nonché certi passaggi ornamentali o descrittivi della musica si rivelano incoerenti rispetto alle premesse teoriche e metodologiche. Bravo Massimo Albarello. Efficace miscela linguistica interattiva. Spettacolo che regala emozioni allo spettatore. Poetico. Leggero. Volatile. La sequenza di nuvole che generano altre nuvole conferma l'importanza della pluralità del linguaggio nella prospettiva del rinnovamento. Alfio Petrini

Napoli '45, il dolore di tutti

niche". Apprezzabile invece il "processo di allontanamento" attuato da Pallata. Ragionando in termini generali, interessa non solo la regia, ma anche la drammaturgia e la critica. Solo se mi allontano dal presente posso sperare di sfiorarlo. Solo se mi allontano dalla tentazione di doppiare la realtà, posso sperare di ri-crearla e di durare nel tempo. Solo se se mi allontano dall'opera, tradendola per amore, posso sperare di coglierne i significati profondi. Pallara ha scelto questa volta il palcoscenico frontale e ha decentrato la plurisensorialità, seguendo nuove strade di ricerca. Spettacolo piacevole, in ogni modo destinato purtroppo ad avere le solite difficoltà distributive. Perché il Tda è fuori dalle scuderie contano? E lo stesso discorso vale anche per Controluce Teatro d'Ombre con I' Haiku di Jenaro Meléndrez? Credo proprio di sì, se penso all'oligarchia che governa la distribuzione, alle rendite di posizione ostili alla riforma, al conflitto permanente tra "tradizione" e "ricerca", alle sponsorizzazioni e premi assegnati per appartenenza alla lobby. Insomma, tutto ciò che non è sussurro, che non è leggerezza, che non è hayku. A Oriente l'autore attinge alla forma poetica Haiku e la danza Butoh, a Occidente alla musica e alle ombre con tecniche miste. Tenuto conto delle caratteristiche tematiche e formali, fondate sul rapporto uomo/natura e sull'astrazione estrema, si può affermare che non tutto è haiku. La mimesi della nascita della farfal-

NAPOLI MILIONARIA!, di Eduardo De Filippo. Regia di Francesco Rosi. Scene e costumi di Enrico Job. Luci di luraj Saleri. Con Luca De Filippo, Mariangela D'Abbraccio, Gigi Savoia, Tullio del Matto, Isabella Salvato. Coprod. Elledieffe/Mercadante - Teatro Stabile di Napoli, NAPOLI.

Che commedia. Piena di ironia, di pietà, di senso civile, di fantasia, di dialoghi straordinari. E, oggi, che la guerra si ripresenta quotidianamente ai nostri occhi, ritrova un vigore e una verità che sembravano relegate agli anni in cui era stata scritta. «È nella mia città che ho provato la più profonda commozione della mia vita scrisse Eduardo -. Fu alla prima di Napoli milionaria. Quasi tutti i teatri erano requisiti. C'era il fronte fermo verso Firenze. C'era la fame, e tanta gente disperata. Ottenni il San Carlo per una sera. Arrivai al terzo atto con sgomento. Recitavo e sentivo intorno a me un silenzio assoluto, terribile. Quando dissi l'ultima battuta, la battuta finale: "Ha da passà a' nuttata", e scese il pesante velario, ci fu un silenzio ancora per otto, dieci secondi, poi scoppiò un applauso furioso, e anche un pianto irrefrenabile, tutti avevano in mano un fazzoletto, gli orchestrali nel golfo mistico che si erano alzati in piedi, i macchinisti che avevano invaso la scena, il pubblico che era salito sul palco, tutti piangevano, e anch'io piangevo, e piangeva Raffaele Viviani che era corso ad abbracciarmi. lo avevo detto il dolore di tutti». Era il 25 marzo 1945. Al debutto napoletano (in una serata speciale commemorativa al San Carlo) questa nuova messinscena del testo ad opera di Francesco Rosi con protagonista Luca De Filippo non era stata molto bene accolta. A noi, che la

vediamo a Milano, ci sembra uno spettacolo che, certo, non si spinge molto oltre il solco già tracciato da Eduardo, non si sottrae visivamente, nonostante le scene siano firmate da Job, a un certa maniera (il basso napoletano, l'intreccio, oltre la porta, dei vicoli con i balconi delle case addossati uno all'altro), ma legge il testo con onestà, rigore e semplicità. E lo fa risuonare in tutti i suoi aspetti, comici e drammatici, grazie soprattutto a un lavoro attento sui personaggi. È infatti ben recitato da tutta la compagnia. In primo luogo da Luca che, man mano che passano gli anni, nell'assomigliare sempre più al padre, ne assume anche i toni più sottili e intensi, quelli fatti di silenzi e di piccoli gesti incompiuti. Anche la D'Abbraccio, nella parte della moglie Amalia dedita al mercato nero, anche se tende a esagerare la gestualità sguaiata napoletana, sa trovare momenti d'intensità. Roberta Aree/Ioni

Tra fede e senso di colpa THE LONESOME WEST, (Ovest Solitario), di Martin Mc Donagh. Regia di Pier Paolo Sepe. Scene di Francesco Ghisu. Luci di Franco Nuzzo. Costumi di Gianluca Falaschi. Musiche di Francesco Forni. Con Paolo Zuccari, Giovanni Costantino, Paolo Sassanelli, Corolina Levi. Prod. Tauma srl, NAPOLI.

Martin Mc Donagh è un giovane autore irlandese ancora poco conosciuto in Italia, ma molto apprezzato in Inghilterra e in Irlanda. Il tratto caratterizzante di Mc Donagh è quello di essere un acutissimo osservatore sociale che trae elementi comici per paradosso dalla drammaticità della situazione. In questa tragicommedia, Ovest solitario, indaga su un Occidente consumistico e materialisticamente degradato privo di spiritualità e cultura. Siamo in un piccolo paese di Irlanda, abitato da contadini e operai; per lo più gente semplice e ignorante. L'alcol è un fenomeno devastante e diffuso in tutte le categorie sociali. C'è una regressione mentale e spirituale nella gente dovuta non solo all'alcol, ma anche ai non-valori consumistici e alla crisi della coscienza religiosa. Tuttavia il cattolicesimo continua a influenzare e a condizionare le coscienze. Padre Welsh, uomo di fede nobile e appassionata, tenta di rimettere sulla buona strada due fratelli

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che convivono, ma sono pronti anche ad ammazzarsi per la minima sciocchezza. Uno di loro ha già ucciso il padre per motivi futili e l'altro lo ha protetto ricattandolo per soldi. I fratelli sono così cattivi da divenire comici, ma conservano un barlume di umanità e nutrono un insopprimibile rispetto e timore reverenziale per Padre Welsh e il Cristo che rappresenta. Ma Padre Welsh è debole, anche lui beve, e frustrato dall'incapacità di redarguirli si uccide. Il sacrificio del "Cristo" stavolta reale e tangibile ricrea e rinnova la fede (con qualche contraddizione) nei due fratelli attraverso il senso di colpa e la mitizzazione del prete. L'autore attua così, su una squallida vicenda realistica, un'analisi antropologica e sembra suggerire che la fede e la cosiddetta morale sono valori insiti nell'uomo a un livello di subcoscienza e tendono comunque ad affiorare se sollecitati in modo opportuno: da qui l'ottimismo al di là delle apparenze. Il testo, bellissimo e profondo, alterna momenti di commovente drammaticità con altri di umorismo sarcastico. La regia di Pier Paolo Sepe è assolutamente convincente come appropriate sono le scelte delle scene e delle musiche. Il cast si muove ottimamente: fra tutti spicca il protagonista, il bravissimo Paolo Zuccari nei panni del Padre suicida Simona Morgantini.

D'Angelo guappo redento

In basso laia Forte in Medea da Euripide, regia di Emma Dante.

GUAPPO DI CARTONE, di Raffaele Viviani. Regia di Carlo Cerciello. Scene di Roberto Crea. Costumi di Antonella Mancuso. Elaborazioni musicali di Paolo Caletta. Con Nino D'Angelo, Antonella Morea, Imma Villa, Vittorio Ciorcalo, Angela De Matteo, Francesco Ruotalo, Pippo Cangiano, Pino I' Abbate, Ilaria Scarano, Angela De Matteo. Prod. Politeama Mancini s.r.l., NAPOLI - Nino D'Angelo, NAPOLI.

Nella sterminata produzione di Raffaele Viviani (1888- 1950) la redenzione carceraria del camorrista Sanguetta, che cinque anni di detenzione "all'isola" hanno letteralmente trasformato, costituisce un

regia di Emma Dante

Medea: ritualità e violenza in terra di Sicilia n aspro e a tratti dissonante Miserere introdu- MEDEA, da Euripide. Adattamento e ce l'atmosfera di sacrale ritualità destinata a regia Emma Dante. Scene di Fabrizio rivelarsi una delle cifre distintive dell'ultimo Lupo. Costumi di Emma Dante. Luci di allestimento di Emma Dante, Medea. Porte di legno Tommaso Rossi. Musiche composte e mobili, ora strette e malandate, con finestrelle e per- eseguite dal vivo dai Fratelli Mancuso. siane tipiche delle case popolari, ora con le caratte- Con loia Forte, Tommaso Ragno, ristiche tendine ricamate di fattura artigianale, indica- Gaetano Colella, Luigi Di Gangi, Stefano Miglio, Alessio Piazza, Antonio no con spiccata valenza metonimica i luoghi chiave Puccia, Francesco Villano. Prod. della vicenda: le strade e le abitazioni d'una Corinto Mercadante Teatro Stabile di NAPOLI "palermitana", una chiesa e un confessionale deposi- AMAT Associazione Marchigiana tari degli atroci tormenti della protagonista, il palazzo Attività Teatrali, ANCONA. dell'autorità politica incarnata da un Creonte seminudo. Luoghi di volta in volta attraversati dalla barbara della Colchide ancora pregna dei cinque frutti scaturiti dall'unione con Giasone (Tommaso Rango), ma già in preda alla disperazione per il suo vile tradimento e l'opportunistico abbandono in vista delle nuove nozze con la figlia del re. Una serratissima e coinvolgente successione di quadri all'interno della quale una fondamentale funzione di raccordo è affidata al coro delle donne di Corinto, completamente composto da uomini irsuti e assolutamente poco "femminili" malgrado le sgargianti gonnelle fiorate. Appare immediatamente evidente, dunque, come l'intelligente intento della giovane regista palermitana coincida con il tentativo di sviluppare una sorta di reazione chimica tra la passione violenta e selvaggia del personaggio, forse il più vivo e originale prodotto dall'arte di Euripide con la memoria ancestrale d'una terra, la Sicilia appunto, che con la sua densità di umori, sapori, odori sembra rappresentare la formalizzazione per eccellenza dell'istintività più viscerale e impetuosa. Sonorità salmodianti e sapienti giochi di luci valorizzano la fisicità degli attori, contribuendo a personalizzare le linee d'una storia nella quale i confini tra credenze popolari e sentimento religioso, tra preghiere rituali e ossessioni sessuali, tra logica inattaccabile e vendetta spietata si rivelano pericolosamente labili. Pianti infantili, simili a belati d'agnelli, accompagnano gli spruzzi d'acqua battesimale e preannunciano la morte per annegamento che Medea (laia Forte) procurerà ai propri figli per lavare l'onta del tradimento di Giasone. Quando il rito sacrificale è compiuto, le donne di Corinto imbastiscono un'aerea tela con corde da bucato sulle quali, dopo aver ricevuto le mollette come in una sorta di distribuzione eucaristica, stendono abitini di bambini grondanti acqua. Un'immagine metaforica di rara eloquenza a chiusura d'uno spettacolo che conferma, senza dubbio alcuno, il talento già ampiamente dimostrato dalla Dante con i precedenti mPalermu e Carnezzeria. Stefania Maraucci

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esempio pressoché unico nel contesto della "guapperia" partenopea descritta senza indulgenze dall'attore-commediografo-musicista. Il suo Guappo di cartone, scritto nei primissimi Anni Trenta e innalzato a simbolo di una trasformistica poetica sociale, è stato riallestito dall'attorecantante Nino D'Angelo a settant'anni di distanza dal battesimo napoletano lasciando trasparire, anche per l'intelligente mediazione registica di Carlo Cerciello, quella progressiva trasformazione della realtà napoletana che rende plausibile l'ansia di riscatto del problematico protagonista. La recuperata libertà del malavitoso Sanguetta,esaltato dalla capacità trasfiguratrice di Nino D'Angelo, capace di trascorrere impavido dall'improntitudine del "bravo di quartiere" alla

consapevolezza della precarietà esistenziale, consegue accenti trionfali da una leggenda metropolitana diffusa per capriccioso orgoglio dalla malmaritata Rachele (Imma Villa) che ha concesso al "reduce" il merito di aver schiaffeggiato per amor suo il temibile guappo Terremoto. Nella mutata geografia dei "bassi" napoletani il redivivo dichiara fin dal suo primo riapparire tra gli antichi compagni la ferma intenzione di abbandonare la vita scioperata che lo aveva condannato al carcere, rifiutando l'etichetta di vendicatore della femminilità oppressa, respingendo i doni dell'infatuata Rachele affidati alla prorompente mamma Teresa icasticamente impersonata da Antonella Morea. Nella sua accettazione di degradarsi a guappo di cartone il recu-


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MP perato Sanguetta trova la complicità salvifica della bella e generosa Gnesina di Angela de Matteo, l'appoggio, inizialmente scettico, del futuro suocero don Luigi (Francesco Ruotalo) e l'assolutoria stretta di mano del riconciliato Aniello Terremoto (Pippo Cangiano). Nella genuinità verace della "lingua napoletana" nobilitata dall'empito lirico vivianesco D'Angelo e i suoi eccellenti compagni sciolgono un inno al riscatto della loro martoriata città nei confronti del pittoresco folclore che l'ha imprigionata nei secoli. Gastone Geron

ltalietta in sedia a rotelle ITALIETTA, ispirato a Petrolio di Pier Paolo Pasolini. Progetto, adattamento e regia di Carlo Cerciello. Musiche di Paolo Coletta. Scene di Roberto Crea. Costumi di Antonella Mancuso. Coreografia di Mario Torello di Romagnano. Con Antonella Morea, Roberto Azzurro, Imma Villa, Ivana Maione, Pio Del Prete, Marco Rescigno, Margherita Romeo, David Power, Emilio Vacca, Pino Carbone, Giovanni Del Monte, Francesco Guarino, Giorgia Rinaldi, Ivonne Capece, Marta Michetti, Mena Saracino, Milena Di Iorio. Prod. Teatro Elicantropo-Anonima Romanzi, NAPOLI - Mercadante Teatro Stabile di NAPOLI.

Fra i numerosi eventi proposti dal progetto Petrolio - la deludente "maratona spettacolare" curata da Mario Martone e inserita all'interno del cartellone del Teatro Stabile Mercadante di Napoli s'è indubbiamente distinta l'ultima fatica di Carlo Cerciello, davvero esemplare per qualità artistica e impegno civile. Ideale prosecuzione d'un percorso cominciato all'insegna della "visionarietà musicale" con Stanza 101 e Boom boom Bush, /talietta conserva e perfeziona ognuno dei caratteri che avevano fortemente connotato i primi due spettacoli. In primo luogo la fattiva partecipazione dei dodici spettatori accolti da altrettanti attori e attrici in camice bianco, fatti accomodare su sedie a rotelle e trasportati di volta in volta nei diversi ambienti dell'ormai irrinunciabile spazio dell'Elicantropo. In secondo luogo il perfetto meccanismo scenico che, accompagnato dalle belle musiche originali di Paolo Goletta, ruota intorno a un'enorme "trivellantenna", significativo cardine dell'originale scenografia realizzata dal giovane, ma ormai ben più che promettente, Roberto Crea. Il valore metonimi-

co delle immagini proposte non può certo sfuggire: l'invalidità alla quale viene subito da pensare, infatti, è quella morale e politica che da anni, attraverso giochi di potere economici e mediatici , paralizza il nostro paese. Fra continui spostamenti, tanto spiazzanti quanto capaci di suggerire sempre nuovi punti di vista, gli spettatori si trovano a essere letteralmente investiti dal tessuto drammaturgico composto da Cerciello con i frammenti delle opere di Pier Paolo Pasolini, fra cui il romanzo incompiuto Petrolio, le poesie raccolte in Bestemmia, gli Scritti corsari, Le regole di un'illusione e Il fiore delle Mille e una notte. Si passa così da scintillanti atmosfere televisive a momenti d'estrema cupezza che rinviano ora all'ambiguità esistenziale dell'intellettuale friulano ora alle scabrose e inquietanti vicende dell'Eni e alle profetiche visioni sulla globalizzazione. Notevole la prova dei diciassette attori e in particolare di Roberto Azzurro, Imma Villa, Antonella Marea, Pio Del Prete, Marco Rescigno, tutti capaci di materializzare un vero e proprio ponte fra un passato e un presente dominati, così come lucidamente previsto da Pasolini, da una classe dirigente e da un ceto politico determinati a conseguire con ogni mezzo l'omologazione brutalmente totalitaria della società, per cancellare ogni differenza individuale e arrivare a negare finanche la libertà. Stefania Maraucci

Pulcinella alla giapponese PULCINELLA E L'IMPERATORE, di Renato Carpentieri. Costumi di Annamaria Morelli. Ambientazione e regia di Renato Carpentieri. Con Antonio Conforti, Patrizia Di Martino, Francesco Procopio, Lello Serao. Prod. Liberascenaensemb/e, NAPOLI.

Senza correre il rischio di ripetere sterilmente ciò che è stato, Renato Carpentieri continua la sua esplorazione dell'infinito universo pulcinellesco dimostrando quanto la tradizione possa rivelarsi realtà durevole e inestimabile "bene familiare" da tramandare ai posteri, a patto d'enfatizzarne

RI T I C H E NI

la capacità di produrre sempre nuovi frutti. Cosicché, se da una parte quello che salta agli occhi assistendo a Pulcinella e l'imperatore (lo spettacolo presentato al Teatro Area Nord di Napoli, sulla scia del successo delle Ridicolose awenture di Pulcinella Petito) è l'audacia con la quale sono combinate suggestioni del Teatro No giapponese e tradizione comica del teatro napoletano, dall'altra non si può che apprezzare l'alchimia cha da tale combinazione scaturisce. In un ambiente realizzato con pochi elementi scenici di foggia tipicamente orientale (così come i bei costumi di Annamaria Morelli) si dipana la vicenda di Ciuccio, ovvero d'uno dei più grandi e famosi interpreti della maschera partenopea, Andrea Calcese. Questi, trovatosi a dare ospitalità a un monaco pellegrino, sotto le cui spoglie in realtà si cela un imperatore desideroso di conoscere le condizioni di vita e i bisogni dei propri sudditi, si trova a rivivere le tappe salienti della sua storia, in un'atmosfera in bilico fra sogno e realtà. Ed ecco, allora, materializzarsi sulla scena il tipico palchetto di piazza dei comici dell'arte, intorno al quale possono prendere corpo - grazie alla spiccata versatilità espressiva di tutti i protagonisti - quegli impulsi primari vitali, rappresentati essenzialmente dal desiderio di cibo e di sesso, capaci d'aver partita vinta persino con la morte. Uno spettacolo divertente e a tratti provocatorio, specialmente quando, in maniera nient'affatto velata, fa riferimento alla scarsa incisività con la quale organi d'informazione, istituzioni locali e suoi rappresentanti sostengono il progetto dei "Teatri di Napoli" in cui è inserito lo spazio del Centro Polifunzionale Piscinola Marianella affidato a Liberascenaensemble. Stefania Maraucci

Un'immagine di ltalietta da Pasolini, regia di Carlo Cerciello.

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R I T I e HE CAMPANI A-SICILIA,_ _______________________________________ ._·.-·-·-·-·-·-· Fra gli spettri della memoria

In basso Tosca ne L'opera da tre soldi di Brechi regia di Pietro Carriglio; a destra, una scena dello spettaoolo.

regia di Carriglio

LE OMBRE LUNGHE, di Enrico Fiore. Regia di Laura Angiulli. Scene di Rosario Squillace. Luci di Cesare Accetta. Con Francesca Della Monica, Diana Hobel, Massimo Verdastro. Prod. Galleria Toledo/Teatro Stabile d'Innovazione - Il Teatro, NAPOLI.

Brecht alla Vucciria

Il tempo come "durata" interiore nella quale gli stati di coscienza si compenetrano e si mescolano senza sosta. La memoria come flusso vitale capace di cogliere le trasformazioni apportate dallo snocciolarsi degli anni su uomini, luoghi e cose. Il ripiegamento intimo come possibilità di rivivere un passato inesorabilmente perduto e nello stesso tempo creare una sorta di gancio con un presente dolorosamente vivo. Queste le coordinate tematiche de Le ombre lunghe, il breve atto unico di Enrico Fiore, diretto da Laura Angiulli e rappresentato, dopo il debutto autunnale alla Comédie des Champs-Elysées di Parigi, alla Galleria Toledo di Napoli. Coordinate tematiche utilizzate per innescare un corto circuito tra i ricordi autobiografici dell'autore, indissolubilmente legati a Castellammare di Stabia (sua città natale), le struggenti riflessioni di Marce! Proust, la personale parola poetica di Vincenzo Cardarelli, gli inquietanti disagi dei personaggi drammatici di Annibale Ruccello. Ma se è vero che il disordine è proprio del ricordo, del labirinto dei pensieri, delle divagazioni, delle allusioni, dei rimandi, delle citazioni, è ancor più vero che all'interno d'una interpretazione scenica tale disordine dovrebbe trovare, attraverso la chiave di lettura registica, se non una ricomposizione, perlomeno un'adeguata formalizzazione. In tal senso, i coni di luce ai quali spetterebbe il compito di contribuire ad "animare" il nudo spazio scenico, come pure la strana composizione di neon bianchi, rossi e blu che si staglia per pochi istanti sulla parete di fondo del palco e finanche le prove encomiabili degli attori, non sembrano bastare a illuminare e a riportare alla vita lembi di passato, ma soprattutto a tracciare le linee coreografiche di quella autentica danza degli spettri che sembra agitare l'animo dell'autore-narratore. Stefania Maraucci

el revival brechtiano di questi L'OPERA DA TRE SOLDI, di Bertolt Brecht e tempi non poteva mancare l'o- Kurt Weill. Traduzione di Luigi Negri, pera più amata e temuta, a cui Giorgio Strehler, Ettore Gaipa. Regia di pochi avevano avuto coraggio di mette- Pietro Coniglio. Scene e costumi di re mano dopo la mitica edizione streh- Bruno Caruso. Luci di Giancarlo Salvatori. Con Giulio Brogi, Laura leriana. Ma Pietro Carriglio, direttore Marinoni, Rosalina Neri, Massimo dello Stabile palermitano e regista, Venturiello, Tosca, Aldo Ralli, Anna questo sogno se lo covava da anni. Gualdo, Umberto Cantone, Filippo Luna, Lasciando perdere i confronti con il Leonardo Marino, Franco Scaldati, passato (quanto teatro non si potrebbe Barbara Tabita e l'Orchestra Filarmonica più fare altrimenti!), sorgono spontanee Siciliana "Franco Ferrara" diretta da due domande. La prima è: tiene ancora Carmelo Caruso. Prod. Teatro Biondo L'opera da tre soldi? La risposta è sì. Stabile di PALERMO. La storia del gangster rampante Mackie Messer che sposa la figlia del re dei mendicanti Peachum in un mondo di "pescecani", fondato sulle connivenze truffaldine tra poteri forti, è di un'attualità sconcertante. La seconda, logicamente consequenziale, è: L'opera da tre soldi sopporta (o addirittura necessita) le attualizzazioni? Sì e no. Sì, perché il nocciolo della vicenda potrebbe essere trasposto con naturalezza in Medio Oriente come negli Stati Uniti di Bush, nell'Italia pre e post tangentopoli o nella Cina neoliberista. No, perché forse non ce n'è bisogno: il messaggio arriva forte e chiaro anche così com'è. In ogni caso, che si imbocchi una strada o l'altra, bisogna farlo fino in fondo, con coerenza e coraggio. L'idea di Carriglio di immergerla in un contesto mediterraneo di sicilianità non è peregrina, ma rimane purtroppo solo un tocco oleografico. Non bastano i fondali siculo-grosziani del pittore Caruso, l'invenzione di un inutile boss stile Padrino, gigantesche cassate alla Ciprì e Maresco che attraversano la scena e un carneo di Franco Scaldati per colmare il desiderio, provocato e poi frustrato, di assistere a una messinscena più incisiva, per la quale certo gli spunti non mancano, né in Sicilia né in Italia. In questa annacquata salsa mediterranea si omaggiano poi anche Fellini (Rosalina Neri, per quanto brava, sembra più Gelsomina che la signora Peachum), il cafè chantant e la rivista (Tiger Brown è Aldo Ralli, solido attore d'avanspettacolo), spuntando un po' le unghie a certe sacrosante asperità brechtiane. Un'ottima lavoro è stato fatto invece sulla partitura musicale, che ritorna alla scarna bellezza delle origini, in sintonia con un cast complessivamente di buon livello, in cui spiccano per ironia, passione e perfidia Massimo Venturiello (Mackie Messer), Laura Marinoni (Polly) e Anna Gualdo (Lucy), mentre Giulio Brogi e Tosca necessitano ancora di una "messa a punto", il primò nel dare un po' più verve e spessore al suo Peachum e la seconda nell' arricchire di altre sfumature, non solo grottesche, la sua Jenny delle Spelonche (e perché, anche se non è filologicamente corretto, non restituirle la ballata di Jenny dei Pirati, per la quale la Marinoni, seppur intonata, non ha adeguata voce?). Insomma, un risultato decoroso ma, con un simile spiegamento di mezzi, ci si poteva aspettare qualcosa di più. Claudia Cannella

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for Fake: così il Maestro Orson Welles titolò un suo splendido docu-drama, girato alle Baleari (mi pare fosse Formentera ... ) sul più celebre falsario della Storia dell'Arte. I Veri Falsi d'Autore sono uno degli affari più eclatanti e sconcertanti del mercato dell'arte contemporaneo. Si falsifica per amore, per omaggio, comunque per lucro. "Alla maniera di" è la forma più creativa, più produttiva, più redditizia di critica: è il caso e il momento giusto per criticare, allora, in questo modo, la critica. Insomma, facciamo il quadro, anzi... i Quadri della situazione. Critica teatrale? Ma non è una cosa seria.

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Medea, regia i Pier Paolo Pasolini Il teatro di parola è obsoleto: il teatro di parola è finito. Stupisce e spiace che un giovane regista come il friulano Pasolini, già segnalato dal Premio Candoni da noi presieduto, cada nella trappola del teatro-oratorio. Che altro non è se non teatro da oratorio. Certo, tracce di genialità si notano in un allestimento spesso improntato agli stilemi tlel grande Latella, da noi segnalato con numerosi premi Ubu, tli cui Pier Paolo è stato allievo e assistente. Affidare il ruolo della protagonista a Ninetto Davoli è senza dubbio un bel coup de théatre. Ma resta, per il resto, un impianto di stampo traEJizionale: obsoleto, finito. Franco Quadri

RAI 3 da un'intervista del Direttore di Rete Antonino Di Bello-Gallico a Emilio Gadda-Lemer Della Gherardesca in occasione del conferimento del Premio Nobel a Dario Fa « ... come Le dicevo poc'anzi, anzi, come mi pregiavo d'informala, caro Di Bello, questo Dario è indubbiamente un Gran Lombardo. Fo, vede, è quasi sicuramente un acronimo: sta per Forza Operaia. Oppure, soltanto, semplicemente, è un abbreviativo di Forza. In quanto a lui quest'attore, questo autore è un acrobata. Ma perchè gli abbiano dato il Nobel è e resterà un mistero buffo ... ».

L'ESPRESSO - - - - --<-ettimanale senza zucchero Visto in questo tea(n)tro di Vilnius, il fosco Nekrosius, Negromante (nomen omen) Dybbuk e Golem di fangosa, sgocciolante spettacolarità, come, ah, gli archetipi di Jung!, nella Cripta dei _ _ _ _ _-""C=a=J:1uccini (anche titolo del grande Roth, Joseph, fra l'altro) della mia Palermo, è un ben strano, misterioso Meshugener, folle d'e- - - - ---rinni erinnerung. Ma, alla russa, suona Njkrashov il suo nome e l'intera prospettiwa cambia. Diventa, in un certo senso, la Perspektjva Nijevski e l'Alexander Nijevski, Nijnskj danzante, lo chic Boychick di una teatralità karashò, pibe de oro del siglo de

- - - - - - 'o=r=o_,,d=e~I roittelkulturkampf baltico. Angelo Maria Ripe/lino

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quotidiano di lotta e di pianura -•ei, qt1este =festori qui l'è minga un abatino: il suo Tecoppa svaria sulle fasce e va subito in gol. Dietro di lui, a zona e a uomo, gli

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scarrozzanti. In porta, il Buffon Ferravilla. Don Juan Testorio è un vero seduttore delle platee: il catalogo è questo. S'è fatto le ossa nelle giovanili dell'lnter-land col suo Edipo a Tradate. È passato poi in categorie superiori con Romeo e Lucia alla prova. Approda ora alla massima divisione con questa Class (morta) di asen. G.B. (*) Gianni Brera, prima di darsi al calcio

IL SOLE24ore direttore Re Sole Debutto tumultuoso e fortemente contrastato della novità italiana di un giovane autore siciliano dell'area Scaldati: Luigi Pirandello. La sua opera aperta (per dirla alla Umberto Eco) Sei personaggi in cerca d'autore è indubbiamente interessante: pare, tuttavia, che questi personaggi l'autore non l'abbiano ancora trovato. Del resto, magari inconsciamente, sembra della stessa opinione anche il Pirandello, già al lavoro sulla sua prossima commedia: Trovarsi. Renato Palazzi

IL GIORNO quotidiano pariniano padano Messa in scena importante e risultato trionfante della mia recente pièce Il clarinettista di Magdeburgo. Il monologo da me scritto consultando vecchi appunti presi ai tempi della mia militanza giornalistica parigina è interpretato con piglio autoritario dalla giovane Marta Abba. I temi, in qualche modo musicali, trattati nel lavoro hanno diverse affinità con un mio testo precedente, Il rumore del Marchese del Grillo. Qui il rumore dominante è quello dei numerosissimi applausi a scena aperta: alla fine, 36 chiamate per la protagonista e l'autore. Ugo Ronfani

CORRIERE DELLA SERA direttore Albertini Eziandio, ci occupiamo oggi della rappresentazione di un capolavoro di Guglielmo Shakespeare, il Sogno di una notte di mezza estate, portato alla ribalta dalla compagnia Almirante, direttore Latella. Trattasi di un giovane teatrante molto interessato, a quanto vediamo, alla plasticità degli interpreti. Va subito detto che tali interpreti sono del calibro di Luigi Cimara, delizioso Puck. Titanica, comunque, se mi è permesso il bisticcio, la resa di Titania, ruolo affidato en travesti a Renzo Ricci. Ma, se è consentito un altro piccolo gioco di parole ad un anziano forzato della seconda poltrona, partendo da destra, di prima fila, quest'ambiziosa spettacela resta mezza. Mezzo successo, metà platea convinta, l'altra metà respinta. Il fatto è causato, a mio modesto parere, dagli eccessivi impegni ai quali si sottopone il giovane Latella. Nella stagione in corso, ha già messo in scena, infatti, quattordici spettacoli, alcuni dei quali con la compagnia Melato-Melnati. Pare, ma noi non abbiamo ancora assistito ad alcuna replica, che il meglio riuscito sia stato Come le voglie di Giacosa, in una versione scatenata che gli albionici del West End definirebbero trash . A conclusione di queste nostre note, segnaliamo la messa in scena di // '48, rievocazione teatrale di Serena Sinigaglia. Renato Simoni


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SAGGI E MANUALI Eva Marinai, Il comico nel teatro delle origini, Titivillus Edizioni, Corazzano (Pisa), 2003, pagg. 169, € 12,00. Una indagine fra i testi teatrali e l'iconografia alla ricerca delle varie fasi del riso nella cultura e nel teatro greco delle origini cercando di risalire il più indietro possibile secondo l'insegnamento di Giorgio Colli. Particolare attenzione viene dedicata alle caratteristiche e alla ricostruzione, attraverso le testimonianze scritte e visive, della gestualità dell'attore comico. Andrea Nanni (a cura di), Antonio Panzuto, artista in scena, Titivillus Edizioni, Corazzano (Pisa), 2003, pagg. 109, € 12,00. Una conversazione con l'artista, saggi in italiano e in francese, fotografie di scene illustrano le macchine teatrali di Panzuto che agisce sull'onda delle avanguardie storiche - dal Dada al Surrealismo - e con suggestioni più recenti quali l'arte cinetica e quella povera. Le sue scenografie, mosse da grovigli di fili, che mescolano metallo, legno, tessuto, sono abitate da suggestivi oggetti e figure. Ampia la sezione fotografica. Daniela Aronica, Gino Frezza, Raffaele Pinto (a cura di), Totò: linguaggi e maschere del comico, Carocci, Roma, 2003, pagg. 283 € 20,90. Gli atti del convegno internazionale, organizzato dall'Istituto italiano di cultura e dall'Università di Barcellona insieme al Dipartimento di scienze della - - Comunicazione di Salerno, ricostruiscono il complesso personaggio Totò. Obbiettivo è quello di trovare nuove linee di ricerca e di colmare lacune attraverso un'analisi tripartita nelle sezioni: Teatro e cinema, Lingua e ~ pensiero, Passato e presente. Dopo interventi che propongono un nuovo taglio di studi su alcune celeberrime interpretazioni teatrali e cinemato.__ grafiche, si passa a una puntuale analisi del linguaggio e della mimica usati dall'attore napoletano.

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Liliana De Curtis con Matilde Amorosi, Totò, femmene e malafemmene, Rizzoli, Milano, 2003, pagg. 236, € 12,50. La figlia del grande attore napoletano, superato imbarazzo e pudore, racconta i tanti e tormentati amori del padre, cercando di completare il ritratto dell'uomo Antonio de Curtis. Claudia Palombi, La spirale magica, Annando editore, Roma, 2003, pagg. 47, € 8,00. Nella nuova collana Gulliver, la prima editoria dedicata al teatro per la scuola, propone libri per bambini dall'età prescolare alle superiori con soggetti teatrali da mettere in scena. Il volume raccoglie suggerimenti di operatori e di esperti e il testo ~~ di un allestimento realizzato dai bambini di una elementare. Utili anche le indicazioni per la scenografia e i costumi delineati da chiari disegni. Completano la collana alcune letture tra cui L'elfo del teatro di Marco Renzi (2003) in cui l'ultimo elfo rimasto si ripara nella sala del teatro all'italiana di Fermo, facendo scoprire ai piccoli lettori la magia del teatro. ------• Aldo Carotenuto, L'ombra del dubbio. Amleto nostro contemporaneo, Tascabili Bompiani, Milano, 2003, pagg. 233, € 7,50. Prendendo spunto dai dubbi e dai tormenti dell'Amleto shakespeariano, lo psicoanalista Carotenuto indaga fra le pieghe dell'animo umano 1---- - - i per far riflettere il lettore su come spesso gli uomini siano costretti a ~-~ vivere fra le menzogne e non secondo le loro vere istanze interiori.

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Gianfranco Lamberti e Dario Matteoni (a cura di), // Teatro Goldoni di Livorno, un restauro per la città, Comune di Livorno e Pacini Editore, pagg. 226, 2004,€ 45,00. Una serie di saggi ripercorre le fasi del restauro, la storia e la vita del teatro Goldoni visto come spazio sociale e non solo luogo di spettacolo. Completano il volume numerose fotografie e immagini di repertorio. Serena Adelina D'Onofrio, Due in una. Soggettività ed erotismo nel teatro femminile del Novecento, Manifestolibri, Milano, pagg. 365, 2003, € 26,00. L'autrice analizza la produzione di alcune scrittrici di teatro del Novecento (tra cui Lillian Hellman, Doris Lessing, Marguerite Duras, Natalia Ginzburg) per rimettere in discussione alcuni temi del dibattito femminista e dimostrare come le protagoniste delle pièce possano essere allo stesso tempo femminili e femministe. Giovanna Buzzi, Quaderno di costumi teatrali, Rizzali Libri Illustrati, Milano, pagg. 160, 2003, € 30,00. La costumista teatrale, figlia di Gae Aulenti, ripercorre in una sorta di diario priva-

Geron e il tramonto del grande attore

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Gastone Geron, Attori, amici miei, Sipario GASTON.di ~ GERON :"t" Edizioni, Milano, 2003, pagg. 279, € 15,00. Diversamente da altre forme d'arte, l'unicità dell'evento teatrale ha nella memoria il suo archivio privilegiato. E di ricordi, nel corso della sua lunga militanza nella critica drammatica, Gastone Geron ne ha accumulati molti. Li conamici miei centra ora sui ritratti di sessanta grandi attori da ~ Ermete Novelli a Turi Ferro, conosciuti persor ~~- .~ -/,,I nalmente. Attraverso le loro particolarità, idio., \ ' :"~ . .•I·-~ ,·, ' , i .,1 sincrasie e manie prende forma in filigrana una ~\ ~ :.· t""~' bella fetta di storia del teatro italiano del '900. Le compagnie di giro, il repertorio, il tramonto del grande attore, l'avvento del teatro di regia si intrecciano alle dispute teatralfamiliari di casa Geron, alle prime gloriose Biennali che, ancora ragazzino, ebbe occasione, lui veneziano, di vedere, agli aneddoti e alle battute fulminanti che costellavano l'esistenza di mattatori e divine. Ruggeri, Benassi, Tafano, le sorelle Gramatica, i De Filippo, Stoppa e la Morelli, Cervi e la Pagnani, la Abba, Buazzelli, Randone e tanti altri con, sullo sfondo, le tirannie registiche di Reinhardt, Visconti e Strehler, ritornano in vita nella prosa sapida ed elegante dell'autore. Una volta tanto nessuna pedanteria accademica, ma neanche la classica carrellata di "coccodrilli" precotti. Solo il piacere, amabilmente soggettivo, del ricordo. C. C.

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Ricordando Testori Testori, Maestro no, intervista a cura di Antonio Ria, Interlinea Edizioni, Novara, 2004, TESTORI pagg. 56, € 10,00. Testori e il Piccolo, a cura di Giuseppina Carutti ed Eleonora Vasta, Edizioni Piccolo Teatro, Milano, 2004, pagg. 32. Nel decennale dalla morte di Testori, un prezioMAESTRO NO so libretto, Maestro no, che riporta un'intervistaconfessione esclusiva a Testori, raccolta da Antonio Ria, due giorni dopo la clamorosa rappresentazione di In exitu alla stazione centrale i;a di Milano, nel 1988, consente di approfondire alcuni aspetti del testo. Seguono le parole di Franco Branciaroli, primo interprete, e un ricordo di Giovanni Raboni. Un'altra preziosa testimonianza è l'articolo che Laila Romano, spettatrice d'eccezione dell'evento, pubblicò su Il Giornale, riflettendo, con la sua consueta incisività, sulla «sacralità» dell'opera di Testori. Arricchiscono il volumetto le fotografie della rappresentazione, scattate da Ria, e alcuni disegni inediti di Testori. Contemporaneamente esce Testori e il Piccolo con cui il teatro milanese partecipa alle celebrazioni, oltre che con gli spettacoli e la realizzazione del sito internet www.progettotestori.org. Esso raccoglie alcuni documenti inediti del Fondo Testori, acquisito dalla Regione Lombardia e conservato dalla Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori, e propone un singolare percorso fra i luoghi testoriani. Il volume racconta, attraverso le testimonianze dirette delle lettere scambiate fra Testori e Paolo Grassi, i rapporti tra lo scrittore lombardo e il Piccolo. Completano la pubblicazione stralci dei testi e foto di scena degli allestimenti di La Maria Brasca (1960) e Conversazione con la morte (1989). 11''TERVIST A A CUIV. Dl ANTONIO RIA f'REFAZIONE DI G IOVANNl RABONl


to, attraverso disegni, bozzetti, schizzi autografi, appunti personali, la costruzione dei costumi e degli accessori dei trenta spettacoli teatrali da lei curati dal 1979, con La sonnambula di Vincenzo Bellini, al 2001, con Peter Uncino di Marco Tutina. Steve Gooch, Scrivere per il teatro, Gremese Editore, Roma, 2004, pagg.158, € 14,00.

a cura di Albarosa Camaldo

Un manager per il teatro Lamberto Trezzini, (cura di), La formazione manageriale dello spettacolo in Europa, Bulzon i, Roma, 2003, pagg. 219, € 18,00. LA FORMAZIONE Le università straniere, tra cui quelle di Parigi e MANAGERIALE DELLO SPETTACOLO di Leicester, forniscono già da tempo una forIN EUROPA mazione manageriale rivolta al mondo dello spettacolo. Ma anche in Italia si awerte ormai la necessità di formare accademicamente nuove figure professionali in grado di coniugare la preparazione specifica nello spettacolo con la cultura d'impresa, per ottenere gli strumenti per operare nelle varie aree gestionali come l'amministrazione, la produzione, la finanza, il marketing e la comunicazione. La riforma universitaria, con l'istituzione di nuovi corsi di laurea di tipo specialistico, si muove in questa direzione. Trezzini, che cura questa raccolta degli atti del convegno organizzato nel marzo 2000 a Bologna dal Dipartimento di musica e spettacolo dell'Università degli Studi di Bologna e dall'Ater, parla di un manager «non del teatro ma per il teatro», «capace di generare nuove opportunità, nuove forme di vita associativa, nuovi modi di organizzare». Le sue dovranno essere competenze che spaziano dall'economia della cultura alle politiche culturali, alla comunicazione.

Dieci anni di Drammaturgia . 1O Drammaturgie dello spazio, Salerno Editrice, Roma, 2003, pagg. 600, € 48,00. Diretta da Siro Ferrone, Drammaturgia compie dieci anni e conclude, con questo numero monografico, la sua pubblicazione "cartacea" per trasformarsi definitivamente in una rivista on fine (www.drammaturgia.it). Obiettivo della rivista è sempre stato quello di coniugare le differenti forme di drammaturgia dello spettacolo (teatro recitato, teatro musicale, coreografia, sceneggiatura cinematografica) attraverso temi che si prestassero ad analisi "trasversali". Dopo Drammaturgia a più mani, Politica e spettacolo, Traduzioni tradizioni tradimenti, Passioni e memoria, Maestri e scuole, Drammaturgia dello sport, e le monografie su Visconti, Verdi, Beckett, il tema proposto per questo numero, curato da Stefano Mazzoni, è Drammaturgie dello spazio, in cui si riflette sulle trasformazioni degli edifici teatrali nel tentativo di adeguarsi alle metamorfosi della drammaturgia (saggi e articoli di Siro Ferrone, Oddone Longo, Maria Grazia Profeti, Jorge Urrutia, Stefano Mazzoni, Gerardo Guccini, Elena Tamburini, Paolo Baiocco, Cesare Molinari, Lionello Puppi, Emilio Sala, Sandro Bernardi, Roberto Calabretto, Giovanni Morelli, Renzo Cassigoli, Anna Maria Testaverde, Marco De Marinis, Renzo Guardenti, Laura Bevione, Sylvie Mamy). Nella parte conclusiva del volume viene pubblicata un'antologia degli articoli che si trovano online sul sito web www.drammaturgia.it, nato due anni fa e che propone recensioni agli spettacoli in scena, ai film, ai libri, alle riviste e rubriche dedicate alla televisione, allo sport, ai concerti e alle mostre.

Un pratico manuale di Gooch - una trentennale carriera di autore, traduttore, critico e consulente teatrale - su come diventare un bravo scrittore di teatro. Consigli pratici anche sulla collaborazione con registi e attori e sulla tutela dei diritti d'autore. Efficaci gli esempi tratti dalle opere di illustri drammaturghi.

TESTI Edoardo Sanguineti, Faust. Un travestimento, Carocci, Roma, 2003, pagg. 142, € 11,20. Dal lungo confronto di Sanguineti con il testo di Goethe e con «il mito per eccellenza della modernità» , nasce la sua ricreazione del Faust, composto con pirotecnica abilità di manipolazione della parola.

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Giorgio Gaber, Sandro Luporini, Questi assurdi spostamenti del cuore. Monologhi in forma di racconto, Einaudi, Torino, 2004, pagg. 202, € 12, 00. I quattro più celebri monologhi scritti da Gaber e Luporini per il palcoscenico: // dio ..__ bambino, storia di un amore incominciato bene, che si spegne nella quotidianità Q ma si rawiva con la nascita di un figlio; // caso di Alessandro e Maria, un dialogo intimo in un interno borghese e Parlami d'amore Mariù, tre atti unici in forma di monologo incentrati sui sentimenti e sull'amore. Infine la riproposta di // Grigio, sto- ~ ria surreale di un quarantacinquenne alle prese con un ironico topo.

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Annibale Ruccello, Scritti inediti, Gremese Editore, Roma, 2004, pagg. 160, € 18,00. Introdotta da un affettuoso ricordo di Maurizio Scaparro e da un puntuale e ricco saggio critico di Rita Picchi, che ripercorre i momenti salienti della fulminante carriera del giovane drammaturgo napoletano, viene pubblicata la commedia Rione del 1973. Una scoperta sono i suoi dieci saggi sulle tradizioni popolari e sulla cultura napoletana di cui Ruccello, laureatosi in antropologia culturale, era uno studioso. Giuliano Scabia, Visioni di Gesù con Afrodite, La collanina- Ubulibri, Milano, 2004, pagg. 63, € 8,00. Un nuovo testo poetico in cui il sacro si mischia al profano: Gesù ragazzino rimane incantato di fronte alla nascita dalla schiuma del mare di Afrodite, balla con Maria di Magdala, calma con un abbraccio una indemoniata. Un Gesù molto umano e pieno di dubbi sulle sue capacità e il suo destino di sacrificio su cui veglia un inedito Giuda. La vicenda, lasciati i toni grevi delle Sacre Scritture, è raccontata come una fiaba con un linguaggio quotidiano. Spiro Scimone, Il cortile, La collanina-Ubulibri, Milano, 2004, pagg. 48, € 7,30. Con una premessa di Franco Quadri e alcune foto dello spettacolo, il testo della quarta commedia scritta da Scimone, in bilico tra surreale e verità, tra comico e drammatico. In un cortile emerge, tra cumuli di spazzatura, la misera esistenza di due personaggi e di un terzo che sbuca ogni tanto come un topo.

RIVISTE I premi Flaiano. Trent'anni di cultura e spettacolo. 1974-2003, Supplemento a "Oggi e domani" - Mensile di cultura, Pescara, 2003, pagg. 272. La pubblicazione celebra attraverso documenti, foto, testimonianze dirette dei premiati, saggi dei giurati, il trentesimo anno della manifestazione pescarese che ogni anno premio personaggi della letteratura, del teatro, del cinema e della televisione. Promosso dalla rivista Oggi e Domani, dall'Associazione Culturale Ennio Flaiano si adopera per onorare la memoria dello scrittore pescarese.

MULTIMEDIA Pierino e il lupo, rivisitato e recitato da Ivano Marescotti, Pedragon, Bologna, 2003, pagg. 47, € 18.00. Ivano Marescotti e il Duo Clavier, all'interno del progetto Suoni da favola, propongono i testi e la registrazione su cd di Pierino e il lupo, recitato in dialetto bolognese e in cui la parte musicale è affidata solo al pianoforte suonato a quattro mani, e de// giardino incantato, scritto dal musicista Paolo Dirani e accompagnato dalle musiche di Fauré, Bizet e Ravel.


notiziario nuovo direttore al Mittelfest

MONI sfi.da

armi di Olmi, per iniziare un percorso sulle lingue. Spazio ci sarà anche per la cosiddetta cultura popolare e per una rassegna di micro operette. HY - Lei sarà presente sui palchi del prossimo Mittelfest? O. - Non amo confondere gli incarichi, anche se restare del tutto assente non sarà possibile, poiché credo che chi mi ha nominato e il pubblico del Mittelfest si aspettino una mia presenza, ma per quest'anno si tratterà di interventi minimi, di basso costo produttivo, per i quali non riceverò compenso, al di là dell'onorario direttivo. HY - Si parla tanto di crisi del teatro, è così nera? O. - Decisamente non è un gran momento per la cultura in generale e tanto meno per il teatro, che anzi la fa da Cenerentola. Dovrebbe invece essere considerato un bene primario. Il teatro è nato con la democrazia in Grecia ed è la celebrazione della cultura e della natura dell'uomo. HY - E crede che i festival come Mittelfest possano creare un circuito alternativo e più vitale rispetto a quello degli Stabili? O. - Tutte le innovazioni creative nascono dai margini, mai dai centri in cui viene perpetrata la regola, la grammatica di una determinata espressione artistica. In questo senso sì, i festival hanno il compito di dare attenzione all'originalità e alle novità. Tanto più se sono rassegne situate in aree ancora cariche di vitalità come il Friuli. HY - Al termine del triennio cosa le piacerebbe che si dicesse del mandato di Mani Ovadia? O. - Oh, non sarebbe difficile creare gran rumore: organizzare un evento che si bruci tutto il budget per iasciare il segno e poi cosette di contorno. Non punto a restare memorabile, sarebbe già tanto lasciare un'impronta di serietà e seminare nuovi germogli di passione che riavvicinino il pubblico ai teatri.

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di Giulia Calligaro umata bianca al Mittelfest: il nuovo direttore artistico è l'attore-autore Mani Ovadia (foto sotto), emblema del teatro yiddish in Italia. Un nome di grande prestigio e fama, con cui il Mittelfest punta ad una nuova primavera. Succeduto ad un altro nome di caratura nella cultura Mitteleuropea, il regista-scrittore Giorgio Pressburger, per il suo mandato, che avrà per ora durata triennale, il neoeletto punta soprattutto a fare del Friuli una vetrina dell'innovazione e della grande cultura d'Oltreconfine.

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HYSTRIO - Si aspettava questa nomina? OVADIA- Francamente mi è arrivata un po' inattesa. È stata una bella sorpresa natalizia. HY - Conosce la realtà del Mittelfest? O. -Al Mittelfest ero stato molti anni fa con il mio Oylem Goylem, poi ho partecipato alla messa in scena collettiva di Danubio di Claudio Magris. Ma sono passati molti anni ... HY - Ha già delle idee su quale sarà il Mittelfest firmato Mani Ovadia? O. - Il tema che verrà sviluppato nei tre anni sarà il tempo in tutte le sue accezioni: tempo atmosferico, tempo storico e così via. Nomi e idee già ci sono, ma alcuni restano da verificare: ad esempio Pina Bausch, Soeur Mary Keyrouz, il Teatro Yiddish di Tel Aviv e, per la prosa nazionale contemporanea, stiamo pensando a nomi come quello di Enzo Moscato. Mentre Franco Branciaroli interpreterà un testo di Pressburger, anche per non tracciare una cesura con la direzione che mi ha preceduto HY - Passando dai nomi agli spettacoli, può fare delle anticipazioni? O. - L'idea è quella di presentare cinque spettacoli relativi ai cinque nuovi paesi appena entrati in Europa, ci sarà una sezione dedicata all'Olocausto, delle proposte musicali di alto calibro (Valja Balcanoskij e Esti Kenaa Ofri sono tra queste), ma anche collaborazioni con il territorio, per esempio proponendo una composizione del Cantico dei cantici in friulano curata dal maestro udinese Fabio Vacchi, già autore delle musiche del Mestiere delle

Accanto a Mani Ovadia, nelle vesti di presidente del Cda del festival della Mitteleuropa di Cividale del Friuli, era stato nominato lo scrittore udinese Paolo Maurensig, già autore di successi quali La variante di Luneburg, Canone inverso e il recente Il guardiano dei sogni. L'autore, per quanto fosse stimolato dalla sfida di ridare smalto alla manifestazione, nata nel 1991, per valorizzare la particolare posizione di confine della regione, tra l'Italia e l'Europa centro-orientale, dopo pochi mesi ha rinunciato alla carica istituzionale, giudicandola troppo "burocratica" e poco "creativa" per le sue caratteristiche umane e professionali. E mentre già si fa il nome di Claudio Magris quale possibile sostituto alla presidenza, Maurensig manterrà un rapporto di collaborazione con il festival in una funzione più prossima alla proposizione artistica, soprattutto nelle iniziative collaterali al festival (tra le idee, quella di girare un film sul backstage degli spettacoli). Non rinuncia inoltre a farsi promotore del "progetto Mittelfest". Tra gli obiettivi da lui auspicati c'è quello di una maggiore internazionalità del Festival: «Il Mittelfest - dice lo scrittore - non appartiene solo al Friuli Venezia Giulia, ma sarebbe importante che creasse delle reali collaborazioni con le capitali della Mitteleuropa e raggiungesse una maggiore continuità nelle stagioni di prosa nazionali e internàzionali. In questo senso la presenza di Mani Ovadia gioverà al fine, essendo un personaggio di fama europea». Quanto ad un'eventuale collaborazione del direttore uscente Giorgio Pressburger, si dà quasi per certa la presenza di un suo spettacolo, probabilmente // rabbino di Venezia, di cui sarà anche regista, con l'interpretazione di Franco Branciaroli. •


Deludente incontro ds sul teatro

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incontro Quali politiche per il teatro, che si è svolto il 15 marzo a Roma organizzato dalla Direzione nazionale ds - dipartimento cultura, si è presentato con due blocchi di testimonianze - amministratori e operatori (con la presenza di qualche politico) così numerose che alla fine, nonostante non poche autorevoli defezioni (fra cui Forlenza, Rummo, Melandri, Zoppi e molti altri: assenti o silenti), non tutti avevano parlato. Insomma un manuale su come non si organizza un convegno. Gli operatori sono stati quasi tutti scelti in quanto "rappresentativi" (o rappresentanti di associazioni di categoria): non sfiora il dubbio, temo, a Roma, che il teatro sia anche fuori. Qualunque intervento esterno - diverso da quelli elencati - non era previsto. Ultima notazione, si contavano sulle dita di una mano, fra i presenti (abbastanza numerosi), gli under 45 (nessuno fra i relatori): non ho niente owiamente contro una generazione che è la mia, ma come si può pensare di discutere di cambiamento senza quelli che dovrebbero esserne destinatari e protagonisti? Nella relazione della responsabile culturale ds, Chiaromonte, il punto centrale è stato il rilancio (convinto) della politica legislativa. Da un lato il passaggio di competenze alle Regioni (la questione che più preoccupa gli

operatori-rappresentanti di categoria: Fiorenzo Grassi, Fioravante Cozzaglio) o più precisamente, l'interpretazione ormai acquisita che lo spettacolo costituisce materia di legislazione concorrente (fra Stato e Regioni). I problemi sussistono, ma in più interventi si è messo in guardia da atteggiamenti un po' nostalgici, del tipo "stavamo meglio quando stavamo peggio". Dall'altro il progetto di legge (quadro) è rilanciato come momento di sintesi e discussione. Peccato che il testo di riferimento continua ad essere quel VeltroniMelandri (Forlenza), che neppure gli operatori più ossequiosi (ai tempi)

Nuovi Sentieri cerca nuovi talenti erza edizione della rassegna Nuovi Sentieri diretta da Daniele Russo. Nata da una "costola" del Teatro Bellini di Napoli, la manifestazione lancia uno sguardo attento sulle proposte più innovative del panorama napoletano e nazionale. Molte le novità di quest'anno: nell'Auditorium del Teatro di via Conte di Ruvo, infatti, ai dieci spettacoli di autori come Delia Morea, Roberto Mussapi, Alfonso Benadduce, Andrej Longo, Marco Manchisi, Giuseppe Miale Di Mauro, Giovanni Meola, Miriam Mesturino (foto a lato), Giuseppe Manfridi si affiancheranno incontri con attori e registi, ma soprattutto la prima edizione del Premio per la nuova drammaturgia italiana, pensato per favorire la scoperta di nuovi talenti. La giuria, composta da Giulio Baffi (giornalista), Antonio Capuano (scenografo e regista), Carlo Cerciello (regista), Matteo D'Ambrosia (docente di storia della critica letteraria dell'Università degli Studi di Napoli), Giuseppe Manfridi (autore), Antonella Morea (attrice), sarà presieduta da Mico Galdieri (Presidente dell'Eti). Il testo vincitore sarà prodotto dal Teatro Bellini di Napoli e rappresentato nell'ambito della quarta edizione della rassegna di teatro contemporaneo Nuovi Sentieri. I dattiloscritti, in sette copie accompagnate dalla scheda di partecipazione, dovranno essere inviati alla Segreteria del Premio entro e non oltre il 30 luglio 2004. Per informazioni tel. 081.5491266 nuovisentieri@teatrobellini.it; produzione@teatrobellini.it. Stefania Maraucci

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il drammaturgo inglese a Milano

La rabbia giovane di Pinter reve, in realtà, la nostra attesa di Harold Pinter, che ha appena sfasato il suo ruolino di marcia a causa di ritardi dell' Alitalia. Ma addirittura fulminea la sua apparizione, al Teatro Filodrammatici di Milano, la sera del 24 marzo, dove il Maestro della drammaturgia contemporanea ha ricevuto dalle mani del vicepresidente dell'Accademia dei Filodrammatici il Diploma Honoris Causa «in riconoscimento alla sua eccezionale e multiforme attività nel mondo della cultura e dello spettacolo e al generoso impegno civile». Dopo l'introduzione del direttore del Filodrammatici, Emilio Russo, Pinter è salito sul palco al ritmo degli applausi tributati da un pubblico emozionato. L'assessore alla Cultura del Comune, Carrubba, gli ha conferito l'Ambrogino d'Oro e ha ricordato la stima che Milano porta allo scrittore. Effettivamente, la città in questo periodo gli ha fatto onore con una serie di iniziative. Con Vecchi tempi con Orsini e la Scacchi al Grassi, con il Progetto Pinter del Filodrammatici che ha presentato Guai in fabbrica, Tutto qui, Il bicchiere della staffa, Il linguaggio della montagna, a cura di Claudio Morganti e Prove d'autore con la compagnia del teatro. Mentre al Cinema Gnomo si è tenuto un ciclo di proiezioni per scoprire il Pinter sceneggiatore. Concluso il rito cerimonioso dell'assegnazione dei riconoscimenti, Pinter ha brandito il microfono e, lasciando da parte la proverbiale imperturbabilità britannica, ha dribblato del tutto il tema del teatro e della scrittura per andare dritto al sodo di quanto aveva intenzione di dire a Milano. Cioè che fu profetica Cassandra, due anni fa, in occasione del ritiro della laurea honoris causa conferitagli a Torino, in cui prevedeva quel peggio, sul piano internazionale, che malauguratamente poi si verificò. Per responsabilità del «governo criminale» di G.W. Bush e degli «orridi governi», cioè il suo, di Gran Bretagna, di Spagna e il nostro. La via praticabile, ha continuato Pinter, consta nella determinazione che l'Europa deve trovare di sganciarsi dal carrozzone statunitense per collocarsi nello scenario mondiale con piena autonomia politica. Poi si è eclissato, per ricomparire al Grassi e assistere a Vecchi tempi. A.C.

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sarebbero disposti (oggi) ad appoggiare (come qualcuno ha educatamente cercato di suggerire). L'unico intervento di grande respiro e che ha in qualche misura dato un senso ideale al convegno, lo si deve a Giovanna Marinelli (già direttore dell'Eti, oggi al Comune di Roma). In sintesi, consentendosi per una volta di non parlare di "cose concrete", Marinelli ha lanciato un grido d'allarme sulla condizione generale della cultura in Europa, sull"'anti-intellettualismo" di Stato, di cui si parla molto in Francia e che certo non è meno preoccupante in Italia, sulla tendenza a condurre la produzione artistica o meglio la creatività a una dimensione monetizzabile. Più (D'Andrea) o meno (Pistone) preparati, i politici mi sono sembrati, nella sostanza, ignari dei problemi veri del teatro italiano, per quanto probabilmente disponibili ad ascoltarli. Fra gli assenti politici, Giovanna Grignaffini, che avrebbe dovuto introdurre la sezione "la funzione pubblica del teatro: quali soggetti, quali istituzioni?". In questo quadro (ricordiamo anche gli interventi di Mica Galdieri, Luciana Libero e Maurizio Scaparro), fra politici, operatori e amministratori, unico a fianco di Marinelli, si è distinto l'economista Michele Trimarchi, che con lucidità e ottimismo, ha ricordato le assurdità dei parametri e della cristallizzazione del Fus, puntato il dito contro dinosauri del sistema (esemplificando con la Scala) e invitato i presenti a considerare comunque positivi i cambiamenti che la gestione regionale dei fondi potrà determinare. Mimma Gallina

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Pamphlet di Ugo Ronfani "La crisi del Teatro: malato immaginario o in agonia?" sarà il tema del dibattito che lunedì 5 aprile, nel Circolo Tunnel in via Garibaldi 5 a Genova, a cura del Lyceum Club di Genova presieduto da Clara Rubbi, si terrà intorno al pamphlet di Ugo Ronfani Il funerale di Pulcinella - Requiem per la morte (annunciata) del Teatro italiano. Interverranno al dibattito, con l'autore, Roberto Trovato in veste di moderatore, Carlo Repetti della direzione dello Stabile di Genova, Sergio Maifredi del Teatro della Tosse e il critico Silvana Zanovello. Intorno al libro di Ronfani si tratterà di fare il punto, senza indulgenze o forzature, sullo stato della scena italiana. Che - come hanno confermato in febbraio a Roma, in occasione delle giornate dell'Agis per la Vertenza Spettacolo, attori e registi da Lavia a Ghini, dalla Melato a Giordana, dalla Piccolo a Rigillo - attraversa un periodo di grosse difficoltà, anche e soprattutto per la mancanza di regole. Il dibattito sul libro di Ronfani proseguirà successivamente a Milano, a Firenze e a Roma.

Torino capitale Il Gioco del teatro - "festival di teatro per le nuove generazioni" - giunge al suo ottavo anno di vita e, dal 21 fino al 24 aprile, eleggerà Torino capitale italiana del teatro ragazzi. L'edizione di quest'anno presenta un'interessante novità: due distinte giurie attribuiranno un Premio della Critica e un Premio Osservatorio Dams al migliore spettacolo in cartellone. Una scelta che dovrà essere compiuta fra un'offerta ricca ed eterogenea, con messe in scena pensate per un pubblico dai tre ai quattordici anni e destinate a svilupparne la fantasia e il senso civico, la consapevolezza dei proprio lo e la conoscenza della storia più recente. Non manca, poi, un ospite straniero: i francesi

CirQ Choc con il loro Triple Trap (foto sotto), originale miscela di circo, danza e recitazione. Laura Bevione

Primosecondoeterzo: deludenti

ca fusione di disegni e note, tecniche tradizionali del teatro d'ombre orientale e drammaturgie occidentali, dall'opera al cinema. Da Naufragi, realizzato nel 1995 per celebrare il centenario della nascita del cinema, fino al più recente Canto a Orfeo, ispirato all'Orfeo e Euridice di Gluck, Controluce ha saputo accompagnare gli spettatori nel mondo incantato - e "Incanti" è il titolo della rassegna annuale di teatro di figura curata dalla compagnia - del teatro. Laura Bevione

La XVII edizione della rassegna "Nuovi Autori Europei" ideata e diretta da Ennio Coltorti, vede come vincitore il giovane autore Mattia Torre con In mezzo al mare, storia surreale di un uomo ingenuo. Chiamato a rilasciare una testimonianza in tribu- . - - - - - - Addio a Franco Ghizzo nale, dimostrerà di non aver pirandellianemente nessuna comprensione né Dopo una lunga malattia è scomparso a Milano Franco di sé né del mondo che lo circonda. La Ghizzo, produttore teatrale e manager del Teatro riuscita del monologo si deve molto Nuovo dal 1977. Non aveva ancora settant'anni. "Erede" dell'impresario Remigio Paone, aveva acquisito all'interpretazione dawero commovenle sale da questi dirette: il San Babila e l'Odeon che in te di Valerio Aprea straordinario nell'inseguito divenne un cinema. La storia imprenditoriale di carnare gli smarrimenti di un uomo Ghizzo nasce però nel tessile, e nel settore della ferradisorientato da una società ingrata e da menta e dei gelati; e, negli anni '70, divenne pure viceun amore non corrisposto. presidente del Milan. La sapienza manageriale di Ninnananna, secondo classificato, Ghizzo trovò fertile terreno nell'ambito dello spettacolo, scritto e interpretato da un convincente di cui era spettatore appassionato. E Ghizzo, grazie a un Thomas Trabacchi, racconta di un fiuto e a un intuito straordinari, spianò la strada al sucpadre che progetta di rapire il figlio per cesso italiano del musical. Aprì le porte del Nuovo alle averlo tutto per sé finendo per riversare star internazionali come Liza Minnelli e Jerry Lewis, ma sul piccolo tutte le sue insoddisfazioni e non trascurò gli artisti più rivoluzionari della scena, da Carmelo Bene a Lindsay Kemp, da Paolo Poli a Dario frustrazioni. Monologo divertente e oriFo e Franca Rame. Ghizzo ha contribuito con passione a ginale con spunti esilaranti e surreali. Il scrivere una pagina fondamentale della storia teatrale terzo testo vincitore è Vita di Marie degli ultimi trent'anni, moltissimi gli artisti e gli spettaCurie, scritto e interpretato da Vittoria tori che gliene sono grati.• Piancastelli: storia della fisica francese di origine polacca, che sposò Pierre Curie con cui scoprì il Radio e ottenne il Nobel. Il monologo, su traccia biografica, non si evidenzia certo per ori- Le turbe dei Joyce ginalità di tema: la donna, ora vedova, rievoca nostalgicamente l'amore e la gioia perdute che riesce a reinte- Nel 1928 il giovane grare con la fede nella propria ricerca. L'interpretazione Samuel Beckett (in fatta di sospiri e vuoti malinconici non aiuta l'impianto basso), a Parigi complessivo della messinscena. I tre testi si muovono come lettore all'uninell'ambito di una drammaturgia realistica deludente: versità, diventa una piatto e scialbo realismo, rigurgiti pirandelliani e qualche sorta di segretario di guizzo di comicità surreale: siamo ben lontani dalle prove James Joyce (a più profonde e mature del realismo della drammaturgia lato), di cui inizia a europea contemporanea. Simona Morgantini frequentare la casa. Il dramma scritto da Michael Hastings, Dieci candeline che ha debuttato a Londra lo scorso febControluce, una delle più rinomate fra le compagnie di braio, indaga la torteatro d'ombre italiane e non solo, ha festeggiato dieci mentata relazione anni di attività e ha proposto sul palcoscenico dello amorosa fra il frastorJuvarra di Torino un'articolata retrospettiva dei suoi nato Samuel e Lucia, suggestivi spettacoli. Fondata nel 1994 dal pittore spa- la figlia del romanziegnolo Jenaro Meléndrez Chas e dai musicisti Corallina re, afflitta da inspieDe Maria e Alberto Jona, la compagine ha elaborato un gabili turbe mentali. linguaggio assolutamente originale, frutto dell'armoni- Un rapporto com-


plesso che è conseguenza e rifiesso dell'ambiguità che pervade la sfera affettiva e sessuale della famiglia Joyce e che tuttavia emerge con chiarezza dai documenti - lettere, cartelle cliniche - consultati, non senza difficoltà per l'ostilità degli eredi, dall'autore. L.B.

A Moscato il Premio Greco Il Teatro Comunale e la Città di Caserta hanno istituito il Premio Franco Carmelo Greco, dedicato al professore di ruolo di Storia del teatro moderno e contemporaneo dell'Università degli Studi di Napoli "Federico Il", nonché appassionato organizzatore di eventi culturali, scomparso nel 1998 a soli cinquantasei anni. Il premio, consistente in una scultura originale dell'artista Mimmo Paladino, destinato a quanti, tra registi, attori, drammaturghi e studiosi dedicano la loro vita e la loro attività al mondo del teatro, è stato consegnato in febbraio a Enzo Moscato. La commissione del premio (foto sotto), composta da Nunzio Areni, Isa Danieli, Luigi Falco, Antonia Lezza, Ettore Massarese, Maurizio Scaparro, ha attribuito il premio all'attore e drammaturgo napoletano «per aver dedicato tutta la sua attività teatrale ad una ricerca drammaturgica ed interpretativa costantemente caratterizzata dallo sviluppo di una poetica del linguaggio, per mezzo del quale ha saputo rielaborare spunti antropologici, problematiche sociali, tensioni filosofiche con una sensibilità estetica ed un codice linguistico che è approdato alla definizione di un personale orizzonte interpretativo delle umane vicende, superando i confini strettamente teatrali». S.M.

Un palco in garage Da poco più di un anno Torino può vantare un'originale sala - un garage situato in una zona periferica della città, uno spazio versatile e accogliente - debitrice del modello dei teatrini off-Broadway. Il Piccolo Teatro

Comico offre un cartellone variegato, da Pirandello agli spettacoli per i ragazzi, e vuole proporsi come palcoscenico di prova per inedite drammaturgie. Un esempio è stato Tre occhi di sole, spettacolo di story-telling, vale a dire di racconto di storie tratte dalla tradizione popolare italiana e non solo, messo in scena dall'associazione torinese Teastorycat. L.B.

Gay e gai Good as you, uno spettacolo davvero gaio e ironico. L'autore, Roberto Biondi, ha raccolto una serie di esperienze per comunicare l'omosessualità quotidiana, reale, divertente dove parodia e vittimismo sono banditi. Dialoghi serrati, musiche ad hoc e otto giovani attori che rendono la scena una specie di sit-com di qualità. Si è giunti così alla seconda parte di una trilogia - Fiesta - Good as you Zum zum zum proposta dal Teatro delle Erbe di Milano per sondare la "normalità" nelle sue sfaccettature e eccezioni. Carlo Randazzo

teatro d ella memoria

Autori contemporanei in scena 1 Teatro della Memoria di Milano ospiterà in aprile la rassegna "Dopo Pirandello" con l'ideazione e la direzione artistica di Ombretta De Biase. Il senso della rassegna è quello di promuovere e diffondere la drammaturgia italiana contemporanea, che di fatto viene trascurata, se non esclusa, dai teatri istituzionali. Nel cartellone troviamo dieci autori contemporanei insigniti di premi prestigiosi (Flaiano, Siad-Calcante, Fondi la Pastora, Bagutta, Rosso di san Secondo, Vallecorsi, Fersen). Negli spazi del Teatro della Memoria verranno allestite delle installazioni, relative ai testi rappresentati, create dagli allievi dell'Accademia di Belle Arti di Venezia, guidati da Carla Ceravolo, docente di Costume per lo Spettacolo. Questo il ricco programma. L'automa di Salisburgo, di Ugo Ronfani, testo in cui l'autore scandaglia l'intera gamma dei pensieri segreti di una moderna Medea, violinista "automatica", che al figlicidio preferisce la castrazione del talento; con Susanna Ghiringhelli, regia di Ombretta De Biase. Neve in Giamaica, di Giuseppe Liotta e La domenica dei falsi magri, di Kyara van Ellinkhuizen, regia di entrambe le pièces di Fabrizio Caleffi; Dittico acerbo, di Giovanni Chiara, con Michele Airoldi e Laura Negretti, regia di Marco Filatori. lo eros tu eri, di Stefania Porrino e Il femminista, di Camilla Migliori, entrambe sul rapporto a due, regia Natalia Dell'Era. D'Io, di e con Rolando Tarquini, che indaga come una condizione di inabilità fisica doni al protagonista una consapevolezza medianica; Metto Mahler prima di uscire, monologo di Massimo Brioschi, con Luciano Ponticello. Public#Toilet, testo, regia, elaborazione scenica e video di Giovanni Franci, ambientato in una metaforica e claustrofobica toilette. Ho perso la mia coda, testo, interpretazione e regia di Paolo Bignami, musica dal vivo di Matteo Giudici. Informazioni: Teatro della Memoria, via Cucchiari 4, Milano, tel. 02.313663. •

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IMMORTALE EDITH -Al Teatro Regio di Parma, il 14 febbraio, è andato in scena lo spettacolo Edith Piaf L'hymne à l'amour, scritto da Giuseppe Manfridi e diretto da Carlo Lizzani, con Antonella Steno nel ruolo della cantante e Paolo Malco in quello di Cocteau. Meglio, non si sarebbe potuta festeggiare la festa di San Valentino.

Gardone Riviera e poi in debutto nazionale al Festival di Benevento, è poi andato in scena al Teatro Hop Altrove di Genova.

TRE PER UNA - Tre sorelle di Cechov si fanno in una, trapiantata in Sicilia, Irina Prozorova Papaleo. Scritto a quattro mani da Sara Bertelà (a destra), pure protagonista, e Stefano Costantini. Presentato al Festival di

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Crt, squillan le trombe ma gli stipendi tacciono rattandosi di Metafisico cabaret di Giorgio Barberio Corsetti, che debuttava il 25 febbraio scorso al Teatro dell'Arte di Milano, credevamo che tutto ciò fosse parte integrante dello spettacolo. E invece no. La banda di ottoni, che ci accoglieva davanti all'ingresso, faceva da supporto sonoro a un altro "spettacolo", certo non un punto d'onore per il professor Sisto Dalla Palma da molti anni alla guida di questo teatro. Erano infatti un gruppo di ex lavoratori del Crt (una ventina, tra maschere e personale tecnico e amministrativo), ai quali nel maggio 2003 non era stato rinnovato il contratto, che reclamavano l'ultima tranche di stipendi non ancora saldati dall'amministrazione. Considerato che il Crt-Centro di Ricerca per il Teatro - tra Ministero, Regione e Comune - riceve sovvenzioni, che superano i 700.000 euro a stagione, sorge spontanea una domanda: perché? •

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AMAT PER TUTTI - Venticinque teatri marchigiani sono legati nel progetto Amat per l'informatizzazione di prenotazione e vendita biglietti, basta rivolgersi ad uno di loro per ottenere un biglietto per una qualsiasi rappresentazione nei cartelloni dei teatri aderenti. Il sistema permette inoltre il controllo fiscale e degli incassi, oltre a fare da cassa di risonanza per interventi promozionali. MONTICHIARI - La cittadina in provincia di Brescia è tornata in possesso del suo Teatro Sociale, chiuso per un decennio a causa della non conformità tecnica alle norme di sicurezza. Il teatro, all'italiana, è nato nel 1890 e conta 325 posti. La proprietà è del comune

che ha temporaneamente affidato la direzione a Andrea lnterlandi. ARCHITETTI - Lo Studio Arassociati per il progetto di restauro della Fenice, lo scultore Valeriano Trubbiani per il sipario del Teatro delle Muse di Ancona, l'architetto Fiszer per il Teatro Carbonifero di Danzica sono stati insigniti del Premio internazionale di architettura teatrale. La cerimonia di premiazione svoltasi a Macerata, è stata condotta da Michele Mirabella. MUSICA SUI BINARI - Il settore Educational dell'Accademia di Santa Cecilia è per quest'anno sponsorizzato dalle Ferrovie dello Stato. La proposta più attesa è "2004!", nel nuovo Parco

della Musica, rassegna di spettacoli e laboratori musicali destinati ai ragazzi preventivamente preparati nelle loro classi con l'intervento di professori d'orchestra, coristi e utilizzo di materiale didattico ad hoc. DIETRO LE SBARRE - Vasco Poggesi ha presentato per i detenuti di Rebibbia Don't forget, ispirato a L'istruttoria di Weiss, dagli atti del processo contro gli aguzzini di Auschwitz, con l'inedita partecipazione di tre danzatori butoh. UN CAFFÈ A TRIESTE - Animazioni, musica e cabaret sorseggiando la deliziosa bevanda: il caffè. Curiosa e accattivante la manifestazione "Le vie del caffè" a cura di Contrade Aperte, sezione del teatro La Contrada, che ha coinvolto una ventina di caffè triestini, ambienti storici per incontri e discussioni tra artisti. Così la tradizione si perpetua. IMAGOTURGIA - Arte a piene mani, quella di El Greco, Velazquez, Ribera, Vermeer... ripresa al Prado e amalgamata in una miscellanea espressiva da Lenz Rifrazioni che inaugura il 2004, secondo anno di elaborazione del progetto triennale su La vita è sogno di Calderòn (in basso). FESTIVAL DI UN GIORNO Attendendo l'indigestione estiva, sabato 22 maggio, va in scena il 1° microfestival della danza contemporanea italiana, "Danzando per le Marche". Il pubblico, accompagnato con un pullman, farà tappa a Camerino, dove il Balletto Teatro di Torino diretto dal coreografo Matteo Levaggi presenterà Slippery-fric-

tion-skipped and stretch. Gli spettatori partiranno poi alla volta di Pollenza per assistere a // migliore dei mondi possibili. La forma delle cose, Compagnia di Roberto Castello, Premio Ubu 2003; si raggiungerà quindi Macerata per la prima dello spettacolo della Spellbound Dance Company (SDC), Stati Comunicanti; infine il viaggio terminerà a Civitanova Marche dove il gruppo Kinkaleri danzerà Otto. A cura di Amat, corso Mazzini 99, Ancona, tel. 071 .2075880, 071 .2075326, info@amat. marche.it. BENEDETTI - Sabato 31 gennaio, nell'Aula Paolo VI in Vaticano, gli attori del Teatro Stabile di Torino, Elisabetta Pozzi, Luca Lazzareschi , Anita Bartolucci, Marco Toloni, Andrea Bosca, Francesca Bracchino, Noemi Condorelli, Elisa Galvagno, Gianluca Gambino, Cristina Odasso, Mariano Pirrello, Alessia Romano, Olga Rossi hanno recitato Mille chilometri verso la pace di Ola Cavagna a cura di Mauro Avogadro. È seguita l'esecuzione di brani dell'Opera musicale dedicata al Santo Padre di Ernesto Oliviero e la recitazione di Ho camminato, sempre di Oliviero, con Franca Nuti e Giancarlo Dettori. Gli artisti hanno poi incontrato il Papa. AMERIKA MOVIE - Diretto da Maurizio Scaparro, lo spettacolo Amerika di Franz Kafka, è stato ripreso e compresso in dvd, distribuito da Luce in alcune sale Fice. FIGLIA CENTENARIA - Ha svoltato il secolo La figlia di Iorio. A Chieti la ricor-

Trainspotting teatrale ick Boy è l'adattamento teatrale del libro-scandalo di lrvine Welsh e film-scalpore di Boyle che fu Trainspotting. Ardui percorsi, quelli che Andrea Lisco predilige, come si era già visto in Latte + alias Arancia Meccanica, suo precedente lavoro. Sick Boy è l'analisi di un discorso personale di scelta (anche del male), di un libero arbitrio (anche di sbagliare) del tutto legittimo anche se intollerabile. Perché Trainspotting è questo: un pugno nello stomaco ben assestato emblematico di un'impossibilità di comunicare in una realtà popolata di ombre che parlano. Una normalità agghiacciante e aggressiva, con i suoi grotteschi super-eroi di cartone. Uno spettacolo che scava risate amare. Carlo Randazzo

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dente della fondazione sia di diritto il sindaco di Siracusa, mentre il ministero per i Beni e le Attività Culturali ha il compito di nominare un consigliere delegato che curi la gestione e organizzazione degli uffici. Intanto ci si sta preparando alla prossima stagione di rappresentazioni classiche, dal 14 maggio al 20 giugno, con Edipo Re, regia di Roberto Guicciardini e Medea, regia di Peter Stein.

renza è stata celebrata con un convegno dedicato al Vate, un concerto e la proiezione di documentari dannunziani a cura del comune. IN BICI - Novecento in bicicletta e in musica, questa è la combinazione che Teatri d'imbarco e Alter ego hanno realizzato nell'allestimento di Firenze, una pedalata lunga un secolo, da un'idea dei registi Beatrice Visibelli e Nicola Zavagli. Venti giovani attori, tante canzoni e neanche una parola. Andato in scena a febbraio al Teatro di Rifredi. LA TESSERINA - Per i piccoli dai 3 ai 13 anni l'Associazione per la prosa di Pordenone ha creato una tessera abbonamento, proprio come quella dei "grandi", con posto numerato e relativo programma informativo, agli spettacoli di prosa e marionette del cartellone appositamente stilato per i bambini. Un modo per avvicinare i ragazzi al teatro. URBAN FRAME - Installazioni e performance da togliere il fiato, come quella di Yann Marussich, in cui l'artista ha permesso di osservare l'interno del suo corpo attraversato da un liquido di contrasto, o il progetto concepito apposta per la città di Bologna dalla Societas Raffaello Sanzio. Inoltre le proposte di Michele Di Stefano e Virgilio Sieni

hanno costituito Urban Frame la manifestazione organizzata nel capoluogo emiliano dall'associazione Danza Urbana. CONSULENZA IN RETE - consulenza@wobindaproduzioni.com: segnatevi questo indirizzo mail, al quale possono appellarsi i lavoratori dello spettacolo per avere informazioni circa i loro diritti in campo professionale. Il servizio, gratuito, è a cura di Wobinda Produzioni in collaborazione con la rivista Prove aperte. TORNANO GLI ORSANTI - Riaprirà proprio 1'11 aprile, giorno di Pasqua, il museo degli Orsanti, i "magnifici vagabondi" che viaggiarono alla volta dell'intero mondo con una schiera di animali addomesticati. Nei fine settimana estivi, poi, il loro paese d'origine, Compiano, in provincia di Parma, si animerà con l'apertura di antiche botteghe e le evoluzioni degli artisti che parteciperanno al Festival dei girovaghi, rinfrescando la memoria di quegli illustri di cui seguono le tracce. Per informazioni rivolgersi all'Associazione Barbara Alpi, via Costa 3, Compiano (Pr), tel. 0525.825513. SINDACO DELL'INCA - Il nuovo statuto dell'lnda (Istituto Nazionale del Dramma Antico) prevede importanti trasformazioni ai vertici. Infatti stabilisce che il presi-

al 22 maggio, la Stazione Leopolda di Firenze torna ad animarsi con spettacoli teatrali (attesissimi Peter Brook e Jan Fabre), di musica (in arrivo Jimmy Sommerville e Giovanna Marini) di danza, con il progetto "La Francia si muove", tra i protagonisti, François Verret (a sinistra). Fondazione Fabbrica Europa per le arti contemporanee, Borgo degli Albizi 15, 50122 Firenze, tel. 055.2480515, info@fabbricaeuropa.net.

MARCO SI FA IN 2 - Due spettacoli di Marco Baliani rientrano nella programmazione di Tracce di teatro d'autore, un progetto promosso da sei comuni della provincia di Bologna: Argelato, Bentivoglio, Castello d'Argile, Castel Maggiore, San Pietro in Casale e Pieve. Dal ricco cartellone, che non esclude proposte per i più piccini di tutto interesse, segnaliamo lo storico spettacolo, Kohlhaas, che ha posto l'attenzione del pubblico il talento di Baliani, e il più recente (ma non troppo) Corpo di Stato - Il delitto Moro: una generazione divisa. Per chi se li fosse persi. In aprile. Tel. 348.8049181, 051.6862611.

SFIDA DI CORTI - Gettonatissima dai drammaturghi, la rassegna competitiva Schegge d'autore - a cui, per la presente edizione, sono stati ammessi 52 autori su 208 che hanno risposto al bando -, si terrà a Roma, al Teatro Tordinona dal 26 aprile al 16 maggio e al Teatro Belli dal 10 al 31 maggio. I lavori, non superiori ai 30 minuti, verranno selezionati dai giurati, Franco Portone, Turi Vasile, Adriana Martino, Carlo Rosati, Alfio Petrini, Daniela Miniucchi, per partecipare a una finalissima a Mompeo (Rieti) e a Battipaglia per l'assegnazione del premio finale e la partecipazione al Festival del teatro italiano - Riviera d'Ulisse. La manifestazione è organizzata dallo Snad (Sindacato nazionale autori drammatici), diretto da Renato Giordano e dall'Enap (Ente nazionale assistenza e previdenza degli artisti).

STAZIONE DI SPETTACOLO - Dal 1°

GALEOTTATTORI - I "numeri" delle atti-

Scarti in scena a compagnia Almateatro, nata nel 1993 a Torino per volontà di un gruppo di donne, italiane e migranti dai paesi più diversi, sta curando, nel corso di quest'anno, il progetto "Pensieri meticci", finalizzato a dare voce alla policroma realtà del multietnico quartiere di San Salvario a Torino. Un primo risultato è stato l'allestimento di Scarti, liberamente tratto da Un mondo usa e getta di Guido Viale e da Fiabe dalle colline dei rifiuti di Latife Tekin. Diretto da Gabriella Bordin e interpretato da tre donne di differente nazionalità - Sonia Aimiuwu, Enza Levatè e Vesna Scepanovic lo spettacolo cataloga fra disincanto e ironia, disperazione e risate, con il canto e la recitazione, tutto quello che la nostra società considera "scarto": i residui inutilizzabili del consumismo, i non assimilabili, le lingue e le consuetudini di altri popoli. Laura Bevione

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vità teatrali effettuate nelle carceri italiane segnala un fenomeno in crescita e, a detta di chi lo vive in prima persona, i detenuti-attori, capace di migliorare sensibilmente la percezione della realtà individuale. La storica Compagnia della Fortezza, sorta nell"89 e diretta da Armando Punzo, fu preceduta da un'esperienza presso il carcere di Brescia, risalente a cinque anni prima. Oggi sono più della metà gli istituti di pena in Italia dove si pratica un'attività teatrale o musicale impegnando complessivamente 1676 detenuti.

TTV FESTIVAL - Teatro, danza e opera contemporanea, filtrati dal linguaggio cinematografico e televisivo, sono stati protagonisti di Ttv festival performing arts on screen, svoltosi a Bologna in marzo. L'iniziativa prosegue a Riccione dal 26 al 31 maggio con il Concorso Italia e expanded theatre, sezione dedicata alle contaminazioni tra il teatro italiano d'arte e ricerca, i nuovi media e le arti visive. Informazioni allo 0541.694425 (solo la mattina). STAGIONE EXPERIMENTA - Il calendario di Experimenta, decentramento provinciale del festival Segnali - altri percorsi, tra Urgnano e altre località del Bergamasco è stilato fino ad agosto. Curiosando tra gli appuntamenti in lista, vale la pena di segnalare quegli spettacoli stranieri che eccezionalmente fanno tappa da noi: parliamo di Mike attack dell'islandese Kristjan lngimarsson e i due lavori del Teatr Novogo Franta (Repubblica Ceca) , Dias de las noches e Primary symptoms of name loss, tutti in giugno. Tel. 035.891878.

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IL NO DI AN - Pronta e risentita la risposta del Teatro Nucleo di Ferrara al commento negativo del consigliere comunale di An, Malaguti, dalle colonne del Resto del Carlino, rispetto al sostegno comunale alla cooperativa. Gli argomenti del Nucleo si agglomerano lungo tre direttrici: l'esperienza dei vari teatri comunali nella regione che vengono gestiti da cooperative con ottimi risultati, il vantaggio di godere di un'elasticità decisionale e operativa inimmaginabile per i Comuni, l'effetto volano che segue all'elargizione di aiuti comunali, primo giudizio di valore che giunge a regioni e ministero per erogare a loro volta dei finanziamenti. ROSALINA IN VIDEO - Realizzato da Stefano Monti, Rosalina Neri. Lo spettacolo di una vita, "ritratto in video" dell'attrice milanese (in basso), prodotto dalla Provincia di Milano, è stato proiettato nel corso di un incontro a cui sono intervenuti, tra gli altri Gastone Geron e Filippo Crivelli. NO PROBLEM - Se Zola Predosa, dove è in corso "Una stagione all'inferno", non è dietro l'angolo, da piazza 8 agosto a Bologna, una navetta, puntualmente, attende gli spettatori per condurveli. In coda di programma, Good night Cathy!, viaggio di una emigrante verso Hollywood, Verdi, ispirato al musicista di Busseto, della Nuova Complesso Camerata e Bluff, tra Andersen e Pirandello, del gruppo organizzatore. Tel. 338.4463130, 347.0138200. DESAPARECIDA? - Rischia di essere cancellata dalla mappa di Milano, la storica Camuna Baires, centro teatrale di formazione, spettacolo e discussione artistica. A causa di un ritardo nel pagamento dell'affitto, ha spiegato il fondatore Renzo Casali, è scattato lo sfratto, nonostante le somme siano poi state saldate. La proprietà ha messo le mani avanti perché teme che ritardi nei

master di fotografia

Allo led di Milano è di scena la fotografia er il secondo anno consecutivo, all'Istituto Europeo di Design di Milano si tiene il master in fotografia dello spettacolo (iniziato a febbraio 2004), affidato alla cura di Silvia Lelli. Il master, rivolto a fotografi, a laureandi e laureati in architettura e scenografia, a chi lavora nel mondo dello spettacolo, del teatro, della musica e della danza e sia interessato ad approfondire alcuni aspetti della tecnica fotografica e tutte le problematiche inerenti il ritratto in studio e il ritratto-reportage, ha riscosso un crescente successo in pochissimo tempo, al punto da far lievitare le richieste di iscrizione. Di gran rilievo gli interventi di professionisti e di tecnici dello spettacolo, quali Daniele Abbado (regista), Giovanna Calvenzi (picture editor), Luigi Ciminaghi (fotografo del Piccolo Teatro), Antonio Convertini (Fabrica), Mario De Stefanis (stampatore), Sergio Escobar (direttore del Piccolo Teatro di Milano), Carlo Mayer (direttore artistico), Juan Gil (Light Impressions), Uliano Lucas (fotografo), Alex Maioli (fotografo), Marco Martinelli (regista), Roberto Masotti (fotografo), Grazia Neri (agenzia Grazia Neri), Alberto Orefice (direttore di Soprattutto), Giovanni Pelloso (fotografia per il web), Sandro Scalia (fotografo), Michele Stallo (fotografo), Roberto Venturi (light designer). Più che di lezioni si tratta di incontri che alternano momenti di dibattito a trattazioni teoriche, con videoproiezioni, presentazione e commento di materiale fotografico, a laboratori e prove pratiche in occasione di spettacoli teatrali e musicali in sedi esterne. Nel frattempo, l'Auditorium ha ospitato una mostra fotografica degli allievi del primo master, che a fine Aprile andrà al Donizetti di Bergamo e, quindi, nel Sud Italia, a conferma del pregio di un'iniziativa davvero unica nel suo genere. Silvia Lelli cura in special modo l'atteggiamento del fotografo verso la scena, la cura dei dettagli e il rispetto delle professionalità, soprattutto mostrando lo spettacolo nel suo farsi, le prove, i dietro le quinte. La fotografia non è tutta, infatti, nella tecnica ma è scoperta di una personalità artistica. Silvia Lelli dice di preferire, infatti, al sabato mattina (durante le ore di camera oscura), il lavoro personale sui singoli stagisti, la scoperta delle loro attitudini e sensibilità. Come per ogni arte, non tutti sono poi destinati alla professione e il master può essere l'occasione anche di lasciarsi dietro troppo facili illusioni. Per informazioni il Servizio Informazioni e Orientamento è a disposizione, previo appuntamento, per un colloquio individuale negli orari di apertura dell 'Istituto. Ufficio Master, tel. 02.5796951; e- mail: master@ milano. ied. it; www. ied. it. I.C.

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pagamenti possano verificarsi di nuovo. Intanto, la sera del 19 aprile, presso il Teatro dal Verme di Milano si terrà una manifestazione per rispondere allo sfratto esecutivo sancito dal Tribunale attraverso la creazione della Fondazione Camuna Baires soggetto giuridico che dovrà acquistare lo stabile di via

Favretto, sede per qualche decennio della Camuna. Tra gli aderenti: Paolo Rossi, Ottavia Piccolo, Giuseppe Cederna, Milly Moratti. Per partecipare: tel. 02.4223190, 335.5243176, combair@tiscalinet.it.

DIVINA - A ottant'anni dalla morte di


Eleonora Duse, il Comune di Asolo, con la cura di Cristina Palumbo, ha presentato un progetto per ricordare la "divina", al quale partecipano Licia Maglietta, Antonella Ruggiero, Michela Cescon, Lucia Poli e Piera Degli Esposti con spettacoli e concerti. Il programma prosegue fino a fine aprile. Tel. 0423.524637, 0423.529046. TEATRO NEL MUSEO - Il Teatro Povero di Monticchiello, che ogni estate inscena una rappresentazione di fatti storici che riguardano il borgo, ora vive anche in un museo tecnologicamente all'avanguardia nonostante le antiche tradizioni che rispecchia e tutela. lnfo: 0578.755118. CHERNOBYL - Nel 1986 esplosero i reattori della centrale elettronucleare di Chernobyl in Ucraina. Ritornando a quel tragico evento di quasi vent'anni fa , Roberta Biagiarelli e Simona Gonella, giungono a parlare dell'emergenza ambientale attuale, dove disinformazione, scarsa coscienza e rifiuto di contrarre i consumi ce la faranno pagare cara. In Reportage Chernoby/, scritto con la consulenza di esperti di ambiente e dei fatti di Chernobyl: Alessandro Gori e Massimo Tesei. IL DRAMATURG - Figura poco diffusa nel nostro paese, ma di certo meritevole di attenzione, così che, in occasione della produzione del Wilhelm Meister di Goethe da parte dello Stabile di Torino con la reg ia di Vacis (foto della compagnia sotto) , è stata organizzata una giornata internazionale di studi con la presenza di operatori tedeschi e francesi.

LET - Let, ovvero Liberi Esperimenti Teatrali, rassegna trimestrale che va avanti fino a giugno, raccoglie testi innovativi dedicati in particolare a toccanti tematiche contemporanee, come Garage Olimpo, il film di Marco Bechis sulla dittatura argentina che è diventato spettacolo con regia di Carlo Fineschi , o il curiosissimo Aracnofobia, da un'idea di Silvio Berlusconi , messa in scena di un assurdo dibattito in Parlamento realmente avvenuto, a cura di Gianluca Riggi. Alla CometaOff di Roma, tel. 06.57284637. FO SPI EGA CARAVAGGIO Trasmessa da Raitre la lezione di Dario Fo, che il Nobel ha tenuto davanti alle telecamere in occasione della mostra di tutte le opere del Merisi in versione digitale, allestita a Castel Sant'Angelo a Roma. Mostra, a sua volta, nata come risposta · alla discussione degli ultimi tempi circa i falsi e le dubbie attribuzioni delle opere del Caravaggio.

02.58114535. Nella stessa area ha sede anche Moovie - Servizi per lo spettacolo che si occupa di casting, realizzazioni video, formazione e noleggio attrezzature. Tel. 02.89050420. CYRANO DALL'ANALISTA - Facciamo accomodare Rostand su un'ipotetica dormeuse psicanalitica, mettiamo un classico della letteratura al banco degli imputati del Tribunale della Ragione, creiamo l'agone tra una psicanalista in carne ed ossa (S. Canzoni) e un personaggio intriso di struggente sentimento come il cadetto di Guascogna (L. Castelluccio). Un ossimoro? Forse. Tutto questo è racchiuso nello spettacolo L'ombra di Cyrano, testo e regia di Danilo Caravà, andato in scena al Teatro della Memoria di Milano in gennaio. C.R.

DANZA COI GUANTONI - Per la sesta . edizione . di Danae, manifestazione al femminile che favorisce l'incontro tra teatro e danza, incuriosisce non poco la proposta in programma dal 27 al 29 RONCONI E VAN DYCK - Il maestro aprile, The ring. In una palestra di boxe, della regia , Luca Ronconi , ha "messo in le danzatrici Rhuena Bracci, Martina La scena" a Palazzo Reale di Milano, la Ragione, Federica Tardito, Elisa mostra "Riflessi italiani" dedicata ad Zucchetti saliranno sul ring per dar vita ad un'improvvisazione sulle note di Anton van Dyck. musicisti che si alternano ad ogni repliADDIO, COIFFEURE - Scomparso a ca. lnfo: 02.6194004. Milano Benito Falconieri, titolare del "Benito parrucchiere per uomo", in via CRUCIFIXUS - Il Crucifixus Festival di Rovello. Tra i frequentatori del suo nego- primavera, in diversi comuni della provinzio, Giorgio Strehler e Vittorio Gassman. ce di Bergamo e Brescia è sempre più rilevante. Per quest'ultima edizione, ben LA STANZA DEI BOTTONI - Un'ex fab- 11 dei 19 spettacoli in programma sono brica di bottoni sulle sponde del Naviglio produzioni del festival, con la presenza di Sforza è diventata la sede di artisti di grande pregio, come Franca TeatroCinque, compagnia specializzata Nuti, Giorgio Albertazzi, Rossella Falk, negli spettacoli per ragazzi. Tel. Ascanio Celestini.

MEGLIO BREVI -StalkerTeatro sta raccogliendo (fino al 30 aprile) le proposte per stilare il cartellone del prossimo Festival internazionale delle arti "Differenti sensazioni" che si terrà a Biella. Si preferiscono interventi brevi per dar modo a un gran numero di gruppi e artisti di partecipare - e in linea con la "filosofia" di Stalker: multidisciplinarietà , innovazione, predilezione per spazi teatrali non tradizionali . Informazioni presso Stalker Teatro, piazza Montale 14 bis A, 10151 Torino, tel. O11. 7399833, info@stal kerteatro.net, www.stalkerteatro.net. CARNE CRUDA - Oltre 150 le compagnie che hanno risposto al bando lanciato da Simone Nardini in collaborazione con Orazio Caiti per costituire un cartellone dislocato tra Catania, Modugno e Milano. Dalla rosa dei candidati sono stati selezionati 18 spettacoli, di cui si segnala il "non-spettacolo" Provini per carne in scatola dove gli spettatori avranno facoltà di partecipare in qualità di selezionatori o di candidati attori per il casting di un film nudo e crudo. Si chiude il 25 aprile. Tel. 340.5712540.

KRÉTAKOR - Gli attori della compagnia Kretakor di Budapest hanno formato una Actors' Dance Orchestra. I primi concerti, dedicati alle hit degli anni '80, hanno riscosso un accogliente calore. ABITUDINARI - Mentre cala l'età media degli spettatori del Festival di Edimburgo con il 47% del pubblico con meno di 45 anni e si registra un incremento del 73% di spettatori under 18, i dati segnalano che un quinto degli spettatori ha assistito almeno a dieci edizioni del festival. Aficionados.


CUBANA - La drammaturgia cubana si è celebrata in gennaio con una serie di attività che han fatto capo alle Jornadas Villanueva. Il Teatro El S6tano ha ospitato incontri intorno alle figure miliari del teatro cubano e agli autori delle nuove generazioni. In scena, sono sfilate opere recenti come De Paris un caballero, pièce pluripremiata di José Antonio Alonso. SULL'ATTENTI - Succede a New York che la programmazione di un centro teatrale, The time & space limited, lasci il posto alla testimonianza dal vivo del maggiore Mark Lincoln Stock (sotto), rientrato dall'Iraq dopo aver partecipato sia all'operazione Desert Storm che a lraqi Freedom.

Impara a scrivere al 30 luglio all'8 agosto, a Grottaglie, in provincia di Taranto, l'associazione culturale MotusFaber organizza uno stage di drammaturgia dal titolo "Contare storie". Le lezioni si svolgeranno dalle 9,30 alle 13 e dalle 15 alle 18,30, e sono previste quattro serate di letture sceniche e di spettacoli aperti al pubblico. Infatti, i corsisti, lavoreranno a contatto degli attori che ne cureranno la resa scenica. Gli allievi avranno a disposizione uno spazio teatrale attrezzato, una biblioteca tematica, una sala proiezione per la visione di film e video, computer e stampanti. Le lezioni saranno tenute da Cosimo Lupo ed altri docenti. I lavori prodotti durante lo stage verranno pubblicati sul sito Motusfaber.it, nel quale ogni corsista avrà a disposizione una pagina personale. Informazioni e iscrizioni: MotusFaber, via Arpesani 7, Milano, tel. 338.2961045, e mail: info@motusfaber.it, www.motusfaber.it.

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PACE IN CUCINA - Al Gate Theatre di Londra è andata in scena Arab-lsrae/ Cookbook, pièce di Rubin Soans che riunisce in palcoscenico palestinesi, ebrei, musulmani, cristiani impegnati nella preparazione di piatti tipici delle comunità che rappresentano. Uno spaccato che vuole dimostrare come il confronto e il dialogo siano vie possibili e costruttive.

OLIVIER AWARDS - Gli ambiti Olivier Awards, assegnati a Londra, hanno incluso una nutrita sezione di riconoscimenti al genere musical - premiati miglior produzione, attore, attrice, nuovo musical -, mentre al testo li lutto si addice ad Elettra, rimesso in scena da poco è andato il premio come revival (!). A Eileen Atkins, che fu spesso compagna di scena di Olivier, il premio come miglior attrice. A SYDNEY, A SYDNEY - Avete mancato l'ennesima ripresa dell'Arlecchino strehleriano? Potete consolarvi volando in Australia, dove alla Sydney Opera House si replica, fino al 24 aprile, Il servitore di due padroni con regia di Johm Beli e Darren Gilshenan nei panni di Truffaldino (nell'emisfero sud, si chiama così).

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PRATO-DAKAR - Il primo assaggio della rassegna "Finestre sul mondo", prevista nel 2005 e dedicata alla cultura e all'arte senegalese, si avrà il prossimo maggio con una serie di incontri sulle relazioni tra tecnica e arte teatrale, in tema con l'intenzione di offrire supporto tecnologico ai diversi gruppi spontanei che sorgono in Senegal. Sede degli appuntamenti, il Teatro Fabbricone di Prato. YOUR PERSONAL COACH - Volete lanciarvi nel firmamento teatrale internazionale? Incominciate subito con un intenso "trattamento" in lingua. Nik Wardzynski, attore uscito dalla Royal Scottish Academy of Music and Drama di Glasgow, con più di vent'anni di esperienza teatrale e cinematografica in Gran Bretagna, nonché come acting coach, si è trasferito in Italia, dove, fra l'altro, ha tenuto seminari-workshop su Shakespeare all'università Statale di Milano. Lo scorso anno ha aperto il suo

Acting Studio a Milano, dove si può avere accesso a una formazione in lingua inglese. Per informazioni su seminari, workshop e persona/ coaching in lingua inglese, tel. 348.5531430, e-mail: nikwardzynski@hotmail.com.

euro, docente Dario La Stella. Tel. 347.0561735.

AUDIZIONI DANZA - L'11 aprile a Livorno si terranno le audizioni per frequentare la Rotterdam Dance Academy. I candidati devono presentare una lezione di danza classica, di danza moderna e un assolo oltre a prove di improvvisazione. Oltre ai corsi tradizionali: improvvisazione, coreografia, danza terapia e la possibilità di seguire un percorso didattico personalizzato. lnfo: Aed (Associazione Europea Danza), via Liverani 6, c.p. 45, 57125 Livorno, tel. 0586.861594, email: aed@dancenews.it. URGNANO - Due seminari nella cittadina in provincia di Bergamo, con due artisti internazionali in occasione della rappresentazione dei loro spettacoli, ed entrambi dedicati al lavoro dell'attore. A fine marzo stage di 16 ore con l'argenti-

PARIGI AMA FO - I teatranti francesi sono fan di Dario Fo e Franca Rame (a destra). Tra le messinscene di testi del Nobel e signora, di recente a Parigi si segnalano, Le saint jongleur François, con Gilbert Ponté, all'Essaion de Paris, e Orgasme adulte échappé du zoo presentato all'Aktéonth.

AZIONE PERFORMATIVA - È ancora possibile iscriversi a quattro dei cinque moduli (uno è già concluso) organizzati dalla Officine Teatrali Senza confini di pelle di Torino. Il punto di partenza dell'insegnamento è la potenzialità multidisciplinare dell'azione performativa. Sono ammessi massimo 15 corsisti. I moduli restanti saranno uno al mese da aprile a luglio. Costo per ciascuno, 100

na Naira Gonzales, costo 80 euro; in giugno con Alex Janak del Teatro Novogo Fronta, 1O ore, 60 euro. Tel. 035.891878.

GUARDANDO A ORIENTE - Continuano a Fermo "Tangenze 04", i seminari per attori che spaziano tra tecniche e stili occi-


dentali e orientali. Ecco il programma: "lo e l'altro-li gioco del teatro" con Francesco Manetti, "Taiko Ki", percussioni giapponesi con Rita Superbi, "Il kathakali", teatro danza classico indiano con Mario Barzaghi, "Alla ricerca dell'azione fisica la più semplice" con Francis Pardheilhan dell'Odin Teatret, 'Teatro e ingegneria umanistica" con Maurizio Boldrini. Informazioni e iscrizioni: 0734.641218, 339.8970822, 338.4964400, teatrocontroverso@aruba.it. SOGNO IN UNGHERIA - Celebrity international group organizza dal 4 al 18 luglio lo stage residenziale di vacanza-studio teatrale a Horany, sull'isola Szentendrei. Lo stage si propone l'incontro tra la cultura teatrale italiana e quella ungherese ed è aperto agli attori europei. Al termine dello stage, ·i docenti Miklos Bende e Fabrizio Caletti metteranno in scena con gli allievi Sogno di una notte di mezza estate di Shakespeare. Informazioni: www . celebritygroup.it, infocelebrity@yahoo.it. Le iscrizioni si ricevono entro maggio. RONCONI - 15 attori-allievi e .1O registiallievi verranno selezionati - in prima battuta sulla base delle richieste pervenute, e quindi in seguito a provino e colloquio per frequentare il corso Santacristina Centro Teatrale, scuola di perfezionamento per registi e attori, coordinato da Luca Ronconi (foto sotto). I partecipanti saranno suddivisi in tre gruppi, ciascuno guidato da un tutor. Il corso, della durata di 300 ore, si terrà tra giugno e agosto, con disponibilità degli allievi a presentare gli esiti finali anche in settembre. I requisiti per presentare domanda sono: diploma di una scuola di recitazione di livello nazionale o laurea in discipline umanistiche,

attività scenica professionale. Le domande devono giungere entro il 31 marzo a mezzo raccomandata A/R alla segreteria del Consorzio Iter srl, Centro direzionale Quattrotorri Torre S, via Corcianese, 06074 Ellera Scalo, Perugia. lnfo: 06.68134986, fax 06.6861219.

VIDEOCOREOGRAFI - Registrazioni di spettacoli, creazioni per il video, documentari o filmati di danze etniche, opere su cd: questi sono i materiali ammessi al Festival e concorso di videodanza Il coreografo elettronico che si svolgerà a Napoli la prossima estate. I lavori , su supporto vhs o dvd, vanno indirizzate a: Napolidanza, via S. Liborio 1, 80134 Napoli, tel. 081.5422157, 329.1097950. Entro il 31 marzo. PAROLE D'AMICIZIA - Dedicato all 'amicizia, il primo concorso letterario, bandito da Motoperpetuo, è articolato in prosa, poesia e testo teatrale. Previsti due classi d'età: fino a 18 anni e adulti. Inviare cinque copie delle opere a: Laboratorio Motoperpetuo, via Campari 72, 27100 Pavia. Scade il 30 aprile. I testi vincitori verranno raccolti in volume antologico e pubblicati sul quotidiano La provincia pavese. Tel. 0382.572629. DA 30 A 60 - Compresi in una durata da 30 a 60 minuti i testi accettati per il concorso Corti teatrali. Le sezioni sono per autori under 40, aver 40 e per video di proposte sperimentali. Esclusi i testi già rappresentati e in dialetto. Quota di partecipazione, 52 euro, pari al costo di abbonamento annuale a L'attualità, periodico che orga-

nizza il premio. Scadenza: 31 marzo. lnfo: 338.4115073. IN FEDE - Originale il premio bandito dal Teatro della Fede, PremiOperaFantiano per testi teatrali inediti a tematica religiosa. Il primo classificato riceverà 1.000 euro e un trofeo artistico. Le opere dovranno giungere entro il 22 maggio a: Teatro della Fede, v. Risorgimento 5, 74023 Grottaglie (Taranto) . Cerimonia di premiazione 1'8 luglio. ANCHE TEATRO - Assieme alla poesia, la narrativa, la saggistica e la traduzione, il Premio Letterario Lago Gerundo prevede anche una sezione teatro articolata in testo inedito, critica e drammaturgia straniera. La partecipazione prevede una quota di iscrizione di 20 euro. Scadenza 15 giugno. Segreteria del premio presso: Biblioteca Comunale di Paullo, piazza della Libertà 1, 20067 Paullo (Mi), tel. 02.90630032, e-mail: biblioteca.paullo@comune.paullo.mi.it. GIOVANISSIMI - Suddiviso in due fasce d'età, dai 15 ai 17 anni, e dai 18 ai 22, il Concorso Ernesto Calindri (foto sotto) raccoglie testi teatrali di lunghez-

za non superiore alle 30 cartelle, anche prodotti da gruppi o classi. Le opere, che devono giungere entro il 14 giugno, all'Ufficio promozione concorso Ernesto Calindri, via Domenichino 40, 20149 Milano, verranno selezionati per una messa in scena presso il Teatro dei Filodrammatici. lnfo: 02.48022981, 338.6155895. PREMIO ANTONELLI - Si aggiudicano 2.000 euro ciascuna le opere vincitrici del Premio Antonelli - Castilenti che prevede una sezione "narrativa" e una "teatro" in scadenza il 30 aprile. Per i testi teatrali non sono previsti limiti di durata o personaggi e le decisioni della giuria verranno rese note in settembre. Inviare i copioni in otto copie a: Segreteria del Premio Antonelli Castilenti, 64035 Castilenti (Te). lnfo: 335.5907818, 0861.999135, 0861.999113. PREMIO FABBRI - Scade il 1Ogiugno il termine per l'invio dei testi candida1i al Premio Fabbri. Una giuria tecnica selezionerà tre testi che verranno letti pubblicamente in ottobre al Teatro Diego Fabbri di Forlì. Mentre una giuria popolare assegnerà a sua volta un premio ad un autore per l'allestimento dell'opera. Informazioni: Centro Diego Fabbri, Università di Bologna, sede di Forlì , corso Diaz 45, 47100 Forlì, tel. 0543.37484, www.centodiegofabbri.it. VOTATE, VOTATE - Dedicato a Gassman, il premio assegnato dal pubblico che sceglierà i suoi favoriti tra attori, registi , spettacoli , testi , scene e costumi. Si vota fino al 12 maggio compilando un form sul sito www.teatranti.com, oppure telefonando al numero verde 800.035.106, oppure inviando la scheda di voto distribuita nei teatri. L'ideatore di questa iniziativa, che dà modo al teatro di fare un'altra manovra di avvicinamento verso gli spettatori, è Mila Vallone, organizzatore il portale Teatranti.com. Gli "Oscar" verranno assegnati il 3_ 0 maggio al Teatro Fenaroli di Lanciano (Chieti).

il


numer1 uti.li. Agis, Associazione Generale Italiana dello Spettacolo - via di Villa Patrizi, 1O - 00161 Roma - tel. 06.884731 - e-mail: agiscom@tin.it www.agisweb.it Eti, Ente teatrale italiano - via Morgagni, 13 - 00161 Roma - tel. 06.440131 - e-mail: eti@enteteatrale.it - www.enteteatrale.it Siae, Società italiana autori editori viale della Letteratura, 30 - 00144 Roma - lu-ve 9.00-12.30 Direzione generale - tel. 06.59901 Dar (drammatica operette riviste) tel. 06.5990237 Lirica, (anche balletti) tel. 06.5990248 Opere inedite - tel. 06.5990317 Multimediale - tel. 06.5990711 Per iscriversi - tel. 06.5990958 Sede di Roma - via Po, 8b - 00198 Roma - tel 06.8546826, 06.8559966 Sede di Roma Ostiense - circonvallazione ostiense, 228 - 00154 Roma - tel. 06.5132345 BIBLIOTECHE E VIDEOTECHE Centro studi del Teatro Stabile di Torino - (biblioteca teatrale; archivio documentario dello spettacolo e archivio del TST: recensioni, foto e video) - via Rossini, 12 - 10124 Torino - tel. 011.5169405 - e-mail: biblioteca@teatrostabiletorino.it Biblioteca e Videoteca della Civica Scuola d'Arte Drammatica "Paolo Grassi" - (biblioteca, video archivio, laboratorio audiovisivi: materiali dagli anni '50 a oggi) - via Salasco, 4 20136 Milano - tel. 02.58302813 - lugi 10.30-14.30, 16-19, ve 10.30-14.30 Archivio del Piccolo Teatro (recensioni, saggi critici, testi teatrali) - largo Greppi - 20121 Milano - tel. 02.72333220, 02.72333320- e-mail: archiviostorico@piccoloteatromilano.it - www.piccoloteatro.org Biblioteca Livia Simoni presso il Museo teatrale alla Scala - (fonda-

ta nel 1955 su lascito di Renato Simoni: carteggi, libri antichi e moderni, fotografie, manifesti, stampe e una raccolta di scenografie teatrali e di autografi di musicisti) - corso Magenta, 71 - 20123 Milano - tel. 02.4691249, fax 02.4691563 museoteatrale@teatroallascala.org lu-ve 9-12.30

Biblioteca dell'Accademia dei Filodrammatici - via Filodrammatici, 1 - 20121 Milano - tel. 02.86460849 - consultazione su appuntamento Crt - (archivio cartaceo e archivio video) - viale Alemagna, 6 - 20121 Milano - tel. 02.861901 - e-mail: info@teatrocrt.org www.teatrocrt.org - me-ve 11-13.30, gi 16-18.30 - appuntamento su prenotazione Civico Museo Biblioteca dell'Attore del Teatro Stabile di Genova - (biblioteca di arti dello spettacolo con sala di consultazione; importanti fondi manoscritti e a stampa, primo fra tutti quello riguardante Adelaide Ristori) viale IV Novembre, 3 - 16121 Genova - tel. 010.586681, 010.561054, fax 010.5533202 - museoattore@tin.it lu 14-19, ma-ve 9-13 Biblioteca teatrale - Fondazione AIDA - (1300 documenti tra volumi, riviste e video) - vicolo Satiro, 5 37121 Verona - tel. 045.8001471 045.595284, fax 045.8009850 - email: fondazione@f-aida.it - biblioteatro@f-aida.it - www.f-aida.it Centro Studi del Teatro di Roma (testi, rassegne stampa, foto, locandine, video) - largo di Torre Argentina, 52 - 00186 Roma - tel 06.68400050 - e-mail: centrostudi@teatrodiroma.net - www.teatrodiroma.net - aperto su appuntamento Biblioteca del Burcardo - (una delle più fomite biblioteche teatrali: testi, saggi, manoscritti, foto, locandine) - via del Sudario 44, Roma - tel. 06.6819471, fax 06.68194727 -

biblioteca.burcardo@siae.it www.theatrelibrary.org - lu-ve 913.30

anche il Teatro Verdi, via dei Livello 32, 35100 Padova tel. 049.8777011, 049.87770213

Biblioteca dell'Accademia nazionale d'Arte Drammatica "Silvio D'Amico" - via Bellini, 16 - 00198 Roma - tel. 06.8543680, 06.8413233, fax 06.8542505 - lu-ve 9-14

Piccolo Teatro di Milano - tel. 02.72333222 - e-mail: info@piccoloteatro.org - www.piccoloteatro.org Teatro "Paolo Grassi", via Rovello 2; Teatro Studio, via Rivoli 6; Teatro "Strehler'', Largo Greppi, 20121 Milano

Centro di documentazione dello Spettacolo del Teatro Stabile dell'Umbria - (biblioteca e videoteca di arti dello spettacolo: teatro, cinema, musica e danza) - piazza Morlacchi, 19 - 06123 Perugia - tel. 075.575421 e-mail: centrostudi@teatrostabile.umbria.it www.teatrostabile.umbria.it Centro Nazionale di Drammaturgia Contemporanea Outis - (biblioteca e videoteca; archivio di testi teatrali) via U. Ollearo, 5-20155 Milano -tel. 02.39257055 - fax: 02.39200578 - email: info@outis.it - www.outis.it TEATRI STABILI

Teatro Stabile di Brescia Ctb - contrada delle Bassiche, 32 - 25122 Brescia - tel. 030.2928611 e-mail: info@ctbteatrostabile.it - www.ctbteatrostabile.it Teatro Stabile di Genova - piazza Borgo Pila, 42 - 16129 Genova - tel. 010.53421 - e-mail: info@teatro-digenova.it - www.teatro-di-genova.it Emilia Romagna Teatro - largo Garibaldi, 15 - 41100 Modena - tel. 059.223783 - e-mail: info@emiliaromagnateatro.com - www.emiliaromagnateatro.com

Teatro Stabile di Torino - piazza. S. Carlo, 161 - 10123 Torino - tel. 011.5169411 - e-mail: info@teatrostabiletorino.it - www.teatrostabiletorino.it

Teatro Stabile della Toscana - via Cairoli, 59 - 59100 Prato - tel. 0574.6084, biglietteria tel. 0574.6084 - e-mail: info@metastasio.it - www.metastasio.it

Teatro Stabile di Bolzano - piazza Verdi, 40 - 39100 Bolzano - tel. 0471.301566, fax 0471.327525, www.teatrobolzano.it

Teatro Stabile delle Marche "Fondazione le città del teatro" sede legale piazza XXIV Maggio 1, 60124 Ancona; sede operativa piazza Cavour 29, 60121 Ancona - tel. 071.200442, fax 071.205274 www.stabilemarche.it

Teatro Stabile del Friuli Venezia Giulia - viale XX Settembre, 45 34126 Trieste - tel. 800.554040, 040.567201 - e-mail: info@ilrossetti.it - www.ilrossetti.it Teatro Stabile Sloveno - via Petronio, 4 - 34126 Trieste - tel. 040.3480076 - e-mail: teatrostabilesloveno@libero.it Teatro Stabile del Veneto "Carlo Goldoni" - San Marco, 4650 b 30124 Venezia - tel. 041.5205422, biglietteria tel. 041.5207583www.teatrostabileveneto.it - gestisce

Teatro Stabile d'Abruzzo - via Roma, 54 - 67100 L'Aquila - tel. 0862.413200, 0862.62946, fax 0862.414269 - e-mail: tsa@webaq.it - www.teatrostabile.abruzzo.it Teatro Stabile dell'Umbria - via del Verzaro, 20 - 06123 Perugia - tel. 075.575421 - e-mail: tsu@teatrostabile.umbria.it-www.teatrostabile.umbria.it Associazione Teatro di Roma via dei Barbieri, 21 - 00186 Roma


- tel. 06.6875445 - e-mail: info@teatrodiroma.net - www.teatrodiroma.net Ente Teatro di Sicilia Stabile di Catania - gestisce due teatri: Teatro Verga, via Giuseppe Fava 39, 95123 Catania, tel. 095.363545; Teatro Musco, via Umberto 312, 95100 Catania, tel. 095.535514 Teatro Biondo Stabile di Palermo via Teatro Biondo, 11 - 90133 Palermo tel. 091.7434311, 091.582364 - e-mail: info.teatroetteatrobiondo.it- www.teatrobiondo.it SCUOLE Scuola del Teatro Stabile di Torino - corso Moncalieri, 18 -10131 Torino -tel. e fax: 011.6600097, 011.6602872 - e-mail: scuola@teatrostabiletorino.it www.teatrostabiletorino.it Liceo Teatro Nuovo - Artisticocoreutico-teatrale - corso Massimo D'Azeglio, 17 - 10126 Torino - tel. 011.6500262, fax 011.6500218 - email: liceotnt@tin.it - www.liceoteatronuovo.com Scuola del Teatro Stabile di Genova - piazza Borgo Pila, 42 16129 Genova - tel. 010.5342212, tel. segreteria (9-15) 010.5342255 e-mail: scuola. recitazione@teatro-digenova.it - www.teatro-di-genova.it Civica Accademia d'Arte Drammatica "Nico Pepe" - largo Ospedale vecchio, 10/2 - 33100 Udine tel. 0432504340 e-mail: accademia_np@libero.it - www.comune.udine.it, www.go.to/accademiait Civica Scuola d'Arte Drammatica "Paolo Grassi" - via Salasco, 4 20136 Milano - tel. 02.58302813 - email: paolograssi@tiscalinet.it Scuola del Piccolo Teatro - fondata da Giorgio Strehler e diretta da Luca Ronconi - via degli Angioli 20121 Milano-tel. 02.72333414 - email: scuola@piccoloteatromilano.it

Accademia dei Filodrammatici via Filodrammatici, 1 - 20121 Milano - tel. 02.86460849 - e-mail: filodram@accademiadeifilodrammatici.i t - www.accademiadeifilodrammatici.it Scuola di recitazione e di formazione del Teatro Stabile delle Marche - Palazzo Bottoni - via Cialdini - 60121 Ancona - tel. 071.200442 - www.stabilemarche.it Accademia nazionale d'Arte Drammatica "Silvio D'Amico" - via Bellini, 16 - 00198 Roma - tel. 06.8543680, 06.8413233, fax 06.8542505 (9-19) Accademia nazionale d'Arte Drammatica del Teatro Bellini - via Conte di Ruvo, 14 - 80135 Napoli tel. 081.5491266, 081.5447768 Accademia d'Arte Drammatica della Calabria - via Papa Giovanni XXIII - 89015 Palmi (Reggio Calabria) - tel. 0966.21792 Accademia Umberto Spadara - c/o Cus Catania cittadella universitaria, UniversitĂ degli Studi di Catania - tel. 095.354466, 095.431528, 338.6420465 Scuola di recitazione del Teatro Biondo Stabile di Palermo - via Teatro Biondo, 11 - tel. 091.7434311 - www.teatrobiondo.it Civica Scuola d'Arte Drammatica di Cagliari - via La Palma - 09126 Cagliari - tel. 070.341322 SITI www.delteatro.it (sito di teatro della Baldini & Castaldi) www.teatro.it (sito con la programmazione nazionale) www.tophat.it (sito con recensioni e video degli spettacoli in scena) www.teatrionline.com (portale dedicato al teatro e oltre: servizi e anche un quiz a premi) www.lospettacolo.it (sito dedicato

allo spettacolo in genere: teatro, cinema, musica, tv) www.teatranti.com (portale sulla scena italiana) www.enteteatrale.it (sito dell'ente con rassegna stampa di teatro nazionale e internazionale) www.url.it (sito con una sezione su teatro e scienza) www.ske-net.com (portale con notizie su musica, cinema, teatro, danza e relativi link) www.scanner.it (sito dedicato alla cultura, allo spettacolo e in particolare alle arti sceniche, con recensioni, segnalazioni e speciali) www.buma.it (sito dedicato al teatro di figura) www.spettacolo.benicultura.it (pagina dedicata allo spettacolo nel sito del Ministero Beni Culturali) www. comune.torino.it/cultura/teatro/morteo/morteowelcome.htm (sito del Centro Studi Teatro Ragazzi "Gian Renzo Morteo") www.riccioneteatro.it (sito del Premio Riccione per il Teatro) www.outis.it (sito del Centro Nazionale di Drammaturgia Outis) www.teatrototale.it (sito del Centro Nazionale di Drammaturgia Teatro Totale) www.dramma.it (sito sulla drammaturgia contemporanea) www.hystrio.it (sito dell'omonima rivista trimestrale) www.proveaperte.it (sito dell'omonima rivista) members.xoom.it/tempimoderni (sito dell'omonima pubblicazione) www.drammaturgia.it (sito dell'omonima rivista) www.ateatro.it (webzine di cultura teatrale a cura di Oliviero Ponte di Pino) www.amnesiavivace.it (rivista on line di teatro e arte) www.tuttoteatro.com (settimanale di informazione e cultura teatrale) www.teatro.firenze.net (collegato ai siti dei principali teatri italiani)

www.teatroedintorni.it (mappa nazionale del teatro: produzioni, festival, servizi per lo spettacolo, ecc.) www.editoriaespettacolo.it (sito dell'omonima casa editrice) www.manifatturae.it (dedicato in particolare alla drammaturgia) www.culturaespettacolo.com (cartelloni dei teatri, curriculum artisti e notizie su audizioni e provini) www.royalcourttheatre.com (sito del Royal Court Theatre di Londra) www.officiallondontheatre.co.uk (guida ai teatri di Londra) www.abbeytheatre.ir (sito del National Theatre - Abbey Theatre di Dublino) www.schaubuehne.de (sito della Schaubuhne di Berlino) www.mimecentrum.de (sito del Centro di Mimo di Berlino) www.dramaten.se (sito del Dramaten di Stoccolma) www.pluto.no/detnorsketeatret (sito del Det Norske Teatret di Oslo) www.lamama.org (sito del Teatro La Marna di New York) www.pariscope.fr (sito degli appuntamenti con lo spettacolo a Parigi) www.theatre.ru (sito sul teatro russo) www.theatre-link.com/thresor.html (solo link) www.atelier-traduction.com (sito dell'Atelier di traduzione teatrale di OrlĂŠans) www.babeleurope.com (sito dell'Atelier europeo della traduzione) LIBRERIE Libreria dello spettacolo - via Terraggio, 11 - 20100 Milano - tel. 02.86451730 Libreria Il Leuto - via Monte Brianza, 86 - 00100 Roma - tel. 06.6869269 Libreria Broadway - via Rosolino Pilo, 18 - 90100 Palermo - tel. 091.6090305

Il


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Punti vendita di Hystrio ANCONA Feltrinelli - e.so G. Garibaldi, 35-tel. 071/2073943 BARI Feltrinelli - Via Dante, 91/95 - tel. 080/5219677 BENEVENTO Libreria Masone - V.le dei Rettori, 73 - tel. tel. 0824/317109 BOLOGNA Feltrinelli - P.zza Ravegnana, 1 - tel. 051/266891 Feltrinelli lntemational - Via Zamboni; 7/B - tel. 051/268070 BOLZANO Libreria Mardi Gras - Via Andreas Hofer, 4 - tel. 0471/301233 BRESCIA Feltrinelli - Via G. Mazzini, 20 - tel. 030/3776008 FERRARA Feltrinelli - Via G. Garibaldi, 30 - tel. 0532/248163 FIRENZE Feltrinelli - Via Cerretani 30/32 R - tel. 055/2382652 GENOVA Feltrinelli - Via XX Settembre, 233 - tel. 010/540830 LUCCA Libreria Baroni - via San Paolino 45/47 - tel. 0583/56813 MESTRE Feltrinelli - P.zza XXVII Ottobre, 80 - tel. 041/940663 MILANO Anteo Service - Via Milazzo, 9 - tel. 02/67175 Feltrinelli lnternational - P.zza Cavour, 1 - tel. 02/6595644 La Feltrinelli Libri e Musica - e.so Buenos Aires, 33/35 - 02/2023361 Feltrinelli Duomo - Via U. Foscolo 1/3 - tel. 02/86996903 Feltrinelli Manzoni - Via Manzoni, 12 - tel. 02/76000386 Feltrinelli Libri e Musica - P.zza Piemonte, 2/4 - tel. 02/433541 Libreria dello Spettacolo - Via Terraggio, 11 - tel. 02/86451730 Teatro Libero - Via Savona, 10 - tel. 02/8323126 Unicopli - Via R. Carriera, 11 - tel. 02/48952101 Egea spa - Via Bocconi, 8 - tel. 02/58362030 MODENA Feltrinelli - Via C. Battisti 13/23 - tel. 059/218188 NAPOLI Feltrinelli - Via San Tommaso d'Aquino, 70/76 tel. 081/5521436 Feltrinelli Libri e Musica - Via Cappella Vecchia,

3 - 081/2405401 Brainstorming - Vico Il, Cisterna dell'olio, 2 (p.zza Gesù) - tel. 081/19565712

PADOVA Feltrinelli - Via San Francesco, 14 - tel. 049/8754630

HYSTRIO trimestrale di teatro e spe ttacolo

Rivista fondata da Ugo Ronfani Editore: Hystrio - Associazione per la diffusione della Cultura Teatrale, via Volturno 44, 20124 Milano.

PALERMO Feltrinelli - Via Maqueda, 459 - tel. 091/587785 PARMA Feltrinelli - Via della .Repubblica, 2 - tel. 0521/237492 PESCARA Feltrinelli - e.so Umberto, 5/7 - tel. 085/295288

Direzione: Roberta Arcelloni, Claudia Cannella (responsabile), Ivan Groznij Canu (art director), Anna Ceravolo. Redazione: Albarosa Camaldo, Elisabetta Longoni (segreteria). Consulente editoriale: Ugo Ronfani.

PISA Feltrinelli - e.so Italia, 50 - tel. 050/24118

Collaboratori: Anna Chiara Altieri, Giovanni Ballerini, Sergio Basso, Laura Bevione, Fabrizio Caleffi, Giulia

RAVENNA Feltrinelli - Via 4 Novembre, 7 - tel. 0544/34535 REGGIO EMILIA Libreria Vecchia Reggio - Via C.S. Stefano, 2/F tel. 0522/453343

Calligaro, Danilo Caravà, Ernesto Cilento, Renzia D'lncà, Gianni Forte, Adriano Gallina, Mimma Gallina, Emanuela Garampelli, Andrea Garlet, Gastone Geron, Gigi Giacobbe, Giuseppe Liotta, Carlo Manfio, Stefania Maraucci, Massimo Marino, Antonella Melilli, Giuseppe Montemagno, Anna Maria Monteverdi,

RIMINI Libreria Interno 4 - e.so d'Augusto 74/4 - tel. 0541/23486

Simona Morgantini, Andrea Nanni, Alessandra Nicifero, Pier Giorgio Nosari, Dimitri Papanikas, Carlo Maria Pensa, Alfio Petrini, Gianni Poli, Vanessa Polselli, Oliviero Ponte di Pino, Carlo Randazzo,

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Yorgos Dialegmenos

TI BACIO SUL MUSO traduzione italiana di Antonietta Varvaro

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LO STORDIMENTO DEGLI ANIMALI PRIMA DEL MACELLO

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traduzione italiana di Maurizio de Rosa

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traduzione italiana di Dimitri Milopulos e Barbara Nativi



L'Atelier Européen andato nel 1998, l 'Atel i.er Europeo del la Traduzione ri.uni.sce intorno al Teatro Nazionale di. Orléans, nell'ambi. to del programma europeo "Cultura 2000", i.sti.tuzi.oni. teatrali., culturali. e uni.versi.tari.e i.tali.ane, spagnole, portoghesi., irlandesi., rumene, greche, brasi.liane, egi.zi.ane, slovacche e francesi.. I partner europei. e i.nternazi.onali. consentono i.l funzionamento culturale e ammi.ni.strati. vo del l 'AET, assumendo i.n seno a esso la funzione di. "membri. permanenti." o di. "membri. associati.". L'Italia è rappresentata da due membri. permanenti.: Outi.s-Centro Nazionale di. Drammaturgia Contemporanea (Milano) e Laboratori.o Nove di. Fi. renze. La presenza e l'atti.vi.tà dei. due partner favoriscono la traduzione e la pubbli.cazi.one di. testi. i.tali.ani. in Europa - in parti.colar modo in Francia, Spagna, Portogallo, Greci.a (Sci.mane, Manfri.di., Paravi.di.no, Celestini. ... ). Inoltre, aiutano i.l lavoro dei. traduttori. i.tali.ani. che hanno ricevuto il sostegno dell'AET per la traduzione delle opere di. Novari.na e Py (Francia), Mayorga e Cabal (Spagna), Rani. Sarma e Mc Cafferty (Irlanda), Rita Lopes (Portogallo), Di.mi.tri.adi.s, Di.alegmenos, Anagnostaki. e Kambanelli.s (Greci.a). I progetti. di. Traduzi.one-Pubbli.cazi.one dell'AET sono completati. da un programma di. Informazi.one-Documentazi.one, consultabile sul si.to www.babeleurope.com. Tale programma partecipa alla creazione di. un Repertori.o europeo di. drammaturgia, e ani.ma i.n sette lingue i. rapporti. tra autori., traduttori. e artisti. teatrali..

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In settembre 2004, a Milano, i.n collaborazione con Outi.s, l'AET presenterà i.n i. tal i.ano di.verse opere di. autori. irlandesi., spagnoli., francesi., greci. e portoghesi. (incontri. con gli. autori., letture).

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L'Atelier Européen de la Traduction

si avvale del contributo dell'Unione Europea - Settore Educazione e Cultura Programma Cultura 2000

Traduzione realizzata nell'ambito dell'Atelier Européen de la Traduction Scène Nationale d'Orléans


di Platon Mavromoustakos*

1teatro greco del dopoguerra è caratterizzato dalla presenza simultanea di varie espressioni teatrali, sia a livello di scrittura drammatica sia a livello di pratica scenica. Parallelamente all'approccio "accademico" del teatro nazionale, alle scelte ben poco audaci nell'ambito delle pratiche letterarie contemporanee e alla propensione commerciale delle principali compagnie teatrali, si evidenzia il confronto con il lavoro del Teatro d'Arte (Theatro Technis), fondato da Karolos Kun, che ha costituito la più importante tribuna di espressione degli scrittori greci della generazione del dopoguerra. Epigrammaticamente, potremmo parlare di due diverse forme di attività teatrale. La forma preesistente e dominante, per lo meno durante i primi due decenni del dopoguerra e fino quasi al periodo della dittatura, è caratterizzata dalla presenza della farsa e della commedia. La forma più recente, moderna, con la comparsa di drammaturghi che appaiono per la prima volta intorno alla metà degli anni '50-'60. Ognuna di queste due forme sarà al servizio di compagnie teatrali di svariati orientamenti, nel quadro di un'incessante e sempre più complessa e composita attività drammatica. La prima generazione di scrittori, che appare nel periodo della rappresentazione di La corte dei miracoli di lakovos Kambanellis, presso il Teatro d'Arte nel 1957, include tra gli altri Dimitri Kechaidis (Lunga, triste canzone, Teatro d'Arte, 1956-1957), Loula Anagnostaki (La città, Teatro d'Arte, 1964-1965), Vasilis Ziogas (Le trattative delle nozze di Antigone, Dodicesimo Sipario, 1960) e Kostas Murselas ( Uomini e cavalli, Dodicesimo Sipario,

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1962). A partire dalla fine del decennio appaiono scrittori che offrono visioni e prospettive diversificate degli stessi fenomeni, affrontando gli stessi problemi e rapportandosi a uno stesso insieme di valori, finendo per costituire la nuova drammaturgia greca. Le nuove produzioni si succedono quasi a ondate. Nel periodo della dittatura vengono rappresentati per la prima volta Pavlos Matesis (La cerimonia, Teatro Nazionale, 1969), Stratis Karras (/ guardiani notturni, Teatro Nazionale, 1969), Petros Markaris (La storia di Ali Retzos, Teatro Libero, 1972), Marios Pondikas (Veduta panoramica di un lavoro notturno, Teatro Arcate, 1972), Yorgos Skurtis (Le balie, Teatro d'Arte, 1972). Nei primi anni successivi al mutamento di regime politico, appaiono per la prima volta Yorgos Dialegmenos (Abbiamo perduto la zia STOP., Teatro Arcate, 1976) e Mitsos Efthimiadis (/ protettori, Teatro d'Arte, 1976). Negli anni immediatamente seguenti, quasi a ogni stagione teatrale si assiste a una nuova produzione: Yorgos Maniotis (Lezioni, Teatro Statale della Grecia del Nord, 1977), Babis Tsiklipopulos (Lo scantinato, Teatro Statale della Grecia del Nord, 1977), Manolis Korres (Casa di riposo per la terza età: Il tramonto felice, Aloni, 1979), Yorgos Armenis (Maggiorana sulla soglia, Teatro d'Arte, 1980), Giannis Chrisulis (L'inaugurazione, Teatro Arcate, 1981 ), Konstandina Vergu (Le nozze di Antigone, Teatro Arcate, 1983). Tra gli scrittori che appaiono nel periodo del dopoguerra, con le relative problematiche, si evidenziano Yorgos Sevastikoglu, Vangelis Gufas, Nikos Zakopulos, Yorgos Christofilakis, Margarita Limberaki, Yorgos Chasapoglu e Christos Dhoksaras. La drammaturgia di questo periodo, quasi nella sua totalità, è caratterizzata dal tentativo di presentare e analizzare i fenomeni più immediatamente percettibili della vita quotidiana. Le nuove rappresentazioni, soprattutto quelle della metà dei decenni '80-'90, mostrano che la tendenza intesa come tipica del dopoguerra è alquanto diversificata. Potremmo dire che, dalla presentazione


di fenomeni immediatamente percettibili della vita di tutti i giorni, la drammaturgia passa progressivamente alla presentazione e analisi di fenomeni immediatamente percettibili della psiche ellenica. Le opere proposte negli ultimi anni sembrano allontanarsi dalle caratteristiche morfologiche fissate in merito alla scrittura drammatica fino al 1980 e cercano nuove forme di espressione. L'ultima ondata di produzione scritta registra un nuovo insieme di propositi, che rimuovono l'enfasi posta sulle caratteristiche esterne e sui segni distintivi, spostandola sull'espressione delle esperienze interiori tipiche della mentalità e del comportamento neo-ellenici. Non si cerca più la descrizione dei fenomeni della società ellenica e la sua patologia, bensì la rappresentazione di percorsi interiori e individuali che illustrano le nevrosi dell'individuo greco dei nostri tempi. Queste nuove caratteristiche sono anche indice della ricerca di una nuova tematica. I nuovi elementi si notano nella produzione più recente degli scrittori che consacrano e fissano la produzione teatrale del dopoguerra, come lakovos Kambanellis ( Compagnia di teatro invisibile, Teatro Nazionale, 1988; Il cammino passa dall'interno, Teatro Sperimentale della Città, 1990; le opere in un atto Lettera a Oreste, L'ultima cena e Vicolo dei tebani, presentate con il titolo generico L'ultima cena, Nuova Scena del Teatro Nazionale, 1993) e, precedentemente, Loula Anagnostaki (// suono dell'arma, Teatro d'Arte, 1987, e Diamanti e Blues, Compagnia Karezi-Kazaku, 1990), Kostas Murselas (Situazione limite, Maschere, 1986), Vasilis Ziogas (Filottete, Teatro Segno, 1990), Pavlos Matesis (Curatore di piante, Nuova Scena del Teatro Nazionale, 1990), Yorgos Dialegmenos (Non ascoltare la pioggia, Teatro degli Inizi, 1989), Giannis Chrisulis (L'incidente, Teatro d'Arte, 1990), Dimitri Kechaidis (Con forza, da Kifisia, Nuova Scena, 1995), e appaiono inoltre nella produzione più recente di Manolis Korres e di Lakis Michailidis. Si manifestano anche nelle opere, presentate alla fine del decennio e all'inizio del decennio successivo, di scrittori esordienti come Andreas Staikos (Clitennestra, Teatro Epoca, 1987 e 1843, Teatro dell'Attica, 1990), Periklis Korovesis (Tango Bar, Scena Teatrale, 1987), Rula Georgakopulu (Aperto di notte, Specchio, 1987), Maria Laina (La realtà è sempre qui, Teatro d'Arte, 1990) e Panagiotis Mendis (Play Mobil, Teatro d'Arte, 1993). Il cambio di rotta e le problematiche che stabiliscono e fissano l'immagine della nostra scrittura drammatica del dopoguerra dimostrano con veemenza la vivacità della scena teatrale greca. Alla fine degli anni '80 si constata che l'omogeneità che all'inizio si poteva rilevare nelle problematiche affrontate dagli scrittori e nella tematica delle loro opere, darà definitivamente luogo a una grande diversità. Le recenti opere di lakovos Kambanellis (Nel paese lbsen, Scena d'Arte Sperimentale, 1997, Una commedia e L'ultimo atto, presentate durante il periodo 1997-1998), di Pavlos Matesis (A Elefsina, Teatro Nazionale, 1995 e l'opera inedita // clamore, 1996), di Vasilis Ziogas (l'opera inedita Ifigenia, 1996, e Big Bang, che sarà anch'essa rappresentata nel 1997), di Loula Anagnostaki (// cielo tutto rosso, Nuova Scena del Teatro Nazionale, 1998), ma anche le più recenti di Giannis Chrisulis (// ritorno del Che, che sarà rappresentata nel 1997) e di Panagiotis Mendis (Anna, dissi... , Teatro Arcate, 1995), nel loro insieme costituiscono una produzione letteraria interessante e multiforme, che diversifica in modo significativo le rotte del teatro greco attuale. Con l'avvicinarci alla fine del secolo, possiamo constatare una sempre maggiore varietà, che si deve a un'interessante ricerca a tutti i livelli della scrittura teatrale, strettamente con-

nessa a una concezione sempre più personale del teatro adottata dai drammaturghi. Mentre negli anni precedenti si segnalavano problematiche comuni, la scrittura degli scrittori di fine secolo è caratterizzata dalla proiezione e rivendicazione della differenza. Sui palcoscenici delle compagnie attive all'inizio degli anni '90 è presentato un numero considerevole di nuove opere di autori che si rivelano nel teatro, di non facile inclusione in una corrente comune. Tra tali scrittori spiccano in modo particolare Akis Dhimou (... e Giulietta, Scena Sperimentale d' "Arte", 1995), Dimitris Dimitriadis (// principio della vita, Teatro Amore, 1995), Thodoros Grampsas (Esattamente trent'anni, Teatro d'Arte, 1995), Lenos Christidis (Bel/a fase, Nuova Scena del Teatro Nazionale, 1996), Michalis Virvidakis (Nella Nazionale, con i massimi, Teatro della Via delle Città, 1997), Elena Penga (Valzer eccitazione, Teatro Amore, 1997), Chrissa Spiliotis (Chi ha scoperto l'America, Teatro Amore, 1997), Takis Theodoropulos (Quelli che hanno perduto il sonno, Teatro Amore, 1997), Sofia Dhionissopilu (Canto notturno, Teatro Spazio d'Arte, 1999). Con le loro opere essi contribuiranno alla formazione di un paesaggio ancora più composito e complesso, che configurerà una polimorfia ancora maggiore. La pratica teatrale greca attraversa una fase in cui sono necessarie revisioni sceniche di testi antichi, al fine di conferire una nuova dimensione all'immagine scenica nazionale. Parallelamente, sono sempre più numerose le rappresentazioni di nuove opere che esaminano nuove questioni e pongono nuove condizioni di sviluppo del teatro. Agli inizi del XXI secolo è possibile verificare che la drammaturgia ellenica contemporanea costituisce un ampio e continuo corpo vibrante, in costante evoluzione, sensibile alle particolarità e singolarità della realtà ellenica, ma in dialogo con il proprio passato e con le nuove direzioni, con le nuove rotte della creazione letteraria europea. •

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* Platon Mavromoustakos è critico teatrale e docente universitario all'Università di Atene. Questo testo è stato pubblicato sulla rivista brasiliana Folhetim nell'ottobre 2003, traduzione di Sebastiana Fadda. In apertura Lithi (Oblio) di Dimitris Dimitriadis, regia di Theodoros Terzopoulos (foto: Johanna Weber); in alto La parata, di Loula Anagnostaki, regia di Serena Mannelli, Teatro della Limonaia, (foto Studio IC); in basso Notturno di Sophia Dionisopoulos, regia di Barbara Nativi al Teatro della Limonaia (foto: Studio IC).

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di Vassilis Papavassiliu* no straniero in viaggio in Grecia può forse ignorare cos'è un ouzaki (ouzettino)? Chi non ha mai gustato in maniera pura e semplice - "senza tanti complimenti" come si suol dire- un mézédaki (mezzeino) dopo • una nuotata in una nissaki (un'isoletta), di preferenza messiméraki (a mezzogiornino), o nel primo apoyevmataki (nel primo porneriggino)? Psaraki (pesciolino), salatitsa (insalatina), élitses (olivette) e tyraki (tormaggino) sono perfettamente indicati come accompagnamento dell'ouzo, e se uno non lo sa, lo impara. Meglio evitare, invece, le keftedakia (~e polpetti~e di carne) ~ ?g~i altra leccornia a base d1 carne. Questi p1att1, così come i farinacei, 1e patatou1es (patatin~), sono !ndicati per sposare il _ret~inou/a (il vinello resinato). Frequentare gli dei al bar fa nascere la lingua dei diminutivi. Questa lingua è l'espressione contemporanea della base ontologica del miracolo chiamato "civiltà greca", e questa base non è altro che l'appropriazione di ciò che è grande attraverso il suo abbassamento. E' su tale gesto che si fonda il filosofo, è su di esso che si fonda il passaggio dalla sfera dell'oralità epica a quella della rappresentatività tragica, ovvero il passaggio dalla leggenda al teatro. La Clitemnestra del rapsodo differisce dalla Clitemnestra di Eschilo, Sofocle e Euripide per questo motivo: la prima, indipendentemente dagli elementi mimetici che possono accompagnare la narrazione, rimane un'eco, un nome, l'eco di un nome, se volete. La seconda diventa una figura, acquisisce la delimitazione di un corpo, quello dell'attore antico (maschio, per di più). Eco di un nome, la Clitemnestra dell'oralità sostiene il ruolo principale, detiene il potere nel rapporto con l'uditorio, mantenendo il privilegio dell'invisibile. Forma di un corpo, la Clitemnestra della rappresentatività tragica assume un ruolo secondario nei confronti del pubblico, liquidando la propria preminenza nel campo dell'invisibile e dell'indefinito per acquisire un'implicazione personale in quell'"imitazione di un'azione" che costituisce, secondo Aristotele, la quintessenza della tragedia, la sua definizione per eccellenza. L'azione, motore della tragedia, presuppone che qualcuno la compia: l'attore, ormai ridotto a ruolo secondario. Visione e azione invece di ascolto e narrazione: a

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tale differenziazione corrisponde il passaggio dalla fase prepolitica alla fase politica dell'antichità greca. Protagonisti la democrazia, i cittadini e le loro azioni iscritte nel campo visuale dello spazio pubblico, non gli eroi e le loro gesta. Questi ultimi, nell'ambito della tragedia, presentano in qualche modo, agli occhi degli spettatori, l'immagine del cittadino imperfetto. La hybris consacra tale imperfezione e ricorda all'Ateniese del V secolo prima di Cristo, protagonista della vita della città, il pericolo inerente alla personalità dell'uomo che agisce, detto anche soggetto politico, l'uomo che difende la libertà di decisione e l'inerente passaggio dalla sfera della "potenzialità" a quella dell"'azione", per continuare a parlare in ter, mini aristotelici. Da un certo punto di vista, la hybris non è altro che l'esecuzione di una decisione e l'attuazione di una virtualità. È per questo che tragico e umano sono sinonimi. Con "teatro", gli antichi Greci designavano non tanto un'arte quanto uno spazio all'interno del quale comparivano tutte le arti. Con • , théatraki (piccolo teatro) i Greci di oggi designano uno spazio nel quale compaiono gli attori. Théatraki si è aggiunto all'insieme dei • diminutivi della lingua greca soprattutto dopo la Seconda guerra mondiale, e negli ultimi trent'anni del XX secolo ha ottenuto piena consacrazione. Il rafforzamento del termine riflette la nuova situazione creatasi nel panorama teatrale ateniese e si traduce nella pletora di piccole sale che, in quanto prodotti di una trasformazione e di un ricondizionamento, passano dalla categoria di pasticceria, magazzino o falegnameria a quella di tempio dionisiaco. Figli della necessità, i molteplici théatrakia della capitale greca aumentano in maniera direttamente proporzionale all'arrivo in massa di giovani nei corsi di arte drammatica e nei laboratori teatrali dediti al tirocinio dell'attore. Questi giovani, dopo gli studi, rivendicano il "diritto all'espressione" come alcuni loro predecessori grazie ai quali, con l'aiuto dei sussidi al teatro privato, i théatrakia sono stati consacrati tra il 1980 e il 2000 lo spazio esemplare del teatro alternativo. Cos'è un théatraki? Una sala la cui capacità, in media, non supera gli 80-100 posti. L'altezza va raramente al di là dei quattro metri-quattro metri e mezzo. La profondità dello spazio scenico viene considerata grande quando supera i cinque metri, e la corrispettiva larghezza quando supera i quattro. E non parliamo delle infrastrutture e della tecnica, nemmeno nel migliore dei casi! Il théatraki è per definizione un teatro disagevole c_he dipende dall'eventuale prestazione degli attori e, essenzialmente, dalla forza della parola. In generale a pianta centrale, questo spazio non può per definizione sopportare nessun postulato formale, ma deve basarsi sull'imitazione, la suggestione, ''l'atmosfera" e l'emozione. E a volte fa miracoli

Atene' Cl tta-teatro' ci. ttà del teatro h · ' a relnVentatO la sua arte-si.mbolo grazi.e al théatraki UnO SpazlO i.n mi.ni.atura

Per tornare

a essere grande?


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capaci di compensare l'insulsaggine e la banalità di altre performances che genera e Testi contemporanei tradotti dall'AET per il Fondo Europeo ospita. delle Nuove Scritture Drammatiche È questo, infatti, il pericolo maggiore del théatraki: restare uno spazio di "buone (sono elencate solo le traduzioni realizzate in italiano o per autori italiani) intenzioni", circondato dall'aura culturale di un'"eresia" che è da tempo diventata "ortodossia", se si pensa che le sale di questo Autori europei tradotti in Italia tipo superano ormai allegramente le settanta unità. In altri termini, il théatraki è minacLoula Anagnostaki: Il cielo tutto rosso (Grecia) - Traduzione di Barbara Nativi e ciato da quello che Jacques Copeau, alla Dimitri Milopulos fine degli anni Venti, riferendosi al panoraLoula Anagnostaki: La parata (Grecia)-Traduzione di Patrizia Villani ma teatrale parigino, definiva il "conformiYorgos Dialegmenos: Ti bacio sul muso (Grecia) - Traduzione di Antonietta Varvaro smo dell'avanguardia"- o, per citare Freud, Dimitris Dimitriadis: Muoio come un paese (Grecia) - Traduzione di Barbara Nativi e Dimitri dal "narcisismo della piccola differenza". Si Milopulos . . tratta, in breve, della sindrome dell'eccezioDimitris Dimitriadis: Lo stordimento degli animali prima del macello (Grecia) -Traduzione d1 ne diventata regola a sua insaputa. Maurizio de Rosa Il théatraki non è un'invenzione dei Greci di Sofia Dionisopoulou: Notturno (Grecia) - Traduzione di Barbara Nativi e Dimitri oggi in opposizione agli Antichi, depositari Milopulos della responsabilità storica del teatro. Se Rodrigo Garda: La storia di Ronaldo, il pagliaccio del McDonald's (Spagna) - Traduzione di accettiamo il punto di vista di René Girard Ilaria Panichi (Ubulibri) secondo cui «il teatro deve essere proibito Xenia Kalogheropoulo: Ulissinbad (Grecia) -Traduzione di Patrizia Villani per tornare a essere grande», il théatraki è Juan Mayorga: Il traduttore di Blumemberg (Spagna)-Traduzione di Ilaria Panichi il marchio depositato di un periodo storico Valère Novarina: Davanti alla parola (Francia) -Traduzione di Gioia Costa (Ubulibri) durante il quale il teatro non è sempliceValère Novarina: Per Louis de Funès (Francia) - Traduzione di Gioia Costa (Bulzoni mente permesso ma addiruttura imposto. Si Editore) tratta della fase in cui un'attività umana, Valère Novarina: L'animale del tempo (Francia) - Traduzione di Gioia Costa (Bulzoni un'arte, si democratizza al punto che la perEditorcl · dita del suo statuto viene compensata dalla I Valère Novarina: Lettera agli attori (Francia)-Traduzione di Gioia Costa (Bulzoni Editore) moltiplicazione dei punti di emissione o di esercizio. Non succede forse la stessa Traduzioni in corso: cosa, per certi aspetti, con l'istituzione chiamata università? Chi potrebbe obiettare Fermin Cabal: Tejas verdes (Spagna) - Traduzione di Ilaria Panichi all'affermazione che oggi, all'epoca della Ursula Rani Sarma: Blue (Irlanda) - Traduzione di Luca Scarlini democrazia postmoderna, il teatro è lo spaOlivier Py: Epftre aux jeunes acteurs (Francia) - Traduzione di Carlotta Clerici zio in cui si canalizzano senza sforzo la Teresa Rita Lopes: Quel certo qualcuno (Portogallo) - Traduzione di Sebastiana Fadda sete di riconoscimento o il bisogno di gestire una riserva fondamentale di angoscia esistenziale, angoscia che pesa sull'indiviAutori italiani tradotti in Europa duo anonimo almeno quanto la rivendicazione del diritto al lavoro? Dove trionfa la Francia società dello spettacolo, l'anonimato non Fausto Paravidino: Noccioline e Genova 01 - Traduzione di Philippe di Méo (Editions de può essere considerato un problema meno L'Arche) importante della disoccupazione. Si potrebSpiro Scimone: Il cortile - Traduzione di Jean-Paul Manganaro (Editions de L'Arche) be perfino dire che, nelle condizioni attuali, l'una (la disoccupazione) è spesso interprePortogallo tata o vissuta come un germoglio dell'altro Fausto Paravidino: 2 fratelli - Traduzione di Clara Rowland (l'anonimato). Il nostro nome è il nostro Spiro Scimone: Il cortile - Traduzione di Jorge Silva Melo principale impiego, sembra dirci la società. Ecco come, ironicamente, il ciclo è compiuGrecia to: si ritorna allo stadio in cui il nome dell'eSpiro Scimone: La festa - Traduzione di Anna Papastavrou roe veniva eclissato dalla forma corporea grazie al cittadino, al nome del cittadino Spagna · · (Ed.1tions . A s1·11 ) (passaggio dalla fase prepolitica alla fase Spiro Scimone: La festa e Il cortile - Traduzione di Carla Matterm 1 eros dall'epopea alla tragedia). politica, _________ .J Oggigiorno non è più l'epoca dei cittadini, ma degli "eroi" (eroi nei riguardi di se stesSta"ikos). Ha inoltre tradotto Sade, Roland Barthes, Bernardsi, "auto-eroi"). È la ragione per cui non abbiamo bisogno di teaMarie Koltès, Valère Novarina, Edward Band. Tra i suoi ultimi tro, ma di théatraki. • spettacoli: L'impromptu de Versail/e di Molière e Les Acteurs de

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bonne foi di Marivaux, al Teatro Nazionale di Atene. * Vassilis Papavassiliu, il più importante regista della Grecia odierna, è nato a Salonicco nel 1949. Co-fondatore di una delle più famose compagnie teatrali del dopoguerra, "La scena", ha allestito, tra gli altri, testi di Sofocle, Goldoni, Marivaux, Horvath, Bond e di autori greci contemporanei (Ritsos, Anagnostaki,

Si ringrazia la rivista La pensée du midi (n.11, Athènes, hiver 2003-2004, Actes Sud) che ci ha concesso i diritti di traduzione e di pubblicazione per l'articolo Athènes, fa cité des théatres di Vassilis Papavassiliou. La traduzione italiana è di Carlotta Clerici.

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(O OYPANOI; KATAKOKKINOI;)

di Loula Anagnostaki traduzione di Ba rba ra Nati vi e Di mit ri Milopul os

Prima italiana:25 settembre 2002, Teatro della Limonaia, Intercity Athina 2002, con l ' interpretazione di Marisa Fabbri. Prod. Intercity.

Ecco. lo. Ecco. lo. lo. Here I am an old woman in a dry month. lo. Sofia Apostòlou. Di Joannis e Evghenìa Karabètzu. Professoressa di francese nella scuola pubblica. Laureata in filologia. Conosce anche inglese e russo. Ex professoressa. Radiata per alcolismo. Alcolismo. Bevevo. Bevevo anche in classe. Quando ero di pomeriggio. Perché sono diventata alcolista? Com'è che ho cominciato? lo. Che non bevevo una goccia. Anche quando il povero Christakis, che aveva cominciato a bere prima di morire, visto che era comunista e non ce la faceva più , diceva che vedeva il crollo dei paesi socialisti. Anche allora l'alcool mi lasciava indifferente. Hai voglia a dirmi la Mary - Mary è una collega -. Dopo i cinquanta, o bevi, o diventi un vegetale. Lei , però, ci stava attenta . Non beveva in classe. lo invece. Una sera qualcosa mi ha spinta a cominciare. Da allora non ho· fatto altro. Finché non è successo a scuola. E mi hanno cacciata. Che mi abbiano cacciata, non mi importa. Non mi piaceva la scuola. Mi faceva schifo. Che tristezza (squallore). Fuori pioggia e vento.

Dentro la luce accesa. Una plafoniera gialla, orribile. E gli stronzetti che se ne fregano e ti prendono in giro. Ho cominciato le lezioni private. Facevo soldi. Più di prima. Poi c'è stato un problema di salute e sono dovuta entrare in ospedale per disintossicarmi. Un'avventura, hai voglia a dire. Ho abbandonato tutto, e mi sono chiusa nel mio guscio. Un vegetale. Dopo i cinquanta, un vegetale. Quali cinquanta .. . Quand'è che non sono stata un vegetale? Anche quando era vivo Christakis. Il mio povero Christakis. Sì, era comunista, ma era anche sfacciato. Prima di tutto, era bello. Molto bello. Ghiannakis non gli somiglia per niente. E poi era più giovane di me. Di almeno sei anni ... «Mi piaci - mi diceva - perché fai figura , sei istruita, di un'altra classe sociale .. .». Mio padre, medico condotto. Suo padre, operaio e giustiziato nella guerra civile. «Anche il miglior comunista - mi diceva - ha una propensione verso il male ... ». Diceva. E rideva soddisfatto. «Mi scopo una borghese e me la godo .. . ». E spegneva la luce. «Quando andiamo a Mosca ti compro una pelliccia ed un cappello. Come Natasha Filipovna». Natasha Filipovna gliel'aveva fatta conoscere io. Lui , invece, mi insegnava il russo. «Mi eccita la tua bocca quando pronunci questa lingua. Daragoim, oimuz hatite livi sokoladij tort», mi diceva e facevamo sesso: «Come mi eccita ... ». Cantavamo insieme: «Su lottiam l'ideale/ nostro alfine sarà ... ». (Canta tutta l'Internazionale) La dicevamo insieme anche in russo. «Mi ecciti , mi ecciti, tesoro ... ».

«Su lottiam l'ideale/nostro alfine sarà ... ». (Continua in russo) Era uno sfacciato. Ma è morto. Nemmeno quaranta. (Sull'aria dell'Internazionale) Lala lala lala !alala lalala la la la, lala lalalallalalala ... Un vegetale. Guardavo la televisione. Vedevo qualche amico, ex colleghi, qualche volta andavo a teatro. Compravo qualcosa per la casa. Nuove tende colorate. Ogni tanto cucinavo per Ghiannakis. Ma mi annoiavo. Mi annoiavo tanto. E di Christakis mi veniva sempre in mente quella frase: la propensione verso il male ... Era diventata un'ossessione, chissà a che si riferiva con quella frase? Non certo alle porcherie che mi diceva. E allora a cosa? È stata quella propensione verso il male a spingermi a diventare una fuorilegge. A lasciarmi andare, quantomeno. Non è stata la povertà - Quale povertà? - Chi dice che è stata colpa della povertà? - Soldi ne avevo, non molti , ma un po' di soldi ce li avevo. Non è stata colpa della società. Quale società? Esiste una società? Dov'è, fatemela vedere? È colpa di qualcosa dentro. Qualcosa dentro di noi. Così mi sembra ... qualcosa dentro di me mi ha spinta a diventare ... Tutto è iniziato un giorno quando è venuto mio figlio . Un ragazzo sfortunato. Ecco cos'è. È nato così. Sfortunato. Trent'anni, il niente. Brutto, senza ragazza , senza soldi , senza istruzione, senza niente. Un giorno viene e mi dice: «Mamma, ho conosciuto una russa». «Come, una russa?».


T ES T I «Una Russa della Russia - mi fa - dell'interno dell'ex-Unione Sovietica. È fuori che aspetta. Vorrei fartela conoscere». Lei entra. «Tania» dice lui. Tania era bella. Una vera bellezza. Non ho mai visto una bellezza così. «Ma' - mi fa Ghiannis - dobbiamo parlare seriamente. Tania canta. Ha una bella voce». «Bene, tesoro - gli dico - molto bene». Tania se ne stava in un angolo. Con gli occhi bassi, non osava guardare né a destra, né a sinistra. È così che il mio povero marito mi descriveva le Sovietiche. Belle e timide. Con la testa bassa. Si vergognano anche a guardarti. Grazie a Dio. Eccola qui. Ho trovato la donna che si può innamorare di lui, di Ghiannis. «Ma' dobbiamo parlare seriamente. Parleremo seriamente. Tania canta. Ha una bella voce». «Sì, tesoro, questo me l'hai già detto». «La farò cantare in un locale e faremo soldi! Faremo soldi! Finalmente! Un sacco di soldi!». «Fa' ciò che vuoi, tesoro» gli faccio io. Da molto tempo ormai non lo contraddicevo più. «Ma voglio una cosa da te, ma' - mi dice - Ho un piano». «Quale piano, tesoro?». «Voglio che tu le insegni il francese! Puoi iniziare subito con il francese? Ho un piano, ti dico, un piano eccezionale. Non voglio che Tania ammuffisca in una balera di merda piena di cafoni e di delinquenti. Voglio metterla in un locale di classe e farla cantare in francese. È molto chic il francese - mi fa - Le troviamo un nome francese ... ». «Golette. - ho detto - Ti piace?». «Vediamo». «Il permesso ce l'ha? Il permesso di soggiorno? Ho sentito dire che quelli senza permesso vengono ricercati». «Non ti intromettere. Mette tutto a posto Nestor». «Ah , Nestor, va bene ... » E Tania si piazzò ben bene. lo cucinavo per lei. Le compravo i vestiti. I vestiti per il lavoro, glieli comprava Nestor. Sapeva lui cosa ci voleva. Un brutto ceffo, questo Nestor. Ma è strano. Con quell'aria mi dava sicurezza. «Ma' - dice un giorno Ghiannis - nel colpo c'è di mezzo anche Nestor». «Perché dici colpo?». «Perché è un colpo - mi dice - non lo capisci?». Lo capivo, e stranamente mi piaceva anche. (A voce bassa) Cosa abbiamo dentro. Che esseri che siamo! Cadiamo così facilmente. «Ma', faremo un sacco di soldi. - mi dice - L'hai vista Tania? Hai visto che occhi che ha? Imparerà a ballare, a cantare e canterà nei locali. Tu le insegnerai le vecchie canzoni. Fa chic. Le vecchie canzoni francesi». (Canta) Le plus beau de tous les tango du monde / est celui que je dance vos bras / jai connu d'autres tangos a la ronde / mais mon coeur n'oubliera pas celui la. Tania era bella. Si muoveva con grazia.

«Ma dove l'hai trovata, Ghiannis? La ami? Sei contento? Che pensi di fare?». «Tania era sulla strada, mamma. Cantava sui marciapiedi e gli davano soldi. Vuoi venire con me? - le dissi. - Ed è venuta». «Basta che sfondi. Così tu e Tania avrete tutto quello che volete. E io mi comprerò una Mercedes come quella di Poulandros». Mi piaceva Tania. Era dolce. Cantavamo. Stavamo bene. Bei giorni. Forse i migliori di cui mi ricordi. (Canta con nostalgia) Quand il me prend dans ses bras I qu'il me parie tout bas I je vois la vie en rose / Il me dit des mots d'amour / des mots de tous les jours / pourtant c'est quelques

chose ... Bei tempi! Belli. E un po' pericolosi. Ghiannis non dormiva a casa. Meglio. Mi vergogno un po' a dirlo, ma stavamo meglio da sole. Con Ghiannis io ho sempre paura. Non solo perché si mette facilmente nei guai, ma perché è stupido. Ingenuo. La chiamavo Golette et goutelette. «Sai cosa vuol dire goutelette? - le dicevo - Gocciolina». Una piccola goccia di pioggia. Stupido ed ingenuo. Per questo mi fidavo di Nestor. Pensavo che con Nestor ce l'avrebbe fatta. Qualunque cosa fosse successa.

LA VERA VITA di Sofia Apostòlou parola di Loula Anagnostaki è apparentemente piana, semplice, i 1 suo discorso poetico si nasconde nel segreto del la quotidianità: i 1 personaggio parla tra sé e sé, quasi sminuendosi, negando universalità alla propria storia, e rivendicandone la assoluta marginalità. Così anche ne Il cielo tutto rosso, prodotto ad Atene nel 1998, e a Intercity nel 2002, in una splendida interpretazione di Marisa Fabbri, capace di tratteggiare con pochi esilaranti tratti i 1 personaggio di «Sofia Apostòlou. Di Joannis e Evghenìa Karabètzu./Professoressa di francese nella scuola pubblica. Laureata in filologia./[ ... ] Ex professoressa./Radiata per alcolismo./[ ... ] Bevevo anche in classe./[ ... ] Com'è che ho cominciato? Io. Che non bevevo una goccia./Anche quando il povero Christakis, che aveva cominciato a bere prima di morire, visto che era comunista e [ ... ] diceva che vedeva il crollo dei paesi socialisti. Anche allora l'alcool mi lasciava indifferente./Hai voglia a dirmi la Mary - Mary è una collega - Dopo i cinquanta, o bevi, o di venti un vegetale./ [ ... J Una sera qual cosa mi ha spinta a cominciare. Da allora non ho fatto altro./Finché non è successo a scuola. E mi hanno cacciata./Che mi abbiano cacciata, non mi importa. Non mi piaceva la scuola./Mi faceva schifo». La professoressa borghese, destinata dopo la morte del marito Christakis, comunista e sognatore, ad una vedovanza impegnata e senza scosse e alla cura del figlio «brutto e idiota», si ritrova d'un tratto spinta altrove: alcoolizzata, a spiare oltre la finestra il rosso di un cielo che non promette l'avvenire, ma la ripetizione di un presente speso tra albanesi e tossici, a far la spola con il carcere dove il figlio è rinchiuso. Che non si pensi però al monologare stanco e triste di una donna di mezza età: Sofia Apostòlou parla di questa sua nuova vita quasi fosse l'unica vera vita possibile, con fierezza, con quel 1 'innocenza con cui la grande drammaturga greca tratteggia caratteri, e racconta, grazie ad allusioni impercettibi 1 i e delicato senso allegorico, mutamenti e umori della società contemporanea . Come aveva in fondo già fatto ne La parata, prodotta a Intercity 2003 con la regia di Serena Mannelli: storia di due adolescenti abbandonati o barricati nella loro casa durante un'orrenda parata militare, che sfila interminabile, apparentemente lontana dai loro problemi. Barbara Nativi

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T ES T Quelle belle vecchie canzoni francesi.

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L'AUTRICE

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Ma una mattina mi sono sveLOULA ANAGNOSTAKI nasce a Salonicco, gliata e Tania non c'era. dove studia legge all'Università. Nel E i suoi abiti nemmeno. 1965 Karolos Koun mette in scena al Ghiannis è tornato e non l'ha Teatro dell'Arte i suoi atti unici I diatrovata. Sembrava pazzo. Si ni chterefsi (Il pernottamento), I poli picchiava. (La città), I parelasi (La parata); nel «Se n'è andata! L'abbiamo 1967 il Teatro Nazionale produce I sinapersa! Non ti avevo detto nastrofì (La compagnia), mentre nel 1972 tutto. Tania era sfruttata da Koun dirige Antonio i to minima (Antonio due rumeni. E noi, Nestor ed o il messaggio). Il Teatro Nazionale ha io, gliel'abbiamo tolta. presentato molte sue opere come: I ni ki Credevamo che non l'avreb(La vittoria), I casseta (La cassetta), O bero mai trovata. Credevo ihos tau oplou (Il suono del fucile), To che non sarebbe tornata da taxi di makria (Il viaggio lontano). Nel 1990 la compagnia Jennis loro. lo l'amavo, ma', mi fidaKaresi-Kosta Kazakou produce Diamantia ke blues (Diamanti e blues) vo di lei. Se n'è andata». diretto da Vassilis Papavassiliou. Inoltre Vera Zavitsianou inter«Anch'io, tesoro, le volevo preta il monologo O ouranos katakokkinos (Il cielo tutto rosso) al bene. Perché non l'hai sposaTeatro Nazionale, diretto da Victora Arditi. Nella stagione 2002-2003 ta? Potevate fare tanti figli e Lefteris Voghiazis dirige nel suo teatro la nuova opera di Loula nessuno ti avrebbe potuto Anagnostaki S'esas pou m'akoute (A voi che mi sentite). Nel frattemdire nulla ... ». po in Italia Il cielo tutto rosso viene interpretato magistralmente «Ma', è una mafia, non lo a Intercity Athina 2002 da Marisa Fabbri, e l'anno successivo La capisci?». parata debutta con grande successo a Intercity Athina 2003 per la «La cercheremo. Ci rivolgereregia di Serena Mannelli. Sue opere sono state messe in scena in mo alla polizia». Francia, Inghilterra, Italia, Polonia, Cipro o trasmesse dalla Bbc, Lo consolavo come quando dalla Raie dalla televisione cipriota. • era bambino, per aiutarlo a _____________________ J L ___ ,... ___ _ superare il colpo. «Sei impazzita, ma'. È una mafia, ti dico. Sono assassini». Siete la vergogna del vostro paese, della vostra E davanti, le mura posteriori del carcere. «Se, però, la sposavi ... avrebbe preso il permesideologia, la gente sente dire rumeni e sputa». Sono serena. so di soggiorno, non avrebbero osato ... ». Allora uno dei due si è avvicinato, mi ha messo Madre di un detenuto. Dieci anni per niente. Tutto «Smettila di dirlo! Come facevo a sposarla! Con il una mano intorno alla vita e ha detto: «Vous vouper niente: «Dobbiamo avere pazienza, Ghiannis. lez dancer avec moi?». criptorchidismo?». - gli dico nel parlatorio - Ricorreremo in appello. «Il criptorchidismo, che vuoi che sia? Non è nienE ho capito che era il rumeno di Tania. Di Tania Venderemo l'appartamento di Pangkrati e quando te. Si cura». che ora di certo si prendeva gioco di noi e delle esci ti comprerò una Mercedes più grande di «Sì! Ora che si è aggravato e ho trent'anni. E mie lezioni di francese. quella di Poulandrou». quello stronzo di mio padre che non vedeva l'ora «Vous voulez dancer». Mi siedo e penso alla mia vita, ai miei genitori. Ai di portarmi a farmi curare in Bulgaria. Mi hanno «Lascia stare la vecchia». miei vecchi conoscenti, a tutti quelli che ho visto massacrato, quei bastardi! All'anima dei mediVecchia. Quella bestia di un Greco. passare per caso, e non c'è una, una sola vita di ci! ... ». Il mio Ghiannis l'ho rivisto mesi dopo, in manette. cui io sia invidiosa. «Ascolta, ma' il discorso ora non è questo. Il Gli avevano tagliato i capelli. I suoi bei capelli Anzi, sono fiera della mia vita. lo, la professoresdiscorso è che ora siamo tutti in pericolo ... ». lunghi. L'unica cosa bella che ha preso da suo sa di francese che mio padre aveva destinato alla «E Nestor? Dov'è finito Nestor?». padre. Con che diritto gli hanno tagliato i capelli? carriera universitaria, io non voglio essere come «Nestor si nasconde. Devo nascondermi anch'io. Era ancora sotto processo. E un tipo in abiti civili loro. Tu chiuditi a chiave e non uscire per qualche quando salivano in macchina ha alzato una Una volta Ghiannakis mi ha detto: giorno». manaccia e gli ha spinto la testa dentro. Mi ha «Mamma, visto come va la società oggi, o stai tra «Fino a questo punto! Ghiannakis, per una dato noia. Non so perché. Più dei dieci anni che i potenti, o diventi un fuorilegge. Non c'è una via donna? Non sarai coinvolto in qualche storia di si è beccato - dieci lui e dieci Nestoras - più di di mezzo. Ci sono solo quelli che si illudono di droga?». tutto è stato quel gesto ... paf, sulla testa - che mi essere qualcuno e non sono nulla». «Mai, ma'. Lo sai. Non ci ho mai avuto niente a ha dato noia ... I vegetali. che fare con la droga io. Può darsi che quelli mi Come diceva Mary. ci tirino dentro. Ma voglio che tu lo sappia, ma', io Ecco. lo. E io. con quella non c'entro, sono pulito. Pulito!». Oggi. lo non voglio essere una via di mezzo! E se n'è andato via come un pazzo. Sofia Apostòlu , residente in Via Kanari 4, a Nulla di ciò che loro hanno mi emoziona. Sono La notte stessa mi hanno forzato la porta, e mi Korydallò. Di fronte al carcere omonimo. Mi sono tutti morti. sono entrate in casa tre bestie. Mi hanno smontatrasferita per stare più vicina a mio figlio. Morti. to l'appartamento. «Che cercate? - gridavo Ho passato quasi tutto il giorno a preparare i suoi Ecco cosa sono. Chiamo la polizia!». piatti preferiti. Con i loro mariti. Le loro mogli, le loro automobili. (Sottovoce) Quale polizia? Niente polizia, niente Sesto piano. I loro figli nelle loro belle scuole e i loro stupidi vicini. Che mondo ... Fa notte. week-end nelle isole. I loro bagni scintillanti, le «Non gridare, - mi fa uno in greco - quei due Una camera e una cucina, ma la terrazza è tutta loro cucine di lusso. sono rumeni, non scherzano». mia. lo mi sento diversa. «Rumeni siete? Rumeni? - gli gridai - Vergogna! Da lì posso vedere il cielo - il sole tutto rosso. Diversa. Due volte al mese vado in carcere a tro-

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T ES TI r--------------~--~----~--------, I TRADUTTORI

DIMITRI MILOPULOS, d'origine greca abita da vent'anni in Italia, si è formato come scenografo all'Accademia delle belle Arti di Firenze, per poi fondare il Teatro della Limonaia ed il Festival Intercity con Barbara Nativi e Silvano Panichi. Ha lavorato con registi provenienti da tutto il mondo: le canadesi Alice Ronfard e Paula de Vasconcelos (su due pièces di Normand Chaurette), lo svedese Rickard Gunther (su Sakrament, da Lars Noren), gli inglesi Roxana Si lbert (Attentati alla vita di lei di Martin Crimp) e Dominic Droomgoole (La purificazione di Helen Edmundson), il russo Garij Cernjachovskij (Le stelle del mattino di Alexander Galin) i tedeschi Ingo Kerkhof (Mr. Kolpert di David Gieselemann) e Stefan Otteni (Parassiti di Marius von Mayenburg). Con Barbara Nativi ha progettato per Laboratorio Nove Blasted e Crave di Sarah Kane, Le cognate di Michel Tremblay e moltissimi lavori di creazione. Per Intercity Athina 2002 e 2003 ha selezionato i testi e tradotto le opere di Anagnostaki, Dimitriadis, Kambanellis.

Questo è il mio ottobre, Christakis, di Ghiannis e mio. lo non mi adatto. lo non sono una via di mezzo. Non sono l'uomo-massa che porta l'acqua al mulino dei potenti e crede di essere qualcuno, e non è nulla. Non ho neanche catene da spezzare! Mai avuto catene io! lo. Faccio la mia rivoluzione! (Canta, la seconda parte a voce più alta) Su lottiam l'ideale / nostro alfine sarà / l'internazionale / futura umanità (Improvvisamente sottovoce): «C'est la Putte finale». (Eccetera)

FINE

BARBARA NATIVI, attrice, drammaturga e regista, è direttrice artistica del Teatro del la Limonaia e del Festival Intercity di Sesto Fiorentino. Parla cinque lingue e alterna lavori di creazione a un forte interesse alla drammaturgia internazionale. Ha di retto, in prima nazionale o assoluta, i suoi testi e opere di drammaturgia italiana (Massimo Bavastro, Silvia Calamai, Mario Luzi, Dacia Maraini, Fauslo Paravidino), inglese (Martin Crimp, Sarah Kane, Terry Johnson, Mark Ravenhill, Philip Ridley), spagnola (Sergi Belbel, Rodrigo Garcia), tedesca (Oliver Bukowski), francese (Bernard-Marie Kol tès, Jean-Luc Lagarce), quebecchese (Michel Mare Bouchard, Normand Chaurette, René Daniel Dubois, Michel Tremblay), russa (Nina Sadur), svedese (Magnus Nillson), norvegese (Jon Fosse), greca (Dimitris Dimitriadis, Sofia Dionisopoulou, Jacovos Kambanel l is). Ha tradotto oltre quaranta testi teatrali dall'inglese, francese, spagnolo, e, con Dimitri Milopulos, dal greco. •

L _______________________________ J vare il mio figlio brutto e idiota. In mezzo agli albanesi e ai tossici. Se le cose non fossero andate così ... A me possono andare solo così. lo. lo non mi adatto.

Lo senti, Christakis - tu che non senti. Avresti dovuto essere qui oggi. lo. lo sono qui. Qui. Niente viaggio a Mosca con l'Aereoflot. Qui non siamo nel '17.

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Le traduzioni dei testi di Loula Anagnostaki e Yorgos Dialegmenos sono state I rilette da Anna Papastavrou, I mentre quelli di Dimi tris I Dimi triadis da Leonidas Karatzas.

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di Yorgos Dialegmenos traduzione di Antonietta Varvaro

P ER I L REGI S TA - L'opera deve avere un'atmosfera onirica ed essere presentata come un incubo. Non l'ho affatto percepita in maniera realistica. Il luogo in cui si muovono i personaggi deve essere, quanto più è possibile, astratto e in una monocromia scenica, mentre gli indumenti e i pochi oggetti devono essere coloratissimi. Credo che così, unitamente alla adeguata illuminazione e alla musica che propongo, otterremo il risultato de/l'atmosfera che ho immaginato.

Pri.ma Parte Scena: periodo natalizio; per tutto il tempo e prima che si spengano le luci della piazza si deve sentire un coro di bambini che cantano musiche natalizie provenire dai grandi magazzini accanto, inframmezzato da piccoli spot pubblicitari. «Feta danese» «Grandi Magazzini dei fratelli Kakaunaki» «Troverete una gran varietà di lenzuola matrimoniali, federe di cotone italiano, corredi, e anche porcellane, lampadari e altro ancora». Il volume della musica si alza e si abbassa a secondo dei casi. «Al secondo piano c'è una sorpresa per i nostri piccoli amici, Babbo Natale vi invita a farvi una fotografia insieme a lui» <<Grandi magazzini dei fratelli Kakaunaki» «E non dimenticatevi la grande lotteria dell'arcivescovado di Atene, una BMW 745». Canzone di Pèrry Como. Aumenta un po' il volume. Prima che si spengano le luci della piazza accade qualcosa di improwiso e violento. Arghiris insegue una ragazza, la afferra, le tappa la bocca, lei gli sfugge, lui tenta di trascinarla lontano dalla gente, lei gli sfugge attraversando la scena nei tre lati finché arriva sul proscenio. Prima che finisca di compiere l'attraversamento della scena le luci si concentrano su di loro e costringono Arghiris a mollare la ragazza e a fuggire in direzione opposta. Occhio di bue su Arghiris.

Arghiris - Non conoscevo affatto Elena Dimopùlu e non ci eravamo mai incontrati, neanche una volta, mai. La vidi uscire dal cinema "Charà"1 e mi misi a seguirla, sincronizzai il mio passo con il suo, in modo da non essere sentito e quando le fui esattamente dietro, ma un po' di lato, sentii la necessità ... come dire, una forza ... non so, guidare il coltello che avevo con me all'altezza della sua spalla. Complice fu anche il buio, feci un respiro profondo, strinsi con forza il manico in pugno e sferrai nell'aria un colpo tracciando una linea ferma e violenta che venne a ricadere sul suo collo. Sentivo la sua voce soffocare nel sangue e le mie dita rimanerne invischiate ... Stava piegata in due tenendomi per la manica. Al terzo giorno lessi che la Dimopùlu era fuori pericolo. Scena di un bordello. Tutto è illuminato da una luce rossa; una radiolina, sempre la stessa, adesso è sul piccolo comodino di Rita, musica classica. Fuori pioviggina, sentiamo un campanello e Rita, intorno ai ventisei anni, si acconcia per uscire, è mezzanotte passata. Il campanello suona di nuovo. Rita -Abbiamo già chiuso, che vieni a fare a quest'o-

PERSONAGGI Mitsos Glika Arghi.ris Anna 1° agente speciale di polizia 2° agente speciale di polizia Rita

ra? Ripassa domani, ho un appuntamento, ho cl 1iuso ... Arghiris è mezzo dentro e mezzo fuori, trattenut( 1 dalla catenella della porta. Arghiris - Domani non ci sono. Rita - E io che ci posso fare, tu hai fatto tardi, ornai abbiamo chiuso i battenti. Arghiris - Avanti, dai, aprimi, che ce la spassian 10 due minuti. Rita - Non fare il testone e vieni domani ... (Tent,1di chiudere la porta) Arghiris -Aspetta, ciccia mia, perché fai così ... Rita - Domani mi farò bella per te ... Arghiris - Ma va bene, vai bene anche così, sie :e tutte belle a luci spente ... Rita -Ah, che testone che sei, ti ho detto ... (Lo ;;ene sempre fuori della porta) Arghiris - Avanti, dai, il mondo non va in malora per dieci minuti, una volta che sono qua, dai apri, le, ·a questa cosa e apri, levala da qui ... Rita - Ehi! Che fai? Mi rompi la porta così! Aah! Non spingere, mi senti? Ma che sei un violento? Non ne sopporto io di prepotenze, ok amico? ... Ho dette abbiamo chiuso! Non ti piace che ti sba~ ~ la verità in faccia? Arghiris - (Strattona la porta per entran ) E siccome l'hai detto, per questo non apri? Si deve fare come dici tu? L'altra volta, che mi trovavo a passare, avevi le luci ... Rita - Ah! Ma se ti dico che ho un appur tamento, fuori, in strada, c'è una persona (he ho piantato ... Arghiris - Eh, non casca il mondo se tardi un pochino, che aspetti, capita a tutti prima o poi di essere piantati. .. Rita - Guarda che non mi sconfinferi, bellezza, come te lo devo dire, smamma ... ho già chiuso la cassa, ho chiuso, come te lo devo dire per fartelo ficcare in testa? è la prima volta che vieni? (Gli apre, entra dentro un po' bagnato) Arghiris - Su raccomandazione, sì, è la prima


T ES T I volta ... Rita - E te lo sei ricordato giusto ora di venire, amore mio? ... (Guarda l'orologio al polso, la radio manda in onda una musica dolce e la voce calda e dolce di un annunciatore) Arghiris - Sono un cliente ... e il cliente ha ... Rita - ...sempre ragione, va bene non c'è dubbio, ma domani ti tratterò più ... vieni di mattina, ci prendiamo insieme un caffè ... (Arghiris si siede e sfoglia una rivista) Ho chiuso ti ho detto! Smettila adesso, alzati da lì, non ti sedere, avanti su ... (Lo tira per un braccio per farlo alzare). Alzati ti dico, mi fai. .. mi fai pena ... ma guarda un po', guardalo che s'è seduto ... Alzati, bello mio, perché mi ti sei messo lì? Arghiris - E va bene, me ne vado, smettila però, e non mi strappare la camicia ... ! (Nervoso ma contenuto) Rita - Non capisci, brav'uomo, eppure non parlo arabo ... vattene, avanti, su ... (Rita gli prende con forza la radiolina dalle mam) Lasciala stare questa, ti dispiace? Arghiris - Non tirare così, perché ... Rita - Eh avanti dunque!. .. smamma ... non mi va per niente di spogliarmi, quando Rita si mette la culatte, il locale ha chiuso ... che tormento!. .. Arghiris - A quest'ora avevamo già finito ... Rita - Ah, che scocciatura!. .. vuoi vedere che adesso è colpa mia? Che, l'ho messo in croce io a Gesù Cristo? Arghiris - Ti dispiace, bimba mia, mettermi a disposizione ... sono veloce, manco te ne accorgi e ho tutto finito. Rita - Che ci posso fare io se sei arrapato, va' da Flora, lei lavora fino .. . si sta costruendo una ... una casa a Kinetta, sta mettendo i mattoni al camino, la vuole finire, dille ... da parte di Rita, dille ... Arghiris - A me mi piaci tu, come la mettiamo? Rita - Lasciami ora e vieni domani, che ci divertiamo un casino! Ss!! Che stronza sono stata ad aprirti quando ti ho visto ... (Guarda l'orologio) Merda! Guarda, l'appuntamento l'ho perso, e stasera mi aspettano altre rogne, vattene, bello mio, che pazzo sei!. .. Non ce l'hai l'amichetta? Vai in bianco? (Ride, Arghiris l'afferra, lei tenta di sfuggirg/J) Oh, poverino, ma che vuoi che ce le suoniamo di santa ragione? Lascia, dai, lasciami, metti giù la mano, porca Mado ... Non mi stringere, stronzo, che mi fai i lividi!. .. (Arghiris le afferra la mano da dietro e le mostra tre biglietti da mille) Palle! Ficcatele dove sai. .. Arghiris - Vieni qua, fermati e beccati questi quattrini, è tutto così semplice .. . Rita - (Si massaggia la mano) Ecco, ora mi vede Asimakis e mi chiede chi te lo ha fatto, ora questo si gonfia, guarda qui. .. Arghiris - Ok, allora se li prende Flora che ne fa porte e finestre! (Glieli mostra, lei li prende) Rita - Al diavolo stronzo, cerchiamo di finire ... Ce ne vogliono altre mille ... Vuotati le tasche ... Arghiris - Ma bene, vedo che andate d'accordo tu e l'inflazione!. .. (Tira fuori i soldi, le dà altre mille dracme) Rita - Patti chiari, faremo in quattro e quattr'otto ti dico, tutto quanto ... non mi scombino neanche i capelli. .. (Guarda l'orologio, la pioggia aumenta) Merda! L'appuntamento l'ho perso, faremo all'impiedi, ti dico, non ce l'ha la gnocca il mio focoso ... (Risate di Rita) Signor Pugnetta .. . (Molte risate di scherno)

Signor Pugnetta ... (Lo porta con sé nella stanza da letto, sentiamo le sue risate forti che improwisamente tacciono, il telefono squilla ripetutamente, da dentro arriva confusione, urla soffocate di entrambi, l'immagine che dentro stanno lottando, l'accoltella) No, no, no .. . che fai? No, lascia, fermati, no ... Ah!. .. oh .. . ah. Rita gli sfugge, viene sulla scena, nuda e insanguinata, scompigliata, sbrindellata, dietro di lei viene Arghiris, l'accoltella ancora, il telefono squilla forte, Rita cade giù in mezzo al sangue, scappa via, mentre la radio dà musica classica, le luci si spengono lentamente. Arghiris - (A casa sua) Mi chiamo Arghiris Baniàs .. . sono nato ... sono cresciuto ... mio padre si chiama Mitsos e mia madre ... Katìna ... Caterina ... questo l'ho saputo quando sono uscito dall'istituto ... che mio padre si chiama Mitsos e mia madre ... segni particolari viso ovale e carnagione ... mi chiamo Arghiris Baniàs ... sono io quello! Arghiris Baniàs, figlio di Mitsos, che il quattro gennaio del '96 ha trapassato con un coltello la prostituta dalle iniziali R.B., di ventisei anni. L'ho colpita molte volte al fianco, così hanno detto gli esperti. .. lo colpivo solamente ... non so dove .. . per la polizia io sarei bruno, basso e bruno, con piccoli occhi azzurri. Non sospettano che quello che ha ferito la prostituta, quello sono io! Rita Basàki, dopo lo shock, non ricordava niente. Arghiris se ne va lentamente, mentre viene illuminata la stanza di Mitsos, adesso al centro della scena vediamo Mitsos, di circa 75 anni e Glika, di circa 74, sono distesi sotto molte coperte. Mitsos è piccoletto con una testa tonda, taglio a spazzola, pochi capelli bianchi e pizzetto sporco, porta un orologio a ciascun polso, ha passato la vita fra i rifiuti e risente del/'assideramento alle gambe patito al tempo della guerra in Albania. Glika conobbe Mitsos in mezzo ai rifiuti e decise di continuare la sua vita con lui. Mentre la luce aumenta, il giorno comincia a spuntare, un merlo indiano fischia una, due, tre volte. Glika-(Sotto le coperte) Ecco qui. Abbiamo finito di dormire! Mitsos - Cazzo stai zitto! (Tossisce molto) Fottiti! (Le tira una scarpa, si alza lentamente, con la sua lampada tascabile quasi esaurita si awicina al merlo indiano, gli toglie i giornali da dosso, gli punta la luce sul volto.) Mitsos, di' Mitsos, amico mio!... (Va verso il tavolo ad accendere la luce, vediamo uno scaldabagno, il tavolo, il letto, una stufa, una culla, stampelle, una vecchia sedia a sdraio, fuori piove a dirotto, prova ad accendere la lampada) Siamo fatti vecchi mio caro! Siamo fatti vecchi. .. (Alla lampada) che pàlle!. ..Glika!. .. (Tossisce) Glika!. .. di nuovo si è spenta la lampada ... Glika!.. (Tossisce violentemente, soffoca) Glika - Lascia perdere Mitsuccio, e vieni qui sotto al caldo con me!!! Mitsos - Si sta facendo giorno, alzati. .. avanti. .. incomincia già ad esserci traffico, su alzati, ne abbiamo di strada da fare (Batte sulla fisarmonica sul tavolo) Questa la sentirai cantare sino a stasera, questa qui. .. non appena torniamo ... tienilo a mente! Fra due giorni usciamo. (Tossisce) ... Domenica non la mettere in conto ... quello che c'è da fare, lo faremo oggi e domani! (Guarda se la lampada ha petrolio). Glika!. .. siamo delle pappa molli eh? ... Glika!. .. ti alzi una buona volta o mi fai. .. ? ... Su, alzati, ti dico ... dico s'è fatto giorno, la notte è finita ... vedi dunque ... ma che

siete allora voi donne? non vi si deve allentare la corda, sennò ... Avanti, datti una mossa, su (Tossisce) . Avanti Glika, ma con chi credi di stare parlando? .. . bah ... con tuo padre? Glika -Ah, oggi non è cosa, guarda un po', regge ancora questa? (Intendendo la stufa) Mitsos - Il tempo è messo all'acqua, assai. .. (Tossisce alla finestra) piove, piove ... Dobbiamo andare per la lettera. (Tossisce) Su, basta sognare, fine!. .. Glika - Ho i nervi a pezzi. Mitsos - ... per farcela scrivere ... noi ora ... questo quartiere qui, del centro, dove stiamo, non si chiama Exàrchia? Glika - Vieni, tirati su ... ci si è attaccata la pioggia alle ossa! Mitsos - (Vicino la stufa) Ancora dura, come sei andata a scovarla, in queste cose solo tu ci puoi. .. ti siedi qui davanti e guardi la piazza, i tuoi occhi guardano dappertutto e vedono quello che vogliono e... centro!. e con un solo movimento ... oplà! «Papà, devi andare via da qui, da questa baraccopoli di Pèrama, basta con la collina», ecco signor nostro, adesso siamo riusciti a scendere al centro della città (Sorride) . Ah, se Perama non fosse stata in salita, Glika, lì sulla collina ... in discesa te ne scivoli che è un piacere ... tutto un'altra cosa ... vieni giù da solo ... eh, ma si sfregherà gli occhi dallo stupore , quando ... una casa come si deve e non una baracca, e il coso .. . lì fuori. .. è un gabinetto lo sai? ... Ci ho messo il lucchetto, così quando vuoi, puoi stare sola ... (Getta una scarpa nella stufa), mangiatela, è tua! Glika - Lascia stare e vieni a ficcarti qui dentro!!! (Tossisce) Avanti, dico! Mitsos - Perderà la testa quando verrà, gli dobbiamo scrivere di indossare l'uniforme, gli starà a pennello! Glika - Eh, lui per vestiti. .. (Tossisce, fuma una sigaretta) Mitsos - "Che farai da grande?" "Spaccherò il mondo, papà, e me ne andrò in città!" (Guarda la stufa) Amore mio, ti sei spenta? Avanti Glika, smettila col letto adesso! (Piccola pausa) Gli prenderà un colpo a tutti, quando si farà vivo. Glika - Buttaci il sacchetto di plastica, che fa una bella fiammata. Merlo indiano - Paolo! Mitsos - Appena viene da queste parti, tutti ci terranno in altra considerazione ... Non sanno che studia per diventare poliziotto e cose simili. .. studi e chissà cos'altro ancora ... Glika - Finalmente le leverà lui le spranghe alla finestra ... Mitsos - Così si vedrà un po' di verde anche da dentro! (/mprowisamente tira via una scarpa) Vita da vagabondi a te ci penso io ... (Va, prende da un angolo una trappola per topi, la mette sul tavolo, mastica del pane e lo mette nell'esca ) Beh, ti ha inghiottito il buio amico mio? (Chiama il gatto) Faruk! Faruk! Glika ... Glika - Lascia stare, tesoro mio, alla fine sei riuscito a farlo arrabbiare .. . (Mitsos colloca la trappola e inizia ad aggiustare la fisarmonica) Lascia perdere ... Mitsos - Fai sempre così, quando mi metto ad aggiustare qualche cosa ... (Alla vite) Qua tu!. .. di nuovo il topo ... (Borbotta fra sé e sé) Glika - Se funzionava, mica la buttavano via? Mitsos - Cos'hai? ti girano perché ci perdo il mio

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T ES T I r-------

L'AUTORE

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YORGOS DIALEGMENOS nasce nel 1940 da

geni tori ignoti, passa l'infanzia all'Asilo Comunale per bambini orfani di Atene. Adottato da Katerina, vedova di Konstantinos Dialegmenos, nel 1947, trascorre gli anni tra Votanikos e Metaxourgio, quartieri di Atene. Nel 1947 va a scuola e lì inizia a odiare gli insegnanti. Cambierà dieci scuole, tra il 1948 e il 1960, fino a quando questa "epoca maledetta" finirà. Nel 1960 comincia a frequentare la Scuola di Arte Drammatica del Teatro d'Arte di Karolos Koun. Nel 1963 viene cacciato "a causa del suo carattere". Presta servizio militare in Marina, dove impara a uccidere il nemico. Va all'avventura senza uno scopo preciso. Più tardi, comprenderà il senso del suo vagabondare. Scrive la sua prima pièce Abbiamo perso la zia. Stop sotto l'incoraggiamento del la sua futura moglie, Sophia, che sposerà nel 1972. Scrive Madre, mamma (1974), Ti bacio sul muso (1984), Non ascoltare la pioggia (1986), A causa della tua gola (1992), La notte dell'hibou (1998). Tutte le sue pièces sono state rappresentate nei teatri greci, riscuotendo grande successo. Dialegmenos, recita, in questi anni, a teatro e al cinema, in ruoli da protagonista. Attualmente si occupa del la sua tomba di famiglia, nel la piccola isola di Aguistri, poiché vuole averne il controllo completo dal punto di vista estetico e per evitare l'interramento a spese dello Stato. • .J L tempo? Glika - Buttaci qualche pezzo dentro e vieni a sdraiarti, non ti sei stufato? Mitsos - Con questo lavoro qui ci puoi riempire cinque bocche ... ti ci puoi ingozzare ... e domani ci facciamo una grande abbuffata ... (Gesticola con le dita) Se gli affari cominciano a girare ... eh, ce ne vuole per riempirci le tasche! ... svegliarci ricchi improwisamente, di colpo! Un niente è la vita, cara mia, è l'aria che riesci a rubare ... e mentre nel mio cervello ci pensavo, pensavo di chiederti che ne pensi. Glika - È una settimana che ti ci scervelli di sopra. Mitsos - Faruk ... ps ps ... Faruk... non mi hai permesso di tagliargli le palle, l'avrei fatto io ... signora mia ... (Prova la fisarmonica) Glika - Al diavolo ... i miei nervi! Mitsos - Usciamo noi due soli .. . va bene? Quello che becchiamo, entra nelle nostre tasche ... (Ricorda) L'ho sognato sai? Che andavamo noi soli. .. che raccoglievamo soldi ... Glika - Soli? Come?! Prima lo stuzzichi, e poi. .. Mitsos - Non abbiamo bisogno di comandanti. .. Una cosa è dividere per due e una cosa è dividere per uno, appena abbiamo un gruzzoletto lo versiamo in banca e lo prendiamo quando ne abbiamo bisogno, poco per volta, sai? perché puoi di colpo trovarti al verde. E appena viene l'estate andiamo a fare i bagni di sabbia ... (Batte sulla sua tasca) eh, ma io fin quando ce n'ho, ho le mani bucate, sai, perché ... Glika - Mettiamoci in conto pure i soldi della fascia per l'ernia. Mitsos - Stavolta è fatta, ci siamo, la fascia ... le misure. (Si tasta) Ogni tanto non so dove ho la testa, se tu

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non esistevi, io non ti trovavo ... Glika - lo ti ho trovato ... Mitsos - Con te è cambiata la mia malinconia! Glika - Hai ragione! ... Mitsos - (Mormorando e canticchiando) «Non lasciarmi mai più, sei grande grande grande, come te sei grande solamente tu» (Da Grande grande grande di Mina) ... A quest'ora non sarei niente, devo tutto a te che mi hai sistemato, io ho fiducia nelle donne, eh? ... Non che fossi uno zero da buttar via ... perché qui parliamo di un palazzo enorme ... ieri avrei dato i miei occhiali per niente ... Glika - Oh, un'occasione simile, da nessuna parte ... Mitsos - Non lo ... eccoli! ... (Si prova gli occhiali guardandosi in un piccolo specchio rotto che tira fuori dalla tasca) lo ci vedo, e l'altro è nel buio più totale, parliamo di caos, eh?! ... Fumé, ecco il loro valore, vedi il mondo con un altro occhio, io ti vedo, signore mio, e tu non mi vedi. .. (Tocca la roba bagnata sulla stufa) Glika - Non si sono asciugati? Mitsos - Li darò per... lì dove riparano vetri .. . Glika - Questi non darli via, ti vanno bene .. . Mitsos - Appena arriva il caldo, li metterai anche tu ogni tanto ... Glika - Ci vuole anche una borsa ... Mitsos - Te li metterai con quella verde ... che sanguisuga quel tipo, ma noi. .. di queste cose ce ne intendiamo, bello mio, è pane per i nostri denti, l'abbiamo capito il tuo giochetto ... Glika - Sono degli occhiali da vista molto originali .. . Mitsos - Basta sapersi muovere un pochino e guadagneremo facilmente biglietti da mille, ma fossero anche ottocento o settecento e rotti ... ma anche sei-

cento bastano ... Glika - Noi siamo capaci di fare lo shampoo persino ai serpenti! (Fuma) Mitsos - Mi ha messo la pulce nell'orecchio, «a quanto me li dai, capo? posso dare un'occhiata?», sulle prime non lo capisci che ... poi quando il sole spunta fuori dalle nuvole ... Glika - Pane non ne chiedono, la forma è... sono super. Mitsos - Una cannonata ... (Tasta la fisarmonica) Se non si aggiusta questa qua ... usciremo con l'armonica a bocca, va bene? Solo se non si sistema bene .... e non può ... Glika - Ma i tuoi polmoni non ce la fanno a soffiare ... Mitsos - lo, signora mia, quando ero giovane, ero molto ... me ne facevo sino a sette di scopate, io, i miei occhi erano coltelli a due lame, sai che dicevano in giro le pettegole sul piccolo Dimìtris? sapevo ... (Ricorda, cambia il suono della voce) Perché hai gli occhiuzzi a terra? ti sei pentita di quello che ti ho fatto? (Ride) Ho insegnato delle cose io, alle puttanelle, che ... la scopata awitata ... quando ero al .. . sai perché mi piaci, bellezza?! Mmm!! Perché somigli a... aveva qui una cosa ... come una pelliccetta di coniglio, qui davanti. .. io, il sottoscritto, sono arrivato fino a Kalamàta! Me la sono passata tutta a setaccio Kalamàta, che hai da guardare così? ... qui non stiamo dicendo balle ... persino di scampi s'è nutrita questa bocca ... è un pesce caro, non se ne sta fermo a farsi afferrare ... afferri? Glika - Va a finire che anneghiamo con tutta quest'acqua ... Mitsos - È un lavoro da certosino, lo scampo, mica è.... lo succhi e ti resta in bocca un .. . un giorno l'assaggerai anche tu. Se il brigadiere non mi mandava via ... non avevo, dice ... non avevo ... cultura turistica, dice ... (Tira fuori l'armonica a bocca awolta in una vecchia carta oleata) Ma che turismo! Andate affanculo! Glika - Affanculo, becchi e cornuti! Mitsos - Loro erano come me, solo che ... je parie français camme se nientanfusse2 mi hanno rubato pure le coperte, e li vedi i miei piedi come sono ... distrutti. .. «lascia stare vecchio, lascia stare!» A me? A me mi parla così 'sto figlio di puttana? ... questi piedi hanno scalato i monti d'Albania, dove ti hanno insegnato a trattare così la gente? Cazzo! ... Ancora adesso me lo sogno di camminare. Ho mangiato neve con succo d'amarena, io al. .. signor mio ... sei mesi sono stato senza togliermi gli scarponi e le calze, la carne mi si staccava tutta fradicia ... mica diciamo balle ... se non avessi fatto lo zoppo, Glika, sarei morto di fame, all'epoca la Croce Rossa distribuiva uva sultanina, io facevo da staffetta, mi capisci? (Particolarmente piano) Avevo un posto importante ... Glika - Siamo alle solite. Mitsos - Mi affidavano dei segreti! Ce l'hai qui, qui dietro alle ... labbra e non intendi fare ... ti basta aprire la bocca un pochino e ti sfuggono ... Glika - Ma Minàs dice che ... Mitsos - Dai retta a Minàs? Mandalo a farsi fottere Minàs .. . Glika - .. .nell'esercito ti avevano come ausiliare dice ... Mitsos - Merda e cornuto, al diavolo Minàs. Glika - ...scavavi delle fosse perché ci cacassero i soldati dentro.


T ES T I Mitsos - E tu ci credi? Mmm!!! (Si sente molto offeso e le va vicino) Ci credi, confessalo, ora ... adesso ... adesso ... dillo ora ... che mi dici che io .. . Glika - Lui lo dice. Mitsos - Che glielo hanno detto. Dice ... (Fa una smorfia per il piede che gli duole) Glika - La cancrena, povero Mitsos! ... Mitsos - Poi sono passato alle cucine, stavo in una tenda e sbucciavo patate tutto il giorno, entrava il furgone nella tenda e scaricava patate! .. . (Le mostra le man,) Per le patate sono così ... Glika - Te lo hanno fatto fare per non farti camminare. Mitsos - «Smetti lì, magari ci mandano qualche sussidio» ... Atene, ponte del monaco, tutto a piedi eh! Correvamo, correvamo, senza sapere dove diavolo si andava. Dove stavamo andando? Neanche lo sapevamo, "di qui" ci dicevano e andavamo di qui ... ci parlavano, sino in Corea3 ho combattuto per la patria, sono stato pagato, e allora? Come se Mitsos lasciava entrare i comunisti in patria! (Canta) «Gloria da noi alla madre Grecia ... Gloria si aspetta da noi» Vi siete comportati da vermi!!! Merlo indiano - Paolo ... Glika - Sempre la solita storia ... Mitsos - A quest'ora potevamo essere belli e sistemati. .. Sono stato sfortunato, lo ammetto, se me le tagliavano allora, a quest'ora sarei stato .. . avrei fatto la vita di un sultano ... Glika -Acqua passata ... Mitsos - Con la pensione di invalidità di guerra ... con ... non avrei sofferto ... con tutte le mie cose ... se me le avessero tagliate, qui, qui da qualche parte, saremmo stati. .. (Mostra in quale punto avrebbe preferito che lo avessero amputato) La nostra mala sorte vedi ... Glika - E se questo qui mandato da Fotis ti trova un buco in clinica? Mitsos - Figlia mia, io avevo uno lì al coso ... dell'artiglieria, ci potevano sistemare la cosa una meraviglia, due persone mi tenevano le mani, delle pezze in bocca, una sega e via ... per me ci pensava Karatanga in persona, quello dell'artiglieria ... (Lo imita). Ci sono alcuni di voi, dico voi, che quando cacano, la fanno fuori dal buco del cesso, e allora noi, che centriamo sempre il buco che siamo? Più furbi? Sennò ce la facevamo. Glika - Se in clinica .. . Mitsos - Se trovassi un buco lì dentro, cara mia, altro che pianti, tra lenzuola e cuscini, starei benone, perché ... con tutte le pappette e le attenzioni che avrei, io in pigiama sembro un altro, eh? Glika - Farai comunque le cose tue. Mitsos - Sì, mi metto il catino, il cato .. . come si chiama? il catetere nel taschino posteriore e verrò di nascosto le sere a trovarti, forse che ce la siamo passata male alla Mater.. . come si chiama? La dimenticherò la frutta sciroppata, la caponata che ho mangiato al Mater. .. deo4 e in nessun altro posto. Glika - All'ospedale della Nunziatina? Lì va bene? Ci sistemeremo lì. Mitsos - Cacciamoci lì dentro, noi che siamo gente in gamba .. . ma a me, ah, me lo fai conoscere il ministro? Glika - È una firma Fotis, l'ha promesso, fine del discorso. Mitsos - Uomo di parola eh? Glika - In gambissima, il più in gamba di tutti.

Mitsos - Di deputato ha parlato o di ministro? Glika - Il ragazzo l'ha detto chiaramente, ho a disposizione un ministro, bisogna ungerlo un po' ... (Strofina le dita facendo intendere il denaro) Mitsos - Ha a disposizione, eh? Ma dawero? Glika - E che è novità? Stiamo parlando di un ministro in carne e ossa. Mitsos - Ma tu, hai visto mai nella tua vita un ministro, così, davanti a te? (Parla a un ministro immaginario) «Noi signor ministro alla ... prima di ... (Alza la voce) ci avete lasciati a mani vuote signor ministro, ha afferrato?» Dobbiamo parlare col suo linguaggio, tu mi afferri? A quest'ora .. . (Ascolta i suoi due orologi) Glika - lo me lo vedo già davanti. Mitsos - Lo vedi eh? Sei geniale. Glika - Tra poco vedrai fermarsi il suo macchinane .. .

Mitsos - Ho già i brividi, guarda ... Glika - Tutto ciò che riusciamo a fare, sarà merito di Fotis. Mitsos - Hai visto quanto pane mangia Fotis? Se vedi uno che mangia tutto 'sto pane, vuol dire che è povero. Glika - Mitsuccio, il ministro ... Mitsos - Se lo riempio per benino, è fatta. Glika - È tutto un dare e avere là dentro Mitsos - Gli dirò piglia questo e sistemami quest'altro ... lo porteremo ... ti voglio naturale, eh? .. . Lo porteremo alla taverna della vedova ... Glika - Con le sardine sott'olio che ha! Mitsos - Là ... dove ci ha regalato il gatto ... con tutte le gatte che ci sono, lì ... Glika - Fagli il muso duro, faglielo vedere chi sei. ..

GENTE DI STRADA fra Beckett e Artaud a matrice letteraria in Ti bacio sul muso è riconducibile al teatro di Sart r e, Ionesco, Pinter e soprattutto di Beckett e di Artaud. Però i personaggi di Dialegmenos, pur ragionando e comportandosi come quelli del teatro dell'assurdo, risultano più credibili, perché appartengono a una realtà attuale di profondo degrado sociale e morale, che l'autore conosce bene. Dal punto di vista drammaturgico, l'opera risulta destrutturalizzata e, mancando una logica interna e un intreccio narrativo, essa si sviluppa attraverso episodi e segmenti atemporali. I vari quadri scenici non rappresentano fatti definiti né consequenziali, ma situazioni disarticolate e inconcludenti per mettere in rilievo la fragilità della condizione umana. Dialegmenos non intende trasmettere alcun valore: la scena riflette il mondo interiore di personaggi privi di punti di riferimento. La lingua è il gergo della gente di st rada, a lungo esaminata e studiata dall'autore. Vengono cosi riportate sul testo parole deformate, perché conosciute a orecchio dai personaggi, o errori di pronunzia, quando non viene operata una vera e propria tran scodificazione lessicale. I dialoghi, con la frammentazione linguistica e il frequente uso del silenzio, espresso con i puntini di sospensione , rivelano l'impossibilità di una vera comunicazione e l'inadeguatezza della ragione. I personaggi sono chiusi nel loro mondo, fatto di ricordi e di frustrazioni, l'uno è estraneo all'altro. Mit sos e Glika, i du e accattoni conosciutisi "nell'immondizia", aspettano, come per sonaggi beckettiani, il loro Godot, un ministro c he potrebbe cambiare la loro vita e che però non arriverà mai. Arriverà invece lo sf ratto dalla casa abusivamente occupata. Arghiris, invece, come i personaggi artaudiani del teatro della crudeltà , è insensibile e aggressivo; uccide senza un motivo apparente, ma, in realtà, proietta sugli altri la violenza subita da piccolo, quando era chi uso in un orfanotrofio. È la vita stessa , con i suoi avvenimenti inspiegabili e contraddittori, che si riflette nei rapporti di amore-odio dei personaggi. Momenti di aggressività e di violenza si alternano a momenti di tenerezzd e molto efficaci risultano le frequenti risate che risuonano, quando maggiore è la tensione, a testimoniare come la condizione umana sia priva di senso . Antonietta Varvaro

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T ES T I non passerai nelle sfilate fra gli invalidi5 ... Mitsos - Non ce ne sono invalidi, a quanto dicono, e persino con i Tedeschi siamo diventati amici. Glika - Ci vuole fare la voce grossa. Mitsos - Ci vuole andarci piano. Glika - A te Dio ti ha fatto vigliacco. Mitsos - Perché dovrei cambiare? Per contrariarlo? Glika -Annegheremo (Pioggia forte). Ormai siete rimasti in nove tutti quanti, sette ... se lui non ci dà una spinta, per i documenti siamo a posto, diglielo questo, li hai tirati fuori? E che vi aspettate ora, signori dello Stato? Mitsos - Mia cara, fammelo conoscere e gli farò un fischio anche per te, eh? Vuoi vedere che magari ti mettiamo anche a te in qualche ministero e avrai anche tu un po' di pacchia! Glika - Non mi immischiare con i ministri. (Tossisce) Lascia stare .. . lascia stare ... Mitsos - Ma se sei tu a dirlo che con Fotis sono amici intimi. .. magari trovi lavoro pure tu, voglio dire, dimmi che ci trovi di strano! Glika - lo coi ministri. .. non ci voglio avere a che fare! Mitsos - Di questo me ne incarico io, io ci vedo di più .. . se voglio, io questa cosa la conduco come un'anguilla .. . se inizio a parlare io, anche l'usignolo si intristisce. Glika - Ah ... se mi chiede l'età eccetera eccetera? Mitsos - Mmm!no .. . no .. . non ne parleremo ... sembri più piccola di me ma io sono più grande di te, afferri? Se vedi che ti fa delle avances, sei una donna, fatti tuoi. Glika - Gli anni sono passati con fatica, cominciavamo appena a sistemarci un pochino ... Mitsos - Se sei tu a provocarlo, siamo fritti, c'è poco da fare! Capito? Glika - E ancora non hai visto niente ... Mitsos - Avremo colpi di fortuna migliori. Glika - Tuo figlio ... Mitsos - Dopo gli offriremo anche un caffè, eh? Gli dirò di chiamarmi semplicemente Mitsos, solamente Mitsos .. . Glika - Se hai. .. noi non abbiamo appoggi. Mitsos - Cominciamo dal ministro Glika - Ci vestiamo bene ... Mitsos - Sì, tu ci fai due caffè fatti come Dio comanda, ché ce li berremo qui, qui vicino alla ... stufa, accanto al mio amore ... ci gettiamo dentro anche le pinne e facciamo una bella fiammata da bruciare tutto l'universario6. .. gli dirò tutto per filo e per segno. Glika - Ci mettiamo anche il nostro vestito buono. Mitsos -Appena arraffiamo un po' di soldi, ci compriamo una cosa a Mitsuccio, mi basta una cosa per coprirmi le spalle e sono a posto, ok? Glika -Appena ... Mitsos - In contanti, noi, non ci sono ... Glika - Ti devono ammirare, come viene ammirato Fotis. Mitsos - Non parlare a vanvera ... Glika - Ha preso la vita per le corna, questo qui (Sta cucendo una coperta). Hai visto che aria da comandante che aveva ieri, che fumo, porta qui un piatto di ceci, porta la trippa, di nuovo un piatto di ceci, mangiate e bevete fratelli miei, e questo è lui. Mitsos - Eh, con la vendita dei pezzi di cartone si fanno i soldi, e come se si fanno, tu che alludi a chissà che ... (Si innervosisce) Glika - Va come una saetta ...

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Mitsos - E io invece quella disgraziata di bottiglia non riesco a venderla. Glika - Un signore, eh? Tutto è suo, guarda che presenza, e il portafoglio così gonfio che pare che c'ha un mattone nei pantaloni, ecco, i soldi, loro sì, sanno parlare alle donne, ce l'ha il bla bla il tipetto, è... di buona compagnia il giovanotto ... è il primo nel quartiere, non ce n'è in giro uno migliore di lui .. . basta, finiamola qui (Mitsos apre e chiude la fisarmonica producendo dei rumori fastidiosi) Aah! Ci manderai tutti al manicomio! (Si alza e gli prende dalle mani la fisarmonica, e la tira verso di sé) Mitsos - Ehi, ferma, lascia stare, vieni qui, vaffan ... che, ora ci dobbiamo lasciare mettere i piedi di sopra da te? Glika - Ah, i miei nervi! Lasciala stare o te la schiaccio, te la rompo in testa!.. Mitsos - Ecco, la vite ... dove è andata a finire la vite, adesso? Ma che sei tu che comandi? (Con gli occhi cerca la vite, Glika continua a tirare a sé la fisarmonica) Avanti, ora smettila .. . Glika - Non c'era nessuna vite, non ho toccato nessuna vite, per tutto c'è Fotis, il primo e il migliore fra i primi!!! Mitsos - Perché noi che siamo? Forse che non siamo nessuno, noi? Glika - Se ci capita un buon colpo, abbiamo fatto la giornata ... sennò ce lo soffia l'altro ... sacrificio in tutto qua dentro ... questo coso qua, come lo chiami. .. non vuoi saperne di piazzarlo ... (Mostra lo scaldabagno) Mitsos - Voglio aspettare che cresca un po' il prezzo, non si sa mai, lo venderò a un prezzo alto il mio piccioncino. (Gli batte la mano di sopra). Nei bagni li mettono, no? ... Si accende un .. . dov'è? e si fanno il bagno, si accende questo qua e fanno ... si puliscono ... Glika - Fotis si cala tutto dentro all'immondizia, tu invece ne hai paura, ti fa schifo, non sei una persona moderna. Mitsos - Fra un po', appena inizia la primavera, vedrai di che cosa è capace Mitsos ... non guardare l'anno scorso, le cose stavano diversamente, ormai abbiamo cancellato il passato, è acqua passata. Glika - È immischiato dentro a tutto, ovunque, tant'è che lo chiamano Onassis, e d'altronde che cos'è, non è, .. . non ti dice niente il suo nome? Mitsos - Non è che per caso le piace un po', signora mia, e non lo capiamo, le va a genio? ... (Sopra di /et) Glika - L'altro ieri la sua carriola è arrivata fin qua sopra eh? Aveva di tutto, bottiglie, stoppe, cartoni. Mitsos - Non vogliamo ricchezze ... Glika - Ogni ben di Dio, bottiglie .. . Mitsos - Guarda che le bottiglie ce l'ho anch'io ... Glika - Un bel giorno si è svegliato che non era più povero, non se ne sta con le mani in mano ... Mitsos - La bottiglia, quella verde, la venderò bene, il giaccone l'ho preso ... (Alza la voce) io tratto solo pezzi, bella mia, antichi .. . Glika - Ossa ... ora raccoglie pure le ossa ... si allarga il signor Mitsoooo!!! Si allarga, adesso passa anche alle cose vecchie. Mitsos - Pss! Ce ne sono altri, più bulli di ... che c'hanno provato e sono rimasti intrappolati. Glika - Tu fai lo scioperato ... Mitsos - Hai sentito Basùra ieri? «Da te Mitsuccio mi aspetto un bel pezzo di valore» ... Glika - Buongiorno signor Fotis ... Fotis mio, gli disse

il .. . ieri mattina ... Mitsos vede a terra la vite e la prende. Mitsos - Mio signor Merda ... Glika - Sei cattivo. Mitsos - lo?! lo sono così buono che non sono buono a fare a pezzi manco un giornale, io! Glika - Si vede pure da lontano che è un ganzo. Mitsos - Come lo hai capito? Glika - È un dongiovanni. Mitsos - Fotis!!! Glika - Il suo fascino attira ... piace!!! la vivacità che si porta addosso ... Mitsos - Non è che tu ci stai facendo qualche pensierino? ... Glika - Stiamo solo facendo quattro chiacchiere. Mitsos - Ma sono discorsi che si fanno? ... la signoria vostra può dircelo a chi piace questo signore, affinché . noi si possa intendere e che io sappia di che trattasi. (Ha alzato la voce) Glika - Quando spinge la sua carriola .. . (Con ammirazione) è tutta un'altra cosa ... carico sino all'orlo e dagli a farsi tutta la salita, quell'omone. Mitsos - Tutto bitorzoli ... Glika - Guardalo bene e ti renderai conto di chi è... grande così è qui, così, e il suo collo è come un tronco d'albero ... e questi qui, glieli hai visti, questi qui? .. Mmm! .. . che muscoli! Mitsos - Appena ci metterò anch'io il cuoio alla mia carriola .. . una bella briglia .. . anch'io sarò così .. . Glika - Tutti gli fanno le fotografie. Mitsos -A noi ... ci fotografa il sole, principessa, sei debole, signora mia, non fate per me (Batte sul tavolo) Glika - Quando la verità si fa strada, le bugie si fermano. Mitsos - Un giorno di questi io ... se vedi che manca la valigia di Mitsos, addio Granada! Glika - Vuole fare impressione l'amico, punta in alto. Mitsos - Vuoi che litighiamo? Glika - C'è stato un tempo in cui ogni tanto mi dicevi qualche "grazie", adesso ... Mitsos - È sparito dalla circolazione. Glika - Ora che s'è messo la dentiera nuova .. . Mitsos - Sì, sì, impressionante come quando un leone apre la bocca, l'ha detto chiaro e tondo, se me la levo, Mitsos, sento freddo alla bocca, dice, ha detto ... Glika - Ma che! Sono denti splendenti come confetti! (Si passa il palmo della mano sulla bocca) Mitsos - Si è indebitato ... Glika - L'ha restituita la metà, il ragazzo. Mitsos - Ti mollo un ceffone, così capisci. Glika - Se vuoi tornare a dormire nella carriola, accomodati! Mitsos - Sono acide le tue parole, signorina ... appena finiranno le piogge, la sistemo alla bell'e meglio e zac! taglio la corda! Glika - La carriola è fuori. .. tu fotti, maltratti Glika ... e Glika non c'è più. Mitsos - Eh, Mitsos non starà più a contare le stelle .. . Ecco! Le case! Mi prendo il materasso ... solo e vagabondo .. ! Glika - Metterò la spranga e fuori i cani! Mitsos - Sai come fanno le puttane per me, mia gran signora? Chiedi un po' a Fuli. .. Glika - Vattene dalle puttane, porco, via, adesso, ora ... (Lo spinge) raccogli le tue cose e vattene oggi


T ES T I stesso ... subito!.. Mitsos - Non spingere o ti pesto ... Glika - Vuoi dirmi che ... ora via, fuori dai piedi, cane rognoso! Mitsos - La mia signoria ... (Si batte sulla spalla) se l'è consumate le spalle ... ho lavorato come un mulo ... Glika gli apre la porta. Glika - Prego, signore, a lei la strada, che ti ho fatto io uomo civile. Mitsos - E dove ti fai il letto, pesce morto? (La spinge) Glika - Sparisci, zavorra che non sei altro, sparisci, se hai il coraggio, vigliacco. Mitsos - Devo prendere le mie cose ... televisori, coperte (Glika gli disfa il letto e gli getta le coperte davanti la porta, prende il tappetino). Il tappeto io, è mio, io lo tengo nel. .. l'ho trovato io .. Glika - Per carità, prego, fatti il fagotto e fuggi (Gli butta contro il tappeto ed altre cose) Mitsos - Ma dove credi di andare da sola, ti schiaccio a testate sul muro che ti dimentichi dove sei, stracciona (Chiude la porta) Dobbiamo gelare che mi avevi fatto entrare in casa l'inverno? Non costringermi a picchiarti. Glika gli sputa addosso. Glika - Non t'azzardare ... sennò t'afferro le palle e ti faccio perdere la bussola ... Mitsos - Sono qui. .. (Estrae nervosamente le carte e inizia a leggere) Dunque!. .. Due, due valigie con la cinghia e un'altra senza cinghia che leghiamo alla bell'e meglio, ok? Ok!. .. la stampella ... (Guarda la stufa) amore ... Glika - La stufa la lasci dov'è. Mitsos - La voglio .. . Glika - L'abbiamo trovata insieme, l'amore nostro ... Mitsos - Ah sì? E chi l'ha messa nella culla e l'ha portata sino a qui? Mitsos! Glika - La stufa ... Mitsos - La sorteggeremo l'amore nostro ... (Batte sulla stufa) Materasso uno ... Glika - Lo scucio, io l'ho cucito!!! (Scuce il materasso, sfuggono via fiocchi di bambagia) L'ho riempito io di bambagia. Mitsos - La stufa verrà estratta a sorte. Glika - D'estate te la prenderai. .. ad agosto. Mitsos - Il tavolo. Glika - Anche quello a sorteggio. Mitsos - A sorteggio? non se ne parla! Glika - Queste cose sono tue, prendile! (Viene colta da una crisi isterica, gli getta contro, sulla porta, diverse cose) e queste? ... anche queste tue, e queste? ... prendi anche questo .. . e questo e questo, prendi, . prendi, e prendi, vuoi anche questo? .. . Ficcatelo in culo (Gli butta addosso l'apparecchio telefonico guasto) Tutto vuoi, no? Vuoi tutto? Parla, lo vuoi?... Merlo indiano - Paolo .. . Mitsos - Il telefono cretina!. .. (Va a raccoglierlo) Glika - Tutto tuo, tutto, eh, tutto!!! Prendi e fuori dai piedi! Questo, è tuo anche questo ... questo? Tuo .. . di', non è tuo? Parla adesso, tuo ... lasciaci in pace .. . (Va a sbattere istericamente contro un oggetto) Prendilo, prendilo, prendi, adesso abbiamo messo il lucchetto al negozio, chiuso, basta! E abbiamo liquidato tutto!. .. Mitsos - Troveremo tutto qua nella carta, più sotto ... ! (Legge) Trappola per topi. Due trappole, una che te lo fa trovare morto e una che te lo lascia vivo, prendine

una (Gliela indica) questa .. . ti prendi questa che te lo lascia vivo. (Le porta la trappola per topi) Ce l'hai tu, ok? Bene!!! Fiori. .. (Va a prendere fiori di plastica, G/ika glieli prende dalle mani e si strattonano a vicenda) Giù le mani, lascia stare, non ... Glika - Devi lasciare stare tu! Perché, tuoi sono questi? lo ho aperto il sacchetto e li ho visti. Mitsos - Passiamo a Paolo ... Merlo indiano - Paolo .. . Glika - Paolo rimane qua. Mitsos - E come è arrivata lei a questa conclusione? Glika - L'ho detto io e basta. (Va a prender la gabbia e la mette tra le sue cose) Mitsos - Ed io? ... lo dico diversamente (Le prende la gabbia) avanti! Glika - Lascia stare Paolo ... Mitsos - Dammi subito la gabbia, la gabbia è mia, l'ho portata io ... Glika - Molto bene, leva Paolo dalla gabbia .. . Mitsos - Metteremo tutto a sorteggio! ... Glika - Al sorteggio dunque, visto che ti piacciono queste stronzate, moccioso ... Gllika si accende un mozzicone, Mitsos prepara i bigliettini per il sorteggio, sono entrambi sconvolti, si trova nelle tasche delle perline dei kombolo;l, ne prende una e allunga il pugno chiuso verso Glika. Mitsos -Allora, il tavolo, di'!... (Glika sceglie una mano e perde, Mitsos mette il tavolo da parte, e allunga di nuovo i suoi pugni) Di' .. parla!!! Questo qui. .. (Indica un oggetto) Glika - Questo l'ho portato io. Mitsos - Avanti, parla ora, andiamo avanti! Glika - Questo!!! (Perde, Mitsos vince e lo mette sul tavolo) Mitsos -Adesso ... (Tende i pugni) la televisione ... ! Glika - Questo! Cioè, liberi come prima! no? Mitsos - Quale questo? Glika - No, l'altro ...

Mitsos - Insomma di', quale dei due? Glika - Mi fai confondere, l'altro, cioè .. . questo qua. (Gli prende il pugno) Mitsos - L'ha presa, signora mia! Glika - Me la metti lì? ... è... è pesante .. Mitsos gliela mette da parte. Mitsos - Un bel pezzo ti sei presa! ... Un altro adesso!. .. (Mitsos cede a poco a poco, quasi pentito) dissi che ti avrei reso donna acculturata, hai un cervello da gallina ... (Le si awicina per calmarla, lei si ritrae indietro strappandosi il cappotto) Glika - E uffa, smettila,... ammasso di grasso, ti piacciono i litigi, amico mio bello? L'hai strappata, la manica è finita ... Mitsos - Tu l'hai fatto, ti sei fatta un po' più in là .. . Glika - Ah, sei un bullo prepotente tale e quale al vecchio Trulis!. .. La manica è distrutta! Mitsos - Trulis lascialo stare per un'altra volta ... era un fratello Trulis (Alza la voce) Su, di'!. .. (Propone il sorteggio) Glika - Tu eri il suo buffone, il suo servetta. Mitsos - Parla! ... (Porge i pugni) Glika - Non voglio ... ti regalo ogni cosa, tutto ... ! Mitsos - lo il suo buffone? Glika - Sì, sì, ci passerai anche tu e capirai, te ne accorgerai da te ... (Tossisce) guarda che danno!. .. Vedrai, vedrai!. .. (Gli prende la mano) Mitsos - L'essere bulli è una missione, eh, avete perduto! Lo diceva e aveva ragione ... Glika - La sua capoccia l'ha fregato ... Mitsos - Il poliziotto gli ha sparato al. .. Glika - È morto e nessuno di noi l'ha saputo. Vermi grandi come serpenti gli ballavano addosso! Mitsos - «Mi arrendo», gli diceva, «mi arrendo» e quello invece sparava, pezzo di merda, sparava su Truli, su Truli, su Truli, sul fratello, «non sono io! lo» ... e bum bum il suo cervello spappolato nell'immondizia, perché non mi hai ammazzato Erode quando ero pie-

r-----------------------LA TRADUTTRICE

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VARVARO , lau r eatasi. nel 1995 i.n lettere classi.che presso l ' Uni.versi.tà di. Pale r mo , con una tesi. i.n letteratura neogreca sul romanzo Lukìs Laras di. D. Vi.kelas , ha vi.ssuto molti. anni. i.n Greci.a dove ha frequentato di.versi. corsi. di. li.ngua e letteratura neogreca. Nel 1996 è vi.nci.tri.ce della bo r sa di. studi.o statale tri.en nale I . K.Y . per l ' espletamento di. un corso di. speci.al i.zzazi.one post- laurea presso l ' Uni.versi.tà di. Gi.anni.na (Greci.a). Memb r o dell ' Associ.azi.o ne Nazi.onale Itali.ana di. St udi. Neogreci., attualmen t e collabora con l'i.sti.tuto di. fi.lologi.a greca dell'Uni.versi.tà di. Palermo e con quello dell'Uni.versi.tà di. Gi.a nni.na. Ha consegui.to i.l di.ploma di. conoscenza di. li.ngua greca, IV li.vello, ri. lasci.ato dal centro di. Li.ngua greca di. Saloni.eco e si. occupa prevalentemente di. traduzi.oni. e i.nterpretari.ato. Nel 2002 la Soci.età Greca dei. Traduttori. di. Letteratura l e ha conferi. to i. l premi.o per la sua traduzi.one di. Chi fu l ' assassino di mio fratello (Palermo , L'Epos, 2000) di. G. Vi.zi.i.nòs. • ANTONI ETTA

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colo? lo voglio ... (Appoggia la testa da qualche parte) ... che quest'anima pezzente vada via, voglio andarmene così come sono (A Glika) È tutto tuo, prendi tutto tu, prendi te lo meriti (Piange) Glika - Che? Ti cominci a bere il cervello? Al funerale neanche una persona ... Mitsos - C'era il coperchio chiuso, se non vedi un po' il viso8... Glika - Ormai sei perso ... Mitsos - Mitsos non rinasce, è la fine, la forma, lo stampo s'è rotto, perché ... Qualcuno bussa alla porta, Mitsos e Glika si bloccano di colpo e si guardano. Voce del proprietario -Aprite due minuti, per favore ... (Pausa) Chi vi ha dato il diritto di entrare così in proprietà non vostre? ... (Pausa) Zi' Mitsos ... (Pausa) in casa d'altri. Per favore, aprite ... (Bussa alla porta, Glika sta per dire qualcosa ma Mitsos le fa cenno di tacere) Chiamo la polizia e vi farà uscire lei da qui, con la forza. (Si sente bussare alla porta più violentemente) Aprite! Aprite! ... (Pausa, colpi alla porta) Questa casa è sotto tutela statale ... (Bussa di nuovo) Mitsos - Chi è? Che ore sono? (Come se stesse dormendo) Voce del Proprietario - Ti devo parlare Mitsos - Chi è? Voce del Proprietario - Quello che ha la casa, il. .. Mitsos - Quale casa? Voce del Proprietario - Avanti, su! ... vi siete presi la mia casetta, forza! Mitsos - Ora? Voce del Proprietario - Apri disgraziato! A casa mia ... ! Mitsos - Perché? Voce del Proprietario - Perché sei a casa mia, per questo, quale perché? Mitsos - Cosa «quale perché»? Sto dormendo ... vieni. .. Glika - Domani ... (Sussurra a Mitsos, pausa) Voce del Proprietario - Sei arrivato ... ma da dove sei sbucato!? Mitsos - Vieni domani. Voce del Proprietario - Ma non capisci? Mitsos - Vuoi rimanere qua? (In tono gentile) Voce del Proprietario - Che significa, voglio rimanere qua? Glika - E va a farti fottere! (Nervosamente) Voce del Proprietario - Cosa? Mitsos - Quello che abbiamo detto! Voce del Proprietario - Questa casa è di mio padre ... (Bussate violente) Mitsos - Non ti preoccupare, non l'abbiamo presa, non ce ne andiamo via con la tua casa. Voce del Proprietario - L'avete occupata, è sotto tutela. Glika - Non l'abbiamo mica mangiata ... Voce del Proprietario - Ve la vedrete col ministero. Mitsos - Va bene, fa venire il ministero, dunque! Glika - E non ci scocciare. Voce del Proprietario - Ma va' al diavolo! (Forti colpi e pugni sulla porta, si sente che se ne va, pausa lunga) Glika -Andiamo ... Mitsos -Aspetta un momento ... (Va a vedere alla finestra) La giornata è andata a rotoli. Glika - Guai in vista ... la giornata è andata a puttane. Niente soldi. (Si preparano a uscire)

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Mitsos - Speriamo di prenderci una casa sul mare, vicino al mare ... se ... altrimenti ... facciamo strada per Komotinì, ci portiamo il dolore con noi, nel nostro sacchetto e via! Andiamo verso sud. Glika - Più a nord andiamo, e più ... questo saremo ... (Pausa) Mitsos - Ieri mentre dormivo ed ero addormentato, qualcuno mi ha infilato la lingua in bocca, eh? ... tutta! ... (Pausa) Che succede nei sogni! Glika - Fuori ne succedono di peggio. Mitsos - Dici? Glika - Ma veramente dicevi che ... mi facevi. .. mi volevi mollare un ceffone? Mitsos - Di impulso l'ho detto ... Glika - L'hai preso il sacco, il sacchetto? (Si preparano, indossano i soprabiti per andarsene, mentre fuori piove a dirotto) Mitsos - Ecco, così, dà una sistematina, faccio ... (Fa un po' d'ordine nelle cose) Sono belle le cose belle. (Piccola pausa) I sogni eh? Non ci entrava nella sua bocca, dice, e l'ha messa nella mia. (Escono, la luce si spegne dolcemente, mentre viene illuminata la zona dove sta Arghiris) Arghiris - lo l'ho aggredita ... ve lo giuro, io e nessun altro, credetemi!!! Quando ho sentito che mi chiamava Pugnetta, mi si è offuscata la mente! Ho conficcato con forza il coltello nel. .. dappertutto, dappertutto su di lei, con violenza! Ho sceso le scale lentamente, sono uscito in strada, credo che stesse piovendo per benino, qualcuno disse a qualcun altro «vieni a ripararti qui sotto, cretino, sennò ti inzupperai tutto» ricordo che mi sono chinato a pulirmi le mani con l'acqua di una gronda, scendeva acqua a catinelle, mi infilai velocemente nel primo vicoletto che mi ritrovai dinanzi. .. volevo trovare le luci, la luce! Cominciai a camminare normalmente, dissi è tutto finito e buttai il coltello in un tombino, presi un taxi! A un certo punto credetti che il tassista guardasse le mie mani. .. Cercai di osservare l'espressione del suo volto dallo specchietto retrovisore che aveva dinanzi a sé, forse era solo una mia impressione ... ci immettemmo in via Drosopùlu, iniziai a sudare freddo, sapevo perfettamente che saremmo passati dal distretto di polizia! Mi chiese qualcosa, non ricordo cosa, io volevo scendere, ma non avevo la voce per potergli chiedere di fermarsi ... Qualcosa sulla morte, disse, che la via Drosopùlu è la via della morte ... sì, sì, la morte, sussurrai e contavo con gli occhi le traverse che passavano, una, due, tre ... è qui da queste parti. .. gli dissi parlando del distretto di polizia. Non mi dire, buonuomo, che vuoi scendere alla polizia, ormai l'abbiamo passata, così mi disse, l'abbiamo passata, no, no ... chiedevo soltanto, era solo una domanda e sentii il mio corpo come una corda tesa che stava per rompersi. Arrivai a casa, mi spogliai, feci un bagno, mi distesi sul letto e accesi la radio che dava musica classica. Casa di Mitsos. Mitsos e G/ika vestiti. Lui indossa un berretto militare e l'uniforme delle sfilate, con una medaglia di poco valore, è seduto su una sedia pieghevole, accanto a lui la stampella. G/ika è sul letto, vestita come sa vestirsi lei, aspetta il ministro. È mezzogiorno, una giornata fredda e sul tavolo c'è la radio. Speaker - .. .A causa del forte vento i canadair non hanno potuto prendere il volo per spegnere gli incendi, allora le squadre di pompieri raccolgono le olive.

Fine del notiziario. Speaker - Dediche ai nostri militari. Il soldato Leonida Ballìs ha richiesto il disco Mandami per la sua fidanzata come per le diecimila ragazze di cui lui ha bisogno. Si sente il disco Mandami una lettera con il vento del sud. Mitsos -Ah Fotis! ... lo (Spegne la radio) io sto impazzendo! ... Glika - Che vuoi che sia, un ministro è... un ministro Mitsos - Merda ai ministri! Glika,- Verrà, vedrai sarà qui a momenti ... (Mitsos guarda i suoi orologi) Mitsos - Sono le undici, ma dov'è andato a finire? ormai la giornata è finita. Glika - Verrà, vedrai. Mitsos - Ormai il mio gruzzoletto è fottuto ... Glika - Se il ministro non viene, ci restituisce il denaro ... l'ha detto il nostro ragazzo ... Mitsos - Ma dov'è dunque? Voglio togliermi i vestiti, mi stanno stretti. Glika - Appunto, è in ritardo! (Butta un paio di pinne nella stufa) ... finché bruciano queste ... Mitsos - Posso arrivare persino ad uccidere. Te lo giuro. Se hai fatto questo a Mitsos, Fotis, puoi iniziare a pregare Fotis ... così com'erano toh! Prendili, Fotis, per il signor Ministro. Mascalzone scioperato, ti rovino la carriera. Ti ... ti ... Glika - Finiscila, dai, sennò quando arrivano ti trovano questa faccia sottosopra. Merlo indiano - Paolo ... Mitsos - Mi sforzo, ma non riesco a farmene una ragione .. . domani .. Merlo indiano - Paolo ... Mitsos - «Diamogli solo la metà». «No, tutto, così concludiamo tutto e subito ... ». Ti ho ascoltata, «ci prenderemo la pensione e ce la godremo», ma dov'è Fotis? e il ministro? Glikuzza! Merlo indiano - Paolo ... Mitsos - Taci!!! Ti farò giustiziare da Fotis (Glika esce a vedere se vengono) ti porterò alla discarica e ti faccio diventare finocchio sul colpo ... G/ika rientra. Glika - Calma, non facciamo che ne vengono guai e malanni .. . Mitsos - Abbiamo perso quindici bei bigliettoni da mille ... Glika - Deve morire prima dell'Epifania. Mitsos - Ti ridurrò un colabrodo, Fotis, tienilo a mente. Glika - Ma ti chiuderanno in prigione così. Mitsos - Guarda, arrivano? G/ika esce a vedere, Mitsos si alza e fa la prova a camminare con le stampelle. Mitsos - Fa un fischio appena arrivano ... me li devi ridare i soldi, mascalzone, anche a costo che non avrò mai la pensione, neanche un soldo bucato ... Non la voglio, non la voglio la pensione, cani rognosi ... pochi anni mi sono rimasti e crepo ... ve la regalo, porci ... ma ... anche i soldi del Ministro che hai detto che ... per riuscire ad averli. .. dagli i miei soldi e che vadano a farsi fottere, ladri sono stati tutta la vita, tutta la vita imbrogli, questi boccioli di rosa ... bla-bla-bla paese di merda (Si siede). Solo le tasse siete stati capaci di regolare bene! ... (Crisi improwisa ma contenuta) Ecco! ... (Si straccia i vestiti prendendo/i a morsi, butta via il cappello con furia) Ecco-ecco-


T ES TI ecco! ... Puttane! ... Ecco! ... Non la voglio la pensione, regalo ogni cosa, tutto, tutto, tutto! .. . (Straccia i fogli sul tavolo) Bla-bla-bla!!!. .. E dopo prendetevi pure le palle! (Strappa e sputa sui suoi vestiti, si toglie i pantaloni, li butta via) Ecco! ... ecco! .. . ecco! .. . Me ne vado sulle montagne, vi sputo ... Pezzi di merda! Pezzi di merda! Merda! (Urla, cade sulla poltrona distrutto, entra Glika, pausa) Abbiamo perso Glika ... è finita, l'abbiamo capito? Glika - Mitsos!!! (Gli da una pillola da inghiottire) Bevi Mitsos, l'uniforme ... Mitsos - Buttala nel cesso ... (Beve) Domani ci sarà il finimondo, Fotis ... Glika - I tuoi nervi, amore mio, basta ... Mitsos - Basta con le sfilate, Finito, Caput! ... (Le prende l'uniforme e va a buttarla nel gabinetto, Glika cerca di impedirglielo) Lascia, lascia ti dico ... Glika - Portala qua, otturerai il cesso, benedetto uomo, lasciala, lasciala ... Mitsos - La spingerò, così se ne va ... Glika - Portala qua, dammela .. . (Gli prende l'uniforme e cerca di darle un sistematina, Mitsos prende alcune medaglie da qualche parte e le butta via) Sei impazzito? Si buttano queste? (Le raccoglie) Vieni qua, mettiti questo .. . (Gli dà il pantalone) sei morto di freddo, che vai cercando di prenderti malattie? (Glika l'aiuta a vestirsi) Metti la mano qui, qui, ecco, così, mettiti addosso pure questo .. . Mitsos non nasce un'altra volta, ah! Mitsos - Tu vero dici? .. . Glika - Gli devono cadere le mani e non ci deve essere nessuno che lo aiuta a bere ... Mitsos - Eh, io ho fiducia nelle donne! ... Glika - Prendi, devi prendere questa qua ... (Gli dà un'altra pillola) Ecco!. .. Si sistemerà ogni cosa, se riusciamo a vendere la bottiglia verde, il cappotto l'abbiamo preso e ti sta bene, ti fa distinto! Mitsos - Prendiamo quello appeso. Glika - Ti stanno bene le cose serie e ci riprendiamo i soldi indietro, lo sceglierai tu, tu a tuo gusto ... (Raccoglie i fogli stracciati e li mette in un sacchetto) Questi qui li incolliamo e li portiamo al Ministro, ci vado io ... Mitsos - Se non ce li ridai indietro Fotis, incaricherò, che è figlio mio ... gli darà un ceffone ... E ho anche un dolore qui ... (Si afferra la pancia) ... nel ... qui .. . nel ... qui. Glika - Va' in gabinetto ... Mitsos - Gliela farà vedere, gliele suonerà ... Glika- Va', poi vediamo .. . Mitsos si alza, si dirige verso fuori, in quel momento si sente bussare alla porta, si ferma improwisamente, pausa. Voce di un Poliziotto - Baniàs ... Baniàs ... Zi' Mitsos, sei dentro? Baniàs sei qui? Possiamo anche vedere il Poliziotto attraverso il vetro opaco, pausa, un foglio di carta scivola da sotto la porta, i passi si allontanano, Mitsos guarda attraverso lo spioncino della porta, prende il foglio di carta da terra. Mitsos - Ahi, al diavolo! ... (Glika a cenni gli chiede chi è) Sss! ... Sss! ... (A bassa voce) il poliziotto ... Glika - Ma perché non va a trovarsi un lavoro 'sto sfaticato? ... Mitsos - È andato al distretto, l'abbiamo trovata noi, signor poliziotto, noi non abbiamo buttato fuori nessuno ...

Glika - Merda! .. Non l'abbiamo presa in dote! ... oggi qui .. . Mitsos - Qui nei paraggi siamo gente a posto ... non facciamo neanche un furtarello ... Glika - Per questo è venuto? (Si fa aria) Vorrei svenire ma non ci riesco .. . Mitsos - S'è fatto giorno pieno, (Guarda fuon) «da dove veniamo»! Glika - Non abbiamo fatto niente, e che è? Tutti noi veniamo pure da qualche parte ... Mitsos - Non siamo stranieri noi, non veniamo dal niente .. . Glika- Va' ad alleggerirti un po'! ... Esce fuori e si scontra con qualcuno, sentiamo provenire da fuori gran chiasso, risate, confusione. Mitsos - Ehi-ehi-ehi! (Fuori, batte le man,) Chi si vede! ... Cristo è risorto! .. . Ehi-ehi-ehi!!! Parli del diavolo e spuntano le corna, stavamo parlando di te (Urla) Glika! Glika! Volevamo scriverti oggi, ehi-ehiehi! .. . C'è, Glika! Prima del tempo, e così senza awertire, ragazzaccio ... (Risate) Ehi-ehi-ehi!! .. . Sto ... sto male ... (Entra dentro, batte le man,) Te lo dicevo Glika, era sicuro ... che sarebbe venuto il mio ... te lo dicevo, non ne stavamo parlando? (Frastornato, Arghiris è entrato dentro) E tu, signor mio, ci aggiusterai tutto ... s'è fatto un ragazzone il signore ... di che sei vestito? Per saperlo anche noi, eh! ... Entri, entri 9... (Arghiris, dall'aria contenuta, si guarda in giro, ha in mente qua/cos'altro) Uniformi, bottoni. .. , ci hanno preso quindicimila dracme ... e ce ne andiamo via da qui, ci co_ngediamo ... hai visto un poliziotto ... adesso lo hai visto, col cappello e... Glika ... ti presento ... Cose magnifiche abbiamo stasera, ti presento Glika ... (Glika fa un movimento con la testa) dammi, prendi questo, no, no, nel posto migliore, qui, accomodati e parla e non smettere più ... Arghiris - Verrò un'altra volta a parlare in santa pace, forse domenica, vediamo ... Volevo solo vedere se abiti qui. .. Mitsos - Noi. .. Glika - ... qui abitiamo ... Mitsos - Ehi-ehi-ehi! il mio! ... ! E no ... tu lo sapevi ... comunque acqua passata .. . Arghiris - Qui abitate ... abiti? Mitsos - Non ci vedevamo, da quanto? Dieci anni. .. eh, il nostro ... Glika, quando era piccolo, devi sapere che ... io ero suo padre ... quanti anni? Quindici? Quanti? Confessalo .. . Arghiris - All'incirca .. . Mitsos - Noi, Glika, nella nostra famiglia, di', non ti fermare ... Arghiris - Se riesco a liberarmi, anche prima di domenica ... Mitsos - La casa è tua eh, tutta ... Arghiris - Adesso che so che siete qua ... Mitsos - Parenti siamo ... riscaldiamo qualcosa .. . metti su la zuppa nel. .. se vedi del cibo ... ti fa le polpettine Glika .. . la signora qui presente ... ho un dolore dentro. Glika - E non gli dire tutto in una volta, lo fai preoccupare .. . Arghiris - Lascia, lascia stare .. . non fare niente, non mi va giù niente ... (Vuole posare da qualche parte la sacca che tiene in mano) Mitsos - Questa te la appendo (Gliela prende dalle man,) Questa scatoletta ... da quanto tempo la conservo, per te sai, eh Glika, lì! (Gliela indica dentro un

sacchetto appeso al muro) Arghiris - Lasciala stare, sarà per un'altra volta ... Mitsos - Ma è di granchi! ... Mi hai capito? Glika - Al chiodo ... Mitsos - È una cosa prelibata .. . Arghiris - Verrò al più presto, non appena mi libero ... Mitsos - Allora signor mio ... (Batte il palmo della mano sul ginocchio di Arghiris ) Si è ricordato finalmente che esistiamo? Il signore qui presente stava per diventare pompiere, ma lì non ce n'era di questa roba (Fa la mossa di masticare) ... E... (Fa con la mano il segno che se ne è andato) nello spegnere incendi, mi capisci? Ti piace quando prendi i malviventi, ma che ti piace? Arghiris - Un piacere ... Glika - Se la passa benissimo ... Mitsos - Hai una buona paga? Uniforme, mangiare ... se ti rimane qualche giacchetta, qua siamo, non paghi niente, cinema e cose così ... e questa qua eh? (Tocca la pistola nella custodia) Spara appena la sfiori? Arghiris - Sì, lasciala stare ... Mitsos - Questa qua, ti può far vendere l'anima al diavolo ... (Indica in qualche parte della stanza una vecchia carabina) Ha bisogno di essere messa a punto ... Arghiris - Qualche giorno andiamo a Legrenà a caccia di uccelli. Mitsos - ... Uccidi uccelli? Arghiris - Sai che razza di fottuti sono? Mitsos - lo posso anche essere un uomo duro, ma però ... piango davanti a un uccello ucciso ... Arghiris - Sì? Oh ... c'ha il cuore tenero il vecchio! ... Mitsos - Eh? ... Arghiris - Lì nei luoghi solitari, trovano tranquillità lì. Mitsos - Avanti Arghiris ... siamo stanchi, Arghiris mio, lo sai? Glika - La vita non si ferma mai giovanotto mio ... Mitsos - La miseria ci ha distrutto, sto molto male, tienilo a mente, eh? Glika -Andiamo verso la miseria più nera .. . Arghiris - Ma ve la passate bene qui ... (A Mitsos) che stai guardando? Mitsos - L'arma ... è a ripetizione? Una branda qui come ce la vedi? Tu che sei pure istruito? Eh? Ah, ce la passeremo benissimo, ci mettiamo una bella branda ... Arghiris - Ritorno ... abbiamo detto Mitsos - La branda fuori. .. (Fa per andarla a prendere) la devo ... Arghiris - Lascia, ti dico, ritornerò (Gli sbarra la strada) Mitsos - Eh, togliti il cappello che ti vediamo in volto ... Glika - In faccia ... Mitsos - Non ci fare caso, Glika, che lui non ride molto, eh quando fai parte delle forze dell'ordine, le ha studiate queste cose il mio Arghiris, capisci? Altro che uscite e gruppi di ragazzi ... Solo, sempre solo ... tu ridi? Pensa a me .. . (Cerca nelle sue tasche e trova un vecchio biglietto della lotteria e ritagli di giomafl) Per vedere quanto rido io .. . E Glika eh, (Sorriso a bocca aperta) leggilo tu che sai leggere ... (Lo legge lui stesso) zero, zero, due, uno, cinque, sette e sette (Mostra i ritagfl) e qui otto ... anche qui otto ... quattro milioni per un numero ... e di nuovo rido! Glika - Questo è Mitsuccio ...

Il


T

S T I Arghiris - Te ne stavi andando poco fa? Mitsos - Siamo in piena vecchiaia ... Glika - Siamo assolutamente poveri ... Mitsos - L'hai trovato facilmente dov'è sulla salita? Glika - In alto ... Arghiris - Sì, facilmente Mitsos - lo bevo solo acqua dal rubinetto ... (Beve acqua da una ciotola) Glika - Si sta rovinando lo smalto dei denti. Arghiris - Voglio dirti una cosa, così, solo una domanda, niente di particolare ... così solo due cosette ... (Guarda da un'altra parte) Mitsos - Mmm!! Arghiris - Credo che ormai siamo cresciuti abbastanza, no? ... Mitsos - Tu ancora ne hai pane da mangiare, io ... sono già alla frutta ... Arghiris - Una volta ti avevo detto che sarei venuto, non è vero? ... te lo avevo scritto mi pare ... Mitsos - Non me lo ricordo bene, ma comunque ... Arghiris - Ecco, adesso che sono venuto, alcune cose ... Mitsos - Continua ... Arghiris - Volevo chiederti. .. così per sapere ... Mitsos - Buttalo fuori tutto in una volta Arghiris - (Non sa come iniziare) Sì. Mitsos - E allora? (Piccola pausa) Apriti. .. Arghiris - Adesso mi dovresti dire, così tanto per, tua madre è questa eccetera eccetera, tanto cosa vuoi che mi importi più. Mitsos - Parli di cose vecchie, Arghiris, io non sono ... Glika - Troppo vuoi sapere ... Mitsuccio ha ... Arghiris - Lo so, sono cose vecchie queste, non hanno alcuna ... ma voglio solo sapere. Glika - Di quella lì, quella ti ha posato là ... Arghiris - Ma cosa è successo? Da quel momento in poi cosa è successo? Mitsos - Non parlatene di queste cose, ve lo proibisco, sono cose passate, vecchie ... Arghiris - Ti dà fastidio? Te ne frega niente? Mitsos - Lo fai apposta per farci male? Glika - Mitsuccio ha ... Mitsos ... non lo ... ha il diabete e altro ancora ... Mitsos - Ho la febbre al cuore, capito? Ecco, vedi. .. (Tossisce molto) il dottore dice che ho bisogno di riposo, dice il dottore, ha detto ... Glika - Ha bisogno di aria di montagna, riposo, buon cibo e riposo ... Arghiris - Di chi è stata l'idea ... (Sente aria di pericolo) Mitsos - Lascia perdere ... Glika - Altri tempi. .. Mitsos - lo, Arghiris mio, ho bisogno di riposo, lo sai, cibo buono ... Arghiris - E riposo l'hai detto, questo l'hai detto, cibo buono ... Mitsos - E riposo ... Arghiris - Lascia stare ora queste cose e dimmi, parla (Con rabbia contenuta) di chi fu l'idea? Glika - Perché lo assilli? Erano altri tempi allora ... Mitsos - Neanche me lo ricordo, puoi avere anche tutto qui dentro ... io non sono niente ... io voglio solo cibo buono. Arghiris - (Si innervosisce) Eh tu!!!. .. Tu!!! Mitsos - E riposo, ci siamo stancati d'avere freddo ... Arghiris - Non me ne vado di qui se non parli. (Lo afferra per il colletto e lo solleva)

Il

Mitsos -1 miei piedi. .. io in Albania ... Arghiris - Lascia stare l'Albania e dimmi. .. dimmi! Dimmi! Dimmi!. .. (Crisi) Devi parlare, me lo devi dire, di qui non me ne vado se non parli. .. Mitsos -Arghiris, al tuo vecchio? (Afono) Ehi, mi fai, mi soffochi. .. Glika - Su-su-su (Urla) ma se te l'ha detto come sono andate le cose!? Mitsos - Non ti è rimasto neanche un filo di vergogna? Si fanno queste cose? Arghiris - Parla testa di rapa! Mitsos -Ahi!. .. Oh!. .. Ahi!. .. Lascia, allenta un po', mi. .. (Tossisce, arrossisce) oh Arghiris ... Arghiris non mi stringere, ... non mi stringere, (Soffocato) non hai neanche un po' di vergogna? Arghiris - Parla-parla! (Lo ha stretto forte) Parla, non ti lascio, vomita, vomita, vecchiaccio, vomita, che credevi che non sarei cresciuto? Mitsos - Ahi!. .. Oh!. .. Ahi!. .. Mori ... rò ... schiatto ... crepo ... Glika - Lo farai crepare così, ehi! (Urla, Arghiris lo ha in pugno, immobile, a terra) Arghiris - Parla qui, ora, parla-parla!!! Glika - Tribunale! Mitsos portalo in tribunale! Arghiris - Devi parlare adesso, figlio di un cane, cosa è successo allora? Glika terrorizzata in un angolo, va a liberarlo dalla presa. Mitsos - Ahi!. .. Oh!. .. Ah!. .. Arghiris - (La scaccia via) Via di qui cagna!. .. Mitsos sempre a terra, grande pausa. Merlo indiano - Paolo ... Arghiris dà un calcio a Glika. Arghiris - Qui, qui, ti terrò qui. .. finché non crepi, finché non inizi a parlare ... (Lo tiene immobile nella sua presa senza che nessuno parli, pausa abbastanza lunga, di tanto in tanto lo stringe di più) Mmm! (Contemporaneamente Mitsos si lamenta, Glika scappa verso la porta, Arghiris la blocca continuando a tenere sempre Mitsos, lei si siede sul divano e guarda inerte la scena) Parla ... o ti farò mangiare fango ... stracciona ... parla!.. lmprowisamente una crisi isterica di Glika che inizia a battere i piedi sul pavimento. Glika -Aaa!. .. Aaaa!. .. Aaaa!. .. (Piange) Ti sta suicidando, Mitsuccio ... Arghiris - (Lo stringe di più) Parla! ... O ti faccio diventare scemo ... Mitsos - Ah!. .. Oh!. .. Ah!. .. Arghiris - Di', parla, o ti dà un pugno che ti faccio inghiottire pure l'anello, ti faccio secco. Glika - Lascialo andare a Mitsos ... lascialo ... Arghiris - Parla avanti. .. (Si calma un po, o parli o ti stacco ... la testa di caprone che hai. .. ti faccio diventare handicappato, di' qualcosa su. Mitsos - Faceva cose strane ... possono mai venirmi in mente le cose così, che mi piombi improwisamente di sopra, al tuo vecchio, ahi!. .. oh!. .. ahi!. .. lascia stare, ma che mi fai ora lì? (Ha dolore) me ne stai facendo una nuova? Arghiris - (Cambia la presa) Ti farò sputare sangue, sai chi sono io? Qual è il mio nome? Baniàs! ... (Lo stringe ancor di più) Baniàs!. .. Baniàs!!! Mitsos - Figlio di Mitsos, oh!. .. Ah!. .. Oh!. .. Baniàs anch'io sono! ... (Si lamenta per la pressione su di lw) Arghiris - Parli? Glika - Perché ti awenti su Mitsos ... ehi! Mitsos non

glielo permettere di. .. dagliele sulle palle ... Arghiris - Vecchio, te l'ho chiesto già un'altra volta ... (Mitsos cerca di sfuggirg/J) Stai qui, qui devi stare, c'è stata un'altra volta che te l'avevo chiesto e tu ... (Glika lo disturba) vattene di qui bella! - e tu hai svicolato, va bene, ma questa volta non è possibile ... vieni, su, fatti più in là, non ... rogna! (Glika gli sputa da lontano, gli fa un gesto di insulto col dito medio sollevato) lo voglio sapere, sapere, conoscere, capisci adesso? vattene vecchia scopa!. .. Mitsos - Che possa io essere impiccato all'albero di Giuda se mi ricordo qualcosa! Allenta un po' ... Arghiris lo lascia, Mitsos si massaggia il collo che gli fa male. Glika - Gli hai fatto male, gli fai male, perché lo tratti così? (Va da Mitsos con affetto) Mio sultano! Quella lì è stata che ti ha buttato via nel ... lì dentro e se ne è andata ... il mio piccolo Mitsos ... perché non glielo dici, bimbo mio, d'andare al diavolo, di lasciarci stare? Mitsos - Diglielo tu che le dici ... che ce le hai belle e pronte le parole in bocca ... Arghiris - Le voglio di prima mano, da te! Mitsos - lo ... io ... la presero e lei scappò portandoti con sé. Glika - Ha tagliato la corda, capisci? Mitsos - Non ce la passiamo bene pure così? Ti taglia un po' di salame e ci dimentichiamo ogni cosa ... che ne devo sapere io dopo tanti anni! Glika - Guerre, fame, fai la somma ... Arghiris - Tu ti ricordi ma non parli. .. ricordi. .. (Apre la mano) Mitsos - Non ci pensare. Arghiris - Ah, testaccia dura di un vecchio ... (Lo tira a sé) ti raddrizzerò le costole! Mitsos - lo ... non ho mai sposato tua madre e tutto il resto ... (Tossisce, arrossisce, Arghiris lo tira a sé e lo spinge) Glika - Se ricordava, non avrebbe ... che lo strattoni a fare, così, non vedi che è uno straccio? Mitsos - Noi neanche avevamo da mangiare e improwisamente la signora tua madre, ecco che è incinta .. . la terra non mi deve accogliere se ... Glika - Hai capito? Mitsos - Hai capito? Sul sole che vedo ... proprio quando io ero giovane, mi segui? ... (Tossisce, si prende fra le mani il collo che gli fa male) Vuoi vedere che mi hai fatto un guaio? ... mi gira la testa ... qui nel. .. che hai fatto? Una cosa l'hai combinata ... (Si prende la testa fra le mani) Arghiris - Continua, continua ... Mitsos - Che avevo ... giovane com'ero, quando ero, Fotis mio, Arghiris voglio dire ... Arghiris - Mi hai rotto, continua ... Mitsos -Al paese non ce n'erano donne, neanche nei locali. .. non c'erano neanche strade, c'erano solo capre lì ... molte, Arghiris, e polli, mi comprendi? .. . facevamo una vita castigata, vermi sotto le pietre .. . Arghiris - Lascia stare i polli e spiega ... Mitsos - Dunque io, devi sapere, che non ho colpa di niente, volevo fare il prete, volevo andare, mi capisci, indossare il mio abito scuro ... mi piaceva così tanto vivere religiosamente ... ne avevo voglia, tua madre s'ammalò di nervi. .. e se la vennero a prendere, venne un dottore alto e se la portò ... erano in due, lei li prendeva a calci e loro la spingevano in un .. . e lei non voleva ... capisci, andare ... e dai la spingevano e scivolavano sulla neve ... su questa ... sulla neve ... le


T ES TI misero ... nevicava senza pietà ... e la vestirono di bianco, pareva un abito da sposa e lottavano con lei e lei lo morse quello lungo sull'orecchio, lo morse e il sangue scorreva sul ... sulla blusa e ridevano ... il sangue scorreva sulla blusa bianca ... e tutti a ridere e il sangue sull'orecchio ... cercavano l'orecchio nella neve, anche il poliziotto cercava, io guardavo solo tua madre ... tua madre guardavo che la spingevano ... e le mettevano una camicia ... e la colpiva e non si muoveva più nella piazza ... le mani. .. non aveva mani completamente ... non le aveva e non si muoveva ... però guardava molto, molto guardava, ridevano in paese e li guardava, tutti ridevano, anche zi' Tano rideva molto ... e tua madre rideva, incinta la presero, la trascinavano, si ... Arghiris - Dove l'hanno portata? Glika - Verso giù nel. .. eh? (A Mitsos) Mitsos - Giù al porticciolo, dove finisce la neve ... lungo la strada che scende giù la trascinavano, la misero in una barca, la portarono, era una barca per la pesca e la presero incinta che ... incinta ... Arghiris - La portarono all'ospedale? Mitsos - lo ero in piazza e tutti correvano, anche io .. . correvano dietro a Catina ... anche i ragazzi ... tua madre, mi capisci ... anche il prete era dietro di lei e gridavo e non facevo altro che gridare al Presidente della comunità, a quelli che la trascinavano via ... (Grida in modo straziante, piange, ricorda la scena) Katinaaaa! ... Katinaaaa! ... Katinaaaa! ... Ti bacio sul muso ... sul muso Katina ... Ed ero solo sotto la quercia e gridavo ... sul muso, sul muso ... Dopo, tutto bianco, Arghiris, da quel momento in poi non so più niente, mi capisci. .. tutto bianco ... (Pausa) sino a che non finisce il porticciolo ... bianco qui dentro tutto ... (Indica la sua testa con tutte e due le man,) Glika - Non si sono sposati ... Arghiris - Così è andata? Mitsos - Te lo giuro. Arghiris - Aveva niente? Mitsos - Mmm! ... lo, vacci a capire, con la testa che aveva, capisci, un po' pazza ... Glika - S'è persa ... Mitsos - I ragazzi trovarono le sue scarpe nella neve ... con dentro l'orecchio sporco del dottore ... il giorno dopo lo trovarono, mentre stavano giocando ... di sera. Arghiris - Era da molto tempo così? Mitsos - Quando qua non c'è niente ... (Picchia sulla testa con l'indice) Glika - Hai capito il concetto? Non si erano sposati. .. Mitsos - lo Arghiris mio ce l'avevo i soldi per le cose belle, per sentire il prete che cantava, ma tua madre, Katina, che le prendevano i suoi attacchi improvvisamente, e mi maltrattava ... dopo ... (Tenta di ricordare, offre una sigaretta, Arghiris tira fuori i sigari, Glika gliene prende uno, gli fa la svolta, lo insaliva) Mitsos - Contava le icone mi capisci? ... le metteva sul. .. sul tavolo e le contava tutto il giorno ... Arghiris - Hai finito? Non c'è altro? Glika - Le contava ... Mitsos - Fino a che non si addormentava le metteva giù e le contava, non mi viene in mente null'altro, la testa mi ronza ... così ... una cosa sola ... non mi ricordo altro ... un ronzio che ronza ... mi è venuto il mal di testa ... Glika - Non gli viene in mente altro, se ne parla domani, poveraccio ...

Arghiris - Dunque? Mitsos - Dunque ... cosa dunque? Cosa dunque? Vado e torno ... ho ... (Si afferra la pancia) dopo sono andato via e mi sono trasferito qui giù ... ho fatto il guardiano notturno poi, e non ne ho saputo niente ... tu poi eri, ti hanno lasciato, come si dice Glika, lì al. .. dillo! Glika - Istituto, al ... a quello ... non mi viene il nome, all'istituto, sì ... Mitsos - Ecco questo! .. . Noi Arghiris mio, tua madre sì è persa, non se ne è saputo più niente, non l'ho più rivista ... ho incontrato Glika nell'immondizia e abbiamo detto ... te l'ho scritto, Katina morì l'abbiamo saputo dopo, all'ospizio dei poveri. .. Glika - Facciamoci una casetta, abbiamo detto ... Mitsos - Troviamoci un lavoro, qualcosa per sopravvivere .. . Arghiris - Era ... che aveva? Mitsos - Noi Arghiris mio ... la vita ... ci ha dato colpi a tradimento ... Glika - Ci ha lasciati a bocca asciutta .. . noi ... Mitsos ... siamo concime per la vigna .. . Mitsos - Per te non esistevo, lo so .. . ma da ora in poi sarò come un leone, cero acceso nella pioggia ... io ... (Si prende il collo che gli duole ancora) mannaggia a te ma che mano hai? Faccio così e non gira, ma che hai fatto qui? ... (Confidenzialmente) Glika - Fallo dall'altra parte e giralo ... (Mitsos cerca con le mani di girare la testa) Dall'altra parte ... (Lo aiuta) Fermo, al contrario! ... Mitsos -Ahi!. .. Oh! ... Ahi!... No ... non ... lascia, lascia stare, oh!. .. ah!. .. oh!. .. Ahi-ahi ... ma guarda che ci va a capitare, giusto nei giorni di Natale! Glika - Ecco! ... ecco! ... Hai sentito il crac? Ahi, ahi! Arghiris - Me ne vado, dimentica ciò che è accaduto, consideralo un errore, ok? Lascia, lascia, te lo massaggio io ... (Gli massaggia il collo) Hai ... ma che hai? che sei malato? Che hai? Mitsos - Oh! .. . Ahi! ... Oh!... te lo abbiamo nascosto per non affligerti. .. Arghiris - Fermo lì ... Mitsos - Basta, basta, peggiori la situazione ... Arghiris - Ho sbagliato, ripeto ... Mitsos - Qui sull'osso c'è del rosso .. . Arghiris - (Guarda) Non c'è niente .. . Mitsos - Figurati che mi fa male ... Arghiris - Ti ho detto scusa ... Mitsos - D'altra parte non mi hai ucciso ... (Si porta a/l'orecchio entrambi gli orologi e li ascolta) Arghiris - Va bene, non hai niente, sei un legno duro, vecchio mio ... Domenica verrò per una passeggiata ... siete ad Exarchia, no? Mitsos - Puoi stare quanti giorni ti fa piacere, qui! Mettiamo la branda ... Sono tuo padre, ci ritroveremo a poco a poco, lo vedi, che ne pensi? ... Glika ... mangerai le sue polpettine ... hai una bella paga lì dove sei, schioccano le monete, eh? Arghiris - Siamo entrati nel corpo per mollare qualche ceffone, così, legalmente, commettiamo comodamente le nostre infrazioni. .. Mitsos - Hai anche la tredicesima, eccetera? Arghiris - (È sulla porta, sta per uscire) Stronzate ... (Esce, chiude la porta) Glika - Toglierà le spranghe alla finestra ... Mitsos - Così si vedrà un po' di verde anche da dentro (Pausa) Era così, mi pare ... Glika - Ho paura Mitsos .. . questo qui ti distrugge ...

Il merlo indiano fischia. Mitsos - Come prima volta, non è stata una brutta spiegazione eh? .. . Glika - Ho paura .. . Mitsos - Strano che non abbia tirato fuori la pistola per scaricarmela addosso, eh? Glika - Visto come se n'è andato ... come è venuto ... ho paura ... Mitsos - Visto che non ho avuto i mezzi per crescerlo ... Glika - Non ci ha creduto ... Mitsos - Mi è sembrato un estraneo ... (Si prende la testa, si lamenta) Pensi che ci sarà il finimondo? Qui, così, sento un ... un peso come se mi preme ... e io lo dicevo speriamo che non mi capita niente adesso, in questi giorni, che sono giorni tristi ... Glika - Se si disturberà a tornare, parole chiare ... non avevi motivo e l'hai lasciata lì dove la avevano portata, che era anche lontano, noi ... Arghiris batte di nuovo alla porta, Mitsos e Glika si fermano, si guardano significativamente negli occhi. Mitsos - Sss! ... Sss!. .. · Colpi alla porta. Arghiris - Sono di nuovo io ... , ho dimenticato la sacca (Pausa, cenni tra Mitsos e Glika) Sono Arghiris, apri, ho dimenticato la sacca ... Glika - Ormai siamo già andati a letto .. . Mitsos - Siamo a letto, Arghiris chi? .. . Arghiris - Avanti adesso, apri là dentro, ho premura ... Glika - Siamo ... vieni domani. .. vieni domani mattina ... Arghiris - Su avanti, due minuti, apri. (Batte più violentemente, con calci) Mitsos - La sacca ... ma io non vedo niente ... Arghiris - Non può essere .. . Glika va a prendere la sacca. Mitsos - Sì, ecco, l'abbiamo trovata ... Glika - Trovata (Apre un po' la porta, vediamo la mano di Arghiris che prende la sacca, Mitsos accanto la porta) Mitsos - Non facciamo che non vieni? ... metteremo una branda .. . Arghiris se ne va e chiude la porta, Mitsos si siede da qualche parte e piange silenziosamente, piano senza voler farsi vedere dal pubblico, mentre Glika si sdraia in un angolo, si accende un mozzicone di sigaretta. Merlo indiano - Paolo ... Si sentono cantilene natalizie provenire da molto lontano. Glika - Non devi piangere, mi ascolti? Le luci si spengono piano piano.

Fi.ne Pri.ma Parte

Seconda Parte Primo Quadro Alcuni giorni dopo, mese di gennaio, mezzogiorno, fa molto freddo. Arghiris con un legno acceso cerca di dare fuoco alla trappola per topi che sta sul tavolo e che ha un topo dentro, è vestito con l'uniforme da poliziotto, senza il cappello, la pistola ecc. Anna, la sua ragazza, ventisette anni circa, bionda, popolana, zoppica leggermente, cicciotella, sciocchina e sensibi-

lii


T ES T I le. È seduta sulla punta del letto, di spalle, non vede l'azione di Arghiris. L'azione è già iniziata quando si accendono le luci. Arghiris - Sei stato sfortunato, amico ... vedrai adesso che divertimento, a voglia di provarci. .. qui, qui guarda, guarda quando si dice un bello spettacolo, non appena lo awicini strilla l'amico (Risate) all'orfanotrofio, bellezza mia .. . Anna - Ammazzalo ... (Chiude gli occhi e le orecchie con le man,) ammazzalo, non posso continuare a vederti. .. lascialo, lascialo andare vivo .. . Arghiris - Se mi dai un secchio, sai il divertimento ... (Al topo) fermo qui tu!. .. All'istituto li mettevamo in una brocca con il livello dell'acqua che gli arrivava, così, appena appena alla testa, da qui in su, eh? ... Avresti dovuto vedere che risate! ... Non appena il giorno dopo aprivamo gli occhi, paf! Andavamo a vedere ciò che ne rimaneva (Al topo) Brucerai amico, è inutile che hai fretta, vedrai, guarda-guarda-guarda la coda ha preso fuoco, vieni a vedere che ti perdi, ti perdi lo spettacolo ti dico ... (Anna sconvolta con le mani sul viso non guarda) Andavamo a vedere se avevano superato la notte ... tu piccola che dici? Erano rimasti in vita? Su, avanti, piccola, di', vivevano o erano morti? ... Ci si brucerà pure il pezzo di legno ... Vivevano, ti dico! Anna - Non so, sì... no, sì... non lo voglio sapere ... (Molto sconvolta) Arghiris - Sino a tre giorni potevano resistere i fottuti ... parliamo di quelli grandi eh? ... quelli che .. . e lì dovevi vedere le scommesse, seriamente mica per scherzo, la maggior parte di noi lo faceva solo ... per un po' di spiccioli. Anna - Speriamo che ti arrivi la promozione che stai aspettando, ti prego su ciò che ami, basta. Arghiris - ... «il topo di chi affogherà per ultimo?» e via a sfidare la sorte, vuoi vedere amore mio che cosa ti combina il tuo genietto? ... È.. . sai che scaltrezza? ... ti sei bruciacchiato i baffetti .. . Anna - No-no-no, ti prego, la testa mi ronza, no, lascia, lascia il povero animale in pace, ti prego, lo tormenti, non posso .. . (Urla in modo soffocato) Affogalo, soffocalo! Dio mio, che mi succede? Cos'ho? ... (Gli si awicina, lo abbraccia supplichevole) che finisca questo supplizio ... ti prego Arghiris mio, fammi il piacere .. . mi fanno schifo i topi, soffocalo ti prego, mi fa schifo (Piange) non è altro che portatore di malattie, è... (Sputa) Arghiris - Brucerai amico, (Con un tralcio di vite acceso) lo so, io dò dispiaceri, è tutta questione di abitudine ... io un tempo neanche ne sentivo parlare di topi ... (Va fuori con il pezzo di legno acceso) Non lo lasciare andare perché sennò ne avremo guai, eh? (Torna con un secchio che ha dentro il legno spento) lo dicevo tanto per scherzare, dolcezza mia, ma se non vuoi .. . affogherà l'amico ... vuoi venire a vedere come fa? ... Glu!glu! glu!. .. e gli esce qualcosa dal. .. dal. .. qualcosa come questo qua ... bianco ... e dopo capriola e fine. Anna - Ti prego non mi parlare, fa quello che vuoi, ma non mi dire niente ... (Conati di vomito) Arghiris - Se lo vedi una volta sola è come se lo vedessi cento volte, se lo vedi cento volte è come se lo vedessi. .. sai quanti ce ne sono qui dentro, tutti grigi (Prende la trappola, la immerge nel secchio, si awicina ad Anna, la abbraccia e tenta di baciarla) Avanti su, come puoi voler fare gli esami all'aviazione,

Il

non ti rendi conto che col paracadute ti butti sui campi, eh, dove ci sono ratti enormi, eh?! su via .. . lagnosa che non sei altro ... (Guarda il secchio) lotta ancora, vuoi dare un'occhiata? (Con il legno preme la trappola nel secchio, mentre con l'altra mano abbraccia Anna) vieni qua, perché piangi, è solo un topo, cos'è un ... che anima può avere un topo? (L'accarezza) non ti avevo detto che non voglio ... (Pigia la trappola nell'acqua) dentro tu! ... non mi piace quando piangi. .. fra poco il tuo ragazzo lo farà fuori ... avanti su non piangere che mi fai soffrire. (Guarda dentro il secchio) oh finalmente ... ecco! ... una bolla ... è finita! .. . (Anna scoppia in un pianto isterico, guarda nel secchio) Avanti, ancora un capitombolo ... capitombolo ... bravooo!. .. Vuoi vedere ... questo sei. .. smettila adesso, abbiamo finito .. . veramente devo dire che respira ancora (Si innervosisce) Avanti ora smettila, cosina come ti chiami, abbiamo detto stop alle tue delicatezze e a tutte le altre fisime ... la porti per le lunghe mi sembra, non credi? Allora noi che siamo, non abbiamo un'anima noi? Sai quante cose accadono nel mondo, ti sei andata a fissare proprio col topo? (Piccola pausa, si aggiusta i capelli) Senti, lo porti fuori il secchio e ci fumiamo una sigaretta? (Porta fuori il secchio) Siamo passati da tanti istituti eppure ... continuiamo ad essere sensibili (Torna dopo un attimo, è esausto, le si awicina) si era gonfiato e non riusciva ad uscire, me lo dai un bacetto? ... Avanti un bacio, su un bacetto, su un bacio, non mi costringere ad ottenerlo con la forza .. . (La abbraccia, così com'è sul letto) Anna - Lasciami, lasciami, non voglio ... (Si ritrae) non mi tirare, ti prego ... (piange silenziosamente) Arghiris - Mi arrabbio, ehi!. .. È successo qualcosa? ... Anna - Niente, va bene, non voglio, lasciami. .. lasciami, non voglio ... Arghiris - Non mi dire ora che .. . il topo e tutto il resto, avanti su, parla ... Anna - Che cos'altro hai imparato all'istituto, eh? Cosa ti hanno insegnato? (Timidamente) Arghiris - Che è 'sto discorso, ora? Anna - Voglio dire ... Arghiris - Su, parla, tira fuori il rospo ... Anna - Lì, in quel cavolo di istituto ... Arghiris - Che mi fai l'interrogatorio? Scavi? Cosa indaghi? Certe cose non si dicono ... cioè si dicono, ma ... Anna - Non si dice cosa? Arghiris - Hmm!. .. sai benissimo cosa succedeva là dentro, lasciami stare allora. (Passeggia su e giù) Ci inculavamo come pazzi, va bene, lasciami allora .. . ci pestavano di legnate ... cose dure, neanche un nome avevamo ... (Pausa) Sai come mi chiamavano, che nome avevo lì dentro? Mmm! Trapano!. .. (Si accende una sigaretta, pensa) trapano!!!. .. «Trapano, al telefono!» ... sai che cosa fa un trapano, questo strumento qua, lasciami stare!. .. Scavi, indaghi, ti perderai, io, questo qui che ti ritrovi davanti così ... senza che ... sai quante legnate mi sono buscato? Va bene, ho dato anch'io qualche pugno, e allora? Mi sono stordito di legnate, capisci? Stordito! ... Lo vedi questo? (Le mostra il fianco) Quale pallone e pallone! Ti ho detto una stronzata (Anna non guarda) È stata una fune metallica, eh, e questo qua lo vedi? dico, una spranga di ferro ... sai che una notte mi hanno legato testa a testa con un morto? E ci dobbiamo fermare su un

topo? Smettila con le fisime ora ... Anna - Sei stato anche in prigione ... Arghiris - Te l'ho detto, me l'hai già chiesto a Glifada, e ti avevo risposto no ... neanche un momento potrei starci lì dentro io ... (Prende il legno del topo e inizia a fare piccoli passi sul posto). Lì avresti dovuto essere e vedere, che minchiate, alle cinque del mattino in piedi, pare che dovevamo andare in gita, froci. .. Attenti-Riposo .. . Attenti-Riposo .. . stronzi. .. (Alza la voce e i passi sul posto si fanno più veloci) Stronzo, attenti-riposo, attenti-riposo, ehi-hop!... ehi-hop!. .. ehihop!. .. ehi-hop!. .. ehi-hop!. .. ehi-hop!. .. (Ride forte fra le lacrime, crisi mentre da lontano sentiamo piano il coro natalizio di bambini) Ehi-hop! .. . attenti-riposo ... attenti-riposo ... Riposo, stronzo ... stronzo-stronzostronzo eh sì, sono stronzo, stronzo patentato, stronzo eh, stronzo!. .. (Forti risate mentre fa di fretta dei passi sul posto e intorno a se stesso, istericamente sino a che sfinito non cade a terra, pausa) Venivano a prendersi i bambini per l'adozione, all'istituto, signori tutto in regola, e si vedeva che erano omosessuali. .. Froci, con rispetto parlando .. . (Quasi piange, si alza, va al letto di Mitsos, si distende mani e piedi aperti, pausa) Sai che vita agiata! non si scherza ... Chi non ci è passato, è ancora ai Plasmon ... Piangi? Abbiamo perso la nostra identità, capisci? Il nostro cervello s'è perso dentro il cuscino, che fai piangi? Anna- No. (Si pulisce gli occhi) Arghiris - Okay .. . Anna - Ho paura .. . Arghiris - Mmm! ... (Risatina) hai paura .. . ma di che hai paura, vieni qua ... se ci sono io nessuno deve aver paura, di niente ... (Pausa) vieni qua, hai sentito che ho detto? Anna - Lasciami stare, che vuoi? Arghiris - Prendila ... portala qua .. . (Indica la rivoltella che sta da qualche parte) Anna - Non posso ... Arghiris - Parlo una volta sola e basta, ok? Anna - Non posso ... non posso ... Arghiris - Prendila e vieni qua, dico, sennò mi alzo io ... Anna prende timidamente e maldestramente la pistola come se prendesse un topo dalla coda. Anna - Prego ... (La lascia sul letto) Arghiris - Siediti qua, ok ma non così, così brava!. .. Ecco, da brava, calmati, lasciati andare, è tutto semplice .. . Anna - Ecco, mi sono seduta, prego ... Lui le dà la pistola. Arghiris - Prendila, non morde mica ... bang ... bang!. .. (La spaventa, risate forti e improwise di Arghiris, lascia andare Anna sul letto) Anna - Aah!. .. Ah!. .. Arghiris - Siedi qua, (Ride) di che hai paura, piccolina? Anna - Questi sono scherzi ... Arghiris - Li fotterò tutti ... (Con la pistola in mano, fa finta di tirare uno, due colpi) tutti. .. Anna si terrorizza. Anna - Che dici? Arghiris - Qualsiasi cosa accada ... Anna - Che deve accadere? Arghiris - Mmm!. .. Niente, che vuoi che accada? (È disteso a pancia in su, ricorda a bassa voce, la musica del coro dei bambini si sente da lontano) Ehihop!. .. ehi-hop!. .. ehi-hop!. ..


T ES T I Anna - Me ne devo andare ... Arghiris - (Non la sente) Ehi-hop!. .. Attenti-riposo stronzo ... riposo ... stronzo-stronzo-stronzo ... (Le mani nel cuscino) Abracadabra sta attento a non farti beccare dalle camionette della polizia ... le conosci le camionette della polizia? ... comunque! .. . Anna - Devo andare: .. Arghiris - Avete eseguito l'ordine, i tuoi occhi ne vedranno di legnate .. . Anna -All'istituto? .. . Arghiris - Ci svegliavamo fra i vomiti ... (L'accarezza, fa per abbracciarla, ma lei tenta dolcemente di sfuggirgl!) Anna - Non adesso, non qui. ... può improwisamente ... Arghiris - Ma stiamo insieme o no? Giusto per sapere anch'io come comportarmi, sai, con tutti questi tuoi capricci. .. Anna - Eh!. .. Sì, stiamo insieme ... che ne so io? ... Non posso nel. .. qui. .. (Intende il letto di Mitsos) su, lasciami. .. (La infastidisce) Arghiris - A casa di Blassi ci sentono, qui ti fa schifo, è un mese e mezzo che ripeti questa scenetta, in macchina i sedili sono stretti, ma dove dobbiamo andare a finire? Che cosa siamo? Anna - S'è fatto tardi, ormai il tempo è passato ... Arghiris - Ce l'ha fregato il topo, ok. Anna - Che ore sono? Arghiris - Va bene, va bene, ce ne andiamo ... Merda ... andiamo da Blassi, a casa sua ... ragazzo d'oro, che si fa avanti a furia di dar legnate ... dopo ogni legnata che suona nell'ufficio, si pulisce le ascelle con la birra. Passiamo a farci dare la chiave ... ti va l'idea? Anna - Ma se è tardi!. .. (Gli mostra l'orologio) Domani avrò più tempo e ci metteremo d'accordo per stare insieme ... Arghiris - Accendiamo anche lo stereo ... Anna - Ti ho detto domani. .. Arghiris - Guarda che ho qui per te. (Tira fuori dç1lla tasca una guida turistica) Appena mi posso prendere una licenza, via! Ce ne andiamo ... in cuccetta, bellissimo (Gliela dà, lei non la prende) Leggi. .. (Legge lui stesso) Soggiorno indimenticabile a Maiorca, qui ci sono queste cose ... date ... (Mormora) Barcellona ... Partenze eccetera ... gita di un giorno a... a... (Gira pagina) Anna -Andiamo, non voglio ... Arghiris - Florida vegetazione ... (Legge mormorando) lmprowisi cambiamenti di paesaggio .. . ah, ma non hai ambizioni tu ... spiagge meravigliose .. . così che quando torneremo ad Atene, schiferai il giorno che sei nata. Anna - Non so nuotare ... Arghiris - Voliamo a Toledo allora, ti piace Toledo? E lì un bel pullman ... (Si ferma improwisamente e guarda in un angolo) Ehi, ma c'è un topo qua dentro ... Deciditi! E che ti frega del lavoro? Anna - Tutti quei soldi! Arghiris - Quello è il tuo problema? ... sei. .. Anna - Andiamo, ne parliamo lungo la strada, andiamo, dai, sei un bravo ragazzo. Arghiris - Il danno l'hai fatto, lo sai? Anna - Quale danno? Arghiris - E che siamo fatti di ferro? ci pressano di lavoro in ufficio, e ci opprimete anche voi. .. Anna - Hai detto che andavamo via, su, se non lo tra-

viamo ce ne andiamo. Arghiris - Hai capito il vecchiaccio? Anna - C'è puzza ovunque qui dentro ... (Va dal merlo indiano, lo guarda) Arghiris - Dice qualche parola, eh? (Va dall'uccello) Parla, su ... sennò ti taglio il becco ... Anna - Su-su ... (Lo tira per andare via, prende il cappello di Arghiris, lo guarda) Arghiris - Ma perché fai così piccolina mia, a momenti saranno qui, ti dico (Guarda l'orologio) se non vengono entro le ... ecco sino a che la lancetta arriva qui, ok? Lascia, portalo qua questo! ... Ti dispiace che sono un poliziotto? Mettitelo un po', visto che non fai altro che guardarlo ... mettitelo, vediamo, ti sta? La gente ci evita ... Anna - Ma se ti piace il tuo mestiere ... dai adesso andiamo ... Arghiris - Sono entrato nel corpo come un turista, che so io? Mi piacque ... Se non hai anche un po' di. .. Sai che vuol dire avere una Smith Wesson che ti rigonfia i pantaloni e la gente che ti ammira ... è anche questo un lavoro facile ... Anna - Sì, certo. (Sperduta) Arghiris - Lo sai che la gente ci emargina ... Anna - Mmm!. .. Sì, ne abbiamo parlato .. . Arghiris - Il nostro comandante l'ha detto ... il corpo ... svolgiamo un servizio, dice ... come quello del dottore, dell'awocato, anche se siamo analfabeti. .. Domeniche, giornate festive, e noi lì presenti, presenti ... (Va a fare la pipì nel lavandino) neanche un grazie, niente, per questo poi noi picchiamo, e picchiamo ... noi invecchiamo e gli altri picchiano i più giovani e poi va dicendo che il nostro compito è quello di picchiare legalmente sotto ogni tipo di governo ... il nostro corpo ci dà la possibilità di stare tranquilli ... noi siamo una forza, dice il comandante ... possiamo ridurre in poltiglia chi vogliamo, così, senza motivo!!!.. Anna - Perché? Arghiris - Non c'è un perché, quale perché? Anna - Guarda che quello si metterà a gridare e a chiedermi dove sono stata, incomincerà ad indagare dove sono stata eccetera ... Lascia stare ora, andiamo, ti prego ... Arghiris - Va bene, andiamo, piccola mia, perché fai così, al diavolo quel vecchio stronzo di tuo padre ... Anna - Sarà ritto con l'orologio in mano ... Arghiris - Non ti fottiamo mica ... e che siamo in Persia? Anna - Voleva portarmi, pura e immacolata, in chiesa ... Arghiris - Dawero? (Ride) · Anna - Mi ha portato dal dottore per vedere se ero ancora vergine ... da qui in su fa quello che vuoi, mi dice, (Indica) ma se questa ... Arghiris - T'ammazza, no? Anna - Nel suo ufficio ... tirerà fuori la pistola ... Arghiris - E bang-bang-bang ... (Ride molto) Abbiamo riso di nuovo di cuore ... Anna - Quando io piango, lui russa. Arghiris - Vecchie teste, per questo rido ... io comunque ... forse gli piacerebbe a lui, sai, vedi un po' se è giusta la mia idea, stendi le tue mutandine sul termosifone e poi ti dirò ... Anna - Ma sei pazzo? Arghiris - Noi, in quanto poliziotti, vediamo le cose con un altro occhio ... capito? Da un altro punto di vista ...

Anna - Ma che stai dicendo? ... Arghiris - Quando vede le tue mutandine stese sul termosifone, le gira dall'altro lato per farle asciugare? Anna - Dai, smettila, che sono queste cose? Ma che stai dicendo? Arghiris - La mia opinione. Anna - Mi ha fatto che era grande, è di diciassette anni più grande di mia madre ... Arghiris -Appunto ti dico ... la sera viene nella tua stanza, così, tanto per darti la buonanotte? Anna - Mmm!. .. Sì. .. qualche volta ... Arghiris - Si ferma per niente facendo finta che ti vuole bene? ... Ti ha mai chiesto che numero di reggiseno porti, così solo per amore paterno? Anna - Non so, non ... non ci ho fatto caso ... forse ... Arghiris - Facci caso, perché se la porta per le lunghe e non se ne va ... Ss!!! (Tende l'orecchio) Forse vuole essere lui il primo, perché lo escludi? (Nervoso) dobbiamo aspettare lui per... Anna - Che ti devo dire? Che ne so .. . Arghiris - Che vuol dire che ne so? ... dici sul serio? ... che siamo studentelli? ... abbiamo i nostri bisogni, cara mia, non siamo ... Anna - Ti prego calmati. .. Arghiris - Perché che è innaturale? Cosa chiediamo? Chiedo? Non ne possiamo più, perché non ti decidi, dolcezza mia, e la smetti di pormi limiti? ... in Europa ... ecco perché non andiamo avanti. .. in Europa .. . Anna - Aspetta che se ne va a Karditsa .. . Arghiris - Ma se se n'è andato! Non se n'è andato? non ha pure preparato la casa? Cerca di sondarlo!. .. Anna - Chiederò a mia madre di cercare di capirlo con le buone, se ne va via in gran segreto per evitare che noi possiamo organizzare qualcosa ... (Lo accarezza sulla testa) Ti prego, non essere così... Arghiris - Lascia stare, non ... che ci devo fare io coi baci? ... Tutto baci siamo noi due, non lo vedi che ... non si sviluppano le relazioni, che non va avanti. .. Anna - (Cerca di calmarlo) Non ti importa di me? Sta per andar via, lo sento parlare al telefono, certo, quando, non te lo so dire ... Arghiris - Va bene, lascialo partire e poi vediamo, il colmo sarebbe se parte lui e a me mi mettono di servizio ... al diavolo Karditsa e tutto quanto. (Piccola pausa) Togliti piccola mia almeno qualcosa da sopra ... (Fa per toglierle la camicetta) Anna - Lascia, no, la rompi, la tolgo da sola ... sento freddo ... (Arghiris prende da qualche parte un panno sporco di Glika) non fare scherzi, non buttarmelo addosso, solo la camicetta ti ho detto (Tenta di sbottonarla da dietro, l'aiuta) Dove s'è bloccata ora? Sbloccala, falla un po'... mi buscherò una polmonite. Arghiris - (La spinge sul letto, cerca di toglierle le scarpe) Lascia, non contrarre il piede, rilassati ... (Le toglie una scarpa) Anna - Non qui, un'altra volta ... Anna si toglie l'altra scarpa con il piede, voci da fuori, si voltano di scatto, Arghiris si mette la giacca, Anna la camicetta e le scarpe, panico, si aggiusta i capelli. Arghiris - Proprio sul più bello! Sono arrivati, lascia, è rimandato, abbottonati, mettiti la camicetta ... Anna - Te lo dicevo io, il fermaglio, lo vedi? L'avevo qui. .. Arghiris - Eccolo, che ne so io ... è... lo metti? ... Anna - L'ho messo al contrario .. . Arghiris - Non importa adesso, non si vede, il

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T ES T I vecchiaccio, mannaggia, sistemati un po', fai un po' ... ma guarda tu! Così volano. (Da fuori sentiamo le voci di Glika e di Mitsos, dicono ingiurie, sentiamo rumore di bottiglie) Voce di Mitsos - Stai a sentire, amico ... Anna - È tutto a posto? Arghiris - Ok, sistema un po' lì ... ma guarda tu!. .. Anna - Non mi riesce, lo sapevo io ... Arghiris - Abbottona l'altro ... (Va a vedere dalla spioncino della porta) Sono fuori (Sentiamo Mitsos e Glika che dicono parolacce) Avremo altri cavoli amari, se ti vede il vecchio, non fare ... non ti muovere tu ... fa che ... fa finta che ti sistemi la borsa, le tue cose. Frastuoni fuori. Voce di Mitsos - Capisci, il tempo di andare e venire, e ci hanno fregato!. .. Arghiris - Più tranquilla, non capirà niente ... tutto semplice semplice. Voce di Glika - Scapestrato, mia rovina! Voce di Mitsos - Il tempo di andare e venire, il tempo di respirare, e abbiamo perso la carriola, correre, ma dove dovevamo correre? Mitsos e G/ika entrano, Gfika ha in mano un vaso di terracotta con una pianta secca, il fondo rotto e le radici morte, l'appoggia da qualche parte ed esce di nuovo velocemente, Mitsos porta anche lui qualcosa in mano, Glika indossa un vecchio e lungo cappotto, con il colletto di pelliccia, hanno entrambi delle mascherine sul viso. Voce di Glika - Tu-tu-tu! Catastrofe, è tutta colpa tua ... Mitsos - Uno con ... (Vede improvvisamente) Arghiris mio Arghiris, abbiamo perso la carriola, se la sono presa, è sparita ... il tempo di andare nello scantinato ... e fine dell'unico mezzo che avevamo per lavorare!!!.. perché di un mezzo si trattava, non si trattava di ... Arghiris - Che è successo? Mitsos - L'avevo detto, l'avevo detto, non l'avessi detto ... ce la ruberanno, abbiamo dei nemici, Arghiris mio, ci seguivano ... Arghiris - Anna ... (La presenta, Anna inclina la testa) Mitsos - Non guardare il nostro stato pietoso, guarda fuori, mi si sono piegate le ginocchia, siamo invecchiati, come faremo ad affrontare l'inverno senza carriola ... (Accenna a fuon) questa donna dunque, Arghiris mio, mi distruggerà ... (Va alla porta e la chiama) lo sai che domani ci sveglieremo senza carriola? ... Arghiris - Hai denunciato il fatto? Mitsos - Eh, la chiamarono ... e qualcuno le disse che le avrebbero dato un cappotto ... fine della carriola, un trucco ... un lavoretto ben architettato ... Glika entra con un grande sacco dove c'è il suo vecchio cappotto e lo appende da qualche parte, non si guarda intorno, manda al diavolo Arghiris credendo sia Mitsos, visto che sono vicini, quasi attaccati. Glika - Eccooo!!! ... Così ti ricorderai di me!!!. .. (Esce alla cieca) Mitsos - Ah, la sua mania dei cappotti!. .. ce ne ha uno con il colletto ... un altro con ... che ha qui e si chiude così. .. l'altro senza maniche ... la signora che ... che è fuori e che se ne stava cam-

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minando tranquilla ... Arghiris - Dove l'avevi? Mitsos - E dove dovevamo averla? ... al palazzo del re? Qui, in una piccola traversa, ricordo ... così. .. che si fermava ... Voce di Glika - Ridicolo! ... Arghiris - Hai chiesto lì intorno? Mitsos - Le cose non sono ... Anna - Non è che impediva il passaggio e l'hanno spostata più avanti? Mitsos - Dalle i cappotti, dalle ... Arghiris - Sei stato alla polizia? Mitsos - Sì che ci sono stato, merda, in quel covo di vipere!. .. Arghiris - A raccontare come sono andate le cose? Mitsos - Mi hanno dato, il comandante ... da bere mezzo litro di vino alla sua salute ... giocavano a backgammon. Anna - Andiamo ... andiamo ... Arghiris - Per ora siediti, qui abbiamo una questione in sospeso ... Mitsos - Che farò adesso? Me lo dici tu che devo fare? Tu che sei anche un funzionario di polizia? E che ... Arghiris - Si troverà ... Mitsos - Quella delinquente!. .. (Va alla porta e grida a Glika) Delinquente!!! (Chiude la porta, Anna esce) Voce di Glika - Dannato!!! Arghiris - Dove vai? Anna - Voglio vedere ... Arghiris - Non toccare niente. Mitsos - Dove l'hai trovata questa bella pupa? (In tono confidenziale) Arghiris - Sss!. .. Sss!. .. (Il dito sulla bocca) Mitsos - Non ho paura di te, e dimmi un po', signor mio, per quanto riguarda ... (Strofina tra loro indice e pollice per intendere il denaro) Arghiris - Sss!. .. Sss!. .. qualcosa si muove. Mitsos - Se ... (Particolarmente malizioso) i tuoi soldi mettili da parte ... il bel tempo non dura sempre un tempo ... fatti un libretto e metti e metti, mangia dai suoi soldi e metti i tuoi nel libretto ... dove l'hai trovata questa bella pupa? (Entra Anna interrompendo la discussione, improvvisamente si lamenta con /et) Ah la carriola mia, carina mia, la carriola ... mia ... la .. . mi possono piangere persino le mosche .. . Arghiris fa cenno ad Anna chiedendole cosa sta facendo fuori Glika. Anna - Fuma ... Mitsos - Non, non le parlare (Grida verso la porta) Stregaaa!!! Anna - Mi chiede chi sono. Mitsos - (Va vicino ad Anna) lo voglio, le mie richieste sono nipoti, mi piace prenderli a scapaccioni, e che questo ... tanto, mica ce li porteremo nella tomba i soldi!. .. Arghiris - Vecchio, ti sei più ricordato niente, da quell'ultima volta ... Mitsos - Sss! ... che deve dire la signorina qui? Arghiris - Niente, sa, sa qualche cosa .. . Mitsos - Colombella mia, io (ad Anna) ... ... sono il padre di Arghiris io, mi capisci, e qualsiasi cosa accada ... è tornato, è poliziotto, per andarcene via di qui, lo sai?

Arghiris - Ti sei ricordato niente? Mitsos - Ho molte cose, per questo, capisci, le stiamo raccogliendo ... e ce ne andiamo ... se non avessi. .. immagina un po' ... (Va a prendere un foglio di carta e glielo porge) ... perché dice che andremo in prigione con le manette ai polsi, tutti. .. Entra Glika, sta fumando un mozzicone di sigaretta, non guarda da nessuna parte, da un sacco di plastica estrae una bambola rotta, legge il foglio di carta. Arghiris - Dimitris Baniàs, Mmm!. .. (Borbotta) quanto ne abbiamo? ne abbiamo ... (Guarda l'orologio) Mitsos - Non mi muovo di un millimetro da qui!. .. dove sei tu ... conosci, ragazza mia, qualche trucchetto, da quando sono invecchiato, sta attenta a non invecchiare!!! Glika - Ci hanno mozzato le mani, ci hanno mozzato ... Arghiris - Ci penserò io a questo, lascia stare ... (Con indifferenza si infila il foglio di carta in tasca) Mitsos - Di' loro che ... tu sai parlare, capisci? (Ad Anna) come abbiamo detto che ti chiami? Anna - Anna ... Mitsos - lo, ragazza mia ... ho un regalo per te (Si avvicina alla scatoletta di conserva di granchi appesa al muro) ... al diavolo, al diavolo traditori, poi dite a me, io da qui non me ne vado, non me ne vado!. .. Glika - Ne daranno notizia alla televisione della carriola, bleu a righe bianche, e bleu anche il cuoio ... che arriva sino a questo qua di Mitsuccio ... Mitsos - Il mio collo!!! Arghiris - Se posso, mercoledì. .. Glika e Mitsos - (Lo dicono insieme) Qui vicino al. .. al. .. al dipartimento Mitsos - Più giù ... Glika - Appena finisce la discesa, giri e dopo dritto-dritto, sempre dritto fino al. .. al forno che vende pane, vedrai davanti a te un forno ... Mitsos - Vedrai un forno che dentro ha del pane ... la carriola di tuo padre ... perché un mezzo di lavoro .. . e aveva anche delle bandierine ... e una campanella, capisci? Glika - Dritto, sempre dritto, diritto e poi dritto Mitsos - Al forno, svolti ... Glika eMitsos - Superi il forno e giri ... (Parlano contemporaneamente) Mitsos - Lo superi e giri, hai capito ragazza mia? Anna - Ok, ok, abbiamo capito ... al forno e poi a sinistra ... Glika - Sempre dritto ... (Porta una fotografia) Ecco! ... Questa è la carriola, e questo è Mitsos che la porta con le sue mani. .. tuo padre. Arghiris - (La guarda) Vedremo!. .. (Ridà la fotografia a G/ika) Mitsos - Adesso sai quello che devi fare ... Anna - Arrivederci .. . (Esce di fretta) Mitsos - Quando vi disturberete di nuovo a venire? Arghiris - Sorpresa! (Esce) Mitsos e G/ika da soli - pausa - Mitsos prende una bottiglia che tiene nascosta sotto il letto, G/ika gli porge una ciotola. Glika - Versa ... Mitsos - Se non la trovo diventerò mendicante, povero e pazzo ...


T ES T I Glika - Non ti voglio mendicante ... Bevono, Mitsos guarda le carte nelle sue tasche, tira fuori anche il biglietto della lotteria che per poco non vinceva, glielo mostra. Mitsos - Li avremmo presi, i soldi, e buonanotte ... avremmo attraccato lontano, a Castellorizzo. Glika - Avremmo preso un cane ... Mitsos - A Castellorizzo ... Mi piace Castellorizzo, perché metteremmo i miei piedi nell'onda ... (Sogna) Plaf-pluf-plaf ... e appena è il tramonto ... (Pausa, beve) Non ci vuole molto, sai? ... ci vuole ... quello della lotteria l'ha detto, vincono prima gli altri e poi noi, a turno ... (Mette le carte e il biglietto della lotteria in tasca, parla da solo) «Coppia di robivecchi i primi fortunati» ... (Ride ubriaco) Glika - (Coinvolta, come se parlasse con dei giornalisti) Li mangeremo a poco a poco i soldi, con misura ... faremo ... Mitsos - Rimedieremo la carriola!!!. .. Tutta nuova con le sue lampadine ... siamo rovinati ... siamo rovinati ... (Pausa, bevono) Tutta perfetta la carriola ... a Castellorizzo dove le notti sono bleu e la luna è dolce e grande e fai un gesto, così, e l'afferri ... Glika - Da soli con un cane, cani grandi ... Mitsos - (Borbotta) ... e tutto ciò che ti piace1o ... (Borbotta) E dovunque tu vada a finire11 __ _ Glika - Ma c'è anche un sentiero malizioso12 __ _ Mitsos - Ah-ah-ah!. .. Basta colle bassezze13 __ _ ... che va dritto dritto alla grande discesa14 __ _ (Beve, cerca di ricordare) Con ... con quella lì... non mi viene .. . (Pausa) la ... mi è venuto improvvisamente ... la Anna!!!. .. Una signora ... oh, Arghiris signore anche lui, lui ancora più signore, ma anche Anna ... Glika - Signora ... Mitsos - Ed ... ed Anna ed Arghiris ... (Borbotta) ... Che va dritto dritto ... alla grande salita15 ... Glika - Bella canzone ... non c'è da buttar via niente ... Mitsos - Anna! Devo mollare scapaccioni, hai sentito? (Va a mettere una coperta alla finestra e si fa un po' buio) Tutto è tranquillo! (Guarda il merlo indiano, fa un passo verso di lw) Mi-tso, devi dire Mi-tso ... (Guarda Glika che dorme) Ma che sei sprofondata nel sonno? (Le si avvicina, le prende la sigaretta dalle dita, ci sputa di sopra per spegnerla, si distende sul letto, borbotta qualcosa senza dire alcuna parola) La carriola .. . (Pausa) Zero, zero, due, uno ... cinque, sette e sette!!!. .. E con me otto! (Si distende accanto a lei, le luci si spengono lentamente)

Secondo Quadro Molte cose sulla porta, Glika alla finestra con un fucile a doppia canna, Mitsos mette ancora qualcosa sulla finestra. È pomeriggio, alcuni giorni dopo e fa freddo, molto freddo. Voce - Calmi per favore ... state calmi. .. avete venti minuti di tempo ... Fischietto. Mitsos - Non ce la siamo fatta sotto durante la guerra in Albania e ce la dobbiamo fare ora?

Fischietti provenire da fuori. Voce - Signor Baniàs, la legge è legge ... Avete capito? Vi. consiglio di venire a trattative (Fuori voci e frastuono di folla) calma!. .. calma!. .. Siamo obbligati ... Mitsos - (Urla) Buoni a nulla!. .. Voce - Non costringeteci a usare la forza ... Mitsos - Accomodatevi, accomodatevi, se avete le palle! Voce - Lei ha violato una proprietà non sua, abbassate le armi ... conformemente alla decisione del tribunale di pace di Atene quattordici settantasei paragrafo diciotto barra millenovecentoottantaquattro, lei ha violato la legge, ha sentito, dovete uscire ... Glika - E chi se ne fotte, figli di turchi ... sparo! Voce - Zi' Mitsos (Voci e confusioni da fuon) ascolta bene ciò che sto per dirti, mi ascolti? Ascolta ... L'abbiamo trovata la tua carriola, esci a prenderla in consegna!. .. Glika - Balle, balle ... fottute balle! Confusione fuori. Voce - Per favore circolare, circolare, dobbiamo svolgere il nostro lavoro, lasciateci lavorare, la legge è legge signor Baniàs, siamo costretti a procedere, in caso di necessità anche con la forza, abbassate le armi ... Mitsos - Stronzi schifosi, andate a lavorare!. .. Voce - Uscite fuori, siete circondati. .. Mitsos - Bau! ... Bau! ... Bau!. .. (Gli abbaia con rabbia alla finestra) Glika - Maiali, figli di porci!. .. Voce - Signora Glika, glielo dica anche lei, che è una donna ... Glika - Fottuti porci ... ecco ... ecco ... ed ecco ... (Mostra il culo alla finestra) piuttosto crepiamo, ma non ci muoviamo di un millimetro! Mitsos - (Grida alla finestra) Moriremo insieme qui dentro, froci culo sfondato!!! Voce - Fra poco farà buio .. . Voci, proteste della gente, «saremo divorati dalla sporcizia», «abbiamo bambini piccoli, noi ... vi ammazzeremo come topi», «rompiamo la porta», «se ne deve andare il lerciume dal nostro quartiere», «si deve fare pulizia», «non possiamo neanche passare da qui fuori» ecc.) Voce - Signor Papadopulos, allontani la gente dal luogo dell'operazione, dobbiamo svolgere il nostro lavoro ... Calma ... calma ... Signor Papadopulos!. .. Mitsos - Vermi, carogne (Vede improvvisamente qualcuno avvicinarsi) Non t'avvicinare, non fare un passo avanti, perché ti spappolo, ti faccio saltare le cervella per aria, ti ricorderai di me per tutta la vita ... (Grida con l'arma in mano alla finestra) Ti uccido! Ti uccido, ti faccio in mille pezzettini ... Glika - Spara Mitsuccio, spara amore mio ... Mitsos - Morirò tutto d'un botto, non c'è santo che tenga! Glika - (Gli grida) Sparagli, sparagli!!! Mitsos - No a poco a poco, tutto d'un botto ... (Rompe un vetro, confusione, grida, mette qualcosa sulla finestra) Stronzi, venduti! Voce - Smettetela ... smettetela ... (La luce sulla scena si abbassa molto, fuori è buio) Allora, uscite? Uscite? Glika - A ciascuno come gli pare e piace! Mitsos - No, no! (Rompe un altro vetro, confusio-

ne, pausa) Voce - Andate via di qua ... via di qua! Circolare ... Signor Baniàs! Mitsos - Al diavolo canaglie!. .. mi sono stufato di fare il leccaculo, una vita che lecco! Capito? Capito? (Sempre più forte sino all'isteria, alla finestra, nel frattempo comincia a piovere molto forte, contemporaneamente un faro di una macchina fa uscire la casa dal buio, si sente una sirena di una volante, si ferma, mentre la luce ruotante della volante entra in scena) Voce - Siete circondati ... Mitsos - Glika, qualsiasi cosa accada, Mitsuccio ti ha nel cuore ... qui nel profondo. Un secondo proiettore rende la casa come se fosse giorno, mentre il fischietto diminuisce le sue interferenze. Voce - Uno-due, uno-due, uno-uno ... due-uno .. . due, non possiamo, abbassate le armi, l'arma .. . (Le voci della gente aumentano, Glika va in soccorso di Mitsos presso la porta barricata) uscite fuori con le mani in alto. Mitsos e Glika guardano fuori dalla finestra. Mitsos - Il mio culo lo vedete, eh? "Bau bau" isterico di Mitsos alla finestra, la pioggia aumenta. Voce - Uscite fuori che la finiamo! Mitsos - (Urla) Vi ridurrete bagnati fradici!. .. Voce - Per l'ultima volta ... Mitsos e Glika «bau bau» alla finestra . Mitsos - Forza pioggia a dirotto, pioggia, dà una bella lavata una volta tanto anche per noi, per parte nostra!!! (Tuoni, pioggia forte, il faro di una macchina entra violentemente dentro, mentre la luce nella stanza cala in maniera considerevole) Le quattro grotte!!! Vavatsikò! La tana della cornacchia. (Zona in cui ha combattuto) Come piccioncini cadevano i comunisti, veloci, veloci ... (Canta) ... Che abbia gloria da noi/ La madre Grecia / Di avere gloria attende ... (Alla finestra) Abbiamo la nostra storia!. .. (Mostra a Glika vecchie ferite) Lo vedi? Vavatsikò, Ano Rachùla ... Glika - Vavatsikò è sulla spalla, dietro ... Mitsos - Ci siamo fatti bucherellare, Glika, per la patria, combattevamo e ci buscavamo queste qua ... è stato un miracolo come siamo riusciti a conquistare le alture ... di armamenti neanche l'ombra, eh? ... l'intera artiglieria della divisione protegge la ... e all'imbrunire ... (Si commuove a poco a poco) Entriamo a Corcia, nelle prime case, pieni zeppi di pidocchi, li snidavamo gli italiani con la baionetta, «vieni qua bello, vieni qua», correvamo verso luoghi scoscesi e rocciosi. .. correvamo come pazzi, senza scarpe, completamente scalzi, e aspettavamo che il vicino fosse ucciso per prenderci gli scarponi. .. i soldati cadevano cadaveri nei canali, teste in mille pezzi, scappavamo e arrivavamo in cinque o sette sulle colline e allora? Non riuscivamo a mantenerle queste posizioni e tornavamo indietro .. . col cuore in gola arrivavamo nelle trincee ... niente eh? Senza niente, così come eravamo ... copertura zero assoluto, niente anche in questo caso ... (Glika si è girata e dorme) Su, sparagli due colpi in più, è un nemico ... andate, va bene, verremo anche noi dopo, ok, bastano questi, prendeteli e tornate indietro ... li aspettavamo ancora .. . (Il faro fuori si spegne, la pioggia

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aumenta e la scena viene illuminata dalla lampada di Mitsos) Correvamo come pazzi, o la va o la spacca ... sai quelli che ce la fecero ... scappavano a gambe levate ... vivono ancora ... mi dice un capitano ... (A Glika dolcemente) Dormi? Glika, ma parlo a vuoto forse? Glika - Mmm? Sì, che cosa? No-no ... sì ti sento ... tutto ... queste cose qua ... Mitsos - Mi prese in gran segreto, lì fra le merde di vacca, il capitano eh?, ci stai a scappare, Baniàs? questi sono pazzi, mi dice, nessuno ce la farà, nessuno, ho tre figlioletti, mi dice, e me li fa vedere in foto che stanno sguazzando in mare ... andiamo ad arrenderci lì di fronte ... durante la tregua ci metteremo d'accordo, dice, ci scambieranno come prigionieri di guerra ... Merlo indiano - Paolo ... Mitsos - ... Non vedi come i nemici si arrendono in massa, li hai presi per imbecilli? ... anche il capitano, coraggioso eh? Venivamo uccisi come mosche per prendere una collinetta da niente ... uccisi per una cacata di mosca ... Si avvicinava la Pasqua ... (Ricorda) Pasquale, mi viene in mente ora che ho detto Pasqua, il capitano Pasquale, amico fraterno, capitano Pasquale Kukakis da Chanià, Creta, lì ad lraklio ... uno alto quanto la porta ... stavamo sdraiati di fronte alla pendice di una collina ... e mangiavamo, masticavamo non mangiavamo, avevamo disteso le nostre cose ... seduto con il boccone in bocca e gli occhi aperti come quelli di un cavallo ... vedeva dei morti in lontananza ... nel fiume dove stava tramontando il sole ... con il boccone in bocca ... cercavo di immaginarmi nel mio cervello che cosa stesse pensando, dove stava guardando lì in fondo ... verso le colline Pasquale! Società puttana!. .. (Con gli occhi velati di pianto, fuori di sé, rabbia isterica) Non me ne vado, non me ne vado ... no non me ne vado ... qui-qui ... qui! ... Porta la catena, dov'è, dov'è la catena ... portala qui, porta la catena qui. .. (Cerca nervosamente qua e là e finalmente trova una grande e robusta catena che teneva per la carriola, poi cerca un lucchetto) Il lucchetto - il lucchetto - dove l'hai messo il lucchetto, dove l'hai messo? Porta la catena, dov'è il lucchetto? Glika - Tu ce l'hai, che cerchi zuffe? Mitsos - (Lo trova) Vieni qua, guarda qua! Glika - Mitsos ... Mitsos - Guarda qui, guarda un po', guarda qui. .. afferralo più in dentro, stringilo bene ... ancora ... Glika - Mitsuccio ... Mitsos - Hai paura, ma di che hai paura? ... Beles, lega qua, Aghi Saranda tu ... prendilo qui ... afferra ... legalo al piede qui. .. (Cambia piede) No, non questo ... mi fa male ... questo qui, lega ... mi ha fatto male il piede malato .. . Glika - lo Mitsos ... sai, capisci ... Mitsos - Lei, signora mia, taglierà la corda, no? Dimmi, voglio saperlo! Glika - Ma non ti rendi conto che finirai in prigione? Mitsos - Vattene, vattene, togliti dai piedi, principessa ... traditrice ... sorella di Giuda ... Glika - Se spieghiamo come sono andate le cose, tutto chiaro e tondo ... Improvvisamente forti luci da fuori, fari di macchi-

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ne, prima un faro e poi l'altro illuminano la scena intensamente, un fumogeno scoppia dentro, li soffoca nel fumo, con coperte e con qualsiasi cosa trovano cercano di coprire il fumo, spari di fucile ... entrano due uomini armati sino ai denti, parlano contemporaneamente in direzioni diverse. 1° Agente speciale di polizia - Chi si muove è morto ... 2° Agente speciale di polizia - È morto dico, è morto sul posto!. .. Fermi!. .. Dico immobili. .. immobili (Urlano tutti e due, prendono l'arma di Mitsos) 1° Agente speciale di polizia - Cosa credete, eh? Che ognuno può fare ciò che vuole? ... ciò che vuole?!!! Può fare ciò che vuole!!! 2° Agente speciale di polizia - Che può fare ciò che vuole? (Con rabbia) Dov'è l'arma, dov'è l'arma, vecchio, portala qui, dove l'hai nascosta, di'!!! Di'!!! Parla!!! Con rabbia, il 1° Poliziotto blocca Glika. Glika - Mitsos ha bisogno di buon cibo e di riposo ... 1° Agente speciale di polizia - Calma ... vieni qua e non fare il prepotente (Va da Mitsos) non fare il difficile, vecchio e cammina. Glika - (Urla) Mitsos, Mitsos!!! 2° Agente speciale di polizia - Cammina e sta zitto ... (Ha afferrato Glika e la trascina fuon) Mitsos - lo ho bisogno di buon cibo e di riposo ... Glika - Piano, santo cristiano, me le strapperai le mani così... (Escono) Mitsuccio ha bisogno di buon cibo e riposo. Mitsos - Abbiamo finito, dove andiamo? 1° Agente speciale di polizia - Forza, cammina, e non fare domande, muoviti. Mitsos - Abbiamo già finito? 1° Agente speciale di polizia - Tutto qua, vecchio, ora vieni e non fare il difficile ... (Da fuori sentiamo «bis», «bravo», risate) ma che hai combinato qui, vecchio? Vaffanculo, vaffanculo a te, ma guarda qui, mannaggia, dammi subito la chiave se vuoi che non dica niente, qualche ... al diavolo! Di notte trovarsi in questi impicci! (Contrasta con la catena che è legata al baule) Ma guarda un po', ma dove diavolo li hai imparati questi trucchetti, eh, vecchio? Stringi là, vieni verso qua, avanti ... mannaggia, dammi la chiave ... che ce ne andiamo a casa, santo cristiano ... Mitsos - L'ha presa ... dove è andata la signora ... 1° Agente speciale di polizia - Avanti, portala qua, che la finiamo una buona volta, sono tre giorni che ci fai combattere in mezzo alla pioggia .. . Mitsos - (Dubbioso) Non credi a un vecchio? .. . 1° Agente speciale di polizia - Benissimo, maestro, cammina, alzati così e cammina, cammina, in piedi, non mi costringere a trascinarti come un sacco di patate, forza! (Lo trascina con la forza) Mitsos - Bravo!!! Il poliziotto lo trascina quasi con violenza, ma insieme a lui trascina anche il baule che è a lui legato dalla catena. Il baule non passa dalla porta. Il poliziotto tenta in mille modi, spinge una volta Mitsos e una volta il baule, è confuso, alla fine dà un calcio e li sgancia. 1° Agente speciale di polizia - Avanti, esci fuori. .. esci fuori. .. ti dobbiamo spingere? Mitsos - Non spingere!!! Ma che fai spingi?

Quanti anni hai? e non spingere! (Escono) Le quattro grotte ... la tana della cornacchia ... (Piange) La fortezza di Rupel!!! Rupel!!! Il nemico, amico ... (Piange) Avanzava ... ava ... ava ... (Piange) Le luci si spengono lentamente, come pure i fari delle macchine fuori, penombra nella stanza, il frastuono finisce e sentiamo il coro natalizio di bambini, scena per un po' vuota. Merlo indiano - Mitsos, di' Mitsos!!! Un occhio di bue illumina Arghiris, nella stessa posizione che aveva all'inizio dell'opera, è vestito come i due uomini che hanno preso Mitsos e Glika. Arghiris - Elena Dimopùlu non la conoscevo affatto e non ci eravamo mai incontrati, neanche una volta, mai. .. La vidi uscire dal cinema Charà ... Il coro di bambini si sente più forte e copre del tutto le parole di Arghiris, vediamo solo le sue labbra che si muovono, sino a che non si spengono le luci a poco a poco su di lui, le filastrocche rimangono sino a quando la gente non va via.

FINE NOTE 1. Charà in greco significa "Gioia" (N. d. T.) 2. Scimmiotta la parlata dei forestieri (N.d.T.) 3. Nella guerra tra Corea del Nord e Corea del Sud, nel luglio del 1950, la Grecia partecipò a fianco degli Stati Uniti contro la Corea del Nord inviando un contingente militare. (N.d.T.) 4. Il personaggio, illetterato, storpia le parole, così Theomitora (accusativo da Theomitor, nome di un ospedale dedicato alla Madonna, letteralmente alla Madre di Dio) diventa Theomitor, senza la a, dunque nella traduzione ho preferito Materdeo, anziché il corretto Materdei. (N. d. T.) 5. In Grecia, in occasione delle feste nazionali del 28 Ottobre e del 25 Marzo, vengono organizzate delle sfilate, a cui partecipano diverse rappresentanze di categorie sociali, scolari, lavoratori, militari, ecc. Fra questi anche gli invalidi di guerra. (N. d. T.) 6. Sbaglia e invece di dire "universo" storpia la parola in qualcosa che in italiano potrebbe essere "universario". (N.d.T.) 7. Il komboloi è una specie di rosario usato come passatempo (N.d.T.) 8. In Grecia le bare non si chiudono, ai funerali il viso del defunto è sempre visibile. Il coperchio viene semplicemente appoggiato solo al momento di seppellire la bara nella tomba. (N.d.T.) 9. Gli da del lei. (N.d.T.) 10-15. Sono titoli di vecchie e famose canzoni (N.d.T.)


M (DE0AINQ !:AN XQPA) di Dimitris Dimitriadis traduzione di Dimitri Milopulos e Barbara Nativi

Prima assoluta: 16 giugno 2003, Firenze, Locali Teatro Affratellamento, Intercity Athina 2003 (nel settembre 2002 era andata in scena ad Intercity 2002 una mise en espace a cura di Maurizio Donadoni). Un progetto di Simona Arrighi, Sandra Garuglieri, Dimitri Milopulos, Riccardo Naldini, Barbara Nativi, Musiche originali Marco Baraldi. Prod. Intercity, Laboratorio Nove. Si ringrazia per la sua preziosa collaborazione Patrizia Villani.

(... ) «Quell'anno, nessuna donna concepì dei bambini. La storia continuò negli anni seguenti, tanto che una generazione intera si esaurì senza che ne venisse al mondo una nuova. (... ) Eccezion fatta per alcune reazioni violente a quella piaga devastante, nota più tardi come Medio-Evo dell'Utero (incendi di edifici pubblici, distruzione di monumenti e simboli nazionali, tentativi di omicidio contro persone che gli aggressori ritenevano responsabili della disgrazia che li aveva colpiti), tutti gli altri, abituati a contenersi, tenevano a freno lo sconforto, e solo in privato davano sfogo all'angoscia, che li spingeva la notte a strappare i cuscini con i denti, a scrivere lettere frenetiche ed incoerenti a Dio o al male in persona, supplicandolo di ritirarsi o minacciandolo di un attacco diretto sull'esempio di san Giorgio, a restare ore ed ore immobili, impassibili a canticchiare vecchie canzoni nostalgiche, a divorarsi le unghie fino all'osso o a tirare colpi di rasoio in punti nascosti e sensibili del corpo, fino a far colare tutto il sangue necessario a placare il bisogno ancestrale di sacrificio umano o di autopunizione, sempre dietro porte chiuse a chiave, la luce concentrata su quel punto rovente, che porta il marchio dello spietato massacro, la stessa musica da cannibali che da sempre accompagna l'atto purificatore, l'interminabile macchia di sangue sempre nello stesso punto, tanto che col tempo era nato in ogni casa una specie di altare in bagno, in camera da letto o in cucina dove ognuno trovava rifugio e pace quando il corpo non riusciva più a sopportare il peso dell'altro corpo, quello dalle mille teste, insaziabile, singolare, anarchico, immortale che si dibatte in ogni corpo che ha pulsioni stravaganti e crudeli( ... ) Perché la guerra che, con brevi e ingannevoli tregue, durava da più di mille anni, aveva conosciuto negli ultimi mesi una svolta decisiva (anche se era da tanto che non si sentiva dire "volge a favore nostro la Guerra", "si volge verso di noi la Vittoria", "abbiamo vinto anche la Terza Guerra") e pareva

awiarsi rapidamente verso un barlume di esito finale, giacché tutti sapevano che il fronte sud avrebbe ceduto da un giorno all'altro. Come la, quasi postuma, remissione che presenta, per un periodo indefinito, una malattia incurabile che d'un tratto dilaga sul territorio del corpo ingannato strappando le carni dalle ossa con una scossa che è una vibrazione stonata di ogni legamento della macchina umana. (... ) E quando un mattino venimmo a sapere del suicidio simultaneo di due generali, uno dei quali per di più davanti ai suoi soldati al momento dell'appello mattutino, nessuno ebbe più dubbi che l'armata nemica avrebbe passato la frontiera da un momento all'altro chiudendo così un caso che teneva in sospeso un popolo intero sfinito dagli intrecci della sua storia ed ormai incapace di resistere al richiamo pressante di un egocentrismo innato e di un disprezzo frenetico ma cosciente per tutto ciò che contribuiva alla soprawivenza della nazione, il che sconfinava in un patricidio premeditato e significava, né più né meno, che l'idea di nazione era morta per sempre. La maggioranza della gente cominciò a raccogliere tutto ciò che poteva trasportare e in poche ore si formarono lunghissimi cortei che si dirigevano, come processioni ostinate di formiche, verso nord, in un clima da gita scolastica - lungo le file della carovana si sentiva la gente che cantava in coro, nel caos generale, e ne vedevi tanti ballare ubriachi di gioia in mezzo alla strada, sul volto l'espressione di uomini che si sono liberati di un peso enorme (quale, lo sapevano tutti). Sembrava che d'un tratto (ma il processo era durato secoli) un cambiamento radicale ed irreversibile si fosse prodotto nel tessuto etnico di quel popolo all'annuncio che il fronte sud aveva ceduto, un'impressione che fu confermata dal discorso del Presidente della Repubblica - il cui tono pomposo avrebbe voluto essere autoritario (un ex-imperatore che mostra con pulciosa superbia la sua capanna distrutta chiamandola lmperium mentre migliaia di cani rognosi di ogni

genere gli tirano con i denti la veste di porpora smerdata biascicando in coro l'ex-inno nazionale della CittàRegina che oggi impudica - finta Andromaca - passa di letto in letto e sente insaziabile nella vagina rattoppata il glande d'acciaio dei nuovi dominatori della Terra), ricordò ancora una volta l'obbligo di restare fedeli all'eredità del passato e il dovere nazionale di preservare almeno la dignità del paese. Chi ascoltò il discorso presidenziale (perché non pochi girarono la manopola), si fece uscire di bocca i peggiori insulti contro il presidente il suo discorso e il paese, e incitò anche i bambini a ripetere le bestemmie in coro e a scandirle battendo le mani. Vecchie che avevano visto innumerevoli volte fatti del genere, che avevano visto massacri, rese di città, esodi, invasioni di barbari o civilizzati di ogni genere, persecuzioni, asservimenti, città fiorenti e floride foreste e pianure feconde bruciare come torce senza che nulla restasse della fatica di generazioni e generazioni, e ragazze violentate nelle case in rovina dieci venti volte in un'ora da soldati scatenati e alla fine sventrate con la baionetta, neonati decapitati al volo con una sciabolata o ammazzati a bruciapelo in braccio alla madre, famiglie cacciate dalle loro case e decimate da una raffica dietro l'altra come tortore - "dalla progenie i figli, dai mariti le spose, dagli amici gli amici, e così ogni consanguineo, separato fu, e con grande miseria", e ragazzi con mezzo centimetro di pelo sul petto e tutta la forza del fulmine di Zeus negli organi che più contribuiscono alla potente esaltazione dei sensi, messi in fila a gruppi di cinquanta davanti al plotone di esecuzione al solo scopo di distruggere ogni seme di vita in loro, e le acque che diventano rosse come rose per il sangue, e gente impazzita per le orribili sciagure nera di lacrime che corre qua e là e che urla come gli sciacalli e si strappa le guance, presa nella fredda vertigine in cui si rivela il vuoto rovente della vita nell'incubo della trasgressione di quel confine che la rende intollerabile come una manciata di carbo-


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ni ardenti in bocca, vecchie che non sanno nemmeno quanti anni hanno trasportate sul tetto delle automobili come reliquie di antichi e ignoti santi, che invece di alzare la mano per farsi il segno della croce, sentendo i drammatici appelli del Presidente della Repubblica, si sputano nel palmo della mano e fanno tutte insieme, ammiccando con la testa, il gesto che fanno gli uomini, piccoli e grandi, con la mano destra quando vogliono far capire che uno si è bevuto il ceNello a forza di seghe.( .. .) Nel frattempo, non si riusciva a tenere più nulla nascosto, e le notizie, confuse e contraddittorie, provocavano nelle masse ondate di esaltazione che si annullavano l'un l'altra, senza mai produrre una briciola di ottimismo, anzi, le speranze diminuivano sempre di più (niente era in quei momenti più vago della parola speranza, più oscuro del suo significato), finché non si venne a sapere che aveva ceduto anche il fronte orientale, il che fece sì che la gente accelerasse il movimento verso nord; nel caos generale, questo movimento ebbe il suo peso perché era un movimento disperato in cui si mescolavano tendenze all'autodistruzione e all'autoconseNazione perché quando il paese era stato accerchiato da tutti i lati le montagne a nord avevano offerto per un po' la consolante illusione di un rifugio inespugnabile, ma, visto che non c'era accesso al mare, il sentimento improwiso di asfissia e di impasse, di intrappolamento, di assedio, di accerchiamento, di soffocazione, fece sì che la gente, sia quella rimasta in città che quella che aveva invaso le vie di accesso alle montagne, girasse a vuoto senza rendersene conto finché ad un certo punto tutti nessuno escluso si fermarono e si misero ad aspettare, come uno che cerca il sonno ed ara il letto in tutte le direzioni cercando di sfuggire alle cause dell'insonnia, e sempre la richiama con i suoi deboli, e vani esorcismi, finché esausto, ansimante, la schiuma da epilettico in bocca e il ceNello dritto, freddo rasoio dentro il burro nero della notte, ostaggio del filo intrigato della sua impotenza, come se lei stessa l'avesse legato, non si ferma, e allora arriva come un'annunciazione ciò che sarebbe venuto molto prima, alla sua ora, non fossero stati fatti tanti sforzi per salvare l'anima dal martirio notturno torturandola fino allo stremo.( ... ) In quei momenti, esistevano solo sentimenti collettivi. Tutti, come un'anima sola, sentivano il bisogno di abbandonarsi a qualcosa che si sarebbe scagliato contro di loro marchiandoli di segni indelebili, sentivano il bisogno di cambiare fede, di passare ad un'altra dimensione, di subire una metamorfosi totale, di rinnegare la loro lingua, di rotolarsi nella vergogna e nell'umiliazione, di denudarsi davanti a tutti e mettersi a dire e a fare cose che prima avrebbero considerato terribili, annusare calzini sporchi inspirando profondamente, uccidere i genitori, distruggere i ricordi personali, bruciare le carte di identità, vivere lo spettacolo più orribile dalla creazione del mondo, arrendersi alla bestialità con lo spirito di chi non crede più in nulla di ciò che la civiltà ha accumulato fino ad allora, nulla merita più la loro fiducia l'unica cosa che sanno dire è che si augurano una grande catastrofe con loro dentro, quella specie di male irreversibile che si compie quando il corpo, dopo anni di muta malattia, dopo che la morte ha agito dentro di lui nel medesimo segreto della creazione artistica, viene scosso internamente da un terremoto misterioso che lo disperde in migliaia di milioni di rovine ognuna delle quali presa di per sé non significa nulla, portando così alla superficie delle acque agitate

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della carne quel sole oscuro, luce primordiale, sostanza segreta, attonita bellezza, che emerge al momento di simili catastrofi al solo scopo di contribuire alla rapida decomposizione di un ordine perfetto ed armonioso, ormai arreso di fronte al luccichio divorante dello specchio che nessun fiato può spegnere e che si muove senza sosta attorno alla nostra vita rifrangendola nel deserto di migliaia di guizzi di cocente illusione. Le anime di tutti stavano immobili mentre tensioni opposte se le disputavano nello stesso momento; da "Dio cane Madonna porca, brutto frocio d'un mondo di merda, quella rotta in culo di tua madre, puttana d'una vita, dove vai, ti rompo il culo", a "Dalle mie troppe passioni e dai miei neri peccati, liberami tu, indissolubile Trinità, vivida ed unica luce, illuminami coi tuoi raggi divini", così che andavano e venivano sui volti tutte le espressioni confondendone a tal punto i tratti che, se qualcuno avesse potuto guardarli senza partecipare a quelle passioni, avrebbe pensato che l'impasse del paese era nelle anime dei suoi abitanti o che l'anima degli abitanti altro non era che la sua impasse. Perché · il passaggio da un ciclo storico all'altro era ormai arrivato alla svolta finale.( ... ) E, così come appassisce sputando sangue, un'anima che supplica, quando è lucida, di essere annaffiata con un liquido così forte da farle dimenticare il martirio, e non sentirlo più, o di essere aiutata a morire un'ora prima per mettere fine alle sue suppliche perché questo non è vita, così il paese tutto si sentiva invadere e penetrare con la sicurezza di un fallo dall'armata straniera come da una forza capace di liberarlo dalla sua stessa oppressione, come un inteNento medico improwiso e violento su un corpo che si torce dal dolore gettato su lenzuola mille volte insanguinate macchiate delle sue mille secrezioni ed emorragie, un sollievo uguale a quello che provano i ninfomani e i mistici al momento dell'appagamento quando viene slacciata la cintura del desiderio cieco e più assoluto ma al loro fianco attende l'uomo o il Dio pronto, dopo lo sfogo superbo, all'offerta seguente una forza abissale alla quale non si può comparare nulla se non un'assenza estenuante.( ... ) Chi non ha visto la gente morire sulle strade sotto il maglio di una mano invisibile non può capire cosa significhi, cos'è la morte di un paese, come non può capirlo chi non ha sentito il suo corpo inutilizzato, ignorato, inesistente, indesiderabile, insignificante, celibe, la sua famosa forza motrice sradicata, strappata via al fuoco delle emozioni più profonde. Anche assistere a una morte così grande come quella collettiva della nazione è esaurire la vita, la vita diurna si intende, perché l'altra vita, quella che nasce inconcepibile improvvisa dall'utero inviolato della notte, è l'inesauribile, la morte profonda, comparabile all'accecante bellezza di un efebo maturo in preda ad un'erezione continua totale, dentro e fuori, che non lascia in pace nessun cuore umano, e spinge ad azioni folli, imbottigliamenti nazionali, rotture di convenzioni sociali e grida del tipo: "Torre Dorata, Città dalle dodici mura, Trono grondante di sole, Inspiegabile Meraviglia, Cero eterno", che cercano di placare l'estasi dell'abbaglio vertiginoso, del vaso colmo di manna, della bellezza maschile con la storia e il potere universale. (... )C'erano tante di quelle defezioni sui due fronti che avevano ceduto, tanti disertori o semplici "vigliacchi" ma decisi a non sacrificare una goccia del loro sangue, un secondo della loro vita per la patria trattata la mattina da troia e la sera da puttana, - lo stesso slogan echeggiava in tutto il fronte:

"Chi vende la patria è più forte, date al paese il bacio della morte" - così, dopo un primo momento di sconcerto indignazione e protesta della popolazione civile che in fondo provava un segreto sollievo davanti a quel capovolgimento morale, tutto finì in burla e cominciarono a circolare molte barzellette blasfeme che trascinavano nel fango tutta la Storia e quattordici generazioni di eroi coronati di alloro, e che con le loro descrizioni crude e ben azzeccate provocavano risa irresistibili. È in quelle ore che si compì il passaggio da un ciclo storico ad un altro, irrevocabilmente. A suon di risate. Così, nessuno si meravigliò all'annuncio che gli altri due fronti erano sul punto di arretrare, arrivavano dovunque disertori, sporchi, straccioni, con la barba di settimane, affamati e rabbiosi, prosciugati dalla vita del fronte, schiacciati dal piede della guerra, che, invece di nascondere i loro atti, al contrario, li gridavano ad alta voce, raccontando con aria da eroi i particolari, quel cacarsi addosso "comprensibile al cento per cento", dicevano, dei soldati, e, "ma quelli andrebbero impiccati", degli ufficiali che abbandonavano tutto e se la squagliavano la notte di nascosto "chi in mutande chi senza" (alcuni anche con il soldatino preferito), ma più che altro se la prendevano con il disfacimento morale che regnava da tempo in ogni fronte, gli omicidi commessi in pieno giorno per un piatto di minestra schifosa o per le ragazzine dei villaggi vicini che, come se glielo avessero ordinato quelle stronze, seminavano tra i soldati zizzania e gelosie andando (insaziabili) dall'uno all'altro ("non è mica colpa loro se hanno le fiche affamate", le giustificavano alcuni), mentre ogni soldato ne voleva una fissa, solo sua, per passare il tempo con lei, visto che era l'unico divertimento (pensavano . tutti solo al loro cazzo, è vero, ma un pudore antico, legato agli usi militari, gli impediva di considerare tra i piaceri supremi la sega, che a volte prendeva le dimensioni di un baccanale di massa facendo sussultare migliaia di corpi sotto le coperte o in piedi dietro un albero, o nelle gabbiole, tra grida da far rabbrividire la natura, vanificando così l'incontro dei corpi frementi ed affermando il primato dell'eiaculazione fin dentro il regno della morte), insomma scopare era la loro unica distrazione per non sentir scorrere i mesi interminabili della sfinente vita del campo che, da anni ormai, scorreva in un vuoto paragonabile a quello che peNade il corpo del morto ed a un certo punto affiora in superficie sotto forma di stomachevoli rotture della continuità della pelle, nel sepolcro. (Perché il mondo dei morti è il relitto triste e superbo che, miglia e miglia sotto il nastro argentato delle acque, ci tiene chiusi nel suo ventre e ci permette, al momento dello sconforto più totale, di creare similitudini il cui carattere di immagini fittizie dà sollievo al sangue e al suo frenetico scrosciare sulle nostre nude ossa deserte .. . Cos'altro è il paradiso, almeno per chi consapevole subisce l'inganno e l'attrazione della materia, se non il passaggio dell'anima, tanto desiderato, e di rado possibile, dal sonno della lingua al regno vibrante, sicuro, inafferrabile, infallibile delle parole vive? ... L'immortalità sono le parole. Il regno dei cieli è un'anima che parla senza freno). (... ) Ci vorrebbero molti tomi per contenere i sogni e le allucinazioni di tutti quei soldati che, appena usciti dal parossismo della crisi, si raccontavano le loro sofferenze, con l'impazienza di chi vuole trasferire nell'anima dell'altro il peso che affligge la sua. Tra i più frequenti (c'era tra loro una comunanza di sogni e di allucinazioni) era il caso del soldato che d'un tratto sentiva la cin-


T ES TI tura abbandonare i fianchi per salire al collo e stringerlo così forte che alcuni rischiavano dawero di soffocare e lanciavano da svegli grida disumane torcendosi a terra, "finché il gatto nero, come dicevano loro, non mollava la presa". Altri, mentre fumavano, vedevano la loro mano alzarsi in un gesto incontrollabile come mossa da una forza malvagia, awia di. ttatura dei. colonnelli. ha segnalato tragicamente la Greci.a cinarsi al volto con la sicurezza di un male all'attenzione i.nternazi.onale e ha messo i.n evidenza una seri.e di. ineluttabile e spengere la sigaretta nell'ocautori. (i.n pri.mi.s Ghi.anni.s Ri.tsos), che di. quella terri.bi.le storia chio. Pietre, legni, tende, letti da campo, anfifurono testimoni. e vitti.me. Di.mi.tris Di.mi.tri.adi.s ha pubblicato questo suo bi, caschi, borracce, gamelle, fucili, radio, "frammento di. romanzo" nel 1978, dopo che nel paese era stata restauratorce, rasoi, pentole, pale, macchine da scrita la democrazia; non si. tratta di. una cronaca, ma piuttosto di. una vere, tutto prendeva la forma di animali quieti straordinari.a al legori.a che riassume efficacemente gli. svi. luppi. di. un ma minacciosi sempre pronti a saltare peri.odo estremamente travagliato. Si.amo i.n un territori.o di. morte e d'omaddosso e divorare chi sentiva la loro minacbra, dove l'attesa di. una preci.pi.tazi.one degli. eventi. che tarda a veni.cia nelle viscere che poi era tutto l'esercito, e re è l'uni.ca realtò e dove questo tempo terri.bi.le vi.ene "ammazzato" nella cavalli superbi dalle redini ornate di madreri.peti.zi.one sempre pi.ù vacua e folle di. ceri.mani.e e rituali., sullo sfonperla, grappoli di perle, turchesi e occhi do di. una folle rinunci.a alla vi.ta. «Quell'anno, nessuna donna concepì cavati, giravano la notte attorno alle gabbiole dei. bambini.. La storia continuò negli. anni. seguenti., al punto che una seminando il terrore tra le sentinelle costrette generazione i.ntera si. esauri senza che ne venisse al mondo una nuova. a sparargli anche dove dormivano ignari sol[ ...] Eccezion fatta per alcune reazioni. vi.o lente a quel la pi.aga devastandati, che rimanevano lì nel sonno, tanti se ne te, pi.ù tardi. noto come Medi.o-Evo dell'Utero (i.ncendi. di. edi.fi.ci. pubblisono andati così. E tanti attendevano la ci., di.struzi.one di. monumenti. e simboli. nazionali., tentati.vi. di. orni.ci.di.o notte con terrore perché ad una certa ora, contro persone che gli. aggressori. ritenevano responsabili. della di.sgraverso la mezzanotte, sentivano sollevarsi zi.a che li. colpi.va), gli. altri., abituati. a contenersi., tenevano a freno dietro le ossa del cranio un'onda sorda e il lo sconforto e solo i.n privato davano sfogo all'angosci.a, che li. spincielo intero comprimersi dentro di loro e in geva di. notte a strappare i. cuscini. con i. denti., a seri.vere lettere fretesta un esplodere di galassie spazi immensi netiche ed incoerenti. a Di.o o al male i.n persona, supplicandolo di. ri.ti.il cui silenzio battente li spingeva ad emetterarsi. o mi.nacci.andolo di. un attacco di.retto sull'esempio di. san re grida insensate, a torcersi nei letti come Gi.orgi.o... ». La seri. ttura è volutamente frammentari.a, secondo uno svi. lupper il mal di luna. (... ) Generazioni intere di po per flash di. parti.colare forza che i.llumi.nano i.l pubblico e i.l prisoldati furono decimate dagli stessi sogni vato di. una tragedi.a nazionale sempre pi.ù strettamente legati. e non a che tornavano e ritornavano con l'ostinaziocaso l'anonimo narratore conclude i.l lungo monologare citando i.l ti.tolo: ne disperata del cuore innamorato che cerca "muoi.o come un paese". Uno dei. verti.ci. della letteratura greca degli. ultidi istillare il suo amore in un cuore sdegnomi. anni. che si. offre come flagrante occasione teatrale, nell'ossessione so, si vedevano soldatini imberbi raccontare di. una tessi.tura monologante spi.nta fi.no agli. estremi. termini. e che annungli stessi sogni che anni prima avevano fatto, ci.a i.l talento drammaturgico dell'autore, evi.dente i.n testi. come Lo store facevano tutt'ora, soldati centenari, sui dimento degli animali prima del macello, cupo dramma fami.li.are, segnato quali il kaki si era come fuso che si erano da sarcastiche affermazioni. sulla peri.colosi.tò del sapere. Come di.ce uno fusi nel kaki: inseguiti dal loro villaggio corredei. personaggi.: «l'ignoranza ci. protegge». Luca Scarl ini vano a nascondersi correvano e il villaggio gli correva dietro li riprendeva sempre e loro sempre scappavano era come correre senza correre, gli occhi del decapitato scintillavano così penetranti da loro terra. (.. .)Le parole erano sfuggite una volta per con un'angoscia enorme in petto, e d'un tratto, con un accenderti gli occhi, poi si cacciava la testa in bocca e tutte al potere dei politici e dei militari che non sapevasi metteva a masticarla la masticava la masticava in no più come camuffare una realtà che ormai li terrorizguizzo di cui solo il terrore è capace, tutti i paesani gli modo insopportabilmente viscido ... (... ) Molti impazzizava e che seminava in quei cuori implacabili, insensipiombavano addosso li facevano a pezzi ciascuno ne prendeva uno e gettava le ossa ai cani e loro vedevarono. Altri precipitarono in un languore irreversibile che bili, impudenti, indifferenti la paura corrosiva dell'infinino le ossa in bocca ai cani e quelle bocche piene delle li portò a trascinarsi come anime disarticolate tra i carri to, della solitudine e della morte, e si vedevano casi di loro ossa li facevano sussultare nel sonno soffocare armati arrugginiti e le tende prive di munizioni. I tentatiprimi ministri che non andavano a letto se non c'era il come avessero in bocca la sensazione dello sgranocvi di suicidio si succedettero senza sosta, nessuno fu loro cameriere che gli teneva per tutta la notte la mano chìo del loro scheletro; o erano a scuola e il maestro più in grado di calcolarne il numero. Accanto a ogni e che sporcavano le mutande in pieno consiglio dei accampamento, piccolo o grande, col tempo si era forministri perché vedevano davanti a sé sdraiato sulla faceva lezione di storia con un enorme coltello tra le mato un cimitero che altro non era che una buca lunga lucida tavola il loro cadavere in stato di avanzata gambe, la finestra era nascosta dal corpo dondolante decomposizione, vestito dell'aperta nudità dell'azzeradi un allievo impiccato che gocciolava ancora sperma profonda dove ogni tanto venivano gettati nuovi cadaveri ricoperti poi con qualche palata di terra, giusto per mento assoluto, o casi di ufficiali, specie di alto grado, dalla punta della scarpa fangosa quando d'un tratto la che ormai non riuscivano a stare da soli in una stanza porta si apriva su un donnone con le poppe ciondoloni paura degli awoltoi che, vista la situazione, erano attratti anche dai vivi, morti in formazione cui solo la vuota, avevano paura del buio e non facevano che sul pavimento marcio che si awicinava uno ad uno discutere della polvere in cui si sarebbero dissolti "nelmorte avrebbe dato forma stabile e definitiva. (... ) La agli allievi li baciava violentemente sulla bocca taglianmaggioranza di loro aveva dimenticato chi era prima l'eternità di un nulla assoluto"( ... ) dogli via un grosso pezzo di lingua con i denti seghetdella mobilitazione. Il paese, oltre che dalle armate tati per risputarlo subito via asciugandosi il sangue con (... )Quell'anno nessuna donna concepì dei bambini e nemiche, era assediato dal tessuto immateriale ma la bandiera legata ai fianchi e quando poi finiva i baci, gli uomini giravano due a due nelle strade e nei caffè indistruttibile degli orrendi disturbi mentali dei suoi solsi girava verso il maestro, e allora il viso le diventava di dati, fugaci visioni di anime rose fino all'osso, che da sputandosi in faccia l'un l'altro come se sputassero zolfo, il corpo era un ferro rovente e puzzava di caroognuno sul suo stesso viso e poi se ne andavano una generazione all'altra esasperate attendevano la gna, gli prendeva il coltello tra le gambe, lo faceva ingiabbracciati e si accoppiavano in sotterranei bui o tiepifine, piangendo di impazienza, perché avevano visto nocchiare, gli tagliava la testa, e afferrandola per i di lavatoi dove non potevano scoprirli le mogli inferocicon i loro occhi il midollo imputridito delle ossa della capelli la sollevava così in alto che il soffitto crollava e

FRAMMENTI di. una tragedi.a nazi.anale

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te, con l'epidemia di sterilità ben ficcata nelle viscere li cercavano nei bordelli e nei bar, e la vana ricerca le rendeva ancora più belle, più attraenti, più affascinanti, più donne, più capaci di provocare passioni sfrenate, più morbide, awolgeva il loro vagare di uno scintillio di disperazione che si imprimeva nell'anima dello spettatore e non la lasciava più, perché in quella ricerca le donne capivano che i tipi di disperazione sono tanti, ma uno appartiene loro in esclusiva nei secoli - , è quell'anno lì che ebbero luogo la maggior parte delle cospirazioni nelle alte sfere dello Stato, mandrie di deputati si facevano comprare, passavano tronfi dalla parte opposta per soddisfare ambizioni personali o familiari (uno di loro, dicono, accettò di diventare ministro per dare l'ultima gioia alla vecchia madre morente che si rodeva le mani all'idea di vedere il figlio invecchiare da deputato), i patrioti e i nazionalisti fanatici mettevano in salvo grandi fortune all'estero con l'aiuto di regimi amici, che loro stessi mantenevano al potere con i loro soldi e le loro conoscenze,( ... ) i governi si succedettero uno dopo l'altro ad una velocità vertiginosa in un febbrile rincorrersi di sconfitte, crimini e infinite manifestazioni di impotenza fino alla completa paralisi spirituale, i politici defunti furono tirati fuori dalle tombe, issati nelle loro bare fangose e portati in giro per le strade, mentre i loro seguaci ne reclamavano il ritorno alla vita politica, sostenendo che solo loro potevano salvare il paese dalla sparizione totale, (... ) intellettuali fanatici si affacciavano ai balconi esortando la folla confusa a rinnegare la vita, a nutrirsi solo di radici e riprodursi andando a letto con statue mutilate, in un delirio sentimentale ed ideologico analogo a quello di chi tentava di intervenire nella realtà per cambiarla applicando programmi politici nati in altre epoche casi noti come "Metafisica del Dogma", e considerati tra i crimini premeditati più barbari -, (... ) gli omicidi arrivarono ad una frequenza e crudeltà impensabili, la gente scompariva durante la notte e nessuno ne sentiva più parlare; fosse comuni vennero scavate nei cimiteri alla periferia delle città, in cui vennero gettate montagne di corpi sterminati nei momenti di più cieco fanatismo, dappertutto vennero messi su plotoni di esecuzione improwisati che fucilavano in nome dell'integrità territoriale, dell'indipendenza nazionale e della purezza della razza, (.. .) e Karayànis P. soppresse Karayànis H., Vassiliàdis soppresse Nikolaìdis, Andrikòpoulos soppresse Solomonìdis e i suoi fratelli, Dròsos soppresse Kèli, Ferendìnos soppresse Goùmas, Zikìdis soppresse Smyrnèoglou e i suoi figli, Hadziprodròmou M. soppresse Hadziprodròmou F., Kostòpoulos soppresse Delipètrou, Pagoulàtos soppresse Fotiàdis e Ghelèkas e Dimitrìou, Vlasòpoulos soppresse Apostolòpoulos, Constantinìdis soppresse Mathèou e i suoi fratelli, Melàs A. soppresse Melàs D., Simeònoglou soppresse Yatroù e i suoi figli, Notaràs B. soppresse Notaràs P. e Notaràs E. ... , cominciarono ad awerarsi le più cupe previsioni dei medium, da tutte le biblioteche sparirono i dialoghi di Platone, (... ) in nessun pezzo musicale si sentì più un violino, i proiettori dei cinema non fecero più filtrare la luce, (... ) i romanzi si ridussero ai loro dialoghi e i testi teatrali alle loro didascalie,( ... ) le diagnosi dei medici si rivelarono sempre sbagliate, (... ) camposanti interi salirono in cielo fosforescenti come stormi di uccelli, la gente correva tutto il giorno per le strade ridendo come si ride in sonno, e una luce carica di dolore e d'amore non consumato vagava in alto sopra le case dando al

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L'AUTORE

DI MI TRI S DI MITRI ADIS è nato a Saloni.eco. Ha studiato teatro e ci.nema a Bruxelles dove, nel 1966, ha scri.tto i.1 suo pri.mo testo teatrale, I timi tis antarsias stin mavri agora (Il prezzo della rivolta al mercato nero), che Patri.ce Ché r eau ha messo i.n scena nel 1968 al Théatre d'Aubervi.lle rs, a Pari.gi.. Nel 1978 è stato pubbl i.cato anche Petheno san hora (Muoio come un paese), la sua pri.ma opera letterari.a, nel 1980 la pri.ma raccolta di. paesi.e (Cataloghi 1-4) e nel 1983 la pi.èce I nea ekklisia tou ematos (La nuova chiesa del sangue) , cui. sono segui.te vari.e opere di. lette ratura e paesi.a . Per i.1 teatro ha scri.tto anche: nel 1990 To ipsoma (Il rialzo), I agnosti armonia tou allou eona (L'ignota armonia dell ' altro secolo) nel 1992, nel 1995 I arhi tis zois (L ' inizio della vita), messa i.n scena da Stefano Lazari.di. al Teatro di. Notou, nel 2000 I zali ton zoon prin apo tin sfoghi (La vertigine degli animali prima del macello) messo i. n scena da Ghi.anni.s Houvardas, di.rettore arti.stico del Teatro Amore e , sempre nel 2000 , Lithi ke alli tesseris monologhi (Oblio e altri quattro monologhi) allestito da Thodoros Te rzopulos nel 2001 al Teatro Atti.s . Ha t radotto i. n greco Jean Genet , Geo rges Bat ai.lle, Gérard de Nerval, Balzac, Georges Court eli.ne, BernardMari.e Koltés , e mol te opere teat rali. di. Moli.ère, Euri.pi.de, Eschi. l o, Tennessee Wi.lli.ams , Shakespeare. Dal 1980 collabora con la casa edi.tri.ce Agra, che ha pubblicato gran parte della sua opera e molte delle sue traduzioni.. •

L----~-------------------------~J paesaggio intero l'aspetto del viso contratto di una vergine che, volendo spezzare la barriera della sua verginità ma temendo il contatto con l'uomo, si infila, con la smania incontrollabile dei disperati, una spranga nella vagina gridando "Dio mio, Dio mio" e come una pernice volge la testa al cielo unendo i due estremi della vita nella fonte gorgogliante del suo sangue profumato di mirra. Perché si erano accumulate tante cose nel cuore degli uomini, e i cuori non ce la facevano più a tenerle dentro. L'avanzata del nemico accelerò ciò che si preparava da secoli, e alimentò di nuovo le speranze tante volte tradite dai signori del posto. Era arrivata l'ora. Mentre le armate nemiche penetravano a fondo nel paese, awennero rivolgimenti storici che ristabilirono forte, dopo secoli di ostracismo, il regno multiforme dell'immaginario che si insediò in ogni testa, inaugurando il nuovo ciclo storico.( ... ) Le leggi si annullarono autosopprimendosi l'una con l'altra. Le istituzioni furono rovesciate entrò in vigore il loro esatto contrario. (... ) In un istante si realizzò il sogno, inconfessato, di generazioni e generazioni, e cioè il passaggio al millennio della Cosciente Multiforme Schizofrenia (che si realizzi la parola del Signore che fu annunziata per bocca del profeta: questa sarà la salute dell'awenire, ciò che significa, detto con altre parole, la fine dell'uomo unidimensionale).( ... ) Si impose il diritto dei melanconici. I taciturni e i solitari si misero a legiferare. Tutto il mondo ascoltava religiosamente l'opinione di chi poco prima era classificato nella categoria degli anomali e degli anormali. (... ) Nacquero nuovi delitti dell'istinto, mentre quelli secolari smettevano di suscitare scandalo, e venivano riconosciuti di sostegno alla politica nazionale, sia interna che estera. (... ) Il crimine divenne legale e diventò la chiave di volta di ogni manifestazione pubblica.( ... ) Si moltiplicarono gli

amori folli le confessioni e le offerte erotiche vertiginose( ...) Tutti furono proclamati santi e cominciarono a venerarsi l'un l'altro. Le parole acquisirono un'intensità senza precedenti al punto che tutti riflettevano a lungo prima di sceglierle, perché alcune ora potevano bruciare la lingua per sempre.( ... ) La Chiesa emise un'enciclica che imponeva sanzioni severe a tutti gli uomini e le donne che non osavano svelare in pubblico l'altro loro sesso, quello che per volere di Dio e della natura è parte della struttura dell'essere umano e costituisce il mistero della sua dualità, il che ebbe come effetto immediato quello di riempire le strade di uomini che, vestiti vistosamente da donna, convinti di avere un dono divino, dispensavano e suscitavano slanci inauditi, mentre le donne, liberate dal desiderio verso l'uomo e dedite alle gioie della creazione spirituale, davano la caccia alle donne persino nelle chiese, all'ora della messa (quella dell'ambrosia, visto lo scatenamento dei sensi), che veniva celebrata da preti rasati dalla testa ai piedi vestiti di tonache tessute dai ragni, completamente nudi sotto,( ... ) il velo della Vergine tra i capelli, simboli atroci attorno al collo, prendevano un'aria da Medee, da Messaline, da Brunildi mentre benedicevano, con spasmi divini, il pane e il vino su altari fradici di un fango sanguinolento che ogni domenica trasformava i fedeli in riunioni di eletti che finalmente vedevano Dio con i loro occhi, estasiati, grazie ai nuovi codici che regolamentavano la sua rivelazione. (... ) Una preghiera: "O seme umano, tu che sei la sorgente di ogni ritorno alla vita e di ogni profanazione, o saliva che profumi di carni frementi, schiave della sconvolgente bellezza e della follia dell'eros, o corpo che mi fai desiderare come ultimo feretro un corpo come te perché mi aliti attorno il tuo sangue e il furore della tua conquista sia apoteosi e coronamento della mia morte, o labirinto di


T ES T I questa mia anima immensa e ramificata che mi tortura con le sue folle voraci, per quanto ancora, bestia mangiatrice di radici, trionfo della terra, resterai chiusa nel marciume e nel vortice di approcci volgari, per quanto ancora mi impedirai di arrivare al luogo in cui troverò la forza di dare una voce ad ogni volto, un volto ad ogni voce? O silenzio vasto come il profondo scintillio delle stelle, salvami. .. "( ... ) (... ) La sterilità delle donne e l'immaginazione febbrile di tutto il popolo, il crollo definitivo della dignità e dell'integrità nazionale il numero sempre crescente di malati e disperati che faceva pensare a una specie di "mal di illegalità" o: "mai si poté a parole descrivere quel male, troppo il dolore oltrepassava le umane forze", prepararono il terreno ad un'accoglienza trionfale alle truppe nemiche nella capitale dove era tornato chi aveva tentato di rifugiarsi nelle zone sperdute del paese (chi sa chi gli aveva fatto credere che ne esistessero ancora?), visto che avevano ceduto ormai tutti i fronti ed era caduta ogni speranza di fuga. Tutti, malati e vecchi (erano rimaste solo queste due categorie), si aspettavano dal nemico ogni bene - tanta era la delusione e lo spaesamento per l'inganno, la meschinità, la divorante frenesia che aveva dominato fino allora e quell'attaccamento morboso al meccanismo inceppato della Storia. Per questo era fuor di dubbio che stavolta l'occupazione sarebbe stata più durevole di quella resistenza ingaggiata in tempi immemorabili che aveva alimentato leggende, storie, canzoni, epopee, romanzi, balletti, trilogie e tetralogie teatrali, riviste, studi scientifici, pellicole ed opere liriche, che cantavano gli eroi e le grandi, insuperate vittorie. E adesso era tutto risucchiato per sempre dentro un fango nero.( .. .) Alberi genealogici ramificati dalle radici profonde che finiscono tra le fiamme. Uffici di stato civile che saltano in aria. Razzie tremende nei musei e negli archivi di Stato. Furono confiscate fortune favolose. Furono denunciate una vergogna dietro l'altra, in un delirio autopunitivo della nazione intera. (... ) La vita amorosa di almeno quattrocento primi ministri servì da ispirazione per pellicole orgiàstiche basate su prove inconfutabili. Uomini pubblici, che non avevano fatto a tempo a scappare all'estero, furono obbligati ad abbandonare le più alte funzioni dello stato e a confessarsi davanti a masse di persone li mangiavano con la smania di vendetta delle vittime di un'ingiustizia. Venerabili, membri del Santo Sinodo, furono spinti dai loro crimini inconfessabili a suicidi spettacolari (molti si tagliarono la gola o inghiottirono-cianuro mentre leggevano il Vangelo, accompagnati dagli applausi entusiasti dei fedeli che se ne andavano sollevati, liberi di quei peccati altrui che li perseguitavano fin dalla nascita della Chiesa). (...) Fu ridisegnata la mappa delle città, che furono rase al suolo e ricostruite. Lo sfruttamento del sottosuolo passò in altre mani.( .. .) Il nome del paese cambiò. Il nuovo non ricordava in nulla l'antico ... »( ...) L'occupazione durò in effetti secoli. Il tempo necessario a far scomparire i confini tradizionali del paese e dargli un posto all'interno del grande ordine che dominava ormai in tutto il pianeta - mentre la lingua un giorno cessò, come era stato deciso, di essere parlata e prese ad esistere come reliquia un'essenza di epoche lontane di valore proporzionale a quello delle opere scritte in quella lingua. Si tratta di una massa labirintica e compatta che conta un numero incalcolabile di pagine legate dal cerchio infrangibile del tempo che le pro-

tegge nel chiarore di una pace sovrannaturale. È lì che si racconta la sterilità delle donne di quel famoso anno. Sono pagine di un capitolo polifonico e molto ricco che, sotto il titolo di Testimonianze dagli anni della Grande Sconfitta, raccoglie molti documenti (lettere, cronache, racconti di testimoni oculari, in prima o in terza persona, e persino descrizioni letterarie o dalle pretese letterarie, fotografie, statistiche, etc.) di quel periodo storico che è entrato con i suoi orrori nel regno della più crudele immaginazione, e che è del tutto inesplorato, ma nessuno cerca di spiegarlo in modo scientifico - ci si contenta che sia terminato in modo abbastanza convincente da soddisfare a sentire gli storici le esigenze della scienza, come una morte che arriva a confermare l'esattezza della sua previsione, e tanto basta per tutti coloro che considerano l'umanità un fenomeno universale che produce in eterno cicli, cicli che, al momento in cui si chiudono, giustificano il loro produttore, poiché divengono l'espressione suprema del suo agire nel mondo. In questi cicli, si sa, le grida degli individui non si sentono. (... ) <<. •• Odio questo paese. Mi ha mangiato le viscere. Scrivo a te perché insieme abbiamo desiderato che queste viscere fossero feconde, e il nostro desiderio ci ha uniti per notti e notti. .. e ad altre ore del giorno, quando un miracolo improwiso ci faceva dimenticare il terrore che correva per le strade come anche nelle nostre vene ... quei notiziari da incubo che ci impedivano anche di guardarci. .. letti da annunciatori matti da legare ... le urla che coprivano anche le sirene delle ambulanze ... Mai avrei creduto che la voce umana potesse raggiungere toni così alti. .. essere così senza fondo .. . imporsi fino a sconvolgere ogni cosa .. . In fin dei conti, io non mi sono mai abituato all'uomo, ma è solo un'altra delle mie mancanze. Ora ho fretta di dirti alcune cose e queste parole saranno anche le ultime che avrai da me. Odio questo paese. Mi ha mangiato le viscere. Me le ha mangiate. Lo odio. Sì, lo odio, lo odio. Una donna non può vivere con queste viscere dentro. Quando ci penso, mi viene voglia di vomitarmi. Mi sento vomito. Forse lo sono dawero. Una donna ... non è come un paese che dà un prezzo alle sue rovine, alle sue tombe ... e le svende in cambio di moneta sonante .. . e ci campa sopra. Non voglio essere un paese. Non sono un paese. Non voglio essere questo paese. Questo paese è necrofilo, gerontofilo, coprofilo, sodomita, puttana, magnaccia e criminale. lo voglio essere la vita, voglio vivere, avrei voluto vivere, vorrei poter vivere, sarei felice ora se avessi voglia di vita ... ma questo paese non mi permette di averla, non mi permette di essere la vita, di dare la vita. Come un cancro mi ha divorato i seni, il cervello, l'intestino, mi ha infilato tutte le sue pietre nelle reni e le ha distrutte, ha asciugato le sorgenti da cui doveva colarmi il latte, mi ha riempito le vene di tutta la sua terra e mi ha fatto marcire il sangue, si è seduto sul mio cuore e l'ha spezzato a colpi di infarto e di embolie, ogni sua regola è un infarto, ogni sua legge un'embolia, le sue abitudini mi hanno distrutto i polmoni, la sua storia mi fa tremare continuamente come avessi il parkinson, la sua civiltà mi ha stremato, sfinito, non ne posso più, la sua posizione geografica è la mia asma, certe volte la sua sagoma si allarga sul mio corpo come un herpes gigantesco e mi fa impazzire, altre prende la forma di un forcone che mi si conficca negli occhi, di un ago enorme che mi buca il cranio, di una roccia che mi

pende dalla punta dei capelli e mi trascina in un amaro mare di lacrime ... sento sempre il suo giogo sulla nuca, la mia lingua è sempre frenata dalla sua balbuzie, sempre ho i brividi davanti alla sua volgarità ... a quel suo attaccamento ai fantasmi, alle scorciatoie, ai plagi, al suo cervello ottuso, ai suoi cadaveri, alle sue bare, ai suoi delitti. .. Questo paese è il nostro tormento. Ci farà morire, ci sterminerà. Come salvarci? Ci beve il sangue, ce lo beve. Non mi lascia più nemmeno dormire, mi ha rubato il sonno. Come vivrò senza sonno? Non vivremo ... tutto il seme di tutti gli uomini della terra non riuscirebbe a rianimare quella nicchia del mio corpo da cui nasce la vita ... Hai svuotato la tua vita dentro di me ma lasciandomi senza vita ... Nemmeno tu ce la fai. Mi hai seminato ma il tuo seme non attecchirà mai, il vostro seme non attecchirà più ... mai più uscirà da noi vita .. . Donnaccia d'un paese. L'unica cosa che vorrei, è averlo qui davanti a me per sgozzarlo con le mie mani. Oh, Dio, potessi ucciderlo! Ha fatto in modo che i suoi assassini arrivassero fin dentro i nostri uteri e li scavassero come tombe, i porci, i porci, sono tutti porci, dal primo all'ultimo, tutti assassini, tutti, sono loro che mi fanno sentire il bisogno del delitto più grande, un massacro senza fine, un massacro senza fine ... ah, come facciamo a resistere, com'è che non siamo ancora impazziti per colpa di quel cappio, cagna schifosa, garrota, strangolatorium, una vera forca ... con i suoi sgozzatori ufficiali che fanno discorsi ufficiali in cerimonie ufficiali davanti ad altri sgozzatori ufficiali. .. Ogni suo poro è uno stiletto, ogni angolo un pugnale, ogni millimetro una trappola mortale, piena di veleni e di temperini affilati, tana di assassini, profittatori e imbecilli, rifugio di vili scopatori e magnaccia impotenti, ci caccia la testa nella sua merda, ci riempie di calci nei coglioni, ci schiacci, puttana, ci prosciughi, ci distruggi, ci dividi, ci soffochi, ci condanni, ci fai morire, ci fai morire, porco, venduto, infetto, pulcioso, velenoso, scrofa, cagna, tana di vipere, zingaro, incestuoso, non fai altro che scimmiottare e fare il pappagallo, diavolo, anno bisestile, uccello del malaugurio, non ti sopporto, non lo sopporto, assassino, infanticida, storpio, peste, zoppo, guercio, zoccola, maledetta strega, maledetta strega di un paese, che tu sia maledetto, non sopporto più nulla di lui, nulla, nulla di nulla, lo odio, lo odio, lo odio, ah, ah, ti odio, ti odio, ti odio, ti odio, morirò, mostro, e continuerò ad odiarti, sì, l'odio mi ribolle dentro, voglio scrivere inni contrari a quelli scritti fino ad oggi in suo nome, lo fucilerò di parole, lo sotterrerò con le mie mani come un cane ... Non sono più una donna .. . E neanche tu sei più un uomo ormai. .. Ci ha preso tutto ... Ma che rimarrà di lui senza di noi? Cosa diventerà quando non sarà rimasto nulla di noi? ... La sua terra ha preso la mia forma ... Il mio corpo ha ormai le sue dimensioni. .. Porto dentro di me il suo destino ... Muoio come un paese .. .»( ... )

FINE

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Lo stordi.mento degli. ani.mali. (H ZAAH TQN ZQQN IIPIN TH l:<I> ArH) di Dimitris Dimitriadis traduzione di Maurizio de Rosa

Mise en espace, prima nazionale in italiano: 26 giugno ore 21.30, Castello dell'Acciaiolo, Scandicci. Regia di Giancarlo Cauteruccio, con Fulvio Cauteruccio, Matteo Chioatto, Massimo Grigò, Paolo Lorimer, Laura Martelli, Emanuela Villagrossi. Prod. Intercity, Compagnia Krypton, Scandicci Cultura, La parola al Teatro, a cura di Fondazione Toscana Spettacolo - Firenzestate 2003

PROLOGO Scena pri.ma (A, B, C.) A - Com'è cominciato così finirà. Lo sapete. Non occorre avvicinarsi troppo. Prima è in piedi e poi in ginocchio. Lo schema è antico. Ma non lo capisce. Sebbene si sforzi, sebbene si prenda tutto il tempo che occorre. Non importa quanto. Di solito segue lo stesso ordine, ma non è detto. Potrebbe seguirne un altro. O il suo. Di solito ne segue un altro. Di solito segue il suo. È risaputo. Tutto questo è risaputo. Sai come comincia e sai come finisce. Ma non è detto. Il segreto consiste nel diminuire le possibilità d'insuccesso. Se non addirittura nell'annullarle. Poi però non avrebbe più alcun interesse. Si prevede tutto e poi niente va come previsto. È una previsione anche questa. In ogni caso la conclusione è sempre la stessa. Può divergere ma è la stessa. E questo dovrebbe essere imprevisto. Tutto si conclude sempre nello stesso modo. Però nessuna conclusione è uguale a un'altra. Sapete com'è. Lo sanno tutti. È qualcosa di incontestabile. C'è chi dubita, chi insorge, chi si rassegna rifugiandosi nel privato o nella denuncia, ma nessuno contesta. Lo rifiuta ma alla fine lo elogia. Non può che essere così. Cioè, potrebbe esserlo ma non è. Potrebbe ma è impossibile. La cosa giusta è quella che succede. Sarebbe giusto che non accadesse ma non può non accadere. Quello che accade è giusto. Per questo accade. Lo sanno tutti. Non si tratta di una scelta personale. Nessuno sceglie. Quello che accade, accade perché non può non accadere.

Fiducia. Così tutto va come deve andare. Le forme rivelano le loro dimensioni reali. Il nitore a poco a poco svanisce. A poco a poco cala la nebbia. E a poco a poco inghiottisce tutto. A poco a poco non si vede più niente. A poco a poco. Senza che nessuno se ne accorga. Con dolcezza, quasi. È l'unico modo. Il ferro rimane ferro ma si verifica con dolcezza. Con delicatezza. In modo inconcepibile. Del resto lo sapete. In vista dell'altro. Non esiste altro ma sempre in vista dell'altro. Questo è l'obiettivo. Progressivamente. Prima si piegano le ginocchia, poi il resto del corpo. Gli occhi sono aperti ma non vedono. Vedono ma non sono quello che vedono. Non vedono quello che vedono. Come se le lacrime li soffocassero. Soffocano gli occhi. Sono sbarrati, le pupille sono dilatate, sporgono fuori dalle orbite, ma sono incapaci di vedere. Tutto qua. Lo sapete. Indescrivibilmente semplice. Incomprensibile. Chiunque lo capisce. Chiunque vi si rassegna. Non può essere altrimenti. Esiste solo questo. Delicatamente. Dolcemente. Progressivamente. Per ultima cade la testa. No. Cade per prima, ma quella che cade per ultima è la testa. È la testa che cade per prima. E per ultima.

Scena seconda (Nilos e Militsa.) Militsa - Uff, quanto ancora dovremo aspettare? Nilos - È sempre un po' in ritardo. Militsa - Un po'? E questo sarebbe un po'? Nilos - Che fretta c'è? Militsa - Nessuna. Nilos - Sei qui con me.

Militsa - Già. Nilos - Come già, non sei contenta di stare qui con me? Militsa - Sì, ma il tempo passa e non si conclude nulla. Nilos - E allora cosa vuoi che facciamo? Eh? Su, dimmi, cosa vuoi che facciamo? Militsa - Niente. Nilos - No, dimmi, dimmi. Militsa - No, no. Nilos - Vuoi che andiamo da un'altra parte? Militsa - No. E dove, poi? Nilos - Da qualche parte, da soli. Militsa - No. Nilos - Non vuoi? Militsa - No, ma cosa fai? Nilos - Militsa. Militsa - Potrebbe arrivare. Nilos - Non m'importa. Militsa - No, Nilos. Nilos - Non m'importa se ci vede. Militsa -A me sì, non so neanche chi è. Nilos - Per questo voglio fartelo conoscere. Militsa - Anche se non me lo fai conoscere. Nilos - Non vuoi conoscere il mio miglior amico? Militsa - Non m'importa. Nilos - L'unico. Militsa - Se è il tuo migliore amico va bene. Ma poi, cosa significa? Nilos - Cosa? Militsa - Che è il tuo miglior amico, l'unico? Nilos - Significa che siamo inseparabili sin da bambini, ci raccontiamo tutti i nostri segreti, i nostri problemi, ci fidiamo e abbiamo stima l'uno dell'altro. Militsa - Ah, come mi annoia tutto questo.


T ES T I Nilos - Ascoltiamo l'uno l'opinione dell'altro, chiediamo il suo consiglio, la solidarietà. Militsa - Siete tutti e due questo l'uno per l'altro? Nilos - Cosa intendi? Militsa - Ma voi non siete amici, siete. Nilos - Cosa? Militsa - Se fate tutto l'uno per l'altro. Nilos - Be', non tutto. Militsa - Sì, d'accordo. Nilos - Quello che voglio fare con te, quello che non mi permetti di fare con te. Militsa - No che non te lo permetto, perché dovrei? Nilos - Ma se lo vuoi anche tu. Militsa - Non so, non siamo ancora. Nilos - Cosa? Sposati? Ma stiamo insieme da così tanto tempo. Militsa - Non è moltissimo. Nilos - Che importanza ha il tempo quando si sa quello che si vuole. Militsa - Per me ce l'ha. Nilos - Perché? Vuoi conoscermi meglio? Sai come sono. Sai cosa provo per te. Militsa - Non intendo questo, intendo. Nilos - Non mi vuoi? Militsa - Non farmi questa domanda. Nilos - Su, dimmelo. Militsa - Che cosa? Nilos - Mi vuoi o no? Militsa - Lo sai. Nilos - Voglio sentirtelo dire, dimmelo. Militsa - No, non adesso, non qui. Nilos - E invece adesso, e qui. Militsa - Oh, Nilos ... Nilos - Vieni. Militsa - No, no, ti prego, potrebbe arrivare. Nilos - Non m'importa. Militsa - Si può sapere cosa ti ha preso? Nilos - Quello che mi prende sempre. Militsa - Non dovevamo venire qui. Nilos - E allora andiamocene. Andiamo da un'altra parte. Militsa - Dove? Nilos - Tanto non viene più, te lo presento un'altra volta, meglio che non sia venuto. Militsa - E se viene più tardi? Non sarebbe giusto che venisse e non ci trovasse. Nilos - Capirà. Militsa - Penserà che è colpa mia. Nilos - Sì, è colpa tua. Militsa - D'accordo. Nilos - Mmm, ti mangerei, non resisto più. Militsa - Insomma, la vuoi smettere? Su, da bravo, calmati, e tieni giù le mani. Nilos - Mani? Solo mani? Militsa - Forse dovrei dire manone. Nilos - Ti piacciono? Eh, ti piacciono? Militsa - Mmm, mmm. Nilos - Cosa mmm. Militsa - No, niente. Nilos - Se avessimo un posto dove stare. Militsa - Che succederebbe? Nilos - Ti farei vedere io. Militsa - Cosa? Nilos - Quello che non succede adesso, altro che manone. Militsa - E invece? Nilos - E invece, invece, invece.

Militsa - No, no. Nilos - Su, andiamo, tanto non viene più. Dove vuoi che ti porti? Dove vuoi tu. Dov'è che vuoi? Via, lontano da qui. Militsa - Eccolo. Entra Filon. Nilos - Stavamo per andarcene. Militsa - Non è vero. Filon - Filon Filippìs. Nilos - Militsa. Militsa - Molto lieta. Filon - Anch'io. Nilos - Anche tu cosa? Filon - Sono lieto. Nilos - Tu sei lieto, lei è lieta. Militsa - Guarda che te le taglio quelle mani. Filon - Ce le ha lunghe, eh? Nilos - Lunghissime. Filon - Ah, sono queste le cose che ti dice. Che depravato. Militsa - Sì, è proprio uno svergognato. Ma è sempre stato così? Nilos - Sì, sempre. Militsa - Smettila. Filon - Dove si va? Militsa - Non ho molto tempo, devo tornare. Nilos - Stasera resti con noi fino alla fine. Militsa - No, non posso. Nilos - Su, andiamo. Filon - Non voglio farvi perdere tutta la serata. · Nilos - E chi ti ha detto che già non l'abbiamo persa? Militsa - Ti vuol bene più che a me. Filon - Lo so, è per questo che ... Nilos - Ehi, cosa state dicendo? Su, venite qui da me, andiamo, offro io, stasera ho con me tutto quello che posso desiderare, con voi arriverò fino alla fine e ancora oltre, ancora oltre ... Escono di scena.

Scena terza (A, 8, C.) A - Nessuno dubita che accadrà. B - La questione non si pone. C - È la prospettiva globale che conta. E questa c'è.

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PERSONAGGI NILOS LAKMOS MILITSA EMILIOS EVGHENIOS 5TARLET FILON FILIPPÌS

A B

e

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B - Il complesso. A - Molto presto avremo i primi risultati. C - Questo è il vero problema. Non la prospettiva. B - Sì, si è avvicinato molto. A-Accadrà. C - Questo è il primo problema. B - La questione non si pone. A - Il principio. Il momento più emozionante. C - Finalmente. Quando si traccia la linea. B - E tutto al presente. C - Da adesso. A - Senza dubbio.

Scena quarta (Nilos. Aspetta fumando. Entra in scena Filon.) Filon - È molto che aspetti? Nilos - Sono le dodici, l'appuntamento era alle undici e mezza. Filon - Scusa. Nilos - Non importa, anch'io sono appena arrivato. Filon - Appena? Ma vedo che ne hai fumate tre, quattro, cinque. Nilos - Ah, sì? Filon - O le ha fumate un altro? Nilos - Sono mie. Filon - Dunque è molto che aspetti. Nilos - Eh, sì. Filon - A che ora sei arrivato? Nilos - Non ricordo. Stamattina. Filon - Perché? Cosa succede? Fatti un po' vedere ... Mmm, che brutta cera. Non hai dormito stanotte? Sembri un cadavere. Nilos - Per niente. Filon - Su, allora, dimmi, che hai fatto? Nilos - Niente. Ho pensato. Filon - Tutta la notte? Nilos - Quasi. Filon - Non eri con ... Nilos - Sì, ma se n'è andata. Filon - Se ne è andata? Nilos - È tornata a casa presto. Filon - Quindi sei andato a letto da solo. Nilos - Sì. Filon - E non riuscivi a dormire perché pensavi. Nilos - Mi sono addormentato, ma mi sono svegliato nel cuore della notte e non sono più riuscito a riaddormentarmi. Ci ho provato. Filon - A cosa pensavi? Posso saperlo? Cos'è che ti tormentava? Nilos - Tu. Filon - lo? Ah, sì, sono entrato nella tua stanza, mi sono infilato nel tuo letto e a furia di accarezzarti e di abbracciarti non ti ho lasciato dormire. Nilos - Ti va di scherzare, eh? Filon - E allora? Nilos - Pensavo, non so come dirtelo. Filon - Che sei innamorato di me? Nilos - Sii serio, non è il momento di scherzare, ti dico. Filon - Non capisco. Nilos - Ieri sera, con Militsa ... Filon -Ah. Nilos - Abbiamo deciso di sposarci. Filon - Capisco. Prima che se ne andasse avete deciso di sposarvi.

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T ES T I Nilos - Appunto. Filon - Niente male, direi. E niente di originale. Prima di sposarsi bisogna andarsene. Tutto regolare. Il matrimonio non è altro che un continuo andarsene. Nilos - Il mese prossimo. Filon - Vi sposate il mese prossimo? Nilos - Sì. Stasera ci fidanziamo. Filon - Stasera? Perché? Nilos - Perché vogliamo stare insieme. Da adesso. Filon - Così non dormirai più da solo. Nilos - Lo so, per te tutto questo non significa niente. Filon - Neanche per te significa niente. Nilos - Fino a poco tempo fa è vero, non significava niente, poi. Filon - - nella tua vita è entrata Militsa. Nilos - Perché lo dici così? Filon - E come dovrei dirlo? Militsa Milofagos è entrata nella vita di Nilos Lakmos? Vuoi tu, Militsa Milofagos, prendere in sposa il qui presente Nilos Lakmos e diventare la signora Militsa LakmosMilofagos? Nilos - Molto divertente. Sappi però che io la amo e voglio vivere con lei, è questo che mi ha fatto cambiare idea. Filon - Questo ... o lei? Nilos - Questo o lei che differenza fa, sì, è stata lei, lei, la amo, Filon, amo questa donna, la desidero, non voglio perderla, è tanto difficile da capire? Filon - Non, non lo è, ma sposarvi ... Nilos - Voglio stare con lei. Filon - E allora stacci. Nilos - Lo vogliamo. Filon - È sua l'idea. È stata lei a convincerti. Nilos - No. Filon - È sempre così, anche a te è capitata la stessa cosa. Nilos - No, non è così, no. Filon - E tu non hai detto niente, hai accettato. Nilos - Lo abbiamo deciso insieme. Filon - Ti sposi. Non riesco a crederci. Ti sposi. Ti sposi, ti sposi, ti sposi, ti sposi. Nilos - Non è stato facile dirtelo. Filon - Perché in realtà non vuoi. Nilos -Anch'io la pensavo come te, lo sai, però le idee, ecco, come dirtelo, le idee a un certo punto della vita, capita qualcosa e... Filon - Intendi dire che le idee non resistono alla vita, giusto? Nilos - Sì, quando la vita, sì. Filon - Cosa? Nilos - L'amore. Filon - L'amore, già. Niente può resistergli ... tutti questi anni... la nostra amicizia. Nilos - No, la nostra amicizia no, non cambierà mai, non cambierà niente per noi. Filon - I nostri segreti. Nilos - Non cambierà niente, te lo giuro. Filon - Il nostro legame. Nilos - Te l'ho detto, staremo sempre insieme, niente e nessuno ci separerà. Filon - Nilos, non farlo. Nilos - Cosa? Filon - Non sposarti. Nilos - Impossibile.

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Una tragedi.a senza catarsi. '

la precarietà la vera protagonista dell'opera teatrale di Dimitris Dimitriadis Lo stordimento degli animali prima del macello. Titolo inquietante, che rimanda alla sicurezza, al le tranqui 1 le certezze di tutti coloro che 1 'imminenza della catastrofe sta per schiacciare, e che, pur scorgendone i segni, preferiscono ignorarli o non sono in grado di affrontarli. Ma la catastrofe arriva inesorabile come un meccanismo di precisione, guidata da leggi inesorabi 1 i e ingovernabi 1 i. Sono le leggi cieche del fato, che tritura idee e uomini, distrugge la felicità e ricorda a tutti il carattere effimero di ogni conquista. Nel 1 'opera di Dimi triadis è un tranquillo ménage familiare la vittima predestinata. Nel modo più feroce, crudele e sistematico. Tutto sembra uno scherzo, all'inizio. La profezia, volutamente iperbolica, di un uomo geloso della felicità del suo migliore amico, che grazie alle armi del teatro del 1 'assurdo si trasforma in una indici bi le realtà. Da un momento all'altro tutto è messo in discussione: il sogno si trasforma in incubo, il riso in pianto e la bellezza in orrore. Evidenti sono i riferimenti biblici del la trama, in particolare alla vicenda di Giobbe. Ma se quest'ultimo si rassegnava al suo destino confidando nel la profonda saggezza del suo Dio, e consapevole del significato, estremo ma sublime, del sacrificio, nello Stordimento la divinità (i tre personaggi contraddistinti rispettivamente dalle prime tre lettere del 1 'alfabeto, che formano una specie di carnivora Trinità) non offre un'occasione di ravvedimento. La sua violenza è cieca, il suo potere insensato e primitivo. E gratuito. Parabola dei tempi moderni, dove tutto sembra disponibile, dove le occasioni sembrano moltiplicarsi all'infinito, ma basta una parola a svelare la provvisorietà e la fragi 1 i tà della struttura. La parola: il logos greco, pesante, pensante e gravoso, il cui potere libera la paura, l'orrore e la pietà. Ma a differenza che nella tragedia antica, qui manca la catarsi: perché manca i 1 mito. E dove manca i 1 mito, sembra di re Dimitriadis, manca anche il logos. Maurizio de Rosa

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Filon - Perché? Perché impossibile? Sei ancora in tempo. Non farlo. Nilos - Basta, smettila ... Filon - Lo ha deciso lei. Nilos - Stasera mi aspetta. Filon - Non andare, non ci andrai. Nilos - Non posso, non insistere. Filon - Hai paura di dirglielo. Nilos - Cosa? Filon - Hai paura di dirle che tra voi tutto è finito. Nilos - Ma cosa dici, sei impazzito ... Filon - Vuoi che glielo dica io? Eh? Vuoi che vada io a casa sua stasera e che le dica che non vi sposate, vuoi che ci pensi io visto che tu hai paura? Nilos - Tu non vai da nessuna parte e non le dirai proprio niente. Voglio sposarla. Filon - Non è vero. Nilos - Non riesco a stare neppure un secondo senza di lei, sono pazzo di questa donna, pazzo, pazzo, pazzo, lo capisci, desidero tutto di lei, tutto, i suoi occhi, le sue labbra, i suoi seni, le sue gambe, il suo ventre, i suoi capelli, la sua voce, il modo in cui mi tocca, in cui mi stringe, in cui mi bacia ... Filon - Va bene, va bene. Nilos - .. .il suo respiro, la desidero alla follia, voglio

leccarla, mangiarla, tutta quanta. Filon - Ti ha plagiato. Nilos - È questo l'amore, no? Filon - Non durerà molto. Nilos - Durerà quanto durerà. Filon - L'amore finirà e rimarrà il matrimonio. Nilos - Non m'importa. Filon - Adesso non t'importa, ma dopo? Nilos - La amo. Filon - Ti stai mettendo nei guai. Nilos - Cosa? Filon - Questo matrimonio sarà la tua catastrofe. Nilos - Come fai a saperlo? Filon - Lo so. Nilos - Cosa sai? Filon - Vuoi che te lo dica? Nilos - Cosa? Filon - Vuoi che ti dica quello che succederà? Nilos - Sai prevedere il futuro? Filon - Vuoi che te lo dica o no? Nilos - Non c'è niente che devi dirmi. Filon - Hai paura di sentire la verità. Nilos - E tu la conosci, la verità? Filon - La vuoi sentire? Nilos - Non ho paura, perché dovrei aver paura,


T ES T I cosa ne sai tu, ma anche se conosci la verità io non ho paura di sentirla, io non ho paura di niente. Sì, voglio sentirla, voglio che me la dica, su, dimmi, fammi sentire la verità. Filon - Ascolta, allora. Avrete dieci figli, sette maschi e tre femmine. Dapprima vivrete sereni e felici, non sarete ricchi ma non vi mancherà niente. Poi qualcosa cambia, all'improvviso le cose cambiano, diventerete ricchi, oltre al necessario avrete anche il superfluo, non saprete cosa farvene, avrete un sacco di soldi, un patrimonio gigantesco. Poi perderete tutto rapidamente come l'avevate guadagnato, precipiterete nella miseria e vi capiterà una disgrazia dopo l'altra. Una delle tue figlie darà segni di squilibrio e in breve tempo sprofonderà nell'abisso della follia. Uno dei tuoi figli diventerà un delinquente e verrà assassinato. Un altro tuo figlio diventerà un rapinatore, sarà arrestato, condannato, evaderà, ricomincerà le rapine, sarà arrestato di nuovo, e così per tutta la vita. Un altro figlio si suiciderà. Anche la tua seconda figlia si suiciderà. La tua terza figlia si darà alla prostituzione e morirà per overdose. Anche il tuo quarto figlio si prostituirà e morirà giovane. Il quinto figlio diventerà un killer professionista, verrà implicato in alcune faccende losche e verrà assassinato. Il sesto figlio sprofonderà nella depressione e morirà per abuso di psicofarmaci. Il settimo figlio un giorno scapperà di casa e non tornerà mai più, forse perché avrà messo incinta sua madre. Tua moglie ti tradirà con altri uomini, insidierà i tuoi figli e avrà a sua volta figli da loro. Quanto a te, passerai dalla felicità alla rovina, conoscerai momenti di gloria, diventerai ricco sfondato, sarai proprietario di case, di terreni, di fabbriche, di allevamenti, di isole, di navi, di teatri, di cinematografi, di discoteche, di giornali, di reti televisive, di satelliti, di alberghi, di banche, di pozzi di petrolio, di boschi, di castelli, di musei, diventerai un uomo così potente che influenzerai la vita politica del Paese e cambierai il corso della storia, a un certo punto però comincerai a perdere tutto, e alla fine resterai senza niente. Nilos - Hai finito? Filon -Ah, ucciderai tua moglie. Nilos - E poi? Filon - Alla fine resterai solo e una banda di delinquenti ti assassinerà senza un perché. Nilos - C'è altro? Filon - Ti innamorerai perdutamente di una delle tue figlie, uno dei tuoi figli si innamorerà di un altro tuo figlio, anche tu ti innamorerai di uno dei tuoi figli e lo ucciderai, mentre una tua figlia si innamorerà di un altro dei tuoi figli che la metterà incinta e la farà impazzire perché lui sarà innamorato di sua madre, che avrà messa incinta anche lei, e del resto anche tu metterai incinta una delle tue figlie, che partorirà e soffocherà il neonato

nella culla. Nilos - Non ti sembra di esagerare? Filon - Vedrai, accadrà tutto molto in fretta, nel giro di qualche mese. Nilos - E tu dove sarai? Filon - Insieme a voi. Nilos - Dunque, come vedi, non ci perderemo di vista. Filon - No, però non saremo insieme. Nilos - E a te non capiterà niente? Filon - Certo, anche a me capiterà qualcosa. Nilos - Cosa? Filon - Non te lo dico. Nilos - E non c'è modo per evitare tutto questo? Filon - No. A meno che non cambi idea. Nilos - Ossia, a meno che non mi sposi. Filon - Appunto. Nilos - lo invece mi sposo. Filon - Pur sapendo quello che ti capiterà? Nilos - La tua generosità è commovente. Filon - Vedrai se non ho ragione. Nilos - Ne sei sicuro? Filon - Non ho dubbi. Nilos - Parole, parole. Filon - Sì, parole. Nilos - Sai, sono curioso, davvero, hai reso la mia vita coniugale molto interessante, non vedo l'ora di sapere come andrà a finire. Filon - Vai via? Nilos - Sì, devo prepararmi. Filon - Per stasera. Nilos - Sì. Ciao. Filon - Quando ci vediamo? Nilos - Te l'ho detto (Esce di scena)

r .... - -- - -- - - - - - - - - - - - - I L TRADUTTORE

Filon - Non accadrà proprio un bel niente. Non ho detto niente.

Scena qui.nta (A, B, C. Sono seduti in poltrona a fumare.)

Scena sesta (Militsa è sola.) Militsa - Dio mio, grazie, ti ringrazio. Hai ascoltato le mie preghiere. Hai mantenuto la promessa. Mi hai dato l'uomo che amo. Però anch'io ho fatto come mi avevi suggerito. L'ho tenuto lontano abbastanza da farlo pendere dalle mie labbra, da fargli desiderare di toccarmi, però non l'ho lasciato fare, solo un poco, molto poco, quanto è bastato per farlo eccitare, per farlo impazzire d'amore per me, per indurlo a pregarmi di lasciarlo fare. lo un po' l'ho lasciato fare ma non ho mai ceduto completamente, no, no, mai, questo mai. Adesso sono sette mesi che mi corre dietro e ogni giorno che passa mi desidera sempre di più, poi ieri non ha resistito, mi ha chiesto se voglio sposarlo, e io ho detto di sì. Mi faceva una pena vederlo soffrire in quel modo, ma, Dio mio, anch'io ho sofferto, solo io so quanto ho sofferto. Perché anch'io lo volevo, lo volevo, lo volevo quanto mi voleva lui, e anche di più, quanto lo voglio, non so dove ho trovato la forza di trattenermi, di fingere, per tutto questo tempo l'ho incitato, tornavo a casa, mi chiudevo nella mia camera,

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MAURIZIO DE ROS A è nato a Mi. lano nel 1971, e nel 1996 si. · è laureato i.n Lettere classi.che presso 1 ' Uni. versi. tà Statale della sua ci. ttà con una tesi. sul poeta greco Premi.o Nobel Odi.sseas El i. ti.s. Nel 1994, 1995 e 1996 ha seguito corsi. di. lingua e letteratura greca moderna come borsista presso l'Istituto di. Studi. Balcani.ci. di. Saloni.eco e presso l'Uni.versi.tà di. Atene. Negli. anni. accademici. 1998-99 e 1999-2000 ha insegnato la 1 i.ngua greca moderna presso la Scuola Superi.ore Interpreti. e Traduttori. del Comune di. Mi. lano, e si. dedica al la di.ffusi.one della letteratura greca moderna i.n Itali.a prevalentemente come traduttore. Fi.no al gennai.o 2004 ha tradotto i. seguenti. testi., pubblicati. da vari. editori.: Zyranna Zateli. , E alla luce del lupo ritornano; Neni. Efthi.mi.adi., I cittadini del silenzio; Ioanna Kari.sti.ani., L'isola dei gelsomini; Vasi.li.s Alexaki.s, La lingua materna; Maro Duka, Meccanica celeste; Ioanna Kari.sti.ani., Vestito in terra; Evànghelos Veni.zelos, Per una cultura delle culture; Petros Marti.ni.di.s, I falsi di Parigi; Vanghel i.s Chatzi.ghi.anni.di.s, Il miele degli angeli; Ghi.orgos Skurti.s, Il simposio di Luna; Andreas Stai.kos, Le relazioni culinarie; Antoni.s Fosti.eri.s, Segnali Morse; Eros-Thànatos, antologia di. poeti. greci. moderni.. Inoltre ha tradotto le opere teatrali. Oblio e Lo stordimento degli animali prima del macello di. Di.mi.tris Di.mi.tri.adi.s e , i.n collaborazione con Giovanni. Giovannetti. , sta curando i.1 volume Voci dell'agorà-Fotostoria della letteratura greca del Novecento. Suoi. arti.coli., recensioni. e traduzioni. sono usci.ti. sulle ri.vi.ste Poesia, Pulp, Meridiani, Effe e l'Indice dei libri. •

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T ES T I come adesso, mi chiudevo, mi strappavo i vestiti di dosso e mi sfogavo, non sapevo che cosa fare del mio corpo, ero fuori di me, avrei voluto togliermi la pelle di dosso, farla a pezzettini, gridavo e mi strappavo i vestiti e mi sentivo soffocare dal mio stesso sangue, non riuscivo a respirare, Dio mio, che martirio, quanto lo desideravo, lo desideravo da morire ma non allungavo mai la mano per toccare il suo corpo, il suo corpo, il suo corpo. Adesso invece sarà tutto mio, e lo devo solo a te, che per tutti questi mesi mi hai reso forte e salda. Ti ringrazio, Dio mio, e ti prometto che sarò sempre forte, che ce la farò sempre, perché ti avrò sempre al mio fianco, ti sarò sempre fedele, e anche ai miei figli insegnerò a esserti fedeli. Oh, ti prego, dacci, a me e al mio Nilos, dacci una vita felice, dona prosperità alla nostra famiglia, dacci figli sani e robusti, guidali sulla retta via, la Tua via, e proteggili sempre per tutta la vita. Proteggi anche noi, tienici uniti e pieni di affetto gli uni per gli altri, fa' che viviamo una vita felice. Non ti chiedo molto, non ti chiedo nient'altro, solo una vita tranquilla e felice, non è poco, lo so, ma te la chiedo, e io in cambio mi rivolgerò sempre a te a chiedere il tuo consiglio. So che ci proteggerai e ci donerai quello che meritiamo. Tra poco arriva. Dopo il fidanzamento mi darò a lui. Non voglio più vederlo così triste. Lo amo. Stasera diventerò sua, e lui diventerà mio. Oh, Dio mio, aiutaci a sopportare tanta felicità, aiutaci, ti prego.

Scena setti.ma (A, B, C.) A - lo sarei stato molto più veloce. B - Nell'entrare o... A - Nell'entrare e nell'uscire. Ricordate che non bisogna aspettare mai, bisogna sempre risparmiare tempo. B - Sì, è quello che vogliamo anche noi, però non è facile. La materia stessa oppone resistenza, è la sua natura. Essa impone i suoi tempi, segue i suoi ritmi, e questo suscita frustrazione e collera. A - Avete notato che all'inizio accoglie più facilmente la penetrazione? Non mi riferisco alla paura o alla resistenza. Mi riferisco alla natura del materiale. C - In effetti si potrebbe dire che la risposta è positiva, che favorisce l'entrata. A - Certo che è così. C - Però non l'ammette. A - Sì, indipendentemente dal dolore che procura. C - A chi procura dolore? A - Il punto non è questo. Mi riferisco alla natura del materiale. C - Questo materiale però appartiene a qualcuno. A - Quando ce l'hai è irrilevante sapere a chi appartiene. B - lo non vedo e non sento niente. Non sento le grida né le smorfie né i gesti. A - E invece dovresti vedere e sentire, così capiresti il senso di quello che stai facendo, il senso di quello che hai in mano, la sua vera natura, la natura di quello in cui stai entrando. C - Trovo faticosa l'uscita. B - Perché? C - Perché in teoria dopo la penetrazione il materiale dovrebbe essere più morbido, più rilassato, e

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invece all'uscita il mio ritmo è rallentato. B - Dipende dal tipo di strumento che usi. Se è di metallo ... C - Ho notato che questo rallentamento non dipende dal tipo di strumento. A - Non dipende dallo strumento, infatti, ma dalla mano. C - La mia mano mi obbedisce, è in grado di eseguire qualsiasi ordine. E poi è forte, io stesso mi stupisco vedendo la sua forza, è in grado di portarmi dove voglio, non si ferma mai, davanti a niente, va, va - solo all'uscita rallenta un pochino. A - Nel mio caso, invece, ho notato un'accelerazione. Stamattina, per esempio, è stato così veloce che non sono riuscito a cronometrarlo. Non riesco .neanche a godermelo. Preferirei che fosse un po' più lento. B - lo lo vorrei ancora più veloce. Vorrei che tra l'entrata e l'uscita non passasse neanche un istante. C - Perché? Non ti piace? B - Al contrario, mi piace molto. C - E allora? B - È questo che mi piace, la velocità estrema. C - Il tempo zero? B - Mi dà i brividi la durata minima, il non ricordare quando entro e quando esco, quando diventa impellente la necessità di ricominciare, di passare a qualcos'altro, e poi ad altro ancora, di penetrare qualsiasi cosa, velocemente, sempre più velocemente, da uno all'altro, da uno all'altro, senza ritardi né pause né intervalli, senza alcun indugio, una successione continua e ininterrotta. A - Dipende dalla natura del materiale, cambia a seconda delle situazioni. Si tratta di una variabile nota ma anche imprevedibile, molto spesso sorprende persino noi. B - Sì, è vero, l'ho notato tante volte ma ancora non so cosa sia esattamente. A - Nessuno lo sa. C - Noi però dovremmo saperlo. A - Il mistero si infittisce. C - Non c'è nessun mistero. Solo un mucchio di merda. A - Lo vedo tutti i giorni, e tutti i giorni mi sembra la prima volta. C - Una montagna di merda. B - Non dovrebbe esserci. È questa la causa di tutto. Il fatto che c'è. C - Una montagna di merda. B - Voglio eliminarla. A - Non fermarti. B - È quello che faccio, ma non diminuisce, non diminuisce, tutti i giorni, tutti i giorni ne arriva altra, fino a quando? A - Non finirà mai. C - E chi vuole che finisca? lo no. A me non basta mai, ne voglio sempre di più. A - Ecco che ricomincia. Lasciate perdere tutto. Non pensate a niente. Pronti? Siete pronti?

PRIMO ATTO Scena pri.ma (Emi/ios, Evghenios e Star/et.) Voce di Militsa - (Da/l'interno) Starlet. (Nessuna

risposta) Starlet. Starlet - Va bene, va bene. Emilios - Perché non hai visto che non hai niente da fare? Starlet - E tu che ne sai? Emilios - Cosa? Starlet - Che non ho niente da fare. Emilios - Be', ti vedo, no? Non sono mica cieco. Starlet - Ma cosa vuoi vedere, tu. Emilios - In questo momento stai facendo qualcosa che non vedo? Starlet - Sì. Emilios - Cosa? Starlet - Che te ne importa? Emilios - Non stai facendo niente-. (A Evghenios) La vedi fare qualcosa? Evghenios - Lasciala stare. Starlet - Vai al diavolo, tu, ci tratti come gentaglia, ma sappi che prima o poi la pagherai cara. Emilios - Pensa ai fatti tuoi. Starlet - E tu ai tuoi. Voce di Militsa - Starlet! Starlet - (Imitando la voce di Militsa) Starlet. Emilios - Va' a vedere cosa vuole. Starlet - Cosa vuoi che voglia, niente, la conosco. Emilios - Va' a vedere, ti ho detto. Starlet - La smetti di rompere? Evghenios - Lascia perdere. Emilios - Ti ci porto io. Starlet - Di peso? Emilios - Per i capelli. Starlet - Provaci, se hai coraggio. Emilios - Guarda che se non vai ... Voce di Militsa - Star-let! Starlet - (Imitando la voce di Militsa) Starlet... Starlet... Emilios -Adesso basta. (Si slancia su di lei, la prende per i capelli e cerca di trascinarla in cucina. Star/et grida. Evghenios li osserva con indifferenza. Entra in scena Nilos. Emilios e Star/et si rotolano sul pavimento.) Nilos - Un bel giorno vedrete se non si faranno fuori. Voce di Militsa - STAR-LET! Starlet - (A Nilos) Guarda cosa mi ha fatto ai capelli quella bestia. Emilios - È un'ora che la mamma la sta chiamando ... Starlet - La mia povera gonna. Emilios - ... e lei fa finta di niente. Starlet - Bestia, bestia! Nilos - Volete smetterla? Starlet - Quante volte ti ho detto di non mettermi addosso quelle tue manacce! Emilios - lo vado a lavarmi. (Entra in scena Militsa) Militsa - (A Star/et) Sei sorda? Non senti che ti sto chiamando? Starlet - Mi hai chiamato? Emilios - Sei fuori? Militsa - È in ritardo. Nilos - È sempre un po' in ritardo, però alla fine arriva sempre. Militsa - Sono quasi pronta. Starlet - Cosa vuoi da me? Nilos - Forza, ragazzi, diamo tutti una mano. Emilios - lo non ho voglia di apparecchiare.


T ES T I Starlet - Perché? Hai paura di stancarti? Militsa - Ma guarda che ... Starlet - Se non lavori non mangi, mio caro. Emilios - Va' al diavolo. Nilos - Ragazzi ... Su, Evghenios, vieni anche tu. Evghenios, dico a te. Emilios - Uff, non capisco il perché di tutta questa confusione. Starlet - Ho una fame. Emilios - Neanche fosse la prima volta che lo invitiamo. Militsa - Non è la prima, però è molto tempo che non viene da noi. Chissà dov'era finito. Emilios - Fa una doppia vita. Militsa - E tu come lo sai? Emilios - Dico per dire. Nilos - Se dici per dire meglio che stai zitto. Starlet - Sai sempre tutto, tu. Emilios - Sì, esatto, e allora? Starlet - Sai anche altre cose? Emilios - La notte va in giro a sgozzare pollastre ritardate come te. Militsa - Emilios ... Starlet - Lo senti cosa dice? Nilos - Su, lascia perdere. Starlet - Sul conto del tuo miglior amico. Emilios - E poi se le mangia, ecco, così. Militsa - Insomma, basta, smettetela. Nilos - Evghenios, cosa stai facendo? Militsa - Prova a chiedergli dov'è. Evghenios - Ho l'impressione che qualcuno ci osservi. Nilos - Cosa? Evghenios - Mi sembra che qualcuno ci osservi. Nilos - Chi? Militsa - Che ha detto? Ha parlato? Starlet - Il signor Filon, chi altri? Emilios - Lui osserva altri. Nilos - Allora chi è che ci osserva? Evghenios - È come se ci dicesse come comportarci, cosa dire ... Militsa - Eccolo che ricomincia, ah, quand'è che questo ragazzo metterà i piedi per terra. Nilos - Non apre mai bocca, ma quando decide di farlo ... Starlet - ... dice solo sciocchezze. Militsa - Tu è meglio che stai zitta - assurdo, certi parlano sempre e altri non parlano mai, non c'è via di mezzo. Filon dov'è che lo mettiamo a sedere? Starlet - Non voglio che un altro si segga al mio posto. Nilos - Mettiamolo dove si siede sempre. Militsa - Scusa, ma ho un vuoto di memoria. Dov'è che si siede? Emilios - lo mi seggo qui. Starlet - Questo è il mio posto, vattene. Emilios - La odio. Starlet - Sapessi io. Militsa - Adesso basta. Ah, come vorrei un po' di tranquillità, parliamo in continuazione ma neanche noi sappiamo quello che diciamo. Tutte queste parole sono come una malattia. (Intanto hanno apparecchiato) D'accordo, ancora un attimo. Nilos - È in ritardo. Emilios - (A Evghenios) Cosa volevi dire? Si sente il campanello. Starlet - lo non apro.

Emilios - Neanch'io. Militsa - Ma come devo fare con voi? Nilos - Vado io. (Va ad aprire.) Emilios - Alla fine il signor Filon dov'è che lo mettiamo? Starlet - Tra le tue braccia. Militsa - Starlet, ti giuro che se dici ancora una cosa del genere ... Starlet - Hai visto? Mi ha minacciato con il coltello. Militsa - Non provocarlo. Starlet - Voleva uccidermi. Emilios - Brutta. Militsa - Silenzio! Entrano Filon e Nilos. Filon - Mmm, c'è aria di guerra. Nilos - I soliti schieramenti, i nemici secolari. Filon - Porto pace e amicizia ... Militsa - Ciao, Filon. Filon - ... al vostro reame in subbuglio ... Nilos - Prego, accomodati. Filon - ... e a tutte le vostre greggi. Nilos - Cosa? Starlet - Non sono mica una capra, io. Emilios - Ma una pecora sì. Starlet - Signor Filon, ecco il suo montone. Nikos - Starlet, adesso basta. (A Filon) Allora, dov'eri finito? Filon - E voi? Nilos - E tu? Filon - Avevo perso ogni traccia di me. Starlet - lo ho fame! Militsa - Mi sembrate identici voi due. Nilos - Ci vede come una cosa sola. Militsa - Perché non dovrei. Filon - Dopo tanti anni ... Militsa - Non vi vedete più molto spesso. Nilos - Filon ha altri impegni. Emilios - Che vi dicevo? Filon - Cos'è che dicevi? Nilos - Che Filon ha impegni agli antipodi, giusto? Filon - Non so dove mi trovo. Evghenios - Da oggi in poi vi vedrete più spesso. Filon - Ah, sì? E perché? Evghenios - È sempre così. Militsa - Cos'è che è sempre così, tesoro mio? Starlet - Ho fame, ho fame. Emilios - Sta' zitta. Filon - (A Star/et) Hai sempre così fame, tu? Starlet - lo comincio. Militsa - Aspetta ... Emilios - È perché è sempre incinta. Nilos - Emilios ... Emilios - Come la mosca incinta. Starlet - Ma lo senti? E poi dici di me. Nilos - Emilios, basta, smettila. Starlet - Signor Filon, posso farle una domanda? Militsa - No, non puoi. Nilos - Mangia, non avevi fame? Starlet - Vorrei sapere. Emilios - Lasciatela dire, sarà la solita castroneria. Starlet - Signor Filon, se la mucca fa mu perché il merlo non fa me? Silenzio, poi risate. Emilios - Be', pensavo peggio. Starlet - E se il merlo non fa me perché la mucca fa mu? Ancora risate, seguono alcuni istanti di silenzio

imbarazzato. Militsa - Se non fa il suo pezzo non è contenta. Emilios - Ci scusi, signor Filon, purtroppo così è venuta fuori e così dobbiamo tenercela. Nilos - Mangiate, adesso. Filon - E tu, Evghenios ... Evghenios - Nella nebulosa di Orione. Militsa - Ecco, hai visto? Filon - In quella massa enorme di pulviscolo? Evghenios - Come lo sa? Filon - Ecco, anch'io ogni tanto vado da quelle parti. Emilios - Nel pulviscolo? Filon - Non mi conosci bene. Starlet - Nessuno la conosce bene. Filon - Perché, qualcuno invece conosce voi? Militsa - Noi? Filon - Sì. lo che vi conosco da anni, da quanti anni siete sposati? Militsa - Venti. Eh, sì, i birbanti qui presenti hanno diciannove, diciotto e... Starlet - Zitta, non dire quanti anni ho. Emilios - Ben sedici. Militsa - Mi sembra impossibile. Emilios - Su, su, non prendertela, sembri molto più giovane. Filon - Non riesco ancora a credere che vi siate sposati. Militsa - Qualcosa da obiettare? Nilos - (A Filon) Problemi tuoi. Filon - Ma non è che ... ma sì, perché non me lo avete detto subito? Oggi è il vostro ... Militsa - Sì, è il nostro anniversario di matrimonio. Il ventesimo. Filon - Ma perché non me lo avete detto subito? Sono venuto a mani vuote. Nilos - Vent'anni. Filon - Ecco perché. Cosa posso augurarvi? Nilos - Niente, non importa. Devi solo ammettere ... Militsa - No, no, che ammettere, deve solo farci un augurio. Nilos - Il miglior augurio che possa farci è ammettere che ... lui sa cosa. Filon - D'accordo, lo ammetto, lo ammetto. Militsa - Cosa? Nilos - Sei d'accordo con me? Filon - Sì. Nilos - Mi riferisco ad allora, quando ha cercato di farmi cambiare idea. Militsa -Ah, è passato tanto di quel tempo. Chi se ne ricorda più. Nilos - Neppure io me ne ricordo più. Ma sai che amarezza mi hanno procurato le tue parole di allora? Anche se non ho seguito il tuo consiglio, non significa che non ci abbia pensato, che non abbia riflettuto su quello che mi hai detto. Ci ho messo anni per dimenticarlo, per togliermelo dalla testa. Filon - Adesso esageri. Nilos - Sì, te lo giuro, non ho mai creduto neanche per un momento che avessi ragione, però non facevo che ripensare alle tue parole. Ti ricordi quello che mi hai detto? Filon - Mah, erano cose senza importanza. Nilos - Davvero non te ne ricordi? Filon - No, come faccio a ricordarmene? Nilos - Neanche a grandi linee? Militsa - Smettila, Nilos, perché dovrebbe ricor-

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darsene? Nilos - Non può non ricordarsene, è impossibile. Non ricordi quella, come si può dire, quello che mi hai detto insomma, avevi previsto il mio futuro, ed eri così serio, questo almeno te lo ricordi, che eri assolutamente serio? Militsa - Cos'è che diceva? Non me ne hai mai parlato. Filon - Tu però non ridevi. Nilos - Certo che ridevo, dentro di me ridevo, eri così serio mentre dicevi quelle cose, sembravi un profeta. Filon - Questo me lo ricordo. Quello che conta però è che non sono riuscito a convincerti. Ho detto quello che ho detto, tu però niente, hai continuato imperterrito, voce nel deserto, sei tornato dalla tua Militsa, e adesso, dopo tanti anni ... Militsa - Insomma, di cosa si tratta, muoio dalla curiosità. Nilos - Diglielo. Filon - Te l'ho detto, non mi ricordo bene. Nilos - Be', qualcosa ti ricorderai. Filon - Ma che importanza ha ormai, dopo tanto tempo. Non ha senso rivangare il passato, sono cose che si dicono così per dire e un minuto dopo vorresti non averle dette. Militsa - Ah, allora ti sei pentito di averle dette. Vuol dire che era una cosa seria. Filon - Ma no, che dici. Nilos - Per me lo era. Filon - Se non lo era allora, come può esserlo adesso? Militsa - Insomma, cosa ti ha detto? Filon, che cosa gli hai detto? Nilos - È stato il giorno in cui sono venuto a chiederti di sposarmi. Militsa - Ti ha detto di non chiedermelo? Nilos - Sì. Ha cercato di farmi cambiare idea con vari pretesti. Militsa - Perché? Filon - Tu non c'entravi niente. Militsa - Be', in pratica neanche ci conoscevamo. Filon - Appunto per questo, erano cose generiche, ho espresso il mio credo. Militsa - Che cosa ti ha detto? Nilos - Non te lo immagini neanche. Sembrava un invasato. Filon - Sì, sembravo un invasato. Nilos - Ha previsto cose che sarebbero accadute nel futuroFilon - Guarda, forse è meglio non ... Militsa - lo voglio saperlo. Nilos - No, Filon ha ragione, è meglio non ... Militsa - Fallo per i ragazzi. Nilos - Per i ragazzi? Filon - Perché per i ragazzi? Militsa - Devono sapere. Nilos - No, no, non è il caso. Militsa - Su, Filon, parla, diccelo. Filon - Senti, mi sono lasciato prendere la mano, non sapevo quello che dicevo, mi aveva sorpreso, anzi, sconvolto l'idea, temevo di perderlo, temevo che tutto sarebbe cambiato, ero terrorizzato, ecco tutto, la notizia che vi sposavate è stata come un fulmine a ciel sereno, ho cominciato a delirare, credevo che sarei rimasto solo al mondo, insomma avevo perso la testa, sì, avevo perso la ragione, non mi era mai successa una cosa del genere.

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Nilos - Era solo uno scherzo. Militsa - Scherzo? Nilos - Sì, scherzavamo, e io stavo al gioco. Filon - Per me non so se era uno scherzo. Nilos - Certo che lo era, non dicevi mica sul serio. Filon - Naturalmente no, era tutto così assurdo, un mucchio di esagerazioni. Militsa - È così che vi divertivate? Nilos - No, no, solo che in quel momento ci ha preso qualcosa. Filon - È colpa mia. Nilos -Anche mia. Filon - No, tu non c'entri, non hai detto niente. Nilos - Sì, però ti incoraggiavo con il mio silenzio. Filon - Non riuscivo più a fermarmi. Nilos - Eri un fiume in piena. Filon - Meglio aver dimenticato tutto. Militsa - Ma qualcosa ricorderete. Filon - No, niente. Militsa - Una cosa piccolissima. Nilos - Mah, non so cosa dirti. Militsa - Fate uno sforzo. Nilos - Be', ecco, diceva che ... Filon -Zitto! Militsa - Lascialo dire. Nilos - ... che i primi tempi saremmo stati felici, avremmo avuto molti figli ... Militsa -Ah, bene ... Nilos - ... ma poi ... Filon - Non ascoltarlo. Militsa - Dopo cosa? Nilos - ... sarebbero successe delle cose, e a quel punto hai perso il controllo. Filon - Erano parole suggerite dalla disperazione, a volte parliamo ma non intendiamo dawero quello che diciamo. Militsa - Insomma, non volete dirmelo. Filon - È che non ce lo ricordiamo, ed è meglio così. Del resto non si è awerato niente di quello che ho detto. Nilos - Be', vorrei ben vedere. Filon - Per fortuna ho fallito completamente nelle mie previsioni. Mai un essere umano si è sentito tanto felice per un fallimento. I ragazzi ci ascoltano come se gli raccontassimo una favola senza capo né coda. È passato tanto di quel tempo, tutto sembra uscire da vecchi libri scritti in una lingua sconosciuta, dimenticata persino dal loro autore. Mi sento così vecchio, così stanco. Nilos - Su, non abbatterti così. Militsa - Guardaci, noi stiamo benone, sì, benone, io almeno non desidero niente di più, niente, non potrei desiderare nient'altro, non ho tutto ma non mi manca niente, no, niente, mi auguro solo che le cose continuino ad andare bene come adesso. Nilos -Auguri, auguri, ragazzi, i bicchieri. Filon, alla tua. Filon - Alla vostra. Militsa - Alla tua. Filon - Non cambiate mai. Militsa - Salute, salute.

Scena seconda (A, B, C.) C - La corda. Calate in fretta la corda e legate sai-

damente la cima e il fondo. Tendetela, tendetela, tanto non si rompe. La cima e il fondo sono robusti. Quanto più tendete tanto più la cima e il fondo resistono. Voglio sentirne il battito. Tendetela, tendetela, voglio sentirne il battito, non m'importa se si rompe. La cima e il fondo, il fondo e la cima.

Scena terza (Emilios ed Evghenios nella loro stanza.) Emilios - Sai tenere un segreto? Evghenios - Riguarda una donna? Emilios - No. Evghenios - Allora, di che genere? Emilios - Diverso. Evghenios - Cosa? Emilios - Però non devi dirlo a nessuno. Evghenios - Lo sa qualcun altro? Emilios - Tu sei il primo, piccoletto. Evghenios - Voglio qualcosa in cambio. Emilios - Ti sei fatto furbo, vedo. Evghenios - Che ti aspettavi? Emilios - È successo ieri. Evghenios - Dove? Emilios - Al cinema. Evghenios - Eri solo? Emilios - Con una tipa. Evghenios - Chi? Emilios - Una. Evghenios - Vi siete baciati? Emilios - Come sei curioso ... Evghenios - L'hai accarezzata? Le ... Emilios - Sta' zitto e ascolta. Allora, eravamo seduti nell'ultima fila, la sala era piena di gente, c'erano un sacco di persone intorno a noi, e a un certo punto ci siamo messi a slinguare. Poi non so neanch'io come siamo caduti sul pavimento, nel corridoio tra le poltroncine, davanti a noi c'era lo schermo e la luce del proiettore ci illuminava completamente, allora la prendo, le sollevo ... Evghenios - E gli altri spettatori che facevano? Emilios - Non lo so, non capivo più nulla, a un certo punto ho cominciato a scoparmela come se ci fossimo solo noi. Si saranno girati a guardarci, immagino. Evghenios - Non vi hanno detto niente? Emilios - Mica erano scemi. Uno spettacolo così non gli sarebbe capitato mai più. Infatti a un certo punto hanno smesso di guardare il film, che era una stronzata, e hanno cominciato a guardare noi che scopavamo, poi quella puttana si è messa a gridare, gridava che si sentiva in tutto il cinema ti dico, godeva come una pazza, e io glielo ficcavo sempre di più, l'ho sfondata quella troia. Evghenios - Ma dài. Emilios - Sì, gliel'ho messo tutto dentro, e quella gridava, ci guardavano tutti, erano sconvolti. Evghenios - Come fai a saperlo? Emilios - Mi guardavo intorno, li spiavo, nessuno guardava più il film, ci siamo fatta una di quelle scopate, una scopata cinematografica direi, non ti dico poi quando sono venuto, l'ho messa sui gradini del corridoio, un po' inclinata, forse è per questo che ho sborrato in quel modo, non ho mai goduto così. Evghenios - Mmm. Emilios - Ti è piaciuto?


T ES TI Evghenios - Sì, molto. Emilios - Ti sei arrapato, eh? Vuoi una sigaretta? Fumano. Evghenios - Mmm. Emilios - Non mi è mai successa una cosa del genere. Evghenios - Ma è la verità? Emilios - Certo! Non mi credi? Evghenios - Fammi vedere il biglietto. Emilios - L'ho buttato. Allora, non mi credi? Evghenios - Racconti sempre un sacco di palle, tu. Emilios - E tu le ascolti. Non l'ho detto a nessuno. Evghenios - Mi piace ascoltarti. Emilios - E a me piace che mi ascolti. Mi piace molto, piccoletto. Evghenios - Cos'altro volevi dirmi? Emilios - Ah, guarda ... Evghenios - Dimmi. Emilios - Ho deciso di assassinare ... Evghenios - Di assassinare? Chi? Emilios - Il primo ministro. Evghenios -E perché? Emilios - Perché lo odio. Voglio farlo soffrire, farlo gridare per il dolore. Merita di essere ucciso, e visto che non lo fa nessuno dovrò pensarci io. È la cosa che voglio di più al mondo. Assassinare il primo ministro. Farlo morire. Nessuno ha il coraggio di farlo. Tutti se lo augurano ma nessuno lo fa, si cacano sotto, sono buoni solo a parlare, parlano, parlano e non fanno mai niente, mi viene voglia di tagliargli tutte quelle loro lingue del cazzo e fargliele mangiare, cacasotto, io però non posso più aspettare, non ce la faccio più, ho deciso di farlo e lo farò, niente può fermarmi, se potessi lo farei oggi stesso, in questo momento. Evghenios - Hai un piano? Emilios - Ancora no, ma molto presto, forse già domani. Evghenios - Così presto? Emilios - Sì, sì, non c'è tempo da perdere, anzi, avrei già dovuto farlo, dovrebbe essere già morto e sepolto, ah, quando ci penso e lo vedo marcire sotto terra, quando me lo immagino nella tomba mi arrapo di felicità, ecco, guarda, tocca un po', hai visto, ci ho pensato e subito mi è venuto duro, è lo spettacolo più eccitante che conosca, non lo voglio più vedere, non voglio più sentire la sua voce, mmm, mi è venuto durissimo. Evghenios - Sì. Emilios - Non ce la faccio più. Evghenios - Sono con te. Emilios - Il mio piccoletto ... Evghenios - Non capisco perché vuoi farlo, ma sono con te. Emilios - Sono felice che sei con me. Evghenios - lo sarò sempre con te. Emilios - Dammi un bacino. Evghenios - Non lì. Emilios - Perché? Qui, qui.

Scena quarta (Star/et nella sua stanza.) Starlet - Me li immagino mentre si spogliano. Chissà com'è un uomo nudo. Gli unici uomini che conosco sono il papà e i miei fratelli. Anche loro

sono uomini, no? Chiuderò gli occhi e mi infilerò nel loro letto. Quando stanno per addormentarsi. Mi infilo sotto le coperte. Sono nudi. Ho paura ma voglio farlo. li loro odore. Li annuso. Annuso il loro corpo. Lo annuso. Loro hanno sempre gli occhi chiusi, dormono, sorridono. Sanno che sono io e sono contenti che mi sia infilata nel loro letto. Anch'io sono nuda. Stringo il mio corpo al loro. È morbido e insieme · duro. Lo accarezzo. Lo accarezzo. Mi avvinghio intorno al loro corpo. Sento il loro corpo tra le mie braccia. Mi abbracciano anche loro. Le loro braccia e le loro gambe abbracciano il mio corpo. Sono tra le loro braccia. Li annuso. Li abbraccio. Li bacio. Mi baciano anche loro. Mi baciano, mi baciano. Ci baciamo. Dolcemente. Baci, baci. li loro respiro. È dolce e amaro. Morbido e acre. li loro respiro e il loro odore. Fino a quando? Per sempre. Per sempre. Disgraziato, disgraziato, disgraziato. Attenta, Starlet, sta' attenta. Voglio entrare nel suo letto. Dormi, Starlet, dormi.

Scena qui.nta (Nilos e Militsa nella loro stanza.) Militsa - Mi sento così tutti i giorni. Nilos - Come se festeggiassimo il nostro anniversario tutti i giorni. Militsa - E tutte le notti. È così che mi sento. Nilos - Anch'io. Militsa - Però non lo manifesti. Nilos - Tutte le notti? Militsa - Sì, tutte le notti. Nilos - Se te lo dimostrassi tutte le notti adesso sarei tra altre braccia, molto più fredde. Militsa - Mentre le mie ... Nilos - Non voglio nient'altro. Militsa - Davvero? Nilos - Sì. Non mi credi? Militsa - Stasera, a tavola, mi sei sembrato ... Nilos - Cosa? Militsa - Mentre parlavi con Filon. Nilos - Be', sì, volevo sapere. Militsa - lo volevo sapere. Tu sai già. Nilos - lo non so niente. Mi sforzavo di ricordare. Militsa - Volevo sentire una bella storia. Nilos - Una bella storia? Militsa - Non ci manca niente. Nilos - E allora? Militsa - Qualcos'altro. Nilos - Desideri qualcosa? Militsa - Si desidera sempre qualcosa. Nilos - Prega piuttosto di non perdere quello che abbiamo. Militsa - Prego tutti i giorni, ogni sera mi rivolgo a Dio, si sarà stancato di sentirmi, gli parlo e lo ringrazio dei suoi doni all'insaputa di tutti, ne ho bisogno, mi fa bene parlargli, non ho nessun segreto per lui, non ne ho mai avuti, mi sono sempre confidata con lui. Nilos - Patrimoni grandi, enormi, incommensurabili. Militsa - Lo ringrazio per quello che abbiamo. Nilos - E per quello che non abbiamo? Militsa - Penserà lui a darcelo. Nilos - E prima o poi arriveremo a dire «ecco, adesso abbiamo tutto»?

Militsa - Sì, pensa che bello non aver bisogno di niente non solo perché senti di non averne bisogno o perché sei convinto che non ti manchi nulla, ma ... Nilos - Ma? Militsa - Ecco, sarebbe bello non aver bisogno di niente perché hai più di quello che ti serve, così tanto che non sai neanche tu quanto, e quello che hai non finisce mai, anzi, si moltiplica, diventa sempre di più, sempre di più. Dio mio. Nilos - Facciamo finta che sia così. Militsa - No, smettila. Nilos - Fingiamo che abbiamo tutto e che neanche noi sappiamo quello che abbiamo. Militsa - No, no. Nilos - E diventa sempre di più, sempre di più. Militsa - Non riesco neanche a pensarci. Nilos - Facciamo finta. Militsa - Non riesco a immaginarlo. Nilos - Immagina il. .. Militsa - No, no, non voglio, lasciami, sennò finisce che non riesco a dormire. Nilos - Immagina di possedere il mondo intero, di avere quello che nessuno ha mai avuto, e che nessuno potrà mai avere. Militsa - Ah, smettila! Nilos - E immagina di diventare sempre più ricca, sempre di più. Militsa - Questo Dio non lo vuole. Nilos - Immagina di avere tutto l'oro del mondo e anche di più, sì, di più. Militsa - Si può sapere cosa ti prende? Nilos - ... di vivere nel fasto tu e la tua famiglia, rendendo conto soltanto a Dio. Militsa - Nilos ... Nilos - No, anzi, neppure a Dio, a nessuno, le tue ricchezze crescono sempre di più e tu non devi rendere conto a nessuno. Militsa - Mi basta quello che ho, non voglio nient'altro, solo te e i ragazzi. Nilos - Anch'io voglio solo te e i ragazzi. Militsa - Non dire mai più cose del genere. Nilos - Però vorrei poterti dare tutto questo. Militsa - Smettila. Nilos - Cos'ho detto? Militsa - No, niente.

Scena sesta (A, 8, C.) B - Lo avete visto anche voi?

Scena setti.ma (Filon è a casa sua.) Filon - Rieccomi nel nulla. Non ho nessuno da invitare, io. Verrà lui, come al solito. Chiunque inviti, è sempre lui che viene. Solo e soltanto lui. Arriva e poi se ne va. Non porta niente, non lascia niente. Ma forse è questo che voglio. Non so se vorrei qualcos'altro. Sì, qualcos'altro lo vorrei, ma non so cosa. No, invece lo so, ma non posso averlo. È impossibile. Solo il nulla. Un uomo morto. Sono uscito e sono tornato al nulla. Non ho neppure la bruttezza. Umiliazione, vergogna, obbrobrio. E poi, un mucchio di errori. Da quando ho cominciato a

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T ES T I farne, non riesco a fermarmi. Se allora fossi morto. Come avrà fatto a ricordarsene. Eppure se n'è ricordato. Ho sempre avuto paura che un giorno me lo avrebbe chiesto, che avrebbe preteso che ricordassi. lo però non ricordo. La paura mi ha fatto dimenticare tutto. Non ricordo niente. Smettila di parlare. Li hai visti stasera? Tutti insieme. Su, coraggio, non è niente, un sorso d'acqua e tutto va giù, tutto, dai, ingoia, non è niente, svuota il pugno, apri bene la bocca e caccia dentro tutto, su, su, tutto dentro, tutto giù, e tu con loro, disgraziato, farabutto, codardo, imbecille, inetto, è questo che ti meriteresti ma non lo fai, solo di questo hai bisogno, morire, morire, non ce la faccio, non ce la faccio.

Scena ottava (Militsa e Nilos in cucina.) Militsa - È un appuntamento imprevisto? Nilos - Me l'hanno comunicato solo ieri. Militsa - Farai tardi? Nilos - Non credo. Militsa - Non mi hai detto niente. Nilos - L'avevo dimenticato. Militsa - Appunto. Nilos - L'ho saputo solo ieri. Non fare così , non è la prima volta. Militsa - Sì, però oggi anche i ragazzi ... Nilos - Cosa? Militsa - Anche loro stanno via tutto il giorno. Nilos - Anche Starlet? Militsa - È sempre così impegnata, chissà cosa fa. Nilos - Dopo la scuola? Militsa - Te l'ho detto, non ne ho idea. Nilos - Stanno ancora dormendo. Va' un po' a dare un'occhiata. Militsa - Sono grandi ormai, non oso entrare nelle loro stanze, togliergli le coperte e giocare con loro. Non sono più dei bambini. Nilos - È tutta un'idea tua, loro neanche se ne rendono conto. Militsa - Se ne rendono conto eccome. Nilos - Sono solo dei ragazzi. Militsa - Se ne rendono conto invece. Tu non lo sai, ma se sentissi com'è cambiato l'odore nelle loro stanze. Nilos - In che senso? Militsa - Nel senso che non è più da bambini. Starlet per esempio si chiude persino a chiave, lo sai? Nilos - Lo fa perché ha paura di me. Militsa - Cosa dici, non voglio neanche pensarci Nilos - Ha paura che una notte entri in camera sua. Militsa - Sì, scherza tu. E anche gli altri sono due uomini ormai. Nilos - Due uomini. Militsa - Sì, soprattutto Emilios, è naturale, ma anche l'altro. Nilos - Forse è per questo che Starlet si chiude a chiave in camera sua. Militsa - Oggi sei proprio un burlone. Nilos - Non è mica colpa mia, lo dici tu che sono uomini, e dal momento che sono uomini. .. Militsa - Allora? Nilos -Allora cosa? Militsa - Noi ... cosa dobbiamo fare?

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Nilos - Per cosa? Militsa - Ho paura. Nilos - Non aver paura. Militsa - Fa' qualcosa, crescono così in fretta. Nilos - E cosa dovrei fare? Farli crescere più lentamente? Be', io vado. Militsa - I soldi? Nilos - Li ho lasciati lì. Militsa - È la somma che ti ho chiesto? Nilos - Contali quando me ne vado. Militsa - Oggi devo fare molte spese. Nilos - Ciao. Entra in scena Star/et. Starlet - Stai uscendo? Nilos - Sono in ritardo. Starlet - Non mi hai dato il bacio. Nilos - Mmm, sai ancora di sonno. Starlet - Tu invece sai di buono. Nilos - Mi sono appena fatto la barba. Ciao a tutti. Militsa - (A Nilos) E a me niente bacio? Nilos - Certo, vieni qui (Bacia Militsa) A stasera! (Esce) Starlet - Dormono ancora? Militsa - Va' a svegliarli, è tardi. Starlet - Non chiedo di meglio. (Esce) Militsa - Dio mio, ma cosa mi sta succedendo? Cosa vuole il mio corpo? Oh, Dio, ti prego, dimmi cos'è questa cosa che sento salire, salire. Neanche quando avevo quindici anni mi sentivo così. Basta, ti prego, aiutami. Voci. Entra Star/et. Starlet - Non sapevo che dormissero completamente nudi. Militsa - Cosa dici? Starlet - Gli ho tolto di dosso le coperte. Militsa - Nudi? Dormono ... nudi? Starlet - Se scoprono quello che ho fatto per me è la fine. Militsa - Non lo sapevo. Starlet - Perché non si chiudono a chiave? Militsa - Dormi nuda anche tu? È per questo che ti chiudi a chiave? Starlet - Vado a prepararmi. (Esce) (Entra Emilios) Emilios - Che ha stamattina quella là? Militsa - Quando la sera andate a dormire, chiudete la porta a chiave. Emilios - Non sapevo che ci fossero donne qua dentro. Militsa - E invece ci sono. Ma cosa fai lì tutto nudo? Va' a vestirti. Emilios - Ti dò fastidio? Militsa - Va' a... Emilios - Questa poi, non possiamo stare un po' a nostro agio neanche in casa nostra. Militsa - E questo per te è stare a tuo agio? Su, sbrigati, va' a vestirti. Emilios - Vi comportate come se non aveste mai visto un uomo nudo in vita vostra. Militsa - Emilios ... Emilios - Ma lo sai che con un corpo così farei soldi a palate? Con tutto questo ben di Dio andrei a ruba, ti dico ... (Entra Evghenios) Militsa - (A Evghenios) Portalo in camera ... Emilios - Peggio per voi, non diventerete mai miei clienti. (Esce)

Militsa -Ah ... Evghenios - Cos'hai? Militsa - Oggi mi sento strana, non so. Evghenios - Ogni secondo si verificano cambiamenti molto più grandi e numerosi di quanti possiamo comprenderne. Militsa - Meglio così, non intendo comprendere alcun cambiamento. Evghenios - È meglio per tutti. Se li comprendessimo sarebbe la fine. Militsa -Anche tu hai un'aria strana. Fa' un po' vedere. Evghenios - Non siamo fatti per avere tanta conoscenza. Militsa - Chi? Evghenios - L'ignoranza preserva. Sai che conseguenze esplosive può avere la conoscenza? Ehi, mi senti? Militsa - Sì, forse, non so. Evghenios - È meglio per tutti. Militsa - Sarà un giorno come tutti gli altri. Entra Star/et. Starlet - Starlet sta uscendo. Militsa - Dove va? Starlet - Non lo sa neanche lei. Militsa - Ormai ho perso completamente il controllo sulla mia casa. Stari et - È tutto a posto, per questo io ... Entra Emilios. Emilios - Cretina. Starlet - Ti abbiamo visto. Emilios - E allora? Starlet - Una volta basta e avanza. Ciao a tutti! (Esce) Emilios - Si può essere più cretini di così? Militsa - A furia di non chiedervi dove andate e cosa fate ho perso completamente ... Emilios - Non andiamo da nessuna parte e non facciamo niente. Militsa - Vorrei sapere cosa fate dopo la scuola. Emilios - Quale scuola? Militsa - Che gente frequentate, chi vedete. Emilios - Meglio che non lo sai. Evghenios - Non parlarle così. Militsa - Lo vedi? Ah, Dio mio. Evghenios - Non dargli retta. Militsa - E io che volevo dei figli per avere qualcosa di mio. Evghenios, dimmelo tu. Evghenios - Cosa? Emilios - Evghenios, guarda che hai giurato. Militsa - Mi nascondete qualcosa? Evghenios - D'accordo, vattene. Militsa - Vuoi mangiare qualcosa? Emilios -A stasera, ciao. (Esce) Evghenios - Ha sempre voglia di scherzare. Militsa - Begli scherzi. Evghenios - Parla, parla, ma non combina mai niente. Militsa - Dimmelo tu. Nilos - Che cosa? Militsa - A volte ho l'impressione che tu mi capisca più di tutti gli altri. Evghenios - lo? Militsa - Sì, tu. Evghenios - Più del papà? Militsa - Sì, a volte anche più del papà. Ho torto? Evghenios - Non so.


T ES TI Militsa - Dimmi, ho torto? Evghenios - Mah, non lo so. Militsa - Tesoro ... Evghenios - Ti vogliamo tutti un mondo di bene. Militsa - Che cos'ho oggi? Mi viene da piangere. Evghenios - Hai bisogno di qualcosa? Militsa - Non andartene. Oggi non rimane nessuno con me. Evghenios - Come tutti i giorni. Militsa - Oggi mi sembra diverso. Non andartene anche tu. Evghenios - Tornerò presto. Militsa - Nel pomeriggio? Evghenios - Sì, forse. Be', vado. Militsa - Aspetta un momento. Forse è per via dell'anniversario, tutti questi anni passati in un soffio, il matrimonio, i figli, non è facile per una donna vedere la creatura che ha messo al mondo crescere e diventare quello che vedo adesso in questo momento, un essere familiare ed estraneo allo stesso tempo, che le appartiene e non le appartiene, è vicino ma anche lontano, dentro di lei e fuori di lei, è come se allungasse la mano per prendere la sua stessa anima e non ci riuscisse, come se volesse e non ce la facesse. Con movimenti lenti che a mano a mano diventano sempre più rapidi, si slaccia la camicetta, poi si toglie il reggiseno e rimane così davanti a Evghenios. Si guardano. Militsa si avvicina al figlio, comincia ad abbracciarlo e a baciarlo. Evghenios non si tira indietro, poi però si allontana ed esce in fretta. Militsa si copre con i vestiti che si è appena tolti, poi rimane immobile come per cercare di capire quello che è appena successo.

Scena nona (A, B, C.) A - Sento la ruota. Gira, gira.

Scena deci.ma Interno di una casa imponente. Militsa gira la chiave nella toppa, apre la porta ed entra. Ha in mano alcuni sacchetti della spesa. Li depone per terra e chiude la porta. Riprende i sacchetti e fa per avanzare. Si guarda intorno e rimane a bocca aperta. Istintivamente, credendo di essere entrata nella casa sbagliata, torna indietro, apre la porta, esce e chiude di nuovo con la chiave. Passa qualche minuto. Militsa riapre la porta ed entra guardando ora le chiavi ora quello che la circonda - i sacchetti li ha lasciati fuori della porta. Si ferma e perlustra l'ambiente come se non l'avesse mai visto prima, come se fosse in un luogo dove non riesce a credere di essere. Muove un passo, poi un altro ancora, infine si ferma di nuovo. Si avvicina ai mobili, li osserva da vicino, li sfiora esitante. Si guarda ancora intorno, ha un'aria sognante. Cerca qualcosa - un telefono. Lo trova. Solleva la cornetta con un gesto esitante, l'avvicina a/l'orecchio, si assicura che ci sia la linea, poi compone lentamente un numero. Aspetta. Militsa - Nilos!

Scena undi.cesi.ma (Nello stesso ambiente. Nilos e Militsa.) Militsa - Non so. Nilos - E poi cosa hai visto? Militsa - Non mi sono inoltrata. Nilos - Da fuori però sembra uguale. Militsa - Sì, è dentro che è diversa. Nilos - Tu come stai? Militsa - Non so, non lo so. Nilos - Andiamo a vedere. Militsa - Aspetta che tornino i ragazzi. Nilos - Non ce la faccio ad aspettare. Militsa - Ma così stiamo tutti insieme. Nilos - Vado a vedere. Militsa - Non mi lasciare sola. (Nilos esce) Nilos! (Silenzio) Nilos! (Silenzio) Dov'è finito? (Piange. Entrano Emilios, Evghenios e Star/et) Ah! Starlet - Che succede? Emilios - Cos'è questa? Starlet - (Ridendo) È casa nostra? Evghenios - Chi è stato? Starlet - Il papà dov'è? Militsa - Andate a dare un'occhiata. Emilios - Dov'è? Militsa - Sembra scomparso. Evghenios - Perché piangi? Militsa - Non lo rivedrò mai più, non lasciatemi sola. (Emilios e Star/et escono) Ero andata a fare la spesa, dove sono i sacchetti? Evghenios - Non piangere. Militsa - Ero appena arrivata. Evghenios - È tutta così? Militsa - Non lo so, non mi sono inoltrata. Evghenios - Ma cosa è successo? Militsa - Non capisco. Ah, Dio mio. Evghenios - Non fare così. Militsa - E come dovrei fare? Evghenios - Ti comporti come se ci fosse capitata una disgrazia. Militsa - E non è così? Evghenios - Ma guardati intorno. Militsa - Non ce la faccio. Evghenios - Riconosco che non è facile. Militsa - È successo così all'improvviso. Evghenios - Vado anch'io a... Militsa - No, no. Ma dove sono finiti tutti, dove sono ... Dall'interno della casa si sentono voci e risate. Nilos, Emilios e Star/et rientrano. Nilos - Presto, un telefono! Militsa - A chi vuoi telefonare? Nilos - Alla polizia. Militsa - Vuoi farci arrestare? Nilos - Guarda che siamo a casa nostra. Militsa - E allora a chi telefoni, Dio mio, mi sento impazzire ... Nilos - (Al telefono) Filon. Militsa - Perché lo chiama? Nilos - Hai presente com'è la mia casa? Allora, ascolta. È cambiata. Non io, la casa. Aspetta, non riattaccare. La casa è cambiata. No, no, è la stessa ma non è più la stessa. Aspetta, sono tutti qui, sono tornato prima del solito, Militsa mi ha chiamato, è un'altra casa. Non lo so. Devi vederla. Ci sono scale, salotti, e poi altre scale e altri salotti. Aspetta,

non riattaccare, ci ho fatto un giro, è enorme, non te lo immagini neanche, e poi sapessi com'è arredata, solo mobili di lusso, Militsa ha subito una specie di paralisi, non so, te l'ho detto, non so. C'è di tutto, marmi, broccati, tappeti, lampadari, quadri, porcellane, non so cosa dire, per questo ti ho chiamato, ma devi vedere per capire, vieni a vedere. Non so cosa pensare. Non lo so, te l'ho detto, non so ancora niente. Devi vederla. Sì, l'indirizzo è sempre il solito, d'accordo, ti aspettiamo, vedessi che armadi. Ha riattaccato. (Riaggancia a sua volta. Silenzio. Si guardano) Militsa - E adesso? Nilos -Adesso, alzati. Militsa - No, no, ti prego ... Nilos - Su, tutti insieme, prendetela. Militsa - Non voglio, vi prego, no! Nilos - Solleviamola di peso. Militsa - Ah, Dio mio. Nilos - Lascia stare Dio. Militsa - Perché? Nilos - Sennò la polizia lo arresta, questa è tutta opera sua. Militsa - Non dire così. Nilos - Su, andiamo. Tutti insieme sollevano di peso Militsa ed escono.

Scena dodi.cesi.ma (A, 8, C.) B - lo terrei la bocca chiusa. C - E se insistono? B - Niente. Nessuna spiegazione. A - Molto difficile. Lo stesso aspetto, le stesse fattezze, suscitano dubbi, interrogativi. È quasi impossibile resistere alla tentazione. Ha paura di impazzire in assenza di informazioni certe. B - La qualità della risposta è sempre inferiore a quella della domanda. Nessuna risposta ha mai soddisfatto nessuno. Le risposte sono effimere, le domande no. Sono come la messinscena di opere classiche. Nessuna risposta può mai esaurire neppure la domanda più semplice e banale. Le domande sono il cuore del mondo. Per questo devono rimanere senza risposta. C - C'è anche un altro modo. B - Intendi quello antico. C - Il dare semplicemente risposte. A - Rispondere con altre domande. C - No. Qualcosa di più piacevole, divertente. B - Risposte fasulle. No, neanche. C - Niente ti impedisce di mentire. Di dire quello che ti pare, quando ti pare, affermazioni infondate, irreali, senza senso, sconnesse, contraddittorie, arbitrarie, puoi farlo in qualsiasi momento. La lingua della verità è assai misera, squallida, deludente, cerca in ogni modo di rendere convincenti e incontrovertibili le sue argomentazioni, si sforza di smascherare la menzogna, ma quest'ultima la offende, la svilisce, la umilia. La menzogna invece ... È invulnerabile, invincibile. Inesauribile e superba, la verità la lascia del tutto indifferente, anzi, la menzogna disprezza la verità e deride gli sforzi che essa compie per cancellarla ed eliminarla. Povera verità, non sarà mai degna neppure dell'ombra della menzogna. B - Pensi che questo li renderà soddisfatti?

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E S T C - Perché, li vuoi vedere soddisfatti? B - Neanche per idea. C - Solo la menzogna procura soddisfazione. Non esiste soddisfazione più grande di quella procurata dalla menzogna. Chi conosce la menzogna, chi sa che cos'è, si sente subito soddisfatto. B - Non è questa la mia intenzione. C - E allora lasciali alle loro domande. B - Quasi tutte le domande sono generate dalla menzogna. La verità è rassicurante. Questo li dovrebbe soddisfare. A - Se ce ne sarà il tempo. C - Se ce ne sarà il tempo. B - Panico, angoscia, paura, raccapriccio. È fino a questo punto che voglio condurre il cervello. Fino ai limiti estremi. Fino al punto in cui sbatte contro il suo stesso muro. In cui si contorce prigioniero dei suoi stessi limiti. In cui soffoca, si sente impazzire scoprendo che non può procedere oltre. Qual è l'atto finale, il momento finale? Quando vorresti vedere ma non ci riesci. Vorresti capire, senti di essere molto vicino, ma non ti è concesso. A - Sarebbe molto bello vederlo. B - A questo punto non si arriva con le risposte. E non basta il dubbio a impressionare o a scuotere. No, non basta. Deve uccidere. C - Non esiste piacere più grande che attendere inutilmente una risposta che non arriva mai. B - Sì, l'orrore estremo è la parola. A - E si può raggiungere in mille modi. B - La prigionia. C - Chi ha coraggio. B - Nessuno può evitarlo. È come una condanna. Un destino. Che non puoi evitare neanche quando sai si sta attuando. C - Chi ha coraggio.

Scena tredicesima (Filon in casa sua. Compone un numero telefonico.) Filon - Sì. Mi è successo qualcosa. Un'altra sera. No, ti chiamo io. Scusami. No, oggi non posso. No, neppure più tardi. Non so neanch'io. Ciao. (Riaggancia) Meglio non andare. (Si dirige verso la porta. Si ferma) Non devo andare, non devo più vederli. Non so cosa significa. Che altro può significare. Solo una cosa. Per questo non devo più vederli. Devo sparire. (Si gira e si siede) No, devo andare. Non posso non andare. Eppure non posso. No, non posso non andare. È per lui che vado. No, non vado. (Si alza) Perché sono vestito così? Cosa sto aspettando? Stai lontano, stai lontano. Però, cosa diranno. Non posso andare da nessuna parte, non posso nascondermi né scomparire. O posso? Potrei ma non voglio. Voglio andare. Voglio vederlo. Come mi guarda! È pronto. Ha capito tutto. Vado a cambiarmi. (Entra dentro. Poco dopo esce di nuovo. Non si è cambiato) No, non vado. (Compone un numero telefonico. Riaggancia) Tanto, non fa nessuna differenza. (Esce)

Scena quattordicesima (Nilos e Militsa.) Militsa - Pensi che ci riconoscerà?

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Nilos - Non credo. Militsa - Chi siamo? Nilos - Questo è il mio corpo, questa è la mia faccia. Militsa - Non mi sono mai riflessa in uno specchio così. Nilos - Altissimo, con la cornice dorata, in autentico cristallo, non sarei più io neppure se mi ci specchiassi nudo. Sono bastate poche ore ... quante ore sono passate? Militsa - Non so, non lo so, non chiedermelo, non so più neppure quante dita ho nelle mani. Nilos - Da adesso in poi dovrai solo contare, le dita, i vestiti, le scarpe, gli anelli. Militsa - Voglio mettermeli tutti, guarda quanti sono ... Nilos - Anch'io, guarda. Militsa - Nei miei guardaroba c'è di tutto. Nilos - Come ai grandi magazzini. Militsa - Come sto? Entra Star/et. Starlet - Come sto? Nilos - Come sto? Militsa - Dimmi. Starlet - Dimmelo, dimmelo. Militsa - Hai visto che stoffa meravigliosa? Sembra fatta apposta per me. Nilos - È proprio così, è fatta apposta per te. Starlet - Ho voglia di provarne un'altra. Militsa - Mi domando ... Nilos - Da oggi basta con le domande. Militsa - Ma non credi che ... Nilos - No, lascia tutto come sta. Non è bello? Militsa - Sì, certo, ah, Dio mio. Starlet - È tutto dentro certe scatole magiche, sono ancora chiuse, sembrano nuove di zecca, di velluto, ornate con nastri di seta e sigilli d'oro, e poi ci sono delle boccette meravigliose, colonie, profumi ... odora un po', me li sono messi tutti. Militsa - Mmm, sembra un sogno ... e i tuoi fratelli dove sono? Nilos - Si staranno provando i vestiti anche loro. Sei entrata nei loro appartamenti? Militsa - Non ancora. Nilos - Solo le stanze da bagno sono ampie come tutta la nostra vecchia casa, e poi vedessi che accappatoi. Militsa - Non sarà troppo? Nilos - E siamo solo all'inizio. Militsa - In un guardaroba ho visto cose degne di una regina . Un giorno voglio mettere tutto, perché no? Monili enormi, diademi, abiti stupendi, sì, sì, me li metto, penseranno che sono impazzita, ma che importa, che mi sono vestita da regina d'Assiria. Nilos - Da faraona. Militsa - Perché no? Nilos - La valle del Nilo. Militsa - La tua valle. Nilos - Le piramidi. Militsa - Voglio fargli uno scherzo spaventoso. Nilos - A chi? A Filon? Ma non ci ha fatto niente. Militsa - Come, con tutto quello che ha detto. Nilos - Sullo scrittoio della biblioteca ho trovato dei documenti. Gli ho dato solo un'occhiata, è l'elenco dettagliato delle nostre ricchezze mobili e immobili. Militsa - Avresti dovuto esaminarli attentamente. Starlet - Dobbiamo sapere quello che abbiamo.

Nilos - Vado a prenderli. (Entrano Emilios ed Evghenios) E voi chi siete? Emilios - Veniamo dal cuore dell'Asia. Nilos esce. Militsa - Anch'io devo vestirmi così, Principi! Evghenios - Come sto? Militsa - Tesoro mio. Emilios - E di me, non dite niente? Militsa - Ti manca solo il cavallo nero. Starlet - È sorta la mia stella. Emilios - E le enormi plaghe desertiche. Starlet - Star. Militsa -Ah, i miei bambini ... è tutto vero? Emilios - Non voglio dormire mai più. Starlet - Neppure nel tuo letto meraviglioso? Emilios - Voglio stare sempre sveglio per vedere, vedere ... Starlet - Nudo coperto da lenzuola di seta. Militsa - (A Evghenios): E tu, tesoro? Evghenios - Cosa? Militsa - Il tuo letto è comodo? Evghenios - È grande abbastanza per tutti. Militsa - Fosse sempre così. Entra Nilos. Nilos - I documenti. (Campanello) Ecco Filon! (Esce) Emilios - lo al suo posto ... Militsa - Mettetevi in posa. Entra Filon seguito da Nilos. Nilos - Fai con comodo, tranquillo. Militsa - Cos'hai da guardare? Siamo noi. Starlet - Non ci riconosce. Emilios - Noi lo abbiamo riconosciuto subito. Risate. Nilos - Che hai da guardare? Filon - Tutta questa roba? Nilos - Guarda, è tutto scritto qui, è l'elenco dettagliato (Legge) Ho appena cominciato a leggere e mi sono fermato. Amico mio, è un sacco di roba, un patrimonio immenso ... ecco, vuoi leggere tu? Su, leggi. Filon - Perché? Nilos - Voglio che leggi tu. Filon - No, no. Nilos - Voglio sentirlo dalla tua voce, dalla tua bocca. Filon - No, non devo. Militsa - Che problema hai? Sì, Nilos, hai avuto un'idea bellissima. Filon - Ma io ... non sono io. Nilos - Fallo come quel giorno. Filon - Quale giorno? No, no. Nilos - Come se ci facessi gli auguri per il nostro anniversario. Militsa - Il tuo dono per le nostre nozze. Filon - Ma questa, non è roba mia. Nilos - E di chi è, allora? Filon - Non so, della persona che ve l'ha regalata. Nilos - E chi ce l'ha regalata? Militsa - Non sappiamo chi è. Nilos - Né vogliamo saperlo. Su, leggi. Militsa - E dopo andiamo a pranzo. Ti abbiamo preparato un pranzetto ... Filon - Dono di nozze dopo vent'anni. Militsa - Dai, vediamo cosa ci hai portato. Filon - (Guardando i documenti): Sono centinaia di pagine.


T ES TI Nilos - Leggi solo le più importanti, le cifre grandi. Filon - Ma qui tutte le cifre sono grandi. Nilos - Le più grandi. Filon - Terreni, boschi, pascoli, bestiame. Militsa - Che genere di bestiame? Filon - Equini, ovini, caprini. Emilios - E gli immobili? Nilos - Va' al paragrafo delle banche. Filon - Aspetta un attimo. Qui, alla fine, c'è una nota. (Legge) Le cifre a seguire si intendono per difetto e con possibilità di futuro incremento. Militsa - Cioè? Filon - (Legge) Sia i beni immobili sia quelli mobili. (Rivolgendosi a loro) Tali cifre sono destinate a incrementarsi in progressione geometrica senza alcuno sforzo, il che significa che il patrimonio possiede una dinamica interna che lo spinge a moltiplicarsi, ad aumentare all'infinito - c'è scritto qui le cifre qui riportate sono provvisorie, hanno validità di un solo giorno, se non qualche ora, di giorno in giorno, di ora in ora. Emilios - Pazzesco. Nilos - Dammi qua. Incremento, incremento. Militsa - Che bella parola. Starlet - Ci mettiamo a tavola? Nilos - Filon, voglio condividere con te tutta questa abbondanza. Filon - lo voglio solo augurarvi. .. no, no, fermatemi. Militsa - Non resisto più , mi viene da piangere Starlet - Non mi sembra davvero il caso di piangere. Ho fame. Militsa - E neppure è il caso che tu dica «ho fame» vestita in quel modo. Starlet - Ho fame. Militsa - A me invece viene da piangere. Nilos - Filon, siediti. Sedetevi tutti. Evghenios - Propongo un brindisi. Militsa - Davvero, tesoro? Vuole fare un brindisi, che ... Nilos - Glielo ha detto qualcuno o è un'idea sua? Evghenios - È un'idea mia. Nilos - Ti ascoltiamo. Evghenios - Non dobbiamo augurarci niente. Né aspettarci niente. Starlet - Concordo. lo pazienza non ne ho mai avuta. Militsa - Lascialo in pace. Evghenios - Ho finito. (Si siede) Si odono grida di protesta e risate. Militsa - Grazie, Dici mio, ti ringrazio. Nilos - Su, servitevi. Tutti - Evviva, evviva.

SECONDO ATTO Scena pr1ma (A, 8, C.) C - Allora, la questione principale è la seguente: che cosa succede applicando la legge sulla repressione delle reazioni vitali in tutte le loro manifestazioni. A - lo l'ho detto sin dall'inizio che non aveva alcun senso redigere, proporre, sostenere, votare e far

applicare questa legge dal momento che poi ci si è limitati semplicemente a farne uso. Scopo, obbiettivo, intenzione di questa legge era che venisse trasgredita in modo illimitato, incontrollato, parossistico e assoluto. lo l'ho detto sin dall'inizio. C - Questo però non è accaduto. A - In realtà è accaduto, ma mai in modo incontrollato e parossistico. Sennonché trasgredire questa legge in modo misurato e prudente, di fatto equivale ad abrogarla, svuotarla di significato, perché solo se applicata disperatamente alla lettera, con sfrenata licenza e senso estremo di irresponsabilità, essa può portare ai risultati sperati. Questa legge non ha alcuna utilità se il suo funzionamento e la sua efficacia vengono compromessi da un'applicazione incerta, esitante, moderata. Ecco che in tal modo si torna alla tanto aborrita mediocrità. È deludente constatarlo, tanto più che i primi tempi della sua applicazione essa aveva dato risultati assai incoraggianti, sia dal punto di vista delle modalità di applicazione sia da quello delle sue conseguenze. B - Qualcosa deve essere andato storto. Questa legge in realtà non è una legge. Non è mai stata proposta né votata né sostenuta, né è mai stata redatta. Si tratta semplicemente di un decreto spontaneo che ha come unico scopo la sua applicazione arbitraria. È una specie di legge naturale che in natura non esiste. Dobbiamo essere molto franchi su questo punto. Si tratta di un decreto che non ha bisogno dell'approvazione di nessuno. C - Sono d'accordo. A - lo preferisco il termine "legge", e insisto nell'usarlo. Le parole sono importanti. E occorre usarle con grande cautela. La parola non è innocente. L'uso di un termine errato ovvero di un termine corretto nel momento sbagliato si traduce in una serie di conseguenze immediate e tangibili. Di fatto la realtà non è altro che il complesso delle conseguenze derivate dall'uso di un termine errato o di un termine corretto nel momento sbagliato. Propongo dunque di usare il termine "legge" anziché "decreto", sebbene quest'ultimo descriva con maggiore accuratezza la natura della nostra azione. Il termine "legge" esprime quello che esprimerebbe il termine "decreto" se quest'ultimo fosse una legge. B - E il termine "applicazione"? A - Anche in questo caso preferirei il termine "osservanza", che mi sembra più vaga, sebbene rimandi a qualcosa di assai concreto. La sfumatura trasparente delle parole mi ha sempre affascinato, perché di norma dietro la facciata celano molta crudeltà. C - Le cose vanno oltre le parole. Che pena mi fanno, rimangono sempre indietro, corrono come pazze ma non c'è niente da fare, non riescono ad arrivare, la distanza ché le separa dalle cose non diminuisce mai. I grandi momenti della realtà. Mi fermavo a guardare. L'unica cosa che potessi fare era stare lì , nella macchina parcheggiata, a guardare. A neanche cento metri di distanza. Il cervello mi si era bloccato. Né pensieri né parole. Mi limitavo a guardare quello che succedeva. Comprendendo la mia incapacità di esprimerlo. Di descriverlo. Guardavo. Non volevo che finisse. A - Non finisce mai. B - Anche noi guardavamo.

Scena seconda (Nilos. Entra Filon.) Filon - È molto che aspetti? Nilos - Non sei mai stato puntuale. Filon - Sì. Cos'hai? Nilos - Proprio non riesco a... Filon - Dimmi. Nilos - È proprio questo che ... Filon - Volevi vedermi, no? Nilos - Dovevo vederti, al telefono non si parla di certe cose. Filon - Cosa intendi? Nilos - Una bella notizia dopo l'altra, come se la nostra situazione migliorasse di giorno in giorno, da molto tempo ormai. Filon - Da quanto? Nilos - Non so. Non riesco a far nulla, però qualcosa devo fare, devo fermare tutto questo, non posso permettergli di continuare, non dovevo permettergli di arrivare dove è arrivato, per questo ho bisogno di te, voglio domandarti, voglio che tu mi dica, che tu mi aiuti, non ho nessuno, non abbiamo nessuno, tu sei l'unico che può darci una mano, devi ricordarti, non c'è altro modo, devi ricordarti , solo così bloccheremo tutto questo, altrimenti continuerà, continuerà, devi ricordarti quello che mi hai detto allora, ricordi quello che mi hai detto? Filon - Quando? Nilos - Come quando, allora, no? Quel giorno, qui, proprio qui dove siamo adesso, te lo ricordi? Su, dimmi, te lo ricordi? Filon - No. Nilos - Non ricordi proprio niente? Filon - Che importanza ha se me lo ricordo. Nilos - Perché stanno accadendo, la tua profezia si sta ... Filon - ... avverando? Nilos - Sì , avverando. Filon - No. Nilos - Sì. Filon - Impossibile. Tutto quanto? Nilos - Be', quasi tutto. Mi sembra di sentirti mentre mi dicevi tutte queste cose anche se non me le ricordo bene. Filon - Non sapevo quello che dicevo. Nilos - Oggi Evghenios mi ha detto che ... lui e Militsa ... Filon - Lui e Militsa ... Nilos - Sì , da un po' di tempo ... E che mentre lui cerca di impedirglielo, di trovare un'altra, sua madre non glielo permette, e così continuano. Filon - Erano parole in libertà. Nilos - E Starlet. .. Un giorno sono entrato in camera sua, non volevo entrarci, mia figlia, la mia Starlet, non potevo non farlo. Filon - Cosa hai fatto? Nilos - Mi ha detto che era innamorata di Emilios, che non vuole me, vuole lui, non vuole suo padre, vuole suo fratello. Filon - Non credo a una sola parola di tutto questo. Fino a qualche giorno fa mi parlavi solo del tuo patrimonio che cresceva, la ricchezza ti ha dato alla testa, basta, non voglio sentire altro, smettila. Ed Emilios? Nilos - Lo hanno lasciato libero su cauzione.

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T ES T I Filon - Emilios? Nilos - Lo avevano arrestato per rapina. Filon - Emilios? Nilos - Sì, sì, Emilios, Emilios. Filon - Hanno arrestato Emilios per rapina ... Nilos - È in un brutto giro, se la fa con delinquenti, malavitosi, ho paura che si metta in guai anche peggiori, ho molta paura che ... Fil on - Emilios ... Nilos - Emilios, Starlet ed Evghenios e Militsa e Nilos, tutti. Filon - No, non ci credo, sono idee tue, è tutto così assurdo, adesso sei tu che dici cose senza senso, i soldi, il lusso, ti hanno dato alla testa. Nilos - Macché soldi, macché lusso, sta svanendo tutto, alla fine non rimarrà quasi niente, ma a me non importa. Filon - Come, sta svanendo tutto? Nilos - Non lo so, non lo so, non chiedermelo, è per noi che sono preoccupato, per i ragazzi, per Militsa, credimi, sembra assurdo ma è così, tutto questo capita in casa mia, nella mia famiglia, a noi, ci capita una disgrazia dopo l'altra, non si fermano mai e non ci lasceranno tranquilli finché ... Filon, dobbiamo fare qualcosa. Filon - Sì, dobbiamo fare qualcosa. Nilos - Dobbiamo bloccare tutto questo. Filon - Ci inventeremo qualcosa. Nilos - Però dobbiamo sbrigarci. Penso soprattutto a Starlet, non so se riuscirà a resistere, e anch'io, Filon, io continuo a... Non voglio, ma tutte le sere ... non riesco a fermarmi, è l'unica cosa che vorrei ma non ce la faccio, non ce la faccio. Filon - Cosa possiamo fare? Nilos - L'unico rimedio è ricordarti quello che mi avevi detto, parola per parola, nello stesso ordine in cui me le avevi dette. Filon - Ma non avevano un ordine. Nilos - Neanche quello che ci sta capitando ce l'ha. Filon - E allora? Nilos - Se riuscissi a ricordarti che cosa succederà dopo quello che è già successo. Filon - Alcune delle cose che mi hai raccontato mi ricordano qualcosa, a proposito di Starlet, di Emilios, sì, qualcosa ricordo. Nilos - Avevi parlato anche di Militsa. Filon - Sì, avevo detto che avreste perso tutto. Nilos - È quello che sta capitando. Filon - Vedrai che ricorderò. Nilos - Prima che sia troppo tardi. Filon - Stai tranquillo, ricorderò tutto e bloccheremo la serie di disgrazie, te lo prometto, non ti capiterà più niente, però dobbiamo fare tutti uno sforzo, anche i ragazzi e Militsa. Devi parlargli, devi dirgli tutto, solo se saremo uniti potremo farcela. Perché non me l'hai detto prima? Nilos - Mi vergognavo ... Presto, Filon, presto. Filon - Vedrai, tra poco sarà tutto finito.

Scena terza (Militsa nella sua stanza.) Militsa - Un'antica regina.lii mio tesoro si accresce come dono divino e io/mi accontento dello sguardo di uno schiavetto.flui è il mio vero tesoro./Quello che voglio, quello che mi prendo./Mi riempie le

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ossa, mi riempie il sangue./Eppure mi lascia nella disperazione della donna/che si vergogna di quello che ha preso,/di quello che ha dentro di sé, qua. Qua dentro./Non so chi maledire per questa gioia./ Un'antica regina. Ho tutto dentro/questo mostro di raffinatezza, mi guardo intorno/e vedo ciò di cui i miei occhi hanno bisogno/per credere che qui c'è tutto il mondo,/ma solo una cosa non voglio perdere/e voglio che se la chiamo venga a me, venga/ e non mi faccia sentire che se n'è andata quando se ne va,/ne inspirerò il respiro,/la morsicherò in profondità/alla fine ne sarò completamente sazia.lii mio unico regno, il mio tesoro.Noglio volerlo sempre di più, non lo voglio/quanto vorrei volerlo, perché quanto più/lo vorrò, tanto più lo avrò./Per quanto tempo? Dove arriverà?/Ah, Nilos, la nostra è, stata un'unione così feconda/che i frutti del mio corpo sono ancora innumerevoli.lii seme migliore, il frutto più bello./Chi immaginerebbe che tanta bellezza/sia uscita dal mio ventre/e che adesso ritorni qua, qua dentro./No, non voglio farlo, non capovolgerò il corso della vita,/sono una regina e so qual è/ l'ordine delle cose, però questi occhi,/questo sentimento ricambiato, questo sacrificio/la linfa che scorre dentro di me e mi riempie,/il calore della linfa, la dolcezza della linfa .. ./oh, Evghenios, mio dolce Evghenios,/la bellezza può essere insopportabile,/ perché questo schiavetto ha uno sguardo/così profondo, chi gli ha regalato questo/sguardo così profondo ...

Scena quarta (Emilios, Evghenios. Nella stanza di Evghenios.) Emilios - Quanto tempo è che non esci? Evghenios - Non lo so. Non m'importa. Emilios - lo qui dentro finirò con l'impazzire. Sono stanco di tutto. Evghenios - Dove sei stato? Emilios - In giro. Non sto bene da nessuna parte. Ho sempre voluto avere la stanza più grande del mondo, e adesso che ce l'ho non mi va di starci, e quando sono fuori voglio qualcosa che sia ancora più grande del fuori, più fuori del fuori, qualcosa che sia ovunque, che non finisca mai, che non mi faccia mai annoiare, che contenga tutto quello che voglio e quello che sono, che non sia mai uguale, che mi sorprenda con i cambiamenti, che mi dia senza che io debba chiedere, che esaudisca ogni mio desiderio ancor prima di esprimerlo, folle, eh? Evghenios - Le tue mani. Che cos'hanno? Emilios - Ho scritto dei graffiti, su un muro. Evghenios - Stanotte? Emilios - Sì. Sono andato in giro a scrivere. Evghenios - Cosa? Emilios - È per te che sono tornato. Mi manchi. Volevo toccarti. Evghenios - Toccami. Emilios -Anche tu. Evghenios - Che mani belle che hai. Emilios - In prigione ci starei solo se ci fossi anche tu ... Voglio toccarti. Evghenios - Toccami. Emilios - Sei così pulito, così... Evghenios - Sporcami. Scrivi sul mio corpo. Emilios - No, piccolo, voglio che rimani così.

Evghenios - Cosa hai scritto sui muri? Emilios - Tre parole. Solo tre parole. Evghenios - Sempre le stesse? Emilios - Sempre le stesse, le stesse, le stesse e le stesse, tre parole: Ira e Coscienza. Evghenios - Bello. Ira e Coscienza. Emilios - Ira e Coscienza. Evghenios - Cosa significa? Emilios - È il nome dell'organizzazione. Evghenios - Sei in una ... Emilios - È mia. L'ho fondata io. Evghenios - Siete in molti? Emilios - Solo due. Tu e io. Evghenios - Ci sono anch'io? Emilios - Tu sei il mio vice. Evghenios - Voglio rimanere nella tua stanza. Emilios - Vieni. Evghenios - Come vorrei essere di nuovo come eravamo prima! Non mi piace che dormiamo separati. .. Anche quando non sei con me nella stanza, è come se ci fossi, ti sento accanto a me, vicino a me, come se non fossi mai andato via. Adesso sto qui tutto il giorno e non ho nessuno con me, non faccio niente. Emilios - lo impazzirei. Evghenios - lrn.magino il cielo. Torno indietro, molto indietro, più indietro che posso, al principio, allo zero, e comincio a ricreare tutto dal niente, come voglio io, metto tutto quanto come piace a me, in posizione diversa, creo un altro cielo .. . Non mi piace il mondo esterno, non potrei mai star fuori tanto tempo come fai tu. Odio le strade, le case, la gente ... Voglio creare una costellazione che porti il tuo nome, sì, voglio farlo ... La costellazione di Emilios. Emilios - Fa' quello che vuoi. Evghenios - Cos'hai? Emilios - Me ne fotto del cielo, sai cos'è che voglio? Voglio distruggere la terra, distruggere tutto e uscire fuori, fuori. Evghenios -Anch'io voglio uscire, oggi ... Vado a trovare una donna. Emilios - Chi? Evghenios - È... Emilios - lo ti racconto tutto. Ricordi una cosa che ti ho detto? Evghenios - Anch'io ti racconto tutto. Emilios - Ti ricordi? Del mio piano? Evghenios - Quello? Sì. Vuoi realizzarlo? Emilios - Sì. Evghenios - Quando? Emilios - Vieni qui. Evghenios - Con ira e coscienza? Emilios - Sì. Evghenios - Non hai paura? Emilios - Baciami. Evghenios - Voglio che tu lo faccia.

Scena qui.nta (Star/et. Nella sua stanza.) Starlet - Lascia che ti odori. Odorami anche tu./Oggi mi sono messa solo un profumo. Dappertutto./Odorami. Così. Ancora. Ancora. /Com'è duro il tuo corpo./Com'è bello stare sotto le coperte./Non è qui, se n'è andato, gli ho detto di


TES TI non tornare,/non lo voglio, non lo voglio, gliel'ho detto, ma non capisce e ritorna sempre,/lo mando via ma lui ritorna.Ilo voglio solo te. Lascia che ti odori anch'io./Amore mio.lii tuo collo. Le tue ascelle.Noglio arrivarti fino alle dita dei piedi,/e poi ricominciare daccapo.lii tuo corpo è duro come il ferro, caldo e duro, amore, amore mio. Non gli permetterò di tornare.Noglio che ci veda mentre ci abbracciamo, ci baciamo, si rassegnerà e non tornerà più./Perché mi tormenti? Perché mi ferisci?/Prendimi dentro di te, prendimi, prendimi dentro di te./Sono la tua donna./Digli di andarsene.

Scena sesta (Filon. Entra Nilos.) Nilos - Come va? Filon - Continua. Nilos - Ero io che ti aspettavo, no? Filon - Hai ragione. Nilos - Dobbiamo fare tutto come si deve. (Filon esce e rientra.) Filon - È molto che aspetti? Nilos - Non importa. Anch'io sono appena arrivato. Filon - Le hai fumate tu tutte queste sigarette? Nilos - Sì, sono qui da un po'. Filon - Come stai? Nilos - Bene. Filon - Non hai un bella cera. È successo qualcosa? Sei stato con lei? Nilos - Sì , ma poi sono tornato a casa. Filon - Solo? Nilos - Volevo pensare. Ho pensato tutta la notte. Filon - A che cosa? Nilos - Non so come dirtelo. Filon - Cosa? Nilos - Ecco, con Militsa ieri sera abbiamo deciso di sposarci. Stasera ci fidanziamo. Filon - Così presto? Nilos - Vogliamo stare insieme. La amo. Filon - La vuoi. Nilos - Sì. Per te tutto questo non significa niente. Filon - Neanche per te significa niente. Nilos - Non c'è alternativa. Filon - È stata un'idea tua? Nilos - Di tutti e due. Filon - È stata lei a convincerti. Nilos - No. Filon - Non ci credo. Dunque, ti sposi. (Pausa) Dai, continua. Nilos - Non temere, tra noi non cambierà niente. Filon - Nilos, non farlo. Nilos - Impossibile, ormai abbiamo deciso. Filon - Vuoi che le parli io? Nilos - No, no. Filon - Le dirò che hai cambiato idea. Nilos - Sei impazzito? Filon - Che non la vuoi più, che non la ami, che tra voi tutto è finito. Nilos - Ma io la amo, la voglio. Filon - Su, dai, ti conosco. Nilos - lo sono pazzo di Militsa, non posso vivere senza di lei. Filon - Ti ha stregato. Nilos - È questo l'amore, no? Filon - Forse, ma non dura a lungo.

Nilos - Non m'importa. Filon - E il matrimonio ... Nilos - Quanto dura, dura. Filon - E se fosse una disgrazia? Nilos - Cosa? Il matrimonio? Filon - Il matrimonio, Militsa. Nilos - Perché dovrebbe essere una disgrazia? Filon - Lo vedrai. (Pausa) Su, vai avanti, siamo quasi al punto. Nilos - Cosa può succedermi? Filon - Cosa può succederti? Lo vuoi proprio sapere? Nilos - Sì, lo voglio sapere, forza, dimmi, cosa può succedermi, eh? Filon - Non hai paura di sentirlo? Nilos - No, parla, dimmi cosa può succedermi, che disgrazie mi possono capitare. Filon - L'hai voluto tu. Nilos - Parla. Filon -Avevo detto che avreste avuto molti figli, sareste stati felici, all'inizio avreste avuto abbastanza, poi invece avreste avuto tutto ma non sarebbe durato a lungo, a poco a poco avreste perso tutto. Nilos - E poi, dopo di questo, dei ragazzi, di Militsa? Filon - Un attimo. Nilos - Lascia perdere le cose che sono già successe. Filon - Allora, avevo detto che il tuo figlio maggiore sarebbe stato assassinato, e che l'altro, il minore, si sarebbe suicidato. Che tua figlia sarebbe impazzita quando avesse saputo dell'assassinio del tuo figlio maggiore. Tu avresti continuato a desiderarla e ad andare con lei, cosa che l'avrebbe ben presto condotta alla follia e poi alla morte. Tua moglie avrebbe partorito il figlio di tuo figlio e poi lo avrebbe ucciso nella culla. Tu avresti ucciso tua moglie, e tu saresti stato ucciso da una banda di delinquenti. Basta, ti prego, non ce la faccio più. Nilos - Era tutto in quest'ordine? Filon - Non lo so. Nilos - Tanto che importanza ha ormai. Che altro possiamo fare? Filon - State uniti. Nilos - Forse la causa è proprio questa. Che siamo troppo uniti. Forse è perché abbiamo lo stesso sangue. Ho paura, non voglio tornare a casa, non voglio vederli, non voglio vedere più niente, se torno ricomincia tutto come prima, non voglio tornare più, l'unica soluzione sarebbe scappare lontano, andare via, lasciami, lasciami, non voglio sapere più niente, come possiamo aiutarli, come si fa, tutto deve compiersi, cosa possiamo fare, lasciami scappare, voglio scappare, ho paura, lasciami, lasciami.

Scena setti.ma (A, B, C.) B - Parlavo della differenza tra i segni. A - Questi non sono mai uguali. C - In fondo, la regola generale dovrebbe essere questa - come gestire l'ombra. A - I segni comunque rimangono inalterati. B - La combinazione dei due. C - Fammi vedere quest'ombra. Il modo in cui si avvicina. Il modo in cui si sposta da un punto

all'altro. A - Il filo invisibile, oscuro. B - E viceversa.

Scena ottava (Militsa, Star/et, Emilios, Evghenios e Nilos.) Nilos - È la prima volta che ci riuniamo. C'è una ragione che rende questo nostro incontro diverso da tutti i precedenti. La grande fortuna che abbiamo avuto ci sta abbandonando. Si sta trasformando in sciagura. A tutti noi accadono cose che non avremo mai neanche immaginato. Dobbiamo fare qualcosa. Non ci aspettavamo una cosa del genere, così come non ci aspettavamo il nostro improvviso benessere. Non ci aspettavamo niente. Non volevamo niente. Ci è capitato tutto senza che lo volessimo. Adesso dobbiamo capire quello che ci sta succedendo e fare tutti un grande sforzo per fronteggiarlo. Ho parlato con Filon. Abbiamo cercato di ripetere un nostro incontro di molto tempo fa perché volevamo ricordare, per quanto possibile, le cose che mi aveva detto nel corso di quell'incontro, cose spiacevoli, terribili, e che si stanno verificando. Filon aveva previsto tutto, sia le cose belle, che sono finite, sia quelle brutte, che ancora continuano. Quello che avevamo lo abbiamo perso, però non mi riferisco a questo. Quello che conta sono le cose che stanno capitando a noi. Chiunque ci abbia dato la fortuna se l'è ripresa, non sappiamo chi sia e forse non lo sapremo mai, è una cosa inspiegabile, e del resto adesso non ha molta importanza trovare una spiegazione. Quello che conta è il nostro benessere, perché finché noi staremo bene anche la nostra famiglia sarà salda. È di questo che dobbiamo preoccuparci, del nostro benessere. Dobbiamo fare uno sforzo. Per resistere a quello che ci sentiamo spinti a fare. Dobbiamo riuscirci. Vogliamo il bene reciproco. Siamo una famiglia. Ci amiamo. Ci amiamo. Abbiamo il dovere di preservare noi stessi e gli altri dalle forze che ci sopraffanno. Nessuno di noi desidera il male dell'altro. Dentro di noi c'è solo amore, solo amore. Questa dev'essere la nostra arma, è con questa che dobbiamo lottare. La nostra famiglia deve salvarsi. Dobbiamo stare, sì, stare lontani gli uni dagli altri - Militsa da Evghenios, io da Starlet, Starlet da Emilios, Emilios da Evghenios, Evghenios da Emilios e da Militsa. Forse dovremo separarci, stare lontani, se stando nella stessa casa proprio non riusciamo a evitarci. Forse sarà necessario farlo. Dobbiamo amarci, amarci l'un l'altro. Se sarà necessario ci sparpaglieremo ai quattro angoli del mondo per difendere gli uni dagli altri, non ci vedremo mai più pur di non farci del male. Fino ad allora dovremo stare molto attenti, dobbiamo volere solo il bene l'uno dell'altro, amare l'altro più di noi stessi, più di quanto l'altro ami se stesso, più di quanto l'altro ci ami. Ciascuno di noi deve amare l'altro. È questo che dobbiamo fare.

Scena nona (Casa di Filon. Notte. Suona il campanello. Trascorre qualche istante. Il campanello suona ancora. Trascorre qualche istante. Suona ancora.

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T ES T I Filon esce dalla sua stanza e va ad aprire. Entra Emilios.) Emilios - Chiudi. Posso restare? Mi inseguono. Devo restare qui. Non voglio tornare a casa. Mi troveranno. Non voglio che mi trovino. Filon - Cos'è successo? Emilios - Posso restare? Filon - Cos'hai fatto? Emilios - L'ho fatto. Ho ucciso il primo ministro. Non ridere. Non so se è morto. Gli ho sparato, ho mirato e ho fatto fuoco, l'ho colpito, ho visto quando è caduto, l'ho visto cadere, non so se è morto ma l'ho colpito. Ecco, questa è la pistola. Non ridere. L'ho aspettato per ore, sapevo che sarebbe passato, ho aspettato. Smettila di ridere. Ho lasciato il motorino poco lontano. Non mi credi, eh? Conta le pallottole, prendi la pistola e conta le pallottole, contale e guarda tu stesso. Posso restare? Filon - È la verità? Emilios - Non mi credi ancora? Filon - Perché l'hai fatto? Emilios - Per vedere se so sparare anche a un bersaglio vivente, sono anni che mi esercito. Non è la stessa cosa, sai, sparare a un bersaglio inanimato, solo quando spari a un bersaglio vero capisci perché esistono le armi, perché hai una pistola e prendi la mira, perché spari. E sai una cosa? Oggi me ne sono reso conto. Quando il bersaglio è vero non resti lì dove sei, osservi la traiettoria delle pallottole, corri anche tu con loro, ti conficchi nel corpo della vittima, entri dentro anche tu. So che tu hai sempre avuto una simpatia particolare per me. L'ho capito dal tuo sguardo, hai presente quando uno ti mangia con gli occhi, quando uno vorrebbe dirti qualcosa ma non ha il coraggio e al suo posto parlano i suoi occhi? Quando vorrebbe dirti che ti desidera? Non è vero che mi hai sempre desiderato? (Comincia a spogliarsi) Che hai sempre voluto qualcosa da me, e non avevi il coraggio di chiedermelo? (Rimane nudo) Adesso puoi prendertelo. Scusami, non so perché l'ho fatto. Filon - No, aspetta.

Scena deci.ma (Militsa e Star/et. Nella stanza di Militsa.) Militsa - Tu sei come sono io. Devi sapere che è questo che fa la differenza. Prima non lo sapevo. Adesso lo so. E devi saperlo anche tu. Devi sapere cos'è la cosa che abbiamo in mezzo alle gambe. Ci senti come parliamo, come ridiamo, le voci che escono da dentro di noi. È questo che fa la differenza. Dovremmo prenderci a botte per come parliamo, per come ridiamo. Queste nostre risate. Le nostre voci. E da lì che escono. A poco a poco lo capirai. Starlet - lo lo amo. Militsa - Anch'io lo amo. Entrambi sono usciti da qua dentro. Starlet - lo non so ancora nulla. A volte vorrei non essere quello che sono, per questo mi comporto così, perché non posso non esserlo. Militsa - L'odio che prova una donna per se stessa non è pari a nessun altro. Credi che succederebbe tutto questo se non ci fosse questa cosa che ho tra le gambe? Però la situazione è questa e non può cambiare. Chissà come-sarebbe una donna senza

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questa cosa che ha tra le gambe. Starlet - E la cosa che hanno gli uomini? Militsa - Oh, questa ha un effetto sedativo. La nostra cosa invece appicca incendi, fa perdere la ragione, prova a sentire una donna che ride e capirai, ascolta la sua risata, non c'è niente di più terribile, è come se ti dicesse «è tutto finito, non c'è rimedio, non c'è speranza, tutto è finito». Starlet - Non hai avuto paura quando mi hai partorito? Militsa - Ho paura ancora adesso. Ma non riesco a farci niente. Mi sembra che potrei partorire anche da morta. Starlet - Perché non trovo pace? Militsa - Cominci a capire. Starlet - Cosa succederà? Militsa - Te l'ho detto, non siamo buone a nulla noi, siamo sempre preoccupate, sempre vuote, ci annoiamo, pretendiamo, ci lamentiamo, disturbiamo, non siamo capaci di far niente, solo di fare del male, sia.mo state noi a distruggere l'Eden, ci siamo intromesse tra l'uomo e il serpente, l'uomo da solo non si annoiava, la noia dell'uomo è la donna, Dio mio, che noia, che sensazione di vuoto, di inutilità. Starlet - E adesso che cosa facciamo? E il papà? Militsa - Lui non c'entra. Starlet - Voglio mandarlo via. Militsa - Non basta. Starlet - Che altro posso fare? Dimmi. Militsa - La risposta non può dartela colei che ti ha generato, sai cosa significa generare? Ricreare il mondo da zero. Credevo che generando avrei dato al mondo nuova vita, e invece quello che ho fatto è stato non riuscire a salvare dalla sventura quello che ho generato, non riuscire a donargli un po' di felicità. Non sono neppure in grado di dare una risposta, e non mi pento neppure quando mi pento. Starlet - Perché? Militsa - Hai visto? Non faccio che ingenerarti nuovi dubbi e nuove domande. E adesso sono più lontana che mai, sono meno forte che mai, sono persa completamente nella cosa che ho tra le gambe, e niente può tirarmi fuori, né tirare fuori te. Starlet - Non so perché lo desidero così. Perché lo desidero così? Militsa - Desideralo come lo desidero io, non ha importanza che siano nostri parenti, carne mangia carne e sangue beve sangue, e basta. Starlet - Sono pazza di lui, pazza, pazza. Militsa - Lo siamo tutti di tutti.

Scena undi.cesi.ma (Filon ed Emi/ios.) Filon - Questo non mi piace. Emilios - Cosa? Filon - Quello che fai. Ti sei piazzato in casa mia, ti sei appropriato di tutto quanto, non mi hai lasciato niente, in casa mia niente più mi appartiene. Neppure io mi appartengo. Emilios - Anche questo è diventato mio? Filon - Sto parlando seriamente, ti sei infilato dappertutto. Emilios - È quello che volevi, no? Filon - Non passa giorno senza che perda qualcosa.

Emilios - Perché, che cos'è che hai? E se ce l'hai, meglio che la perdi. Adesso hai me. lo sono tutto per te. Giusto? Filon - Cos'è che sei? Emilios - Lo sai. Filon - Fai troppe promesse. Emilios - Che mantengo. Filon - Non tutte. Emilios - In effetti, pochissime. Filon - Perché? Emilios - Non vale la pena contarle. Quando conti, la fine arriva in fretta. Filon - E invece non deve arrivare? Emilios - No. Filon - E se arriva? Emilios - La ucciderò, ho ancora qualche pallottola Filon - Uccidila. Emilios - Se solo osa,venir, vedrai cosa sono capace di fare. Folon - Uccidila prima che venga. Emilios - Non verrà. Filon - Non verrà?

Scena dodi.cesi.ma (Militsa. Nella sua stanza. Poi Evghenios.) Militsa - Vieni qui. Hai fatto tardi. Dove sei stato? Evghenios - Sono uscito. Militsa - Lo so. Dove sei stato? Evghenios - Mi sono innamorato di una donna. Militsa - Ti sei innamorato di una donna? Come? Evghenios - Come, come? Come un uomo si innamora di una donna. Militsa - Vuoi dire, come sei innamorato di me. Evghenios - No. Militsa - Perché, com'è che mi ami? Evghenios - Devo andare. Militsa - Com'è che ami lei? La desideri? Vuoi entrare dentro di lei? Evghenios - Sì. Militsa - È così che ami anche me. Evghenios - Sì, ma. Militsa - Ma, ma, sempre ma. Evghenios - Smettila. Militsa - Perché sei venuto, allora? Te ne vai e poi torni. Ti vedi con altre donne però alla fine torni sempre qui. Non facciamo che parlare, parlare, ma perché, tanto l'altro sentimento è sempre più forte, avrà sempre la meglio, faremo sempre quello che vuole lui, e allora perché continuiamo a parlare? Evghenios - Lasciami, non voglio, non ti voglio. Militsa - Almeno siamo sinceri: tu mi ami e io sono la tua donna, questa è la verità, e non ce ne sono altre, né donne né verità. Evghenios - No, M... Militsa - «M ... » cosa? Cosa? Mamma? Militsa? Cosa? Evghenios - No, niente. Militsa - Non temere. lo sono il tuo corpo, l'altra è solo un'estranea, e tu devi entrare nel tuo corpo. Evghenios - Ti prego, devo andare, voglio andare lontano, il più lontano possibile. Militsa - Non c'è un posto più lontano di questo, vieni qui. Evghenios - Devo andare, devo andarmene. Militsa - Tu non vai da nessuna parte.


T ES T I Evghenios - Non mi vedrai mai più. Militsa - Vieni, vienimi dentro. Evghenios - No, lasciami. Militsa - Ti ho già dentro di me, un piccolo Evghenios, un piccolo Evghenios da Evghenios, il mio uomo e mio figlio, i miei figli, un piccolo Evghenios. Evghenios - Stai mentendo. Militsa - Il mio bel schiavetto. Evghenios - Menti per non farmi andar via. Militsa - Regala alla tua regina il più bel regno che esista. Evghenios - Adesso voglio andare ancora più lontano. Militsa - Nessuno di noi può andarsene, ricordatelo. Qualsiasi cosa facciamo, non possiamo fare niente, non lo vedi? Solo questo, neppure io, una regina così potente, posso dare ordini a me stessa, io ho il potere di fermare tutto, di proibire tutto, ho il potere di uccidere, ma non posso fare questo. Evghenios - lo posso, e posso anche ucciderlo, e lo ucciderò, non permetterò che ... Militsa - Rassegnati! Evghenios - No, no. Militsa - Sì, piangi come faccio io. Ma rassegnati Evghenios - No, mai. Militsa - Evghenios, Evghenios.

Scena tredicesima (Star/et e Nilos. Nella stanza di Star/et.) Nilos - Ti prego, dimmelo ancora. Starlet - Sono la tua piccola Starlet. La tua figlioletta. La tua bambina. Nilos - Ancora, ancora. Starlet - Tu sei il mio paparino, e io sono la tua bambina. Nilos - Aiutami. Starlet - Smettila di volermi, ecco, non mi vuoi. Nilos - Non ti voglio, ti voglio. Starlet - Non sono tua moglie. Nilos - Non lasciarmi, lasciami, meglio morire. Starlet - lo morirò. Nilos - Meglio essere uccisi. Starlet - Uccidi me. Nilos - No, tu uccidi me. Starlet - Vattene, non farti più vedere. Nilos - Non- mandarmi via. Abbi pietà di me, non sono io, sono io ma non sono io, non so chi sono, ci sono così tante cose, non capisco, pensavo di aver riportato ordine, mi sono detto, questo non deve capitare, no, non deve, dobbiamo fare tutti in modo che non capiti, ma non capisco, certe cose capitano perché le abbiamo dette e altre non capitano anche se le abbiamo dette, le parole non ascoltano, non ubbidiscono, fanno quello che gli pare, tutto fa quello che gli pare, non ascolta nessuno, fa di testa sua, ma allora, se è così, se non posso farci niente, allora posso farci tutto, se non posso farci niente posso fare quello che voglio, eppure non voglio, non voglio, voglio ma non devo volere, non posso non volere, e visto che non posso è un abisso questo volere, un abisso questo potere, Starlet, vieni con me nell'abisso, Starlet, la mia donna.

Scena quattordicesima (Filone Emilios. A casa di Filon.) Emilios - Vado a fare una doccia. Filon - Non metterci troppo. Emilios - Vuoi farla prima tu? Filon - No, la faccio dopo. Emilios - Vuoi che la facciamo insieme? Filon - No. Emilios - Che ti prende? Filon - Niente. Ricordati di mettere la biancheria sporca in lavatrice, quante volte ti ho detto di non lasciarla per terra. Emilios - Tanto è sporca. Filon - Non devi farlo, cosa ti costa metterla in lavatrice? Emilios - D'accordo. Lo sai che adoro vivere con te? Filon - Anch'io adoro vivere con te. Emilios - Come lo adoro io? Filon - Perché non ti metti l'accappatoio? Emilios - Cos'è, non ti piace vedermi nudo? Filon - Mi piace moltissimo. Emilios - Non mi sembri convinto. Filon - Mi piace moltissimo, ti dico. Emilios - Ripetilo. Filon - Moltissimo. Emilios - Ancora. Filon - Mol ... insomma, smettila. Emilios - Ripeti quello che mi hai detto ieri. Filon - Cosa? Emilios - Su, ripetimelo. Filon - Ma che hai, va' a farti la doccia, hai lasciato il rubinetto aperto. Emilios - Non m'importa. Dimmelo. Filon - Che non voglio perderti. Emilios - Non mi perderai. Staremo insieme tutta la vita, sempre che non mi denunci. Filon - Come ti viene in mente? Emilios - lo vado. Non ci metto molto. E se cambi idea, sai dove trovarmi. (Esce. Si sente lo scroscio dell'acqua. Filon va verso il telefono. Passa qualche minuto. Solleva la cornetta e compone un numero.)

Scena quindicesima (Nilos e Militsa. Nella loro stanza.) Militsa - Guarda in che stato sono. È stato tuo figlio a ridurmi così. Nilos - Non dire così. Militsa - D'accordo, volevo dire mio figlio. Così va meglio? Nilos - Non ce la faccio a sentirti mentre parli. Militsa - Ma non ho detto niente di male. Nilos - È ancora peggio che non te ne rendi conto. Militsa - Non m'importa. Nilos - Militsa ... Militsa - Non ti piaccio più, lo so, non sono più quella di un tempo, non chiedermi chi ero, non me lo ricordo, però so quello che dico, e lo sai anche tu. Nilos - Ti prego. Militsa - Non c'è niente di più bello. Niente di più forte. Nilos - Non ce la faccio a sentirti. Militsa - Generare la creatura che ti regalerà la gioia più grande.

Nilos - lo non gioisco affatto. Militsa - Veder tornare all'utero la creatura uscita dal tuo utero, non c'è niente di più bello, sentire la tua carne ritornare la tua carne, veder tornare quanto se n'era andato, questa è l'unione perfetta, e tu lo sai, hai paura di dirlo ma è così , ammettilo, Starlet. Nilos - Basta, basta, basta. Militsa - La smetterò solo se mi ucciderai. Dillo che mi ucciderai per farmi smettere, vuoi così tanto che la smetta che saresti capace di uccidermi. Nilos - No, no, non voglio. Militsa - Però lo fai. Nilos - Cosa? Militsa - Non vuoi? Nilos - È orribile, disgustoso. Militsa - Come tutto. Nilos - È un crimine. Militsa - È tutto così disgustoso e tedioso. Nilos - Voglio strappartelo da dentro, voglio distruggerlo, spazzarlo via, buttarlo, eliminarlo, non voglio più essere sporco, quanto male faccio ... Militsa - Cosa credi, che fermandoti farai del bene? Nilos - Sono i nostri figli. Militsa - E siccome non lo farai, credi di fare qualcosa di buono solo perché non lo farai? Menzogne, menzogne. Nilos - Ho chiuso la porta, ho inghiottito delle pastiglie, ho dormito per giorni e notti interi, poi ho riaperto, ero solo, sono uscito ed ero sempre solo, . sono tornato da solo, da solo. Militsa - Veniva a pregarmi davanti alla porta, piangeva. Nilos - Chi? Militsa - Voglio entrare, lasciami entrare, ma poi se n'è andato, sempre piangendo, perché l'ho fatto entrare. Nilos - Ama un'altra donna. Militsa - Così dice. Cerca. Nilos - Perché, perché, perché? Militsa - Se davvero ami Starlet, rendila felice, dalla a Emilios, è lui che lei vuole. Nilos - Non mi parla mai di Emilios. Militsa - A me ne parla. Nilos - Allora meglio che sia scomparso. Militsa - Allora non la ami. Nilos - Se sapessi. Militsa - Lo so, speri che tuo figlio non torni perché tua figlia lo desidera. Sei geloso, non vuoi che l'abbia un altro, lei è pazza di lui, e se non lo rivedrà finirà con l'impazzire, se la ami, riportale indietro Emilios. Nilos - lo? Militsa - Sì, tu, trovalo e riportalo qui se vuoi renderla felice, se la ami. Nilos - Chi ci potrà salvare? Militsa - Chissà dov'è sparito, sono giorni che non si vedeNilos - Chi avrà pietà di noi? Militsa - Nessuno. Una volta ringraziavo uno. Lo ringraziavo per quello che mi dava, per quello che ci aveva dato. Adesso non ho più ragione di ringraziarlo. Se è lui che ci ha dato tutto questo, non c'è ragione per ringraziarlo; non occorre. Neanche allora mi ascoltava, in realtà. Neanche allora era lui a darci le cose che avevamo. Né adesso né allora. Nessuno. Nilos - Dio mio, Dio mio.

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T ES T I Militsa - Non c'è nessuno. Nilos - Salvaci. Militsa - Tra poco terrò il mio bambino in braccio. Che cosa sei tu per questo bambino? Nilos - Quale bambino? Militsa - Il figlio di Evghenios e di Militsa. Nilos - Che cosa sono io? Militsa - lo sarò sua madre e sua nonna, e tu? Nilos - lo ho sposato te. Militsa - Non avresti. .. Nilos - Zitta. Militsa - Non avresti dovuto. Nilos - No, non ce la faccio, non ce la faccio. Militsa - Un panino/e un gattino./Mangia gattino/il tuo bel panino./Chi non mangia/l'orco lo mangia./E chi mangerà/poi mi amerà./Ecco il panino/ecco il gattino./Mangia gattino/il tuo bel panino.

Scena sedi.cesi.ma (Casa di Filon. Notte. Tranquillità. A un tratto si odono sirene e i proiettori delle volanti della polizia illuminano fin dentro casa. Emilios in mutande esce dalla sua camera con la pistola in mano. Dietro di lui c'è Filon, in vestaglia. Si ode una voce amplificata da un megafono. Emilios corre di finestra in finestra caricando la cartuccia della pistola.) Emilios - Brutti bastardi. Filon - Non provocarli. Emilios - Cosa dovrei fare, arrendermi? Figli di puttana. Filon - Quanti sono? Emilios - Vedrai come li riduco, questi rottinculo. (Rompe il vetro di una finestra e comincia a sparare) Filon - No, no. Emilios - Li riduco ... brutti bastardi, figli di puttana. (Spara) Centro! (Segue uria vera e propria sparatoria. Emilios spara ancora) Ancora centro! Filon - Nasconditi. Emilios - Vai dentro, tu. (Spara) Ancora un altro! Ragazzi, che mira! (Raffica di colpi) Filon - Hai abbastanza munizioni? Emilios - Te ne vuoi andare? Stronzi, bastardi, figli di puttana. (Finiscono le munizioni. Apre il balcone) Fil on - Emilios ... Emilios -Addio, Fil, so che mi hai amato più di quanto amassi me stesso. (Esce sul balcone) Ira e coscienza, stronzi, ira ... ira e coscienza. (Salta dal balcone mentre gli spari si susseguono a raffica, sirene e proiettori accesi. Filon corre sul balcone)

Scena di.ci.assettesi.ma (Star/et, Nilos, Militsa ed Evghenios. Nella stanza di Emilios.) Starlet - Dov'è? Dov'è finito? Perché lo tengono nascosto? Perché non ce lo restituiscono? Che cosa gli hanno fatto? Lo hanno picchiato? Lo hanno deformato? Gli hanno spaccato la faccia? Le botte lo hanno reso irriconoscibile? E il corpo? Cosa ne è del corpo? Che buon profumo hanno le sue lenzuola. lo lo riconoscerò comunque. Con che diritto non ce lo restituiscono. lo vado a riprenderlo, appartiene a me, lo riporto qui, lo metto a letto e lo avvolgo

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nelle sue lenzuola. Che profumo meraviglioso. Non voglio sapere cosa ha fatto, qualsiasi cosa ha fatto ha fatto bene, nessuno ha il diritto di giudicarlo, nessuno, nessuno era come lui, ha fatto bene a fare quello che ha fatto, sto male solo a pensarci, si sarebbero meritati anche di peggio, si meritano sempre di peggio, non hanno alcun diritto di trattenerlo, io lo rivoglio qui, voglio metterlo nel suo letto, avvolgerlo nelle sue lenzuola, con il suo profumo, su, andiamo a prenderlo. Chi dice che l'hanno sepolto? Chi lo ha sepolto? Perché lo hanno sepolto? Lo hanno sepolto vivo? Ma se è vivo perché lo hanno sepolto? Non dovevi lasciarglielo, dovevi riprendertelo, perché non sei andato a riprendertelo? Non m'importa in che stato era, lo avremmo lavato, vestito bene, avremmo messo fiorellini bianchi tra i suoi bei capelli, lo avremmo deposto con dolcezza, gli avrei accarezzato la fronte, gli avrei baciato gli occhi e le labbra, mi sarei messa anch'io accanto a lui, avrei attaccato il mio corpo al suo, lo avrei abbracciato, anche lui mi avrebbe abbracciato, mi avrebbe baciato, ci saremmo baciati. Perché non l'hai riportato indietro, perché gliel'hai lasciato? Non sei un padre, tu. Non sai fare niente, non fai niente, perché ti ho sposato, perché ti ho dato dei figli , perché, inetto, disgustoso, laido, seminatore di disgrazie, perché ti ho sposato, stammi lontano, non ti voglio più vedere, non hai pietà di nessuno, né di me né dei tuoi figli , vattene, non ti voglio più vedere. Amore, amore mio, voglio stare accanto a te, abbracciami, staremo insieme nella tomba, con te non ho paura del buio né del freddo, com'è bello stare nella tomba insieme a te, con mio marito, voglio solo te, amore, oggi ci sposiamo

Scena di.ci.attesi.ma (In carcere. Filone Nilos.) Filon - Non mi tratterranno a lungo. Giusto per le formalità./L'interrogatorio è finito. Ho detto tutto quello che sapevo./Grazie per essere venuto./Nilos, io lo amavo./Sono il tuo amico./Sono stato io ad avvertirli./Gli ho detto la verità./Tu sei il mio unico amico.Ila polizia./Non saresti dovuto venire./Grazie per essere venuto.fio lo amavo./Sono stato io a ucciderlo./Non voglio uscire di qui.Noglio morire qui./Sono stato io a farti questo.Noglio morire./Non ho nessun altro./Nilos.

Scena di.ci.annovesi. ma (Militsa ed Evghenios. Nella stanza di Militsa.) Militsa - Chiudi la porta. Su, vieni. Evghenios - Come si fa? Militsa - Ti aiuto io. Evghenios - Non ce la faccio. Militsa - Voglio che lo veda. Su, vieni qui, ecco, non devi fare niente, devi solo reggermi , ancora un po', ecco, così, ancora un po', ancora un po', ecco, ecco, sta uscendo. Evghenios - Che cos'è? Militsa - Ecco, esce. Evghenios - Non ce la faccio. Militsa - Aspetta, non andartene! Ecco, è uscito. Evghenios - Cosa ...

Militsa - Nostro figlio, il nostro bambino, il nostro piccolo Evghenios.

Scena ventesi.ma (Star/et e Nilos. Nella stanza di Emilios.) Nilos - Su, apri la bocca. Ecco, da brava, apri la bocca, che brava che sei, sei proprio una brava bambina, simpatica, vezzosa, e poi ballavi, non ti stancavi mai di ballare, ti mettevi addosso qualcosa e ballavi, ballavi sempre qualcosa, ti truccavi le guance e le labbra come una vera signora, come una mamma, e poi avevi i capelli rossi , delle ciocche rosse come il fuoco, e piegavi il tuo corpicino come un'acrobata, una ballerina, ti ricordi cosa rispondevi quando te lo domandavamo? Starlet, sono Starlet, te lo ricordi ? Starlet - Non vedo. Nilos - Cosa? Starlet - Niente. Nilos - Sono molti giorni che non mangi, piccola mia. Starlet - C'è buio. Nilos - Guardami, guardami, mi vedi? Starlet - Niente. Nilos - Sono giorni che non mangi, Starlet, piccola mia, guardami, guardami, Starlet.

Scena ventunesi. ma (Evghenios. Nella sua stanza.) Evghenios - Non scende una stella a tirare la corda?/E io che credevo che il cielo fosse mio!/Non resta nient'altro./Più è alto più è vicino./Non vengono perché non vogliono morire./Sarò io la mia stella./E quando la chiamerò lei verrà./Eccola qui./Tu, stellina palpitante./Sì, tira, tira forte, mia dolce stellina, piccolo Evghenios,/portami su, su./Eccomi.

Scena venti.duesi.ma (Militsa e Nilos. Nella stanza di Militsa.) Militsa - Come «l'ho tirato giù»? Cosa vuol dire «l'ho tirato giù»? Nilos - Militsa. Militsa - Chiama subito Starlet. Nilos - Nella stanza di Emilios. Militsa - Dille di venire qui. Nilos - Era appeso. Militsa - «Era appeso», «L'ho tirato giù», cosa intendi dire? Nilos - (Guardando il neonato) Lui invece è vivo. Militsa - Guarda come cresce, come se i giorni passassero a cinque alla volta, a dieci alla volta, ed è tutto Evghenios. Nilos - Perché è vivo? Non ha senso che viva. Militsa - Portami Starlet qui. Evghenios dov'è? Nilos - In camera sua. L'ho ... Militsa - Digli di passare più tardi. Nilos - Militsa ... Militsa - Insomma, vai, che aspetti? Ricordi cosa ti ho detto? (Nilos esce) «L'ho tirato giù», «Era appeso». (Poi, al neonato) È tutta colpa tua./Non ce l'ha fatta./Ma senza di lui non ha alcun senso./Chiedi


T ES T I perdono./Non ti sopportava./Evghenios ha ucciso Evghenios./Non te lo perdono./Chiedi perdono./ Non vuoi?/Ti perdono io, allora./Ecco fatto. (Lo strozza.)

Scena venti t reesi ma (Nilos. Nella stanza di Star/et.) Nilos - Da qui è cominciata la rovina. Se me ne libererò, mi libererò anche dalla rovina. Devo toglierti di mezzo, non potrai più fare del male, è tua la colpa, sei tu la causa di tutto, da te è cominciata questa serie di disgrazie, chiedi, chiedi, chiedi sempre, non ti accontenti mai, non ne hai mai abbastanza, non sei mai soddisfatta, mai tranquilla, ci penso io a toglierti di mezzo, ti farò smettere di chiedere, finalmente sarai soddisfatta, vedrai, ti ho in pugno, non puoi sfuggirmi, maledetto mostro, figlia del demonio, finalmente imparerai a lasciarmi tranquillo, ti faccio vedere io, posso farlo, sì, posso, ne ho il potere, ti elimino una volta per tutte, terribile inquietudine, fame smisurata, ti strappo la vita, completamente, e la butto nella spazzatura, via, lontano, adesso, adesso. (Gli cade il coltello dalle man,)

Scena venti quattresi ma (Militsa. Nella sua stanza.) Militsa - Eravamo pazzi d'amore. Non dimenticherò mai il giorno in cui è diventato mio. Esiste la felicità. Lui me l'ha data e io gliel'ho data. Come solo un essere umano può darla a un altro essere umano. L'abbiamo data l'uno all'altra. (Entra Nilos) Come mi guardavi. Come mi toccavi. Quanto ti desideravo. Quanta felicità mi hai dato. Per questo vivevamo. Per la gioia che dava l'uno all'altra. Ci davamo gioia. Non ci bastava? Ho paura di guardarmi alle spalle. Noi, sempre noi. Da soli. Come allora. Tu e io. Toccami come hai fatto allora. La prima notte. Nilos e Militsa. lo la tua donna e tu il mio uomo. lo ero tua. E tu eri mio. Prendimi. (La strozza.) Nilos - Non c'è nessuno. Volevo fare una domanda, ma non c'è nessuno. Cosa voglio chiedere? Molte cose. Molti pensieri mi tormentano. Devo fare ordine nei miei pensieri. Prima ci sono i ragazzi , e poi Militsa. No, prima ci sono io, e dopo i ragazzi. No, prima c'è Militsa. No, è meglio che prima ci siamo tutti. Anzi, viene prima qualcos'altro. Prima c'è... chi? Come, chi? No, neanche questo. Non so. Ah, sì, siamo una famiglia, non abbiamo mai fatto male a nessuno. E poi? Che razza di domande .. . La domanda è: qual è la domanda? Se lo sapessi, forse potrei resistere. Dunque la domanda è che cosa ho fatto. O cosa non ho fatto. O cosa avrei dovuto fare. Cosa avrei dovuto e cosa non avrei dovuto. No, aspetta, ecco, ci sono due ragazzi, uno comincia a dire qualcosa, ma chi mai si salverebbe se la sua vita fosse come la mia? Questa è la domanda. No, neppure questo voglio chiedere. Devo fare ordine nei miei pensieri. Tutto è cominciato. (Entrano A, Be C). A - Ogni uomo nuota nelle sue parole. Nilos - Chi siete? B - Vuoi smetterla di cianciare fino a quando darai aria alla bocca?

Nilos - Potete aiutarmi? C - Il papiro fiorisce se non è innaffiato? Nilos - Non capisco. Eravamo molto giovani, Filon, Filon Filippìs, io sono Nilos Lakmos, e un giorno per scherzo. A - Dimmi, tu sei stato creato prima dei colli? Nilos - Ci abbiamo provato, con quel poco che ricordavamo, abbiamo cercato ... C - Sai contare le gocce di pioggia? Sei capace di misurare l'altezza di una nuvola? B - Sei capace di dire alla neve «cadi», e quella cade? Nilos - Non capisco. Cosa volete dire? A - Dimmi, dov'eri tu quando ho stabilito la terra? C - Conosci la sorgente del mare? Hai camminato sulle tracce dell'abisso? Dov'è che risiede la luce? Le tenebre? Nilos - Di chi è la colpa? Perché ci ha ridotti così? B - Sai chi ha fissato le misure della terra? Chi ha posto la prima pietra? Chi ne ha gettato le fondamenta? Nilos - È di me che vi chiedo, se la mia vita era biasimevole allora milioni di vite in tutto il mondo sin dalla nascita del mondo avrebbero dovuto subire, se la mia vita, allora nessuna vita ... le mie sofferenze ... A - E che importa se le tue opere erano irreprensibili? Non esiste figlio di donna che sia puro. C - Adesso parlerò nella lingua del saccheggio e della burrasca, io, che da solo ho fissato il cielo, e cammino sul mare come sulla terra. Nilos - Militsa, Evghenios, perché, tanta vita, la mia Starlet, Emilios, ditemi, perché non ne è rimasto niente? B - Quando sono nate le stelle, tutti i miei angeli hanno elevato con voce tonante l'inno della mia gloria. C - Ho cinto il mare mentre nasceva, l'ho posto nei confini, ne ho collocato le chiavi. A - Ho decretato di racchiudere il volto del mare laddove luce e tenebra si fondono. Nilos - Chi ci ha abbattuto? Chi ci ha svuotati, chi ci ha fatti impazzire? Chi ci ha ridotto a bestie, chi ci ha accecati, chi ci ha umiliato così? A - Conosci l'origine della bruma? Chi ha generato le goccioline di rugiada? C - Da quali viscere deriva il ghiaccio? B - Come fanno a stare insieme le Pleiadi? C - Sai dividere le stelle di Orione? B - Sai prendere Lucifero per i capelli e farne tutto quello che vuoi? Lo sai? C - Sai chiamare a te i nembi e trarre da essi una violenta burrasca? A - Sai dare ordini alle saette e farle cadere dove tu hai ordinato loro? Lo sai? Nilos - Vi chiedo, perché noi, perché è toccato a noi fare tanto male. C - Sei stato forse tu a donare la forza al cavallo e a domarlo con tremore? B - Sei stato forse tu a insegnare al falco a planare nell'atmosfera ad ali spiegate? C - E l'aquila, vola forse perché glielo ordini tu? A - Sei forse tu a decidere quando partoriscono i cervi? E sei tu a liberarli dalle doglie? Nilos - Chi siete? Cosa volete? B - L'ippopotamo è opera mia. A - La mia creazione più perfetta è il coccodrillo.

Nilos - Non so chi siete. A - Solo gli angeli possono ingannarlo. B - Devi adorare il coccodrillo. Nilos - Andate via, lasciatemi. B - Inchinati ad adorarlo! Nilos - Non sapete niente, non potete aiutarmi. B - Se lo adorerai, mostrerai di essere diventato saggio. Nilos - Andate via, via. C - Otterrai quattordicimila pecore. Nilos - Maledetti. B - Seimila cammelli, mille coppie di buoi. Nilos - Maledetti, maledetti. A - Sette figli e sette figlie e vivrai centosettanta anni. Nilos - lo sono Nilos Lakmos. E voi chi siete? A - Siccome tu sei destinato a morire, credi che la terra diventerà un deserto o i monti saranno sradicati? Si avvicinano. Nilos cerca di scappare. Lo prendono e lo tengono stretto. Nilos - Aiuto, aiuto, aiuto. (Cominciano a percuoter/o) Maledetti, aiuto, aiuto. (Anche Nilos comincia a percuoterli. Lottano. A, B e C estraggono dei coltelli a serramanico e lo pugnalano ripetutamente. Ni/os si accascia al suolo. Escono.)

Scena vent i ci nques ima (Filon. A casa sua.) Filon - Le ho fumate tutte./Non importa, sono qui già da un po'./No, non preoccuparti, non sei in ritardo, non importa, sono/arrivato apposta prima di te, è stato bello aspettarti./Ah, li hai portati./Avevo voglia di vederci./Militsa./Ciao, Starlet./Non siete mai stati qui?/Con Nilos era sempre qui che ci vedevamo./Non vi ci ha mai portati? Ve l'ha tenuto nascosto./Militsa invece ci è già stata, vero Militsa?Ni trovo bene./Adesso però devo lasciarvi.Nolevo solo rivedervi.Nedere se state bene./Ciao, Evghenios, ciao, Emilios./Ciao, Nilos./Non permettete mai a nessuno di parlare/di voi, né in bene né in male./Alla prima occasione verrò.

Scena ventiseies ima (A, B, C.) C - La questione non si pone. B - È la prospettiva globale che conta. A - Senza dubbio.

FINE

Il


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INTERCITY ATHI-~ 2002

e 2003 Intercity, che giunge con il 2004 alla sua 17° edizione (dedicata alla città di Sao Paulo in Brasile) è un festival che indaga sulla nuova drammaturgia internazionale con coraggiose edizioni monografiche: di anno in anno una città nuova si muove in blocco verso Sesto Fiorenti no e il Teatro della Limonaia, che invita il nuovo teatro quando ancora non si chiama così

i. 1 paese dove è nato i.1 teatro. Se la nostalgia facesse capolino, lasciamola perdere. L'Atene di. oggi., la città dei. 200 teatri., ospita, dopo i.1 realismo del dopoguerra, una drammaturgia impietosa e forte, che si. arma della lingua per stanare con ogni. mezzo i. mali. del paese e quelli. dell'anima, che poi., secondo i.1 grande drammaturgo Dimitris Dimitriadis, sono gli. stessi.. Nel caso dello scrittore saloni.cchese la forma è infatti. contenuto, si.a che si. tratti. della corrente che trascina le parole di. Oblio, riversandole, riga dopo riga, con ri.peti.zi.oni. e metamorfosi. incessanti., dentro nuovi. assunti; si.a che la 1 i.ngua si. facci.a storia, scorrazzando, tra passato e presente, negli. avvenimenti del la Greci.a degli. ultimi. mi. 1 le anni., per denunciarne l'orrenda ci.cli.ci.tà (Muoio come un paese); o seguendo passo passo i.1 movimento di. una famiglia di. oggi. verso i.1 passato, fino alla coincidenza con le più terri.bi. 1 i. saghe fami. 1 i.ari. del teatro greco antico (Lo stordimento degli ani mal i prima del macello). Accanto a lui., tra le giovani. leve, i.1 lavoro di. Sophie Dionisopoulou, che seri.ve un teatro di. poesia antireali.sta, i.n cui. i.1 tempo è un valore dubbi.o, e somigli.a molto a quello della Penelope visionari.a del suo Notturno. Ma Intercity ha anche introdotto l'opera di. molti. maestri. della drammaturgia del '900, Jacovos Kambanel lis, i.1 fondatore, vera e propri.a istituzione del teatro greco contemporaneo, con la sua scrittura straordinari.a, drammatica e popolare insieme, quasi. sconosciuta i.n Itali.a (La corte dei miracoli); Loula Anagnostaki, che ne La parata e Il cielo tutto rosso ci. indi.ca come la sorte di. ognuno di. noi. alluda a quella della nostra soci.età, o viceversa, i.n un rimbalzare di. somiglianze e paralleli. reali. o immaginati; Pavlos Mathesis, notissimo romanzi.ere, con i.1 suo mondo i.n bi.1 i.co tra realtà e sogno (Affittasi angelo custode e Vite da romanzo, una creazione tratta dalla sua narrati.va); o la scrittura a due mani. ( Michail Marmarinos e Sil v ia Calamai) di. Inno nazionale, vi.aggi.o nostalgico e dinamico insieme dentro una ci. ttà, Atene al 1 'origine, Firenze nella versione scritta per Intercity. Un percorso biennale che ha prodotto dodici. opere, affiancandole con cinema, incontri., convegni., di.batti ti., mostre, video, e che ha lasciato tracci.a negli. oltre 300 testi. di. drammaturgia . contemporanea greca che al Teatro della Limonaia attendono, i.n lingua originale e i.n traduzione, chiunque fosse interessato a conoscere di. nuovo questo paese che ci. è teatralmente cosi familiare. •

Una scena di. Muoio come un paese di. Di.mi.tri.s Di.mi.tri.adi.s, presentato al Festi.val Interci.ty Athi.na

Per informazioni: info@teatrodellalimonaia.it

z nel

gi.ugno 2003

n vi.aggi.o verso Atene e


FRANCIA GRECIA IRLANDA ITALIA PORTOGALLO SPAGNA

IN COLLABORAZIONE CON

ATELIER EUROPÉEN DE LA TRADUCTION SCÈNE NATIONALE D'ORLÉANS OUTIS: 02 39257055 - INFO@OUTIS.IT


l'Atelier Europé dell'U . si avvale dee~ de la _Traduction mone Europ contributo ea - Settore Ed . Programma Cu lturaucaz,one e Cult ura 2000 Traduzione r . dell'Atelier E uropeen eal!zzata d nell'amb't I o Scène Nationale :,olarleans ~raduction

Oui:-t<; CENTRO NAZIONALE O! DRAMMATURGIA CONTEMPORANEA


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