Giornale Italiano di Vitreo Retina 1/2020

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Periodico Quadrimestrale a Carattere Scientifico di Educazione Continua in Oftalmologia

GIORNALE ITALIANO DI

Volume XII

1/2020 Giugno

Editoriale COVID 19: riflessioni

Valutazione multimodale del foro maculare lamellare con OCT-A e microperimetria

Nostra esperienza nell’utilizzo della pneumoretinopessia per il distacco di retina regmatogeno

OCT Biomarkers nella diagnosi e nel trattamento delle CNV: il Pitchfork Sign

Sostituti vitreali: tra tradizione ed innovazione

FGE S.r.l.-Reg. Rivelle 7/F - 14050 Moasca (AT) - Redazione: via Petitti, 16 - 20149 Milano



GIORNALE ITALIANO DI

Editors Claudio Azzolini Marco Borgioli Vito De Molfetta

Sommario

Associate Editor Simone Donati

002 Presentazione

Direttore responsabile Ferdinando Fabiano

004 Editoriale

Volume XII

1/2020 Giugno

COVID19: riflessioni Claudio Azzolini

008 Valutazione multimodale del foro maculare lamellare con OCT-A e microperimetria

Elias Premi, Simone Donati, Aroa Gnesutta, Maurizio Chiaravalli, Claudio Azzolini

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OCT Biomarkers nella diagnosi e nel trattamento delle CNV: il Pitchfork Sign Arianna Ravasio, Marco Mazzola, Laura Premoli, Cristian Metrangolo, Maurizio Chiaravalli, Simone Donati, Claudio Azzolini

Editore FGE srl Fabiano Gruppo Editoriale Redazione: Via Petitti, 16 20149 Milano Sede legale: Regione Rivelle, 7 14050 Moasca (AT) Tel 0141/1706694 Fax 0141/856013 Stampa Giuseppe Lang Arti grafiche srl Genova Registrazione al Tribunale di Roma N. 55 del 12 Febbraio 2009 ISSN 2035-9101 In copertina: Fig. 1 da pag 008

022 Nostra esperienza nell’utilizzo della pneumoretinopessia per il distacco di retina regmatogeno

Michele Marullo, Francesco Pellegrini, Flavio Foltran, Giovanni Prosdocimo, Gianluca Lapi

030 Sostituti vitreali: tra tradizione ed innovazione

Andrea Passani, Marco Pellegrini, Francesca Guido, Angela Tindara Sframeli, Rosario Denaro, Iacopo Franchini, Gianluca Guidi

Tutti i diritti sono riservati, in particolare il diritto di duplicazione e di diffusione, nonché il diritto di traduzione. Nessuna parte del periodico può essere riprodotta in alcuna forma (per fotocopia, microfilm o altri procedimenti) senza il consenso scritto dell’Editore e degli Autori. Dati, opinioni e affermazioni espressi negli articoli qui pubblicati sono di esclusiva responsabilità degli Autori e non riflettono necessariamente i punti di vista dell’Editore. Ogni prodotto menzionato deve essere usato in accordo con la scheda tecnica fornita dalla ditta produttrice. Il giornale non si assume nessuna responsabilità per danni provocati utilizzando metodiche, prodotti, consigli o idee contenuti negli articoli pubblicati.

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VitreoRetina

SODIO IALURONATO 0,15% e LATTOBIONATO DI SODIO 4%

EQUILIBRIO per gli OCCHI nell’INVECCHIAMENTO

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Volume XII - 1/2020

Cod. 042MI-S0318

SENZ A CONSERVANTI


GIORNALE ITALIANO DI

VitreoRetina

Presentazione

Claudio Azzolini

Marco Borgioli

Vito De Molfetta

Cari Colleghi il Giornale Italiano di Vitreoretina si presenta da questo numero con un rinnovamento che coinvolge la grafica e l’impaginazione con il contributo di Ferdinando Fabiano, editore protagonista nell’oftalmologia italiana. Grazie a nuove risorse dell’azienda Fidia abbiamo deciso di rilanciare questa rivista che ha un suo importante ruolo nel panorama dell’oculistica italiana, con i contributi come esperienze scientifiche inedite, review e casi clinici. La nuova rivista inoltre sarà completata da alcune rubriche specifiche, per un’informazione maggiore e ad ampio campo. Ci rivolgiamo a tutti, dai più giovani specializzandi ai maestri con più esperienza, che vogliano condividere le loro ricerche su questo supporto editoriale trasversale riguardante la retina medica e chirurgia. Saranno coinvolte anche discipline come la genetica o l’informatica medica che oggigiorno hanno un ruolo di primo piano. La struttura editoriale rimarrà la stessa; tutto il materiale scientifico dovrà essere inviato all’Associate Editor Simone Donati che revisionerà i manoscritti e in accordo con il comitato scientifico invierà alla redazione gli articoli approvati per la pubblicazione. Gli autori che contribuiranno maggiormente con i loro lavori scientifici saranno inseriti a fine anno in un apposito elenco all’interno della rivista.

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Editoriale

COVID 19: riflessioni

Claudio Azzolini

Il dr. Li, medico oculista e fellow a Wuhan in Cina, è morto a inizio febbraio per la nuova grave sindrome respiratoria acuta da coronavirus(1) (SARS-CoV-2) dopo aver avvertito invano i colleghi medici della potenziale grave epidemia2, 5. È ora considerato un eroe, e non ha visto il suo secondo figlio nato dopo la sua morte. L’OMS ha dichiarato la malattia come pandemica il 11 marzo 2020. La Lombardia è stata la regione italiana più colpita per vari motivi6, 8. Vi è un’alta densità di popolazione che è circa il doppio di quella del Veneto, del Lazio o della Campania e otto volte superiore a quella del Friuli o della Liguria. Un’alta densità di popolazione significa maggiori possibilità di contatti interpersonali. La Lombardia è inoltre caratterizzata da un’alta prevalenza di persone con co-morbilità polmonari dovute all’inquinamento ambientale e da un alto numero di contatti con la popolazione cinese per viaggi di lavoro o svago. È un territorio poco ventilato e con maggior presenza di particolato atmosferico su cui il virus viaggia; è sintomatico il forte aumento di contagi 14 giorni dopo una eccedenza dei limiti del particolato segnalati nel periodo 10-19 febbraio 2020 dall’Agenzia Regionale per la Prevenzione Ambientale (ARPA)9. In questa situazione, i sistemi sanitari sono stati colti impreparati e molto si è fatto per la cura dei pazienti affetti, per la prevenzione, per l’informazione e per conoscere meglio la malattia. La cura dei pazienti attuali ha beneficiato della prima ondata di pazienti malati da cui si è imparato molto. La prevenzione, dopo l’esempio del lockdown delle città cinesi, è stata importante per ridurre l’incidenza della malattia. L’informazione è stata indubbiamente presente, anche se troppa, confusa e a volte contradditoria. La conoscenza della malattia è aumentata di molto, basti pensare alla grande mole di articoli scientifici pubblicati prontamente dalle più note riviste internazionali. Abbiamo imparato a conoscere il nemico, le sue fattezze, la sua fatale riproduzione in organi importanti del nostro corpo. Il virus è stato rilevato nella bocca, nei polmoni, negli occhi, nelle feci, nelle urine, nel peritoneo, in molti altri fluidi corporei e sulla pelle, e il paziente ammalato porta con sé il virus come una nuvola che lo circonda1,10, 13. È inoltre presente, oltre che nelle goccioline espulse dal paziente, nell’ambiente e sulle superfici. Può cavalcare il particolato atmosferico inquinante e raggiungere distanze rilevanti14, 15, può sopravvivere in vari materiali come il vetro, l’acciaio, il rame o la plastica anche fino a 72 ore, anche se con diminuito potere infettivo16,17. Per quanto riguarda la diagnostica, il miglioramento delle tecniche di laboratorio di questi mesi consente di trovare il virus, contrariamente alle prime segnalazioni, sulla superficie oculare della maggioranza dei pazienti COVID-1918. Negli occhi è presente sulla congiuntiva probabilmente per contatto con l’aria, non sappiamo se anche per inoculazione diretta dalle ghiandole lacrimali come dimostrato per l’HIV o per reflusso nasolacrimale. Può provocare congiuntivite, ma non obbligatoriamente. La sua presenza sulla congiuntiva può portare il virus nella cavità orofaringea e quindi ai polmoni19, 22. Non sappiamo ancora invece se il virus crea alterazioni intraoculari, vista l’impossibilità di un’accurata diagnostica in questi pazienti ricoverati e tenuti a letto. Sarà interessante scoprire se i pazienti guariti avranno sequele intraoculari e vitreo-retiniche, ma per questo occorre tempo. La diagnostica tempestiva è importantissima e ancora da rivalutare negli attuali congressi in rete. Il tampone naso faringeo è oggi il gold standard diagnostico dell’OMS. Sappiamo però oggi come il virus sia stato rilevato nella saliva, sulla superficie oculare e in altre sedi corporee in presenza di tampone naso-faringeo negativo23,24, che potrà quindi essere ridiscusso. La ricerca del virus con tre differenti tipi di tamponi in modo combinato, quelli

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EDITORIALE

naso-faringeo, salivare e lacrimale, prediligendo il meno invasivo, potrebbe essere utile per una diagnostica più accurata. I risultati dei tamponi naso-faringeo, salivari e lacrimali sono ottenuti con tecniche di PCR real time che consentono di amplificare e quantificare i frammenti di acidi nucleici virali, ma al laboratorio occorrono molte ore per la risposta, oltre ai tempi di trasporto. Soprattutto per questo motivo si sta studiando la realizzazione di un test rapido salivare che, funzionando in maniera analoga al test di gravidanza, sia in grado in pochi minuti di diagnosticare la presenza del virus nella saliva mediante l’identificazione della proteina spike virale25. Il test, in fase di avanzata sperimentazione dall’Università degli Studi dell’Insubria di Varese, fa una fotografia dell’individuo, ci dice se in quel momento ha il virus o no, indipendentemente dalla presenza o meno di immunoglobuline IgM e IgG specifiche. La cura con siero immune è ancora da dimostrare e il vaccino non sarà sicuramente pronto a breve. Quello che possiamo fare è quindi prevenzione. Nel nostro caso, oltre all’utilizzo di mascherine di cui siamo ormai tutti profondi conoscitori, alle norme di distanziamento sociale e ai comportamenti personali per diminuire il rischio di contagio, noi oculisti siamo intervenuti con accurate procedure di sanificazione e protezione delle nostre apparecchiature. Abbiamo protetto per quanto possibile noi e i nostri pazienti, che forzatamente sono visitati a breve distanza dall’oculista26, 33. Abbiamo quindi visitato e operato con fatica e con particolari attenzioni. Nei tre mesi precedenti ad oggi sono stati eseguiti quasi esclusivamente interventi chirurgici con carattere di urgenza e sappiamo come molte gravi patologie oculari, come i distacchi di retina regmatogeni, siano venuti alla nostra osservazione con grande ritardo. Il nostro modo di lavorare è indubbiamente cambiato. Molto personale infermieristico, medici e specializzandi sono stati reclutati nella fase 1 della pandemia nei reparti Covid, cambiando mansioni e attività con encomiabile spirito di sacrificio, mentre gli ambulatori pubblici e privati si erano svuotati. Dopo la fase 2, siamo impegnati ora nella fase 3 a rimodulare il nostro tempo, a recuperare per quanto possibile i tantissimi pazienti rimasti nelle liste di attesa per interventi elettivi come cataratta, maculopatie, plastiche palpebrali o altro. Stiamo creando nuove e faticose procedure di assistenza e protezione negli ambulatori ospedalieri, territoriali e privati. Cerchiamo meno contemporaneità per ridurre l’affollamento con programmazioni più longitudinali che trasversali. Il trattamento di alcune patologie necessita ora di schemi meno flessibili, come avviene nelle maculopatie. Partecipiamo a molti webinar e abbiamo week end senza congressi, erano sì troppi, ma da troppi a zero non va bene. Si parla di un’accelerazione di procedure di telemedicina o meglio e-health che non vedo, speriamo comunque che la pandemia acceleri il processo di diagnosi e cura a distanza, anche se non sarà facile. La nostra specialità si basa molto sulle immagini, e molte di queste potrebbero essere acquisite in casa o nelle farmacie, con l’aiuto della tecnologia già esistente. Esistono poi strumentazioni e software per l’autovalutazione dell’acuità visiva e per l’acquisizione della tonometria, della campimetria e di immagini del fondo oculare. Tutto può poi essere veicolato in piattaforme dedicate per la valutazione a distanza dal centro medico di riferimento. Sono progetti in parte già attivi ma nati in maniera spontanea e con poche risorse governative. Certo, le procedure a distanza sono meno precise, ma possono essere intervallate alle visite tradizionali. Sappiamo bene ormai come l’evoluzione demografia in atto e l’aumento di malattie croniche necessitino di nuove “soluzioni sanitarie” e, sebbene debba forse passare quasi ancora una generazione, sicuramente i risultati di questa inevitabile, drastica e sostenibile trasformazione cambierà positivamente il rapporto fra operatori sanitari e pubblico da come lo conosciamo noi oggi33,34. È bene che un terzo di strutture sanitarie abbia investito nell’e-health a macchia di leopardo secondo uno studio del politecnico di Milano, ma non è chiaro quanto. Infine l’auspicabile integrazione ospedale-territorio fa molta fatica a decollare, basti pensare alla scarsa strumentazione presente negli ambulatori oculistici territoriali, spesso sprovvisti anche della rete internet. Cosa ci ha umanamente insegnato la pandemia? Prima di tutto ha evidenziato la nostra fragilità, pensavamo di essere invincibili, tutto ci era permesso senza limiti, ma non era così. Si sono riscontrati inoltre vari tipi di problemi psicologici35, 36 e sta aumentando l’incidenza di pazienti con corioretinopatia sierosa centrale. La pandemia ci ha guidato all’introspezione, la primavera del 2020 è stata a detta di tutti la più bella, ma è tale perché avevamo tempo di ammirarla all’esterno chiusi nelle nostre case e avevamo soprattutto tempo per riflettere meglio sulle nostre vite. Ci ha insegnato a guardare al futuro in modo differente, pensando più al nostro benessere sociale e Volume XII - 1/2020

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alla solidarietà piuttosto che alla competizione. Ci ha insegnato inoltre che, seppur noi all’apice dell’evoluzione, siamo parificati a tutto il mondo animale con cui condividiamo anche le malattie, con indubbi risvolti religiosi e filosofici. Ci ha insegnato a non sottovalutare la natura che quando vuole si vendica facilmente dei nostri soprusi su di essa anche con una microscopica e letale particella. Infine ci ha insegnato come non eravamo affatto pronti alla gestione della pandemia, né all’inizio né durante. In generale, per chi non era in prima linea, abbiamo scoperto una vita più calma con più tempo per lo svago. Abbiamo anche imparato a cucinare! Questi pensieri dovrebbero renderci coscienti del bello della vita, che è un regalo. In conclusione, questa pandemia ha indubbiamente colpito tutti, persone sane, medici e malati. Tutti avevamo paura. Com’è nell’ordine naturale delle cose, la paura passa. Le mascherine sono portate sempre più spesso come papillon sul collo o sul mento e il distanziamento è sempre meno praticato, soprattutto nei giovani. Mentre scrivo a Pechino e in qualche palazzo a Roma è stato ordinato un nuovo lockdown parziale. Indubbiamente i lockdown cinesi sono maggiormente rispettati per vari motivi rispetto a quelli romani o di altri continenti. Il nostro modo di visitare i pazienti sarà più attento. È difficile immaginare il futuro. Può essere che fra sei mesi parlare di Covid-19 sia estremamente noioso, come può essere che la pandemia si risvegli, cosa speriamo meno probabile. Occorre tenere la guardia alta. Sicuramente, all’arrivo della prossima sindrome influenzale del prossimo autunno-inverno, chi tossisce sarà guardato come possibile untore di coronavirus, a prescindere dalla campagna vaccinale per la comune influenza. Ecco che allora i test diagnostici rapidi, come quello salivare, che ci potrà dire se in quel momento un soggetto ha il coronavirus, saranno molto utili.

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Elias Premi

Valutazione multimodale del foro maculare lamellare con OCT-A e microperimetria Riassunto

Scopo dello studio: studio osservazionale caso-controllo per valutare l’associazione tra la morfologia della vascolarizzazione e la sensibilità retinica in regione maculare in pazienti affetti da foro maculare lamellare (LMH). Materiali e metodi: sette pazienti affetti da foro maculare lamellare trazionale (tLMH) e cinque pazienti affetti da foro maculare lamellare degenerativo (dLMH) sono stati reclutati nel nostro studio; nel gruppo di controllo è stato inserito l’occhio controlaterale sano. Tutti i pazienti sono stati sottoposti ad esame oftalmologico completo, SD-OCT per la diagnosi e valutazione del foro, angiografia OCT (OCT-A) e microperimetria. I parametri valutati all’OCT-A sono stati: l’area della fovea avascolare (FAZ, mm2), nel complesso vascolare superficiale (SVC) e profondo (DVC). Attraverso l’analisi microperimetrica è stato possibile valutare la sensibilità retinica centrale media (CRS, dB). Risultati: Tutti gli LMH, considerando qualsiasi sottogruppo, hanno dimostrato un significativo aumento dell’area FAZ nel contesto del DVC rispetto al gruppo di controllo, rispettivamente: 0.401 mm2 (range: 0.31-0.66) nel gruppo di controllo, 0.688 mm2 (range: 0.32-1.29) in tLMH e 0.704 mm2 (range: 0.55-0.85) in dLMH (p<0.05). Valutando l’area della FAZ a livello dell’SVC non sono emerse differenze statisticamente significative tra i vari gruppi, rispettivamente: 0.410 mm2 (range: 0.34-0.44) nel gruppo di controllo; 0.360 mm2 (range: 0.11-0.57) nei tLMH (p=0.51) e 0.478 mm2 (range: 0.23-0.73) nei dLMH (p=0.50). Per quanto concerne la CST anche in questo caso non sono emerse differenze statisticamente significative

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Elias Premi, Simone Donati, Aroa Gnesutta, Maurizio Chiaravalli, Claudio Azzolini S.C. Oculistica, Asst- Sette Laghi Varese, Università dell’Insubria. Scuola di Specializzazione in Oftalmologia, Università dell’Insubria

tra tutti i gruppi, in particolare è risultata: 15.96 dB (range 13-17.75) nel gruppo di controllo, 15.12 dB (range: 12.62-16.75) nei tLMH (p=0,31), 16.8 dB (range 16.5-19) nei dLMH (p=0,33). Successivamente è stato valutato l’indice di correlazione tra dimensione della FAZ in DVC e CRS ed è emersa una moderata correlazione diretta per quanto riguarda i tLMH (r=0.6; Pearson), e una debole correlazione inversa per quanto riguarda i dLMH (r=-0.2). Conclusioni: L’aumento dell’area FAZ nel DVC non presenta una correlazione significativa con i valori di CRS. Le modificazioni vascolari osservate non sembrerebbero riflettere alterazioni funzionali a livello maculare.

Parole chiave

Foro maculare lamellare, angiografia OCT, microperimetria

Introduzione

I fori maculari lamellari (LMH) sono un gruppo di patologie retiniche caratterizzate da alterazioni a carico della retina sensoriale foveale, che possono comportare nel paziente un calo visivo progressivo associato a metamorfopsie. Gli LMH appartengono al gruppo di patologie dell’interfaccia vitreo-retinica e rimangono forse ancora oggi i più complessi e allo stesso tempo scarsamente definiti nel loro meccanismo patogenetico e fisiopatologico. Per LMH si intende una soluzione di continuo che interessa gli strati retinici più interni caratterizzata da: un contorno foveale irregolare,


Abstract

Purpose: The aim of this observational case-control study was to evaluate the relationship between retinal vascular morphology and macular function in lamellar macular holes (LMH). Methods: Seven patients affected by tractional LMH (tLMH) and five patients affected by degenerative LMH (dLMH) met the study criteria and underwent a complete ophthalmological examination, as well as optical coherence tomography angiography (OCTA) and MP1 microperimetry. Seven fellow healthy eyes were included as control cohort. OCTA studied parameters were mean foveal avascular zone area (FAZ, mm2) in the superficial (SVC) and deep vascular complex (DVC). Mean central and total retinal sensitivity were evaluated by MP1 microperimetry (CRS, dB). Results: All LMH showed a statistically significant increase of FAZ area in the DVC compared to control eyes respectively: 0.401 mm2 (range: 0.31-0.66) in control eyes, 0.688 mm2 (range: 0.32-1.29) in tLMH and 0.704 mm2 (range: 0.55-0.85) in dLMH (p<0.05). In the SVC we observed a non statistically significant increase of FAZ area: 0.410 mm2 (range: 0.34-0.44) in control eyes; 0.360 mm2 (range: 0.11-0.57) in tLMH (p=0.51) and 0.478 mm2 (range: 0.23-0.73) in dLMH (p=0.50). CRS in both tLMH and dLMH showed a non-statistically significative difference compared to control group. In particular CRS was respectively 15.96 dB (range 13-17.75) in control eyes, 15.12 dB (range: 12.62-16.75) in tLMH (p=0,31), 16.8 dB (range 16.5-19) in dLMH (p=0,33). We studied the correlation between FAZ area increase in DVC and cRS variation: dLMH showed an inverted weak correlation (r=-0.2, Pearson correlation test), and tLMH showed a direct correlation (r=0.6). Conclusion: The FAZ area increase in DVC does not match to a variation of central retinal sensitivity in both tLMH and dLMH. These morphological alterations on deep retinal vascular network may not have a predictive value on outer retinal degeneration in LMH.

Keywords

Lamellar macular hole, OCT angiography, microperimetry

difetto della fovea interna, deiscenza che si sviluppa tra la retina interna e la retina esterna, assenza di lesioni a tutto spessore. Fino ad ora la classificazione dei fori maculari più largamente condivisa è quella basata sull’analisi OCT e suggerita dall’ International Vitreomacular Study Group1. Recentemente i fori maculari lamellari sono stati distinti ulteriormente divisi in due gruppi in base a riscontri OCT: i fori lamellari degenerativi (dLMH) e fori maculari lamellari trazionali (tLMH)2. L’eterogeneità delle presentazioni cliniche e dei quadri di malattia, sommato alla bassa incidenza, rendono ad oggi difficile ottenere un consenso univoco e condiviso sulla classificazione; ancor più, a cascata, il consenso manca anche sull’indicazione all’intervento chirurgico e sul timing chirurgico1. Numerosi parametri funzionali e morfologici sono stati fino ad oggi utilizzati per determinare lo stato di progressione della malattia e l’eventuale trattamento, tra questi troviamo: acuità visiva con migliore correzione (BCVA), la sensibilità retinica centrale misurata con microperimetria (CRS), l’integrità degli strati retinici esterni, in particolare della linea ellissoide (IZ/EZ), e i diametri del foro3. L’angiografia OCT ha rappresentato una rivoluzione nella diagnostica retinica negli ultimi anni, offrendo la possibilità di valutare la morfologia della vascolarizzazione retinica in modo non invasivo, altamente ripetibile e sicuro per il paziente. La possibilità di analizzare la vascolarizzazione con una tecnica en-face garantisce inoltre di ottenere una ricostruzione esatta dei plessi vascolari a diverse profondità nello spessore retinico, permettendo quindi la differenziazione degli strati vascolari, dai più superficiali fino al plesso coroideale. In letteratura, l’angio-OCT è già stato applicato nello studio di alcune malattie di interesse chirurgico vitreo-retinico: come ad esempio nei fori maculari a tutto spessore4, nel distacco di retina regmatogeno5 e, in pochi casi, anche nei fori maculari lamellari6. Alcuni dei parametri morfologici valutati in questi studi includevano lo studio dell’area avascolare foveale (FAZ) e la densità di flusso, superficiale e profonda. Scopo del nostro studio è valutare la vascolarizzazione retinica superficiale (SVC) e profonda (DVC) in occhi affetti da LMH e negli occhi controlaterali sani, calcolando la variazione delle dimensioni della zona FAZ. Successivamente, grazie all’inVolume XII - 1/2020

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GIORNALE ITALIANO DI

VitreoRetina

Figura 1: Angio-OCT di un foro lamellare degenerativo (dLMH) a livello del plesso vascolare profondo (DVC). Si evidenzia in azzurro anche la ricostruzione dell’area avascolare foveale (FAZ).

dagine microperimetrica e alla misurazione della CRS, abbiamo cercato di identificare l’eventuale correlazione tra variazione della dimensione della FAZ e variazione della CRS.

Materiali e metodi

Tutti i pazienti inclusi nello studio sono stati valutati presso il servizio di Chirurgia Vitreo-Retinica della SC Oculistica dell’Ospedale di Circolo e Fondazione Macchi, ASST Settelaghi – Polo Universitario, Università degli Studi dell’Insubria tra il Novembre 2019 e Gennaio 2020. Tutti i pazienti arruolati nello studio presentavano diagnosi di LMH. La diagnosi di LMH è stata effettuata tramite l’esecuzione di un esame OCT con HRT Spectralis (Heidelberg Engineering , Heidelberg, Germany), valutato distintamente da due operatori (EP; AG) Tutti i pazienti sono stati sottoposti anche ad un

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esame oculistico completo. I criteri di esclusione adottati per il nostro studio sono stati: anamnesi positiva per concomitanti o pregresse malattie retiniche (degenerazione maculare senile, retinopatia diabetica, malattie vascolari retiniche ecc..), miopia con equivalente sferico superiore alle tre diottrie (lungezza assiale >25mm negli occhi pseudofachici), patologie vitreali (emovitreo, vitreopatia asteroide, sinchisi vitreale marcata), pregressa chirurgia vitreoretinica o del segmento anteriore con esclusione della chirurgia della cataratta non complicata, cataratta superiore al grado N3C38, impossibilità all’esecuzione dell’esame microperimetrico. Successivamente è stato eseguito l’esame Angio-OCT con HRT Spectralis (Heidelberg Engineering , Heidelberg, Germany), secondo un protocollo standardizzato con acquisizione di una scansione di 3 x 3 mm, valutato anche in questo caso da due distinti operatori (EP;SD). Validando


VALUTAZIONE MULTIMODALE DEL FORO MACULARE LAMELLARE CON OCT-A E MICROPERIMETRIA

Figura 2: Angio-OCT di un foro lamellare trazionale (tLMH) a livello del plesso vascolare profondo (DVC). Si evidenzia in azzurro anche la ricostruzione dell’area avascolare foveale (FAZ).

la segmentazione automatica degli strati attraverso software integrato (in caso di inadeguatezza è stata eseguita una correzione manuale), è stata successivamente calcolata l’area della FAZ nell’SVC e nel DVC (fig. 1 e fig. 2); qualora il valore dell’area calcolato discordasse nelle due misurazioni è stata considerata la media tra i due valori. L’esame microperimetrico è stato eseguito con microperimetro MP-1 (NIDEK CO., LTD) dopo midriasi farmacologica con tropicamide 1%. Una foto del fundus in infrarosso è stata utilizzata come riferimento per l’esecuzione dell’esame (successivamente sostituita con retinografia), eseguito attraverso la somministrazione di 45 stimoli luminosi, inizialmente di 10dB, di grandezza Goldmann III e applicati con strategia 4-2-2 double staircase negli 8° centrali; durante tutta la durata dell’esame è stato utilizzato il sistema di eyetracking con mira a croce rossa nei 2°centrali (fig.3 e fig.4). La media della CRS (Central Retinal Sensitivity,

CRS) è stata ottenuta dalla media aritmetica dei valori di sensibilità ottenuti nei 13 punti dei 2° centrali. La significatività statistica tra le dimensioni delle aree FAZ è stata valutata attraverso l’applicazione del test t di Student, mentre il rapporto di correlazione tra l’area delle FAZ e il CRS è stato valutato attraverso l’indice di correlazione r di Pearson. Tutti i pazienti hanno firmato un consenso informato per l’esecuzione degli esami e per il trattamento dei dati a fini scientifici.

Risultati

Sette pazienti affetti da tLMH e cinque pazienti affetti da dLMH sono stati reclutati nel nostro studio rispettando i criteri di inclusione. Di questi pazienti sette presentavano l’occhio controlaterale indenne da malattia che rispettasse i criteri di inclusione per il gruppo di controllo. In tabella 1 mostriamo il dettaglio dei dati. Volume XII - 1/2020

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VitreoRetina

L’estensione media dell’area FAZ nel SVC è risultata essere rispettivamente 0.410 mm2 (range: 0.340.44) nel gruppo di controllo, 0.360 mm2 (range: 0.11-0.57) nei tLMH e 0.478 mm2 (range: 0.230.73) nei dLMH. Per quanto riguarda l’estensione media dell’area FAZ nel DVC è risulta essere rispettivamente 0.401 mm2 (range: 0.31-0.66) nel gruppo di controllo, 0.688 mm2 (range: 0.321.29) nei tLMH e 0.704 mm2 (range: 0.55-0.85) nei dLMH (tab. 2). Per quanto concerne la CRS è risultata essere 15.96 dB (range 13-17.75) nel gruppo di controllo, (range: 12.62-16.75) nei tLMH e 16.8 dB (range 16.5-19) nei dLMH (tab. 2). Valutando l’area della FAZ nel contesto dell’SVC, non sono emerse differenze statisticamente significative tra le differenze registrate né tra i tLMH e i controlli (p=0.51), né tra i dLMH e i controlli (p=0.50). Considerando invece l’area della FAZ a livello del DVC sono emerse differenze statisticamente significative tra i gruppi studiati, in particolare tra i tLMH e i controlli (p<0.05) e tra i dLMH e i controlli (p<0.05). Analizzando le CRS registrate non sono emerse differenze statisticamente significative in tutti i gruppi, sia tra i tLMH e i controlli (p=0.31), sia tra i dLMH e i controlli (p=0.33). Studiando la correlazione tra le aree FAZ nel DVC e i valori di CRS nei diversi gruppi in studio, è emerso come vi sia una moderata correlazione di-

Paziente

Sesso

Figura 3: Microperimetria in occhio controllo

Figura 4: Microperimetria in paziente con foro maculare degenerativo (dLMH)

Età Sottrazione (D)

Occhi

Sottotipo LMH

A.C.

M

71

OD D

F.M.T

F

69

OS D

F.B.M.T.

F

76

OD T

G.C.

F

72

OS D

L.C.

F

74

OD T

S.G.

F

73

OD T

F.M.G.

F

69

OS T

A.N.

F

68

OD T

F.S.

M

71

OD D

P.M.

M

79

OS D

C.L

M

75

OD T

T.V.

F

81

OS T

Tabella 1: Dati generali del campione in studio. D= degenerativo, T= trazionale

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VALUTAZIONE MULTIMODALE DEL FORO MACULARE LAMELLARE CON OCT-A E MICROPERIMETRIA

Paziente 1C 2C 3C 4C 5C 6C 7C 1D 2D 3D 4D 5D 1T 2T 3T 4T 5T 6T 7T

Plesso Vascolare Sottrazione (D)

FAZ (mm2)

SVC

0,34

DVC

0,32

SVC

0,65

DVC

0,66

SVC

0,34

DVC

0,33

SVC

0,44

DVC

0,31

SVC

0,36

DVC

0,38

SVC

0,35

DVC

0,39

SVC

0,41

DVC

0,42

SVC

0,23

DVC

0,55

SVC

0,58

DVC

0,69

SVC

0,58

DVC

0,85

SVC

0,27

DVC

0,74

SVC

0,73

DVC

0,69

SVC

0,47

DVC

0,77

SVC

0,57

DVC

1,29

SVC

0,48

DVC

0,68

SVC

0,11

DVC

0,33

SVC

0,45

DVC

0,77

SVC

0,22

DVC

0,32

SVC

0,22

DVC

0,66

CRS (db) 16,25 17,75 16 13 15,5 16,25 17 16,5 19 16 16 16,5 15,5 16,75 16,37 15,625 15,5 12,625 13,5

Tabella 2: Risultati morfofunzionali angio-OCT e microperimetrici. c=controlli, d=degenerativi, t=trazionali; SVC: complesso vascolare superficiale, DVC: complesso vascolare profondo. Volume XII - 1/2020

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VitreoRetina

retta nel gruppo dei tLMH (r=0.6), mentre vi sia una debole correlazione inversa tra la variazione dell’area FAZ e il CRS nel gruppo dei dLMH (r=-0.2).

Discussione

Analizzando i dati ottenuti nel nostro studio pilota riguardo la FAZ, possiamo evidenziare come in entrambi i sottotipi di LMH, siano essi tLMH o dLMH, si assista ad un allargamento dell’area avascolare FAZ nel DVC, mentre ciò non è apprezzabile a livello dell’SVC. Il DVC è il complesso vascolare che è possibile evidenziare nel contesto retinico che va dallo strato plessiforme interno (IPL) fino allo strato plessiforme esterno (OPL) (fig. 1 e fig. 2); l’SVC, invece, è il complesso vascolare retinico che si estende dallo strato delle fibre nervose (NFL) fino all’ IPL. L’allargamento dell’area della FAZ nel DVC mostrata nel nostro studio corrisponde ad una iporeflettività dell’OCT strutturale a livello delle aree di separazione degli strati retinici (tLMH) o nelle cavitazioni intraretiniche (dLMH). Questo risultato è compatibile con diverse evidenze già disponibili in letteratura circa la natura delle lesioni anatomiche strutturali caratteristiche dei LMH: per quanto riguarda i tLMH, infatti, la separazione/interruzione degli strati retinici interni è maggiormente prevalente tra gli strati retinici OPL e nucleare esterno (ONL); per quanto concerne i dLMH, invece, le cavitazioni tipiche interessano maggiormente gli strati retinici compresi tra lo strato nucleare interno (INL) e lo strato OPL9. I dati riguardanti la FAZ concordano inoltre con uno studio eseguito da L. Pierro et al. nel 2019 in cui veniva evidenziata un’assenza di variazione dell’area FAZ a livello dell’SVC tra gli occhi affetti da LMH e gli occhi controlaterali sani6. Resta tuttavia di difficile comprensione se il risultato evidenziato nel nostro studio possa essere spiegato da una perdita sostanziale di vasi retinici oppure ad una loro dislocazione centrifuga. Per meglio analizzare queste due possibilità, è utile riconsiderare ancora lo studio sopracitato: è infatti interessante notare come nei fori lamellari maculari si sia osservato una variazione della densità vascolare nella peri-FAZ. Nello studio è emerso come vi sia un aumento statisticamente significativo della densità vascolare nell’SVC in tutti gli LMH rispetto ad occhi sani; tale aumento non è invece apprezzabile a livello del DVC e in nessuno degli strati se paragonato agli occhi controlaterali dei soggetti valutati. Per quanto concerne la valutazione microperimetri-

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ca, mediante l’analisi dei valori CRS, il nostro studio ha evidenziato una sostanziale conservazione della sensibilità retinica negli occhi affetti da LMH rispetto agli occhi sani del gruppo di controllo. Tale dato è discorde rispetto ad alcune esperienze presenti in letteratura, come illustrato nello studio eseguito nel 2013 da M. Parravano, et al., dove si evidenzia un peggioramento della CRS negli occhi affetti da LMH rispetto ad occhi sani indenni da malattia10. Tale differenza può essere giustificata dal fatto che nel nostro studio, a differenza di quello sopracitato dove gli occhi sani del gruppo di controllo appartenevano a pazienti selezionati per assenza di malattia oculari e di pari età, gli occhi sani del nostro gruppo di controllo erano gli occhi controlaterali dei pazienti appartenenti al gruppo dei casi. Tale nostra scelta è stata fatta per garantire la minima presenza di variabili interpersonali possibili. Un’altra spiegazione plausibile per la discordanza dei risultati tra i due studi potrebbe risiedere nel maggior numero di casi con alterazioni della linea IS/OS presenti nello studio sopracitato rispetto al nostro. Nello studio condotto da M. Parravano la percentuale di occhi con compromissione della linea IS/ OS era infatti il 38%, mentre nella nostra casistica solo il 16% presentava tali alterazioni. In altri studi precedenti è stato infatti dimostrato come una compromissione della linea IS/OS e della ELM si associ con la riduzione della CRS3,11. La riduzione della CRS in caso di alterazioni della linea IS/OS o dell’ELM può essere spiegata dal fatto che alterazioni di questo tipo implicano un diretto coinvolgimento delle strutture fotorecettoriali da parte della patologia, con conseguente alterazione della trasmissione dell’informazione visiva. Tale evidenza è rafforzata anche dalle numerose esperienze e studi in letteratura che correlano l’integrità delle strutture IS/OS e ELM ad una migliore acuità visiva post-operatoria12. In conclusione, a queste considerazioni bisogna anche aggiungere che in letteratura manca un’organizzata classificazione dei fori lamellari maculari largamente condivisa tra tutti gli autori e spesso il confronto tra le varie casistiche può risultare difficile proprio per una mancanza di corrispondenza tra tipologie di casi analizzati. Analizzando i dati di correlazione tra l’area della FAZ e la CRS, risulta interessante notare come non vi sia una forte correlazione tra l’aumento dell’area vascolare e la variazione della sensibilità retinica.


VALUTAZIONE MULTIMODALE DEL FORO MACULARE LAMELLARE CON OCT-A E MICROPERIMETRIA

Considerando il gruppo dei tLMH, infatti, notiamo come vi sia una moderata correlazione diretta tra le due variabili, mentre considerando il gruppo dei dLMH vi sia una debole correlazione inversa. Attualmente, non sono disponibili in letteratura studi precedenti per confrontare questo tipo di risultato. Dai nostri risultati ottenuti su un campione limitato, emerge quindi negli LMH un dato morfologico dell’area FAZ più evidente a discapito di una ridotta o moderata variazione del parametro funzionale della CRS. In altre patologie maculari, come i fori maculari a tutto spessore ad esempio, è stata invece evidenziata in alcuni studi una stretta e forte correlazione tra la variazione delle dimensioni della FAZ e la variazione negativa del CRS4.

Conclusioni

L’angio-OCT è un interessante strumento che può aiutare nella valutazione dello stato di malattia

in caso di LMH, in particolare nel comprendere quale sia la morfologia della vascolarizzazione foveale. Tale strumento potrebbe in futuro offrire anche informazioni utili a comprendere meglio la patogenesi degli LMH, che rimane ancora poco chiara. Sono tuttavia necessari, per comprendere meglio questo tipo di patologia, ulteriori studi con un campione più ampio e una classificazione condivisa e omogenea dei diversi sottogruppi di LMH.

Indirizzo per la corrispondenza

Dott. Elias Premi Clinica Oculistica Università dell’Insubria ASST Settelaghi, Varese elias.premi@gmail.com

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GIORNALE ITALIANO DI

VitreoRetina

OCT Biomarkers nella diagnosi e nel trattamento delle CNV: il Pitchfork Sign Riassunto

Il multimodal imaging retinico si avvale sempre più di segni clinici distintivi, denominati biomarkers, utili nell’indirizzare la diagnosi e il management delle lesioni neovascolari. Il ‘’pitchfork sign’’ (segno del forcone) rappresenta un interessante riscontro OCT, caratterizzato dalla presenza di interdigitazioni iperreflettenti che, a partenza da una CNV di tipo 2 (sottoretinica), si approfondiscono nello strato nucleare esterno e verso gli strati retinici interni con aspetto a corona (wreath-like pattern). Inizialmente associato a corioretiniti infiammatorie ma attualmente ritrovato anche in quadri clinici privi di infiammazione intraoculare, rappresenta un fattore prognostico positivo per risposta a terapia intravitreale antiVEGF, con completa risoluzione all’esame OCT e buon outcome visivo, indipendente dall’eziologia sottostante. Presentiamo l’approccio diagnostico e terapeutico di un giovane paziente maschio affetto da CNV di tipo 2 bilaterale idiopatica associata a ‘’pitchfork sign’’ e fce.

Parole chiave

Neovascolarizzazione tipo 2; neovascolarizzazione coroideale idiopatica; pitchfork sign; farmaci anti VEGF;

Introduzione

La valutazione diagnostica in pazienti affetti da neovascolarizzazioni corioretiniche si è arricchita negli ultimi anni di alcuni segni clinici

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Arianna Ravasio

Arianna Ravasio, Marco Mazzola, Laura Premoli, Cristian Metrangolo, Maurizio Chiaravalli, Simone Donati, Claudio Azzolini S.C. Oculistica, Asst- Sette Laghi Varese, Università dell’Insubria Scuola di Specializzazione in Oftalmologia, Università dell’Insubria

Abstract

Retinal multimodal imaging counts nowadays on distinctive clinical features, known as biomarkers, useful to guide neovascular lesions’ diagnoses and management. The ‘’pitchfork sign’’ represents an interesting OCT finding, well caracterised by the presence of hyperreflective spikes surrounding the type 2 neovascular membrane that originated from the ellipsoid zone and extended into the outer nuclear layer in a wreath-like pattern. Originally described in association with inflammatory chorioretinitis, it may occur in eyes with different underlying etiologies and without signs of intraocular inflammation. It’s a positive prognostic factor because it resolves with intravitreal AntiVEGF injection with good visual outcome, despite the underlying etiology. Our purpose is to describe the diagnostic and therapeutic approach to a young male patients affected by bilateral idiopathic type 2 CNV associated with the ‘’ pitchfork sign’’ and fce.

Keywords

Chororidal Neovascularization type 2; Idiopathic choroidal neovascularization; pitchfork sign; anti VEGf drugs

all’esame OCT che sono stati definiti come biomarkers. Un nuovo e peculiare reperto riscontrato all’esame OCT è stato descritto in diverse pubblicazioni internazionali in associazione a CNV di tipo 2. Si caratterizza per la presenza di una lesione iperreflettente a partenza dalla zona ellissoide, che si prolunga tramite diverse interdigitazioni


iperreflettenti attraverso lo strato nucleare esterno e verso gli strati retinici interni (figura 1). Per il suo aspetto distintivo all’imaging tomografico, è stato definito come “pitchfork sign” (segno del forcone). Descritto per la prima volta nel 2013 da Hoang e al.1, si pensava fosse un segno clinico specifico delle CNV di tipo infiammatorio, conseguenti a PIC/MFC, e utile pertanto nel distinguerle dalle CNV da altra eziologia, particolare dalle CNV idiopatiche. L’esame OCT si è dimostrato uno strumento quantitativo e oggettivo per monitorare cambiamenti a livello delle strutture retiniche esterne associati allo sviluppo di CNV in PIC/MFC1-2. A livello istopatologico e ultrastrutturale, Olsen3 et al ha dimostrato che le CNV associate a PIC sono classificate come neovascolarizzazioni di tipo 2 e presentano cinque stadi di evoluzione: dall’iniziale reazione infiammatoria in corio capillare ed EPR risultante in un danno focale alla membrana di Bruch (Stadio 1) che permette la crescita di piccoli foci neovascolari attraverso la membrana di Bruch verso lo spazio sottoretinico (Stadio 2), i quali successivamente si uniscono a formare una singola e più grande CNV sottoretinica (Stadio 3), segue la fase di contrazione della lesione neovascolare (Stadio 4) e infine la fase cicatriziale (Stadio 5). Tale neovascolarizzazione di tipo 2

Figura 1: OCT macula strutturale B Scan OS: area iperreflettente e disomogenea che interessa la retina esterna con prolungamenti iperreflettenti all’interno dello strato nucleare esterno e verso gli strati retinici interni; presenza di sollevamento del neuro epitelio in quadro di CNV di tipo 2 associato a PIC/MFC descritto come descritto da Hoang.

presenta un reperto caratteristico all’OCT di lesione iperreflettente lineare al di sopra della banda dell’epitelio pigmentato retinico. In lavori più recenti, tuttavia, il “pitchfork sign” è stato riscontrato anche in CNV secondarie a diverse eziologie: uveiti infettive come in caso di tubercolosi, sifilide, west nile virus e toxoplasmosi, POHS o di uveiti non infettive come in caso di sarcoidosi e VKH, o di altre patologie come la distrofia di Best, l’osteoma coroideale, il linfoma oculare, la pachicoroide, la maculopatia laser-indotta oppure le stesse CNV idiopatiche4-9. Falavariani, Sarraf2 et al. riportano che il ‘’pitchfork sign’’ può presentarsi in pazienti senza segni di infiammazione intraoculare. Nello stesso lavoro, viene descritto l’aspetto di queste neovascolarizzazioni con analisi En face OCT e angio OCT. La lesione osservata con delle scansioni dedicate mostra un pattern caratteristico per la presenza di interdigitazioni simili a una corona con prolungamenti iperreflettenti intorno alla CNV di tipo 2 che si originano dalla zona ellissoide ed si estendono allo strato nucleare esterno. Tale aspetto viene definito a corona appuntita (spiked-wreath sign). I prolungamenti così descritti non mostrano un segnale vascolare all’esame angio OCT. Gli strati retinici interni appaiono inspessiti, in particolare ONL e OPL, nelle aree corrispondenti agli spikes e associati alla presenza di liquido sotto retinico. Gli autori sopracitati si pongono l’interrogativo sull’origine di tale segno. Hoang e colleghi1 lo rimandano ad un accumulo di fibrina nell’ambito di una lesione infiammatoria (non segni di flusso vascolare). Sarraf e colleghi2 invece lo attribuiscono ad una distorsione degli strati retinici interni da parte della lesione neovascolare. In alternativa si attribuisce un ruolo alle cellule di Muller che in questo caso risultano attivate e quindi appaiono più evidenti ipereflettenti all’esame OCT (cosi come in altre patologie retiniche già descritte). Allo stesso tempo riveste un’importanza fondamentale eseguire un work-up sistemico per vagliare tutte le diagnosi differenziali prima citate, tramite esecuzione di esami ematici sierologici e di autoimmunità, imaging polmonare ed eventuali indagini genetiche se in presenVolume XII - 1/2020

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GIORNALE ITALIANO DI

VitreoRetina

za di quadro clinico suggestivo. A completamento diagnostico, non si può prescindere dall’esecuzione della fluorangiografia retinica, dell’angiografia con verde indo cianina e dell’angioOCT per evidenziare l’eventuale presenza di quadri di retinite, vasculite, coroidite e lesioni neovascolari10. Per quanto riguarda l’approccio terapeutico, in presenza di CNV attiva, l’iniezione intravitreale di antiVEGF porta a un miglioramento del quadro tomografico, con scomparsa del ‘’pitchfork sign’’, e funzionale in tutti i casi, indipendentemente dall’eziologia sottostante ma in misura maggiore quanto più precoce è il trattamento. Falavariani, Sarraf2 et al. mostrano tramite imaging OCT en face la risoluzione dei prolungamenti iperreflettenti caratteristici del ’’pitchfork sign’’ e la trasformazione della morfologia della lesione neovascolare ad un aspetto simile al tipo 1. In considerazione dell’associazione frequente con stati infiammatori oculari o sistemici, è stata avanzata l’ipotesi di un supporto terapeutico coadiuvante tramite l’impiego di corticosteroidi e/o immunosoppressori, sistemici10. Illustriamo qui di seguito un caso clinico da noi approcciato da un punto di vita diagnostico e terapeutico, nel quale la valutazione OCT ha mostrato interessanti esempi di biomarkers tra cui il ‘’pitchfork sign’’, che ha indirizzato il percorso di cura.

Caso clinico

Paziente caucasico maschio di 27 anni, riferisce calo visivo in OD e dopo 2 giorni in OS, per cui si presenta in pronto soccorso. Nega fotopsie o fotofobia, riferisce scotoma paracentrale bilaterale e metamorfopsie. Gode di buona salute generale e nega sintomi similinfluenzali, disturbi respiratori o gastrointestinali, lesioni cutanee o artralgie. L’obiettività oculare mostra AV OD 0.1 naturale non migliorabile e OS 0.2 naturale non migliorabile. Presenta segmento anteriore nella norma e bulbi in quiete, normotono, riflessi pupillari e movimenti oculari nella norma. All’esame del fundus oculi, si riscontra vitreo limpido, distrofia maculare OD>OS con sollevamento del neuroepitelio perilesionale, papilla ottica e albero vascolare

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Figura 2: Immagine IR di OD e OS: alterazione dell’epitelio pigmentato retinico bilaterale in regione maculare; in OS lesione rotondeggiante con piccole estroflessioni a raggiera e bolla di sollevamento del neuro epitelio perilesionale.

nella norma, assenza di emorragie o lesioni retiniche periferiche (figura 2). L’esame OCT mostra una lesione iperreflettente a partenza dall’epitelio pigmentato retinico in OD coinvolgente la fovea (figura 3) mentre in OS in sede parafoveale, e presenza di sollevamento del neuroepitelio perilesionale. In OS si riscontra un distintivo aspetto tomografico per la presenza di diverse interdigitazioni iperreflettenti che a partenza dall’epitelio pigmentato retinico si prolungano attraverso lo strato nucleare esterno e verso gli strati retinici interni, il cosiddetto “pitchfork sign” (figura 4). Bilateralmente è presente al di sotto della lesione iperreflettente una focale depressione coroideale e un ispessimento della coroide (500-600 micron). L’imaging fluorangiografico (figura 5) e ICGA (figura 6) confermano la presenza di una CNV di tipo 2 attiva bilateralmente con leakage tardivo e l’assenza di lesioni corio retiniche infiammatorie attive o pregresse. L’esame con angioOCT mostra la presenza di un network neovascolare bilaterale (figura 7). Per escludere una CNV secondaria a patologie infettive e infiammatorie, vengono eseguiti esami ematici comprensivi di emocromo, VES, PCR, sierologia per tubercolosi, lue, virus e parassiti, autoanticorpi e imaging polmonare. In attesa dei risultati di laboratorio, data la presenza di CNV bilaterale attiva, il paziente viene sottoposto a ciclo di iniezione intravitreale bilaterale di Ranibizumab. A 3 mesi, presenta AVOD 0.2 e OS 1.0. La disparità del


OCT BIOMARKERS NELLA DIAGNOSI E NEL TRATTAMENTO DELLE CNV: IL PITCHFORK SIGN

Figura 3: OCT macula strutturale B Scan OD: lesione iperreflettente subfoveale omogenea, minimo sollevamento del neuroepitelio, spessore coroideale aumentato; in posizione parafoveale superiore distacco dell’epitelio pigmentato retinico sovrastante un’area di depressione coroideale (freccia gialla).

Figura 4: OCT macula strutturale B Scan OS: lesione iperreflettente disomogenea parafoveale superiore da cui partono prolungamenti digitiformi iperreflettenti diretti verso lo strato nucleare esterni e gli strati retinici interni (‘’pitchfork sign’’ – freccia bianca), sollevamento del neuro epitelio con coinvolgimento foveale, ispessimento coroideale e al di sotto della lesione iperreflettente è visibile un’area di depressione coroideale (freccia gialla).

Figura 5: esame fluorangiografico: lesione parafoveale superiore con iperfluorescenza in aumento nei tempi tardivi in CNV di tipo 2 attiva bilateralmente, non sono presenti segni di retinite e vasculite.

recupero funzionale va ricercata nel periodo intercorso tra comparsa di lesione attiva e trattamento intravitreale, in quanto la CNV in OD è sicuramente di vecchia data con presenza di materiale fibrotico iperreflettente subfoveale (figura 8), mentre la lesione in OS è di recente insorgenza, parafoveale e coinvolgente la fovea solo per la presenza del ‘’pitchfork sign’’

e del sollevamento del neuro epitelio, entrambi risolti dopo ciclo intravitreali di antiVEGF (figura 9). Nel frattempo, sono disponibili gli esiti degli esami eseguiti che risultano negativi sia per patologie infettive che infiammatorie, salvo per una positività per ANA 1, aspecifica e senza correlato clinico. La diagnosi certa della patologia che ha interessato la regione maculare non è stata però completamente chiarita, per la bilateralità della lesione e la presenza di numerose alterazioni morfologiche in ICG ed OCT che secondo letteratura aprono comunque molte strade diverse. Si è deciso perciò, vista la compromissione visiva, di trattarla come una CNV di tipo 2 idiopatica, associata al particolare biomarker OCT del ‘’pitchfork sign’’ e a sospetta FCE (focal choroidal excavation). Dal momento che il paziente non ha mai presentato segni di infiammazione intraoculare o sistemica, non è stata presa in considerazione una terapia corticosteroidea o immunosoppressiva di supporto Volume XII - 1/2020

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GIORNALE ITALIANO DI

VitreoRetina

6a

6b

6c

Figura 6: esame ICGA mostra al polo posteriore (6A) in OD piccola lesione maculare ipercianescente circondata da lieve alone ipocianescente e in OS lesione maculare ipocianescente circondata da ampio anello isocianescente in corrispondenza del sollevamento del neuroepitelio evidenziato all’OCT. Non sono presenti focolai di coroidite (6B-C).

Figura 7: esame angioOCT: network neovascolare bilaterale, meglio definito in OS rispetto a OD, a documentare un’origine più recente della lesione. In OS l’esame OCT en face mostra il caratteristico aspetto stellato – a corona della lesione (wreath sign).

Figura 8: OCT macula strutturale B Scan OD dopo trattamento antiVEGF: regressione della lesione iper reflettente subfoveale, minima riduzione del sollevamento del neuro epitelio, invariati distacco dell’epitelio pigmentato retinico ed escavazione coroideale focale.

Figura 9: OCT macula strutturale B Scan OS dopo trattamento antiVEGF: completa risoluzione del sollevamento del neuro epitelio, minimi difetti residuano a livello della giunzione IS-OS parafoveale, peristenza di piccolo distacco dell’epitelio pigmentato retinico sovrastante minima area di escavazione coroideale focale.

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OCT BIOMARKERS NELLA DIAGNOSI E NEL TRATTAMENTO DELLE CNV: IL PITCHFORK SIGN

e, sebbene la positiva risposta al trattamento antiVEGF, il paziente rimane sotto stretto follow-up in quanto la prognosi non è al momento nota.

Conclusioni

Il caso clinico descritto mostra l’aspetto multiforme e caratteristico di questa lesione neovascolare. Il segno clinico descritto, presente in OCT strutturale B scan è oggetto di dibattito se possa essere realmente un indicatore di patologia neovascolare infiammatoria o sia invece legato alla morfologia delle CNV tipo 2 e alle alterazioni della morfologia della retina interna che esse provocano. Questo caso clinico mostra nel dettaglio la presentazione clinica e il decorso della patologia neovascolare dopo trattamento anti VEGF. Il segno clinico descritto sembra essere un fattore prognostico positivo relativo alla risposta della CNV al trattamento con antiVEGF, già noto per i neovasi di tipo 2 nella DMLE. L’origine della neovascolarizzazione se idiopatica o infiammatoria in questo paziente

resta dubbia, poiché i segni patognomonici, noti come ‘’evanescenti’’ in molte forme di corio retinopatie (MEWDS), non si sono resi visibili durante il follow up seppur con esami diagnostici molto approfonditi. Concludiamo segnalando l’importanza della conoscenza e dell’identificazione dei biomarkers retino-coroideali con OCT o imaging multimodale retinico. Tali segni si pongono come elementi fondamentali nella diagnostica di un retinologo esperto, per fornire utili informazioni di carattere prognostico e terapeutico al paziente e ai colleghi.

Indirizzo per la corrispondenza

Dott. ssa Arianna Ravasio Clinica Oculistica Università dell’Insubria ASST Settelaghi, Varese ariannaravasio1@gmail.com

Bibliografia 1. The “pitchfork sign” a distinctive optical coherence tomography finding in inflammatory choroidal neovascularization. Hoang QV, Cunningham ET Jr, Sorenson JA, Freund KB. Retina. 2013 May;33(5):1049-55. 2. En Face OCT of Type 2 Neovascularization:A Reappraisal of the Pitchfork Sign. Falavarjani KG, Au A, Anvari P, Molaei S, Ghasemizadeh S, Verma A, Tsui I, Sadda S, Sarraf D. Ophthalmic Surg Lasers Imaging Retina. 2019 Nov 1;50(11):719-725. 3. Subfoveal choroidal neovascularization in punctate inner choroidopathy. Surgical management and pathologic findings. Olsen TW, Capone A, Sternberg P, et al. Ophthalmology 1996;103:2061–2069. 4. The Pitchfork Sign: A Novel OCT Feature of Choroidal Neovascularization in Tuberculosis. Ramtohul P, Comet A, Denis D. Ophthalmol Retina. 2019 Jul;3(7):615 5. The ‘pitchfork sign’ on optical coherence tomography in a case of acute syphilitic posterior placoid chorioretinitis. Christakopoulos C, Munch IC. Acta Ophthalmol. 2019 Sep;97(6):e942-e943. 6. The ‘pitchfork sign’ a distinctive optical coherence

tomography finding in inflammatory choroidal neovascularization. de Mello PC, Berensztejn P, Brasil OF. Retina. 2015 Mar;35(3):e23-4. 7. Focal choroidal excavation and pitchfork sign in choroidal neovascularisation associated with choroidal osteoma. Rajabian F, Arrigo A, Grazioli A, Sperti A, Bandello F, Battaglia Parodi M. Eur J Ophthalmol. 2019 Dec 9:1120672119892802. 8. Focal choroidal excavation and its association with pachychoroid spectrum disorders: A Review of the Literature and Multimodal Imaging Findings. Chung H, Byeon SH, Freund KB. Retina. 2017 Feb;37(2):199-221. 9. Focal choroidal excavation complicated with choroidal neovascularization in young and middle aged patients. Tang WY, Zhang T, Shu QM, Jiang CH, Chang Q, Zhuang H, Xu GZ. Int J Ophthalmol. 2019 Jun 18;12(6):980-984. 10. An update on inflammatory choroidal neovascularization: epidemiology, multimodal imaging, and management. A. Agarwal, A. Invernizzi al. Journal of Ophthalmic Inflammation and Infection (2018) 8:13

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GIORNALE ITALIANO DI

VitreoRetina

Francesco Pellegrini

Nostra esperienza nell’utilizzo della pneumoretinopessia per il distacco di retina regmatogeno Riassunto

Scopo dello studio: Valutare i risultati clinici dell’intervento di pneumoretinopessia come opzione chirurgica per il distacco di retina regmatogeno in due diversi centri ospedalieri. Pazienti e Metodi: studio clinico retrospettivo eseguito presso l’UOC Oculistica, AUSL Pescara e presso l’UOC Oculistica, AULSS2 Marca Trevigiana di Conegliano, considerando un periodo di undici anni (2008-2018). L’intervento standard prevede una crioterapia e/o laser retinico della rottura retinica, paracentesi della camera anteriore seguita da iniezione intravitreale di 0.5 ml di SF6 puro e posizionamento postoperatorio. Le visite di follow up sono state programmate a 1,2 e 3 giorni postoperatori, 1 settimana e 1,3,6 e 12 mesi dopo l’intervento. Risultati: Sono stati individuati 84 casi di pneumoretinopessia. Nel periodo studiato, nei due centri dove è stata svolta l’attività chirurgica, c’è stato solo un minimo aumento del trend nell’utilizzo della PnR mentre il numero di RD trattati con chirurgia episclerale (SB) è sceso a favore della vitrectomia via pars plana (PPV). Nel solo 2018 la PnR è stata applicata nel 6.9% dei casi di RD; considerando tutto il periodo la PnR è stata utilizzata nel 6.5% dei casi. Tutte le rotture erano localizzate superiormente e il RD coinvolgeva in media circa 2.91 ore di retina. La macula era staccata nel 9.5% dei casi. La criopessia/laser è stata sempre eseguita così come la paracentesi. La PnR come singola procedura ha avuto successo nell’ 84.5% dei casi. La retina è risultata adesa in media ad 1.47 giorni postoperatori, mentre la recidiva è avvenuta in media a circa 55 giorni (1.81 mesi) dopo l’intervento. L’acuità vi-

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Michele Marullo, MD1, Francesco Pellegrini, MD1, Flavio Foltran, MD2, Giovanni Prosdocimo, MD2, Gianluca Lapi, MD1 1 UOC Oculistica, AUSL Pescara, Pescara (PE) 2 UOC Oculistica, AULSS2 Marca Trevigiana, Conegliano (TV)

siva meglio corretta (BCVA) misurata in decimi è migliorata dai 0.44 (20/50) (±0.16) del preoperatorio ai 0.92 (20/25) (±0.03) nel postoperatorio. Le complicanze sono rappresentate principalmente dal fallimento (ovvero mancata adesione retinica) (15.5%) dei casi, e dalle nuove rotture (6%); tuttavia se si esclude il fallimento come complicanza, il tasso di queste scende dal 27% al 12%. Il tasso di fallimento ha correlato positivamente con lo stato di pseudofachia del bulbo. Conclusioni: considerati i molti vantaggi della procedura, gli Autori ritengono che la PnR debba essere considerata una valida alternativa alla vitrectomia e alla chirurgia episclerale in casi selezionati di distacco di retina.

Parole chiave

Pneumoretinopessia, distacco di retina regmatogeno.

Introduzione

Il termine pneumoretinopessia (PnR) venne introdotto nel 1985 ad un Congresso dell’American Academy of Ophthalmology1 e consiste nell’iniezione trans congiuntivale di gas nella cavità vitreale associata a trattamento laser / crioterapia della rottura retinica e posizionamento postoperatorio del paziente. Il razionale di tale trattamento risiede nella possibilità di far tornare la retina ad uno stadio pre-distacco in quanto la forza di galleggiamento del gas è capace di provocare l’adesione retinica e il riassorbimento del liquido sottoretinico (attraverso il tamponamento della rottura). Il trattamento laser e/o la crioterapia sono invece in grado di


Abstract

Aim: the aim of this study is to retrospectively analyze surgical results of pneumatic retinopexy (PnR), a surgical option for the repair of rhegmatogenous retinal detachment (RD). Patients and methods: retrospective clinical study evaluating surgical efficacy of PnR performed by four different vitreoretinal surgeons in two Hospitals (Conegliano and Pescara) during a period of eleven years (2008-2018). Standard procedures consisted of cryopexy and/or retinal laser treatment of the retinal break(s), paracentesis of the anterior chamber followed by transconjunctival pars plana injection of 0.5 ml undiluted SF6 and postoperative positioning. Follow up visits were scheduled at 1, 2, 3 days, 1 week, and 1,3, 6 and 12 months post surgery. Results: in an eleven years period (2008-2018) analysis, eighty-four patients with rhegmatogenous retinal detachment were treated. There was only a minimal increasing trend for PnR while the number of RDs treated by means of SBs constantly decreased, in favour of PPV. In 2018 we used PnR in 6.9% of RDs cases, while we used PnR as the primary choice for the repair of RDs in 6.5 % of eyes. All breaks were localized superiorly to the equator and detachment involved 2.91 hours of retina. The macula was detached in 9.5 % of cases. Cryopexy/Laser and paracentesis were always performed. The single procedure success was 84.5%. The retina was reattached on average at 1.47 day postoperatively, and when it re-detached, it did so at 1.82 month after surgery (55 days). Best corrected visual acuity (BCVA) measured in decimal improved from 0.44 (20/50) (±0.16) preoperatively to 0.9 postoperatively (20/25) (±0.03). Complications were represented mainly by failure (15.5%) and new tears (6%), but excluding failure after surgery, the complication rate drops from 27 % to 12%. Failure rate positively correlated with the pseudophakic status of the eye. Conclusion: given the many advantages of this procedure, pneumatic retinopexy should be considered as a valuable alternative to vitrectomy and scleral buckle for the treatment of selected cases of retinal detachment.

Keywords

Pneumatic retinopexy, rhegmatogenous retinal detachment.

provocare una retinopessia della retina distaccata (attorno alla rottura) alla coroide sottostante. Per tutta una serie di ragioni la PnR non è così ampiamente utilizzata come il SB o la PPV. Tra le motivazioni principali si possono ricordare: ● Minore esperienza dei chirurghi con la PnR rispetto allo SB ma soprattutto alla PPV ● Necessità di un paziente collaborante e cosciente del proprio ruolo nella gestione del postoperatorio ● Relativa selettività dei casi (es.: esclusione di rotture multiple, distacchi inferiori etc..) ● Volontà da parte del chirurgo vitreoretinico di verificare il riaccollamento retinico a fine intervento (SB e PPV) ● Minore percentuale di successo della PnR rispetto a SB o PPV Gli Autori hanno analizzato in maniera retrospettiva i dati riguardanti i pazienti sottoposti a PnR in due diversi reparti di Oculistica (Conegliano e Pescara) in un periodo di 11 anni (2008-2018).

Materiali e metodi

Gli Autori hanno analizzato in maniera retrospettiva i dati riguardanti i pazienti sottoposti a PnR in due diversi reparti di Oculistica (Conegliano e Pescara) in un periodo di 11 anni (2008-2018). Quattro diversi chirurghi vitreo retinici hanno operato la totalità dei casi, mentre la valutazione preoperatoria e i controlli postoperatori sono stati eseguiti anche da altri colleghi. Dopo firma del consenso informato per distacco di retina, la procedura standard, (eseguita in sala operatoria in anestesia locale o sottotenoniana) in entrambi i centri (Figura 1) consisteva di: preparazione sterile con iodopovidone 5%, criopessia della rottura e paracentesi della camera anteriore con svuotamento della stessa, seguita da iniezione intravitreale di 0.5 ml di SF6 puro con ago 30 G (4 mm dal limbus infero temporale, via pars plana). Dopo l’iniezione veniva valutata la perfusione retinica mediante oftalmoscopia indiretta e, se necessario, veniva nuovamente svuotata la camera anteriore. Successivamente all’intervento, al paziente veniva richiesto di posizionarsi in maniera tale da permettere alla bolla di gas di tamponare la rottura, ma per due ore tutti i pazienti mantenevano la posizione prona indipendentemente dallo stato della macula (On o Off). Tutti i pazienti venivano visitati lo stesso giorno dell’intervento (la Volume XII - 1/2020

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A

B

D

E

C

Figura 1: Procedura standard di una pneumoretinopessia. Dall’alto verso il basso. A-Crioterapia sulla rottura (in alternativa può essere eseguita una fotocoagulazione laser retinica nel postoperatorio). B-Paracentesi della camera anteriore: prima di iniettare il gas è necessario eseguire una paracentesi della camera anteriore cercando di far uscire quanto più umor acqueo possibile al fine di evitare un eccessivo aumento pressorio intraoculare. C-Marcatura dell’area di iniezione infero temporale: 4 mm nei pazienti fachici, 3.5 mm negli pseudofachici. D-Iniezione di gas in camera vitrea: è preferibile iniettare gas in una unica bolla per ridurre la possibilità di passaggio di gas nello spazio sottoretinico. E-Se necessario, eseguire una ulteriore decompressione della camera anteriore nel caso di non perfusione retinica

sera), il giorno dopo, due e tre giorni dopo e successivamente ad una settimana, 1,3,6 e 12 mesi postoperatori. La visita consisteva di valutazione del visus, segmento anteriore, tonometria e retinoscopia in midriasi. Se ritenuto necessario, veniva eseguito anche OCT maculare. I dati sono stati raccolti retrospettivamente con un follow up post intervento di 12 mesi ed analizzati statisticamente.

Risultati

Abbiamo identificato 84 casi di RD regmatogeno trattati con PnR su un totale di 1291 casi (6.5%). Tutti i casi di PnR sono stati effettuati entro 2 giorni dalla diagnosi di distacco di retina. La tabella 1 mostra i dati demografici dei pazienti: l’età media era di circa 60 anni e il sesso era quasi egualmente distribuito tra maschi e femmine. Come si evince dalla Tabella 2, circa il 90% dei casi trattati con PnR risultava fachico/a. In nessun caso è stato riscontrato un distacco bilaterale e la PnR è stata utilizzata come procedura primaria, ovvero non è stato eseguito alcun “rebubbling” secondario o di casi operati altrimenti (SB o PPV) In

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generale si può dire che la PnR è stata utilizzata nel 6.5% del totale dei RD. Tutte le rotture erano superiori e il RD coinvolgeva mediamente 2.91 ore di retina. La macula risultava staccata (macula off) in meno del 10% dei casi. Nel gruppo della PnR non è stato riscontrato alcun caso di rottura retinica gigante, e il numero di rotture era quasi sempre una. Solo raramente si è riscontrata più di una rottura e sempre adiacenti tra loro. Le degenerazioni retiniche periferiche (es. deg. a lattice) erano presenti in 4 casi (4.8%), mentre solo in un caso era presente dell’emovitreo, tuttavia lieve e da non compromettere la visualizzazione e il trattamento della periferia retinica. La fotocoagulazione laser retinica sulla rottura è stata eseguita in 11 casi (13%) e come procedura ulteriore rispetto alla crioterapia, a giudizio del chirurgo che seguiva il caso nel postoperatorio. Inoltre la fotocoagulazione laser delle alterazioni retiniche nel preoperatorio e nel postoperatorio su retina adesa è stata eseguita ognuna nel 4.8% dei casi trattati (Tabella 3). La fotocoagulazione laser retinica su retina adesa prima dell’intervento è stata eseguita


NOSTRA ESPERIENZA NELL’UTILIZZO DELLA PNEUMORETINOPESSIA PER IL DISTACCO DI RETINA REGMATOGENO

2015

2016

2017

2018

avg 20082018

tot 20082018

7

9

8

7

9

7,5

84

65,78

60,12

66,25

61,98

58,55

62,02

60,48

3

6

3

5

4

4

3

40

5

3

4

4

4

3

6

44

Sottrazione (D) 2012 2013 2014

2008

2009

2010

2011

5

7

6

9

8

9

55,2

57,4

60,1

54,32

63,57

male

3

2

3

4

female

2

5

3

5

n age (average)

Tabella 1: Caratteristiche demografiche dei pazienti sottoposti a PnR

avg tot. 2008 2009 2010 2011 2012 2013 2014 2015 2016 2017 2018 2008- 20082018 2018 N

%

5

7

6

9

8

9

7

9

8

7

9

na

84

100%

0.7

0.7

0.2

0.3

0.8

0.7

0.7

0.2

0.2

0.1

0.2

0.44

na

na

N phakic

4

5

5

7

8

8

6

9

7

7

9

na

75

89,3%

macula off

1

0

1

1

0

0

0

1

1

1

2

na

8

9,5%

hours of RD

2

2

2

3

3

3

2

4

3

4

4

2,91

na

na

N tears

1

1

1

1,11

1

1

1

1,22

1

1

1

1,03

na

na

h tears > 2

0

0

0

0

0

0

0

0

0

0

0

0

na

na

peripheral retinal degeneration

0

1

0

0

0

0

1

0

1

1

0

na

4

4,7%

glaucoma

0

0

0

1

0

0

0

0

1

0

0

na

2

2,4%

traumatic RD

0

1

0

0

0

1

0

0

0

0

0

na

2

2,4%

cornea opacity

0

0

0

0

0

0

0

0

0

0

1

na

1

1,2%

vitreous hemorrhage

0

0

0

0

1

0

0

0

0

0

0

na

1

1,2%

laser before on attached retina

0

1

0

0

0

0

1

0

1

1

0

na

4

4,8%

mean BCVA preop

Tabella 2: Caratteristiche cliniche degli occhi sottoposti a PnR

in 4 casi (4,8%) come procedura aggiuntiva al fine di consolidare l’adesione inferiore in maniera da evitare un sollevamento retinico nel caso in cui avvenisse una nuova rottura inferiore nel postoperatorio. Il trattamento laser postoperatorio su retina adesa è stato considerato come parametro indipendente, in quanto si riferisce a periferia retinica non coinvolta dal distacco e trattata a discrezione del medico (ad esempio in caso di dubbio

assottigliamento retinico). Inoltre è stato eseguito il barrage laser nell’8.3% dei casi (nuove rotture retiniche), dopo la procedura chirurgica, nello stesso giorno in cui venia osservata (trattamento in urgenza eseguita durante la visita stessa). Il tasso di successo nel periodo di follow up (12 mesi) è stato dell’84.5% dei casi (Tabella 4), riscontrando una adesione retinica a circa un giorno e mezzo postoperatori. Al contrario una recidiva di distacVolume XII - 1/2020

- 25


GIORNALE ITALIANO DI

VitreoRetina

avg tot. 2008 2009 2010 2011 2012 2013 2014 2015 2016 2017 2018 2008- 20082018 2018

%

n

5

7

6

9

8

9

7

9

8

7

9

7,63

84

100%

cryo

5

7

6

9

8

9

7

9

8

7

9

7,63

84

100%

laser after PnR on attach retina

0

1

0

0

0

1

1

0

0

0

1

0,36

4

4,8%

laser after PnR on new retinal tear

0

1

0

1

1

1

0

1

1

0

1

0,63

7

8,3%

laser after PnR on retinal tear

0

1

2

0

0

1

1

2

1

1

2

1,00

11,0 13,1%

sos (single operation success)

4

6

5

8

7

8

5

8

6

5

9

6,45

71,0 84,5%

failure (day of follow up)

60

30

60

50

70

71

60

85

42

46

29

54,86

na

na

retina attached at day postop

1,20

1,43

0,83

1,00

1,13

1,01

1,86

1,44

2,13

2,30

1,84

1,47

na

na

Tabella 3: Trattamenti laser e crio: pre, intra e postoperatori

avg tot. 2008 2009 2010 2011 2012 2013 2014 2015 2016 2017 2018 2008- 20082018 2018 n

%

5

7

6

9

8

9

7

9

8

7

9

7,63

84

100%

Mean BCVA postop

1,0

1,0

0,9

0,9

0,9

1,0

0,9

0,8

0,9

0,9

0,9

0,92

na

na

sos (single operation success)

4

6

5

8

7

8

5

8

6

5

9

6,45

71

84,5%

failure at day?

60

30

60

50

70

71

60

85

42

46

29

54,86

na

na

1,20

1,43

0,83

1,00

1,13

1,01

1,86

1,44

2,13

2,30

1,84

1,47

na

na

retina attached (day of follow-up)

Tabella 4: Risultati del trattamento mediante PnR

co è stata riscontrata quasi dopo due mesi in media (54.86 giorni). La BCVA è passata da 0.44 (20/25) del preoperatorio a 0.92 (20/25) del postoperatorio. Apparentemente c’è stata una percentuale elevata di complicanze (Tabella 5) rappresentate principalmente da fallimento (15.5%) e nuove rotture (6%). Se tuttavia si esclude il fallimento primario (che correla positivamente con lo stato di pseudofachia), la percentuale scende a poco più del 10% dei casi.

26 -

Volume XII - 1/2020

Discussione

Dalla sua introduzione nel 1985 da parte di Hilton e Grizzard negli USA, la PnR ha guadagnato consensi come alternativa valida allo SB per casi selezionati di RD3. Tuttavia non è comunemente eseguita come lo SB o la PPV, specialmente tra i chirurghi più giovani. Gli stessi Autori hanno utilizzato la PnR solo in una percentuale minore di casi, sebbene il trend sia in leggero aumento.


NOSTRA ESPERIENZA NELL’UTILIZZO DELLA PNEUMORETINOPESSIA PER IL DISTACCO DI RETINA REGMATOGENO

tot. 2008 2009 2010 2011 2012 2013 2014 2015 2016 2017 2018 20082018

%

n pnr

5

7

6

9

8

9

7

9

8

7

9

84

primary failure

1

2

1

3

0

1

1

1

1

2

0

13

15,5%

cataract

0

0

0

0

0

0

1

0

0

0

1

2

2,4%

vitreous hem/PVR

0

0

0

0

0

0

0

0

0

0

0

0

0,0%

new tears

0

1

0

0

1

1

0

1

0

0

1

5

6,0%

macular pucker

0

0

0

0

0

0

0

1

0

0

0

1

1,2%

subretinal gas

0

0

0

0

0

0

1

0

0

0

0

1

1,2%

AC gas

0

0

0

0

0

0

0

0

0

0

1

1

1,2%

CRA occlusion/AION

0

0

0

0

0

0

0

0

0

0

0

0

0,00%

displaced macular fluid

0

0

0

0

0

0

0

0

0

0

0

0

0,00%

endophthalmitis/CME

0

0

0

0

0

0

0

0

0

0

0

0

0,00%

total complications

23

27%

when primary failure is excluded

10

11,9%

Tabella 5:

120

100

80 n pnr 60

n sb n ppv for RD

40

20

0

08

20

09

20

10

20

11

20

12

20

13

20

14

20

15

20

16

20

17

20

18

20

Grafico 1: Trend nell’utilizzo della PnR rispetto alla PPV e al SB per RD (Conegliano, Pescara) Volume XII - 1/2020

- 27


GIORNALE ITALIANO DI

VitreoRetina

Sebbene Brinton e Hilton avessero stimato nel 40% il numero di RD potenzialmente trattabili con PnR4, la nostra esperienza dimostra che la PnR che viene utilizzata molto meno frequentemente. Il Grafico 1 mostra infatti come nel periodo considerato vi sia stato un trend a favore della PPV rispetto al SB per il trattamento chirurgico del RD. In contrasto, la PnR è solo di poco aumentata negli anni. Una delle ragioni principali potrebbe essere di tipo psicologico in quanto il paziente affetto da distacco potrebbe considerare la mancata adesione retinica come un errore medico considerato anche che vi sono procedure chirurgiche (in particolare la PPV) con un tasso di successo anatomico maggiore. Il chirurgo vitreoretinico, inoltre, si sente più sicuro e soddisfatto nel verificare una retina a piano a fine intervento (PPV o SB) piuttosto che immaginare come sarà il giorno successivo (PnR). Un’altra considerazione da fare è sicuramente una selezione più difficile dei casi nonché una più rigida adesione al posizionamento postoperatorio che può risultare un problema nei pazienti più anziani o poco collaboranti. Dopo l’introduzione e la diffusione della PPV, meno tempo è dedicato alla valutazione del caso nel preoperatorio, rendendo la PnR (e in parte anche lo SB) delle procedure “scomode” in quanto la valutazione corretta e attenta della periferia retinica è la condicio sine qua non per una corretta selezione dei casi. Nonostante tutte queste considerazioni sfavorevoli, la PnR ha indubbiamente anche qualche vantaggio nei confronti di altre procedure chirurgiche per il trattamento del RD5: riduzione dei tempi operatori, costi ridotti soprattutto nei confronti della PPV, risparmio della congiuntiva, refrazione postoperatoria invariata, facilità della procedura chirurgica per citarne alcuni. Nella nostra esperienza la percentuale di successo è stata dell’84.5%, un dato supportato dalla letteratura scientifica che riporta una percentuale di successo di circa l’80%10,11. Un limite dello studio, oltre al ridotto numero di casi e all’analisi retrospettiva, è l’assenza di dati riguardanti quel 15.5% di casi in cui si è reso poi necessario un secondo intervento (in particolare PPV). E’ tuttavia possibile affermare, come del resto riscontrato

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Volume XII - 1/2020

in letteratura, che il fallimento della PnR non preclude il successo del secondo intervento6. Gli autori preferiscono eseguire la crioterapia intraoperatoria (salvo casi di eccessivo sollevamento retinico) in maniera da assicurare un minimo necessario di retinopessia nel caso in cui, come spesso capita, non sia possibile eseguire personalmente tutti i controlli del postoperatorio, compresi eventuali trattamenti laser aggiuntivi. Tuttavia uno dei vantaggi della fotocoagulazione laser retinica è la più rapida retinopessia e la minore mobilitazione di cellule dell’epitelio pigmentato retinico verso la cavità vitreale, stimolo alla PVR (proliferazione vitreo retinica). Nella nostra esperienza non vi è stato alcun caso di PVR nei pazienti trattati, nonostante una percentuale del 3% nei trial multicentrici pubblicati7. Va considerato tuttavia che il nostro follow up è stato limitato a soli 12 mesi nel postoperatorio. Non vi è stata nella nostra casistica alcun caso di emorragia vitreale, edema maculare cistoide, occlusioni vascolari a carico di retina o nervo ottico, o persistenza/comparsa di fluido sottoretinico maculare. Abbiamo invece notato due casi (2,4%) di cataratta postoperatoria diagnosticati entrambi entro il primo mese dall’intervento ed un caso di gas sottoretinico risoltosi con posizionamento adeguato (ovvero fuoriuscita del gas dalla rottura). Gli Autori preferiscono far posizionare i pazienti proni nelle prime ore postoperatorie sia per spostare il liquido sub maculare nei casi di macula off, sia per favorire, con un successivo passaggio alla posizione indicata, la fuoriuscita di liquido dalla rottura retinica (manovra del “rullo compressore” o steamroller). È stato notato invece un caso di passaggio di gas in camera anteriore, una complicanza rara e descritta solo due altre volte in letteratura8,9. La nostra casistica conferma dunque che la PnR non è così frequentemente utilizzata come la PPV, la quale a sua volta sta guadagnando campo rispetto alla chirurgia episclerale (SB), un trend confermato dalla letteratura2. L’utilizzo della PnR sta lentamente aumentando nei due reparti interessati, probabilmente a causa dei ridotti tempi a disposizione e per la consapevo-


NOSTRA ESPERIENZA NELL’UTILIZZO DELLA PNEUMORETINOPESSIA PER IL DISTACCO DI RETINA REGMATOGENO

lezza di risultati buoni in termini sia funzionali che anatomici. Recentemente, un trial randomizzato10 ha paragonato la PnR alla PPV per il trattamento di casi selezionati di RD. Il successo anatomico primario ad un anno è risultato dell’80.3% per il primo gruppo vs il 93.2% per il secondo gruppo. Tuttavia il successo anatomico secondario (ovvero con un secondo re-intervento, rappresentato dalla PPV) è risultato essere paragonabile tra i due gruppi (98.7% vs 98.6% rispettivamente). Gli autori dello studio hanno sottolineato che la PnR era associata a un visus postoperatorio maggiore, meno metamorfopsie e minore morbidità rispetto alla PPV, concludendo che la PnR è da prendere in considerazione come trattamento di scelta in casi selezionati di distacco di retina.

In conclusione, i nostri dati confermano che la PnR è una buona opzione chirurgica per casi selezionati di distacco di retina regmatogeno con un tasso di successo di almeno l’80%. Una selezione ottimale del caso e un’attenta valutazione della periferia retinica sono la chiave del successo per questo tipo di intervento.

Indirizzo per la corrispondenza

Dott. Francesco Pellegrini Dirigente Medico I Livello AUSL Pescara Via fonte romana s.n.c 65121 Pescara (PE) Tel. +39 085 4251 francepellegrini@virgilio.it

Bibliografia 1 Hilton GF, Grizzard WS: Pneumatic retinopexy: A two step outpatient operation without conjunctival incision. Ophthalmology 1986; 93:626-640. 2 Park SW, Lee JJ, Lee JE. Scleral buckling in the management of rhegmatogenous retinal detachment: patient selection and perspectives. Clin Ophthalmol. 2018;12:1605-1615. 3 Tornambe PE. Pneumatic retinopexy: the evolution of case selection and surgical technique. A twelve-year study of 302 eyes. Trans Am Ophthalmol Soc. 1997;95:551-78. 4 Brinton DA, Hilton GF: Pneumatic retinopexy and alternative retinal detachment techniques, in Ryan SJ, Wilkinson CP (eds): Retina, vol. 3. St. Louis, MO, Mosby Inc, ed 3 2001, pp. 2047-62 5 Chan CK, Lin SG, Nuthi AS, Salib DM. Pneumatic retinopexy for the repair of retinal detachments: a comprehensive review (1986-2007). Surv Ophthalmol. 2008;53:443-78. 6 Tornambe PE, Nudelman E, Robinson J. Pneumatic Retinopexy. New Retina MD 2015;3:34-6.

7 Tornambe PE, Hilton GF: The Retinal Detachment Study Group. Pneumatic retinopexy, a multicenter randomized controlled clinical trial comparing pneumatic retinopexy with scleral buckling. Ophthalmol 1989;96:772-784 8 Tan CSh, Wee K, Zaw MD, Lim TH. Anterior chamber gas bubble following pneumatic retinopexy in a young, phakic patient. Clin Exp Ophthalmol. 2011;3:276-7. 9 Taher RM, Haimovici R. Anterior chamber gas entrapment after phakic pneumatic retinopexy. Retina. 2001;6:681-2. 10 Hillier RJ, Felfeli T, Berger AR, Wong DT, Altomare F, Dai D, Giavedoni LR, Kertes PJ, Kohly RP, Muni RH. The Pneumatic Retinopexy versus Vitrectomy for the Management of Primary Rhegmatogenous Retinal Detachment Outcomes Randomized Trial (PIVOT). Ophthalmology. 2018 Nov 22. pii: S0161-6420(18)32275-9. doi: 10.1016/j.ophtha.2018.11.014. 11 Tornambe PE. Pneumatic Retinopexy: the evolution of case selection and procedure. In Principles and Practice of Vitreoretinal surgery. Jaypee Brothers.2014

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GIORNALE ITALIANO DI

VitreoRetina

Sostituti vitreali: tra tradizione ed innovazione Riassunto

Con l’affinamento e la diffusione delle tecniche di vitrectomia la ricerca di nuovi sostituti vitreali rappresenta un ambito di grande interesse clinico e scientifico. A fianco dei tamponanti classici quali gas e derivati dell’olio di silicone si stanno affacciando sul mercato nuove molecole che promettono notevoli miglioramenti in termini di sicurezza ed efficacia. In questa review esamineremo i sostituti vitreali impiegati nella nostra pratica clinica quotidiana e tratteremo delle nuove molecole oggetto di sperimentazione.

Parole chiave

sostituti vitreali, tamponanti, vitreo, vitrectomia.

Introduzione

Il vitreo è una sostanza trasparente a consistenza gelatinosa che riempie il bulbo oculare rappresentandone circa l’ottanta percento del volume1. Costituito per il 98% da acqua la sua consistenza e le sue caratteristiche derivano principalmente dalla presenza di collagene (tipo II, IV, V, VI, IX e XI), glicosaminoglicani (acido ialuronico, eparan-solfato e condroitina-solfato), proteine (principalmente albumina ed immunoglobuline) ed acido ascorbico2-6. L’insieme di queste componenti garantisce la trasparenza e l’omogeneità di questa struttura e le permette di svolgere importanti funzioni quali quella strutturale, trofica, diottrica e di barriera. Con la diffusione delle procedure di vitrectomia l’esigenza di trovare sostituti sicuri ed efficaci a questa importante struttura ha assunto grande importanza clinica e scientifica. Il sostituto vitreale ideale, oltre ad essere biocompatibile e non tossico, dovrebbe simulare al

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Volume XII - 1/2020

Andrea Passani

Andrea Passani1*, Marco Pellegrini2, Francesca Guido1, Angela Tindara Sframeli3, Rosario Denaro4, Iacopo Franchini5, Gianluca Guidi1 1 Azienda Ospedaliero-Universitaria Pisana, Pisa 2 Azienda Ospedaliero-Universitaria S. Orsola Malpighi - Bologna 3 Dip. di patologia chirurgica, medica, molecolare e area critica - Pisa 4 USL 1 Toscana Nord-Ovest, Massa e Carrara 5 Azienda Ospedaliero-Universitaria Careggi – Università di Firenze

Abstract

The research of new vitreous substitutes has gained a huge scientific and clinical attention due to the progressive improvement and spread of vitrectomy techniques. Beside traditional tamponades such as gases and silicon oil derivates, new promising molecules are under investigation. In this manuscript we’ll review the presently available vitreous substitutes and we’ll discuss the new molecules currently under investigation.

Keywords

Vitreous substitutes, tamponades, vitreous body, vitrectomy

meglio le caratteristiche possedute dal vitreo naturale ovvero quelle di trasparenza, permeabilità, omogeneità e resistenza viscoelastica. Oltre alle sopraccitate caratteristiche il sostituto vitreale ideale dovrebbe inoltre essere a basso costo, di facile reperibilità e conservazione e non necessitare rimozione in quanto completamente atossico. I sostituti vitreali attualmente disponibili sono, purtroppo, ben lungi dal possedere queste caratteristiche tuttavia un’intensa e promettente ricerca scientifica sta testando nuove ed innovative molecole che, in un’ottica di medio termine, potrebbero migliorare la nostra pratica clinica.

Classificazione

I sostituti vitreali possono essere classificati in base alle proprie caratteristiche fisiche (gas o liquidi) o in base all’impiego chirurgico che ne viene fatto (tamponanti intra-operatori e post-operatori). I sostituti vitreali intraoperatori sono rappresentati dai perfluorocarburi e dal perfluoroexilexano. Questi composti vengono impiegati durante la vitrectomia per distendere la retina sollevata ma devono essere rimossi al termine dell’intervento a causa della loro tossicità. I sostituti vitreali postoperatori comprendono inve-


Composto

Forma Fisica

Intraoperatorio vs Postoperatorio

Aria Sterile

Gas

Intraoperatorio - Postoperatorio

Esafluoruro di Zolfo (SF6)

Gas

Postoperatorio

Perfluoroetano (C2F6)

Gas

Postoperatorio

Perfluoropropano (C3F8)

Gas

Postoperatorio

Perfluoro-n-butano (C4F10)

Gas

Postoperatorio

Perfluoroexilexano (F6H6)

Liquido

Intraoperatorio

Perfluoroexilottano (F6H8)

Liquido

Intraoperatorio - Postoperatorio

Perfluoro-n-ottano (HPF8)

Liquido

Intraoperatorio

Perfluorodecalina (HPF10)

Liquido

Intraoperatorio

Olio di silicone 1000 (PDMS)

Liquido

Postoperatorio

Olio di silicone 2000 (PDMS)

Liquido

Postoperatorio

Olio di silicone 5000 (PDMS)

Liquido

Postoperatorio

Densiron 68 (30.5% F6H8 + 69.5% olio di silicone 5000)

Liquido

Postoperatorio

Tabella 1: Classificazione dei sostituti vitreali attualmente disponibili

ce tutti i composti gassosi, il perfluoroexilottano e gli oli di silicone. Questi composti possono essere lasciati all’interno della camera vitrea al termine dell’intervento. I sostituti gassosi andranno progressivamente incontro a riassorbimento spontaneo mente il perfluoroexilottano e gli oli di silicone richiederanno rimozione chirurgica dopo un determinato tempo. Per motivi di semplicità e chiarezza in questa review adotteremo la tradizionale classificazione dei sostituti vitreali in gassosi e liquidi. La tabella n. 1 riporta le diverse classificazioni dei sostituti vitreali attualmente disponibili.

Gas

La prima testimonianza dell’uso di gas come tamponante vitreale risale al 1911 quando Ohm descrisse l’iniezione di aria sterile nella cavità vitreale di due pazienti affetti da distacco di retina7. Da allora numerosi tamponanti gassosi sono stati introdotti sul mercato e vengono quotidianamente impiegati nella nostra pratica clinica. I principali tamponanti gassosi impiegati nella chirurgia vitreo-retinica sono:

ria sterile: come già descritto rappresenta il più A vecchio dei tamponanti gassosi e, grazie alla sua immediata disponibilità e basso costo, uno dei tuttora più impiegati. L’aria sterile è inerte ed atossica e non va incontro ad espansione. A causa della facilità con cui viene assorbita dagli eritrociti viene in breve tempo sostituita da umor acqueo e la sua persistenza nella cavità vitrea è limitata a 5-7 giorni8. ● Esafluoruro di Zolfo (SF6): gas inodore quattro volte più pesante dell’aria viene utilizzato nella chirurgia vitreo-retinica dagli anni 70 anche se il suo impiego nella retinopessia è stato approvato dalla FDA soltanto nel 1993. È soggetto ad un’espansione del 100% che solitamente si verifica entro 1-2 giorni dall’iniezione; la sua persistenza in camera vitrea è invece di 12-14 giorni9. La diluizione più frequentemente adoperata è aria sterile 80% - SF6 20% ● Perfluoroetano (C F ): gas più leggero dell’e2 6 safluoruro è soggetto ad una maggiore espansione (200%) che si verifica generalmente entro 1-3 giorni dall’iniezione. La persistenza in camera vitrea è di 4-5 settimane nella diluizione più ●

Volume XII - 1/2020

- 31


GIORNALE ITALIANO DI

VitreoRetina

frequentemente impiegata di aria sterile 84% C2F6 16% ● Perfluoropropano (C F ): gas sei volte più pesan3 8 te dell’aria condivide con l’SF6 storia clinica ed applicazioni. È soggetto ad un’espansione del 300% che avviene solitamente da tre a quattro giorni dall’iniezione. Grazie all’elevato peso molecolare permane in camera vitrea per 8 settimane dall’iniezione. La diluizione più frequentemente adoperata è aria sterile 88% - C3F8 12% ● Perfluoro-n-butano (C F ): gas otto volte più 4 10 pesante dell’aria è soggetto ad un’espansione 400% che si verifica da 2 a 6 giorni dopo l’iniezione. Ha una permanenza in camera vitrea di 10-12 settimane e per tale motivo è oggigiorno poco impiegato nella chirurgia di routine. La diluizione più frequentemente adoperata è aria sterile 90% - C4F10 10% Il grande vantaggio di tutti i tamponanti gassosi è quello di andare incontro a riassorbimento spontaneo e di non necessitare pertanto di un intervento di rimozione. (Figura 1,a-b) Il principale svantaggio di questi tamponanti risiede invece nella ridotta capacità di tamponare le rotture inferiori. Già dopo le prime ore dall’iniezione una certa quota di gas viene infatti riassorbita e sostituita umor acqueo che si insinua tra retina e tamponante. In questo progressivo processo di riassorbimento i gas perdono gran parte delle proprie capacità tamponanti rendendone rischio-

so l’impiego nei casi di distacco di retina con rottura inferiore. Altro svantaggio di questa classe di tamponanti è l’espansività che costringe i pazienti a non viaggiare in aereo e a non superare l’altitudine di 600mt prima del quasi completo riassorbimento del tamponante. Sempre in tema di espansività è bene ricordare che tutti questi tamponanti ad eccezione dell’aria vanno incontro ad un aumento di volume del 200-400% dopo l’iniezione. Questo fenomeno può determinare picchi pressori elevati con conseguente rischio di occlusione arteriosa10. Per evitare questa temibile complicanza è necessario attenersi sempre alle diluizioni suggerite dal produttore e lasciare l’occhio lievemente ipotonico al termine dell’intervento. In termini di efficacia tamponante alcuni articoli suggeriscono una sostanziale parità tra aria sterile, SF6 e C3F8 nel successo anatomico dell’intervento per distacco di retina11,12. Ulteriori studi con più vasta popolazione e maggiore follow-up sono tuttavia necessari per chiarire questo importante elemento. (Tabella 2)

Liquidi

I primi liquidi ad essere impiegati come tamponanti vitreali sono stati l’acqua e la soluzione salina bilanciata (BSS)8 ma sono stati poi abbandonati in favore di molecole con maggiore potere tamponante quali i perfluorocarburi (PFC), gli alcani semifluorinati (RFRH) e gli oli di silicone.

Figura1: Tamponante gassoso (aria sterile) in camera posteriore in a) prima giornata e b) in quarta giornata post-intervento di pneumoretinopessia (per gentile concessione del Prof. Luigi Esposti).

32 -

Volume XII - 1/2020


SOSTITUTI VITREALI: TRA TRADIZIONE ED INNOVAZIONE

Molecola

Peso molecolare (g/mol)

Espansione

Tempo di espansione

Persistenza in camera vitrea

Diluizione abituale

Aria Sterile

28.97

-

-

5-7 giorni

-

Esafluoruro di Zolfo (SF6)

146.05

100%

1-2 giorni

2 settimane

20%

Perfluoroetano (C2F6)

138.01

200%

1-3 giorni

4-5 settimane

16%

Perfluoropropano (C3F8)

188.2

300%

3-4 giorni

8 settimane

12%

Perfluoro-n-butano (C4F10)

238.03

400%

2-6 giorni

10-12 settimane

10%

Tabella 2: Principali tamponanti gassosi utilizzati in chirurgia vitreo-retinica

Perfluorocarburi (PFC)

Questa classe di tamponanti è costituita da molecole di fluoro e carbonio unite da legami singoli ad alta resistenza che conferiscono a questi composti elevata stabilità termica ed inerzia chimica. Con un peso specifico quasi doppio rispetto all’acqua permettono di appiattire la retina distaccata facilitando notevolmente gli interventi di vitrectomia per distacco di retina. Originariamente pensati per essere impiegati come sostituti ematici ad alto trasporto di ossigeno questi composti hanno rivoluzionato la tecnica chirurgica del distacco di retina13 ed hanno oggi vasto impiego nella nostra pratica clinica quotidiana. I principali perfluorocarburi impiegati in oftalmologia sono: ● Perfluoro-n-ottano (HPF8): con un peso molecolare di 438.06 g/mol ed una viscosità di 1.20 mPas rappresenta il perfluorocarburo più frequentemente impiegato nella pratica clinica grazie alla facilità e rapidità di iniezione/rimozione ● Perfluorodecalina (HPF10): con un peso molecolare di 462.08 g/mol ed una viscosità di 5.68 mPas è un perfluorocarburo ad altissima viscosità che permette l’appianamento di distacchi retinici inveterati a prezzo di una maggiore difficoltà di iniezione/rimozione I perfluorocarburi hanno enormemente contribuito all’affinamento della chirurgia vitreo-retinica e rappresentano oggi un presidio indispensabile in qualunque intervento di distacco di retina. Questi composti sono però sostituti vitreali temporanei e devono sempre essere rimossi al termine dell’intervento di vitrectomia. La loro intrinseca tossicità biologica non permette infatti il loro uso come tamponanti a medio/lungo termine14.

Alcani semifluorinati

Introdotti all’inizio degli anni 2000 questa classe di composti è costituita da porzioni di perfluorocarburo e idrocarburo. Grazie alla buona biocompatibilità sono stati la prima classe di composti ad essere utilizzata come sostituto vitreale di medio/ lungo periodo15,16. Insolubili in acqua sono solubili in olio di silicone e sono rappresentati da: ● Perfluoroexilexano (F H ): alcano leggero può 6 6 essere impiegato per distendere la retina durante l’intervento di distacco in quanto caratterizzato da ottima trasparenza ed alta viscosità. Deve essere rimosso al termine dell’intervento in quanto non approvato come tamponante a lungo termine. ● Perfluoroexilottano (F H ): come il precedente 6 8 può essere utilizzato in sede intra-operatoria per i medesimi scopi; a differenza del precedente può tuttavia essere impiegato come tamponante post-operatorio a lungo termine (fino a 3 mesi). Grazie ad un peso specifico superiore a quello dell’acqua ma inferiore ai perfluorocarburi gli alcani semifluorinati possono essere utilizzati sia per distendere intra-operativamente la retina (F6H6 e F6H8) sia come tamponanti di lungo periodo (solo F6H8). Grazie all’elevato peso molecolare l’F6H8 garantisce un buon potere tamponante anche nei settori inferiori tuttavia ha la tendenza a formare emulsione e precipitati16,17. Per questi motivi gli alcani semifluorinati vengono oggigiorno impiegati solo in combinazione all’olio di silicone come nel caso del Densiron 68 (30.5% F6H8 + 69.5% olio di silicone 5000). Volume XII - 1/2020

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GIORNALE ITALIANO DI

VitreoRetina

Olio di silicone

L’olio di silicone è un siloxano (polidimetilsiloxano, PDMS) polimerico idrofobico con un peso specifico leggermente inferiore a quello dell’acqua (0.97 g/ml)18. Il suo uso quale sostituto vitreale è noto fin dagli anni 60 ma la sua approvazione da parte della FDA è avvenuta solo nel 19948. Grazie alla sua trasparenza, stabilità e bassa tossicità rappresenta il sostituto vitreale a lungo termine attualmente più impiegato (Figura 2 a,b). Le principali molecole attualmente in commercio differiscono per viscosità (misurata in centistokes, cSt) e sono: ● Olio di silicone 1000cSt ● Olio di silicone 2000cSt ● Olio di silicone 5000cSt L’unica differenza tra queste molecole è rappresentata dalla lunghezza della catena polimerica e della conseguente viscosità (massima per il silicone 5000cSt). Tutte le altre caratteristiche molecolari quali peso specifico, tensione superficiale e indice refrattivo sono, invece, costanti. Tra le caratteristiche comuni si trova inoltre la penetrabilità da parte delle radiazioni infrarosse. La penetrabilità varia a seconda della lunghezza d’onda dello strumento utilizzato e deve essere tenuta in considerazione per il settaggio dei parametri e la distanza di applicazione19. Il silicone 1000cSt presenta maggiore tendenza a formare emulsione

ma ha il vantaggio di presentare brevi tempi di iniezione e rimozione (50 secondi per 9ml usando trocar 20G). Il silicone 5000cSt presenta di converso minore tendenza a formare emulsione ma è soggetto a tempi di iniezione e rimozione più lunghi (240 secondi per 9ml usando trocar 20G). Il silicone 2000cSt ha caratteristiche intermedie tra i due. In termini di efficacia tamponante un ampio studio retrospettivo non ha mostrato differenze significative tra silicone 1000cSt e 5000cSt nel determinare successo anatomico post intervento per distacco di retina20. Essendo più leggero dell’acqua l’olio di silicone esercita la propria capacità tamponante sulla retina superiore mentre nei settori inferiori il potere tamponante è limitato (soprattutto in caso di ridotto riempimento). L’unico olio di silicone in grado di esercitare potere tamponante nei settori inferiori è il Densiron 68 (olio di silicone 5000cSt + F6H8) in quanto dotato di peso specifico superiore a quello dell’acqua. Questa maggiore capacità tamponante è tuttavia raggiunta a prezzo di una maggiore tossicità del composto che deve pertanto essere rimosso più precocemente rispetto agli altri tipi di olio di silicone. I vantaggi di questa classe di tamponanti sono rappresentati dalla non espansività, dalla facilità di iniezione e rimozione e dall’alta capacità tamponante. Gli svantaggi sono invece rappresentati dalla necessità di un intervento di

Figura2: Tamponante liquido (olio di silicone) in camera posteriore a) post-intervento di vitrectomia per distacco di retina e b) progressione della pessia cicatriziale con iniziale emulsione. (per gentile concessione del Prof. Luigi Esposti).

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SOSTITUTI VITREALI: TRA TRADIZIONE ED INNOVAZIONE

Molecola

Peso specifico (g/c3)

Viscosità

Tensione di superficie (mN/m)

Indice refrattivo

Perfluoro-n-ottano (HPF8)

1.76

1.20 mPas

55

1.3

Perfluorodecalina (HPF10)

1.33

5.68 mPas

57.8

1.3

Olio di silicone 1000 (PDMS)

0.97

1000cSt

35

1.4

Olio di silicone 2000 (PDMS)

0.97

2000cSt

35

1.4

Olio di silicone 5000 (PDMS)

0.97

5000cSt

35

1.4

Densiron 68 (30.5% F6H8 + 69.5% olio di silicone 5000)

1.06

1400cSt

41

1.4

Tabella 3: Principali tamponanti liquidi utilizzati in chirurgia vitreo-retinica

rimozione, dall’alto potere catarattogeno, dalla possibile migrazione in camera anteriore (con conseguenti effetti tossici ai danni dell’endotelio) e dalla tendenza ad insinuarsi all’interno delle rotture retiniche sotto tensione (tendenza molto maggiore rispetto a quella dei tamponanti gassosi)21-23. Fenomeni di tossicità a lungo termine determinano inoltre la necessità di un puntuale follow-up del paziente in modo da determinare con precisione in corretto timing della rimozione. (Tabella 3)

Tamponanti del futuro

I sostituti vitreali attualmente in nostro possesso sono sicuri ed efficaci ma nessuno di essi si avvicina a quello che dovrebbe essere il tamponante “ideale”. Negli anni passati sono stati testati numerosi potenziali nuovi sostituti vitreali che tuttavia non hanno raggiunto la commercializzazione a causa di problematiche insorte in fase di sviluppo. Il principale ostacolo allo sviluppo di nuovi sostituti vitreali risiede nell’attività pro-infiammatoria da essi manifestata. Diverse molecole hanno infatti mostrato una buona biocompatibilità complessiva ma il loro impiego non è stato finalizzato a causa della comparsa di attività infiammatoria intraoculare. Il processo di attivazione macrofagica, vacuolizzazione e progressiva degradazione rappresenta ad oggi il principale fattore limitante lo sviluppo di nuovi sostituti vitreali. Per superare questo importante ostacolo si sta muovendo un ampio fronte di ricerca che si articola in tre principali filoni: Hydrogels, Smart Hydrogel e devices impiantabili.

Hydrogels

Sono polimeri tridimensionali in grado di assorbire acqua senza disciogliersi in essa24. Numerose molecole sono state testate per questa applicazione ma al momento attuale la maggior parte degli studi si è concentrata sull’acido ialuronico (HA). Questo glicosaminoglicano rappresenta uno dei principali componenti del vitreo naturale ed è ben noto per la sua biocompatibilità e versatilità. L’impiego di HA è tuttavia ostacolato dal processo di degradazione operato dalle ialuronidasi che ne riduce notevolmente la persistenza in camera vitrea25. Per superare questo ostacolo sono al momento in studio hydrogel a base di HA cross-linkato che sembrano promettere buoni risultati sia in termini di sicurezza che di persistenza in camera posteriore. Un’altra molecola interessante è in questo ambito rappresentata dal glicole polietilenico (PEG)26. Nello specifico una particolare derivato del PEG (l’oligo-tetra-PEG) si è dimostrato efficace nel simulare la funzionalità vitreale e ha presentato ridotti fenomeni tossici e pro-infiammatori. Questa nuova molecola presenta inoltre un processo di gelificazione ultrarapido che la rende compatibile con la chirurgia vitreo-retinica mininvasiva27. Nel modello animale questa molecola ha dimostrato un’eccezionale persistenza in camera vitrea (410 giorni) candidandosi pertanto come una dei sostituti vitreali più promettenti. I vantaggi dell’impiego di hydrogel quali sostituti vitreali risiedono nella possibilità di iniezione in forma acquosa e successiva gelificazione in camera vitrea, nell’ottima capacità tamponante superiore ed inferiore e nella possibilità di impiego come sostituti vitreali di Volume XII - 1/2020

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VitreoRetina

lunghissimo periodo. Gli studi scientifici attualmente in corso su questo tipo di polimeri sono nella fase di sperimentazione animale.

Smart Hydrogel

Sono hydrogel in grado di rispondere a stimoli quali la variazione di Ph, temperatura o glicemia e pertanto denominati “intelligenti”28. Utilizzati per applicazioni industriali e di bio-ingegneria questa classe di molecole è stata recentemente proposta come possibile sostituto vitreale. Al momento attuale gli unici smart hydrogel ad essere stati applicati quale sostituto vitreale sono il p-F127 ed il WTG-12729, 30. Questi due hydrogel termo-sensibili sono stati impiegati nel modello animale quali sostituti vitreali ma hanno purtroppo mostrato limitazioni insuperabili (biotossicità per il p-F127 e distribuzione sotto-retinica pre-gelificazione per il WTG-127)29, 30. Un nuovo copolimero a base di PEG chiamato EPC-thermogel è attualmente in studio e promette di superare gli ostacoli che hanno bloccato i suoi predecessori. Un’interessante caratteristica di questo nuovo copolimero risiede nella sua capacità di stimolare la formazione di una struttura simil-vitreale durante la sua degradazione31. La lunga persistenza in camera vitrea, la completa bio-compatibilità e l’apparente capacità di stimolare la rigenerazione di una struttura similare al vitreo nativo rendono questa molecola la principale candidata al titolo di sostituto vitreale ideale. La sperimentazione degli smart-hydrogel è iniziale ed ancora limitata al modello animale tuttavia alcune molecole in studio appaiono oltremodo promettenti.

Devices impiantabili

L’idea alla base di questi devices è quella di inserire in camera vitrea una protesi che svolga le funzioni strutturali e tamponanti del vitreo naturale. Da un punto di vista pratico si tratta di involucri polimerici inseriti in camera vitrea tramite un’incisione sclerale di 2-2.5mm e poi riempiti di una sostanza viscosa biocompatibile. In questo ambito il device con più avanzato stato di sperimentazione è il Foldable Capsular Vitreous Body (FCVB)32. Questo device è costituito da una membrana polimerica che viene inserita in camera vitrea tramite un’incisione sclerale di circa 2.5mm al termine della vitrectomia. Una volta inserita in camera vitrea la membrana viene riempita con olio di silicone

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tramite un meccanismo a valvola. I risultati nell’uomo sembrano incoraggianti ed è attualmente in corso un trial clinico che si concluderà a maggio 2020. Grazie al più snello processo registrativo i devices impiantabili presentano al momento un più avanzato stadio di sperimentazione rispetto agli hydrogels e rappresentano pertanto i sostituti vitreali che saranno commercializzati più precocemente.

Sostituti vitreali e farmaci

Un’interessante possibilità di sviluppo dei nuovi sostituti vitreali è quella di impiegarli come veicolo di medio-lungo termine per il rilascio di farmaci intra-vitreali. I nuovi sostituti vitreali potrebbero infatti rilasciare in maniera controllata principi farmacologici d’interesse quali gli anti-VEGF o i corticosteroidi. Eliminare la necessità di iniezioni intravitreali mensili o semestrali grazie a nuovi sostituti vitreali a lentissima degradazione rappresenta un interessante possibilità di sviluppo su cui la ricerca si sta muovendo con lentezza ma grande determinazione.

Conclusioni

I sostituti vitreali a nostra disposizione sono sicuri ed efficaci ed hanno permesso un rapido avanzamento ed una vasta diffusione delle tecniche di vitrectomia. Nell’ottica di una chirurgia vitreo-retinica sempre più efficace, meno invasiva e patient-oriented la ricerca di nuovi ed innovativi sostituti vitreali è tuttavia cruciale. In questo ambito sono allo studio nuove molecole ed innovativi devices che promettono nel medio-lungo termine di ottimizzare ulteriormente la sicurezza e l’efficacia delle tecniche ad oggi in nostro possesso. Tra i prodotti in questo ambito più promettenti troviamo gli hydrogel a base di acido ialuronico cross-linkato, i derivati del glicole polietilenico ed i devices impiantabili. La caccia al sostituto vitreale del futuro è aperta!

Indirizzo per la corrispondenza Andrea Passani MD, PhD Via Savi n 10, 56126, Pisa andreapassani@gmail.com +39-393/8085473


SOSTITUTI VITREALI: TRA TRADIZIONE ED INNOVAZIONE

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Guida alla comprensione dell’angiografia OCT Dalla fisiopatologia all’imaging clinico Marco Rispoli Maria Cristina Savastano Bruno Lumbroso David Huang Yali Jia Eric H Souied

NOVITÀ EDITORIALE

Redazione: Via Petitti 16, Milano FGE srl − Regione Rivelle 7/F − 14050 Moasca (AT) - Tel. 0141 1706694 – Fax 0141 856013 - e-mail: info@fgeditore.it − www.fgeditore.it


RIASSUNTO DELLE CARATTERISTICHE DEL PRODOTTO - 1. DENOMINAZIONE DEL MEDICINALE 2. COMPOSIZIONE QUALITATIVA E QUANTITATIVA 50%). Per l’elenco completo degli eccipienti, vedere paragrafo 6.1. - 3. FORMA FARMACEUTICA Collirio, soluzione. Soluzione limpida, incolore o leggermente gialla, con pH che varia da 6,5 a 7,2 ed osmolarità che varia da 280 a 320 mOsm/kg. - 4. INFORMAZIONI CLINICHE 4.1 Indicazioni terapeutiche lassi di infezioni pre- e post-operatorie e, in generale, per le lesioni del bulbo oculare. 4.2 Posologia e modo di somministrazione Posologia La posologia di Multiper i primi due giorni, e 4 volte al giorno dal terzo giorno in poi. In casi più gravi, come in presenza di cheratite, la posologia può essere aumentata a 1-2 gocce ogni ora o ogni due ore. Il trattamento deve essere continuato per 48 ore dopo la scomparsa dei sintomi e per un periodo minimo di 5 giorni. Popolazione pediatrica Posologia

non sono necessari. Se si dimentica una dose, questa deve essere somministrata appena possibile. Successivamente, il trattamento deve proseguire con la somministrazione della dose successiva come previsto. 4.3 Controindicazioni 6.1. 4.4 Avvertenze speciali e precauzioni d’impiego

in modo da poter interrompere il medicinale appena possibile. Data la possibilità di fotosensibilità in seguito all’uso del medicinale, i pazienti devono essere avvisati di

e l’uso delle lenti a contatto deve essere ripreso solo dopo che tutti i sintomi sono scomparsi e dopo la consultazione con un oftalmologo. Questo medicinale contiene benzalconio cloruro. Benzalconio cloruro può provocare irritazione oculare. Evitare il contatto con lenti a contatto morbide. Togliere le lenti a contatto prima dell’applicazione ed attendere almeno 15 minuti prima di rimetterle. È nota l’azione decolorante nei confronti delle lenti a contatto morbide. 4.5 Interazioni con altri medicinali ed altre forme d’interazione 4.6 Fertilità, gravidanza e allattamento Gravidanza Allattamento escreta nel latte materno e c’è la possibilità di nuocere al bambino, si deve decidere se sospendere temporaneamente l’allattamento o non somministrare il medicinale, tenendo in considerazione l’importanza del medicinale per la madre. Fertilità capacità di guidare veicoli e sull’uso di macchinari come: molto comune (≥1/10), comune (≥1/100, <1/10), non comune (≥1/1.000, <1/100), rara (≥1/10.000, <1/1.000), molto rara (<1/10.000), non nota (non può essere Patologie dell’occhio Comune: irritazione oculare transitoria, fastidio oculare. Raro: congiuntivite emorragica con edema della palpebra, lore oculare, fotofobia, prurito oculare, sensazione di dolore pungente, aumento della lacrimazione, secchezza oculare. Patologie gastrointestinali Raro: nausea. Patologie sistemiche e condizioni relative alla sede di somministrazione Non nota: edema facciale. Patologie del sistema nervoso Raro: capogiri. Patologie della cute e del tessuto sottocutaneo mentale, allucinazioni, ecc. Segnalazione delle reazioni avverse sospette sospetta tramite il sistema nazionale di segnalazione all’indirizzo: http://www.aifa.gov.it/content/segnalazioni-reazioni-avverse. 4.9 Sovradosaggio Non sono stati riportati casi di sovradosaggio dall’uso di questo medicinale.- 5. PROPRIETÀ FARMACOLOGICHE 5.1 Proprietà farmacodinamiche Categoria farmacoterapeutica: 15.1.1 Medicinali usati per Meccanismo d’azione rochinoloni, che inibiscono la DNA girasi, un enzima essenziale alla duplicazione, trascrizione e riparazione del DNA batterico. 5.2 Proprietà farmacocinetiche Assorbimento Distribuzione

Biotrasformazione Meno del 10% è metabolizzato come metaboliti inattivi. Eliminazione Via renale: 95% intatta e il 5% come metaboliti; emivita di eliminazione tra 4 e 8 ore. Via fecale: dal 4 all’8%. 5.3 Dati preclinici di sicurezza via sistemica. Tuttavia non vi era evidenza di tossicità negli animali dopo somministrazione topica alla concentrazione di 0,3 mg/ml. Alcuni test di mutagenicità suggeriscono un possibile potenziale danno del DNA. Fino ad ora non sono stati eseguiti studi di cancerogenicità. - 6. INFORMAZIONI FARMACEUTICHE 6.1 Elenco degli eccipienti Sodio Cloruro. Benzalconio cloruro (soluzione al 50%). Sodio diidrogeno fosfato monoidrato. Disodio idrogeno fosfato dodecaidrato. Acqua altamente depurata. Acido cloridrico o sodio idrossido per l’aggiustamento del pH (6,5-7,2). 6.2 Incompatibilità Non pertinente. 6.3 Periodo di validità 2 anni – per le presentazioni da 3 ml e 5 ml. 3 anni – per la presentazione da 10 ml. Dopo la prima apertura: 28 giorni. 6.4 Precauzioni particolari per la conservazione Non conservare a temperatura superiore a 25°C. 6.5 Natura e contenuto del contenitore Contenitore contagocce sterile bianco opaco in polietilene-LD, con un tappo bianco opaco in polietilene-HD, contenente 3 ml, 5 ml o 10 ml di soluzione. 6.6 Precauzioni particolari per lo smaltimento e la manipolazione smaltiti in conformità alla normativa locale vigente. - 7. TITOLARE DELL’AUTORIZZAZIONE ALL’IMMISSIONE IN COMMERCIO SOOFT Italia S.p.A. - Contrada Molino 17 63833 Montegiorgio (FM) - Italia - 8. NUMERO(I) DELL’AUTORIZZAZIONE ALL’IMMISSIONE IN COMMERCIO AIC. n. 045392014 - “3 MG/ML COLLIRIO, SOLUZIONE” CONTENITORE DA 3 ML AIC. n. 045392026 - “3 MG/ML COLLIRIO, SOLUZIONE” CONTENITORE DA 5 ML AIC. n. 045392038 - “3 MG/ML COLLIRIO, SOLUZIONE” CONTENITORE DA 10 ML - 9. DATA DELLA PRIMA AUTORIZZAZIONE/RINNOVO DELL’AUTORIZZAZIONE Data della prima autorizzazione: 24/10/2017 - 10. DATA DI REVISIONE DEL TESTO Maggio 2018 CLASSIFICAZIONE AI FINI DELLA RIMBORSABILITÀ, CLASSIFICAZIONE AI FINI DELLA FORNITURA E PREZZO collirio, soluzione» contenitore da 10 ml A.I.C. n. 045392038 Classe di rimborsabilità: C.


NORME PER GLI AUTORI GIORNALE ITALIANO DI

I manoscritti devono essere inviati alla Redazione ai seguenti indirizzi: simone.donati@uninsubria.it I contributi possono essere redatti come: Articolo originale. Il manoscritto deve rappresentare un contributo originale all’argomento trattato. Saranno valutati manoscritti inerenti la diagnostica, la patologia e la terapia medico-chirurgica delle malattie vitreoretiniche. Abstract: deve contenere un massimo di 2500 caratteri spazi inclusi e deve es­sere così strutturato: Scopo del lavoro, Materiali e Metodi, Risultati, Conclu­sioni. I1 manoscritto deve contenere un massimo di 25.000 caratteri spazi inclusi e deve essere strutturato come segue: Introduzione e scopo del lavoro, Ma­teriali e Metodi, Risultati, Discussione, Conclusione, Bibliografia, Figure, Tabelle. Caso Clinico. Il manoscritto deve riportare la descrizione di uno o più casi clinici di particolare interesse sulla diagnostica, patologia e terapia delle ma­lattie vitreoretiniche. Abstract: deve contenere un massimo di 1000 caratteri spazi inclusi e deve essere così strutturato: .Introduzione, Descrizione del caso clinico, Discus­sione, Conclusioni. Il manoscritto deve contenere un massimo di 15000 caratteri spazi inclusi e deve essere strutturato come segue: Introduzione, Descrizione del caso cli­nico (o più), Discussione, Conclusione, Bibliografia, Figure, Tabelle. Editoriale. Il manoscritto può essere proposto o anche richiesto su invito dell’Editorial Board. Deve essere strutturato come lo sviluppo di un tema di particolare interesse o attualità. Il testo deve contenere un massimo di 25000 caratteri spazi inclusi. Review. Il manoscritto può essere proposto o anche richiesto su invito del­l’Editoria! Board. Il testo deve trattare un argomento di particolare attualità ed interesse sulla diagnostica, la patologia e la terapia medico-chirurgica delle malattie vitreoretiniche. La review deve presentare lo stato dell’arte delle conoscenze sull’argo­mento, analizzare le differenti opinioni sul problema trattalo, essere aggior­nala con gli ultimi dati della letteratura. TI testo deve contenere un massimo di 25000 caratteri spazi inclusi eri essere corredato di abstract per un mas­simo di 2500 caratteri spazi inclusi. Norme generali. I manoscritti dovranno essere completi di un abstract in italiano e in inglese e corredati di 3-4 parole chiave (in italiano e inglese). I manoscritti dovranno essere inviati in formato word (.doc), dattiloscritti con spaziatura doppia e margini di 2,5 cm. Nella prima pagina di ogni manoscritto dovrà essere indicato il titolo, che dovrà essere breve e descrittivo. A questo seguirà l’elenco degli autori: per ogni autore dovrà essere indicato il nome e il cognome per esteso, la quali­fica e l’affiliazione. Infine dovranno essere indicati i dati dell’autore corri­spondente. I manoscritti devono essere accompagnati da una cover letter indirizzata al­l’Editorial Board, corredata dei dati identificativi dell’autore corrispon­dente (nome, cognome, indirizzo, e-mail). La lettera dovrà, inoltre, indicare chiaramente che il manoscritto finale è stato approvalo da tutti gli Autori. La redazione si riserva il diritto di

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apportare eventuali modifiche, qualora fosse necessario, previa comunicazione all’Autore. Figure, grafici, tabelle. Le figure, le tabelle e i grafici devono essere cor­redate di titolo e breve didascalia. Le didascalie devono essere elencate in­sieme dopo la bibliografia. Le figure, le tabelle e i grafici devono essere nu­merati in ordine progressivo nell’ordine di citazione nel testo. Dopo l’ac­cettazione del lavoro, le figure saranno richieste anche in formalo jpeg o tiff con una risoluzione minima di 300 dpi. Per figure, disegni e grafici ripresi da opere già pubblicate occorre menzio­nare la fonte originale; la loro riproduzione sarà effettuata sotto la respon­sabilità degli Autori i quali, tranne che per documenti di pubblico dominio, devono essere in possesso della necessaria autorizzazione. Qualora si uti­lizzino fotografie di pazienti, questi non dovranno essere identificabili, op­pure l’immagine dovrà essere seguita dalla dicitura che «ne è stato consen­tito l’uso» e l’Autore ne è legalmente responsabile. Conflitto di interessi. Occorre riportare nel lesto eventuali conflitti d’in­teresse per contributi ricevuti per lo svolgimento del lavoro. Bibliografia. I riferimenti bibliografici devono essere numerati di seguito, nell’ordine in cui essi vengono menzionati per la prima volta nel testo. Essi devono essere individuali nel lesto, nelle tavole e nelle legende con numeri arabi tra parentesi in apice. I riferimenti bibliografici presenti solo in tavole o in legende di illustrazioni dovrebbero essere citati per esteso e non inseriti nella bibliografia dell’articolo. Osservazioni non pubblicate e comunicazioni personali non possono essere usate come riferimenti bibliografici; riferimenti riguardanti comunicazioni scritte possono essere inseriti tra parentesi nel testo. Articoli accettati, ma non ancora pubblicati, possono essere inclusi tra i riferimenti bibliografici indicando il giornale/rivista ed aggiungendo «in corso di stampa» (tra pa­rentesi). I riferimenti bibliografici devono essere verificali dagli Autori con le docu­mentazioni originali. Elencare tutti gli Autori se in numero di 6 o inferiore a 6; se 7 o più elencare solo i primi 3 seguiti da «et al.» come nell’esempio che segue: 1) Spears JR, Henney C, Preevski P, et al. Reperfusion micro­vascular ischemia attenuated with aqueous oxygen infusion in a porcine co­ronary occlusion model. Circulation 1999;100:512-5. Avvertenze. l vocaboli in lingua straniera e in latino dovranno essere scritti in corsivo (salvo diversa indicazione degli Autori). In tutti i casi in cui appare un’abbreviazione nel testo (come per gli acronimi), questa dovrà es­sere preceduta dalle parole per esteso, salvo il caso di simboli o unità di mi­sura standard. La redazione si riserva il di ritto di apportare al testo modifiche di uniformità grafica-redazionale. I manoscritti respinti non saranno restituiti, ma, a richiesta, sarà restituita l’iconografia allegata. I lavori che non rispettino le norme sopra indicate sa­ranno restituiti agli Autori.


Aspetti non convenzionali della patogenesi del glaucoma Sergio Claudio Saccà – Alberto Izzotti

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Redazione: Via Petitti 16, Milano FGE srl − Regione Rivelle 7/F − 14050 Moasca (AT) - Tel. 0141 1706694 – Fax 0141 856013 - e-mail: info@fgeditore.it − www.fgeditore.it


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IV - Volume X - 1/2018


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