LA FILOSOFIA DI GIOVANNI GENTILE

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LA FILOSOFIA DI GIOVANNI GENTILE

SECONDA EDIZIONE RIVEDUTA E AMPLIATA

STERLANIETCHARITAT

EMILIO CHIOCCHETTI
MILANO LACCIO SOCIETÀ EDITRICE VITA E PENSIERO GF

795 GEN 22 CHIOC and

AL CARO AMICO

E COMPAGNO DI STUDIO P. ORAZIO DELL'ANTONIO

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EMILIO CHIOCCHETTI O. F. M.
VERITATI Z CHARITAS SOCIETÀ EDITRICE - VITA E PENSIERO, MILANO
LA FILOSOFIA DI GIOVANNI GENTILE

INTRODUZIONE

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Nella interessante prolusione ad un corso di filo sofia teoretica, tenuta nella R. Università di Napoli il 28 febbraio 1903, diceva, con nobili parole, il Gentile: << Lasciate che, incominciando, vi dichiari candida mente, che, entrando in questo tempio della scienza, provo oggi una commozione che somiglia a quella del pellegrino, il quale, giunto innanzi al Sepolcro per quella fede che ve l'ha condotto, non vi trova già una tomba, anzi il principio stesso di ciò che per lui è vita. Nelle aule gloriose di questo ateneo sento aleg. giare lo spirito del filosofo che non conobbi, ma di cui il discepolo mi parlava, e dalla sua presenza, traggo gli auspici del mio insegnamento e, spero, la forza per sostenerlo » . (1) Il «filosofo era Bertrando Spaventa, il «discepolo» Donato Jaja, ambedue, com'è noto, hegeliani, il primo come «instauratore della fi losofia scientifica nell'Italia contemporanea» cioè co me padre del nuovo hegelismo, il secondo, come as

(1) Pubblicata in Saggi critici, Napoli, Ricciardi 1921: p . 2.

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sertore energico e insuperato, della realtà come auto coscienza.

Fu lui, il Jaja, che « a giorno a giorno » inizið Giovanni Gentile « alla speculazione difficile e sdegno sa d'ogni facilità, che nella scuola dello Spaventa era stata ampiamente illustrata e difesa contro le dottri ne opposte » . E al Gentile pareva che Donato Jaja, mentre gli insegnava la dottrina hegeliana con l'entu siasmo dell apostolo, « gli ponesse nelle mani una fiac cola sacra » . (2) Del Jaja, suo maestro, il filosofo del l'idealismo attuale, ci ha detto i tratti caratteristici co sì : « Tutta la sua vita speculativa fu una ricerca; una ricerca mirante a risolvere il concetto della natura nella stessa attività dello spirito e a dimostrare come dal seno stesso di questa attività sorgesse il concetto d'una natura base e condizioni di essa. La ricerca ri mase sempre una ricerca; e la soluzione da lui non fu trovata. Ma il suo grandissimo merito consiste ap punto nell'avere acuito la coscienza del problema, nel l'avere luminosamente provato che questo è il vero problema, e che esso, sinceramente e profondamente scrutato, genererà la sua soluzione, come è proprio di tutti i problemi ben posti. Donde la ede che gli scaldava l'animo quando si sforzava di comunicare altrui il suo pensiero, quella fede che sorge nel sen tirsi, per così dire, a contatto della verità. Perchè in nessun filosofo mai, nè pure nel mistico più ferven te, lo spirito sentì, come nel Jaja, quel possesso inti (2) Op. cit. p . 2.

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mo della verità, che lo scettico mette in dubbio; nes suno, fino al Jaja, penso come pensd lui, che la conoscenza della realtà fosse la stessa coscienza di sè di essa realtà, che si realizza in questo acqui stare lacoscienza del proprio essere. In tale intuizio. ne, c'è, sì, l'unità mistica del pensiero e dell'assoluto, ma un'unità che non presuppone la dualità da cui muove il mistico, nè ha bisogno però di negare uno dei termini del nensiero. Che anzi è la celebra zione del pensiero come la natura propria dell'asso luto » . (3) Il Jaja, che approfondisce tutti questi con cetti dietro la guida dello Spaventa e che trova la soluzione radicale del problema unico, si chiamerà domani Giovanni Gentile. Il quale, attraverso il Jaja va ad affissarsi nello Spaventa. Il suo « autore » è lui. Da lui prende, più che dal Jaja, come vedremo, il problema, da lui lo spirito e spesso anche la lettera della soluzione. E annunziando, in questa stessa pro · lusione, la « Rinascita dell'idealismo»), (4) dicendoci a larghi tratti in che cosa questo idealismo consista, il Gentile ha sempre fisso l'occhio in colui che è, a sua convinzione, il punto di sbocco di tutta la filosofia, Bertrando Spaventa, che ha tentato, fra tutti primo, di mostrarci nella storia del pensiero italiano tutta, o quasi, la storia del pensiero europeo, e viceversa, ini 0 (3) L'esperienza pura è la realtà storica, Prolusione al corso di filosofia teoretica, 1914, Libreria della « Voce » Firenze, 1915, pp. 13-14.

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(4) È questo il titolo della prolusione del 1903.

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ziando quello studio critico, tutto fuso colla specula zione, sullo svolgimento e sul valore intimo dei vari tentativi di sciogliere il problema dell'esistenza, che costituisce lo spirito profondo di ogni dimostrazione, ed è, sotto il nome di « Storicità » della filosofia, uno dei caratteri più spiccati della proclamata « Rinasci ta » dell'hegelismo e segna il principio della dissolu zione e della risoluzione di questo in un hegelismo nuovo, che verrà compiuto dal Gentile.

E rinascita vi fu davvero, e vasta e potente. Lo Spaventa nel 1850 aveva scritto : « E ' avvenuto che al cuni in Germania, e moltissimi in Francia e tra noi, hanno affermato, che non solo la filosofia hegeliana, ma tutta la filosofia alemanna abbia cessato di esi stere, ed appartenga ad una coltura già morta; come se lo spirito, a somiglianza dell'individuo particolare nelle sue produzioni finite, ne creasse in ogni anno un nuovo universo. Una tal morte apparente della fi losofia alemanna è il cominciamento della esistenza nel mondo reale, che essa penetra, informa e rinno va ». (5) 53 anni dopo il Gentile affermava: « Quel pensiero (di Hegel) è vivo, intatto, nè contro di esso vi è stata altra critica che quella, la quale s'è fondata sulle sue più false interpretazioni, o s'è indirizzata ad alcuno dei suoi punti meno importanti ed essenziali. S'è detto che la nostra dottrina era morta e seppelli ta, ma a me pare che questa dottrina, dopo morta, (5) Cito dallo studio del GENTILE sullo Spaventa, La Critáca, A. XI, fasc. V, p. 368.

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sia più viva di prima ». (6) Noi sappiamo quanto pas so abbia fatto in Italia, da quel giorno, la dottrina hegeliana, rimessa a nuovo, e come s'imponga, quin di, da parte nostra il dovere di affrontarla e di op porle filosoficamente i nostri principii. Poichè l'idea lismo italiano non è, per noi, soltanto una filosofia agli antipodi della nostra, ma anche, e appunto per questo, una filosofia che tende, per sua intima natu ra, a liquidare la fede, a sostituirsi alla religione. Col la negazione sistematica di ogni dualismo di natura e spirito, di finito e infinito, che porta con sè la con cezione della divinità dell'Uomo; colla teoria centrale della realtà, cioè della verità, come divenire, come qualche cosa che non è, ma si fa, viene minato alle basi il pensiero tradizionale e dichiarata impossi bile ogni rivelazione, e, conseguentemente, ogni fede soprannaturale. « Non si venga ad annunziare ha scritto Gentile che fides et scientia osculatae sunt: questo bacio la scienza non lo darà mai alla fede, essendo questa la sua mortale nemica. E dico mor tale, perchè l'immediatezza della fede è l'assoluta ne gazione di quella ». (7) E altrove: « La filosofia del lo spirito subordina la vita della scienza alla morte della religione ». (8) La nostra filosofia, invece e al contrario, subordina la vita della scienza a quella del religione. Ma questa subordinazione bisogna dimo

(6) Prolusione citata (1903) D. 3. (7) La Critica, A. I, fasc. III, p. 210. (8) Op. cit. A. I, fasc. I, p. 33. S

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strarla. Non ci si fraintenda. E' lontano ed estraneo da noi il pensiero di fare una filosofia con argomen ti di Fede o in funzione della Fede : come studiosi di filosofia ci affacciamo ad essa, iniziamo e prose guiamo le nostre ricerche, senza proclamare nè il Credo ut intelligam, nè l'Intelligo ut credam. I nostri grandi maestri, primo fra tutti Tommaso d'Aquino, ci hanno insegnato a cercare e sistemare la verità ra zionale con metodi e con argomenti cavati dalla ra gione e a fondare sulla ragione il sistema della filo sofia. Ma ci hanno anche insegnato e noi abbiamo sentito tante volte, con tutta l'umanità del presente del passato, l'evidenza del loro insegnamento che la stessa verità della ragione ci viene additando come possibile e come desiderabile una sfera intelli gibile diversa da quella che è il campo del nostro pensiero puro, il quale ci dimostra in mille modi, co me tutt'altro che irrazionale, l'idea di una teofania, di un'automanifestazione di Dio all'uomo distinta dal suo rivelarsi attraverso il velo delle creature. Non già che la ragione scopra ciò che deve esserle rivelato per essere conosciuto. Ma la conoscenza, la ragione, ci fa sentire e provare ogni momento la limitazione e la insufficienza pratica e teoretica delle nostre costruzio ni puramente razionali e ci mostra vive in tutte le fa si della coscienza storica dell'umanità le parole di Pietro a Gesù : « A chi mai andremo noi? Tu solo hai le parole di vita eterna! >> XII

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INTRODUZIONE
E, a rivelazione avvenuta, le stesse verità fonda mentali della ragione, sono vedute in una luce nuo va, e l'uomo vede spostati indefinitamente i suoi li miti conoscitivi e viene elevato e introdotto nella sfe 'ra di un ordine nuovo nel quale è nuova e più pie na la vita del conoscere e del volere. E noi non pos siamo permettere che il nostro nuovo orizzonte spi rituale venga, dalla negazione dell'idealismo, rico stretto entro i limiti della nostra ragione precristiana e pretestamentaria, che la certezza nuova si offuschi dei vecchi dubbi, che venga gettata, senza contrad dizione seria e ragionata da parte nostra, la scure al la radice di quella filosofia che, coi suoi dualismi , pud più delle altre dimostrare la possibilità della ri velazione; e ne illustra le verità nuove, dissipando le oscurità di cui i nostri avversari vorrebbero avvolger le avvolgono con apparato impressionante di argomenti, che non hanno consistenza, ma che possono turbare le le anime. Acquistata la CO scienza di questa feconda armonia di fede e di scien za, noi facciamo nostra senza riserva la mirabile for mula che la esprime : « Intelligo ut credam - Credo ut intelligam » . La coscienza, seguita fino in fondo, ci porta al limitare della fede, la fede dà nuovi slan ci allo spirito e muove a più alte prospettive intellet tuali e morali. Ecco, per dirla con un noto pensato re, perchè « è necessario scartare, mediante la Filoso fia, gli ostacoli che accumula, a torto indubbiamente, una filosofia ostile di partito preso, non già al conte XIII

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nuto di questa o quell'altra formula dogmatica, ma alla nozione medesima di rivelazione e alla possibilità e e utilità di ogni dogma definito. Si vuole che la filo sofia abbia la sua sfera propria e indipendente: la teo logia lo vuole con lei e per lei. L'una e l'altra esigo gono una separazione delle competenze; esse rimango no distinte l'una dall'altra, ma distinte in vista di un concorso effettivo : non adjutrix nisi libera; non libera nisi adjutrix, philosophia. La pienezza della filosofia consiste, non già in una presuntuosa suffi cienza, ma nello studio delle sue proprie impotenze e nei mezzi che, d'altronde, le sono offerti per prov vedervi » .

Nel presente lavoro non intendo trattare, beninte so, nè di questioni teologiche nè delle così dette im potenze della ragione: il mio studio vuol essere ed è strettamente filosofico e positivo, così nella critica del le teorie dell'idealismo, come nella esposizione dei principii fondamentali del nostro realismo tradiziona. le, sempre vivo nel suo magnifico sviluppo storico, da Platone e da Aristotele fino a noi, attraverso S. A. gostino e S. Tommaso; quel realismo che, sotto uno dei suoi aspetti relativi, contiene i preamboli raziona li della nostra fede.

Alla concezione idealistica del pensiero,e della vi. ta, la quale si risolve nella negazione di tutti i valo ri, opponiamo con viva coscienza della sua cresciuta vitalità, la concezione aristotelico-platonica, purifica ta, ampliata e rischiarata dalla coscienza cristiana di

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due millenni, assurta a sistema per mezzo dei grandi Maestri della scolastica, rafforzata e via via ammoder nata in virtù dei rapporti sempre più o meno vivi con tutte le filosofie e con tutte le esperienze della vita. Perchè filosofia della vita essa vuol essere, come siste mazione storica delle esigenze, dei valori, delle for ze che nella vita si dispiegano in mille forme . L'idea lismo attuale misconosce la più grande tra le forze che creano la storia, quella che è la ragione d'essere di tutte le altre : la religione. « L'hegeliano - dice il Gentile apprende nella sua filosofia che oltre di questa non c'è una religione » . Vedremo nel corso del presente lavoro a quale concetto manchevolissimo, irriconoscibile, l'idealismo deve ridurre la realtà reli giosa, per poterla risolvere nella filosofia; e bastereb be questa sola sua impotenza a risolvere nell'atto del pensiero pensante questa universale e grandiosa real tà spirituale, per farci toccare con mano la falsità dell'idealismo come sistema. « Un sistema filosofico ha scritto Giovanni Gentile non esclude nulla di pensabile dal campo della propria speculazione; e c'è filosofia in quanto il reale, alla cui intelligenza mira lo spirito, è il reale assoluto, tutto ciò che si può pensare » . Ebbene, vedremo quante cose esclude dalla propria speculazione, o, meglio, non può inclu dere nella propria speculazione, l'idealismo attuale; ma la sua inconsistenza, come sistema della realtà, sta specialmente nel dover escludere, per partito pre XY

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o e forzato dalle esigenze logiche dei suoi precon: cetti, la religione.

Il lettore intelligente, quando sarà arrivato in fon do a queste pagine sulla filosofia del Gentile, ci po trà dire, dove trovi maggiore razionalità e pienezza di vita : se nella concezione nostra o in quella dell i dealismo assoluto .

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Il metodo dell'immanenza »

La definizione corrente del metodo è sostanzial mente questa : « L'arte di condurre un intiero ragiona mento », o, più scolasticamente : « Habitus intellec tualis instrumentalis nobis inserviens ad rerum cogni. tionem adipiscendam » . Con più concisione la logica di Port-Royal lo definisce: «Ars bene disponendiseriem plurimarum cogitationum » . Tutte definizioni che si equivalgono e ribadiscono il concetto del metodo co me un complesso di norme da seguirsi nella ricerca della verità; e la Metodica o la Metodologica viene ad essere la scienza di esse; scienza normativa, si capisce, come avviamento del pensiero a trovare, a dimostrare e ad insegnare la verità, applicando ri spettivamente le regole del metodo inventivo o euri stico, del metodo dimostrativo e del metodo dida scalico o didattico. L'uomo che si accinge alle fatiche della ricerca scientifica e speculativa viene concepito

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dai patroni del metodo così inteso in atto di doman darsi: che via devo battere per trovare la materia del la scienza, o la verità materiale, da ordinare poi in sistema? e come, con qual processo, si forma l'unità sistematica, o si elabora il materiale in un tutto scien tifico ? Ebbene, il metodo che qui si vuol additare scrive il Gentile in uno dei suoi lavori più impor tanti non ha niente di comune con quelle concezio ni strumentali e canoniche della ricerca della verità, che da Platone fino ai nostri giorni sogliono acco gliersi sotto il nome di metodo. (9) E così riassume e conclude la storia del concetto del metodo, in rap porto al concetto nuovo che esso assume nel perfetto idealismo, in armonia' colla intuizione pienamente immanentistica dell'essere e del sapere: « Il metodo si è concepito sempre in una maniera opposta e con traddittoria a quella per cui noi parliamo di metodo dell'immanenza. Il metodo filosofico, anche nella filo sofia a tendenza immanentistica, è stato sempre il metodo della trascendenza >>. (10) La storia della filosofia da Platone a noi lo dimo stra. Uno sguardo alla filosofia del passato, che an dremo studiando, su questo argomento particolare, dietro la guida esperta di Giovanni Gentile, ci intro durrà nel cuore stesso dell'idealismo attuale. E poi

(9) G. GENTILE: Il metodo dell'immanenza nel volume: La riforma della dialettica hegeliana, X, p. 261; Messina, Principato, 1913. (10) Idem, op. cit, ivi.

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chè, prima di Platone, « manca la posizione chiara del problema e non c'è la preparazione del concetto sistematico che egli formulerà » , rifacciamoci da Platone.

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In Platone il metodo della filosofia è la dialettica. E che cos'è la dialettica? « La dialettica ci mette in grado di raggiungere la verità per il suo sollevarsi dalle cose sensibili e periture alle idee e a quel supremo princi pio, che è l'idea presupposta da tutte le altre, e che, come fondamento saldissimo di tutto il pensabile, tra sforma le ipotesi delle scienze particolari nella ferma realtà del sapere filosofico ». (11) In altre parole: col la dialettica noi, secondo Platone, riduciamo all'unità di concetto ciò che è multiforme e multiplo nella no stra esperienza dei fenomeni, e tra i concetti così ac quistati stabiliamo un ordine organico, che è un ri. flesso della unità oggettiva delle idee oggettive, non alterate da molteplicità e da mutazione, fra le quali primeggia l'Idea del bene, che è la vita e la luce di tutte le altre, poichè le fa essere ed essere conosciu te. Da questa definizione si capisce che per Platone, la dialettica « come scienza, non è la stessa dialetti ca' delle idee, onde tutte le idee si collegano tra di loro in una reciproca unione e si unificano nel loro supremo principio; ma soltanto quell'arte con cui de ve procedere nelle sue ricerche chi voglia rettamente indicare quali ideesi accordino con certe idee, o con quali idee non si accordino certe altre». Ma a que (11) GENTILE, op. cit. p. 262. 3

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sta dialettica, come puro processo soggettivo, corri sponde una dialettica oggettiva delle idee? Sì, corri. sponde, ma non come processo, sibbene come attri buto oggettivo della realtà. La dialettica oggettiva delle idee è una dialettica senza movimento, se per movimento s'intende divenire, dinamicità creatrice. Essa non è come quella del filosofo, un processus, una realtà in atto di prodursi: le idee non sono at taccabili dal fieri, essendo puri esseri, puri valori ar chetipi di ogni essere e di ogni valore : la dialettica platonica delle idee è un carattere intrinseco della ve rità, a cui la filosofia aspira: è il carattere onde le idee sono tra loro connesse, nel sistema del pensa bile, da mutui rapporti, per modo che ogni idea si unità di uno e di molti.

Dialettico, in senso platonico, è il pensiero in quan to identico scrive altrove il Gentile, mettendo in rilievo il noto radicale contrasto fra il platonismo e l'hegelismo. Nella totalità delle sue relazioni ogni idea, per Platone, è quella che è, nè è possibile che muti e si trasformi; e noi possiamo passare da un'i. dea ad un'altra, e integrare via via una idea iniziale con la cognizione dei rapporti cui dapprima non si sia pensato: ma questo movimento e processo nostro suppone la quiete, la fissità, la immutabilità dell'idea in sè, già illustrata dalla filosofia di Parmenide. Il ve ro pensiero è il pensiero pensato, come per sè stante, presupposto del pensiero nostro, che aspira ad ade.

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guarvisi. (12) Ora, questo concetto della dialettica im porta due cose: la immediatezza del pensiero, e, quindi, la negazione di ogni svolgimento, e la sva lutazione del metodo stesso. Il pensiero, per Platone, è tutto il pensiero a un tratto, ab eterno. La relazione è mera relazione tra conceiti e il carattere oggettivo della verità. Perciò la dialettica platonica, come scien za della relazione, è la dialettica del pensato « il cui presupposto fondamentale è la realtà o verità tutta quanta ab eterno determinata; in guisa che non sia più concepibile una determinazione attuale della real tà » . (13) Della dottrina platonica delle idee ha scritto, nella più bella delle sue opere, Rudolf Eucken : « Con tutto ciò che pud avere di problematico, la dottrina platonica delle idee dischiude una grande verità, che mai più si potrà disconoscere. E' l'affermazione di un regno della verità che trascende l'arbitrio umano, il convincimento che il vero valga non solo per il no stro assenso, ma indipendentemente da esso, in una sfera superiore ad ogni opinione e ad ogni umano potere. Senza tale convincimento non hanno sicuro fondamento nè la scienza nè la cultura; solo una ve rità che abbia valore per se stessa, può essere sor gente di leggi e di norme, che elevino, obbligandola, l'umana esistenza. E' questa l'idea fondamentale del l'idealismo; il quale così rimane per sempre associa (12) GENTILE, Teoria generale dello spirito come Atto Puro, terza ed ., p. 36-7, Bari Laterza, 1920. (13) La riforma della dial. heg. I, p. 6. -

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to al nome di Platone » . (14) Ma non è l'idealismo del Gentile, il quale, tutt'altro che condividere gli en tusiasmi dell Eucken per la trascendenza della verità tutta fatta, scrive : « Il progresso della scienza, in tal presupposto, non può essere che il vago sogno d'una ombra: un dileguarsi apparente di vane apparenze sen za consistenza e senza significato nell'immutabile sce. na, deserta d'ogni spettatore, del mondo » (15). Si potrebbe domandare se non è progresso della scienza umana la graduale scoperta della realtà eterna, della dialettica delle idee; se il filosofo, che scopre e in quanto scopre, seguendo la dialettica soggettiva, mol ti rapporti della verità eterna, nell'ipotesi che questa ci sia, non ha più scienza che l'uomo ignorante che quei rapporti non conosce; se penetrare nel pensiero pensato non è conquista dellarealtà, e, quindi, scien za, allo stesso titolo che è arte, arte vera, penetrare e immedesimarsi nella intuizione intuita dell'artista. Perchè deve essere verità solo il creare e non anche il ricreare, il conquistare razionalmente il già creato ? e perchè non vi può essere progresso in questa ri creazione? Perchè si deve chiamare « vano sogno di un'ombra » il sempre più perfetto e più vasto esem plarsi del sistema della eterna verità nel sistema dei nostri concetti? Ma procediamo.

Per Platone, dunque, il processo del pensiero non

(14) La visione della vita nei grandi pensatori. trad. p. 27, Torino, Bocca, 1909. (15) La rif. della dial. neg. I, 6.

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è il processo del reale, che è soltanto essere senza com mistione di non essere, identico assolutamente a se stesso : essere puro in quanto essere e non non-essere, in quanto essere e non pensiero. Ebbene: « L'essere che non è pensiero, ossia ogni essere inteso come l'antecedente del pensiero che solo presupponendolo pud pensarlo, è immediato, ancorchè cominci a rap presentarsi come mediazione, relazione, sistema, mo vimento, svolgimento, o sotto qualsiasi altra categoria che importi negazione dell'essere immediato » . (16) E sempre immediato ciò che non muta nè pud mutare perchè è già e non deve farsi. La dialettica platonica è, quindi, solo apparentemente dialettica, perchè essa è bensì sviluppo dell'unità attraverso la molteplicità nella mente dell'uomo, che aspira sempre ad una maggiore comprensione del sistema dei rapporti eter ni delle idee; ma, si noti: la realtà che si vuol co noscere dialetticamente è presupposta dal pensiero, che ha, quindi, davanti a sè la dialettica eterna im manente del mondo ideale. Delle due dialettiche qual'è - secondo Platone la vera, la degna di questo nome? Quella delle idee, si capisce, perchè solo in funzione di questa esiste la dialetticadella mente come ascensione ad essa. E le idee non realizzano l'unità, ma sono unità ;nè realizzano la molteplicità, perchè sono molteplicità : è nè per un verso, nè per l'altro hanno in se nessun principio di mutazione e di mo

(16) Sistema di logica, Vol. P. I, p. 97. Ristampa rive duta a corretta, Pisa, Spoerri, 1918.

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vimento. Perciò la vera dialettica è quella che non è più tale ». (17) Ma qui si corre troppo, a mio parere. La dialettica soggettiva o della mente umana che viene indefinitamente realizzando l'unità dialettica coll'inda gine sempre più larga dei rapporti delle idee, è inne gabilmente sviluppo e processo di formazione, che non cessa di essere tale per il fatto che la consistenza e l'oggettività dei nostri concetti hanno il loro fonda mento, la loro causa esemplare, nel mondo delle idee indipendenti da noi; come si può affermare che, con ciò, la mediazione propria dello spirito in quanto svol gimento si risolve nella immediatezza della realtà che gli si presuppone? Non si risolve nulla: la mente uma na resta sempre un progressivo ricreare in sè, in un si stema di concetti, la realtà eterna o il sistema delle idee, anche se il fondamento del valore dei concetti è da essi presupposto come esemplare. Io conosco davve un sonetto del Petrarca, se ricreo in me il tu multo di affetti che venne a sboccare nelle immagini che il verso crea, e tanto più di valore poetico avrà la mia intuizione, quanto più ridarà fedelmente l'ani ma ossia l'atteggiamento classico e romantico, fusi insieme, del Petrarca, che cred, palpitante di affetti trasparenti perle immagini, il sonetto. E io conosco il sistema di G. Gentile nella misura che so far mia, ricreare in me, la corrente del suo pensiero; e se la mia cognizione di esso, o l'idealismo attuale che, stu

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(17) Teoria generale dello spirito come Atto puro, ed. cit., p. 38.

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diando i monumenti del suo pensiero, ricreo in me, non è esemplato su ciò che è esplicito o implicito nella lettera e nello spirito di quei monumenti, si di rà che la mia esposizione è falsa, che ho svisato, e, quindi, non inteso l'autore che volevo far conoscere agli amici. Dunque il fondamento ultimo del valore delle mie conoscenze è presupposto da esse, come esemplare al quale tendo di adeguarmi. Ed è reale, è viva la dialettica del mio spirito ricreatore; è reale e viva l'opera di incremento del mio sapere, come processo che vuol diventar possesso, come perfettibi lità che tende ad adeguarsi alla perfezione assoluta. Non è meno dialettica quella dello spirito ricreatore di quella dello spirito creatore dell'idealismo attuale. Ma per il Gentile di questo solo si può dare vera dialettica, che possieda non un'ombra di valore, ma il valore vero, che consiste solo nella creazione. Ecco perchè il Gentile può affermare che il concetto.pla tonico del metodo « si regge sulcurioso presupposto della propria svalutazione », poichè « un tal metodo è via che conduce ad una mèta, in cuiè riposto ogni valore, e per cið stesso è di qua da ogni valore » . Infatti quelle idee a cui dialetticamente si sforza di pervenire il filosofo, sono, per Platone tutto : l'esse re, la verità, l'assoluto, fuori del quale non vi è nulla, e fuori del quale il metodo dialettico o lamen te dialetticamente pensante per raggiungere, in capo alla via da lei percorsa, l'assoluto nell'unità della sua molteplicità e nellamoltiplicità della sua unità, non

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può essere altro che questo nulla. (18) Così deve pen sare chi non può concepire la realtà del soggetto che come assoluta soggettività del reale. Se il soggetto è soggetto solo a condizione che crei, esso, tutta la realtà, si capisce che il soggetto è nulla se tutta la realtà è già bell'e creata. Ma noi chiediamo un'altra volta se è proprio nulla, non ha proprio nessun va lore l'attività che ricrea la realtà, o la mente che fa esistere in sè, o crea veramente a sè il reale, coll in tuizione e col concetto? Non ha proprio nessun va lore lo spirito, che, spiegando la sua attività conosci tiva, ritrae in sè, faticosamente, aspetti sempre più va sti della realtà concreta, che, esso non fa, ma scopre? Ritrarre non è attività allo stesso titolo che porre? Se il pensiero pensato fosse già pensato da me, già ricostruito, più o meno perfettamente in me,certa mente il soggetto, ripensandolo, non produrrebbe nul la di nuovo, rifarebbe vie già fatte e la sua attività sarebbe una vanissima ripetizione. Ma questo, nella vita dello spirito non ha luogo mai. Ripensare quel lo che non fu ancora pensato è attività nuova, posi zione di nuovi concetti e di nuova realtà concettuale che, prima, così com'è ora, cioè nei concetti che ora la pensano o l'hanno pensata, non c'era: mi pare evidente. Ma ritorneremo sull'argomento. Mi sono permesso di fare delle lunghe citazioni, perchè la critica del Gentile al metodo platonico è (18) La riforma della dial. heg., X, p. 263.

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o pone in (19) La rifor. della dial. hegeliana, X, 263.

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fatta da lui valere contro tutte le filosofie della tra scendenza. La critica si può riassumere in due paro le: ogni filosofia oggettivistica nega lo spirito. « L'es sére dello spirito non è altro che attualità, e il mi stico come il materialista, e in generale l'oggettivista che vede la realtà di contro a sè come un regno da conquistare, una lontanaterra promessa, non iscor ge altra realtà che quella che, se'l sappia egli o no, è presupposta dall'attualità e, quindi, la trascende » . (19) E certo lo spirito è attualità o attuosità; ma il con. cetto di attuosità non è necessariamente tutt'uno con quello di assoluta creatività; è attuale o attuoso anche lo spirito che ricrea, che scopre, che concepisce a sè sè una realtà presupposta, oggettiva. E' proprio nulla lo spirito che tramuta il materiale bru to, fornito dai sensi, in un sistematico corpo di co noscenza, che cerca il significato universale di ogni esperienza particolare, e che tutte le conoscenze rife risce all'Io, o a sè come persona, che di sè le im pronta e le colora ? Anche noi ammettiamo che lo spirito non è una lastra fotografica, per ricevere chec chè possa venire impresso su di essa, e restituire su domanda ciò che può avere ricevuto. Lo spirito è u na forza creatrice, è un centro dinamico che trasfor ma le sensazioni in intuizioni e queste in concetti, che interpreta il mondo in una serie di ritratti piuttosto che di fotografie. Non è attuale, non è attuoso lo spi rito così concepito, cioè lo spirito quale ci è delinea 11 -

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to nelle dottrine platoniche e aristoteliche e in quelle delle scuole derivate, nel corso dei secoli, da loro ? Torniamo al Gntile. Platone ha fatto scuola. Il me todo aristotelico è inquinato dello stesso errore che svaluta la dialettica dei « dialoghi » e di tutto il si stema platonico. Non ammette anche Aristotele un pen. siero oggettivo, come gerarchia delle forme della realtà e un pensiero soggettivo come coscienza di ta le gerarchia, dei quali il secondo dipende dal primo in cui ha la sua base e la sua giustificazione ? La realtà, la vera realtà o attualità dell'intelletto non è veduta da lui nel Noûs poietikos, che è poi il mondo intelligibile di Platone? Anche in Aristotele il presup posto della cognizione è la predeterminazione asso luta ed eterna del conoscibile assoluto, tutto perciò logicamente anteriore al processo conoscitivo. Il qua le deve, quindi, negare isè stesso, se tutta la real tà si esaurisce in codesto conoscibile. (20) Negare se stesso come attualità, come produttività. Noi diremmo: negare se stesso come assoluta attualità, come asso luta produttività. Anche per Aristotele, la scienza non forma, ma scopre i concetti e i rapporti essenziali che li lega in sistema : l'induzione e la deduzione colle gano insieme concetti già collegati in se stessi. La realtà è tutta fatta, è verità in sè indipendente dalla mente umana, e, quindi, fuori di ogni processo, sta tica e invariabile. Conseguentemente il metodo è via alla verità, insegna il modo di accostarsi, di confor (20) La riforma della dial. heg., X, p. 268.

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mami, di adeguarsi alla conoscenza oggettiva, cioè all'oggetto eterno, eterna e immobile verità, mondo intelligibile come organismo di concetti, anzi dei con cetti, in cui è presupposta la validità e la realtà, sì che se ne può far l'analisi e mettere in chiaro la co stituzione, osservando i nessi tra le singole parti e nell'insieme: non è questa la concezione della scien za che troviamo nell Organon aristotelico ? E non è l'Organon il complesso degli scritti logici di Aristotele, considerato come strumento per la scoperta della veri tà, come propedeutica della scienza, come metodo che è al di qua della scienza, cioè al di qua del valore e, quindi, per l'idealismo, privo di ogni valore? Schietto platonismo, come si vede. È vero che in Aristotele le forme non sono nulla di sostanziale fuori dell'indivi duo e non costituiscono, come per Platone, al modo che generalmente lo s'intende, un mondo intellegi bile separato dalla materia. Le forme, come pensiero del reale, immanenti nel reale sono legate alla materia nella sostanza, intesa come individuo. Le realtà, è, quindi, concepita come eterno processo, come natura che diviene, come essere e non essere, sintesi di mate ria e di forma. Ma la forma agisce come fine, cioè come causa attrattiva dello sviluppo della materia, solo in quanto ha il suo fondamento in una pura forma immateriale, che è il pensiero trascendente di tutti i pensieri, forma trascendente di tutte le forme, cioè scienza già attuata o processo eternamente compiuto, così che la natura va attuando un processo già attuato, va spiegando un pensiero già tutto spiegato in un or

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ganismo di idee, dove non esistono più rapporti da creare, dove tutto è provato, chiarito e sistemato nel l'intuizione infinita di Dio. - Laconclusione, nel sen - , so del Gentile, la s'indovina: la vera realtà è, quindi, incapace di processo; il processo al quale assistiamo è l'immagine spaziale e temporale della realtà che non diviene, non muta; un processo privo, come è chiaro, d'ogni valore, come, perciò, senza valore è la mente umana che ne segna le fasi irreali. Non è anche per Aristotele, come per Platone, legge dell'es sere il principio di contraddizione, che è tutt'uno con quello di identità? E come è possibilela mutazione e il processo là dove è negato il non essere e affer mata l'identità eleatica ? Il divenire non è forse unità di essere e non essere? « L'essere di Aristotele con chiude il Gentile - è il mondo delle forme, ossia il pensiero che non è certo l'astratta unità di Parmeni. de, ma, costituito che sia, esso non è nè meno uno nè meno immobile, in quanto non ci può essere altro che esso, nè quindi è possibile una sua qual siasi variazione, che importerebbe uscire da sè qual'è determinato » . (21). Ma, dunque, ci vien fatto di domandare, non è dinamica la concezione aristotelica della realtà ? Io non riesco a comprendere come la forma immateriale se parata, in cuitutte le altre hanno la loro ragione e il loro fondamento, « le dispicchi tutte » con Gentile (22) dal mondo naturale e tutte le sma

per dirla .

(21) La riforma della dial. heg., X, p. 271. (22) Sistema di logica, vol. I, p. 29.

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terializzi : le forme non restano realmente sempre im manenti nella materia, e il processo della realtà non è un continuo universale conato della materia verso la forma o una presa di possesso di quella da parte di questa? La forma oltre che carattere intelligibile o idea platonica immanente nella realtà, è anche cau sa che affatica le cose di mutazione in mutazione. E perchè si muovono le cose? Perchè sono imperfette, sono composte di potenza e di attoe tendono ad ap prossimarsi alla perfezione dell'atto puro; che, esso, non si muove, e che è come mètá verso la quale le cose tendono: suprema causa finale di esse. Così che nell'intimo cuore della realtàtroviamo quell'opposizio. ne di principii che è postulata dalla possibilità del moto, del processo : ogni essere è, nella sua costitu zione immanente, unità di materia e di forma, cioè im perfezione, non essere, ma anche, finalisticamente, mè ta che determina tutto l'atteggiarsi dell'essere, perfezio. ne, essere; ogni essere è parziale non-essere attrat to dall'atto puro verso un sempre più perfetto e me no impuro essere In questo senso, ma solo in que sto senso, la Forma suprema smaterializza le forme in feriori, che sono e restano sempre, sotto l'attrazione della Forma separata, cause seconde, materiali é im materiali insieme: materialiperchè affisse allamateria, immateriali perchè, finalisticamente, pervase dall'atto puro, che è, quindi, la ragione trascendente ultima del movimento. L'essere considerato in se stesso, in dipendentemente dalla sua causa finale, è quello che è : un misto di materia e di forma, di atto e di poten

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za e, quindi, imperfezione : cioè questo essere imper fetto che è anche il suo opposto; mentre l'esse re perfetto è, al contrario, forma assoluta, atto puro che esclude, nega, vince e supera il suo opposto, o l'imperfezione: ecco la scaturigine del principio di identità e di non contraddizione, che è il principio sovrano di tutta la realtà considerata in se stessa, ed a questa sola applicabile. Ma anche per Aristotele gli esseri imperfetti, che sono quello che sono, in rap porto poi alla causa finale, sono anche quello che non sono ed è inapplicabile ad essi, così considera ti, il principio di identità, che deve cedere il posto a quello di relatività. Dunque c'è una realtà che diviene, che è farsi, o processo o progresso; non è vana, non è ombra illusoria, quindi, la dialettica della mente u mana che ascende nella sistemazione, nella visione del molteplice nell'uno a misura che questa si com pi; la dialettica come ordo idearum che corrisponde all'ordo rerum, tutti e due non fatti, ma in fieri. C'è nel finito,perfettibile ma non perfetto, una dialettica, ontologica e logica, che non possiamo ammettere nel l'Infinito, tutto perfetto e quindi statico, incapace, per chè non bisognoso, di movimento e appunto per que sto capace di essere la causa finale di tutta la real tà : la immutabilità dell'atto puro, tutt'altro che im mobilizzare il reale commisto di atto e di potenza, è la condizione a parte post di ogni moto, di ogni pro cesso. Dicebene, interpretato così, il Bergson: « Une perpetuité de mobilité n'est possible que si elle est adossée a une eternité d'immutabilité. Si le mouvement 16

existe, si le mouvement se poursuit sans fin, c'est que le terme unique qui lui equivaut éminement est éternel » . (23)

Il concetto di una logica al di qua della filosofia, cioè della fisica e della morale, come propedeutica di esse, e, quindi, priva di ogni valore scientifico, co me ombra di un'ombra di scienza, cioè come pro cesso verso una scienza che presuppone il suo og. getto già bell'e formato, come precettistica o metodo logia per l'addestramento dell'uomo al lavoro, che non crea la realtà e la scienza, ma scopre una real tà già scientificamente organata, è evidente anche nella Canonica degli Epicurei e, in fondo, nella lo gica degli Stoici. E tutta la filosofia greca va neces sariamente a sboccare nel neoplatonismo « ultima e spressione della filosofia antica e, insieme, il più ricco e fruttifero legato che essa ha lasciato alla moderna, in questo sistema nel quale convengono tutte le con clusioni negative di una speculazione, che, presuppo nendo la realtà come unità che renda intelligibile il dato empirico, non può non collocare questa unità al di là della stessa intelligibilità, ossia della ragione e venir meno, quindi, all'assunto suo proprio di una realtà intelligibile » scrive il Gentile, (24) vedendo sempre nell'esistenzadi una realtà intelligibile trascen. dente, come ragione ultima della intelligibilità del dato o dell'esperienza, una minaccia di annullamento,

(23) L'évolution créatrice, sesta ed., p. 352. (24) Sistema di logica, ed. cit ., p. 30.

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filosofia di G. Gentile .

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anzi il vero annullamento della intelligibilità o razio nalità di questa. Si sa che Plotino, il rappresentante riconosciuto del neoplatonismo, nega, non soltanto la dialettica o il processo della vera realtà, ma anche quello della mente che aspira ad adeguarvisi. Non c'è più posto neanche per questa apparente media zione, come la chiama il Gentile : tutto è immedia. to, così l'essere come il conoscere Nella filosofia di Plotino « il metodo, come processo soggettivo per raggiungere la verità, veniva ad essere schiettamente negato, per cedere il posto al misticismo » . (25)

La realtà profonda e divina l'uomo secondo Plotino non la fa, non la scopre neanche, ma gli si rivela « Bisogna rimanere in pace finchè Egli ap pare, e rimanere immobili nella contemplazione come l'occhio che attende il sorgere del sole » ha detto Plotino. L'intuizione immediata è l'organo del sape re; il centro della vita non è l'uomo, ma la divinità, l'Uno, l'essere che è puro essere senz'altra determi nazione. L'ascetismo platonico sbocca nel misticismo; che è l'utima parola della filosofia greca.

E il concetto del metodo è intrinsecamente con nesso con quello dello spirito, anzi della realtà tutta, come si vede, da quanto andiamo svolgendo. Se tut to è spirito, e lo spirito, tutto lo spirito, è soggetto che non è per l'oggetto, ma che crea, esso, l'oggetto e nell'oggetto immane; se è attualità come creazione della realtà concepita a sua volta come progressiva (25) La rif. della dial. heg., p. 276.

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attuazione di esso; se lo spirito umano, che è tutto lo spirito, è atto, atto in atto, atto atto che si compie, il metodo sarà, non processo verso la verità, ma lo stesso processo della scienza, la formazione, lo svol gimento, lo sviluppo della scienza, cioè della realtà, il realizzamento dell'attività poetica, scientifica, prati ca, il realizzamento di tutta l'attività spirituale, che è tutta in tutto, e non è concepibile una propedeutica della scienza che non è, ma si fa, che non è fatto, ma atto' sempre nuovo, libero e, quindi, imprevi dibile e assoluto. Il metodo come propedeutica é in. timamente connesso col concetto della scienza già fat ta, della realtà oggettiva trascendente che l'uomo de ve scoprire con un processo soggettivo, seguendo cer te norme strumentali prescientifiche « Quindi lo stru. mento del sapere attuale, ridotto a una semplice fun zione dialettica d'analisi e di ripetizione, non può es serese non il sillogismo, che presuppone le premes se in cui le conseguenze sono già implicite » . Quindi - continua il Gentile anche il principio di autori-.. tà, poichè il valore del pensiero non consiste nel suo atto, ma nella base che esso presuppone e non po ne. Quindi il macchinoso formalismo, onde il pensie ro in atto si industria e s'adopera attorno al vero pensiero, che non deve nascere nè svolgersi, ma c'è tutto intero, infinito, e per sforzi che la mente del filo sofo faccia di chiuderlo dentro a una Somma ponde rosa, rimane, per definizione, trascendente l'elabora zione scientifica che possa farsene. Quindi la scien 19

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la (26) Sistema di logica, vol. cit., p. 36.

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za ridotta a commento (26), e, quindi, concludiamo noi, lo svalutamento totale del conoscere nella filo sofia scolastica, che il Gentile ci è venuto descriven do. Vedremo sotto se è proprio vero che il concetto del metodo strumento sia essenzialmente congiunto con una filosofia dualistica che ammette la trascen. denza dell'oggetto. Per ora ci limitiamo a osservare che la filosofia, nella scolastica, e nei sistemi dualis. stici in generale, non è commento, ma scienza, e che anche per noi il valore del pensiero consiste nel suo atto, nell'atto di cogliere la realtà com'è in se stes sa. L'atto è vero o falso, ha valore o è privo di va lore, secondo che si svolge secondo i principi asso luti del pensare, che lo informano e sono, quindi, immanenti nel pensiero, o da essi devia; e a secon da che il mio atto può o non puó entrare nel siste ma o nell'unità dei concetti, che, seguendo i princi pi, ho conquistato, conquistando, con ciò stesso realtà unificata, in sè, dagli identici principi come leg ge del reale. E in questa ricerca, in questa tramuta zione della realtà in sistema concettuale, il principio d'autorità non c'entra nè punto nè poco. Il sistema dei concetti nasce e si svolge per la forza del pen siero, per la graduale conquista delle relazioni che legano in uno gli esseri : e la conquista è frutto di percezione e di dimostrazione. La nostra ricerca, il nostro porci problemi e il nostro travagliarci attorno per scioglierli secondo gli infallibili principi della ra 20

gione che la informano; le nostre discussioni intorno all'uno e ai molti, allo spirito e alla natura, all'astrat to e al concreto, all'individuo e all'universale ecc. ecc., sono, in sede filosofica, tanto indipendenti dal prin cipio di autorità quanto la ricerca e le discussioni di Giovanni Gentile. La scolastica presuppone la realtà immediata, non con un atto di fede verso un'autorità, ma per la fede nella percezione immediata. L'autori. là non c'entra. Noi quella fede dobbiamo mediarla, cioè tramutarla da fede in tesi dimostrata, e l'autorità c'entra ancor méno. E la ricerca dell'esistenza di Dio, che è uno dei termini d'un'altro nostro dualismo, non è, in sede filosofica, affatto pregiudicata dalla fede in Dio, poichè procede secondo principi strettamente ra zionali, e guidati esclusivamente da questi indaghia mo se nel finito ci sono indizi di un Infinito, se i rap porti immanenti degli esseri sono sufficienti a spiegar. ne la natura e le manifestazioni o se, oltre i rapporti, immanenti, non si debba ammettere, a completarne la scienza,un rapporto immanente-trascendente, un prin cipio trascendente di unificazione dell'immanente. Il neoplatonismo,ossia la contemplazione e l'estasi come organo del sapere, non risolve in sè che un lato della filosofia greca, anzi un lato solo della filosofia di Plato ne: il resto, cioè molto di Aristotele e buona parte di Platone, rivive più o meno trasformato in tutte le filo sofie venute dopo di loro, perchè contiene gli aspetti fondamentali della ragione che cerca di concettualizza re e sistemare la realtà, e una fede profonda nella po tenza e nella grandezza dello spirito umano. E' tutta

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greca e sta a fondamento del compito imposto alla vita l'idea fondamentale di ogni filosofia, che, cioè «la vita spirituale svolgendo le proprie forze soggio ga la natura e la plasma riducendola ad un'espres sione propria», (27) l'idea della conoscenza penetran te e della creazione plasmante, che trasformi in ordine il caos dei fenomeni superficiali; com'è tutta greca, l'aspirazione verso una realtà essenziale ed eterna che dia solido appoggio alla nostra attività conoscitiva e pratica. La dialettica del soggetto è una presa di posses so di tutta la gerarchia delle forme che vanno pla amando la realtà, e questa presa di possesso è crea zione spirituale, perchè « lo spirito e la verità non ci si pongono come dati o cose già fatte, sibbene na scono dal contatto dei nostri sforzi colla ragione del l'universo. La forma più alta di coscienza è l'intui zione, ma « intuire non significa, qui, apprendere pas sivamente un oggetto esteriore, ma un incontrarsi fe condo dell'attività nostra con la cosa contemplata in un contatto vivente, per cui dall'una all'altra incessan. temente si trasfonde la vita » . (28) Altro che svaluta mento del soggetto! Noi ricreiamo, conoscendo, la realtà che Dio, conoscendo, ha creata, cioè riaccia. mo in noi l'opera di Dio. È troppo poco per l'uo mo? Avremo modo di tornare sull'argomento.

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(27) R. EUCKEN, La visione della vita nei grandi pensa tori, trad. cit., p. 134. (28) Idem, op. cit. p. 28, 29.

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Sulle rovine del mondo greco sorge il mondo cri stiano, e nel cristianesimo, troviamo per la prima vol . ta il concetto dello spirito come libertà, ci ripete in quasi tutti i suoi libri Gentile. In uno di essi scri ve: « La realtà cristiana è la realtà morale dell'uomo che si redime dal peccato, e realizza perciò la volon tà di Dio, già divisa dall'uomo e concentrata in sè per la conoscenza ebraica: essa non è fatta mai, ma si fa da sè sempre. Non c'è più il fatto, ma c'è l'atto. Non ci sonopiù le cose, ma l'amore che è la vita del lo spirito e creazione della vera vita » . E, trasporta to dall'amore per il suo concetto, continua: « Il cen tro dell'uomo non è più fuori di lui, nella natura di stesa nello spazio, ma in lui, nella sua coscienza rac coltà nell'unitàimmoltiplicabile di se stessa, e che da se stessa nella sua attualità si pone ». E altrove: <<Fiat voluntas tua, dice la nuova preghiera, poichè comin cia a vedersi che questa volontà non è già fatta, non è quella natura che, come presupposta dallo spirito, è il factum . La volontà divina ora deve farsi, e farsi in terra come in cielo; farsi nella volontà umana. Il mondo pertanto non è più quello che c'è, ma quello che ci dev'essere, non quello che troviamo, ma quello che lasceremo, quello che è inquanto con l'energia del nostro spiritolo facciamo essere». Mi perdoni il Gentile madavanti alla sua esegesi non posso trattenermi dal domandarmi: siamo filosofi o teosofi ? - Il Gentile : continua : « Questo nuovo spirito, di cui si desta viva la coscienza, non è più intelletto, ma volere» . E a mo strare che il solo volere o la sola carità ha valore davan .

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ti a Dio, cita il noto passo di S. Paolo : « Si linguis hominum loquar » , con quello che segue, per poicon cludere : « Il vero conoscere, adunque, è amore che fa essere l'oggetto dell'animo nostro, laddove il sem plice conoscere lo presuppone. Alla conoscenza in tellettualistica puramente contemplativa, che era in A. ristotele la cima più alta dell'ascensione spirituale, sot tentra una conoscenza nuova, che è attiva, operosa, creatrice del suo soggetto, cioè di se medesima nel suo spirituale valore » . (29) Tutta la unilateralità di questa concezione del cristianesimo si farà chiara nel capito lo che consacriamo alla dottrina Gentiliana della reli. gione. Dato però questo concetto del vangelo primi tivo di Gesù, il Gentile ha pienamente ragione di ve dere cosi nella Patristica come nella Scolastica un de. plorevole deviamento dal cristianesimo originario. Se condo lui lo spirito cristiano si irrigidisce coi Padri e coi Dottori, dentro le vecchie forme del pensiero greco, e si viene perciò consolidando il concetto del metodo strumento, cioè del metodo della trascen denza. Ma col sorgere dell'Umanesimo e del Rinascimen to (30) si fa strada la concezione del nuovo mondo, (29) Sistema di logica, p. 34-5. (30) Così distingue molto bene l'uno dall'altro il GEN . TILE : « L'Umanesimo è la preparazione o se si vuole l'i. nizio del Rinascimento. Tutti e due indicano il distacco dell'età moderna dal Medio Evo, per ciò che riguarda il concetto dell'uomo. Ma mentre l'umanista si restringe tutto nello studio e nella celebrazione di quello che e stret tamente umano, l'uomo del Rinascimento gira intorno lo e

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prennunziato dalla fede cristiana nell'affermazione del « bisogno d'un pensiero più intimo e pienamente con scio é responsabile del proprio valore come celebra zione di vita nuova. L'immanentismo del Rinascimen to... continua il movimento degli umanisti e mira, non a ritornare a quella natura, su cui s'era steso quel mon. do ideale trascendente platonico -aristotelico, risorto e perpetuato nella filosofia medioevale, ma a una na tura ringiovanita e rifatta perchè pervasa nel suo in trinseco da quel mondo ideale, in cui da Socrate in poi s'era inteso che sia da ricercare ogni verità » . (31) Anche nel nuovo platonismo e nel naturalismo della Rinascenza si celebra la natura, ma in questa natura è immanente il mondo ideale socratico-platonico, cioè l'essere e il valore della realtà eterna ed in finita, ma questa natura « culmina nell'uomo che sen te la propria dignità e potenza e divinità e partecipa insomma del senso della divinità e assoluta realtà del.. lo spirito, che era stato svegliato dal cristianesimo» (32) Così ci ripetono gli idealisti dell'assoluta imma nenza la natura e la vita dell'uomo sono rivendica te dall'aduggiante oppressione della realtà sopramon dana, non negata ma immanentizzata. E d'allora que sguardo fuori dell'uomo, e abbraccia conl'intelletto la to talità del mondo a cui l'uomo appartiene e in cui gli tocca a vivere. Così il punto di vistaumano diventa punto di vista naturale » . Vedere: Giordano Bruno e il pensiero del Rinascimento, Vallecchi, Firenze, VII, p. 244-5. (31) Sistema di logica, p. 37. (32) Op. cit. p. 38.

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sto pensiero cammina trionfante. È vero che col No. vum Organon di Bacone rivive il concetto del metodo. strumento per la scoperta della realtà, perchè anche in Bacone la natura sta di fronte alla mente umana ed è quello che è, e, quindi, oggetto di contempla zione. Ma dice Gentile esame profondo dell''opera baconiana ci mostra in essa anche l'abboz zo d'una logica che è una nuova filosofia, per cui il sapere non è fatto, ma da fare, non ci son pre messe da svolgere, ma un'instauratio da promuovere. E promuovere si può soltanto abbandonando la vec chia logica inutilis ad inventionem scientiarum, e il suo sillogismo che assensum costringit non res; e af fidarsi all'esperienza, cioè alla cognizione immediata del senso, in cui l'oggetto non è un presupposto, ma quel che consta al soggetto: un momento della vita stessa del soggetto. (33) Anche qui, veramente, si corre troppo. Il giusto metodo, secondo Bacone, non deve es sere come il ragno che tutto trae da se l'astratto ra. zionalismo, nè come la formica che soltanto am massa materiale l'empirismo volgare ma, simi le all'ape, dovrà in sè accogliere il materiale per quin di elaborarlo. L'oggetto è, dunque, presupposto. È ben vero che, per Bacone, nella scienza lo spiritoumano sta sotto l'influenza del senso, ma è vero anche che, se condo lui, non si conquista la natura che coll obbe dirla, e che nella scienza si tratta di spiegare la natura, non di prevenirla;si tratta di una interpretatio non di (33) Op. cit. p. 38-39.

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un'anticipatio, e che, sempre secondo Bacone, si de vono ritenere come assolutamente fallaci tutte le in tuizioni da noi involontariamente aggiunte alle cose. Come si può dire che, in Bacone, l'oggetto è un mo mento della vita del soggetto? La scienza o, meglio, la teoria baconiana del metodo parte, proprio come Platone e come gli Scolastici, dalla presupposizione che ci sia un certo numero di « nature semplici » che formano, collegandosi fra loro, la varietà dei fenome ni: lo scopo della scienza è precisamente quello di fissare queste « naturae simplices » o proprietà più semplici delle cose nella loro oggettività, cioè svesten dole di tutto quello ch vi metta o vi possa mettere di suo il soggetto. É vero che in Bacone troviamo qualche accenno abbastanza chiaro alla soggettività delle qualità sensibili, ma anche allora l'oggetto è sem pre presupposto come una causa di esse, e la scienza, l'ideale della scienza, è sempre degli oggetti, svestiti, secondo lui, di tutto quello che è soggettivo. L'espe rienza è l'oggetto del soggetto, quel che consta al soggetto,'ma il suofondamento e il suo valore non sono nel soggetto ma nell'oggetto distinto dalla vita dello spirito e fuori di essa, non momento, ma pro prio « oggetto » di essa, nel senso tradizionale della parola. Con ciò non si neya punto che Bacone, col suo atteggiamento ostile alla tradizione storica e al sapere apparente, verbale, e all'autorità, come venera zione del passato; colla sua affermazione della neces. sità di seguire nuove vie, di adottare un nuovo me

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todo, non accettato per autorità, ma trovato dalla ra gione messa a base di tutto il sapere, abbia fatto un passo notevole verso il soggettivismo, come celebrazio ne delle forze umane. Ma nella costituzione del me todo domina il più radicale oggettivismo. Egli ha vo luto foggiare un metodo rigorosamente obbiettivo e induttivo, dove non c'è posto per aggiunte che il sog getto faccia all'oggetto: lo spirito deve andare alle cose come un foglio immacolato, e seguire l'indiriz zo segnato dalle cose stesse. Le linee direttive non le dà l'attività dello spirito ma l'oggetto, del quale il soggetto deve accogliere nella loro purezza le impres sioni immediate. La scienza della realtà è già fatta, tut ta fatta, se l'uomo non può ricostruirla che obbeden do ad essa, che elaborandola senza mai perderla di vista quale si svolge nella sua oggettività. Questoe non altro vuole il Novum Organon di Bacone. Un passo notevole verso lo spirito di quella che si vuol chiamare « Filosofia moderna » , cioè verso l'i. dealismo, l'ha fatto invece il cartesianismo alle sue o rigini. E' vero che Descartes ci presenta la regulae ad directionem ingenii, cioè le norme da seguire per addestrarsi alla ricerca scientifica e filosofica, come un antecedente della scienza del resto già bell e for mata e, quindi, oggetto di contemplazione e per cid come metodo strumento; è vero che egli mecca nizza in forma quantitativa rigidissima la già rigida, sebbene qualitativa, realtà platonica, portandone l'an tispiritualità alle ultime conseguenze, cioè alle espres sioni del materialismo; ma è pur vero che con Carte 28

sio la filosofia è chiamata a fondarsi, non più sull'in tuito platonico della realtà, ma sullo spirito come at tiva coscienza di sè, come autoctisi, come attualità del soggetto; come sostanza che si pensa, e dicono gli idealisti mentre si pensa e in quanto si pen sa, si realizza, il cui essere, cioè, è una genera zione identica al generato. Secondo l'interpretazione idealistica del pensiero di Descartes, con questo filo sofo la realtà inizia nel soggetto e il suo essere e il suo sviluppo, tutti spirituali; nel soggetto e per il soggetto si afferma, si conosce, si sa; nel soggetto come autocoscienza, e, direttamene o indirettamente, come criterio fondamentale della certezza e certezza. La certezza non risiede più nella verità oggettiva, tra scendente, ma questa in quella, fatta immanente in quella. È la chiarezza e la evidenza del Cogito ergo sum, ossia del pensiero dell'Io attuale che si pone come essere, che sta alla base e nel cuore di ogni cognizione. Ecco - secondo gli idealisti -- il gran de, il più vero merito storico di Descartes. Fac ciamo qualche osservazione. Chi vuol trovare trova. Il fondamento della conoscenza certa, secondo Descar: tes, lo troviamo in noi, nella nostra attività pensante. L'attività « pensante » implica o contiene il soggetto pensante; lo contiene, non lo pone, esso non è un frut to nè di deduzione nè di mediazione, ma è un imme diato, un'intuizione immediata; non posizione, ma vi sione del soggetto, dell'Io. Il Cogito ergo sum è l'intuizione dell'unità di es sere e pensiero, come dato o fatto fondamentale della

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conoscenza; affermando, e in quanto affermo, la co scienza, affermo l'io, cioè nella affermazione della co scienza è implicita l'affermazione dell'io, è la coscien za ed è l'Io. L'unità di essere e pensare è un gene. rato, non una generazione; è, non si fa. L'essere non è il risultato di un processo, come vuole il Gentile. Egli scrive: « Una intuizione è quella onde Cartesio vede di essere, ma una intuizione, che non è imme diata... bensì risultato essa stessa di un processo.... Il pensiero, che è vero pensiero, deve generare l es sere di cui è pensiero: questo è appunto il significato del Cogito cartesiano: io - questa realtà che io sono : quest'io sono in quanto penso : lo realizzo, pensando, con un pensiero, cheè il pensiero (l'esatto pensiero) di me »). (34) Ma questo è Giovanni Gentile, non Renato Descartes, Per Cartesio essere e pensare sono due dati immediati, dei quali il secondo implica, contiene il primo : la loro certezza consiste proprio nella loro immediatezza assoluta, nella loro necessità immediata : se l'essere dell'Io non fosse un immediato che si im pone, ma posizione del soggetto, Cartesio dubiterebbe anche di esso, o porrebbe nella veracità di Dio il fondamento della certezza della sua esistenza; e Car tesio non sarebbe più lui; la sua caratteristica è, in fatti, di aver messo l'essere e il conoscere come due immediatezze interiori strette in unità indissolubile che sfidano ogni dubbio, perchè il dubbio stesso le con fermerebbe; e il progresso di Hegel su Descartes con (34) Teoria dello spirito, VII, p. 86.

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siste precisamentenel tentativo di mediare ciò che era immediato. È ben questa l'interpretazione giusta del principio cartesiano. « Cogito ergo sum » dice un seguace acuto di Hegel is simply the expression of the unity of being and thought. In saying: I am conscious» the « I » and the consciousness predica ted of il cannot be separated. In affirming the con sciousness we affirm the « I ». (35)

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Un dato dunque, un immediato. Il pensiero non po ne l'essere, lo constata implicito in se stesso, e l'unità di pensiero e di realtà nell auto-coscienza è il princi pio di ogni certezza. Non si dimentichi però, quan do si vuole accentuare il carattere soggettivo della cer tezza, la parte che, in Cartesio, ha Dio, come veracità infinita, nello sviluppo della coscienza in scienza.

Per ritrovare un notevole progresso nel concetto del metodo di immanenza dobbiamo venire a Spinoza. (36) Spinoza toglie il dissidio, supera la contraddizione car tesiana di un metodo, vestibolo della filosofia già bel l'e formata e la filosofia come pensiero creatore di ce il Gentile, che vede la creazione dove non c'è che constatazione o scoperta; lo Spinoza affermerà vi gorosamente la immanenza del metodo nella filosofia. Per lui il vero metodo. « che si viene perfezionando attraverso l'attualità dello spirito, è la vis nativa, il

(35) CAIRD, Spinoza, p. 96.

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(36) Vedere per tutta questa esposizione del pensiero di Spinoza in rapporto al suo metodo, specialmente la rie forma della dial. heg., pp. 282-8.

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DI GIOVANNI GENTILE

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dell'oggettivismo e quella dell'idealismo trascendenta. le. Lacritica dellaRagion pura prende ilposto dei trat tati del metodo della vecchia logica, dice benissimo il Gentile. Essa non pretende di essere l'organo della conoscenza scientifica, sebbene si presenti anch'essa come una specie di introduzione alla filosofia, come un esame preliminare dell'uso legittimo della cono scenza, che riesce alla negazione della metafisica, pur mentre si fonda su presupposizioni metafisiche della più bell'acqua. Anche Kant separa dommatica mente il conoscere dall'oggetto del conoscere e co struisce, come Aristotele e Bacone un metodo utile al rinnovamento della scienza, anteriore alla ricerca scien tifica; risorge, in una parola, anche nella Critica, la concezione strumentale del metodo. Senonchè la Cri tica è ben altro, nota il Gentile. E' la nuova metafi sica della mente, è il processo soggettivo trascen dentale della realtà conoscibile o fenomenica, me. diante quella attività sintetica a priori che scaturisce dall'appercezione originaria, una,onnipresente e on nipotente creatrice di tutti i nessi onde si costituice il sistema del così detto mondo « esterno » , come la qualifica un po' enfaticamente il nostro autore. (38) Con Kant ci si avvia risolutamente a concepire la realtà, non come il limite dello spirito, bensì come lo spirito che costituisce liberamente l'oggetto, come la concretezza del proprio essere: ed ecco Hegel a traverso Fichte e Schelling.

(38) La rif. della dial. heg., p. 291.

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filosofia di G. Gentile

Qual'è la novità metodologica di Hegel? Cioè: che cos'è il metodo nella filosofia hegeliana? Il metodo è der sich begreifende Begriff; il concetto che concepi.. sce se stesso : ossia la stessa idea (l'assoluto, la realtà) che, come alle Wahrheit, è sich wissende Wahrheit. (39) Tagliata, come pare a molii, alla radice ogni tra scendenza, colla risoluzione della realtà tutta nel sog getto che conosce, « llegel ha piena coscienza della identità di metodo e pensiero richiesta dalla sua pro fonda identificazione di pensiero ed essere, e del gran divario che corre come tra la sua dialettica e quella di Platone, così tra il suo concetto del metodo e il concetto comune » . Illustriamolo, dietro la guida del Gentile, questo concetto nuovo. « Il metodo di Hegel in tutta la sua meditazione, è la totalità del sapere, ossia il sistema stesso » . Dunque il vero metodo del l'immanenza? No, perchè nel suo metodo di filosofa re rimangono i più notevoli vestigi di trascendenza. Ilegel dà la mano a Platone. In Platone si affermano, come s'è veduto, due dialettiche, una delle quali è a scensione empirica alla seconda; in Hegel le due dia lettiche si rivelano nella distinzione della Fenomeno logia dalla Logica, cioè dell'autocoscienza fenomeno logica, che è sapere non assoluto, dall'autoscienza o pensiero assoluto: il processo dialettico della fenome nologia non è un processo dentro la verità, ma un processo alla verità « come metodo necessario di es (39) La rö. della dial., pp. 296-7. Vedi per gli altri passi messi qui sotto fra vigolette da p. 293 a p. 299, passim .

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sa: la quale non è concepita, perciò, come identica al pensiero, ma sopranuotante ad esso » . Ancora più evidente è il dualismo, la trascendenza, nella configu razione definitiva del sistema hegeliano, in quanto la logica è concepita come qualche cosa di esterno allo spirito, e questo come esterno rispetto alla natura. E siamo ben lontani dalla identificazione di logica e storia, e perfino di logica e storia della filosofia, dal momento che la logica è concepita come un a priori che trascende la storia; e il filosofo che concorre alla storia, deve apparire come un organo di conoscenza speculativa, come la dialettica a Platone e l'analitica ad Aristotele. Come si vede, la trascendenza, caccia ta dalla porta, torna dalla finestra. Se nella storia della filosofia c'è un pensiero che trionfa sempre, in tutti i sistemi, e malgrado tutti gli sforzi di at tenuarlo, e comne si dice, di inverarlo, dopo averlo negato, in una visione sedicente superiore della realtà, è proprio quello della trascendenza. Il nostro pensiero tende a qualche cosa che è di là del no stro pensiero, che è più del nostro pensiero, e che è concepito, non come atto che sorge sull'atto antece dente ed è superato dall'atto seguente, ma come atto perfetto o attualità compiuta di tutto il pensiero. Il che viene a dire che il nostro pensiero è radicalmente pla tonico, anche quello di Spinoza, anche quello di He gel, perchè tutti sentiamo che la dialettica della mente umana è, per dirla con Platone, il più alto dono de gli dei e il vero fuoco di Prometeo, proprio e sola

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mente perchè ci porta gradatamente alla visione della eterna dialettica della realtà. Non possiamo sradicare dallo spirito umano la convinzione che la forma più alta della vita intellettuale consiste, non nel processo ma nel possesso, nell'adeguazione perfetta di una men. te infinita a una realtà infinita, che è intelligibile e intelletta per e nella dialetticaeterna di un logoseterno. Questa convinzione fondamentale ne genera un'altra, non meno universalmente radicata : che il valore della vita del pensiero umano consiste nel suo graduale ap prossimarsi a quella forma altissima di possesso della verità, come adeguazione della mente all'essere. Il pen siero vero è esemplato su una realtà intelligibile che ne è l'oggetto ed è la ragione ultima di ogni verità : il mondo intelligibile di Aristotile e di Platone, in somma. E non è vero che la trascendenza importi la concezione del metodo come propedeutica del sape re, quindi anteriore al sapere. Il metodo, si dice, è la via alla verità. Ma se è davvero via alla verità, esso sarà, per ciò stesso, il complesso delle funzioni che si esplicano nel graduale conseguimento della verità; sarà analisi e sintesi, induzione e deduzione e dimo strazione. Più che via alla verità si dovrebbe definire « via della verità », o « via della conquista della veri tà ». L'attività razionale ha in sè, immanente, il suo metodo, come le piante hanno in sè il metodo del e per il loro sviluppo, come tufta la natura ha in sé, nelle sue viscere, la via per l'ottenimento del fine a cui è ordinata. Certo, a misura che acquisto della ve rità, posso comunicare ad altri, e fissare, fino a un

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certo punto per me, le vie percorse, come dopo es sere salito su l'una o altra delle mie Alpi Trentine posso segnare sulla carta le strade e i sentieri, e gli arrampicamenti fatti, ma è evidente che, prima di es sere arrivato lassù, non mi è possibile sapere come vi si arriva. E la via fissata vale certo a orizzontarmi, a non dover deviar troppo nella mia prossima escur sione su quella cima, ma è pure certo che io non ri farò mai la stessa via senza qualche mutazione di fatto d'itinerario, sicchè la via non è mai fatta, ma si fa e la fa sempre nuovamente colui che sale. Nel mondo spirituale la novità dell'atto è infinitamente più visi bile.M'avvio verso la verità; cioè: analizzo, sintetizzo, dimostro, per poi di nuovo analizzare, sintetizzare, di mostrare ; e attraverso e mediante queste ed altre at tività, e nella misura di esse, conquisto il vero, ricreo in me, concettualmente, la verità.

La via alla verità, è, quindi, un farsi, in me della verità, cioè nè più né meno che il sapere, il mio sa pere. E la realtà che tendo a rifare in me è sempre una realtà nuova, e sempre nuovo sono io che la ri creo: come è possibile, quindi, tracciare mai una via che lo spirito debba percorrere per raggiungere i suoi fini intellettuali, cioè la cognizione delle cose? Ogni processo spirituale realizza una via propria, si svolge secondo un metodo proprio.

Non si ripensa mai la stessa realtà, perchè ogni realtà particolare, che, per essere conosciuta, da fisica devé trasformarsi in psichica, s'individua sopra uno sfondo di realtà storico-umana profondamente diverso,

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GENTILE

cioè qualitativamente diverso, da quello sul quale si era individuata ieri o un'ora a, o un attimo fa, la stessa realtà spirituale particolare : poniamo il libro che ho davanii, la penna che mi serve a scrivere ecc. ecc.; che sono, poi, la stessa realtà oggi e domani e lo furono ieri e ieri l'altro solo a una considerazio ne superficiale e astratta. Come la realtà, oggetto del pensiero, è sempre nuovo l'atto cogitativo, il pensie ro pensante. Non insisto. Alla domanda : « come, con qual metodo, si trova, si conquista la verità? » non si può dare che una risposta : « pensando, pensando lo gicamente e concretamente. Il metodo è la logica del pensiero, nè più nè meno » . Dice bene il Gentile : « La metodica utile, ossia la metodica reale è sempre quella che si realizza in un dato processo spirituale. La metodica non c'entra se non come può entrarvi come la storia da rinnovare: come notizia di quel che altri hanno fatto; hanno fatto anche teorizzando, per che attraverso essa, ravvisandola, intendendola, noi veniamo quasi compiendo un ideale tirocinio » . Ed è anche evidente che questa metodica coincide col la filosofia, colla considerazione pensante della realtà, che è, insieme , tutte le anteriori considerazioni pen santi, cioè tutte le vie fatte prima di noi nella ricerca della verità. Tulte si capisce, non nel senso ecclettico, ma nel senso storico. Il metodo del realismo, secon do il Gentile, è quello di fronte al quale lo spirito si troverà in questa disperante alternativa : non sottostar vi et propter vitam vivendi perdere causas: poichè lo spirito vive solo a condizione di non riconoscere leg

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gi prestabilite, e non asservirsi per tal modo alla na tura, ma farsi lui la sua legge, il suo mondo libera mente; é d'altra parte, causa vivendi, ciò che costi tuisce il pregio della vita è quella celebrazione della realtà dello spirito, che si realizza nella scienza e quin di nel metodo di questa. O sottostarvi e allora prop ter causas vivendi perdere vitam: che è un'altra as surdità, poichè il pregio della vita non può valere se non nella vita (40)

Ecco : noi riconosciamo le leggi della ragione, aile quali tutti indistintamente dobbiamo sottostare, perchè sono la essenza stessa del pensiero, e le seguiamo liberamente, perchè la libertà è neila razionalità.

É seguirle è fare la scienza ed è attuare il metodo. La scienza umana, in quanto tale, non è fatta, mala fa chi ricrea, ricostruisce in sè in un sistema di con cetti la realtà : nel modo della ricostruzione, cioè nel , metodo di ordinare i concetti in unità, sta la scienza, e nella scienza, cioè nel sistema di concetti così e co sì ordinato, consiste il metodo, il metodo concreto della scienza concreta.

È necessario per affermare questo passare dalla scienza realistica alla scienza idealistica ? La scienza umana si fa, ma la realtà è fatta e c'è una scienza eterna di essa in Dio : questo il nostro platonismo. E la storia del metodo dimostra, che noi siamo na turalmente platonici, cioè atteggiati verso l'oggetto distinto dal soggetto, che il soggetto deve conquistare

(40) La riforma dell'educazione, p. 149.

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ed esprimere sistematicamente. E domani, nesono con vintissimo, o noi o altri dimostrerà che un secreto platonismo inquina per dirla cogli immanentisti anche la filosofia di Giovanni Gentile. Intanto è chiaro che la fisolofia da Platone al Gentile è, più o meno, filosofia di trascendenza. C'è il pensato come og. getto e come forma trascendente oggettiva del nostro pensare, che si fa, che si costituisce, che diviene. Ec co perchè Kant finisce col presentarci le categorie, che dovrebbero essere funzioni del soggetto, come idee, come modi dell'oggetto, giudicate come, anch'esse, oggetto di pensiero; ecco perchè Hegel tratta le ca tegorie come concetti da concepire, anzichè come con cetti da realizzare; come cogitata invece che come cogitatio. « e la Wissenschaft der Logik è per Hegel, il vangelo d'una legge extramondana, trascendente ogni filosofia come ogni processo storico, dello spi rito o della natura » . (41)

Il Gentile è convinto di avere instaurato lui, final. mente, e in tutto il suo rigore, la perfetta immanen za, col suo idealismo attuale, che si distingue dall i dealismo assoluto, « in quanto l'idea assoluta di He gel non risolve in sè realmente, malgrado il proposi to della sua filosofia, tutta la realtà, e non riesce a liberarsi dall'empirico, dal contingente e dall'irrazio nale » . Invece « guardato nell'attualità sua, il pensiero non si sdoppia realiter nel pensare e nel pensato, co scienza e oggetto di coscienza. Il pensiero è coscienza

(41) La Rif. della dial. heg., X, p. 299. . )

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di sè, di quel è che ei diviene in virtù della co scienza stessa. E però non c'è la filosofia che, ac quistando coscienza del logo, lo presuppone, ma la filosofia che con la dottrina del logo, crea que sto logo, e crea sempre un logo nuovo in ogni sua dottrina » .

«La logica non è altro che la vita stessa dello spirito, che non è un fatto positivo, comelapensanoi positivisti, ma un assoluto valore, perchè autoctisi e libertà » . « E il metodo dell'immanenza consiste nel concetto della concretezza assoluta del reale nell'atto del pensiero, o nella storia: attoche si trascende quan do si comincia a porre qualche cosa (Dio, natura, leg ge logica, legge morale, realtà storica come insieme di fatti, categorie spirituali o psichiche di là dell'at tualità della coscienza) che non sia lo stesso lo, co me posizione di sè, o come Kant diceva, l'Io penso. Il metodo dell'immanenza è il punto di vista e la leg ge dell'idealismo attuale » . « Questo metodo non è, e videntemente, un nuovo organo di conoscenza, ma un principio e insieme un desiderio di ulteriore conoscen za » . (42) Così si attua, finalmente, crede il Gentile, l'intima esigenza della sintesi kantiana, che è produzione di concetti e, insieme, dellaloro relazione, cioè pensie ro come atto del pensare, onde si costituisce il pen sato, Che vi sia una assoluta relazione tra i concetti, (42) Vedere tutti i passi messi fra virgolette, La riforma della dial. heg., pp. 299-300. 2

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hanno insegnato chiaramente Plaione e Aristotele ei loro discepoli. Ma per essi i concetti erano un prius logico della relazione, e questa un semplice rapporto statico fra i concetti, ad essi logicamente posteriore.

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Se per dialettica, quindi, s'intende la coscienza della relazione, si può dire che la dialettica antica, inaugu rata da Platone, è la dialettica del pensato, laddove la nuova dialettica, richiesta dalla dottrina kantiana del le categorie, è la dialettica del pensare. » E «.la dia lettica del pensare non conosce un mondo che già sia; che sarebbe un pensato; non suppone una real tà di là dalla conoscenza, e di cui toccherebbe a questa d impossessarsi; perchè sa, come ha dimostra to Kant, che tutto ciò che si può pensare della real tà presuppone l'atto stesso del pensare. E in quest'at to vede perciò la radice di tutto. In guisa che, tutto quello che è, è in virtù del pensare; e il pensiero co sì non è più una postuma e vana fatica, che interven ga quando non c'è più nulla da fare nel mondo, an zi è la stessa cosmogonia ». (43) Perchè per il Gentile l'unico fare che sia degno dell'uomo, è il fare pro prio di Dio, il creare. Il ricostruire concettualmente una realtàche è fuori del nostro pensiero, il ricreare in noi l'opera creata da Dio è fatica postuma e vana. Per gli idealisti nostri « dialettica del pensare » è si nonimo di « dialettica del creare », e chiamano dia lettica del pensato la dialettica del ripensare o del pensare umano, chetende a impossessarsi del pensie (43) La rif. della dial. heg., I., 6-7.

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ro divino, che costituisce la razionalità del reale. Noi abbiamo già notato quanto di arbitrario e di falso vi è in questa concezione gentiliana di quello che è per noi il sapere umano, non creatore ma ricreatore. E la giustezza delle nostre osservazioni apparirà anche me glio nei capitoli che seguono. .

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CAPITOLO SECONDO

Il nuovo hegelismo

E con ciò siamo già entrati nel vivo dell'idealismo attuale, e ci siamo entrati senza aver ricordato un uo mo, che, prima di G. Gentile, di quel sistema aveva annunziato il principio, e ne aveva tracciato sia pure con mano poco sicura, le prime linee: Bertran do Spaventa. Lo Spaventa fu uno dei pochi hegelia ni che siano penetrati nella parte vitale delle dottrine del filosofo di Stoccarda e che non abbiano assunto di fronte ad esse l'atteggiamento religioso del fedele davanti al feticcio : le stesse parti vitali le concepì e le tratto come forma bisognosa di nuovi sviluppi, ten dente, quindi, a spiegarsi in una vita nuova. « Hegel avea messo il piede su questo punto fermo: che la realtà è lo stesso concepire, che tutto il sapere si risolve nel sapere assoluto, cioè nell'idea » . (44) Hegel era (44) La riforma della dial. heg. II, p. 9.

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passato - come, del resto, Fichte e Schelling, dal l'idealismo gnoscologico cioè dall'affermazione che il mondo esteriore non è qualche cosa di dato al sog getto come bell è compiuto, non è, quindi, indipen dente dal soggetto conoscente, ma esiste solo ideal mente, come contenuto di coscienza, immanente nel la coscienza, o nel soggetto intuente e giudicante all'idealismo metafisico per il quale la realtà, l'asso luta realtà, il vero essere è solo nell Idea, nello spi rito, lo spirito. Lo spirituale è la ragione di ogni ac cadimento, la forza efficiente e finale del tutto. Nel mondo e nelle sue manifestazioni si spiega davanti a noi la realtà dell'idea. Per l'idealismo gnoseologico l'essere èla coscienza: per il metafisico è, per dirla coi tedeschi, un Fùr-ich -Sein; e questo è spirito, - Per Hegel « la scienza dell'idea è la scienza della rela zione, della sintesi, dell'attività sintetica e relativa », cioè, scienza dello spirito come attività, del pensiero come pensare. « La sua idea è unità di essere e di essenza, come dire di soggetto immediato) e di pre. dicato (mediazione): cioè appunto categoria produtti va del giudizio sintetico a priori, in cui Kant aveva mostrato che si risolve ogni atto reale di pensiero » . E ogni sforzo di Hegel, continua il Gentile, « è rivolto a penetrare nell'intimo processo onde si realizza que st'unità dell'idea, ossia la verità stessa del pensie ro » (45) come pensare o categoria. Ebbene : come si realizza quest'unità dell'idea, come categoria totale at (45) Op. cit., II, p. 9.

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*traverso le altre, parziali, categorie? In che modo, cioè, l'intimo processo dell'idea come totalità del pen siero trascendente abbraccia in sè, come suoi momen ti o momenti de' suoi momenti, tutti i concetti costi. tutivi del pensiero come pensare, ossia tutte le cate gorie? Qualcuno ha detto che la logica di Hegel è la storia naturale delle categorie: ebbene : come si svolge questa storia, come si determinano e quante sono le categorie? E come le caiegorie sono molte e sono una?

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Per il Gentile, che crede di aver dimostrato che la molteplicità è del pensiero pensato, « la ricerca stes sa del numero delle categorie è già una deviazio ne della linea, su cui sorge e deveprocedere il pro blema irascendentale delle categorie costitutive del pensare »). (46) Vedremo come l'idealismo attuale dimo stra che il pensiero è uno e immoltiplicabile, e che le categorie si risolvono nella concreta categoria (so la concreta categoria) dell'idea assoluta e, quindi, nel l'assoluta unità; - intanto vediamo come alle questio ni formulate sopra, che sono i fondamentali problemi dell'hegelismo, ha risposto, dopo Hegel e dopo molti hegeliani, lo Spaventa, il più autorevole aestro di Giovanni Gentile.

(46) Op. cit., II, p. 10.

LA FILOSOFIA
DI GIOVANNI
Il problema, dunque, di Hegel, dopo che egli aveva accettata e sviluppata nell'idea-realtà che si svolge dia. Jetticamente o si media, l'attività sintetica a prio ri di Kant, come sistema attuoso delle categorie, 46

era quello della deduzione a priori e sistematica del le categorie stesse. Kant, dimenticando di essere l'au tore dell'idealismo trascendentale « il cui principio è quello che supera in maniera perentoria l'empirismo, richiamando l'esperienza dall'oggetto al soggetto che l'attua » ; (47) Kant le aveva dedotte empiricamente a nalizzando le forme dei giudizi offertigli dall'esperien za . Poichè affatto empirica è la distinzione del giudizio in assertorio, problematico e apodittico, secondo che il rapporto del predicato col soggetto vien pensato come reale, possibile o necessario. Sorge la domanda : esistono realmente queste tre specie, e non più di que ste tre specie, di modalità dei giudizi? La risposta che il Gentile dà a questa domanda è acuta e ci permet te, inoltre, di cogliere il principio che, nell'idealismo attuale, sta alla base della critica di ogni empirismo. Se noi classifichiamo i giudizi che possiamo schierar ci innanzi al pensiero e considerare come contenuto della nostra mente ad essa inerente ma da essa stac cabile e comunicabile altrui perchè pensabile in se medesimo, » noi troviamo « tutte queste tre specie e non più di queste tre specie di modalità, Ma quan do si sono considerati a questo modo i giudizi e tro vati così diversi, s'è dimenticato quello che, come Kant stesso insegna, è il vero.giudizio, dal quale tut ti gli altri dipendono e non sono separabili : l'Io pen so. Giacchè il vero giudizio, nella sua concretezza, non è, p. es., « che Cesare sottomise le Gallie », ma : (47) Teoria gen. dello spirito come atto puro, III ed ., P. 84.

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FILOSOFIA DI GIOVANNI GENTILE

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a (48) Teoria dello spirito ecc. ed. cit. pag. 82-83.

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« lo penso che Cesare sottomise le Gallie » . primo giudizio osserva dal suo punto di vista acuta mente il Gentile mero, oggetto del pensiero, astratto dall'atto soggettivo che lo pone nell'organismo della sua sintesi, non ha in sè nessuna modalità, perchè per sè stesso non è concepibile ». Ma Kant, d'accor do colla logica del logo astratto, lo presuppone da solo, come concepibile per sè stesso, lo pone accan to e di fronte ad altri giudizi; i quali, a loro volta, astratti dal pensiero che li pone, cioè dal cogitare car. tesiano, che è il centro e la ragione della concretez za di tutta la vita spirituale, anzi della stessa spiritua lità dei nostri atti, si possono esprimere nella forma problematica e apodittica. « Ma se è, non presuppo e . sto, bensì attuato, pensato realmente, come soltanto può esser pensato, contenuto dell'Io penso, ecco che la sua differenza dagli altri giudizi (in quanto giudi zi) sparisce, giacchè tutti i giudizi son tali come atti dell'Io pensante; atti la cui forma è costante: quell lo penso, che è sempre assertorio, necessariamente, apo ditticamente assertorio » . (48) Dal punto di vista del nuovo idealismo, per il quale non esiste e non ha valo. re che l'atto del pensiero e sono destituiti d'ogni valo re tutti gli atteggiamenti psichici, e percid anche quel li, indubbiamente diversi, che stanno alla base delle tre specie di giudizi, la critica che il Gentile fa a Kant non ammetle replica. E il carattere empirico della di stinzione, della triplice modalità dei giudizi si riflet 48

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te necessariamente sulle dodici categorie, cioè sulle dodici classi dei giudizi, distinti secondo la qualità, la relazione e la modalità. « La conseguenza grave conclude il Gentile della critica che noi fac ciamo alla teoria kantiana è, che egli non classifica giudizi, ma morte astrazioni : cioè non atti spirituali, come sono i giudizi, ma fatti naturali, come i giudi zi e tutti gliatti psichici diventano, quando vengono considerati astrattamente, fuori della loro concreta at. tualità » . Sicchè la distinzione che fa Kant, è distin. zione che ha ragione di essere sulla base dell'empiri. smo, che vede l'oggetto del pensiero e non vede il pensiero che lo fa oggetto. (49) « Non questa, dun que, dice altrove il Gentile, facendoci penetrare sempre più addentro nel suo sistema - è la via da seguire nella deduzione delle categorie. La dedu. zione, se una deduzione avente valore di necessità è possibile, deve partire dalla concreta attualità trascen. dentale dello spirito e spiegarsi a priori, in forma concreta, cioè dialetticamente. » (49 a) Con ciò egli an nuncia le due condizioni essenziali di ogni deduzione idealistica e spirituale. Fichte l'aveva ben compresa, e gli che tentò di derivare tutto il mondo dall'Io e sta bilì come metodo della dottrina della scienza la siste matica soluzione delle contraddizioni contenute nell'Io stesso. (50) Anche Hegel si mette per questa via; an che per lui la metafisica quella della mente s'in (49) Op. icit. pag. 84. (49a) La sottolineatura è mia. (50) FISCHER, Fichte, p. 332.

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tende ha lo scopo di rendere esplicito e di scio gliere le contraddizioni contenute nei concetti neces sari della coscienza, con una deduzione trascenden tale e dialettica; anche Hegel, in altre parole, vuol pensare a priori e dialetticamente la realtà. Ma affer mare, come ha fatto Hegel, la necessità del pensa mento dialettico della realtà nella sua concretezza non basta, se non si riesce poi a pensare davvero e fino in fondo il reale come il razionale e il razionale co me il reale. Ebbene. « Hegel stesso osserva a ra gione il Gentile - volendo definire nel momento del suo ritmo la dialetticità del pensiero, che intende sè come unità del vario, e quindi le cose comevarietà dell uno; Hegel, tornato a rappresentarsi questa dialet tica come legge archetipa del pensiero in atto, e quin di suo ideale presupposto, non potè non fissarla e gli pure in concetti astratti e quindi immobili, che so no affatto vuoti di ogni dialettismo, e di cui perció non è dato intender come possano, per se stessi, pas sare l'uno nell'altro, e unificarsi nel reale continuo moto logico » . (51) Nel volume tante volte citato : La riforma della dialettica hegeliana, il Gentile ci fa assi stere alle gravi difficoltà incontrate da Hegel e dagli hegeliani « nella deduzione di quelle prime catego rie divenire, che è il carattere specifico della dialettica » . i della logica,onde è costituito quel concetto del Ladifficoltà sipuòenunciare così:Essere enullao sono concepiti come affatto opposti,eallora non

(51) Teoria dello spirito ecc. p. 46.

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è possibile rapporto alcuno fra loro; o si risolvono l'uno nell'altro e sono identici, e allora l'uno non può passare nell'altro perchè è già l'altro. Così nel primo come nel secondo caso è inconcepibile ogni dialettismo, che importa la differenza nell'unità. « Il divenire contiene essere e nullacome due unità siffatte, di cui ciascuna è essa stessa unità dell'essere e del nulla, ma l'essere come immediato e come re lazione al nulla, l'altra, il nulla, come immediato e come relazione all'essere » riassume il Gentile la più plausibile, anzi l'unica plausibile interpretazione di Hegel. (52) Si domanda : il divenire ha come im mediato il nulla cioè comincia dal nulla e passa al l'essere, o ha come immediato l'essere e muove dal l'essere e passa al nulla? Il divenire di Hegel presen ta tutte e due queste faccie, nota il Gentile. E con clude, in base al suo concetto dell'attualità dell'idea : «. Tutta questa deduzione contravviene al proposi to essenziale della dialettica hegeliana; e infatti rende possibile quel concetto, antidialettico per eccellenza, a cui essa subito mette capo, della neutralizzazione del divenire nel divenuto, per cui come l'essere sva nisce nel non essere, anche il divenire svanisce nel la negazione del divenire » . Non dice Hegel che « das Werden ist eine haltungslose Unruhe, die in ein ruhi gés.Resultat zusammensinkt? » . (53).

(52)La riforma d. d. ecc. IV, 19 . (53) ivi, dove sono riportate anche le parole di Hegel sottolineate .

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n Gentile commenta : « Bisogna fissare il risultato, dice Hegel : e non s'accorge che fissando un risultato si esce dalla categoria come pensiero trascendentale » . (54) E « tutta la deduzione si risolve in un'analisi di concetti, per cui si tende a scoprire l'identità degli opposti al di sotto della differenza » .

In proposito Hegel è molto esplicito : « La dedu zione è del tutto analitica; come tutto il procedere della filosofia, essendo metodico, cioè necessario, non è altro se non il porre esplicitamente ciò che è già contenuto in un concetto » . (55) Ebbene : « il processo analitico è il processo della logica aristotelica retta dal principio d'identità; laddove il vero processo he geliano è quello della sintesi a priori kantiana per cui non si unisce l'identico, ma il diverso. L'analisi che rende esplicito l'implicito presuppone un concet to in sè, e una potenza di pensiero di là dell'atto, quindi una realtà oggettiva : tutte le vecchie intuizioni del platonismo » . (56) Le quali non vengono punto e liminate da altre affermazioni, di significato kantiano, che troviamo disseminate sull'argomento in altri passi di Hegel. Essere e non essere sono, dunque, identici o di versi? Hegel afferma che sono anche diversi, ma non dimostra come; e che nel suo concetto siano anche diversi è evidente, altrimenti come potrebbero imme

(54) livi, in nota. (55) Op. cit. IV, 20. (56) Op. cit. V, p. 20. >

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desimarsi? Sotto la medesimezza c'è, dunque, la diver sità. Ma solo come qualche cosa di ineffabile, solo come esigenza non soddisfatta, a detta dello stesso Hegel, che ha potuto scrivere: « S'invitino quelli che vogliono insistere sulla differenza dell'essere e del niente, a dire in che essa consiste » . (57) Il Gentile conclude uno de' suoi studi sull'argomento : « Hegel, insomma, è giocoforza convenirne, ha l'intuizione va ga del divenire, ma non ne ha il concetto. E non si mette in condizioni di acquistarlo, perchè analizza questo concetto, invece di realizzarlo, come avrebbe dovuto, per pensarlo dialetticamente e conforme al principio diidentità di essere e pensiero » . (58)

E il problema della schietta intelligenza delle pri me categorie della logica e della loro deduzione dia lettica è stato uno dei più dibattuti e uno dei me no risolti nella scuola hegeliana.

Dov'è, qual'è la molla della dialettica? Dov'è la differenza attiva che rende possibile il divenire? Ecco il problema. Bertrando Spaventa è, fra gli hegeliani, il filosofo che più degli altri s'è accostato alla solu zione vera; che, per gli hegeliani di sinistra, non può non essere quella del Gentile, che risolve ogni dua lismo, ogni empirismo e ogni trascendenza nell'attua lità dialettica dello spirito, nell'atto che diviene e non è altro che divenire. L'affermazione fondamentale di Kant era stata quel

(57) Cit. dal Gentile in Riforma d. d. ecc. V, pp. 22-23. (58) Op. cit. V, Critica del iconcetto hegeliano del döve nire, . 24.

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la della assoluta relatività dell'essere al pensiero; il passo fatto da llegel su Kant e i suoi predecessori im- . mediati, Fichte e Schelling, verso l'idealismo assoluto, era consistito nell'aver provato l'identità di essere e pensiero. Ebbene: rifacciamoci- dice lo Spaventa, di cono i veri discepoli di lui, da questa identità, nel la quale sono accennati tutti i passi che, dopo He gel, deve fare l'idealismo. La soluzione idealistica del problema deve consistere, in altre parole, nell'infonde re nelle categorie dell'essere e del non essere la vi ta del pensiero; nel considerare così l'essere come il non-essere, cioè non meno la tesi che l'antitesi, come concetti puri, come categorie nel senso kantia no, e, quindi, nella categoria un atto del pensiero, un'attualità logica : breve, nel ridurre il pensato (og getto) nel pensare (soggetto). Ecco, ora, come lo Spa venta pone e risolve il problema : « Adunque, perchè il no? il non essere, la negazione? e dopo, e nono stante, il sì, l'essere, l'affermazione? Perchè non è so lo il sì. Perché tutto non è essere ? Questo è lo stes so problema del mondo, lo stesso enigma della vita nella sua massima semplicità logica » . (59) In altre pa role : perchè l'esistenza degli opposti? Dalla difficoltà che presentava la soluzione di questo enigma è nato l'eleatismo. Le altre filosofie, questo terribile proble. ma, che è davvero, sotto qualunque aspetto lo si esa mini, il problema dei problemi, non se l'erano posto mai in tutta la sua crudezza : anche quelli che, come (59) Ril. d. d. VII, La ri orma tentata da B. Spaventa, p . 35 .

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Bruno, avevano messo dei contrapposti veri nel pen siero, li avevano poi di molto attenuati nella realtà della natura, dove gli opposti passano l'uno nell'altro e si dimostrano perciò strettamente affini; e tutte le antitesi vengono conciliate, del resto, nella realtà eter na, cioè nell'ineffabile. Ecco come lo Spaventa ri solve il problema: « Quel che sappiamo è, che senza il pensare, il no non sarebbe, non sarebbe il non esse re : e chi nega, quegli che vince l'invincibile e fende l'indivisibile, cioè l'essere; che distingue e contrappo ne nell'essere medesimo, in quanto medesimo, ciò che è, e ciò che non è: la generazione o germinazione del l'essere; quegli che turba la tranquilla immobilità, l'o. scuro impenetrabile sonno dell'assoluto e ingenito es sere, questa infinita potenza, questo gran prevaricatore è il pensare »). (60) « E il pensare è immanente nell'es sere, come atto dell'essere che diviene : « Il pensare fa ciò, distingue, divide, nega, non perchè lo trovi, dirò così già fatto (l'essere) e ripeta, copii, contempli, veda nell'essere; ma lo fa egli primo;questo fatto è il fatto suo e solo suo; la negazione è la sua origi nalità stessa » . E conchiude i tale è dunque per me il vero significato del non essere : tale è la riforma che bisogna fare nel concetto del nulla, come si trova nel la logica di Hegel. (61) Dunque lo spirito, la natura, e le categorie logiche sono momenti dello stesso pro. cesso dialettico del pensiero, sono forme dello spi.

(60) Op. cit. - Studio cit. p. 35. (61) ivi, p. 36.

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? (62) Op. cit. ivi, p. 37. (63) Op. cit, - Frammento inedito di B. Spaventa, p. 53.

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rito, cioè non dell'esse ma dell'atto, del pieno atto, della piena attualità del pensare: « Il sapere (il sogget to) e il saputo (l'oggetto) son diventati lo stesso; il soggetto, come sapere, non è più semplice io, sem plice funzione soggettiva, ma l'atto della realtà stessa; e l'oggetto, come saputo, non è più semplice ogget to, semplice realtà, ma mentalità; e la vera realtà è la mente » (62) Il pensare non è senza l'essere, l'essere non è senza il pensare. Ciò vuol dire: l'essere è es senzialmente logico, pensabile, in sè pensato. Lo spet tatore è anche attore. O, come dice Hegel in genera le: la categoria non è semplice essenza o semplice unità dell'ente, ma è tale unità solo in quanto tualità mentale. E attualità vuol dire atto : l'essere è essenzialmente atto del pensare. (63) Cioè : « Il pen siero e l'oggetto non sono come due che s'incontra no come se prima fossero stati separati: l'essere è per il pensiero, il pensiero e per l'essere. Ciò vuol dire che la necessità dell'essere è logica e che questa necessità è la natura, la essenza, la intimità stessa del pensiero, fuori del quale l'essere non è niente, è im penetrabile. Se l'essere non è il pensiero, non c'è pos sibilità di progresso nè in quello nè in questo. Scrive ancora lo Spaventa : « Io domando : come si sviluppa l'essere? » E risponde: « Come lo so, come posso dir lo? Io non ho che questa posizione : l'essere; non posso neanche aiutarmi col dire è, senza alteraré que 56

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sta posizione; non posso dire altro che quello che dico, cioè essere. Ebbene : essere, essere, essere non mi dà che essere e punto sviluppo dell'essere. Se io fo un passo, distruggo la posizione fondamentale: e questo passo, un passo qualsiasi, l'essere non lo fa lui ». Noi conosciamo le dottrine di Parmenide, ossia del filosofo del puro essere, che non muta, che non puó mutare, perchè il mutare importa non essere pri ma quel che si è dopo e non essere dopo quel che si è prima; importa, cioè, un concetto della realtà che è insieme essere e non essere. Se la realtà è solo es sere, non muta. E « l'immobilità, la quiete assoluta, dell'essere, obbliga anche me a essere immobile : io spettatore non vedo altro che l'assoluta immobilità. » relativo dell'essere, nel pensiero. Lamolla dello svilup po? E' chiaro, doveva essere chiaro anche agli hege liani, che tanto e tanto vanamente si travagliarono in torno a questo problema: se la molla dello sviluppo non la si può trovare nell'essere, cerchiamola nel cor relativo dell'essere, nel pensiero La molla dello svilup po è l'atto del pensare, la vis cogitans, dice, dopo ten tennamenti e deviamenti, lo Spaventa: « Questa vis è quella che genera tutte le determinazioni, tutti gli sta ti, tutti i momenti logici; e l'anima del processo lo gico » (e, quindi, anche del processo ontologico: chè non sono due, ma uno). « I suoi prodotti possono es sere detti a ragione pensati nel senso che sono ge nerati da essa, dal pensare. E il primo prodotto, l'at (64) Op. cit. - Framiento inedito di B. Spaventa, p. 56.

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to suo immediato, se si vuole, il suo stato imme diato è l'essere; giacchè se non è concepito così, se è preso per sè senza il pensare, senza alcuna re lazione col pensare, proprio come l'assolutamente ir relativo, l'essere non è punto pensato : e si ha, non essere identico al non essere nel senso hegeliano, ma l'assoluto niente; non vi si vede più nulla; non solo non si può procedere, ma non si comincia neanche. Come pensato - il primo pensato l'essere è insieme pensiero, cioè proprio atto del Denken » . E che deb ba essere così, se non si vuol dichiarare la filo sofia hegeliana assolutamente impotente à giustifica re il progresso, ogni, anche iniziale, progresso della realtà, dimostra, con insolita chiarezza, lo Spaventa che continua : Secondo Hegel « tutte le determinazioni (tutto il processo) devono apparire e dichiararsi come lo sviluppo intimo dell'essere e del non essere stessi; altrimenti sarebbe il caso delle determinazioni esterio ri : e giacchè la vis produttiva è il Denken, il Denken non deve rimanere in sè, separato dai prodotti suoi; ma essere sempre immanente in essi e produrre solo in essi e con essi. E così la vera entità di questi pro dotti è il Denken, non solo in quanto essi sono pro dotti dal Denken, ma in quanto essi non producono senza il Denken, come immanente in essi. (65)

( (65) Op. cit. p. 58.

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Il vero problema, quindi, della metafisica è in tendere, non l'ente per sè senza gli stati suoi, nè, gli stati suoi senza l'ente, ma come l'ente mediante gli 58

stati suoi si fa quello che è. E si fa quello che è per il pensiero. Dice bene lo Hibben : « La transizione da un dato stadio di sviluppo ad uno più alto e che completa il primo, è sempre compiuta mediante l'in teriorecompulsione del pensiero » . (66) Da un capo al l'altro dei processi del reale, alla base di tutte le sue forze, e come essenza di tutte le sue leggi, è sempre presente la ragione immanente : il pensiero e la natura del pensiero è tale che essa è costretta a procedere avanti, verso la perfezione. L'unità degli opposti è, quindi, unità logica, perchè tanto l'essere come il non essere sono concreti solo nell'atto del pensiero. E se il pensiero rimane in tutti gli stadi dello svi luppo dell'essere, come ragione degli esseri e come ragionedello sviluppo dell'essere, si capisce che non c'è prima il Logo e lo sviluppo del Logo e poi la scien . za del Logo: il Logo come distinto dal pensamento di esso, è un astratto; la vera concretezza è il Logo concreto. Non c'è un ripensare o una riflessione (Na chdenken) che supponga il pensare (Denken): il ri pensare è il pensare: la riproduzione è la stessa pro duzione: l'essere e lo sviluppo dell'essere come Logo; come razionalità, è la celebrazione del pensiero, o del soggetto pensante; il pensiero è nell'oggetto come ra gione totale di esso. Non solo dice lo Spaventa - il ripensare è pensare, ma senza l'atto e sogget to umano, l'assoluto pensare e la soggettività assolu ta non è possibile ». E l'atto del soggetto umano ge

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(66) La logica di Heyel (trad. it.), pag. 255.

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nera tutte le distinzioni della realtà « . La categoria la determinazione logica e perciò l'essere, il non essere, ecc., è essenzialmente attualità mentale; e su questa attualità si fonda il processo dialettico » . E ancora: « Io non devo star a guardare, e ripeter poi ciò che avviene nell'essere, nel non essere, ecc., in generale nell'Ente, nell'oggetto del pensiero: ma l'at to dell'Ente e l'atto mio, in quanto io dico di ripen sare, sono uno e medesimo atto ». (67) E dopo aver fatto molte e molto acute critiche al concetto hegelia no dell'essere e del non essere; osserva: « Per me questa posizione imbrogliata dell'essere e del non es sere; (lo stesso e non lo stesso) è la viva espressione della natura del pensare. Se si toglie di mezzo il pen sare non se ne capisce più niente » . E conchiude : « lo dico : Penso: é penso l'Ente, non posso pensare che così; se non penso l'Ente non penso punto. Ma l'Ente non è lì, non mi è dato, non lo trovo, dird bello e fatto : io non sono semplice spettatore.... Pa re estrinseco alla mente, e non è estrinseco : giacchè nè la mente è mente senza l'Ente nè l'Ente è Ente se non è mentale. E come penso l'Ente? Retrocedo nel pensare, negli elementi del pensare, che non sono il pensare concreto; e dico: pensare=distinguere (e u nire); l'essere è il distinguibile, il puro distinguibile; il non essere è l'atto distintivo puro: l'Ente (il divenu to) è il distinto, il puro distinto. E il divenire? Il di venire è il distinguibile come distinzione; cioè l'esse (67) Op. cit. 71-72.

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re come non essere e perciò identico e 'non identico all'essere. Nel mio modo di vedere la posizione, la differenza di essere e nulla risulta immediate dalla identità stessa; giacchè il non essere è l'atto dell'es sere » ; (68) del distinguibile che si distingue, o, do po quanto s è detto, del pensiero che pensa, e perciò crea da sè un'altro da sè, nel quale immane, come ragione totale di esso. L'ordine ontologico è diventa to davvero ordine logico: la metafisica e la dialettica dell'Ente sono trasformate, perciò, in metafisica e dia lettica della mente. Della mente che distingue e unifi ca, o meglio, che è continua distinzione concreta. L'essere dell'essere e del non essere è il pensare, co me attualità; l'unità degli opposti è unità logica con creta. La realtà è opposizione e unificazione del pen siero, nel pensiero, dal pensiero. Siamo alle porte del l'idealismo attuale. Il Gentile commenta : « Se l'esse re non è più un'idea in sè, ma una categoria, e cate goria è atto mentale, come può realizzarsi l'atto della mente altrimenti che come unità di essere e non esse. re, cioè divenire? L'atto si fa, fit, diviene. E' in quanto diviene. Non può essere prima di divenire; l'essere suo consiste nel realizzarsi. La inseparabilità di essere e non essere, su cui si fermava Hegel, è momento essen ziale dell'atto del pensare : ma è un momento solo, che va integrato con la dinamicità, su cui si ferma qui lo Spaventa, notando che l'essere stesso si nega nel suo essere, pensando. Dinamicità intrinseca all'essere, a cui

(68) Op. cit. 70-71.

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egli può pervenire attraverso la critica radicale della distinzione di pensare e ripensare: Denken e Nachden ken » (69). Non è l'idealismo attuale questo? Non an cora : il Gentile nota due manchevolezze nella scoperta dello Spaventa. « Egli, sopratutto, non vide il singolar carattere della deduzione dialettica, che non è analiti ca, e non muove da concetti, perchè i concetti presup pongono l'atto del pensare, ossia appunto la dialettica. Non è perciò dimostrazione » . Lo Spaventa ha vedu to che la dialettica non è movimento dell'idea, ogget to del pensiero, come la doveva considerare Hegel, data la sua concezione del logo in sè e della natura, come anteriori al pensiero o alla coscienza di sè, co me trascendenti, perciò, l'atto del pensiero, come due forme di realtà che sono idea, ma non ancora spirito e pensiero ma come lo stesso movimento del pen siero. Ma nello Spaventa il pensiero non è ancora tutta la pienezza dello spirito che pone ogni realtà, che tutto deduce ponendo da sè e sè, senza l'ombra del presupposto, come assoluta spiritualità, cioè attua. lità libera e creatrice. La deduzione non è ancora as soluta piena creazione come vera sintesi à priori, o almeno non è che accennata dallo Spaventa in questo frammento che abbiamo tante volte citato e che rap presenta un notevole passo fatto sulle altre opere sue. Già in una di queste però, egli aveva affermato che « l'a priori è la stessa potenza nova della natura, la po tenza umana, la quale risulta e si concentra e si indi (69) La riforma della dial. neg. VIII, pp. 43-44.

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vidua da tutta la sparsa attualità antecedente: e perciò è insieme un assoluto a posteriori » (70) E in un'al tra : « Il processo dal primo pensabile (dal puro esse re) e da questo... allo spirito o soggetto assoluto, que sto processo non è un gioco vano del pensiero con se stesso solamente nel mio fine intendimento, un pallido riflesso d'un lontano ed invisibile oggetto; ma, come atto infinito, come il pensiero che si determina in sè medesimo e si raccoglie nelle sue determinazioni e si condensa e si compie e pone come assoluto pensie ro, è l'atto dell'assoluto, il suo intendimento, la presenza sua, lui stesso » . (71) Dunque la completa úmanitàdell'assoluto. Ma nè qui nè altrove troviamo nello Spaventa la affermazione dell'assoluta apriorità della sintesi sulla tesi e sulla antitesi, che suona già, per esempio in queste parole di un'opera non recente del Gentile : « L'essere (tesi) nella sua astrattezza è nul la; ossia nulla di pensiero (che è il vero essere). Ma questo pensiero che è eterno, non è mai preceduto dal proprio nulla. Anzi questo nulla da esso è posto, ed è, perchè nulla del pensiero, pensiero del nulla: ossia pensiero, cioè tutto. Non la tesi rende possibile la sintesi, ma, al contrario, la sintesi rende possibile la tesi, creandola con l'antitesi sua, ossia creando se stessa » . (72) Non c'è pura tesi nè pura antitesi : non pp. 144-5.

(70) Scritti filosofici, p . 313. Cito, al momento da La filosofia contemporanea di Guido De Ruggiero Vol . II , (71) Principi di etica, p. 23. (72) L'atto del pensarecome atto puro in Riforma della dial. neg. IX, p. 257.

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essere e non non essere; ma la sintesi, quell'atto unico che siano noi; il Pensiero. » E' vero però, che, come dice il De Ruggiero, una volta inteso com'è inteso dallo Spaventa, l'essere, il non essere e il divenire non più come posizioni logiche oggettive del reale, ma come momenti della coscienza dove il di venire, sintesi dei termini precedenti, esprime il pro cesso stesso del sapere, che vince nella sua concre tezza i momenti astratti e rigidi in cui l'analisi lo decompone, tutta la soprastruttura della logica hege liana viene inevitabilmente sconvolta >>; (73) e siamo sulla soglia dell'idealismo attuale. Un'altra manchevo lezza, anzi un errore, rileva il Gentile nella concezio ne-spaventiana della prima categoria: é consiste nel l'aver posto prima l'essere e nell'aver cercato poi la contraddizione che lo facesse muovere. « La contrad dizione suppone l'identità; e questa categoria non c'è più nella dialettica trascendentale. L'essere, per con traddirsi, dovrebbe sussistere. Ed esso sussiste come divenire; cioè non sussiste mai. Cercare la contraddi zione è fissare l'essere, cioè falsificarla e con ciò usci re dalla logica attualità mentale, come sintesi a prio ri » . (74) Il che si farà più chiaro nel seguito di que sta nostra esposizione. Ma già ora è evidente la dif ferenza che distingue l'idealismo assoluto da tutte le forme di speculazione che passano come idealismo.

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(73) Op. cit. Vol. II, Appendice, p. 257. (74) Riforma della dial. heg. VIII, Nuovi studi sullo Spaventa, n. 44.

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Sotto il titolo : Caratteristica dell'idealismo, il Gentile riepiloga così il suo pensiero, quale egli è venuto sviluppando nella più matura e comprensiva delle sue opere filosofiche : « Una concezione idealistica mira a concepire lo stesso assoluto, il tutto, come idea; ed è perciò intrinsicamente idealismo assoluto. Un asso luto idealismo non può concepire l'idea se non come pensiero in atto, quasi coscienza dell'idea, se all'idea si vuol mantenere quel significato oggettivo di terini ne del pensiero o dell'intuito, che essa ebbe originária mente in Platone, è conserva tuttavia nel pensiero comune e negli stessi presupposti del sapere scienti fico » . Perciò: « un idealismo non assoluto non può essere se non idealismo a metà, che è come dire in coerente; trascendente come quello di Platone, che lascia fuori dell'idea la materia, e quindi il divenire della natura: immateriale, come quello di Berkeley, per cui tutto è idea, ad eccezione di Dio, che è la realtà sul fondamento della quale la percezione è lo stesso essere; critico trascendentale, come quello di Kant, in cui l'idea è mera attività unificatrice di un molteplice proveniente da altra fonte, e l'idea perciò suppone un suo opposto, inconoscibile, che è la ne gazione della stessa idea » . (75) Il Gentile insiste a ragione sulle profonde differenze che distinguono l'i dealismo berkeleyano daquello chesi ispira a Kant e a Hegel. La differenza si può riassumere in due paro

(75) Teoria generale dello spirito come atto puro, cap. XVII, p. 217. - Ho sottolineatoio i tre aggettivi che qualifi cano le tre specie di idealismo.

La filosofia di G. Gentile,

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le : Berkeley afferma che la realtà che si identifica col la percezione, non è contenuto e prodotto della men te umana, ma è presupposta da essa come pensiero della mente divina; Kant e Hegel affermano che il pensiero nostro produce la realtà e non c'è realtà, neanche la eterna, la assoluta, che non sia pensiero umano. E' nota la dottrina del Berkeley, che il Gen tile riassume e critica al principio dell'opera accenna ta, perchè non possano nascere equivoci riguardo alla natura del suo idealismo, col quale l'idealismo berkeleyano presenta tante analogie. Berkeley insegna che la realtà non è pensabile se non in relazione coll'attività pensante, e, in relazione con essa, la realtà non è soltanto oggetto possibile, ma reale, attuale di conoscenza. La essenza degli oggetti consiste nel loro essere percepiti (their esse is perci pi). La lotta contro le astrazioni lo porta a negare, , come astrazione fondamentale, le realtà in quanto in dipendente dal pensiero. Non si può concepire la real tà, una qualunque realtà, senza concepire anzi tut to la mente in cui questa realtà si rappresenta: ecco perchè è assurdo il concetto di una realtà materiale. Dunque il reale è ideale. C'è bisogno di ricordare che questa idealità umana del reale è poi negata dal Berkeley. quando egli insegna che la realtà non è propriamente contenuto della mente umana, nè pen siero di essa, ma l'insieme delle rappresentazioni che corrispondono a una mente oggettiva, assoluta, pre supposto della stessa mente umana? La realtà nella sua totalità coincide col pensiero, ma non col pen

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siero nostro, sibbene con quello di Dio. La verità della nostra rappresentazione è vera quando corri sponde a quella di Dio; noi non creiamo, ma accoglia mo le rappresentazioni vere per ispirazione di Dio, nel quale esistono; esistono anche se l'uomo non esi stesse, cioè indipendentemente dall'essere percepite da noi; esistono in Dio nella loro totalità, mentre in noi non esistono che in piccolissime parti e dipen dentemente da Dio. Perciò l'esse est percipi vale senza restrizione e assolutamente della percezione divina. Il pensiero dell'uomo ha l'unico compito di percepire e quindi di far essere umanamente e finitamente quel lo che la percezione divina fa essere nella sua infinità. Il Gentile osserva: « Nella posizione di Berkeley il pen siero, a rigore, è niente. Perchè intanto il pensiero pensa, in quanto quello che pensa è già pensato : in quanto il pensiero umano non è altro che un raggio del pensiero divino, e quindi, niente di nuovo, niente di più del pensiero stesso divino. Se esso fosse qualche cosa di nuovo, il pensiero divino non sarebbe tutto il pensiero ». Abbiamo già veduto che è senza valo re, per il Gentile e i suoi, il ripensamento da parte dell'uomo del pensamento di Dio. Per noi è evidente, invece, che l'uomo, uscito da Dio, torni a Lui, si ac costi a Lui rifacendo le vie dell'intelligenza e della volontà creatrici, ripensando quello che Dio pensa, riamando quello che Dio ama. Sta proprio in que sto la grandezza dell'uomo nella concezione plato nica della realtà, che è poi la concezione di tutte le grandi filosofie della storia, secondo le quali l'uomo

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non deve presumere di creare, ma deve essere pago di ricreare, cioè di rifare in sè l'opera di Dio, per sali re a Lui per quella stessa via per la quale Lui scen de a noi. Dunque il pensiero è niente - commenta Giovanni Gentile. « E la filosofia moderna -- aggiunge - chi ben consideri, afferma seinplicemente con ogni discrezione, questa modestissima esigenza, che il pen siero sia qualche cosa; quantunque poi, nell'approfon dire il concetto di questa esigenza, la filosofia moder na senta la necessità di affermare il pensiero, non semplicemente come qualche cosa, come solo un ele mento, e quasi un'appendice della realtà, anzi piut tosto come totalità o realtà assoluta » . (76) Grande discrezione in verità! Il timore che il riconoscimento di una realtà trascendente possa, debba, anzi, svalu tare lo spirito, l'uomo, muove i nostri idealisti ad af fermare, non che lo spirito sia qualche cosa, ma che sia tutto. Se non è tutto non è nulla. O Dio o niente. Donde l'errore di Berkeley secondo il Gentile? Dal non aver avuto il concetto dell'Io o del pensiero tra scendentale, dello spirito come appercezione origina ria, condizione di ogni esperienza. « Perchè, se noi parliamo di spirito finito, di pensiero attuale, prima e dopo del quale la realtà di questo nostro pensiero vien meno; e se perciò possiamo concepire tutto il nostro spirito come qualche cosa di finito; egli è che noi consideriamo, nel nostro spirito, non l'attività trascen (76) Op. cit., p. 4.

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dentale dell'esperienza, ma quella che Kant dice lo empirico, radicalmente diverso dall'Io trascendenta le » . (77)

Perchè l'Io trascendentale, il soggetto profondo, la persona che non ha plurale come lo chiama il Gen tile risolve sempre ogni oggettività degli esseri spi rituali, e non è possibile che siarresti dinanzi ad un essere spirituale diverso da sè e non perciò dinanzi a sè medesimo. (78) Trovato questo lo, si capisce che l'esse èpercipi, un solo percipi universale, infinito e quindi una sola realtà, soggettiva e umana. Ma perchè anche Kant, pur dopo aver scoperto l'Io trascendentale, l'appercezione originaria, ammet te una realtà diversa dalla realtà del pensiero, il noumeno? Semplicemente perchè egli non riesce a tener fermo saldamente il principio della insidenza del pensiero astratto al concreto, che è il principio dell'idealismo trascendentale da lui inaugurato, per il quale l'esperienza è richiamata dall'oggetto nel sog getto. (79) Quante volte leggendo le idee su Kant degli ideali sti italiani abbiamo pensato alle parole del Paulsen : « Ognuno è libero di ritenere che quel che vi è d'es senziale e d'importante in Kant è quel tanto che gli fa comodo; ma così non si ha tutto Kant, non si ha Kant stesso, bensì un Kant immaginario. Il Kant rea (77) Op. cit., p. 5. (78) Op. cit., p. 13. (79) Teoria dello spirito come atto puro, cap. VIII, p. 84.

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le, il Kant storico, è un altro » . (80) Ritorneremo più tardi sull'argomento.

Il primo filosofo che abbia davvero coscienza del profondo rivolgimento speculativo implicito nel prin cipio kantiano è Hegel, per il quale, finalmente, il nuovo idealismo è una cosa stessa collo spiritualismo. Così pare, così dovrebbe essere, secondo gli idea listi dopo Hegel, che ha negato una realtà che non sia pensiero. Ma noi sappiamo che Hegel non condusse a termine la sua rivoluzione : e la sua idea si spezza dentro di sè stessa, contrapponendo a 'sè come attività che pensa, la realtà che è oggetto e pre supposto del pensiero. (81)

Sempre il presupposto! In Platone, in Berkeley, in Kant, in Hegel. -- Il presupposto cessa quasi del tut to nello Spaventa, che inizia energicamente la revi sione, anzi come s'è veduto la crisi interna della dottrina originaria di Hegel. « Il grande merito dello Spaventa, agli occhi degli idealisti italiani, è quello di aver indicato all'idealismo hegeliano, contro le molte deviazioni, la via maestra, e di averla percorsa quasi fino alla mèta, cioè fino alla soglia dell'attualismo, co me lo intende e lo espone e lo costruisce in sistema ben connesso il Gentile. Avremo occasione ancora di rilevare quanto deve allo Spaventa tutto l'indirizzo della scuola gentiliana, che ne ha fatto a ragione il p. VI .

(80) Kant I grandi pensatori Sandron Prefazione, (81) Vedere la prolusione del Gentile: L'esperienza pura e la realtà storica, Libreria de « La Voce », Firenze 1915, specialmente pp. 10-12

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punto di sbocco dell'idealismo assoluto, nella sua in terpretazione più radicale, nell'idealismo attuale; ma già da quanto sono venuto esponendo nel presente capitolo deve apparir chiaro e definitivo che sono state le indagini dello Spaventa sulle prime categorie a sconvolgere tutta la struttura dell'hegelismo diHegel e degli hegeliani, e a dare, perciò, una nuovapoderosa avviata alla speculazione filosofica dell'idealismo, spe cialmente italiano. Con lo Spaventa, la speculazione italiana, che da lui s'ispira, venne condotta a ridiven tare rigorosamente idealistica, cioè radicalmente Kan tiano-hegeliana, dopo una lunga parentesi di trionfan. te platonismo nel seno stesso dell'idealismo. Come si sa di questa speculazione Giovanni Gentile è la figu ra più geniale e più forte. Lo Spaventa aveva scritto che l'apriori è la potenza umana, la quale risulta e. si concentra e s'individua da tutta la sparsa attualità antecedente; ebbene, è proprio questo il solido punto di partenza, l'idea direttiva e centrale, e, insieme, il punto d'arrivo del nuovo idealismo: l'umanità tota le, la totale spiritualità dell'assoluto. Così : « La logica dell'idealismo trascendentale inaugurato da Kant e tuttavia proseguito fino alle forme recentissime di spe culazione idealistica, non è più il problema della for ma del pensiero vero, esemplato su una realtà intel ligibile che ne sia l'oggetto idealmente anteriore, ma quello piuttosto del pensiero in atto, o dello spirito nella sua libertà, in quanto, non chiuso dentro limiti di sorta e nulla presupponendo, costruisce l'oggetto come la concretezza del suo proprio essere. Alla lo

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gica del conosciuto si vuol sostituire la logica del conoscere » . (82).

« Tutti concetti che ci sono già familiari. Il nuovo idealismo vuol essere, cioè, davvero idealismo assolu to ». Ma assoluto non può essere, se l'idea non coin cide con lo stesso atto del conoscerla; perchè, è questa la più profonda origine della difficoltà in cui si dibatte il platonismo, se l'idea non fosse lo stesso atto per cui l'idea si conosce, l'idea lascerebbe fuori di sè qualche cosa, e l'idealismo pertanto non sarebbe più assoluto » (83).

Fin qui il Gentile. Ma noi crediamo che l'ideali smo attuale rappresenti, non uno sviluppo delle dot trine di Kant e di Hegel, ma un deviamento da esse. Non c'è che una piccola corrente - accanto a quella degli idealisti italiani - che vede in Kant un creatore del formalismo assoluto : la grande maggioranza dei Neo-kantiani, pur spezzandosi nello svolgimento del Criticismo in diversi indirizzi, riafferma con più o meno coscienza il carattere platonico, non solo di certe dottrine, ma di tutto l'indirizzo della filosofia di , E. Kant. Tutti, o quasi, gli studiosi del filosofo di Kö nigsberg, ammettono che la realtà che Kant postula al di là della realtà che si identifica nell autoco scienza, non è una proiezione vana del soggetto, ma qualche cosa di consistente e di oggettivo; e che, accanto a una metafisica della mente (umana),

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(82) Sistema di logica, Vol. I, p. 46. (83) Teoria gen. dello spirito come atto puro, cap. XVII, p. 217.

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ce n'è una dell'essere, comunque poi si pensi quel l'essere e le sue relazioni col conoscere. Il kantismo importa come ugualmente essenziali questi elementi : distinzione di materia e forma nella cognizione trapposizione di apriori e di aposteriori accentua zione della spontaneità del pensiero e del fondersi di concetto e intuizione affermazione dell'apriorità e della soggettività della forma dell'intuizione e del le categorie, come forme, pure forme dell'intelletto la dottrina dell'idealità trascendente del contenuto della coscienza, sempre salva però, la realtà empirica, l'oggettività --- la dottrina del carattere fenomenale del la conoscenza e delle cose conosciute e della conse guente impossibilità della cognizione del noumeno, e della metafisica apodittica, trascendente; il formali smo eticc; la distinzione di scienza e di fede; il ricono. scimento della razionalitàdi postulatidella ragioneche portino al di là della sfera intellettuale dominata dalle categorie. Io credoche questi elementi siano tutti es senziali in Kant e così coloro che sacrificano l'ogget tività alla soggettività come quelli che immolano la seconda alla prima, rappresentano un deviamento dal sistema Kantiano, che è nel suo fondo, dualistico, e mira alla trascendenza. Noi siamo, come è noto, dei recisi e irreducibili avversari di ogni forma di sogget tivismo, e, quindi, anche di quello kantiano. Ma con tro la interpretazione tendenziosa dell'idealismo e per mostrare che invano esso si appella alla storia del pensiero a giustificare o a provare la sua negazione d'ogni trascendenza, sentiamo il dovere di rite

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SECONDO

nere che la trascendenza, velle nolle, è affermata, sia pure molto diversamente che da noi, scolastici - di scepoli di Platone, di Aristotele e di S. Tommaso anche da Kant. Non si perdano di vista quelli che ho enumerati come elementi del suo pensiero integrale.

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Una critica quindi della Critica di E. Kant deve, non negare uno dei due aspetti del sistema per dare tut. to all'altro, ma deve consistere nell'eliminare le mol te reali o apparenti contraddizioni che impediscono la fusione dei due elementi di unità. Fichte, che cer ca di assegnare alla materia e alla forma una mede sima origine, quella dell lo, creando davvero la sin. tesi a priori dei moderni idealisti d'Italia, può esse re superiore a Kant, ma Kant ha ragione di non rico noscere il suo pensiero nella unilateralità degli svol gimenti fichtiani della sua dottrina, che hanno crea to la base degli ulteriori svolgimenti di Giorgio He gel. Tutto esaminato, io credo che kant vada inter pretato e corretto secondo l'ordine di idee di Alessan dro Chiappelli, che possiamo, sulle traccie delle più recenti sue pubblicazioni, (84) riassumere nei seguenti punti :

I. - « Immanenza e trascendenza si presentano come due aspetti di un unico processo, in cui l'oggetto con diziona il soggetto, e questo trasforma quello in una creazione nuova ed originale » . (85).

. II. - Il soggetto conoscitivo, quale fu proposto da

(84) La crisi del pensiero moderno, « Il Solco » , Casa editrice S. Papi, Città di Castello, 1920.

(85) Op. cit. p. 186.

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Kant, si deve considerare, non partedell'universa real tà, bensì presupposto di ogni realtà conoscibile, prin cipio a cui essa tutta deve riferirsi. L'oggetto della conoscenza è una cosa nostra, e in questo senso è im manente nel soggetto, ch'è il soggetto che lo costrui sce; perchè l'oggetto è il risultato o il prodotto di un'opera di selezione, o, come diceva la logica anti ca, di astrazione, ma anche di sintesi.

III. - Nondimeno la sintesi elettiva in che consiste la funzione vera del pensiero, sintesi che raccoglie e stringe il molteplice in unità, e l'unità riferisce almol teplice (totalità dell'esperienza), trova in una parte del suo contenuto i segni di una attinenza sua con un termine diverso da sè; nel che si distingue dall'altra moltitudine di rappresentazioni che si riferisce diret tamente al senso o esperienza interiore. E il conte nuto dell'esperienza non si risolve tutto nella stessa funzione o processo del pensiero in atto, e il valore della verità delle idee deriva così dalla attività co struttiva di esse come dal riferimento degli elementi che le costituiscono, cioè le sensazioni e le rappre sentazioni elementari, ad una realtà che vi concorre traverso a quelli elementi primi della coscienza.

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IV. - Si ritorna dunque, al vecchio postulato del noumeno impenetrabile? No, risponde il Chiappelli.

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CAPITOLO
« L'antitesi kantiana di noumeno e di fenomeno non ha ragione d'essere, sì per ilprincipio logico di contrad dizione che non consentedi qualificare, neanche co me impenetrabile, codesta riposta realtà, sì anche (e più) perchè il conoscimento è un continuo avanzare 75

nel campo della realtà, per cerchi sempre più vasti di relazioni; e la relazione è appunto la via che uni sce i due termini fra cui intercede e che stringe l'u no all'altro in unità » . Del resto « Kant stesso potè mai dimostrare che i fenomeni o apparizioni o manifestazioni, non corrispondano a codesta ulteriore realtà, e non siano legittime sue rivelazioni in noi » . (86) Anzi, aggiungiamo noi, approfondendo il signifi cato del noumeno, non ammette come probabile Kant stesso che ciò che sta a fondamento della materia della nostra conoscenza può essere la stessa cosa di ciò che determina le forme sotto cui noi ordiniamo la materia stessa, e ciò che è il fondamento dei feno meni materiali potrebbe essere la stessa cosa di ciò che è a fondamento dei fenomeni spirituali? Che que sto sia il genuino pensiero di Kant ritengono molti, fra gli altri l'Hoeffding. In questa concezione il nou meno sarebbe la realtà profonda, come ragione di ciò che è soggettivo e di ciò che è oggettivo nella co noscenza, e il dualismo importerebbe, non separazio ne, ma distinzione reale nell'unità, cioè in una stessa razionalità.

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V. - La grande innovazione della filosofia critica, dopo il Kant, consiste nell'aver dimostrato che la vera conoscenza è sintetica, cioè è creatrice; e che percið l'oggetto non è qualcosa di stabile e di dato, bensì un eterno processo, in continuo divenire, in funzione (86) Op. cit. - Cóntro l'identi,icazione della filosofia e della storia e pei diritti della icritica, pp. 160-162.

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dello stesso conoscere la cui vita è movimento e pro gresso, che non consente alcun arresto o limite alcu no assoluto, capace di precluderne il cammino. La sola cosa stabile, la sola invariante, è l'identità e l'u nità della linea direttiva senza la quale non sarebbe possibile il sapere; ma la direzione essendo di per sè indefinita, illimitato è altresì il progresso del sapere ».

Il noumeno non è un limite, nè come concetto ne gativo nè come realtà inesplorabile, ma è una realtà che l'uomo va sempre più conquistando e concettua. lizzando. « Il sistema della conoscenza, non è, quin di, un dato, fermo ed immutabile, ma un complesso che continuamente si svolge nell'unità e nell'infinità sua » . (87).

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La vera conoscenza è creatrice, « ma l'analisi criti ca del processo conoscitivo esclude che tutto il con tenuto di essa si risolva nel soggetto ». Noi stessi siamo artefici della conoscenza in sè stessa, ma esse re artefici non è essere creatori (88).C'è e ci dev'essere congruenza della razionalità nostra colla realtà; le co se devono corrispondere alle forme della conoscenza, anche secondo Kant; ma congruenza non è identità. « La ragione, per dirla col Varisco, da cui è regolato l'universo reale, coincide colla ragione umana. In altre parole: noi siamo ragionevoli e siamo capaci di co noscere le cose, per essere implicita o immanente in

(87) Op. cit. - Il concetto moderno della filosofia, pagi. ne 54-55 .

(88) Op. cit. Per il realismo conoscitivo e contro l'im manentismo, pp. 184-5.

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SECONDO
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noi quella medesima ragione che è implicita e imma nente nell'universo » . Ma coincidere non è identificar si. La nostra ragione, seguendo il suo processo lo gico nel suo concettualizzamento della realtà, rifà in sè il processo logico, lo sviluppo razionale della re altà stessa.

Ecco la via maestra dello sviluppo del criticismo vero e genuino quale lo volle Kant e quale è contenu to nelle tre Critiche da considerarsi come un tutto unico, come una unica critica. E chesi debba tener conto di tutte e tre le critiche per intendere tutta l'o riginalità di Kant e il suo significato nella storia della filosofia moderna, afferma, si capisce, anche il Genti le; quantunque poi, non abbia davanti agli occhi, e sponendo il kantismo, che la prima critica, come e sclusivamente dottrina della conoscenza fenomenica; il restodi essa è un Caput mortuum, un detrito del sistema nel suo sviluppo. A torto, crediamo noi; e a torto l'idealismo della perfetta immanenza crede di essere uno svolgimento logico del kantismo integrale storico. Quasi la stessa osservazione si potrebbe fare intorno alla interpretazione che i nostri idealisti ci offrono del sistema hegeliano. Già nel mio volume sul Croce mi sono sforzato di dimostrare quanta trascendenza e quanto dualismo si annidino in quel sistema. Gli idea listi sostengono che queste sono le parti morte, le parti caduche del sistema di Giorgio Hegel, che a vrebbe dovuto svilupparsi come metafisica del cono scere, risolvendo l'oggetto del pensiero nell'atto del

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pensare. Scrive il Gentile : « Hegeliano si è veramente se, accettando la logica hegeliana, non si accettano in blocco la dottrina natura e quella dello spirito, ma si rifanno, quando occorre, hegelianamente». E come ») si debbono rifare, hegelianamente? Si debbono rifare, aggiunge in una nota il Gentile.- quando la logica hegeliana sia riformata nel senso da noi propugnato solo come storia della natura e storia dello spirito; cioè, propriamente come storia, tout court, che non può esserc, in fondo, se non dello spirito che la fa » . (98). Ma un Hegel così rifatto è ancora Hegel? C'è da dubitarne, a dir poco. Se facciamo scendere le idee platoniche dal mondo trascendente in quello della nostra realtà, nel cuore delle cose, come forme di esse, non abbiamo più Platone, il Platone co me è inteso dai più, ma Aristotele. Del pari; se im manentizziamo nell'atto puro del pensiero la natu ra è lo spirito concepiti da Hegel distinti dal nostro pensiero, come di qua dal pensiero-storia; se l'asso luto dopo essere diventato arte, religione e filosofia non cessa di divenire, come invece afferma Hegel, ma passa ancora, per modo di dire, di atto in atto é si confonde con l'atto, non abbiamo più Hegel, ma lo Spaventa, e, meglio ancora, il Gentile. Se risolvete tutto l'oggetto nell'atto del pensiero, non avete più Kant, non avete più Hegel, Risolvere è dissolvere. In un sistema ideale dice bene lo Stirling l'altro(89) La riforma della d. d. heg., II, p. 80.

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dell'appercezione o della attività sintetica (cioè la co sa in sè) è esso stesso appercezione, e l'universo, quindi, è tutto appercezione, atto creativo del pensie ro, soggettività concreta : questo dovrebbe dire Hegel dopo Kant, per fondare l'idealismo assoluto. Ma in Hegel troviamo ancora la cosa in sè; quale' altro è l'oggetto, infatti, della filosofia della natura, se non una realtà distinta da quella dello spirito? Si tenga presente tutta la filosofia hegeliana quale sopra l'ab biamo esposta e si veda se è conciliabile coll'ideali smo attuale. E questa radicale distinzione si fa anche più profonda se seguiamo lo svolgimento che del l'hegelismo ci hanno dato e ci dànno i discepoli in glesi e americani. Il tratto più caratteristico dell'in terpretazione dello Stirling e che è peculiare a tutto l'indirizzo inglese, sta nell'affermazione che kante Hegel non abbiano avuto altro fine nella loro ricerca che di restaurare la fede in Dio, nell'immortalità del l'anima e nella religione rivelata.

La grandezza di Hegel starebbe nell avere scoper to che il Cristianesimo è l'unica e vera religione rive lata, e nell'averlo riscattato, non solo dalla contingen za ed esteriorità della storia, ma ancora dalle con traddizioni e discrepanze dell'intelletto e dalla vol garità del senso, e ristaurato nella sua realtà spiri tuale. (90) Si platonizza l'idea e lo spirito; e Dio è il Dio del teismo : realtà ultima che non è processo, (90) DE RUGGIERO, Storia della fil. mod., Vol. II, p. 53. Cita dallo Stirling.

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ma possesso eterno e immutabile di tutti i valorigià spiegati, al quale noi tendiamo e ci appressiamo at traverso un processo di liberazione dall'ignoranza, dall'errore, dal male. E il nostro processo è, si capi. sce, non costruttivo, ma ricostruttivo. Proprio come diciamo noi. Altro che immanenza ! Se è vero, come è vero, che, per il Gentile e la sua scuola, fuori dell at tualità del pensare, fuori dello spirito comeatto puro, che diviene dialetticamente, che è tutta la realtà come sintesi a priori creativa, la soggettività dello spirito si annulla e non resta che l'idea platonica, allora Hegel non è lo Spaventa, non è il Gentile, perchè Hegel con cepisce lo Spirito, nel suo più alto fastigio, fuori e so pra la dialettica del soggetto. Teismo, insomma. Dio come supremo principio di unificazion», come ragione ultima trascendente immanente, ma anche trascen. dente -- di tutto lo sviluppo del molteplice. E si noti: non èsoltanto quella che si potrebbe chiamare la de. stra hegeliana che in Inghilterra e in America inter preta Hegel a questa maniera: anche il Baille, che il Gentiletanto loda e apprezza (91), anche il grandeRoy. ce, tutti e due della sinistra, finiscono nel teismo, nel platonismo. (92) La filosofia è condannata ad essere platonica: tutti i sistemi vanno a finire in Platone; tutti! Con cið non si viene punto a negare la legitti (91) In La riforma della dialettica hegeliana, II, Origi ne e significato della logica di Hegel, p. 75 seg: (92) GUIDO DE-RUGGIERO, Op. Cit. Vol. 2 pp. 49, 87.

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filosofia di G. Gentile

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mità dello sviluppo che di Hegel fanno gli idealisti italiani : si trovano di fatto in Hegel dei principi che, presi da soli , portano allo Spaventa e al Gentile . Noi neghiamo solo che l'idealismo attuale sia puro svol gimento dell'hegelismo di Hegel, preso nella sua in tegrità, nei suoi elementi essenziali; noi neghiamo la continuità storica che fa la dottrina hegeliana e il co sidetto hegelismo italiano. Ciò che del resto, conce dono anche, fino ad un certo punto, i neo-hege liani d'Italia, quando affermano che collo Spaventa comincia la dissoluzione dell'hegelismo; dissoluzione che è ben più che semplice svolgimento, come deve ormai esser chiaro a chi ci ha seguiti nella nostra esposizione. Che, anche interpretati teisticamente, come sistemi in cui è fatto sìgran posto alla trascendenza, Kant e specialmente Hegel non siano, nello svolgimento delle loro idee e nel modo di affermare i dualismi, accet tabili da chi, come noi, segue la grande filosofia tra dizionale, è più che evidente a chi conosca, anche solo alla superficie, il platonismo agostiniano e l'ari stotelismo della scolastica che stanno alla base della nostra filosofia. Ma è pieno di grandi le zioni il fatto storico che sistemi considerati comune mente come il non plus ultra del soggettivismo e del l'idealismo, vadano a culminare in teorie oggettivisti che e realistiche della più bell'acqua; siano, anzi, di tali teorie tutti compenetrati fino dal loro primo for marsi. Lux in tenebris: la verità vince l'errore.

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CAPITOLO TERZO

L'idealismo attuale I. La realtà spirituale

Ci occuperemo in un Capitolo a parte dei lavori storici nei quali ilGentile, nel primo periodo della sua speculazione, ha disseminato le idee fondamentali del suo idealismo e se ne è servito come di norma e di criterio nel giudicare le diverse correnti di pen siero, specialmente italiane; qui mettiamo a fondamen to del nostro tentativo di presentare in forma organi ca il sistema del sottile e difficile filosofo le opere strettamente dottrinali della piena maturità delsuo pensiero. (93)

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(93) - E cioè: Sommario di pedagogia; La riforma della dialetlica Hegeliana; Teoria generale dello spirito come atto puro; Sistema di logica come teoria del conoscere, La riforma dell'educazione; Discorsi di religione, e l'inte ressantissima prolusione tenuta a Pisa nel '14.

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LA FILOSOFIA DI GIOVANNI GENTILE

Ebbene, che cos'è l'idealismo attuale? Lo sappiamo già, più o meno comprensivamente, dal detto fin quì Ecco : pensare un pensiero è realizzarlo. E realizzarlo importa due momenti: negarne l'oggettività astratta affermarne l'oggettività concreta. Che cosa vuol dire E' astratto il pensiero concepito fuori del pensare fuori del suo svolgimento che lo fa essere, che lo fa pensiero : è astratto perciò il mio pensiero come pen siero già pensato, che, dunque, non è più pensiero e così pure è astratto il pensiero altrui come tale, che quindi non può essere colto nell'attività che lo pensa che lo crea, lo pone nel suo essere di pensiero: è non il pensiero ma il pensato, cioè l'oggetto del pensiero oggetto fuori del soggetto, nel quale solamente il pen siero reale vive, diviene : oggetto astratto, quindi Quando penso io davvero il pensiero altrui e il mio già pensato? Ma quando e in quanto lo rivivo, lo vivo in me nel mio pensiero attuale, quando cioè esso cessa di essere altrui e diventa mio, quando in altre parole lo pongo come oggetto di me soggetto, in virtù del mio atto presente, ed è perciò vita della vita del sog getto e nasce e cresce si intensifica e si dilata col nascere, crescere, dilatarsi, intensificarsi del pensante in un dato momento della sua vita; quando, in una parola, è la vita stessa del pensante e si identifica con essa. Dunque il pensiero altrui è pensiero in quanto soltanto nostro, e il pensiero nostropassato, come pen siero presente è soltanto presente? Il pensiero non sa rebbe anche oggettivo ma esclusivamente soggettivo Intanto fermiamo questo concetto : nulla è in me come

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oggetto mio concreto, se non passa attraverso me e non vive della mia vita attuale come oggetto sogget tivato, identico coll'io che lo soggettiva, lo pone po nendo se stesso : pensando. L'oggetto dell'Io è dunque l'Io stesso. L'Io ha coscienza dell'oggetto in quanto ha coscienza di sè nell'atto di pensarlo, di farlo : l'at to dell'Io è coscienza in quanto autocoscienza, perchè ogni processo conoscitivo è atto di autocoscienza. La quale non è astratta identità e immobilità, anzi atto concreto. Se fosse un che d'identico inerte, spiega il Gentile, avrebbe bisogno d'altro per muoversi. Ma ciò annienterebbe la sua libertà. Il movimento suo non è un posterius rispetto al suo essere : coincide coll'es sere. L'autocoscienza è lo stesso movimento o proces so : è cosciente, autocosciente, in quanto fa, si fa, pensa.

Ecco perchè, come processo originario o assoluto, non ha bisogno di essere alterato, cioè di uscire da se per diventar altro, di oggettivarsi per virtù stranie ra, perchè la molla dello sviluppo la possiede nella sua natura di processo. E' intima alterità: non essere, ma essere che si ripiega su se stesso negandosi perciò come essere , Una cosa astrattamente considerata, è; il pensiero già pensato, è; il pensiero altrui, come tale è; ma ap punto perciò non è pensiero, cioè autocoscienza. E la logica stessa del pensiero non permette allo spirito di fermarsi in quella astrazione; bisogna muoversi, entrare nel concreto, nell'eterno processo del pensiero E quì l'essere si muove circolarmente tornando su se

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> (94) La riforma della dialettica hegeliana, IX. L'atto del pensare come atto puro. (95) Op. cit. l. cit. p. 247.

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stesso, e però aumentando se stesso come essere. Qui è la sua vita, il divenire: il pensiero. (94). Questo processo dello spirito si può esprimere così : il pensiero già pensato e il pensiero altrui do po averlo soggettivato lo oggettiviamo, cioè l'annul liamo come attualità del pensiero: ma, i noti, lo an nulliamo in un nuovo atto di pensiero; per cui l'og gettività nuova conferita a codesto pensiero, che il nostro pensiero espelle da sè e considera come og gettiva, è realizzata in funzione del nuovo pensiero nostro e attuale ed è un membro organico dell'unità immanente di questo. (95) L'oggettività astratta si fa soggettività appena venga considerata attualisticamen te, cioè nell'atto del pensiero che la rifà reale concreta e spirituale, e questa soggettività si pone poi come oggettività concreta effettiva. E' necessario aggiungere che l'astratta oggettività è stata una volta soggettività ed oggettività concreta, cioè spirituale? Ed è superfluo notare che l'oggettività astratta, come astratta, ossia come puro pensato, non è reale, non rappresenta nul la di reale, non è quindi spirito, se spirito è realtà e la realtà è spirito, nient'altro che spirito. Che cos'è? Si farà chiaro più tardi. Intanto, concludendo, faccia mo rilevare che quel che si dice pensiero di altri o nostro in passato è reale, concreto, solo come mem bro organico del nostro pensiero attuale, da esso in - 86

scindibile, perchè vita della sua vita, anima della sua anima. La conclusione è evidente : il solo pensiero concreto è il pensiero nostro attuale. E poichè il pen siero nostro non attuale non è più nostro, si può di re che il solo pensiero concreto è il pensiero assolu tamente attuale, poichè il pensiero non nostro non è attuale pensiero. (96)

L'idealismo attuale è la dottrina del pensiero come atto in atto, e vuol stabilire la realtà assoluta dell'io, la quale non sarà assoluta se avrà qualche cosa dicira a sè, su cui si fonderà, invece di essere il fonda mento di tutto e aver quindi tutto innanzi a sè. (97) Sta proprio nel concetto erroneo qui accennato la posizione di Hegel: Hegel, cioè, fa precedere all'lo tutto ciò che lo presuppone: all'Idea in sè e per sè fa precedere l'idea in sè e l'idea fuori di sè, che sono non lo spirito, ma il pre-spirituale nello sviluppo dialet tico. E noi abbiamo già veduto a quali difficoltà in sormontabili va incontro la concezione dialeltica del reale se allo spirito si fa precedere la logica e la natura. Ebbene: l'idealismo attuale inverte il pro blema hegeliano : per esso non si tratta più di de durre il pensiero dalla natura e questa dal logo, ma la natura ed il logo dal pensiero. Ben s'intende dal pensiero attuale, non da quello definito in astratto; dal pensiero assolutamente nostro in cui si realiz za l'Io. Il beneficio dell'inversione è evidente : per >

(96) Op. cit., l. cit., p. 247. (97) Teoria dello spirito come alto puro, Cap. XVII, D. 218.

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essa la deduzione, che era impossibile nell'idealismo hegeliano, diventa la reale dimostrazione che il pen siero fa di se stesso nella storia del mondo : la stes sa storia. (98) La deduzione hegeliana moveva dal l'astratto al concreto, e dall'astratto al concreto non c'è passaggio. Moveva dalla logica del reale che go verna il pensiero come norma di esso, moveva poi dalla natura come antecedente necessario della storia del pensiero, cioè del concreto. E non ci riusciva, perchè non poteva riuscirci. Dal concreto inveceosserva con grande profondità e precisione il Genti le il passaggio all'astratto non è se non lo stesso processo eterno di idealizzazione di sè. L'atto del pensiero è, infatti, coscienza di sè o realtà che si rea lizza idealizzandosi. E l'idealizzarsi che è il rea lizzarsi del reale, è quel dualizzarsi per cui l'atto del pensiero si libra tra due sè, il primo dei quali è soggetto e l'altro oggetto soltanto in questo mutuo rispecchiarsi dell'uno nell'altro per l'atto concrelo e assoluto del pensiero » . E che cosa importa il dualizzarsi? E' evidente : « im porta un intimo differenziarsi del reale che, idealiz zandosi, distingue sè da sè (il soggetto dall'ogget to); e perd conosce, in quanto si trova innanzi a se nella sua idealità come diverso da sè. Ed è infatti ra dicalmente diverso, è la negazione del reale che si idea lizza. Il quale è pensare ed esso è pensato, l'opposto del pensare. (99) Le differenze profonde che distin

(98) Op. cit., cap. cit., pag.218. (99) Op. cit., cap. cit., p. 219.

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guono dal pensato il pensare non ci sono più nuo ve e sono differenze dicono gli idealisti che separano uno dall'altro due mondi di pensiero: quel lo prima di Kant e quello dopo Kant. Il pensare è attività e il pensato è prodotto della attività , cioè cosa; l'attività come tale è causa sui, e perciò libertà; la cosa è semplice effetto che ha fuori di sè il prin cipio del proprio essere e perciò è meccanismo. L'at tività diviene, la cosa è. La cosa è come altro, termi. ne della relazione ad altro. In ciò è la sua meccani cità. (100)

>

I caratteri della realtà come pensiero in atto è fa cile desumerli dalla natura stessa del pensiero in at to. Se l'Io è attualità, pura attualità, come coscienza autocosciente, se nulla può essere conosciuto, ossia se nulla è reale che è poi lo stesso dopo l'iden tificazione spaventiana di pensiero-concreto umano e realtà, cioè dopo l'affermazione della assoluta imma nenza del reale nel pensiero umano se nulla è reale se non in quanto la sua oggettività si risolve nella attività reale del soggetto che la conosce; se la realtà è misurata dalla coscienza che ne è insieme il contenuto e la forma, perchè tutto è forma; i ca ratteri della realtà si potranno ridurre a questi : spi ritualità, soggettività, concretezza, storicità, libertà: caratteri che, intesi a dovere, si possono fondere l'uno nell'altro e tutti in uno, perchè in ognuno di essi c'è tutto lo spirito. Prima di illustrare ordinatamente uno (100) Op. cit., cap. cit., p. 219.

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. (101) Teoria dello spirito ecc., Cap. II, p. 12. (102) La riforma dell'educazione, p. 24.

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dopo l'altro questi caratteri del reale, come attualità dello spirito e dell lo, dobbiamo distinguere Spirito da spirito, Io da io. Infatti quando pronuncio la parola « Io » posso intendere, pare, due cose molto diverse, posso pensare « me » come una cosa fra le cose, un sog getto fra molti soggetti, e non, quindi, vero soggetto, perchè può essere, ed è di fatto, oggetto e contenu to di coscienza; e posso pensare il soggetto che non può mai essere oggetto « Empiricamente » io sono un individuo, non solo contrapposto a tutte le cose materiali, ma a tutti ugualmente gli individui a cui attribuisco valore spirituale, poichè tutti gli oggetti dell'esperienza, quale si sia il loro valore, sono, non pure distinti, ma separati fra loro, in modo che ognu no d'essi esclude assolutamente da sè, a causa della sua particolarità, tutti gli altri. (101) Perciò l'Io empi rico è molteplicità senza unità, particolarità senza uni versalità. Quel che sono io non è nessun altro, nè io posso confondermi con nessun altro. Ognuno ha il suo corpo e ha la sua anima : ognuno è sè stesso. Co me impenetrabili sono i corpi, impenetrabili rispetti vamente par che debbano essere le individualità, cia scuna delle quali si afferma e dice : « lo ». (102) Ognu no di questi << lo » scrive, riassumendo in poco con « Io grande efficacia il Gentile « ha in sè il proprio essere, ed il proprio destino; ognuno fa centro di sè ad un suo mondo. E da questo centro si costrui - 90

sce, pensando e operando, questo mondo: mondo di idee, di immagini, di sogni, di concetti e sistemi, che sono nel suo cervello; mondo di valori, beni che l'attraggono e gli abbelliscono la vita, o mali che lo respingono e lo amareggiano; i quali tutti hanno ra dice nella sua volontà, nel suo carattere, nella sua maniera di concepire il mondo e di colorirlo. (103)

E' ben questa la tesi dell'individualismo puro e teo rico, ma non è la tesi di nessuna filosofia spirituali stica e neanche la tesi che seguiamo nell'azione, nella vita pratica come condotta inter-individuale. Tutti riconoscono che, nella persona umana, insieme con la particolarità dianzi descritta, c'è un altro elemento, un elemento che è l'antitesi di ogni particolarità e in cui noi attingiamo veramente la nostra profonda na tura, cessando di essere ciascuno sè stesso in oppo sizione a tutti gli altri, anzi riuscendo per l'appunto quel medesimo che tutti gli altri sono, o si crede che siano. (104).

E' in fondo la stessa distinzione che fanno certi psicologi, p. es. il James, fra il « moi » e il « Je » . Il « moi » nei suoi elementi integranti come « io mate riale », « io sociale » e « io spirituale », racchiude tutto quello che un individuo può dire « suo ;) : il suo corpo, le sue facoltà fisiche, le vesti che indossa, la casa, la moglie, i figli, gli antenati, gli amici, le facoltà , psichiche, la reputazione,le sue opere, ecc. ecc.; in 7 (103) Op. cit., p . 25. (104) 0y. cit., p . 26.

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somma un sistema concreto di relazioni particolari. Il « Je » , invece, è l'Io puro, è l lo cosciente, mentre il « moi » non è che uno fra molti oggetti di coscienza : in altre parole « le Je » est ce qui pense en nous ». E' l'Io trascendentale, lo spirito, il pensante. (105) Il « Je » o l'Io trascendentale, è, non un oggetto di esperienza, ma la condizione di ogni esperienza, non è quello che pensiamo ma noi che pensiamo quello che pensiamo; è spettatore, non spettacolo: non bisogna quindi proporselo mai come oggetto della nostra esperienza. « La coscienza, in quanto oggetto di coscienza, non è più coscienza; in quanto oggetto appercepito, la percezione originaria non è più l'ap percezione, non è propriamente più soggetto, ma è oggetto : non è più lo, ma non-io ». (106) Bisogna ab bandonare il punto di vista empirico e mettersi in quello trascendentale per capire l'Io come puro sog getto, condizione di ogni oggetto e negazione insie. me d'ogni oggetto, anche di sè come oggetto. Il pun. to di vista nuovo è questo dell'attualità dell'Io, per cui non è possibile mai che si concepisca l'Io come oggetto di sè medesimo. « L'Io non si può oggetti vare perchè ogni oggettivazione è resa possibile dal l'attività oggettivante, che è, perciò stesso, non og getto ma soggetto. La vera attività pensante non è quella che definiamo, ma lo stesso pensiero che de inisce » . (107) E questa è universale : universale co (105) JAMES, Précis de psychologie, trad. francese, pa gina 227 seg. (106). GENTILE, Teoria dello spiròto, Cap. I, p . 25. (107) Op. cit., Cap. I, pp. 5-6..

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me pensiero. « Il nostro vero noi scrive altrove il Gentile - non è quello che attraverso la rappresen tazione empirica della nostra personalità intravvediamo in mezzo alle cose e quasi una di esse; ma quello più profondo, per mezzo del quale vediamo tutte le cose ed in mezzo ad esse possiamo pure intravvedere quell'altro essere nostro.

La realtà di questo «.noi » profondo, che non è più conoscibile come cosa, e senza di cui nessuna cosa è concepibile, è tale una verità che o non ci si arriva o si raggiunge a patto di vederla a capo di tutte le altre possibili, compreso quel qualsiasi concetto che ci fa remo della esperienza. (108) E che si debba ammettere l'esistenza dell'Io trascendentale pare a prima vista e vidente. Io non posso distinguere me dagli altri uo mini e ciascuno di questi dagli altri e da me, se non trascendo me e gli altri, se non sono l'unità trascen dentale di me e degli altri, ossia se non supero le par ticolarità finite che sono, dunque, oggetti, che il sog. getto unico distingue. Inoltre: noi ci accorgiamo di mutare, di essere nel tempo, dunque noi che ci ac corgiamo dobbiamo trovarci fuori del tempo, in un presente senza mutazione, di dove si possono vedere ed abbracciare simultaneamente i momenti successivi. Così pare a prima vista. Ma noi sappiamo che per spiegare questi ed altri fatti analoghi, non è punto necessario disturbare il preteso lo trascendentale. Io distinguo me dagli altri perchè in me ci sono dei fatii

(108) La riforma dell'educazione, p. 115.

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psichici di una intimità peculiare diretta ed imme diata che non hanno altri fatti che pure vengono a trovarsi nella mia coscienza. « Toute pensée a le privi lège de distinguer parmi les autres pensées qu'elle peut connaître celles qui appartiennent au même moi qu'elle, de celles qui ne lui appartiennent pas. Les premières ont une chaleur et une intimité qui font défaut aux secondes » . (109) Come si spieghi la ve duta simultanea di due stati successivi, e si possano paragonare due momenti di coscienza, vedremo in un altro capitolo.

A quella spiegazione qui accenniamo semplicemen te, ricordando che ogni atto di coscienza si continua, come eco sempre più fioca, nell'atto successivo. La coscienza non è giustapposizione di punti, ma un processo di continuità.

E in che consiste il rapporto fra l'Io empirico e l'Io trascendentale, due lo che intesi a dovere, come spiegheremo sotto, criticando la veduta idealistica di essi tutte le scuole spiritualistiche ammettono e de vono ammettere a spiegare davvero l'attività umana teoretica e pratica, nei due momenti di particolarità e di universalità che curatterizzano ogni atto umano, come tale? Scrive il Gentile : « Non si creda che il con cetto di questa più profonda personalità, della Persona che non ha plurale, escluda ed annulli affatto ogni concetto dell'Io empirico. L'idealismo non vuole essere misticismo. L'individuo particolare non svanisce nel (109) WILLIAM JAMES, Précis de psychologie, trad. franc. P. 259.

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seno dell'Io assoluto, che è uno e in sè unifica 0 gni lo particolare edempirico; unifica ma non distrug ge. La realtà dell'Io trascendentale importa pure la realtà di quello empirico, che è solamente ed indebi tamente concepito e affermato solo quando si prescin da dal suo rapporto immanente con l'Io trascenden tale » . (110) Pare, però, come era da aspettarsi, che la realtà dell'Io empirico si riduca a molto poco, per non dire a nulla: si senta quest'altro passo: « Questa personalità per cui entriamo nel mondo del molteplice e degli individui naturali, nel senso aristo telico, è radicata in una personalità superiore e sol tanto in essa è reale. La quale contiene la prima e tutte le altre empiriche personalità e quanto altro si dispiega nello spazio e nel tempo... ed è fuori di o gni « prima e dopo » di contro al tempo, che essa fa essere nell'eterno » . (111) Come si possa parlare an cora di personalità empiriche, di io empirico, se la sua realtà è solo nell'Io trascendentale, e ciò che non è trascendentale non è reale che, precisamente, nel trascendentale, nell'eterno, non capisco. Quil'empiri. co, a ben guardarci, non esiste più come tale; non è mai esistito, perchè non è reale che in quanto è uni ficato nel trascendentale, cioè fatto trascendentale: uni ficare non è, secondo il Gentile, fare? Se la realtà è l'atto di unificazione, dunque ciò che non è atto, unifi cazione, non è reale; e l'atto è unificazione di che cosa? (110) Teoria dello spirito, Cap. II, p. 13. (111) Teoria dello spirito, X, p. 125.

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ora non

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L'empirico, come tale, non può essere reale, non è, nel trascendentale, che è atto, non è più empirico dunque l'empirico non esiste. Ne riparleremo nel ca pitolo seguente; per ora ci limitiamo a fare qualche altra osservazione. C'è la ragione, nel senso compren sivo di spirito, comune a tutti gli uomini, parliamo che di questi; senza di essa noi saremmo monadi senza finestre, anzi senza intelligibilità, questa è data da ciò che è universale-nell'individuo e non sarebbe concepibile alcuna comunicazione uma na, alcuna società : la famiglia, la città, la nazione, società umana... non sono, in fondo, che forme sto riche, più o meno sviluppate, della ragione, come spi rito: pensieri che comunicano, volontà che comuni cano. Ma la ragione non esiste fuori delle ragioni, mia del mio amico, ecc. ecc., le quali, evidentemente, so no quello che sono, in quanto ragioni, perchè incar nazioni della ragione umana universale. E sorge una duplice questione: la « Ragione » è personale? le « ra gioni » sono personali? Prima di dire quello che pen siamo in proposito e lo diremo nei capitoli che seguono vediamo di dare e di sviluppare quanto più integralmente ci è possibile la dottrina del Gen tile sull'argomento. Egli scrive: « Convien por mente che l'Io trascendentale si pone come empirico, e co me tale è condizionato ». (112) Cioè : il condizionato l'Io empirico, è lo stesso Io trascendentale, che si po ne come altro, che è autogeneticamente principio del-

(112) Op. cit. Cap. II, p. 15.

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l'altro; l'Io empirico immane, quindi, nell'lo trascen dentale, nell'unità e coll'unità e forma con esso una sintesi a priori, nella quale l'Io trascendentale è la vita dell lo empirico e questo è la vita dell'Io tra scendentale, dove condizione e condizionato sono im manenti l'uno all'altro e costituiscono una unità con creta, unità che è, insieme, dualità. Lo spirito vive, per così dire, dell'Io empirico, cioè dell'immanente sua posizione, e la posizione non può che nel ponente. Dualismo gnoseo logico. Anche ontologico? Sì, se l'empirico, imma nendo nel trascendentale, resta empirico, e il trascen dentale, immanendo nell'empirico, resta trascenden tale. Ma con ciò si uscirebbe dal monismo idealistico e si aprirebbe la porta a quel dualismo che il Gentile ha sempre negato e combattuto. Guardiamo più ac curatamente. Il rapporto del soggetto con l'oggetto e, quindi, anche con l'Io empirico, è quello della sintesi a priori, propria dell'atto del pensiero, che si realizza nell'opposizione del soggetto e dell'oggeto; di sè e dell'altro da sè. (113)

vivere, sicapisce

(Non si può quindi parlare di lo condizionante e di lo condizionato, se non a una condizione : che le due realtà sianoconcepite come una realtà sola; e, si capisce, come tutta la realtà. Ma nella sintesi ci sono l'Io empirico, che resta empirico, e l'Io trascenden. tale che resta trascendentale, l'Io condizionante che resta, si capisce, lo condizionante e l'Io condizionato

(113) Teoria dello spirito, Cap. 12, pag. 164.

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che resta lo condizionato? Si devono concepire come due realtà o come due aspetti di una stessa realtà, ossia la stessa realtà in due momenti fusi in piena unità? Quest'ultimo è il pensiero del Gentile. L'Io as soluto è il nostro pensiero in quanto universale; an che però, come universale, non esce dalla nostra in dividualità : ma la nostra individualità, se è nostra per chè intima a noi, o, meglio, perchè intima, presente a sè stessa, è universale, anzi l'universale concentrato e però fatto reale nell'Uno della coscienza. Il che viene a dire, - come si doveva aspettarsi, che l'in. dividuale, l'Io empirico, è reale in quanto è uni versale; quindi, come individuale è privo di realtà: e allora ov'è la sintesi? Sintesi non è unità di identi co e di diverso? di identico e di diverso reali come identico e come diverso? « L'Io particolare è natura, non pensiero ». Dunque non è reale in quanto parti colare, ma solo in quanto universale. E, domando an cora, dov'è la sintesi? L'universale individuato il Gen tile lo chiama qui sopra « universale concentrato ». Concentrato dove? Nell'uno della coscienza, nell'uno della coscienza universale, si capisce. Questo non vie ne a dire che l'universale si concentra nell'universale? Non capisco. Forse perchè analizzo e non guardo gli elementi dell'analisi nell'unità completa, dove soltanto sono reali? Non credo. Il mio problema è questo: l'individuale è reale, nella sintesi come individuo o solo come universale? Nel primo caso bisogna ammet tere, mi pare, il dualismo ontologico, nel secondo non c'è la sintesi, perchè manca il diverso. Ma forse que

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ste difficoltà troveranno o la soluzione o lo schiarimen to nel sistema totale. Procediamo, dunque. Dal fin qui esposto apparisce che l'Io trascendentale è da concepirsi come la soggettività profonda in cui si ri solvono le soggettività empiriche e che costituisce la comune radice, la sorgente del loro essere, l'unità attiva della loro moltiplicità.

« L'Io non è soltanto posizione d'altro, e quindi posizione di sè a quest'altro, e moltiplicazione. L'Io è anche, prima di tutto, unità per cui tutti i coesisten ti dello spazio si abbracciano d'un solo sguardo nel soggetto e tutti i successivi del tempo sono compre senti in un presente che nega il tempo » , (114) Attivi tà universale, quindi, ma concretamente universale, cioè, insieme, individuale. Questo lo si vuole disegna re quando si parla di Spirito tout court. Per compren derlo in tutta la sua natura profonda dobbiamo stu diarne i caratteri. Cominciamo dallo stabilire che ogni fatto spirituale è attuale. Cioè, ogni fatto che si pos sa chiamare « spirituale », si immedesima nella nostra realtà spirituale, come si è accennato, sopra, ma su cui non sarà inutile insistere. Non c'è fatto spirituale per noi, se non intendiamo, se non penetriamo nella realtà dell'anima in cui accade. « Senza l'unificazione del nostro spirito con l'altra anima, con cui essa vuo. le entrare in rapporto, non è possibile avere nessuna intelligenza, e neanche cominciare ad avvertire o scor gere qualche cosa che avvenga in un'altr'anima. Ogni Y n . 121. (114) Teoria dello spiru , www.

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comunicazione tra la nostra e l'altrui realtà interiore, è essenzialmente unità » . (115) Quindi nessun fatto spirituale nè di noi, del nostro passato, nè d'altri può aver luogo mai senza l'intima penetrazione del nostro spirito in esso, senza la sua conversione in atto nostro, per la quale da jatlo diventa precisamente atlo, da og getto soggetto, vita della vita del soggetto. Non si distingue mai abbastanza fra fatto e atto di pensie ro. In una delle sue più pregevoli monografie il Gentile sviluppa limpidamente questa distinzione: « Se io dico che Emanuele Kant ha definito il giudizio co me una sintesi a priori, io enuncio un fatto; ma non è un fatto questo concepirlo che lo fo come fatto. Che la dottrina di Kant sia un fatto, significa che il suo essere non esclude nella mia mente il suo non essere. Ma nel punto che io enuncio questo fatto, il mio pensiero di ciò non è fatto, perchè se io penso cotesto, non posso non pensarlo, nè pensarlo altrimen. ti : il mio pensiero è necessario, universale, vero; ve ro, si badi, nell'atto di pensarlo. E quindi esso non è un fatto ma un atto ». E « non solo il mio pensiero è un atto, ma nè anche quello di Kant è un fatto, se non a patto di considerarlo, anzichè come pensiero, come la negazione, piuttosto, del pensiero. Giacche un pensiero che sia un pensiero è un pensiero che si intende, ossia un pensiero, di cui si scorga la logica, che si valuti e insomma si faccia nostro » . (116) Inten

(115) Teoria dello spirito, cap. I, p. 7. (116) L'esperienza neno paVETE t cu reatto storica, Firenze 1915, p. 24 - Libreria della « Voce 1.

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dere vuol dire penetrare nell'intimo, sentire come proprio, cioè consentire e assimilare: soggettivare, in una parola. Dunque - conclude il Gentile l'oggetto, in quantospirito, è soggettivo: « E' una legge della conoscenza della realtà spirituale che l'oggetto si ri solva nel soggetto. Niente per noi ha valore di spirito se non viene ad essere risoluto in noi che lo cono sciamo » . (117) E gli oggetti spirituali del nostro cono. scere sono i fatti spirituali concreti, quali, cioè, acca dono nel soggetto: atti, quindi, non fatti, perchè sono lo spirito nella sua concretezza. Poichè i fatti spiri tuali sono concreti solo se veduti nel soggetto che li pone, come momenti del suodivenire. « La scienza è scienza solo in colui che cerca, che concepisce e di mostra; il linguaggio è linguaggio solo in colui che lo parla: staccare i fatti dello spirito dalla vita reale dello spirito è non ravvisarli più nella loro intima natura per quel che essi sono quando si realizzano ». (118) Il cheviene a dire che il fatto spirituale concreto è lo spirito, quel dato spirito, cioè quella data indivi dualità concreta, storica: soggetto che si attua, cioè che pensa, che parla, che vuole. « Non dunque spirito e fatto spirituale è la realtà spirituale oggetto del no stro conoscere; mapuramente e semplicemente spiri to, come soggetto, e come tale essa non èconosciuta se (117) Teoria dello spirito, cap. II, p. 9. (118) Op. cit., cap. cit., p. 11. La sottolineatura è mia.

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non al patto che s'è detto : in quanto la sua oggettività si risolve nell'attività del reale » . (119)

E' evidente. Dunque : 1° ogni fatto spirituale è lo spirito che lo pone. Chi percepisce davvero una poe sia esemplifica molto felicemente il Gentile - non si viene a trovare innanzi una cosa osservabile, com patta, unita e inscindibile, ma pur sempre indipen dente da ogni personalità umana. La poesia si capi sce quando attraverso il flusso unico dei suoi versi e il ritmo continuo delle sue parole, si afferra un senti mento nel suo sviluppo, un'anima vibrante in un cer to momento della sua vita, un uomo, una personalità. (120) La poesia è poesia se è il poeta, se è lo spirito che la fa, mentre e in quanto la fa: spirito, non fatto spirituale, persona, non cosa. 2º. Il mondo spirituale non esiste per noi che in quanto diventa noi, lo spirito nostro, che è poi tutt'uno, nella sua radice, con lo spirito che facciamo nostro. « Il mondo, dunque, (spirituale) è in noi, è il nostro mondo e vi ve nello spirito; vive la stessa vita di quella persona che noi ci sforziamo di realizzare » . (121) Cioè, per dir tutto in una parola riassuntiva : ogni fatto spiritua le è celebrazione dello spirito in cui accade e cele brazione dello spirito nostro che lo percepisce e lo fa suo, che è poi, come soggetto, uno stesso spirito col primo. La conseguenza è evidente: il mondo spiritua

(119) Ivi. (120) La riforma dell'educazione, pp. 99-100. (121) Teoria dello spirito, cap. II, pp. 11-12.

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le, quando è colto nella sua spiritualità, non si con trappone alla attività che lo percepisce, ma coincide con essa, è essa. Dunque non esistono altri oltre di noi? Precisamente, affermano e devono affermare, sen za preoccuparsi delle proteste del senso comune, della vita pratica e della filosofia di tutti i secoli, i nostri idealisti. Precisamente. « Conoscere è identificare, su perare l'alterità come tale. L'altro è semplicemente una tappa attraverso di cuinoi dobbiamo passare, ma passare, non fermarsi. Quando ci troviamo dinnanzi à quest'essere spirituale come a qualche cosa di di verso da noi, e da cui noi ci dobbiamo distinguere, che noi presupponiamo anteriore alla nostra nascita e tale che, se anche noi non ci pensiamo più, riman ga pure sempre possesso, almeno possibile, degli al tri uomini : allora è segno che noi non siamo ancora propriamente in presenza di quest'essere come spiri tuale ossia non vediamo la spiritualità di quest'esse re » . (122) Gli altri e l'altro non sono, come s'è ve duto, se non in funzione di un'astrattezza, qual'è il pensiero, cioè, nella sua astratta oggettività. Ciò risulta chiaramente dalfin qui esposto intorno alla natura dell'Io trascendentale che è uno, infinito, universale, e abbraccia, quindi, ogni realtà spirituale, perchè unisce tutti gli spiriti in una sola vita e non può essere dinanzi a sè se non sè medesimo, appun to perchè uno e universale; come atto o pensiero in atto, cioè come attività generale, si pone come pen (122) Teoria delol spirito, cap. II, p. p. 11-12.

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siero, non di un pensante particolare dal quale pos sono divergere altri pensanti anch'essi particolari: sib bene come pensiero di chi pensapertutti. (123)

E il soggetto, come tale, può conoscersi? E me si conosce? Qualcuno ha voluto attribuire al Gentile la strana teoria che lo spirito come soggetto non può cono scere mai sè stesso. (124) E perchè non si scerebbe? Perchè il soggetto, comescienza, anzi come autocoscienza, non può mai scindersi in due, es sere uno e più, identico e diverso insieme. ll Bo nucci, che muove questa critica, non ha còlto pensiero del Gentile. Questa obbiezione, che era stata fatta nel passato, molte e molte volte ad altri filosofi, se l'era formulata lo stesso Gentile in un succoso caldo e brillante suo libro recente. Co sì: « il soggetto non può pensare sè stesso, perchè pensando sè stesso, esso si dualizza in sè stesso pen sante e se stesso pensato; e quello che è pensato non è quello che pensa » . In altre parole: « à dire che cosa sia il soggetto bisogna oggettivarlo e da soggetto convertirlo perciò nel suo opposto» . (125) A questa obbiezione, fatta sotto altra forma dal Bo

cono

(123) La riforma d. dialett. heg., IX, L'atto del pensare come atto puro, p. 251. La sottolineatura è mia. (124) A. BONUCCI; Lo spirito come oggetto: a proposito della filosofia del Gentile; nella Rivista trimestrale distudi filosofici e religiosi, Vol. I, 1920; pp. 129-50. (125) La riforma dell'educazione, p. 118.

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nucci, risponde un po' stizzito (126) jl Gentile: « L lo si dice soggetto soltanto perchè contiene dentro di sè un oggetto che non è diverso ma identico con esso : giacchè esso stesso, come puro soggetto, è già relazio ne : è affermazione di sè : quindi affermazione di ogget to in cui esso non si alieni da sè, anzi torni veramente a sè e si abbracci con se stesso e per tal modo rea lizzi originariamentese stesso. Io, per essere io, devo conoscermi, pormi innanzi a me: e così sono io per sonalità, soggetto, centro del mio mondo e del mio pensiero. Che se non mi oggettivassi a me stesso e, per sottrarmi del tutto ad ogni oggettività, mi rinchiu dessi dentro il primo termine puramente astrattodi questo rapporto, che è la posizione di me stesso, io resterei di qua dal rapporto, cioè dalla stessa realtà in cui devo realizzarmi. Di modo che, lungi dall'u scire dalla propria soggettività, il soggetto, mediante questa sua interiore obbiettivazione, entra, anzi la co stituisce » . (127)

Il soggetto è sempre soggetto di un oggetto in quanto si costituisce soggetto del suo atto rispettivo. E il Gentile ci avverte : « Questo è uno dei concetti vitali del nostro idealismo e del quale occorre acqui stare sicuro possesso, se non si vuole cadere negli equivoci grossolani, di cui van gloriosi molti facili cri

(126) Egli fa notare che il difetto di questa obbiezione è tale da far disperare allo spiritualista di mai pervenire ad essere inteso da chi si compiace di tal genere di obbiezio ni ((ivi). 127) La riforma dell'educazione; p . 119.

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tici di questo idealismo ». (128) E, rispondendo diret tamente al Bonucci scrive : « In due la conoscenza non pud non scindersi, e si scinde appunto essendo insieme identica e diversa. Il soggetto si sdoppia den. tro se stesso; e conosce appunto quell'oggetto che contrappone a sè come identico a sè e quando non si riconosce più nell'oggetto, allora il suo oggetto è natura, che egli propriamente non conosce. E quel l'obbiettività che l'idealismo trascendentale nega al soggetto è l'obbiettività dell'oggetto, in cui il soggetto non si riconosce : - p. es. il sentimento che è pure, originariamente, attualità soggettiva, quale si obbiet tiva innanzi allo psicologo » , l'Io del quale è un io naturalizzato, empirizzato, un insiemedi fatticoncepiti nello spazio e nel tempo. Guai achi confonde l'Io della riflessione filosofica con l'Io della psicologia, che è tutto fatto, che aspetta di essere analizzato, osservato dal di fuori, come qualunque realtà naturale fenome nica dello spazio e del tempo, senza bisogno di venir soggettivata nell'Io che la riviva e la trasformi in sé ». (129) Anzi questa soggettivazione non deve aver luogo se si vuole salvare l'oggettività della scienza. Ma questa realtà, la realtà dello psicologo, è davvero spirituale? si domanda il Gentile. La risposta la cono sciamo: quella realtà non può essere spirituale per la legge che abbiamo enunciata sopra : « se l'oggetto è (128) Teoria dello Spirito, ecc. Cap. II p. 16. (129) Vedere : Giornale critico della filosofia italiana, A. I Fasc. III, 1920, p. 251-6.

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>(130) Teoria dello spirito, ecc. cap. II, p. 16.

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una realtà spirituale si deve risolvere nel soggetto : quello che noi consideriamo come attività di altri deve essere la nostra stessa attività » . Non penetrando nel fatto spirituale vivo, non risolvendo, quindi, mai l'og getto nel soggetto, lo psicologo empirista ci darà qualche carattere estrinseco del fatto spirituale, non l'intima essenza che è frutto di introspezione, di pe netrazione, di immedesimazione perfetta del soggetto con l'oggetto. Lo spirito, la realtà spirituale non è, ma si fa, non la troviamo bella e fatta, ma la dobbiamo cercare e la troviamo cercando e la si cerca e la si trova seguendone il divenire.' Nel fatto non si trova lo spirito, ma la natura. Poichè lo spirito è continuo farsi, è un processo costruttivo che non finisce mai, è atto, o, meglio, attività. E, quindi, mediazione. La conoscenza fa l'oggetto, non lo trova bada a ri peterci ogni momento il Gentile. - « Noi possiamo dire di conoscere un oggetto soltanto se questo og getto non è niente di immediato, niente che il no stro pensiero trovi innanzi a sè già incominciando a conoscerlo; reale prima ancora di essere conosciuto. Immediata conoscenza è contradictio in adiecto » . (130) In altre parole: non si conosce la realtà spirituale che risolvendola nella nostra attività. Il pensamento dello spirito nella sua assoluta soggettività - la filosofiaè la stessa vita dello spirito che vive costituendosi Io, e si costituisce lo pensandosi, acquistando co scienza di sè, e in questa coscienza sempre nuova 107

risolvendo sempre nuova realtà spirituale. Ma, si noti, risolvendo nella coscienza tutti i gradi dello svolgi mento di essa, poichè essa è, concretamente, proprio questo svolgimento attraverso tutti i suoi gradi. La cognizione è processo costruttivo dell'oggetto in quan to processo costruitivo del soggetto.Da questa dottrina, eminentemente socratica nel suo spirito, se si pre scinde dai suoi presupposti idealistici, e tutta percorsa dal senso della concretezza del concetto, o dello spi rito come concetto, risultano come corollari due altri caratteri dello spirito: la verità e la libertà. Vero è quel che si fa. Conosciamo la celebre fra se del Vico : verum et factum convertuntur, che gli i dealisti spiegano come formulazione della coincidenza assoluta della verità col fatto, con quel che si fa. È vera per l'uomo la storia perchè la fa lui, e non c'è criterio della verità di essa fuori dell'uomo che la fa, che l'ha fatta. Solo chi fa una cosa la possiede davvero, la conosce davvero nella súa concretezza piena, perchè il conoscere coincide col divenire della cosa - stessa. Perchè Dio conosce la natura che noi non conosciamo con scienza perfetta, nè mediante l'os servazione nè mediante l'esperimento? Perchè la fa. Perchè l'uomo conosce la linea retta che traccia colla sua fantasia? Perchè la fa. E siccome il fatto, in que sto senso, non è altro che la realtà spirituale che si rea lizza, che realizza sè realizzando l'oggetto, tutto uno, come concreto, col soggetto pure concreto, perciò il fat to e, quindi, il vero non è propriamente un fatto, ma un farsi; e la frase vichiana deve essere modificata

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così : « Verum et fieri convertuntur o verum estfactum quatenus fit. E si capisce così che nella conoscenza, insieme colla verità, concorre la certezza. La certezza è la presenza del soggetto nell'oggetto, l'essere l'og. getto quello che è solo in funzione del soggetto: que sto non poter uscire dal pensiero per raggiungere il reale oggetto e doverpiuttosto profondarsi in quello per toccare più da presso la verità. (131) La certez za, in altre parole, e la concretezza della verità: « la quale è davvero concreta se è certa; ed è certa: 1° se è contenuto immanente all'atto libero del soggetto; 2° se quest'atto importa in sè e quindi nel suo con tenuto una mediazione » . In altre parole, se è fusione di fede e di certezza; della fede che importa la libe ra volontarietà della verità, il lato soggettivo di essa, come libero riconoscimento della verità che si pone, che si media, si certifica nella mediazione che è la vera certezza. E ci avverte il Gentile : «per raggiun gere il pieno concetto di questa certezza, bisogna ri tornare al primo principio dell'idealismo cartesiano, che non presuppone l'essere al pensare ma lo fa con sistere appunto nel pensare; e intendere questo pen sare come unità del suo intelletto e della sua volontà » (132), che pongono, non presuppongono, la verità,se si considera nel suo insieme, come atto spirituale, la cooperazione di volontà e intelletto. Conoscere una verità è realizzarsi come quella verità, viverne, essere (131) Sommario di pedagogia, vol. II, p. 196. (152) vedere: Jostema di Togica, parte prima, Cap. III, p. 86 .

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in quanto quella verità è verità; realizzarsi come in telletto e come volontà, cioè mediarsi della fede, che cessa perciò di essere adesione immediata, cioè fede, e si fa certezza; che è proprio la volontà assenso immediato - che si media nel pensiero e per il pen siero. Ecco la vera unità di fede e di certezza, che è la certezza vera; edecco uniti in sintesi i due termi ni che l'antica filosofia aveva contrapposto l'uno al l'atro e che vediamo formulati nella nota frase « Credo ut intelligam, intelligo ut credam » . Il Gentile conclu de : « Noi sappiamo che non è certa nè la verità che era contenuta nella vecchia fede >> verità immediata o immediatamente posta davanti allo spirito quella che le voleva sostituire la vecchia certezza » - intellettualistica, dello spirito che ha fuori di sè la verità da contemplare, bensì la verità di una fe de che sia certezza essa stessa ; che cioè come atto di libertà sia mediato, e, come tale, necessario e uni versale » (133). Verità e certezza concreta coincidono. Lo spirito non è, in fondo, che questa presenza inti ma, calda del soggetto nell'oggetto cheil soggetto po ne, e, ponendo e facendo, pone e fa se stesso. « Per ciò » noi siamo sempre in possesso della verità perchè sempre pensiamo; e non la possediamo mai, appunto perchè pensiamo sempre. La verità, l'oggetto del sape re, l'universale è, insomma, lo stesso pensiero nel suo atto, l'esperienza; un'esperienza assoluta, e perciò pu

(133) Sistema di logica, parte prima, Cap. III, p. 86.

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ra, che vive nel suo stesso processo. (134) Ora noi comprendiamo perchè il Gentile affermi che il suo concetto del conoscere non ha puntuale riscontro in nessuna delle posizioni storiche passate (135), e per chè la sua dottrina sia stata disegnata come « empi rismo assoluto » : tutto si risolve nell'attualità del pen siero che annulla la distinzione di senso e intelletto, di senso, e ragione, e concepisce anche il senso come libera esplicazione, anzi creazione di un Io che si rea lizza. Anche la sensazione è autocoscienza, un modo di essere dell'attività dell'Io. « Pensiero è il primo albore della coscienza (ogni fatto psichico in quanto coscien za, cioè in quanto atto); pensiero è tutta la coscienza fino alla filosofia » . (136) Deve essere così nell'i dealismo attuale pienamente coerente. L'atto, se non deve convertirsi in un fatto, se deve cogliersi nella sua natura attuale di puro atto, non può essere

(134) L'esperienza pura, ecc., p. 22 - La sottolineatura è , del Gentile . (135; E aggiunge: « Ed è pertanto da ingenui, o per par. lare con proprietà, è dar prova d'ignoranza della storia della filosofia il dissotterrare contro la nostra dottrina i motivi polemici che valsero altre volte, quando valsero, contro dottrine affini » . L'esperienza pura, p. 14. - L'uni . co sistema di pensiero che mostri una grande affinità con quello del Gentile è il Positivismoassoluto di LUIGI WEBER, ancora poco noto fra noi e anche nella sua nazione, la Francia. Si veda quello che ne scrisse il DE RUGGIERO nella sua La filosojia contemporanea, Vol. I, pag. 183, seg. (136) La riforma della dialett. heg., IX, p. 257. >

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che pensiero, autocoscienza. (137) L'atto dell'Io, uno e immoltiplicabile, deve essere tutta la pienezza del l'Io che crea, creandosi; deve essere tutto il soggetto e tutto l'oggetto, tuita la coscienza e tutta l'autoco scienza, cioè pensiero come verità è come certezza, in cui sia fusa, in un'unica attualità, nell'esperienza come attualità, tutta la vita concreta del soggetto : sensazio. ne, percezione, volontà e pensiero. E possiamo sviluppare un altro carattere dello spi rito: la libertà. Lo spirito pone e fa sè stesso : ecco la sua libertà. « Per libertà s'intende il potere proprio dell'uomo di farsi da sè quello che esso è, e perciò di iniziare la serie dei fatti in cui si manifesta ogni sua azione » , Noi pensiamo la natura come un siste ma di fenomeni collegati fra loro deterministicamente, dove non c'è mai inizio assoluto, perchè ogni fatto si riconduce ad un fatto antecedente. « Dell'uomo in vece, pensiamo che quello che egli fa abbia in lui stesso il suo principio; per modo che basta vedervi l'effetto necessario e immancabile di cause operanti sul carattere, o lì per lì, sulla volontà dell'uomo, per cessare di considerare l'azione stessa come dotata di quel valore morale, per cui l'azione di un uomo è azione veramente umana e si distingue dall'agire istin tivo del bruto e, tanto più, dall'effetto delle brute forze del mondo naturale inferiore » . (138) Ho fatto questa lunga citazione perchè contiene un concetto della liber (137) Op. cit., IX, p. 255. (138) La riforma dell'educazione, 44-5.

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e (139) Op. cit. pp. 53-4.

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tà chepossiamo accettare anche noi, mache non è con cetto integrale nè si può armonizzare pienamente con altre teorie gentiliane sull'argomento. Ma di ciò più tardi. La libertà continua il Gentile è inconcilia bile con qualsivoglia limitazione. « Nèla libertà di cui ha bisogno l'uomo per essere uomo, è o può essere, co me qualcuno ha creduto, una libertà relativa, cioè chiusa entro certe condizioni. Una libertà condizionata è schiavitù. La libertà o è assoluta o non è nulla. Li bera non è la materia (ossia ogni oggetto materiale) appunto perchè limitata, e lo spirito (ogni atto spiri tuale) è libero perchè infinito, e quindi non relativo a nulla, ma assoluto. Basta limitare lo spirito per an nientarne la libertà » . (139) Lo spirito è libero perchè infinito e universale. Non c'è nulla che possa limitare il nostro pensiero, perchè esso non può incontrare mai altro che quello che realizza spiritualmente. La li bertà è autonomia, divenire, farsi. Autonomo è il di venire « che è prodursi di quella stessa realtà che si produce nel conoscere e che non si conosce perciò perchè esiste, anzi esiste perchè si conosce: la no stra esistenza » . Che il pensiero sia libero si deduce precisamente dal fondamentale costitutivo carattere suo : il divenire. Esso è una realtà che non è, ma divie ne e diviene assolutamente. « Ogni altra realtà chenon sia pensiero, diviene relativamente, e il suo divenire non è intelligibile se non come effetto di un altro dive nire: solo il pensiero, lo spirito che è il porsi in esse Gentile .

re della personalità umana, dell'autocoscienza median te l'appercezione o sintesi a priori, lo spirito è dive-. nire assoluto. Nel suo divenire (assoluto) consiste la sua libertà » . (140).

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Lo spirito non è fatto, ma farsi; un fare sê, conoscere sè e l'oggetto di sè, non da spettatore, ma da attore. Autonomo è il divenire dell'uomo soltanto, perchè l'uomo soltanto diviene per una forza che gli è intrinseca, che è lui stesso, perchè « se diviene in telligente, cioè se intende, egli non può intendere se non per un principio intrinseco a lui stesso; chè a nessuno può farsi intendere quel che egli non intenda da sè; e se diviene buono, la sua buona volontà non si può ritenere determinata da una qualunque causa estranea, senza per ciò stesso essere privata di ogni carattere di bontà » . (141) Ecco come il divenire del l'uomo coincide col concetto dell'assoluta libertà. Dopo che si è chiarito il concetto dello spirito come assoluta attualità, è superfluo notare che questo attributo dello spirito non si deve pensare come qual che cosa di distinto dallo spirito, come l'attributo si pensa distinto dal soggetto che lo precede. Lo spirito diviene in quanto non è altro che divenire, e il dive nire non è la corteccia di cui esso sia nocciolo. Lo spirito non ha nocciolo, (142) non è nulla di simile, (140) Op. cit. p. 124. (141) La riforma dell'educazione, p. 124. (142) L'immagine, di Goethe, la troviamo anche in Hegel.

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a un corpo in moto che si può pensare in quiete, anche se la quiete abbia da ritenersi impossibile (143). Puro divenire. Divenire autocosciente. Non uno che diviene, non uno che è autocosciente, ma divenire puro, autocoscienza pura. Il divenire non è da consi derarsi come autoscienza, che diviene, l'autocoscienza del divenire, del divenire attributo dell'autocoscienza. Lo spirito è movimento senza massa : tutto il suo es sere consiste nel suo divenire : è divenire e basta.

Io mi sforzo di concepirlo; concepirlo, ben s'in tende, non immaginarlo, e non ci riesco. Devo pen ' , sare a qualche cosa che diviene, ad un centro di ri ferimento del divenire altro dal divenire. Una realtà che è puro divenire, che non ha tempo e chenon ha neanche eternità, nel senso boeziano della parola, non è concepibile, non è, e, quindi, non diviene. Perchè il suo divenire non ha attributi, non è giudicabile, non è definibile per se stesso : il divenire è divenire; quindi non è pensabile, se pensare è giudicare, ossia mettere un soggetto sotto un predicato, se il giudizio ha da essere sintesi, non analisi. Il divenire è atto. Di chi? di nessuno, da nessuno; o meglio, di sè, da sè. Purchè non si concepisca questo sè come soggetto del l'atto, come un atto che preceda un altro atto, che di penda dal primo.No : l'atto è porsi. Chi si pone? nes suno, nulla si pone : la realtà è porre sè, senza un sèche si pone, poichè se ci fosse il sè che si pone, sarebbe già (143) Op. cit., p. 126.

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posto; sarebbe fatto, non atto. Ripeto, non riesco a for a marmene un concetto. Mi sforzo di buttarmi nella cor rente del divenire, mi sforzo di pensarmi puro dive nire : ecco : io divengo. lo ! L'attributo dell'lo è divenire. Ma è attributo dell'Io che non mi riesce di risolvere nel divenire, che devo concepire come il sostrato del divenire e il divenire come processo di esso. Il mio Io, che, come tale, non diviene perchè è sempre il mio io e nien t'altro che il mio lo, lo, Io, Io,... attraverso tutte le mutazioni, diviene, si muta; non è il mutarsi, ma un mutare sè, sè che preesiste al mutare; diversamente non è concepibile neanche il mutare; la mutazione che è un diventar altro dell'identico che resta identico . Sostanzialismo? Si capisce. Sostanza almeno almeno come un centro di riferimento che, come tale, non diviene, ma è. Il che, naturalmente, nè ammette ne può ammettere il Gentile. In fatti, deve essere chiaro che lo spirito come processo, atto, non si può con fondere con lo spirito-sostanza, come soggetto di attività distinto dall'attività e di là da tutte le sue ma nifestazioni, in cui si realizza, o meglio, che sono la sua realizzazione. Anche questo sua, se si riferisce al soggetto degli idealisti, può trarci in inganno; si de ve dire: è la realizzazione di queste manifestazioni. Manifestazione di chi, a chi? Di nessuno a nessuno. Insomma non so come esprimermi per salvaguardare la purezza dell'atto senza dovermi correggere ad ogni istante. Tanto ha potuto sopra il nostro modo di pen

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sare e di parlare il platonismo, l'empirismo, il sostan zialismo!Non posso pensarlo, lo spirito, nell'ideali smo, nell'attualismo, che per i suoi attributi sostantivi, , però correggendo un pochino anche questi : lo spirito è divenire, lo spirito è libertà, lo spirito è atto...; col l'aggettivo corro pericolo di perpetrare l'errore dei sostanzialisti: è falso che lo spirito sia libero, che sia diveniente che sia uno. Peresprimersi idealisticamente bisogna cambiare colla forma mentis pratica, anche la forma dictionis. Il che, per sè, non significa ancora che l'idealismo sia falso : il nostro linguaggio non è ancora tutto impregnato, per toccare un solo esempio, della vecchia opinione tolemaica, del sole che gira in torno alla terra? L'idealismo attuale. è falso perchè non si può concepire, non perchè non si può espri mere col linguaggio corrente, tutto impregnato di so stanzialismo. Ma procediamo. Lo spirito è l'esperienza, non come contenuto, ma come atto, nel quale risiede e consiste tutta la nostra vita spirituale. Noi siamo non qualche cosa che ama, odia, intende; ecc. ecc., ma il puro amare, odiare, intendere, ecc. ecc., fusi in un atto solo che è sintesi a priori, creazione. Appunto perchè lo spirito è la pienezza dell'atto del soggetto o del soggetto come atto e nient'altro che atto, è pericolosa dicono gli attualisti (io dico è impossibile) ogni definizione, perchè gli attributi della definizionetendono, come os servavo sopra, a fissare la realtà spirituale, a sostan zializzarla. Il Gentile ci arreca degli esempi caratteri stici del pericolo di sostanzializzare: lo spirito è real

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tà che si realizza; lo spirito è verità; factum , quate nus fit. Si vede subito, osserva il Gentile, come la prima definizione: realtà che si realizza è formulata in termini del sostanzialismo : realtà è il suo realizzar si : qui, invece, la realtà è presa come concelto di stinto dal secondo, e pensabile come per se stante, come subiectum.

E nella seconda definizione, la verità si è tentati di concepirla come puro contrapposto dell'errore, co me qualche cosa di fisso, di già formato e oggettivo, che si dirompe, per così dire, in mille determinazioni che sono quelle che sono, cioè sono le :verità che sa ranno sempre quelle verità, eterne, immutabili come la Verità : anzi tutta la vita dello spirito si pensa come la continua posizione dei momenti determinati e fissi dello stesso spirito (141). Ma nulla è circoscritto, nulla è per sè stante chiuso in sè : tutte le verità si arti colano ed esistono in quanto si articolano, attraverso la mente in cui si formulano, in sempre nuove rela zioni, e sono verità quatenus fiunt, in quanto, cioè, sono il concreto svolgimento dello spirito che è pro cesso continuo, non progressiva sintesi di momenti, di posizioni definite. Il che viene a dire che il carat tere fondamentale -- veramente tutto è fondamentale, e niente è fondamentale --- dello spirito come processo è l'unità: l unità immoltiplicabile. Mi permetio di ri portare un limpido passo del nostro filosofo. « L'u nità dello spirito è immoltiplicabile, perchè, qualun que sia la psicologia con cui ci sforziamo di realizzare (144) Teoria dello spirito, cap. III, 22.

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e ricostruirela realtà spirituale, non è possibile mai pensare che questa realtà si scomponga in parti, cia scuna delle quali sia concepibile per sè, come unità chiusain sè, irrelativa alle altre ». Anche la psicologia empirica, dopo aver distinto nei fatti di coscienza di versi elementi come termini ultimi delle sue analisi, bada ad avvertire che tutti gli elementi si fondono in unità e hanno un centro comune di riferimento. Que sta unità è pure affermata dalle vecchie psicologie speculative, che, distinguendo astrattamente le diverse facoltà dell'anima, riaffermavano sempre l'unità im partibile, la semplicità di essa. «La vita, la realtà, la , concretezza della attività spirituale è nell'unità, e non si ha la moltiplicità se non uscendo dalla vita, e fis sando le morte astrazioniche risultano dalla analisi » . (145) Oltre che immoltiplicabile, l'unità è anche infi nita. La dimostrazione non è difficile, dopo il fin qui esposto. Si riduce a questo: noi non possiamo pen sare nè a cose nè a coscienze, che siano al di là della nostra coscienza, che non vengano poste dalla nostra coscienza: esse sono « fuori di noi » , ma sol. tanto nella coscienza. Il « fuori » è sempre dentro; cioè designa un rapporto tra due termini, che, esterni l'uno all'altro, sono tuttavia interni entrambi alla co scienza. « Niente c'è per noi, senza che noi ci se n'accorga, e cioè che si ammetta, comunque definito (esterno o interno), dentro alla sfera del nostro sog getto »). (146) Il che vuol dire che la coscienza (145) Teoria dello spirito, cap. III, pag. 23. (146) Op. cit., p. 25. 119

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non si può trascendere. Vedremo se è vero e in che senso è vero. Una cosa salta, però, agli occhi: che, cioè, dal fatto verissimo che niente c'è per noi, che sia al di là della nostra coscienza, non si può ancora logicamente inferire che, dunque, è la coscienza che pone tutto quello che è nella nostra coscienza e lo pone in tutta la sua realtà. La semplice correlatività dei termini non importa ancora la dipendenza esisten ziale di uno di essi dall'altro. Gli idealisti dell'atto puro, cioè i veri e coerenti immanentisti sono, anzi, chiamati a dirci come sorga, in noi, un fuori di noi come, cioè, la coscienza una si dirompa per così di re in un di dentro (soggettivo) e in un di fuori. E lo diranno a loro modo, rispondendo con una afferma zione categorica a un'altra domanda che sorge dalle dottrine esposte: lo spirito è, esso, tutta la realtà? E se è tutta la realtà e uno degli attributi suoi è l'u nità immoltiplicabile, come può esistere, perchè è da che esiste la moltiplicità?

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Per completare la nostra esposizione dei caratteri dello spirito dovremmo ora parlare della storicità del la realtà spirituale, ma ad essa consacreremo parec chie pagine in un altro capitolo. Deve, pero, già ora essere chiaro che la storicità è l'attributo degli attri buti, perchè di essa sono improntati tutti nel loro in timo essere: la verità è storia, la spiritualità è storia, la soggettività è storia, l'unità è storia. La storicità non è un aspetto dello spirito, ma, più evidentemente che gli altri caratteri, l'essenza intima dello spirito.

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CAPITOLO IV

Ancora l'idealismo attuale Unità e moltiplicità

Se la realtà dello spirito fosse limitata da altre real tà ad essa opposte : a) Lo spirito non sarebbe più libero; b) la sua unità non sarebbe più infinita; c) cadrebbero ad uno ad uno tutti gli altri attributi essenziali dello spirito, perchè esso non sarebbe più pensiero, cioè qualche cosa che non si può trascendere, o assoluta imma nenza. Lo spirito è unità, infinità, assoluta spirituali tà soltanto se non incontra sulla sua via nulla che gli sbarri il passo. Lo spirito si può concepire come libertà, infinità, spiritualità soltanto se « si supera il dualismo, e si vede nella stessa natura, nel corpo, l'ef fetto dell'attività dello spirito. Lo spirito, se è libero, se cioè è spirito, deve estendere il proprio dominio

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fin dove giunge col suo pensiero, sin dove gli appari sce segno di vita o di semplice essere. Niente che sia pensabile deve essergli esterno. Se qualcosa o qual cuno gli si presenta, in veste di amico o di nemico, non potrà essere che una sua creatura, da lui stesso posta a fianco o di fronte, o di contro a sè » . (147) 'Ecco secondo gli idealisti il concetto vero concreto dello spirito che non esclude nulla da sè, che è tutto, atto puro, pura esperienza infi nita. L'esperienza, dice il Gentile, non è stata mai concepita, come avrebbe dovuto filosofica mente concepirsi, quale pura esperienza ». E perchè? Perchè il concetto dell'esperienza si è sempre fonda to, anche per coloro che considerano la discrimina zione di soggetto è oggetto come postuma ed estra nea all'essenza della pura esperienza, sul presupposto o almeno sul sospetto di un'opposizione tra la real tà da conoscere e il principio conoscitivo, cioè della trascendenza del conoscibile rispetto all'atto del co noscere, dell'Io rispetto al non-io. Ebbene l'idealismo assoluto ha messo in chiara luce l'illegittimità, anzi l'assurdità di questo riferire il contenuto dell'esperien za a un termine che sia di là dall'esperienza stessa. Riferimento illegittimo, assurdo, perchè l'esperienza non si trascende. Non si trascende nè dallato dell'og getto, che è contenuto del conoscere, nè da quello del soggetto, che ne è il principio ».(148) Scrive un france (147) La riforma dell'educazione, p. 199. (148) L'esperienza pura, ecc., pp. 14-17 passim.

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se che hamolti punti di affinità col Gentile: « La scien za cerca il reale e cercandolo non trova che se stes sa... La ricerca del reale è il reale stesso : il pensie ro include e costituisce l'universalità dell'essere; il reale è questo che tu sei, questo stesso, la cui ricerca all'infinito è la tua ragione essenziale e la tua ragio ne generatrice, e il cui possesso, se mai fosse possi bile, sarebbe la tua ragione definitiva » . (149) Il reale, in altre parole, è il divenire della sua idea come uni tà di sè e del suo altro, del soggetto e dell'oggetto. Ecco l'esperienza concreta, pura. Salta agli occhi la di versitàdi essa dall'esperienza dell'empirista, diversità che io riassumo largamente sotto alcuni punti, perchè nella sua intelligenza consiste gran parte dell'intel ligenza dell'idealismo attuale o dell'assoluto empi rismo . 1. L'esperienza dell'empirismo èprodotto di una real tà estralogica, del così detto dato, che è quel che è, nè c'è ragione che sia altrimenti. Il bruto fatto meccanico non può generare altro che meccanismo. L'esperienza così intesa, non solo non è la pura esperienza, ma non è neanche l'esperienza, dice il Gentile. La ragio ne è chiara: « una cognizione a posteriori è conce pibile soltanto nella posizione stessa in cui si conce pisce quella cognizione a priori, a cui essa si contrap pone : quella certa posizione dualistica di una po (149) WEBER, nell'opera Vers le positivisme asolu par l'i déalisme Paris, 1903. Cito da La filosofia contempo ranea del DE RUGGERO, Vol I, pagg. 184-5 -

CAPITOLO
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tenza conoscitiva da una parte e di una realtà co noscibile dall'altra: posizione, nella quale l'esperien za, nell'atto stesso che la si vuole affermare, si nega, perchè già prima che essa intervenga si ha cogni zione della realtà conoscibile » , e come può essere a posteriori tutta quanta la cognizione, se la co gnizione fondamentale, la più difficile ed essenziale si dà per a priori? La pura esperienza, invece, è lo gica : la sola logica che si possa concepire, se non si vuole trascendere l'atto razionale, logica vivente, che crea le sue leggi nell'atto stesso che le vien rea lizzando. Non anticipa leggi al fatto del pensiero; ma esclude appunto perciò l'esistenza di veri e pro pri fatti del pensiero » . L'esperienza dell'empirista vuole essere a posteriori, l'esperienza dell'idealismo non è nè a posteriori nè a priori. Non è a posteriori, perchè è necessaria: ogni suo ritmo presenta la ne cessità logica come intrinseca autodeterminazione o libertà; non è a priori perchè appunto eseperienza »). Ossia perchè l'assoluta sua libertà richiede che l'atto suo non sia preceduto da nessuna determinazione, di nessuna sorte. E' sintesi, così, di a priori e di a po steriori.

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2. Nell'esperienza dell'empirista, c'è l'opposizione platonica di senso e di intelletto che nell'esperienza pura viene annullat . « Essa, l'esperienza pura, non è esperienza sensibile, perchè i concetti di senso di sensibile si reggono soltanto sul presupposto, su perato dalla dottrina dell'esperienza pura, di un réale, comunque concepito, esterno al soggetto, e dal quale 124

CAPITOLO QUARTO

si inizierebbe il processo dell'esperienza. Caduto que sto presupposto, ogni altra determinazione della co sidetta esperienza sensibile si dilegua» Se si consi dera, infatti, la sensazione per quel che è, essa ci ap parisce come un atto, come atto particolare e univer sale insieme, perchè è il soggetto stesso nel suo pro cesso, in cui si esaurisce la totalità della vita psichica nell'attualità sua e si pone come affermazione assoluta dell'infinito; in altre parole, anche la sensazione è da concepirsi come un'attività immanente originaria del l'Io; libera produttività di esso come spirito, poichè non è altro che spirito. In ogni atto del soggetto tutta la realtà è vita dell'atto, e nell'intimità di esso si an. nulla come senso, come percezione, come intellezione e volizione. Senso, intelletto, ragione, volontà non so no fasi di un processo,masono la concretezza asso luta d'ogni processo. E nell'atto del pensiero come pura esperienza sparisce anche l'opposizione di teo retico e pratico... La teoria, infatti, si oppone alla pratica, finchè l'essere oggetto della teoria è un an tecedente dell'esperienza: nel qual caso l'essere della pratica è invece il prodotto, il conseguente dell'atti vità spirituale. E l'uomo ora pare che contempli inerte . il corso del mondo, e ora che vi intervenga operoso per indirizzarlo verso i suoi fini (150). Ecco perchè il Gentile si scosta, anche in questo, che è uno dei punti fondamentali del pensiero crociano - distinzio ne di toeretico e pratico dalle idee sistematiche del (150) L'esperienza pura, pp. 233,230 passim ,

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suo amico idealista. Il quale, d'altra parte, chiama mi sticismo questa filosofia, per la quale tutta la realtà si assomma nell'atto del pensiero, che unifica tutta l'infinita varietà naturale e umana in una assoluta u nità, nella quale tutte le distinzioni si sommergono e si perdono. A suo luogo vedremo come il Gentile de finisce i rapporti tra il misticismo e l'idealismo attua le; ora vediamo come giustifica, cioè spiega, la ridu zione del pratico alteoretico, o, meglio, lariduzione del teoretico e del pratico nel concreto e caldo atto del pen. siero. « Se l'esperienza prescinde dai presupposti rea listici e s intende come autocoscienza del reale, che appunto nell'acquisto di questa sua consapevolezza si realizza, l'esperienza non è solo contemplazione della realtà, ma contemplazione e, insieme, creazione. Una creazione che impegna tutto l'essere nostro, e lo consuma in una combustione benefica sempre, rispet to ai fini superiori del mondo; lo consuma e lo rinnova in una continua trasformazione, nella quale, nell'inti mo nostro, ci è dato sorprendere sempre lo stesso pro cesso essenziale autocreativo della realtà » . (151) Il che viene a dire che ogni atto dello spirito è tutto lo spirito e tutta la realtà, che è l'esperienza nella sua immanente consapevolezza. Ed ora si capirà perchè lo spirito è detto ed è, nell'idealismo, autoctisi. L'e sperienza è creazione che non suppone nemmeno un creatore : « Il creatore è appunto la stessa creatura in cui si concreta l'atto creativo ». L'Io, pensando, si (151) L'esperienza pura, p. 30.

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> (152) L'esperienza pura, pp. 37-38.

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attua determinandosi : e non pensa, a rigore, se non se stesso determinato. È vero. Di nulla possiamo avere coscienza senza insieme avere coscienza di noi stessi, come soggetto dell'atto che si attua attra verso le sue determinazioni, che sono poi le nostre de terminazioni. Il che però non importa, per sè, come vuole l idealismo, nè che le determinazioni siano e sclusivamente da noi e non anche da oggetti fuori di noi, di noi che ci determiniamo anche secondo il loro impulso specifico, individuale; nè che alia base e come centro di riferimento della autodeterminazione non vi sia un Io che si determina,che, nel linguaggio idealistico, si crea, si attua. L'Io c'è, come centro delle determinazioni, anche per gli idealisti. Anzi « lo svol gimento spirituale, incui l'esperienza consiste è que sta progressiva autodeterminazione dell'Io: nella qua le ogni momento è un'affermazione in nuova forma dell'Io stesso, e però una negazione, un reale annulla mento dell'Io nella forma in cui era prima determi nato; è un passare dal non essere all'essere di un Io determinato; e poichè un Io non determinato non è nulla, è, si può anche dire, un passare dal non es sere all'essere dell'Io. La nostra vita è un continuo morire del vecchio Io , un nascere continuo del nuovo , in cui il vecchio, bensì rinnovato e trasfigurato, per mane » (152) Un concetto che non ci è più nuovo, come si vede, e che, spogliato del colore idealistico, si trova in ogni filosofia. Ma è possibile nell'attuali 127 -

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teorico, Io, un centro di riferimento? Ecco la questio ne alla quale abbiamo già in parte risposto. Intanto ci siamo aperta la via ad intendere la molteplicità, che, secondo il Gentile, non è punto negata, dall'unità trascendentale dello spirito nella sua concretezza. L'i dealismo nega soltanto ogni realtà che si opponga al pensiero come suo presupposto, nega il pensiero come attività pensante se concepita « come realtà già costituita fuori del suo svolgimento, sostanza indipen dente dalla sua reale manifestazione ». (153) E natu rale, perciò, che il Gentile insista, contro le insidie del linguaggio, nella affermazione che, a propriamen te parlare, non si può dire che c'è uno spirito o lo spi rito, perchè essere e spirito sono termini contraddi tori. Lo spirito non è , ma si svolge, si attua. È la natura, è la pietra, è la pianta, l'animale, « in quanto tutte le loro determinazioni sono una conseguenza necessaria e preordinata dalla loro natura » ; in quanto, cioè, e appunto per questo, « sono processi di realtà logicamente esauriti,quantunque non ancora del tutto attuati nel tempo » . (154) La loro esistenza è ideal mente se non empiricamente, attuata, perchè è tutta contenuta e determinata nella loro natura, che è la legge fissa e immutabile delle loro operazioni . Lo spirito, invece, non ha una natura determinata, non è legato a leggi prestabilite. Ecco un altro concetto difficile dell'idealismo attuale : come, cioè, vi possa es (153) Teoria dello spirito, p. 13. (154) Teoria dello spirito, cap. III, p. 17.

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sere uno spirito, che non sia, nel suo fondo, le leggi del suo essere. Non si dimentichi ci ripetono gli idealisti che lo spirito è atto che pone sè stesso sem pre nuovamente epone quindi sempre lesue leggi. Ma, si domanda: non c'è una logica alla qualeè legato l'at to del pensiero ? Non si serve di una logica il Gentile nel discorrere dell'atto puro, come se l'atto si svolgesse secondo leggi fisse? La storia del pensiero umano non si attua secondo certe norme che si possono consta tare e formuare, che constata e formula anche il Gen tile?.O la storia è un susseguirsi di fatti o di atti senza legame intrinseco dell'uno con l'altro, e, quindi, anche senzaun vero susseguirsi, perchè la successione, come legame degli atti, è già una legge di essi? Scri ve il nostro filosofo : «Nel mondo della natura, tutto è per natura, nel mondo dello spirito, nessuno é nul la è per natura; ma è tutto quello che diviene per opera sua propria e niente è già fatto, e perciò è, ma tutto è da fare sempre. E tutto quello che si è inteso è nulla rispetto a quel che si vuol intendere e non si è ancora inteso » . (155) Va bene, ma domandiamo : a) Quello che non si è ancora inteso lo intenderemo, se lo intenderemo, seguendo le stesse leggi del pen siero che ci hanno guidato nell'intendere quello che abbiamo inteso . La storia di domani è solidale con la storia di oggie di ieri? Si legano insieme? E con che, se non c'è una legge dello sviluppo storico? Legge che è, bensì immanente in esso, ma a cui esso 129 9 . La filosofia di G. Gentile .

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si conformerà necessariamente. Non c'è una logica che presiede e dirige gli atti del pensiero? che, si capisce, sono sempre nuovi, ma pur nella loro no vità presentano caratteri comuni , cioè una legge co mune del loro divenire. In questo caso la loro libertà non sarebbe assoluta, non sarebbe senza natura in trinseca normativa che li fa essere quello che sono e non possono essere che quello che sono; che, per dirla crocianamente, sono quello che sono perchè sorgono necessariamente come sorgono dalle situazioni storiche, cioè dagli atti che li precedono e, in un certo senso, li individuano. Dunque sono an che per natura. A meno che non si debba vedere nelle serie dei nostri atti un morcellement all'infinito senza un legame che ne costituisca la serie. b ) Se la natura ha le sue leggi fisse e immutabili, lo spirito trova, pure, nella natura un limite alla sua creatività; lo spirito sarà atto che riferisce a sè le cose come a centro, non atto che le pone, perchè esse sono, stanno, fisse e immutabili nella loro natura, nella loro inde finita molteplicità, e la bella attraente teoria della e sperienza pura deve cadere di fronte alla realtà che lo spirito trova, non fa. Non solo. Lo spirito è, oltre che teoria, anche prassi; e; come tale, si pone in rapporto con persone, cioè con soggetti di conoscenza e d azio pe, come termini del nostro operare. È dunque legato à degli lo che trascendono il suo lo; legato a una du plice molteplicità, di cose e di personeche lo trascendo. no. La realtà sarebbe dunque costituita anteriormentea noi, come altra da noi, come oggetto molteplice della

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teoria e della prassi e condizionante tutta, o quasi, la nostra attività teorica e pratica, come molteplicità di persone o di cose?

Ebbene, non è difficile, a questo punto, mostrare come, secondo l'idealismo, si unifica la molteplicità delle persone, in quanto sono soggetti dei fatti spiri tuali, di conoscenza, di amore, di odio ecc., in quan to, cioè, sono concretamente proprio questi fatti spi riuali nel loro movimento. Questa molteplicità è uni ficata dalla conoscenza. Conoscere le persone vuol dire, come s'è veduto, amarle, immedesimarsi con es se, sentire in esse palpitare la nostra vita, confonderle con noi, col vero « Noi » che è la profonda persona lità, la realtà vera del noi empirico di noi e degli al tri. Le persone,se pensate fino in fondo, si risolvono nella persona, nell'Io trascendentale che le fa essere e le unifica, creandole con un atto che è posizione e insieme unificazione di esse.

E l'Io trascendentale unifica, con un identico atto, anche le cose. Le quali sono molteplicità solo come sintesi di molteplicità e di unità, in quanto, cioè, so no insieme raccolte nell'unità della coscienza. Una molteplicità di oggetti di coscienza implica la riso luzione della molteplicità stessa nell' « unità », cioè l'unificazione di essa nel centro a cui tutti i raggi infiniti della sfera convergono.

Pare, che, anche dopo questa spiegazione, ri manga tuttavia il dualismo. Se lo spirito unifica in sè la molteplicità della natura, c'è, quindi lo spirito e c'è la natura;c'è la molteplicità da unificare e uni

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!(156) Teoria dello spirito, capo IV, p. 32. (1517) La riforma dell'educazione, p. 108.

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ficata e c'è l'unità unificante. No, dice il Gentile, non c'è dualismo, se si pensa concretamente, se si guar da all'unità e alla molteplicità, non come a due entità, ma come a due momenti della stessa unica entità. Lo spirito, abbiamo detto, è processo costruttivo, è svol gimento, e « chi dice svolgimento, dice non solo unità ma anche molteplicità: dice rapporto immanente tra unità e molteplicità » (156). Nella molteplicità è la vita dell'unità, nell'unità è la vita della molteplicità. Lo spi rito è cioè, infinita unificazione del molteplice, com'è infinita moltiplicazione dell'uno. « Lo svolgimento è moltiplicazione che è unificazione, ed è unificazione che è moltiplicazione. Lo spirito mette in rapporto fra loro le unità del molteplice, e formanti la moltepli cità. Materializza la realtà che concepisce come mol teplice, ma tale può concepirla, unificandola, e però smaterializzandola e riassorbendola nella sua stessa sostanza spirituale » (157). La molteplicità non esiste, ma è pura astrazione, fuori dell'unità che la pone. Il pensiero, è dialettica, cioè processo di svolgimento che non è identità, cioè unità astratta, ma unità e molte plicità, insieme, ossia identità e differenza. La legge che lo governa non è quella del pensiero pensato, os sia del mondo immutabile e sempre identicoa se stes so della vecchiafilosofia e del platonismo. Noi -scrive con una certa enfasi il Gentile, quando ci siamo af facciati nell'età moderna allo spiritocome attività tra 132

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(158) Teoria dello spirito, cap. IV, p. 37. (159) Teoria dello spirito, cap. IV, p. 41. >

scendentale produttiva del mondo oggetto del'espe rienza, ci siamo trovati in un mondo nuovo, che non è oggetto di esperienza, poichè non è pensato, ma ragione e principio diquanto si pensa; e non può es sere governato esso stesso dalla legge, che è propria del vecchio mondo, nel quale rimangono chiusi tutti coloro che continuano ad indicare il principio di non contraddizione come le colonne di Ercole della filo sofia » (158). Abbiamo già messo in rilievo la diffe renza delle due dialettiche, del pensiero pensante e del pensiero pensato, e abbiamo anche fatto risaltare che nella dialettica del pensiero pensato, di Platone, di A ristotile, e di ogni forma di naturalismo, anche seesso - dice il Gentile si designa col pomposo nome di evoluzione, non c'è, per l'idealista, vero divenire. Non ci può esseredivenire là dove la naturaè pensata come l'antecedente del pensiero, come realtà già realizzata, che, come tale, si può pertanto definire e idealizzarla in un sistema di concetti fissi e immutabili. « La natu ra aristotelica, tal quale quella di Platone, non è og getto di scienza, in quanto natura, ein quanto oggetto di scienza, non è più natura, movimento, ma pura forma : concetto e sistema di concetti » . Non essendo nè potendo essere divenire del pensiero, il divenire aristotelico resta una pura esigenza: pensato non è divenire, come divenire non si può pensare (159). Questa filosofia domina in tutta l'antichità : ecco } 133

del pen

perchè gli antichi non intesero la storia o il progres so. Che cosa è la storia? È una « realtà che si realiz za mercè un processo che non sia vana dispersione di attività, ma creazione continua della realtà stessa o incremento del suo essere » . (160) Ebbene, per quella filosofia la realtà non si realizza, perchè è tutt' realiz zata : è realizzata come sistema di concetti che attua imperfettamente la nalura e come ideale in sè perfet to se no come potrebbe essere ideale? siero umano: non c'è, quindi, storia nella natura, non c'è storia nel pensiero. Non si sospetta che lo spirito umano entri a formare il processo della realtà, che la realtà sia processo, realizzazione dialettica graduale dell'umanità. « La concezionedialettica della storia è possibile soltanto a condizione che in essa non si vegga un passato, ma lo stesso presente; che lo sto rico cioè non si stacchi dalla sua materia e ; on fac cia delle res gestae il presupposto el'antecedente già consumato della sua historia rerum gestarum »). (161) Sarebbe trasformare la storia, che è spirito, nella vec chia natura. La storia è in quanto è lo stesso pensiero dello storico: ciòrisulta daquando abbiamo detto in torno alla soggettività del fatto spirituale. Solose la sto ria è fattospirituale, identicocollo spirito dello storico, rico, sarà processo di formazione, sarà dialettica, créa zione di realtà. L'oggetto distaccato dal soggetto, ossia dall'attività storiografica, l'oggetto che si ponga in se 160) Op. cit, cap. cit. p. 41. (161) Op. cit, l. cit, p. 42.

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come qualche cosa di già fatto, di esaurito e, quindi, trascendente; cioè nel caso nostro, la storia come op posta allo spirito che se la rappresenta, è non pen siero, ma pensato, e, quindi, un simultaneo, che ne ga ogni successione, ogni divenire : è natura, la vec chia natura, non spirito, lo spirito, per la semplice ragione che non è atto, ma fatto. E la natura non di viene, non evolve, perchè è sistema di rapporti già tutti posti e consolidati : tanto vero che al pensiero si presentano insieme tutti i gradi dell'evoluzone della naturadei naturalisti e, quindi, anche della storia con cepita come natura. - Concetti questi già noti a chi ha qualche famigliarità colle teorie crociane e, anche, colle bergsoniane. Poichè qui il Gentile si accorda col Bergson nel concepire la simultaneità dei fatti del. le scienze naturalistiche e la realtà vera, la psichica, nel senso largo, come penetrata dal divenire dello spirito, dalla durée, che la fa. (162)Bergson differisce, come è noto, dal Gentile, perchè per lui è coll'intui zione, non col pensiero logico, che si penetra nel

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(162) « La doctrine (di Spencer) portait bien le nom d'é volutionisme: elle pretendait rémonter et redescendre le cours de l'universel devenir. En réalitéil n'y était question ni de devenir ni d'évolution. L'artifice ordinaire de la méthode de Spencer consiste a reconstituer l'évolution avec des fragments de l'évolué » . BERGSON, L'évolution crèa trice - P. 393 .

Laphilosophe doit aller plus loin que lesavant. Faisant table rase de ce qui n'est qu'un symbole imaginatif (il concetto ), il verra le monde matériel se resoudre en un simple flux,une continuité d'écoulemente, un devenir. op. cit, p. 398.

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cuore della realtà a farla nostra, noi : vita della nostra vita profonda. Senonchè, coll'intuizione si resta nel dualismo di soggetto e oggetto, che è vinto col con cetto del pensiero come mediazione, creazione, logi ca. Il Gentile ci esorta : sottraetevi all'ordinaria e in consapevole astrazione per la cui realtà è quella che voi pensate, mentre, se voi la pensate, non può non essere se non nel vostro pensiero; miratecon fermo occhio a questa vera concreta realtà che è il pensie ro in atto: e la dialetticità del reale vi apparirà evi dente e certa come certo ed evidente è a ciascuno di noi l'aver conoscenza di ciò che si pensa: il vede re, per esempio, quel che si vede » . Certo: se la real tà è tutta nel pensiero, anzi il pensiero, molti e i più tormentati problemi, sono belli e risolti, o meglio, belli e negati alla radice: ma che fare se quei pro blemi negati e rinnegati, si affacciano sempre con e guale veemenza al nostro pensiero e reclamano una soluzione meno semplice di quella dell'idealismo at tuale ? E ogni soluzione, che non sia inutile negazio ne, ci porta fuori del soggetto, nella trascendenza, nel platonismo. Il che si vedrà sempre più chiaramente a misura che l'idealismo sarà chiamato alla soluzione dei grandi problemi del pensiero e della vita. Dunque afferma il Gentile la natura non ha dialettica. E perchè? Che cosa è la natura? Questa natura che lo spirito trova fuori di sè come proprio antecedente. Nell'esame del concetto della natura at traverso tutte le filosofie, condensate nei principi fon damentali, da Socrate fino a Hegel, apparisce magni

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si

ficamente uno dei caratteri, anzi il carattere della filo sofia di Giovanni Gentile : la storicità nel senso di ten denza, di atteggiamento energico e coerente a domi nare la realtà storica mediante un principio unico, che è, si capisce, quello dell'idealismo attuale. Il De Rug giero da buon idealista ha detto a ragione di lui : « Possedendo da gran signore, come nessuno al tro tra i moderni, i problemi storici della speculazio ne filosofica, egli è riuscito a penetrarli del suo pen- , siero, a comprenderli in quella attualità, che è poi la verità loro più intima e profonda » (163). Qui la sua superiorità sul Croce è evidente. Tutti i sistemi del pensiero gli sono famigliari; tutti i problemi sono in dividuati organicamentee dinamicamente, cioènel loro spiegarsi attraverso le successive concezioni della real tà, in modo che noi assistiamo a tutto lo sviluppo di essi : cioèlivediamo, non in quadri belli e fattie chiu si e nettamente distinti gli uni dagli altri, come ci vengono presentati in molte storie della filosofia, ma come momenti di una corrente unica, continua, senza hiatus, della storiadel pensiero. Che cos'è la natura ? E' un universale, come in segna Platone, che risolve la natura nell'idea della na tura, o è unione, sintesi, dell'idea o forma, e del suo opposto, la materia, comecorreggendo e contemplando Platone al modo che lo s'intende comunemente dimostra Aristotile ! E, se la natura è individuo come unità di materia e forma, il principio dell'individua 137
(163) La filosofia contemporanea, II, p. 259,

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zione è nella materia o nella forma? Quale dei due termini genera quell'unità che è l'individuo? Sono no te le ragioni portate dalle diverse scuole medioevali per l'una o per l'altra delle due dottrine opposte; e sono noti anche i tentativi di sciogliere i problemi fatti dal le due scuole, dei tomisti da una parte, per iquali il principio di individuazione sta nella materia signata quantitate, e degli scotisti, che lo vedono invece nella haecceitas. La critica del Gentile a tutti questi tentati vi di definire l'individuazone è questa : la realtà ari. stotelica, a guardarla bene, è astratta universalità sen za particolarità, e, quindi, senza individuo (16,4). Ammessa la dualità, negato, cioè, il rapporto a priori di materia e forma, e dovendo, quindi, pensare la forma come escludente la materia e questa come escludente la forma, ci troviamo davanti ad un inde terminato che non può produrre da sè le determina zioni (materia) e davanti a un pretesto determinante (la forma), che non può determinare nulla individual mente, per la semplice ragione che essa, la forma, è la possibilità specifica, non individuale, degli esseri. C'è l'aspirazione all'unità, non l'unità. Partendo dalla dualità è questo uno dei più generali principii del l'idealismo non si arriva più all'unità, perchè dal l'astratto non si puòpassare al concreto. « Se si parte dalla dualità questa non può non essere eterna duali. tà, perchè non può non essere identica asè, e, quin (164) Vedere : I problemi della scolastica e il pensiero italiano, p. 173, segg. 1913, Bari Laterza ,

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52 . (165) Teoria dello Spirito, Cap. V., (166) Op. cit., cap. cit., p. 55.

di, incapace di unificarsi; se si parte dall'unità, questa rimane un'unità astratta, che non può rendere ragione della dualità » (165) e, quindi, neanche dell'unità con. creta. E questa dualità perdura in tutte le filosofie che immaginano la realtà come presupposto del pensiero. In tutte queste filosofie « la forma è, in fondo, l'idea del mondo, la sua ragione, il suo disegno, il logo, Dio : e la materia è, a sua vota, quel termine oscuro, ma irriducibile nell'essenza stessa di Dio, che fa che il mondo si distingua da Dio pure attuando un suo pensiero » . (166) E si capisce, pensa il Gentile, che come il principio di individuazione non può venire dallamateria (indeterminata), non può venire neanche dalla forma che è astratta, che è un universale che non è particolare, un ideale che non è reale. Si veda Hegel. « Posta la logica o nesso di tutte le categorie del reale, come o donde la natura? » cioè il particola re. Hegel non può risolvere questo che è forse il pro blema più arduo dell'hegelismo. E perchè? Per la stes sa ragione per la quale non può risolverlo Platone. « Il logo è la pensabilità, o pensiero di tutto : sicchè una delle due : o non c'è altro che il logo; o c'è altro, ma non è pensabile (intelligibile). Nel primo caso, ol tre il logo non c'è la natura, nel secondo, ci sarà la natura, ma non la sua filosofia : e se il logo è stato escogitato per intendere la natura; il logo non è più logo, ossia quello che doveva essere. Sicchè la posi 139 -

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zione del logo esclude la natura » (167). La rritica a questa posizione della filosofia hegeliana non regge. Il logo è la pensabilità di tutto, quindi anche della natura. Nella quale esistono, come ragione dell'intel ligibilità di essa, di tutte le leggi del soggetto, o dell'i: dea che si svolge come soggetto. La razionalità del reale cosmico e quella dell'ideale è, secondo Hegel, identica : ecco perchè la natura è intelligibile. Dice be ne, come interprete di Hegel, lo Hibben : « L'intelli genza che contempla l'universo trova in questo una consimile intelligenza che rivela sè stessa, come il viso risponde al viso ad uno specchio. L'intelligenza, la quale caratterizza la mente che osserva, e il mondo il quale è l'oggetto della osservazione, sono una sola e medesima cosa » . (168) In questo senso vanno inter pretate queste parole di Hegel : « Le forme logiche del concetto... sono, come forma del concetto, lo spirito vivente del reale : e del reale è vero soltanto ciò che, in forza di queste forme, per mezzo di esse e in esse, è vero ».(169) E non mi par vero che, come dice il Gen tile « l'Idea restando dentro la sfera del logo svolge tutta la attività logica e che, perciò, lanegazione che la pura Idea fa di sè stessa, chiusa in sè stessa, è in trinsecamente incompleta, come universale senza par ticolare e senza la consapevolezza, che essa acquista solo diventando natura, e, poi, Spirito». Dice ancora. (167) Teoria dello spirito, Cap. V., p. 56. (168) La logica di Hegel, trad. it., Bocca, pp. 3-4. (169) Enciclopedia, trad. it., Laterza, p. 143.

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lo Hibben: « È nel processo di cognizione, nell'idea che perviene all'autocoscienza, che l'unilateralità della subbiettività e della obbiettività (del Logo e della Na tura) è superata. In questo processo vi è, da un lato, la razionalizzazione del mondo obbiettivo, cioè la sua trasposizione in concezione subbiettiva e pensiero, e, dall'altro, l'asserzione di ideali subbiettivi in mezzo ai fenomeni obbiettivi dell'essere, la quale modi fica 'e adatta questi ultimi ai suoi bisogni e al le sue norme » . (170) Il passaggio del Logo alla na tura è, quindi, rispondente a 'un'intima esigenza lo gica: l'idea deve passare da un grado incompleto ad un grado più alto di sviluppo, e questo passaggio è compiuto mediante la interiore compulsio ne del pensiero; cioè è necessario, logico. E libero insieme, nel senso che esso si compie per la libera attività dell'idea, che è una forza, un'attività che si ri vela nella sua universalità e nella sua particolarità, nella sua unità e nella sua molteplicità, come mente e come natura, intelligibile l'una e l'altra per l'Idea. La natura ha luogo perchè l'ldea nega e deve nega re sè stessa come pura universalità e pura soggettività e si rivela nell'oggetto, nel molteplice, portata dalla stessa logica per la quale si è rivelata attraverso i vari stadi del suo sviluppo subiettivo. Il processo del l'universale subiettivo sono momenti complessi e idea li d'un processo unico. Non credo, perciò, giusta la (170) Op. cit., p. 244.

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conclusione della critica del Gentile : Hegel non risolve il problema del principio di individuazione: non può risolverlo, perchè la realtà presupposta dal pensiero è un universale astratto, un pensato che non può mai di ventare concreto. - Ma chiediamo noi : l'Idea non può rivelarsi prima come universale, poi come particolare, considerati come semplici momenti di un unico proces so? E considerati il prima e il poi come valori pura mente ideali del processo integrale del pensiero ? Certo, in questa concezione, l'individuo, la natura ha il suo valore, la sua ragione di essere, fuori di sè stesso, nel la idea che in esso si rivela come legge del suo es sere, ma questo significa semplicemente che la tra. scendenzaplatonica si impone anche ai sistemi che pas sano come i più gagliardi tentativi verso l'immanenza.

Il logo è la Ragione forza infinita, non solo co me modello della vita e della coscienza della vita, della inconsapevole razionalità della natura e della consapevole razionaltà dello spirito, ma anche come creatore eterno di queste due razionalità che sono una identica razionalità. Nel suo potere creatore in finito, che pone i due momenti ugualmente necessari , dell'essere o l'essere nei due elementi che si integrano e si esigono vicendevolmente, sta, per Hegel e, cam biati un po' i termini e con parecchie riserve, an che per noi, la ragione ultima d'ogni universalità e di ogni individualità.

Certo, non vi è una pura realtà di ragione e una pura realtà di fatto, idea e dato, universale e parti colare, come separati l'uno dall'atro e irriducibili l'u

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no all'altro; la realtà di fatto è la realtà di ragione che si particolarizza, si limita, si invera in tutte le forme della realtà, che sono intelligibili per la ve rità di ragione che è in esse come legge del loro essere e del loro operare: cioè, Platone e Hegel ven gono corretti da Aristotile e da S. Tommaso.

Strettamente connesso col problema del priacipio di individuazione è quello degli universali: dal di verso modo di concepirli dipende infatti il modo di verso di concepire l'individuo. Gli universali esistono soltanto in re, come affermano i nominalisti, o sol tanto post rem, in qualità di concetti formati sull'espe rienza sensible, come vogliono i concettualisti, o e sistono ante rem, cioè nella forma di pensieri di Dio, che si realizzano nel mondo degli individui naturali, ma sono già reali in Dio, come sostengono i reali sti? O esistono in tutte e tre queste forme, come, con Avicenna e con S. Tommaso insegnano quelli che il Gentile chiama gli « eclettici » Il Gentile crede na turalmente insostenibili tutte e tre queste opinioni. Il nominalismo e, in sostanza, anche il concettualismo, è una soluzone naturalisticao materialistica, che, risol vendo la realtà negli individui ,tende a sopprimere la loro intelligibilità, negando il valore assoluto diquegli universali, onde sono intelligibili. E tende quindi a negare ogni valore al pensiero, il quale contrapposto a codesti individui che soli sono reali, non può esse. re altro che nulla (171).

(171) Teoria dello Spirito, Cap. VI, p. 59.

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E viene svalutato anche l'individuo in quanto la for ma di esso, non essendo universale vero, concepibi le indipendentemente dall'individuo stesso, questo di venta inafferrabile dal pensiero, inconoscibile, cioè non esistente. Non si raggiunge l'individuo senza l'u niversale : le particolari esperienze non sono concepi bili che in quanto sono penetrate dal concetto. Il rea lismo non è meno falso. « Se l'universale è già reale e l'individuo non può aggiungere nulla a quella real tà, in che consisterà dunque l'individualità dell'indi viduo? » (172). Si potrebbero osservare parecchie cose. L'individua lità dell'individuo consiste nella forma della partico. larità in cui l'universale esiste e si rivela. L'universale in re è l'essere nel quale sono e si muovono tutti gli esseri; è la possibilità dei rapporti di tutti gli esseri fra loro, cioè la possibilità dell'unità del reale, della sua organicità e delle sue leggi. Appunto per questo la realtà dell'universo coincide colla sua conoscibilità. Il reale non sarebbe conoscibile se in esso non ci fos se l'universale, e l'universale non può esserci che sotto la forma di particolari, senza però confondersi con essi. È ben questo il genuino pensiero di Ari stotele.

La realtà è organica, cioè gli esseri si implicano a vicenda in quanto hanno tutti qualcosa di comune a cui sia essenziale insieme così d'essere un costitu tivo di ciascuno come di non esser soltanto un co (172) Op. cit,. cap. cit., p. 60.

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stitutivo di ciascuno, ma di tutti. Ecco l'universale in re. Il vero realismo è la dottrina che considera tutti i particolari come determinazione dell'universale, che è il principio della unità dei singoli e del tutto; che ve de nell'essere, negli esseri, le leggi dell'essere, degli esseri. La realtà è una nella sua molteplicità indi pendentemente dalla mente umana; cioè l'universale non è punto d'arrivo della riflessione se non in quan to la riflessione, esaminando gli esseri, come esseri, li coglie alla base del loro esistere e operare. Il che ci dà modo di giudicare della critica che fa il Gen tile alla posizione « eclettica » : « Se gli universali post rem non sono gli stessi universali in re, la loro differenza significa appunto che, astraendo gli uni versali dagli individui a cui ineriscono, si sottrae ad essi quella realtà che essi hanno soltanto aderendo alla individualità, e quindi il concetto è alterazione dell'oggetto e dilungamento dall'essere genuino delle cose che ci si propone di conoscere mediante il con cetto » . (173) Esi cadrebbe nello scetticismo e nel l'agnosticismo. E' noto l'aforisma di S. Tommaso : « modus cognoscendi rem aliquam est secundum con ditionem cognoscentis, in quo forma recipitur secun dum mondum eius » . Qualcuno ha interpretato sogget tivisticamente queste parole dell'angelo delle scuole, quasi che la cosa si debba modellare su noi, non noi sulla cosa. E chi ci assicura allora che la gr zione corrisponda all'oggetto, che l'universale post (17) Vedere VARISCO, Conosci te stesso, pp. 259-60.

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rem corrisponde all'universale che è in re ad modum fundamenti? Ma non si pensa che S. Tommaso vuol dire semplicemente che la cognizione è sensitiva (cioè di singoli) se il conoscente è sensitivo e la co gnizione è intellettiva (dell'universale) se il conoscen te è dotato d'intelligenza; questo è il significato del « ad modum cognoscentis » . L'oggettività non è quin di messa in pericolo. Dice bene un'eccellente tomista che noi seguiamo senza, quasi, riserve : « Nous atei gnons le dehor par le dedan : il faut que le dedan et le dehors se correspondent » . E sostiene che il senso apprende nel singolare anche l'universale; e deve apprenderlo, altrimenti, essendo il senso l'unica porta aperta sulla realtà esteriore, non potremo mai conoscere e neanche supporre un'essenza, un nou meno sotto il fenomeno. « S'il y a de l'universel in. carné dans les choses; si en d'autres termes l'univers est intelligible, il faut que l'univers s'introduise en nous par la porte du sens, avec ses marques d'in telligibilite, avec ses notes universelles, sans quoi, cet aspect superieurdes choses nous demenrerait incon nu, même doués d'intelligence » . (174) E il Varisco, dopo di aver detto che quella di S. Tommaso è una osservazione profonda, aggiunge: « È vera, purchè non se ne dia un'interpretazione che renda la cogni zione impossibie. Ora, la cognizione richiede proprio che forma cognit ex necessitate sit in cognoscente eo modo quo est in cognito » come dice altrove San

(174) SERTILLANGES, S. Thomas d'Aquin, Vol. II, p. 162.

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Tommaso. « La cognizione consiste nel ricevere una forma (una legge, un universale). O la forma è la medesima, nel conoscente come nel conosciuto, o non c'è cognizione di sorta » . E conclude: « La con ditio cognoscentis, a cui è subordinata la cognizione, consiste nella possibilità che il conoscente riceva, rendendosene consapevole, quella medesima forma, quella medesima legge, o insomma quella medesima verità che è forma, legge o verità del conosciuto ... » Dunque l'universale post rem è essenzialmente identico all'universale in re. « La verità che il sog getto conosce, o non è verità (e allora il soggetto non conosce), o non può esser tale soltanto nel sog getto : dev'essere immanente nelle cose ». (175) Il concetto non è in S. Tommaso, come crede il Gentile, alterazione dell'oggetto e dilungamento dal l'essere delle cose : lo stesso universale è nelle cose sotto forma di essenza o quiddità dei particolari e nel concetto come predicabiledi molti, come formal mente universale. Universalia secundum quod sunt universalia, non sunt nisi in anima. Ipsae autem naturæ (gli universali in re) quibus accidit intentio universalitatis sunt in rebus. (176) Ecco la formula più comprensiva del l'oggettivismo scolastico, che non misconosce l'atti vità del soggetto, che elabora in scienza, in concetti, le sensazioni e le intuizioni. E l'intelletto vede, alla (175) I massimi problemi , Note, pp. 282-3. (176) In II De An. Lect. p. 12.

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luce dei principii di ragione, gli universali delle co se, che sono presenti allo spirito nell'intuizione o nel la cognizione dell'individuale. Un'altra difficoltà la solleva il Gentile contro l'universale ante rem, come esemplare nella mente di Dio : se esso è già rea. lizzato nella mente di Dio pienamente, in che può consistere la sua ulteriore attuazione nelle cose e nel. la mente? « Se il mondo è preceduto dalla propria idea, e questa è reale, il mondo è impossibile » . (177) Perchè? Non può Dio far esistere ad extra, nel tem-. po ciò che egli contiene, ad intra, nell'eternità? E quale mezzo avrebbe l'uomo per salire alla verità di Dio, a conoscere come Dio conosce, se Dio non avesse realizzato in una forma a noi accessibile la ve rità delle cose esemplata in Lui dall'eternità? « Invi sibilia ipsius, a creatura mundi, per ea que facta sunt, intellecta conspiciuntur; sempiterna quoque eius virtus et divinitas » (178) Il Gentile annunzia così l'antinomia degli universali : « Universalizzare l'indi viduo è condizione imprescindibile per concepirlo, anzi è lo stesso atto del pensarlo. E senza individuo, hic et nunc, non c'è natura; e tutto il concreto, la vita di cui viviamo, ci sfugge e svanisce. Ma univer salizzare, è pure idealizzare, e vedersi, quindi, sfuggi re dinnanzi, per un altro verso, tutto il reale, che è sempre particolare, determinato, individuo ». (179) (177) Teoria dello Spirito, Cap. VI p.61. (178) S. PAOLO, Ad Romanos, Cap. I,20. (179) Op. cit. l. cit.

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Qual'è, dunque, secondo lui, la soluzione? Ecco: « L'individualità non si cerca nella natura, perchè la natura non si può concepire senza quella molteplicità essenziale che è la negazione dell'individuo. Non si cerca nellanatura, perchè la natura, in quanto natu ra, in quanto non spiritualizzata, è meccanismo, e l'in dividuo dev'essere sè, cioè da sè, vera sostanza, au tonomia, libertà » . L'individuo è deificato, come si vede. E conclude : « Oggi sappiamo che il momento stesso della critica mossa da Aristotele a Platone, il bisogno di individuare l'universale, conduce propria mente rifiutare la natura come forma assoluta del reale, cioè a porre nello spirito la realtà » . (180) E' ben questo l'idealismo. Vediamo lo sviluppo, acutis simo, che ne dà il Gentile.

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L'universale platonico non è lo stesso particolare delle singole cose e non può produrlo; è l'idea della realtà, comeprincipio di essa, non la realtà; ciò che dev'essere, non ciò che è. E l'individuo è ciò che è, è il positivo, insegna Aristotile. Positivo è ciò che è posto, è in essere, e non più in fieri; non è nel suo principio, non ènel processo in corso, ma nel risulta to. Positivo è il fatto storico come realtà attuata; posi tivo è ogni fatto della natura già osservato. Il positivo è il posto,ma non dal soggetto; allorchè si presenta al soggetto è già, ebisogna che già sia, perchè possa presentarsi, e solo a questo titolo può dirsi che sia (180) I problemi della scolastica, D. 176.

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pel soggetto. E' positivo in quanto si oppone al sog getto, in quanto è posto di fronte al soggetto : il qua le « si trova innanzi al positivo quando si trova in nanzi alla realtà realizzata, che non sia opera sua : e allora è alla presenza dell'individuo » . (181) Ebbene si affretta ad affermare il Gentile : l'individuo così con cepito è assurdo. Chi nega ogni dipendenza dell'in: dividuo o del posto per il soggetto, cioè dell'ogget to, dal soggetto; chi lo spoglia di ogni elemento sog gettivo ossia di ogni universalità, che gli viene con ferita dal soggetto, ossia dalla relazione assoluta al l'Io, alla coscienza, lo distrugge come oggetto. L'og getto irrelativo al soggetto, o l'assoluta e pura estra soggettività dell'oggetto come termine di una pura intuizione, è un non senso. Che valore hanno que ste osservazioni? Ecco : anche noi ammettiamo la cor relatività dei due termini, non però nel senso che sia l'intelletto o il soggetto umano a dare l'universalità e l'intelligibilità all'oggetto: chi lo pone come essere cioè chi gli dà (all'oggetto) l'atto di esistenza, gli dà anche l'intelligibilità sua di fronte all'uomo; quella intelligibilità che possiede coll'atto di essenza nell'in telletto di Dio, in faccia al quale è pienamente relati vo in ogni senso. E' relativo anche all'intelletto e, in generale, al soggetto umano, in quanto esiste per il soggetto umano he lo fa suo, lo converte in sè, co noscendo; e, facendo suo l'oggetto, si sviluppa di co noscenza in conoscenza sempre più perfetta e crea, in

(181) Teoria della spirito, Cap. VI, p. 75.

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sè, fra gli oggetti quei rapporti che ne fanno un si stema, una scienza che è veramente scienza dell'essere perchè anche i rapporti sono oggettivi. La natura esi stente è correlativa all'uomo, in quanto è l'uomo che ne tramuta il materiale bruto fornito dal senso in un sistematico corpo di riconoscenza. Da un caos di sensazioni, di percezioni, di senti menti il pensiero trae un cosmo ordinato. Dunque, si dirà, è l'uomo che vi crea l'ordine, che vi mette l'e lemento ideale, che produce con elementi soggettivi il sistema o il cosmo. Chi così osserva ci ha capito a rovescio. Noi siamo agli antipodi di Kant, per il quale l'introduzione di un elemento ideale soggettiva la realtà. Per noi quanto più la natura viene interpre tata in termini di concetto, di elementi ideali, tanto più essaè afferrata nella sua realtà genuina, nella veri. là intima, nel profondo suo essere razionale quale è, uscito dalle mani del Creatore. Pensando la realtà, cioè esprimendo in concetti e in sistemi di concetti la sua individualità e la sua universalità, l'uomo non vi mette, a propriamente parlare, nulla di suo, ma non fa che leggere nell'oggetto e dire a sè quello che es so è nella sua natura di oggetto. Sel'oggetto è per il soggetto, esso è, dunque, re lativo al soggetto. E' chiaro. Chi dice relazione dice differenza e identità insieme: chiaro anche questo. Di ce bene il Gentile : « Due termini differenti e soltanto differenti, si penserebbero in modo che, pensando l'u no, non si penserebbe l'altro; ossia il pensiero del l'uno escluderebbe assolutamente l'altro » . (182) Sa

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rebbero termini irrelativi. Dunque l'oggetto dell'in tuizione è anche soggetto, cioè l'intuizione mette qualche cosa del soggetto che intuisce nell'oggetto in tuito. Anzi : « la relazione dell'oggetto col soggetto per cui il primo è posto per il secondo, implica di ne cessità il concetto che l'oggetto sia posto dal soggetto E così il concetto del positivo non posto dal soggetto si chiarisce intrinsecamente contradditorio ). Riman diamo a più sotto le osservazioni , che, a questo punto sentiamo di dover fare. Noto soltanto che il Gentile dalla ragione che i relativi devono avere qualche cosa di identico, passa di punto in bianco e illogicamente all'affermazione della totale identità di essï; l'oggetto è posto dal soggetto, è il soggetto. L'estrasoggettivo - l'individuo, il particolare continua egli non è il concepibile se non considerato in sintesi col sog gettivo, coll'universale, con ciò che è universale o priori nell'intuizione e nel pensiero, ha insegnato Kant. E fin qui, con tutte le riserve e le delucidazioni fatte e date sopra, possiamo essere d'accordo col Gen tile. Il quale, imbroccata energicamente la via della soggettivazione dell'oggetto, la percorre fino in fon do.... o quasi. Che cos'è il soggettivo, l'universale? Lo sappiamo è la categoria, cioè, secondo Kant, l universale che può fare soltanto da predicato: ossia è il soggetto nella sua attualità che investe l'individuo, il contenu

( 182) Teoria dello spirito, Cap. VII, p . 79.

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to dell'intuizione - cioè ancora il soggetto o il posto dal soggetto. Ecco la sintesi a priori. E, poichè l'at tività dello spirito è il giudizio, cioè la sintesi di sog getto o indivduo e predicato o universale, perciò non ci può essere atto del pensiero se non come uni versalizzazione dell'individuale e particolarizzazione dell'universale. Ma chi particolarizza, chi, se il sog getto, se l'Io trascendentale è universale? Ecco: l'in dividuo non è tale senza l'universale, perchè non è intelliggibile che alla luce di esso: l'universale non è universale che come predicato di particolari, appunto perchè è solo categoria. Perciò l'individuo e l'univer sale, nel loro antagonismo, sono due astrazioni. Pen sate l'individuo e lo universalizzate: pensate l'univer sale, e l'individualizzate. Siamo con Aristotile. I due termini : - individuo da assumere sotto la categoria, categoria che deve compenetrare l'individuo , sono reali, concreti che nel pensiero che universalizza e individualizza, che è unità di universale e di partico lare, di concetto e di intuizione; sintesi a priori, Sia mo passati dal pensiero astratto al pensiero concreto. « L'astratto universale è quello a cui il pensiero pen sa, ma non è il pensiero. L'astratto individuo è pure un termine del pensiero, che vi vuole intuire, sentire, afferrare quasi d'un tratto, di sorpresa » . (183) Ma non è il pensiero. « Ed è perciò naturale che nè l'univer sale si individui come dovrebbe, per essere reale, nè l'individuo si universalizzi, come pure dovrebbe, per

non (183) Teoria dello spirito, VIII, p. 85.

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essere ideale, cioè vero reale del pensiero » . (184) Che è, poi, anche la vera positività, come realizzazione della realtà, di cui l'idea, secondo Platone e secondo Aristotile, è il principio. Dice splendidamente, da questo punto di vista, il Gentile: « Se l'idea è idea, o ragione della cosa, la cosa dev'essere prodotta dal l'idea : il pensiero che è vero pensiero deve generare l'essere di cui è pensiero » . La realtà che io sono - di ceva Descartes, com'è interpretato dagli idealisti - è è in quanto penso: la realizzo pensando con un pen siero che è il pensiero di me. L'autocoscienza pone il Sè, suo oggetto. Nell'essere che è pensato, coin cidono e s immedesimano la particolarità e l'univer salità, dando luogo al vero individuo, quale Aristotile lo definì, unità di forma e di materia, dell'elemento ideale che è universale e dell'elemento immediato, po sitivo, che è particolare. (185) S'immedesimano come differenziazione dell'identico. E come e perchè si dif ferenzia l'identico? - Perchè è atto e processo, e in ogni processo identificazione e differenziazione sono momenti necessari; senza d'esse non ci sarebbe nè processo, nè concretezza come attualità. Ma lo spirito come atto non è infinito? Non è la pienezza della vita e del pensiero, cioè dell'attualità concreta ? Non vale per esso in tutta la sua forza il principio di identità e di non contraddizione? Come dunque é perchè diviene ? Perchè si particolarizza ? Perchè -

(184) Ivi. (185) Teoria dello spirito, VII, pp. 86-7.

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l'universale senza il particolare è astratto, mi dice il Gentile. - E perchè procede, diviene, si particolarizza anche dopo la prima particolarizzazione? Non è es so già nella prima particolarizzazione tutta la concre tezza dell'atto ? L'infinito concreto? Tutto? Ma seguiamo l'esposizione gentiliana. Io che pen so sono unico perchè non posso trascendere l'atto del pensare, ma questo mio pensare onde penso me, è il pensiero onde penso, insieme, il tutto; è il mio pensare assolutamente vero, cioè universale. L'at to del pensare, per cui sono, mi pone come individuo universalmente » . (186) Va bene : ma se col.primis simo atto di pensare penso il tutto, tutto il soggetto e tutto l'oggetto, com'è concepibile il secondo atto di pensare? Il secondo deve essere identico al primo, e il terzo al secondo, cioè non ci sarà nè primo nè se condo nè terzo, non ci sarà processo, progresso, di venire, ma pura purissima eternità statica: Atto puro senza potenza, ricchezza infinita senza possibilita di arricchimento : Dio, il Dio dei teisti. Il Gentile crede di aver conciliato colla sua teoria il realismo e il no minalismo ». Oltre l'universale del pensiero non c'è l'individuo, essendo che l'universale stesso è il vero individuo; e fuori dell'individuo non c'è neanche il nome di un'universale, poichè l'individuo stesso nella sua genuina individualità, non può non essere nomi nato, investito di un predicato, e della universalità

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Slot . 05 d 3 ( 186)
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Op. cit., p. 87

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del pensiero ». (187) Non capisco. O, meglio, capisco che l'universale esige l'individuale, o d'individuarsi, ma non capisco la pluralità delle individuazioni o il divenire. Si potrà rispondermi che,facendo questa dif ficoltà, passo dal concetto del pensiero pensante a quello del pensiero pensato. Io: io affermo sempli cemente che il pensiero universale-individuale che è tutto, che è infinito, che è l'attualità, non può non sempre identico a se stesso : possesso e non processo, atto puro, nel senso teistico della parola, che esclude, perciò, il divenire. L'idealismo immanentizza Iddio, ma il vecchio Dio del teismo, dal quale non si riesce a liberarsi, pare. Questa difficoltà non viene punto dissipata dagli ulteriori svolgimenti che fa il Gentile delle sue idee fondamentali. L'individuo è il soggetto che si pone : il positivo, l'essere è immanente nell'atto che, ponendo sè, pone in sè, come suo pro prio elemento, ogni realtà che è positiva, per questo suo rapporto di immanenza nell'atto in cui l'Io si pone in modo sempre più ricco e più complesso. (188) Com'è possibile questa nuova ricchezza, questa mag giore complessità dell'atto che è tutto, tutto, tutto? Il Tutto è ancora suscettibile di qualche cosa? Allora da Dio diventa uomo, da infinito finito, da tutto parte. Il Gentile mi dice che il soggetto è dialettica, attualità dialettica; è, non l'universale, ma l'universalizzare che è tutt'uno col farsi universale, come l'individuo è

essere

(187) Teoria dello Spirito, VIII, p. 88. (188) Op. cit., p. 91.

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l'individuarsi. E' l'Io che si universalizza individuan dosi, s'individua universalizzandosi. E conclude: Dun que la natura come individuo individuale, il positivo della scienza e di molte filosofie, che lo contrappon. gono come positività alla idealità del pensiero, non esiste: il solo individuo concepibile è quello che si individua, lo stesso spirito. Ma la mia difficoltà rimane immutata. Non è meno inesistente di quell'individuo, secondo il Gentile, la natura come moltiplicità di contro al l'unità del pensiero. Lo spirito è processo. Al pro cesso dello spirito è immanente la molteplicità inte riore, nella quale essa si dispiega nella sua unità con creta; l'abbiamo veduto. Oltre questo c'è anche una molteplicità esteriore? Per rispondere a dovere dob biamo rifarci dalla risposta a un'altra questione: lo spazio e il tempo sono oggettivi? Ecco ciò che dal l'idealismo si nega, e, com'è evidente, si deve ne gare. « Lo spazio e il tempo sono i due sistemi del molteplice. La natura, regno dell'esistente, da quando si è contrapposta al pensiero, si è rappre sentata appunto come l'insieme degl'individui coesi stenti nello spazio e successivi nel tempo » (189). Si pensa a Kant. Il Gentile si diffonde a criticare da ogni punto di vista l'oggettività di essi in pagine che sono fra le più geniali e più profondamente pen sate della più acuta e sistematica delle opere sue, (189) Op. cit., Cap. IX, 99.

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che è la Teoria dello spirito come atto puro. Ne do, legate logicamente, le idee fondamentali. Ogni positivo, ogni essere, considerato da punto di vista delle filosofie dualistiche, è in un dove è in un quando. Ciò che è spaziale si risolve in elementi, e in ultima analisi in punti, ciascuno dei quali è fuori di tutti gli altri, e ha tutti gli altri fuori di sè. L'oggetto è, quindi, molteplice spazialmente, e, come tale, è molteplice anche temporalmente. Perchè? « Uno sguardo gettato sul mondo, coglie una molteplicità spaziale. Ma questa molteplicità non si può fissare innanzi a noi nè nel suo tutto, quale che sia, nè in una sua parte e si moltiplica da capo in una molteplicità d'immagini del suo tutto o di quella sua parte, e così si prolunga nel passato e nel futuro. O la molteplicità è spaziale, o è temporale » . (190) Molteplicità senza unità, ad ogni modo, finchè si concepisce come,pu ra spazialità e pura temporalità, cioè assolutamente fuori dello spirito che è unità sintetica, che risolve nella unità concreta la molteplicità del molteplice. Ma si puòescludere l'unità dalla molteplicità? In altre pa role: si può collocare innanzi al pensiero la realtà intatta da ogni azione soggettiva, cioè affatto irrelati va al conoscere! chiede il Gentile. poniamo noi: e se ci fosse nella realtà stessa il principio dell'unità? Dell'unità dei singoli e dell'u nità del tutto ? L'esteso suppone l'inesteso, la mate ria suppone la forma. Noi ammettiamo che il mon do degli oggetti esiste indipendentemente da noi, sen

(190) Op. cit. Cap. cit. p. 102.

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za, che per questo, gli oggetti cessino di essere do tati di unità interiore e di formare l'unità cosmica. Noi ammettiamo, cioè, nei corpi dei principii unifi catori dei corpi o delle qualità sensibili, dei principii corporei, che siano la forma di essi, la fonte delle leggi che li governano e il fondamento attivo della loro unità. E ammettiamo che questi corpi, queste qualità sensibili unificate dai loro principii, abbiano delle relazioni, per così dire, estrasoggettive, che li lega insieme, ne forma un cosmo, il quale, se è esteso, è spaziale; se è fatto di estesi coesistenti, dunque é fatto di estesi distinti interiormente per il principio corporeo, per la forma unificatrice, distinti esterior mente per lo spazio interno, come lo chiama Aristo tile, e che è tutt'uno coll'estensione. Sono, dunque, in sè gli esseri molteplicità unificata. E l'uomo, ordi nando le sue intuizioni sotto la forma dello spazio, che, come tutti gli universali, ha, per dirla cogli sco lastici, il fundamentum in re, non crea ma ricrea ad modum cognoscentis la realtà spaziale. « Ma noi abbiamo ripetutamente avvertito - dice il Gentile che la realtà estrasoggettiva, è una realtà posta dal soggetto come tale, quindi assolutamente parlando, soggettiva anch'essa, ed estrasoggettiva sol tanto relativamente al grado o modo di soggettività di una realtà altrimenti soggettiva». (191) Infatti: non ha dimostrato l'idealismo, che il positivo, il moltepli ce, l'individuo è posto pel soggetto, e quindi dal sog. (191) Op. cit., Cap. IX, p. 104.

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getto e che è immanente nel soggetto in virtù dell'a zione dello stesso soggetto? « Tutti gli infiniti mo. menti, onde si moltiplica innanzi a me il mondo, e tutti gli infiniti momenti, onde pur si moltiplica esso innanzi a me in ogni suo elemento e nel suo tutto, es sendo innanzi a me, sono in me, peropera mia » . (192) Non c'è il molteplice, ma la moltiplicazione. « E la moltiplicazione, onde' l'uno non è l'altro, è atto mio » . (193) Che cosa sarà dunque lo spazio? Nient'altro che l'attività spazializzatrice dello spirito, la quale non presuppone la molteplicità, ma la genera: e intanto l'ha innanzi, ossia intanto essa c'è, in quanto la ge nera. La spazialità non è tanto ordine e sintesi co · me voleva Kant, che ammetteva un molteplice sensi bile come logico antecedente dell'attuarsi della funzio ne spaziale quanto differenziamento e moltiplica zione. « L'unità è prima, la spazialità consiste nella moltiplicazione dell'uno. Sicché, a rigore, non si trat ta di sintesi, anzi piuttosto di analisi : » di analisi del l'uno che non cessa, perciò, di essere uno: è sempre l'uno che si dispiega nel molteplice. Non siamo noi, quindi, ad essere nello spazio e nel tempo, ma « lo spazio è del mondo che noi spazialmente ci rappresen tiamo, tutto armonico e uno nell'orizzonte della nostra coscienza e consolidato col suggello del tempo : (192) Op. cit. Cap. cöt. p. 105. (193) Ivi.

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tutto in noi : tutto, cioè, noi » . (194) Tutto ciò che si dispiega nello spazio e nel tempo è tale per l'attività dell'Io; dell'Io trascendentale, si capisce bene. La real tà è, quindi, tutta senza eccezione, immanente nell'at to dello spirito, che è pure concreto divenire, e, come tale, si unifica e si moltiplica, in un'analisi che è sin tesi sempre nuova, perchè è unificazione creatrice. Ecco l'idealismo attuale.

Fermiamoci un momento. Questo del Gentile è uno dei più coerenti e saldi organismi di pensiero che io conosca. E pare che si attuino veramente in esso quell'immanenza e quello spiritualismo dinami co, che, come s'è veduto, esistono solo molto imper fettamente, anzi non esistono affatto nei grandi siste mi della storia. Qualcuno ha scritto che « tentare una raffigurazione ideale della realtà nel processo assiduo del pensiero è la funzione permanente e vitale della filosofia, e il suo titolo di onore » . (195) Ebbene, nel Gentile la raffigurazione vuol essere reale, perfetta, creazione; non, quindi, una veduta sulla totalità del reale, non un'interpretazione o reazione concettuale della e alla realtà, ma una posizione di essa fatta dal l'unità attiva centrale del Tutto : l'Io trascendentale. E' certo che in questo lo, che non è la mia ragione o la tua, ma la Ragione comune, a tutti e in cui con vengono tutti i soggetti razionali, va a fondersi e a vestirsi di forma sistematica tutto quello che è fuori (194) Op. cit . Cap. cit. p. 107. (195) CHIAPPELLI: La crisi del pensiero moderno, p. 43.

filosofia di G. Gentile .

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di me, del mio Io particolare e tutto quello che è in me di unificato o di non unificato nell'attualità pre sente del pensiero, e in essa soltanto esiste consape volmente il significato universale dell'esperienza in terna ed esterna, cioè l'universalità delle indefinite relazioni che legano fra loro i particolari. L'universo cosmico-umano è dominato dalla unità di ragione. In questo senso nulla è fuori della ragione, perchè tutto è razionale. Ma questa ragione siamo forse noi? è l'uomo? Ecco; che la realtà sia razionale, che sia un pensiero concreto e lo svolgersi del piano di una ragione unica, creatrice e produttrice di nuove esi. stenze, o, meglio, di nuove forme di esistenza, è dottrina tradizionale comune a tutta la filosofia degna di questo nome e che, si capisce, accettiamo anche noi. Noi cioè non ammettiamo nel cosmo nulla di irrazionale, e non ammettiamo, con certe correnti plu ralistiche, già oltrepassate nel campo della speculazio ne, moltiplicità di razionalità. Le leggi dell'essere sono identiche per tutto l'essere, che è un universo, un cosmo, precisamente perchè è la forma concreta di uno stesso piano ideale, del piano ideale di uno stesso lo. Ma noi domandiamo agli idealisti: la real tà è losvolgersi di un pensiero umano o d'un pen siero divino? E se d un pensiero divino, questo pen siero è Dio stesso tutto immanente nella realtà, o, meglio, nell'atto del pensare umano che crea ed è tutta la realtà ? Gli idealisti sono d'accordo con noi che l'uomo come lo empirico, particolare, limitato, non crea la realtà, per la semplice ragione che esso

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non è persona assoluta secondo gli idealisti, non è neanche persona, come vedremo, - non è quindi, il vero soggetto, come assoluto pensiero pensante, e continua attività creatrice dell'oggetto; anzi, esso, co me empirico, è un oggetto fra gli oggetti, una posi zione del soggetto creatore e una semplice forma del la ragione umana, di quella ragione che è comune a tutti i soggetti singoli e non si confonde con essi perchè è la legge comune del loro operare. La real tà, per gli idealisti, è lo svolgersi precisamente di questa ragione comune a tutti, e che essi chiamano lo trascendentale. Ecco ciò che noi non possiamo as solutamente ammettere. Noi non conosciamo un lo, una persona universale immanente in noi come ra gione dell'esistenza dell'Io empirico, cioè delle mol teplici individualità spirituali, che a quello si riduca no come a soggetto unico. Certo, alla base dell'Io empirico c'è una forza metempirica come centro ul timo di riferimento di tutto ciò che in noi accade : l'anima, la forza sostanziale originaria, dalla quale tutte le forze empiriche provengono e alla quale tut te si riducono. Ma la coscienza non ci dice che essa sia un lo fuori delle determinazioni empiriche di sen sazione, di intelletto e di volontà, che essa assumein ogni individuo spirituale: anzi la coscienza ci assicu ra che in me l'Io è unico, questo mio lo incomuni cabile, che costituisce me con questa persona, che risponde al nome di Padre Ciocchetti. L'Io unico, l lo universale non è fra le attestazioni immediate o riflesse della coscienza. L'Io, l'unico Io del quale ab

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biamo coscienza, che è, anzi, la nostra autocoscien za, è l'unità sintetica sostanziale sempre identica a se stessa, pur nella corrente ininterrotta del divenire psico-fisico in cui è presa e si rinnova e cresce in estensione e in comprensione: l'attività sintetica ori ginaria che è la scaturigine di tutta la nostra attività spirituale, che procede di sintesi in sintesi sempre su periori, così nel processo intellettivo come in quello volitivo. C'è in noi la ragione universale, chi lo ne ga? ma essa vive ed è attiva soltanto nell'unità sin tetica con delle particolarità spirituali e materiali, che insieme con essa costituiscono il nostro lo concreto, empirico e metempirico insieme, unità di trascenden tale e di esperimentale, di soggetto e oggetto, centro di riferimento, ripeto, e fonte originaria incomunica bile di tutta la nostra attività, sempre tesa ad acco gliere in sè tutto l'universale e tutto il particolare, gli individui e le loro relazioni, l'esistenza e la ragione dell'esistenza; accoglierlo in sè e trasformarlo nel l'unità vivente, o nell'unità sintetica, calda, persona le, che esso è, per intima e originaria costituzione. La ragione comune a tutti, immanente in tutto, non è per sè sola, ancora lo, non è il preteso lo trascen dentale, l'Io assoluto. L'Io assoluto è concreto in se stesso, per definizione, mentre quello del Gentile è, in sè, fuori degli Io particolari, astratto. « La realtà dell'Io trascendentale importa pure la realtà di quello empirico; che è malamente e indebitamente concepito e affermato solo quando si prescinda dal suo rappor

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to immanente con l'Io trascendentale » . (196) Così che l'Io empirico condiziona l'Io trascendentale? Non cessa con ciò stesso di essere trascendentale soluto per diventare semplicemente quell'unità sin tetica, quell'Io empirico e metempirico insieme di cui parlammo dianzi? Certamente non esiste che que sto. Ecco perchè l'atto veramente conoscitivo origi nario e fondamentale del pensiero umano, l'atto pri mo, fonte e modello di tutti gli altri, è la percezione intellettiva, ossia il giudizio concreto, tetico e sinteti co insieme, o l'affermazione-ricreazione di un reale, particolare e universale insieme. Gli elementi della sintesi sono sempre il reale e l'ideale, l'individuale e l'universale - irriducibili l'uno dall'altro, appunto perchè il loro rapporto è, non analitico, ma sintetico come a sintesi costitutiva dell'Io, che è la ragione, che è la ragione universale, per sè astratta, che si fa coscienza e autocoscienza in unione con le partico larità materiali e spirituali di cui essa diventa centro e principio vivificatore incomunicabile. Perciò la per sona non è « senza plurale : » tante sono le persone quanti gli Io, intesi così.

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Questo ci attesta la coscienza e questo ci attesta la speculazione, che vede solo nell'unità sintetica di metafisico e di empirico l'attività originaria che si chiama persona. E la coscienza e la speculazione ci attestano del pari l'esistenza di un interno e di un e sterno a noi. Di esterno alla Ragione non vi è nulla, (196) Teoria dello Spirito, Cap, II, 13.

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si capisce: tutto ciò che è pensabile suppone un pen siero, tutto ciò che è intelligibile importa un intelli gente che lo fa suo oggetto: l'essenza dell'intelligibi le non è forse la mentalità, che non può aver luogo se non in una mente? Se la realtà è conoscibile, deve essere un principio che l'ha fatta tale ed al qua le essa si riferisca, come a presupposto della sua co noscibilità, la Ragione che tutto abbracci, che tutto comprenda. Ma noi non siamo la Ragione, ma solo una speciale forma concreta di essa toto coelo distinta da essa, forma che non ha tutto in sè, che non ha anzi, in sè che se stessa e tutto deve conquistare Creare o conquistare? Ecco: anche noi affermiamo che il pensiero non può pensare che il pensiero; l'es sere o l'intelligibile, è, secondo Aristotele e Platone e tutta la filosofia nostra, mentalità, razionalità, e la mentalità è identità di essere e intelligibile. La sco lastica vecchia e nuova ha sempre affermato, contro il pessimismo e ogni forma di irrazionalismo, la ra zionalità del reale. La natura è, dunque, intelligibi le. E l'uomo che la fa tale o tale la trova? Questo il problema. Ebbene, vediamone la soluzione. La no stra coscienza ci dice anzi tutto che noi, conoscendo reagiamo, assimiliamo, facciamo nostro qualche cosa che prima nostro non era, la coscienza ci assicura che noi non creiamo da noi il contenuto del nostro conoscere, ma che esso è un dato che noi dobbia mo trasformare in atto. Trasformare il dato in atto è ben questa la formula esatta, credo, di ogni cono scenza, il cui processo è precisamente una gradua

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le spiritualizzazione del dato. Tutto ciò che conoscia mo è concepito come un esteriore che diventa inte riore, come una natura che diventa spirito, per il no stro entrare nell'interno delle cose distinte da noi per farle parte viva perenne di noi. Questo vale per la realtà spirituale non meno che per la realtà materia le. Distinguiamo queste due specie di realtà, perchè ce le attestano la coscienza e la storia del pensiero. Le ha distinte, sia pure solo provvisoriamente e di. datticamente, anche il Gentile, il quale ammette per sino dei gradi nella soggettività. Perchè questa dis stinzione? La distinzione il Gentile la trova non la fa; anzi la vuol risolvere, disfare nella pura soggettività; la trova nel pensare comune e, più o meno coscien te, più o meno accentuata, in tutte le filosofie anterio. ri all'idealismo attuale. Orbene, se la distinzione nel la realtà non c'è, come affermano' gli idealisti veri, come si spiega che quella distinzione è sorta ed è passata attraverso tutte le filosofie, ed è ancora una delle tesi fondamentali di quasi tutte le correnti spiri tuali di pensiero, e della vita? La realtà trascende la nostra cognizione come termine dell'atto di conosce re. Questo termine ci si presenta o temporale, o spa ziale e temporale insieme. Ci si presenta così sempre, alla coscienza di tutta l'umanità. Tempo e spazio dice il Gentile sono semplicemente l'attività spazializzatrice e temporalizzatrice (in fondo anch'es sa spazializzatrice): Lo spazio e il tempo, tutto ciò che si spiega spazialmente e succede a grado a gra do nel tempo è in noi.... Lo spazio (e il tempo) è l'at

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: tività; ed essere tutto ciò che è spaziale, nell'Io, non significa altro se non che tutto ciò che è spaziale spaziale in virtù dell'attività dell'Io, come dispiega mento, attualità di questo lo » . (197) Ma perchè allora il pensiero comune, che è pure pensiero autocoscien te, presente agli atti che compie, e perchè tutte quasi le filosofie lo credono fuori di noi; fuori di quanto alla sua forma e al suo contenuto, o almeno quanto al suo contenuto, fuori di noi almeno nel so che non sia creato da noi in tutto il suo essere o almeno almeno che non sia tutto uno coll'atto pensiero Neanche, dunque, il pensiero riflesso tutta la sua storia si è conosciuto in questa sua vità. E perchè spazializziamo soltanto una categoria di fatti, soltanto un aspetto dell'atto del pensiero, spazializziamo necessariamente, come temporalizzia mo necessariamente altri? Lo spirito deve spazializ zare certi fatti, deve temporalizzare certi altri; perchè questo, se lo spazializzare e temporalizzare non che crearci una illusione non sradicabile dalla vita dal pensiero? Come nasce l'idea della molteplicità spaziale e temporale, come distinte l'una dall'altra .come distinte da noi e termine della nostra attività se spazio e tempo non sono che attività dell'Io cui nulla corrisponde fuori dell'Io e la molteplicità non è molteplicità se non in quanto essa è assorbita nell'unità dello spirito come molteplicità di coesisten ti edi compresenti? Di coesistenti e di compresenti

(197) Teoria dello Spirito, Cap. IX. p. 107,

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in chi o in che cosa? Nell'Io trascendentale, princi pio di ogni esperienza, senza essere esso stesso og. getto di esperienza, cioè unità senza molteplicità. Non ha dunque nessun valore la convinzione del gene re umano, della ragione umana che si è venuta e si viene spiegando nella storia, per la quale esiste, indipendentemente da noi, una molteplicità di sog getti e ogni soggetto è centro di una realtà che gli è propria, e d una realtà che è comune a tutti i cen tri o a tutti i soggetti? E come nasce questa convin zione? El'idea del proprio e del comune? E le do mande continuano. Come nasce l'idea di un pensa bile in noi e fuori di noi, se la realtà è pensiero pen. sante, perchè immanentissimo in tutto il suo spiegar si, che è sempre uno spiegarsi dell'atto nell'atto? Co. me sorge l'idea d'un mondo estrasoggettivo, se tutto è nel soggetto e dal soggetto? Che cosa vuol dire : la coscienza si appropria, si assimila un termine com penetrandolo di sè? E come si spiega la resistenza che noi incontriamo ad ogni momento nella esplica zione della nostra attività . Se l'atto è tutto, se l'at to non ha limiti, non ha nulla davanti a sè, di con tro a sè, come nasce, come può nascere il concetto di limite, di contrapposto, di obiectum nel senso etimologico e reale della parola? Tutte domande che non possono ricevere da parte degli idealisti nessuna risposta soddisfacente. Si risponde solo, ammetten do colla filosofia tradizionale che conoscere è trasfor mare il dato in atto, la sensazione in intuizione e in idea, il distinto da noi in noi : una traduzione

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in termini soggettivi-oggettivi della realtà obbiettiva. L'idealismo ammette che le cose sono parte di noi anche prima di essere conosciute, o, meglio, poichè questo è un non senso, che esse esistono in virtù del nostro conoscerle, come oggetto creato dalla no stra mente che conosce. Ma allora non si spiega che cos'è la cognizione dopo il primo atto di conosce re. E' sviluppo di che conquista di che? Riprendo un motivo già toccato. Se nell'atto c'è tutto, tutto il finito e tutto l'infinito, tutto il bene e tutto il vero e tutto il bello, tutto esplicito, non si spiega l'esistenza di un atto ulteriore, o una nuova forma dell'atto stesso. Si ha un bel dire : « l'atto di. viene perchè atto, e, come tale, non può non dive nire » . Io invece non concepisco il divenire di un atto se non supponendolo in potenza a qualche cosa, per lo meno in potenza nel senso che ha in sè un im plicito da rendere esplicito, perchè è l'atto puro, esso, non può divenire perchè non c'è ragione per cui di venga. Nell'Assoluto, che è tutta la vita e tutto il pen siero, o tutta la vita del pensiero, non è concepibile, per me, successione di atti o momenti; perchè l'atto puro non ha nulla nè da conquistare nè da creare : è perfetto. Se ciò che l'atto crea lo crea da sè, o po ne, dunque lo ha in sè, è sè: ha in sè bella e fatta tutta la dialettica del reale : avremo un Platone imma nentizzato : immanentizzato, ma Platone, la dialettica di Platone. Il divenire suppone l'insoddisfazione del l'atto, della determinazione conoscitiva, cioè precisa mente la sua mancanza di assolutezza, la sua relati

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vità. Se l'atto del conoscere fosse l'assoluto, la tota lità, esso cesserebbe con cið stesso di essere Atto divenire e sarebbe Atto-essere: atto di pieno posses so. Ogni divenire conoscitivo, ogni divenire spiritua le suppone una dualità; di soggetto che diviene e di assoluto trascendente per cui e verso,cui diviene: il terminus ad quem ultimo del divenire, al quale tendo di approssimarmi rifacendo in me la cognizione che l'Assoluto, la Ragione, tout court, possiede della real tà che essa crea, della quale è perciò attivo trascen dente fondamento di conoscibilità; mi approssimo, come conoscente, a Lui, trasformando, cioè, il dato in atto, l'oggetto in soggetto, il conoscibile in cono sciuto. Se non esiste un conoscibile, non possiamo concepire un conoscente come atto che diviene: ci potrà essere l'atto-possesso, non l'atto-processo. « Il conoscere è un farsi, un oggettivarsi, per sempre più concretamente oggettivarsi : la posizione dell'og getto si pone, è segno che non è tutto, che non è tutte le posizioni e tutte le determinazioni, e che è a volta a volta determinato, checchè dica il Gentile, da queste sue posizioni. E se è condizionato, sia pure autocondizionato, non è, dunque, assoluto, e si con diziona sempre nuovamente e progressivamente pro prio per avvicinarsi all'Assoluto o per possederlo. Osserviamo ancora che un farsi che si fa da: un'eter nità, se si fa davvero, dev'essersi già tutto fatto, se 171

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l'eternità a parte ante si concepisce, come, certo Gentile non la concepisce, ma come sembra che debba concepirsi nella storia del divenire assoluto, - come infinita successione di accrescimento, e che d'altra parte, esso non si è fatto ancora nulla, se ha sem pre da farsi, se si farà ancora per un'altra infini ta successione di accrescimento a parte post; e che gli assurdi del processus in infinitum risorgono ad ogni modo; con l'aggravante in più che quello che si fa, pone, è, per definizione, unità di finito e di infinito, di eterno e di temporaneo; e come concepire un processo, puro processo, finito e infinito, eterno e temporaneo, senza che ci sia nessuno che proce da, nessuno a cui convengano la temporalità e l'in finità, a cui convengano l'uno e l'altra insieme, se il soggetto è lo stesso processo ? Qualche luce rice verà presto questo nostro dubbio nel capitolo in cui tratteremo a parte della storicità dello spirto secondo il Gentile. Dove troveremo, fra l'altro, che il processo il progresso non è quasi una linea, che nella suc cessione dei suoi punti stia di fronte a noi che intuiamo; il processo consiste piuttosto nell'intuizione della linea stessa, essendo sempre e non essendo mai se medesima, cioè quell'intuizione compiuta che vuol essere .

Ma allora il processo è una vera e propria tautologia vanissima: un intuire per intuire, un pensare il pen siero per pensare il pensiero ed il pensiero del pen

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siero. Perchè il divenire ! - Perchè ci sia il divenire. - E' progresso codesto? E come si può concepire il progresso senza un pun. to di arrivo! Progredisce colui che si muove sopra una strada senza un punto a cui tenda? Il suo muo. versi ha valore? Non più del muoversi in giro o dello stare. Vanità delle vanità. Non avendo avuto un co minciamento, il processo, che è sempre stato pro. cesso processo processo, che sarà sempre processo, processo, non può aver fine; ed è processo? Per noi sì la conoscenza è processo, e progresso vero. Cono scendo, l'uomo si fa delle cose uno sgabello sem pre più elevato per giungere all'Assoluto. L'attività di Dio che crea, comprendendo e volendo, la sussisten za dei gradi dell'essere, segna all'uomo il cammino della sua attività: esso deve salire la scala per la qua le Dio creando, per così dire, discende : quale altro significato plausibile può avere la formola: l'Ente crea l'esistente, l'esistenza torna all'Ente? Torna all'Ente accogliendo e ricreando in sè la razionalità dell'esi stenza, che egli, l'uomo, non crea, ma conquista, in teriorizza ad modum cognoscentis. La filosofia è, così, davvero la scienza dell'atto creativo, non, si ca pisce come questo è in se stesso, ma nella sua at tuazione attraverso le creature: la nostra cognizione assimilante, ricreante è vera in quanto coincide colla cognizione ponente, creante, in quel tanto che la fa sua, approssimandosi sempre più alla coincidenza ve ra , che è il fine ultimo, l'ideale del conoscere. La verità è la coincidenza dell'ordo idearum coll'ordo - 173 -

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rerum:adaequatio intellectus et rei. Esistono le co se ed esistono le idee delle cose. Quando possiamo sapere che le nostre idee sono conformi alle cose, so no, cioè, vere? « Il criterio del vero non può essere che il vero stesso. Ma il vero parziale relativo (no stro) è legittimato in ultima analisi, ultimate, dal vero totale, assoluto: i veri dal Vero, le idee dall'Idea. Ora siccome l'Idea nella sua unità semplicissima non può essere colta dall'intelletto finito,seguita che il criterio dei veri parziali consiste nella loro logica concatena zione, mediante la quale si approssimano al vero to tale. Quel sistema è vero che riceve e intreccia tutti i veri rannodandoli fra sè e derivandoli da un solo principio » . (198) Questa verità (formale) è oggettiva e perchè? Perchè, dicevamo sopra, l'ordine delle no stre cognizioni dipendenti da un principio evidente supremo è perfettamente uguale all'ordine delle cose Kant aveva tentato di dimostrare che è l'uomo che rende intelligibile il mondo esteriore e il mondo in teriore, mettendo in essi le determinazioni logiche ne cessarie all'esistenza degli esseri. Tutto quello che del le cose è conoscibile o ciò per cui la natura è cono scibile, è dato alla realtà del soggetto umano. E Ber keley aveva detto, prima di Kant e più radicalmente di Kant, che esse est percipi, cioè che ogni cosa per esistere ha bisogno di trovarsi in relazione colla no stra conoscenza, di essere da noi conosciuta. Ma Ari

(198) GIOBERTI: Della Protologia, Vol. I, p. 121, Napoli Torino, 1861.

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stotele aveva avuto della realtà una visione filosofica che rende ragione della oggettività del mondo ester no ammessa dal pensiero comune, dal quale gli altri due si sono scostati : le cose esistono, nella loro inti ma intelligibilità o mentalità, indipendentemente dalla conoscenza umana, perchè le determinazioni logiche necessarie all'esistenza delle cose non esistono solo nel soggetto conoscente (umano), ma anche nella real tà, in quanto completano gli scolastici e la filoso. fia tradizionale - Dio crea una realtà razionale. Ec co perchè la realtà non è per noi un libro chiuso, o scritto in caratteri a noi ignoti, ma tanto aperto quanto ci è aperta la nostra ragione e scritto da cima a fondo con le stessissime lettere e parole che costituiscono la nostra razionalità interiore. Più antikantiani, più og gettivisti di così non si può essere, lo sappiamo bene. Ma è proprio questo il nostro vanto, perchè è ogget tiva la verità, la razionalità del reale, che vogliamo far nostra seguendo le leggi della nostra razionalità. Ed è proprio questa vasta e armoniosa unità e va stità di leggi razionali, immanenti nell'essere, che ci fornisce l'idea, negativa bensì, inadeguata bensì, ma giusta della Ragione personale creatrice che si rivela nel microcosmo é nel macrocosmo. La stessa menta lità penetra tutto l'essere; e tutto l'essere, tutta la mol tiplicità, quindi, accenna a una Mente che lo crea, tra scendendolo nella sua infinita Unità e Personalità. Co sì, soltanto così si spiega il divenire cosmico, come graduale attuazione di un piano divino che si svolge razionalmente; così si spiega soprattutto il divenire

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umano come sempre più perfetta approssimazione a Dio, nello sviluppo della razionalità propria e nella progressiva conquista della razionalità dell'Universo; come ricreazione concettuale sempre più perfetta del la perfettissima creazione; come progressiva trasfor mazione in sistema di coscienza della realtà cosmico umana, che è in sè, nella sua immanenza, non perso nale e, perciò, incosciente; non atto, quindi, ma fatto, che l'Io umano, ripensandolo, trasforma in atto. La conoscenza non è creazione; ma non è neanche sol. tanto dice bene il Martinetti « un'insieme im mobile di fenomeni coscienti convergenti per caso verso l'unità puntuale d'un centro soggettivo, ma è la costituzione attiva d'una sintesi, l'asserzione pro gressiva d'un sistema spirituale verso forme d'unità più comprensive e più perfette. Questo passaggio gra duale dalla molteplicità all'unità è nello stesso tempo il passaggio dall'apparenza alla verità, dalla realtà empirica alla realtà assoluta » . (199) Scrive ancora, molto bene, il Martinetti, riassumendo il processo del nostro conoscere : « Di mano in mano che la mol teplicità sensibile si ordina nelle unità superiori del l'intelligenza e della ragione, alla realtà sensibile si sostituisce la realtà intelligibile delle leggi e delle idee; la realtà vera è allora il mondo dei noumeni, di cui l'universo sensibile è semplicemente il feno meno. Ed anche queste unità ideali tendono a coordi narsi in un sistema unico, a costituire un'unità su (199) MARTINETTI: Introduzione alla metafisica, Vol I, p. 116 .

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periore; onde infine anch'esse si rivelano come es. pressioni imperfette di una realtà più profonda e ci rinviano a quella Verità di fronte alla quale ogni al tra cosa non è che apparenza » (200). Non senza u na ragione chiudo questo capitolo intorno alla filo sofia del più sistematico rappresentante dell'idealismo della immanenza, con le parole, che accettiamo pie namente, del più chiaro rappresentante dell'idealismo della trascendenza.

(200) Iv . 177 12 La filosofia di G. Gentile .

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La realtà come storia

Tutto dunque è spirito, come atto, come processo dell'unità che si moltiplica senza perdere la sua uni tà. Lo spirito, insegna il Gentile, procede opponen do sempre sè a se stesso, sè come oggetto a sè co me soggetto, e attuando così se stesso in una infinità di momenti o di determinazioni come autoctisi, come assoluto libero farsi. Farsi, facendo la infinita varietà dei modi dell'essere che crea e ci mostra l'esperienza questa genitrice di una genitura infinita in cui si rea lizza. Lo spirito, come eterna attuosità, per realizzarsi pone ininterrottamente una nuova natura e una nuo va storia, cioè nuove forme di realtà spaziale e tem porale, nuove indefinite concrete categorie, ossia pone l'autocoscienza, sè come autocoscienza, nelle infinite categorie della coscienza, o del molteplice come realtà attuale di coscienza: ecco lo spirito, eterno sconfinato dispiegamento di nuove determinazioni o di nuovi

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valori individuali ed eterna risoluzione di essi nell'atto del pensiero. E questa vita dell'autocoscienza nella coscienza, nelle coscienze, è la storia: il sistema delle categorie di tutta la realtà nel loro sviluppo logico, cioè dialettico. La storia! E' questa, o vuol essere que sta, nel sistema del Gentile, la categoria delle ca tegorie, che impronta di sè la realtà tutta come pro gressiva attuazione dell'autocoscienza. Storia, natural mente, non come qualche cosa che è nello spirito distinto e altro dall'attualità spirituale che lo fa essere, non come atto spirituale già compiuto e che, perciò, si presenta al mio pensiero con un carattere positivo di autonomia o di oggettività, analogo a quello dei fatti naturali, nella qualità cioè di fatto assolutamente distinto dall'atto spirituale dello storiografo che lo descrive e lo narra: questa non è storia, ma natura. E' l'alterità, non come momento dialettico dell'unità come l'oggetto che noi abbiamo contrapposto al sog getto; ma piena e radicale alterità, cioè molteplicità indipendente dall'Io attuale che la pensa, pensiero pensato che si sottrae all'atto spirituale che da pas sato lo fa presente, da fatto lo ritraduce in atto, unifi cando la molteplicità delle determinazioni nel fuoco luminoso dell'appercezione dell'Io attuale. E' la conce zione naturalistica della storia, la quale non ha com preso ancora, dicono gli idealisti, che il tempo e lo spazio, nei quali vengono ordinati i fatti spiritutali e quelli della natura, non sono realtà estrasoggettive, ma attività dell'Io che per attuarsi deve uscire dall'astratta unità e moltiplicarsie alterarsi,cioè oggettivarsi. « Ma,

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se dalla considerazione del naturalista smarrito nella moltitudine dei fatti si sale alla considerazione del filo sofo, che ritrova il centro di tutto il molteplice nell'uno, la spazialità, la molteplicità e l'alterità dellana tura e della storia, la loro autonomia dirimpetto allo spirito, cedono innanzi all'assoluta realtà di questo. Quella natura e quella storia, di cui s'è discorso, sono la natura e la storia astratte, e, come tali, inesistenti. L'alterità, che è il carattere fondamentale tra tutti, se fosse davvero quell'assoluta alterità che pare, importe rebbe l'inconoscibilità assoluta della storia e della na tura, ma importerebbe anche, - che è molto più, l'impossibilità dello spirito; il quale avendo qualche cosa fuori di sè, ne sarebbe limitato, e però non sarebbe più libero, e non sarebbe più spirito, poichè spirito è libertà. Ma l'alterità della storia e della natura non è altro, per chi possegga il reale concetto dell'assolu tezza dell'Io, se non l'oggettività dell'Io a se medesi mo; per cui tutta la natura e tutta la storia è in quanto creazione dell'Io che se la reca in seno, e la produce eternamente in se stesso, nella sua autoctisi » (201). Concetti, tutti questi, che non sono più nuovi a chi ci ha seguiti fin qui nell'esame dell'idealismo attuale. La storia si identifica con l'atto dello storiografo che la narra. « Dei due significati correnti della paro la (storia), per cui una volta la storia è il complesso dei fatti storici e un'altra la loro rappresentazione

(201) Teoria dello Spirito, XVIII, p. 225.

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bisogna farne uno solo, visto che il fatto storico che lo storico rappresenta, non si distacca dall'atto ond'e gli lo rappresenta, anzi vi si realizza ». (202) Esempio : Se lo storico di Roma antica crede di trasportarsi con la mente di là da due millenni, nel bel mezzo delle lotte tra plebe e patriziato, o sui campi insanguinati dalle armi di Giulio Cesare, egli in realtà trasporta tutto ciò dentro di sè medesimo, e non vede se nor ciò che è capace di far sorgere dentro il proprio spirito, e in cui s'incarna il proprio spirito. (203) Facciamo subito una domanda: il « far sorgere den tro il proprio spirito » i fatti storici equivale a farli, crearli? o semplicemente a ricrearli? « Di nulla ab biamo coscienza senza avere insieme coscienza di noi stessi, a cui l'oggetto della coscienza inerisce » . (204) Questo va da sè. Ma io domando; questo aver coscien za di noi e di ciò che inerisce a noi. La risposta dell'idealismo attuale non può essere dubbia. « Il mondo si viene a grado a grado costituendo nella esperienza, e il suo sistema è il sistema concreto del la nostra personalità. La consapevolezza di questo sistema è storia » . (205) La storia è la creazione con sapevole di tutta l'esperienza; l'attualità creatrice, au tocosciente, del suo oggetto, se è vero che nulla può esistere fuori dell'atto del pensiero. « La filosofia sa

(202) L'esperienza pura, ecc, 9. 32. ( 203) Op . cit ,, ivi . (204) L'esperienza pura, 7. 37. (205) Op. cit., p. 38.

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oggi che la realtà dello spirito è la realtà stessa del mondo, che nella coscienza di sè è storia » . (206) passato, con tutto il suo contenuto, è una proiezione della nostra attuale coscienza, cioè del presente, l'attuale presente nella sua concretezza. « Non esiste che l'atto, l'atto presente, fuori del tempo, condizione anzi, del tempo, che non è altro che l'attività tempo ralizzatrice dell'Io » , « Il presente non è, nè nell'indi viduo particolare nè nella storia universale dello spi rito, diviso dal passato per quell'abisso che ordina riamente s'immagina...; anzi è tutt'uno con esso il passato essendo lo stesso presente nella sua intima sostanza, ed il presente lo stesso passato venuto, per così dire, a maturità » . (207) Che il presente non sia diviso dal passato lo ammettiamo anche noi con Ari totile, che considerava il tempo come quantità con tinua; quello che non possiamo ammettere è che passato sia tutt'uno col presente, o una semplice sià proiezione dell'atto presente. Se non c'è nello spirito una qualche compresenza del prima e del poi non ci può essere la variazione e l'avvertimento della va riazione, perchè è reso impossibile ogni rapporto di uno stato anteriore con uno stato posteriore. Il prin cipio dell'accadere è il tempo, come durata e corne successione, cioè come compresenza di due stati din (206) Op. cit . p. 39. (207) La riforma dell'educazione, p. 91. (trad. it.) Bari Laterza, p. 131.

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versi di ciò che accade, compresenza di due stati come due, non come uno. E diversamente compre senti : l uno vivo della sua piena attualità, vivo nel centro del fuoco della coscienza, l'altro degradante in vivezza, e fuori di quella attualità che è il nostro ora, cioè il vissuto pienamente per la prima volta dalla nostra anima e che, anche se ravvivato con più inten. sità di quella per cui era vivo la prima volta che si inserì nella nostra vita, non potrà più mai apparirci come presente; presente alla maniera di quel presente che lo richiama e lo ravviva.

C'è dunque un tempo psichico reale, che si im pone al nostro pensiero, che il nostro pensiero non crea, ma constata, che non è una proiezione dell'atto pensante, ma una realtà come rapporto di successio ne e di continuità di tutti gli atti e di tutti i fatti. Prima e poi e divenire sono legati così strettamente l'uno all'altro, che non sono concepibili, nonchè se parati, neanche distinti. Mi si dice che l'autocoscienza nel suo ciclico prodursi costituisce l'essenza del di venire: non il divenire della successione temporale, sì bene dello sviluppo razionale, che è eterno pre sente. Io non comprendo un divenire che non sia quello della successione temporale, che sia un eterno presente. Non comprendo un divenire che divenga fuori della determinazione del tempo, del prima e del poi, poichè faccio sempre mia la definizione arl stotelico-scolastica del tempo: Mensura motus secun. dum prius et posterius.

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Il divenire non è la durata omogenea dell'accade dere, di un accadere pure omogeneo e, quindi, non vero accadere ma puro essere, sibbene rapporto fra accadimenti qualitativamente diversi, compresenti nel la coscienza, più o meno vicini al centro di essa ma tutti legati alla successione, cioè a un prima a un poi perciò stesso concretamente diversi, pur nella unità dello stesso divenire, dello stesso flusso solo astrattamente uniforme e omogeneo.

Nella nostra esperienza della successione tempora le noi siamo coscienti d'una serie di stati successivi che ci sono presentati come un tutto; e siamo con sapevoli che ciascun elemento della successione esclu de gli altri dal proprio posto nel tempo; e la succes sione è tale che contiene entro di sè una distinzione temporale, o ordine, di elementi precedenti e successi vi (208). Ma legati uno all'altro in modo da formare un'unità organica; l'unità organica del divenire della natura. Questa unità organica è precisamente la storia che non è tutta presente, ma è, la più parte di essa un passato nel presente; nel presente non matematico ma psichico, come simultaneità di successivi. Solo in questo senso la storia è sempre, come ben vide il Cro ce, storia contemporanea, ossia è il passato nel pre sente che lo ravviva, pensandolo, ma senza togliergli il suo carattere di passato. Non c'è storia se non c'è passato e non c'è storia se il passato non diventa si (208) Vedere: ROYCE, Il mondo e l'individuo, parte II vol. I., conf. II, passim .

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multaneità di successivi nel presente. La storia, nello storiografo, è la presenza di elementi che non sono più nell'elemento o nella serie di elementi che sono ora; è il già vissuto da noi o da altri che rivela la sua unio ne organica e a identità di natura e di significato con quello che si vive ora, occupando con esso la nostra coscienza attuale. Ma sempre come passato, come ele menti che non sono più, la cui individualità oggetti va ed il cui significato non sono dati ad essi dal sog getto che li ravviva, ma dal peculiare posto che essi hanno - ebbero ed hanno - nella serie successiva, nel passato di cui sono parti e momenti, quelle parti e quei momenti. Il vero storiografo è quello che ri crea in sè, nel suo presente, il passato come passato, come quel passato; e la storia è sintesi di oggettivi. tà e soggettività, o di soggettività che fa propria e compenetra della sua vita di sentimento e di pensie ro, ossia di valutazione personale, l'oggettività, che non cessa con ciò, non deve cessare di essere e di valere, come vera oggettività che suggerisce e impo ne quella valutazione. Non vuol fare questo anche il Gentile quando ci presenta, per es. il recente passato della filosofia italiana, dal Genovesi al Galuppi, e quel la che è incarnata nei due nomi del Rosmini e del Gioberti, e tutto lo svolgimento filosofico del nostro pensiero dal 1850 a noi? Non si sforza egli di rivi vere quel pensiero per ricrearlo nel suo significato u niversale e nazionale per ricrearlo nel presente, al la luce e al calore del presente, si capisce, ma come passato, come quel passato? Uno dei meriti principa

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li che il Gentile dà allo Spaventa è quello di aver sa puto imprimere il carattere storico alla sua filosofia, e di aver mostrato che il suo hegelismo era il risultato più maturo di tutta la storia della filosofia. « Donde scrive il Gentile e quel suo alto apprezzamen to altamente filosofico di tutti i momenti più impor tanti della storia della filosofia e quell'unità perfetta mente fusa di trattazione storica e filosofica, che è propria di tutti i suoi scritti filosofici; nei quali la sto ria è sempre dimostrazione, la dimostrazione è sem pre storia ». In questa fusione di passato e di presen te, di oggettività e soggettività, il presente non vuol svisare il passato volgendo i vari sistemi filosofici al servizio dei propri intenti dottrinali, manomettendo la verità storica, che, anzi, la dottrina dello Spaventa « attinge il proprio valore e la propria giustificazione dalla giustificazione di tutta la via percorsa dal pen siero nel suo svolgimento » . Sappiamo bene che nello Spaventa, come pure nel Gentile, tutta la storia è in terpretata in funzione del'idealismo, cioè il passato in funzione del presente, ma sappiamo anche che essi giustificano questa loro interpretazione adducendo i doveri dello storico verso l'oggettività o la verità sto rica. Infatti, continuando il passo che abbiamo dian zi citato, il Gentile scrive : « La storia filosofica dello Spaventa ha un solo interesse, quello d'in tendere tutto il processo, come il processo genetico del risultato. E se soltanto nel risultato, come è ovvio può realmente determinarsi il concetto della filosofia, ossia dell'oggetto stesso della storia, che altrimenti

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non si saprebbe neppure di chi dovrebbe essere sto ria, è chiaro che la vera oggettività storica e il sin. cero, o, almeno, l'intelligente rispetto della verità sto. rica non si può ottenere se non da questa storia filo. sofica, che in ogni momento e frammento fa che si riverberi la luce del tutto, quale si proietta dal signi ficato del termine finale. E la storia dello Spaventa è oggettivissima se per lui la storia della filosofia « do veva metter capo a quella che per lui era la filoso fia » . (209) Naturalmente per noi è soggettivissima, perchè siamo convinti che la vera filosofia non è quel la; ma è evidente che lo Spaventa, dal punto di vi sta suo, è fedele alla verità storica. Ed è la preoccu pazione di non venir meno a questa fedetà, che lo le ga al noto criterio metodologico, che vuol essere og gettivo, secondo il quale, non bisogna ripetere i filo sofi, ma mettere in luce quegli aspetti riposti della lo ro filosofia, di cui essi non ebbero coscienza : « Nei filosofi, nei veri filosofi, ci è sempre qualche cosa sot to, che è più di loro medesimi, e di cui essi non han no coscienza; e questo è il germe di una nuova vita. Ripetere macchinalmente i filosofi, è soffocare questo germe, impedire che si sviluppi e diventi un nuovo e più perfetto sistema » . (210) Più oggettivisti di così non si può voler essere.

(209) La critica, A. XII, fasc. I. p. 40. La filosofia in Ita lia dopo il 1850, VI « Gli Hegeliani » V. Bertrando Spa venita . (210) La filosofia nelle sue relazioni con la filosofia eu ropea , D. 238.

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Ma ammessa la storia, come complesso di fatti lega ti ai loro documenti che dobbiamo, facendo nostri, rispettare, bisogna anche ammettere che la libertà del nostrospirito non è assoluta, perchè nel documento trova un limite invalicabile; non lo pone, bensì lo de ve accettare. « La storia crea e ricrea, in ogni storico, non il racconto, ma la stessa storia che si racconta... crea e ricrea di continuo la sua oggettività, realizzan do attraverso ogni tentativo una soggettività, che è la personalità dello storico, il suopensiero, il suo a nimo, il suo lo ». (211) Così scrive il Gentile. To do mando: il passato lo creiamo o lo ricreiamo ? Esiste solo in quanto noi lo restauriamo in noi, o la no stra è una semplice ricostruzione di elementi che noi non poniamo ma troviamo? Il passato è perchè lo pensiamo come tale, o lo pensiamo come tale perchè è? Certo, indipendentemente dal pensiero in genera le, non c'è nulla nella storia, se è vero che la realtà storica è fatta dall'uomo, in quanto è il contesto vis suto del suo svolgimento; ma una volta che un fatto ha avuto luogo esso ci si impone. La storia, - l'aveva detto, con altre parole, anche il Vico - è la vita dello spirito nella sua universalità, è lo sviluppo della perso nalità nuova intesa nella sua effettiva, storica concre. tezza: (212) siamo d'accordo Ma, facendo oggila sto ria, io trovo dei sentimenti, delle volizioni e dei pensieri che l'atto mio non pone, appunto perchè li

(211) Sommario di Pedagogia, II, p. 222. (212) La riforma dell'educazione,p. 91.

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trovo, e sono storico proprio alla condizione che io li faccia passato nel presente, rispettando il passato, il quale è la nostra tradizione, che noi ricostruiamo riconoscendo la peculiarità di ogni momento di essa, quale ci è attestata dai documenti. « Lo spirito è sto ria, in ogni suo momento fattore di storia e risultato insieme di tutta la storia anteriore; cosicchè lo spiri. to reca in sè tutta la sua storia, che coincide poi col se stesso » . Va bene. E « la storia morta rivive, e la storia passata si rifà presente, via via che lo svolgi mento della vita così richiede » . (213) Dunque c'è il passato, se lo si rivive, se lo si rifà. Anteriore all'atto del rivivere o rifare vi sono i fatti già vissuti, già fatti. Che cosa ci narra il Gen. tile nelle sue opere storiche? Il presente o il passato nel presente, fuso, bensì, col presente, ma non con fuso e identificato con esso? « Quello che è stato pensato non è più pensiero, è non pensiero, anzi ne gazione del pensiero, la natura, l'imprecisabile, quel che il pensiero non può penetrare, perchè lo ha già penetrato; stati spirituali impietratisi nel presente, ine luttabili, inesorabili, ferrei, come le leggi più doloro se della natura » : (214) è l'atto degradato in fatto, l'attualità diventata meccanismo; è l'altro dal pensiero. E che cos'è? Non è sempre ripensabile il passato ? La storia non è ripensamento del passato? del pas sato che non si deve, certo, astrarre dal presente, ma (213) CROCE: Teoria e storia della storiografia. I, p. 16. (214) La riforma della dialettica hegeliana, IX, 248.

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che non è, non può mai più essere, il presente? E se è ripensabile, è; è fatto spirituale, è realtà viva. Scrive il Gentile: « Il soggetto non si svolge realiz zando un grado di sè, e quindi movendo alla rea lizzazione d'un grado ulteriore, giacchè un grado, da cui esso si distacchi, un grado che non sia più at tuosità, o atto in fieridello spirito, cade fuori dello spirito: una specie di Lucifero, di angelo decaduto. Il quale è un'astrazione: è il passato che lo spirito stacca da se facendo astrazione da se medesimo, men tre la stessa astrazione è atto affermativo di sè, e e quasi un abbraccio onde lo spirito stringe a sè que sto Lucifero » (215) Faccio due domande : come sor ge in noi l'idea di passato, se quello che è fuori dell'atto dello spirito è nulla, o è la natura che lo spirito oppone continuamente a sè e risolve, nell'atto stesso di porla, continuamente in sè? Lo spirito, ci vien detto, si moltiplica, ma nel pre sente, nell'eterno presente; spazializza nell'eterno pre sente; e come sorge l'idea di una prima, d'un anterio re al presente? Dica quello che vuole il Gentile, ma il tempo è altra cosa dallo spazio e non si spiega punto il suo sorgere dalla necessità dello spirito di porsi co me molteplicità nel presente, nell'eterno presente. Di ce Benedetto Croce : « Dimenticare un aspetto della storia e ricordarne un altro non è che il ritmo stes so della vita dello spirito, il quale opera determinan dosi e individuandosi, per crearne altre più ricche ». (215) Teoria dello Spirito, XIII. - 177.

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(216) Orbene - ed ecco la seconda domanda che ) cos'è ricordare, che cos'è la memoria, se non « la connaissance d'un ancien état psychique reparaissant dans la consciense après en avoir disparu? » (217) E ricordare non è, inoltre, riferire a un passato, pen sare una cosa nel passato ? E non si può pensare una cosa nel passato, senza pensare simultaneamente e la cosa e il passato e la loro mutua connessione. Che cos'è ricordare, per il Gentile? Inoltre, i documenti, o quelli strumenti che, quando lo storico fa la storia, chiama documenti, sono o non sono qualche cosa di assolutamente necessario perchè lo spirito riviva il passato? Non sono il presupposto indispensabile del la ricreazione storica? Il Croce crede che « lo spirito rivivrebbe la sua storia anche senza quelle cose ester ne che si dicono narrazioni e documenti » ; io non vedo come ciò sia possibile, se non si tratta della pura storia nostra personale - e questa impossibili tà di rievocare il passato senza ricorrere ai documen ti del passato è una prova evidente che noi non sia mo l'atto d'una coscienza universale onnipresente ed eterna, chè ciò che pensa in noi non è lo spirito'che tutto individua in ogni attimo del suo svolgimento, ma uno spirito limitato, quello che gli idealisti chia mano io empirico. Ad ogni modo il Croce ammette e come non ammettere, e chi non ammette? che quelle cose esterne, che si dicono narrazioni e

(216 ) Op. cit. (217) JAMES: Précis de Psycologie, p. 374.

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documenti, sono strumenti che egli, lo spirito, si fog gia, e atti preparatori che egli compie, per attuare quella vitale evocazione interiore, nel cui processo si risolvono. (218) Si risolvono, restando però sempre narrazioni e documenti che lo storiografo non crea, ma suppone, consulta, critica, sceglie, rivive. Ma non fa. Sono « cose esterne » all'atto del pensiero che le trasforma nella sua storia: sono i segni del passato, frammenti della vita vissuta, materializzata finchè si vuole, ma reali, degli storiografi, o allo spirito che, ora, fa la storia. Come non si può eliminare, risolvendola nell'atto del pensiero, la natura del naturali sta, non si può risolvere in esso neanchela storia che il Gentile chiama dello storicista. Siamo limitati da una esteriorità naturale e da una esteriorità storica; due limiti che certamente non pos sono esistere per uno spirito assoluto, che deve es sere assoluta libertà; ed è perciò che l'esistenza ine liminabile del limite o dell'esteriorità dimostra che noi non siamo, che in noi non pensa, lo spirito as soluto. Non pensiamo tutto il pensiero, non siamo l'autocoscienza ditutte le coscienze, non siamo l'atto o la storia eterna; siamo semplicemente dei pensanti che rifanno, rivivono, coll'aiuto di molteplici istru menti, la storia che noi, pensando, smaterializziamo, spiritualizziamo. Anche qui il nostro compito è di tra sformare il dato, il fatto, in atto. (218) Op. cit. p. 16.

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CAPITOLO QUINTO

Ma vediamo di sviluppare, alla luce di queste idee, il concetto gentiliano della storia.

- e

9 (219) Teoria dello Spirito, XIII, 170 (220) Teoria dello Spirito, XIII, p. 171.

filosofia di G. Gentile .

Il Gentile premette alla trattazione diffusa del con cetto della storia, o della realtà come storia, una giu sta osservazione: « L'oscillare del pensiero tra lo spi rito inteso come atto puro Io trascendentale lo spirito inteso come fatto lo empirico Io genera l'antinomia storica dello spirito » . (219) L'antinomia è questa : tesi : « lo spirito è storia perchè è svolgi mento dialettico »; antitesi : « lo spirito non è storia perchè è atto eterno ». Sono le due forme che tro viamo sempre nello studio dell'uomo : l'uomo è sto ria e nella storia realizza la sua essenza, che è liber tà, divenire, realizzamento del suo fine; « ma nella storia egli non ci può mostrare nulla di sè, che ab bia quel valore spirituale, per cui tuttavia la sua es senza viene concepita come realizzantesi nella sto ria » . (220) In ogni individuo noi conosciamo due uomini : « uno che è spirito, l'incondizionato, condi zione di ogni condizionato, atto che pone il tempo e tutte le cose temporali; l'altro che è esso stesso una realtà condizionata dai suoi antecedenti. Un uomo e terno e un uomo storico » . Chiariamo la cosa con unesempio. Ogni filosofo si sdoppia in due persona.. lità : l'una è la personalità del filosofo del quale pen . siamo il pensiero come pensiero nostro, lo conoscia mo come spirito, come valore eterno, lo apprezziamo, - 193 13 · La

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lo giudichiamo: è la vera personalitànel senso proprio della parola. L'altra è quella del filosofo collocato nel suo tempo, il pensiero del quale è determinato dalle condizioni della sua cultura; ossia dagli antece dentistorici della sua speculazione; dati i quali egli non potrà pensare diversamente da quel che pensd (221) E' facile vedere che lo spirito storicizzato si con verte in un'entità naturale; e che, mantenuto nel suo valore spirituale, si sottrae alla storia e si pone nella sua idealità eterna. La quale non si può concepire come l'idea platonica, ipostatizzata e sottratta al flus so storico: essa, nel sistema dell'attualismo, si de ve concepire come processo in atto, eternità che è storia, e storia che è eternità. Ecco precisamente l'an tinomia: come il reale che è eterno, è storico, è pro cesso; e come il processo può dirsi eterno? Come, in altre parole, siconcepisce l'eternità nella storia e la storia nell'eternità?

he ha storia ideale ed eterna »

« L'antinomia risponde il Gentile - si risolve nel concetto di processo dell'unità, la quale si molti plica restando una: di che ha in sè quella che si svolge nel tempo, poichè « il nostro eterno è lo stesso tempo considerato nella attualità dello spirito ». (222) Concetto quest'ultimo assai difficile : vediamo se è possibile chiarirlo e ren derlo evidente. Bisogna riportare la realtà spirituale, il valore e la storia del pensiero astratto al concreto,

(221) Op. cit. XIII, 173. (222) Op. cit., XIII, 177.

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e si vedrà, anzi tutto, che la realtà spirituale attual mente conosciuta non è altra cosa dal soggetto che la conosce. Il solo Ariosto che conosciamo, autore del Furioso, non è altro che lo stesso poema - la realtà stessa della sua divina poesia. - Il quale poema, è conosciuto, se è letto, inteso, gustato; come sarà in ragione della nostra concreta individualità. « è la realtà dell'Ariosto, che io affermo, e alla quale posso riferirmi, quanta è quella che ne realizzo » . E per realizzare in me il meglio che io possa di que sta realtà, che debbo fare? E' chiaro : leggere il poe ma, e per leggerlo devo conoscere anzitutto la lin gua concreta in cui è scritto, cioè la lingua quale è individuata nel processo della sua storia spirituale « che non appartiene più all'individuo empiricamen te determinato, ma si profonda nel mondo spirituale in cui visse lo scrittore » . Leggere l'Ariosto significa, dunque, leggerequel che lesse l'Ariosto, e rifare in noi tutta la sua vita checol poema forma una cosa sola, se il poema si considera nel suo concreto processo di attualità spirituale. « La quale sarà per noi, in quanto e per quanto sarà realizzata come vita del nostro lo >>. (223) Va bene, La realtà del poema è nel processo. E questo processo, nella sua attualità, si deve porre in ogni momento come condizionato da? suoi mo menti precedenti? No, dice il Gentile, perchè si fra zionerebbe il processo che è reale nella sua unità; che si pone bensì come molteplicità, ma come molte

(223) Op. cit,. XIII, p. 175.

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plicità che si risolve nell'unità nell'atto stesso in cui si pone. Cioè il « processo storico non dobbiamo rap presentarcelo per gradi che si articolano nella serie spaziale e temporale; nel tempo e nello spazio c'è l'og getto non il soggetto » , e « il processo è del sog i getto, perchè un oggetto in sè non può essere altri menti che statico; e all'oggetto il processo si attri buisce correttamente solo in quanto esso attualistica mente si risolve nella vita del soggetto ) (224) L'ag getto non ha dialettica, che è solo del pensiero pen sante, non condizionato e, perciò fuori dallo spazio de si rende intelligibile il rapporto di condizione a trovato, in ogni suo presente, nel suo immediato e mediato passato le condizioni reali del suo sviluppo? Ogni suo presente non è stato condizionato da ogni suo passato?Ecco, risponde il Gentile: « Io posso sem pre empiricamente distinguere il mio presente dal mio passato, e porre in questo le condizioni di quello; ma, così facendo, astraggo dal vero Me stesso, a cui sono compresenti passato e presente nella dualità on de si rende intelligibile il rapporto di condizione a condizionato; laddove il vero Me, immanente in cotesti due Me temporalmente distinti, è la radice di questa come di ogni altra condizionalità » . (225) Ma questo Me, esiste? Ecco la quistione. : L'idealismo che tende a immanentizzare l'assoluto,

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(224) Op. cit., XIII, pp. 176-7. (225) Op. cit., XIII, p. 176.

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CAPITOLO QUINTO

Dio, o deve ammettere, si capisce. Ma, perchè, non posso sapere quello che pensa il mio amico, se que.. sti non mi introduce in qualche modo nel suo pen siero. Cioè: perchè non posso vedere i processi di coscienza di tutti gli lo empirici, se in essi vive e sente e pensa e vuole una sola identica coscienza ? E perchè, se esiste una Coscienza universale, eterna, immanente in noi come realtà delle nostre realtà, non posso cogliere direttamente tutti i momenti dello svi luppo di essa attraverso tutte le fasi della storia uma na, così come colgo i miei processi presenti nella loro immediatezza? A Dio, atto puro, tutto è presente o compresente: egli vede, nella stessa identica chia rezza ed evidenza, il vicino ed il lontano, l'esteriore e l'intimo, l'oggi e l'ieri e gi accadimenti di tutti i secoli, in un eterno presente: se questo Dio è imma nente innoi, come realtà della nostra realtà, come il « Noi » che pensa che intuisce e percepisce, come il Tutto in tutto, perchè siamo così limitati e così in capaci di far sì che la nostra coscienza sia coesten. siva é cointensiva a tutto ciò che accadde e accade Se tutto è presente produrredel nostro spirito, se tutto tutto è nell'attualità attuale del mio spirito, per chè non so tutto? Il verum , la realtà, non è il factum, quatenus fit, cioè l'atto? Se tutto è identico coll'atto, e l'atto è autocoscienza, autocoscienza di tutte le co scienze, perchè non so quello che ora pensa il Gen tile, quello che pensano tutti gli uomini, quello che s'è pensato in tutti i secoli della storia? Il passato è nel presente; la nostra realtà concreta

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è quella che siamo ora; e la realtà che siamo ora , è il risultato - il risultato, si noti bene, non il con dizionato, - dellosviluppo nostro e di tutta la realtà noi abbiamo sempre ammesso un più o meno accentuato indeterminismo: - di tutto il presente degli altri soggetti e di tutto il passato universalmente preso. La realtà è organica; è storia. Ma storia che si svolge nel tempo, nella durata e nella continuità del tempo,dal quale non è, nonchè separabile, nean che distinguibile, e insieme col quale costituisce il divenire concreto : proprio come insegnano Aristo tile e S. Tommaso. Ilquale divenire è certo presente, tutto presente, in tutta la sua estensione e intutta la sua intensità, a un pensiero attivo, che è la radice del divenire e di tutta la sua condizionalità; ma que-, sto Pensiero è trascendente, la Causa Prima, Dio, il Dio nostro del teismo. Il mondo cosmico-umano si svolge attuandone il piano eterno, quella « storia eter na » di cui parla G. B. Vico. Ecco la storiao la realtà come storia, della esperienza e della speculazione; l'altra, quella del Gentile, è una concezione arbitraria e assurda.

La storia ideale eterna che non diviene ma'è; è fatto e non si fa, è identica con quella che si svolge nel tempo e sintetizza con essa solo nel senso tradi zionale che nella storia del tempo si attua progressi vamente il disegno di Dio, che, in essa, come in un gran libro, possiamo leggere e intendere e adorare. La realtà è storia, e la storia è filosofia - aveva det

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to molto prima del Croce (226) e ripete ora con rin novata e più ricca coscienza il Gentile. La dimostra zione della identità di storia e filosofia si compie attraverso due fasi: nella prima si dimostra l'identità di filosofia e storia della filosofia, nella seconda che ogni storia è storia della filosofia.

L'identità di storia della filosofia colla filosofia non è di difficile dimostrazione. La storia della filosofia deve precedere la filosofia e presuppone la filosofia. La deve precedere. Una filosofia, che non sia vana esercitazione accademica, ma ricerca seria, ma seria posizione e serio tentativo di soluzione dei probemi che travagliano il mondo nostro, le anime che vivono e devono vivere nel presente e del presente, deve es sere sistematica in doppio senso : in quello di unità di principio e in quello di continuità di trattazione dei problemi colla filosofia perenne. Se la realtà è organica e la realtà presente ha nel passato le sue radici e le fasi del suo sviluppo, anche i problemi, nella loro concretezza, si articolano coll'articolarsi del lo spirito umano nella storia. Chi può intendere, for mulare e sciogliere uno solo dei grandi problemi del presente, dell'ora, prescindendo da come esso è stato inteso, formulato e sciolto ieri, nel passato? Del resto, come è possibile avere un sistema che non si sia formato sul fondamento storico, attraverso

.

(226) Vedere: CROCE, Contributo alla critica di me stesso, p.77 GENTILE, Frammenti di estetica e letteratura. Lancia po, Carabba, 1920 I. passim,. Appendice, passim ,

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la lettura e la critica dei libri di taluni filosofi, cioè attraverso lo studio del pensiero storicamente forma tosi? Veritas filia temporis, e, quindi, non altrimenti conoscibile che nel suo graduale spiegarsi nel tempo. Perciò: « non v'ha filosofia che ci si possa foggiare altrimenti che come conclusione del processo storico, e, quindi, come un momento storico » ; perchè la fi losofia, come dice il Windelband, ha bisogno della sua storia per ricavare i suoi problemi da questa autocoscienza storica della ragione umana ». (227) Ma come si può fare la storia della filosofia? « La storia della filosofia non sorgerebbe mai senza l'interesse fi losofico, e questo interesse importa un concetto qual. siasi della filosofia, ossia un sistema, contratto quan to si voglia, ma potenzialmente determinato, che non può non influire nella costruzione dello storico » . (228) « Se la storia della filosofia, come preparazio ne e svolgimento in re della filosofia, apparisce ogni

(227) GENTILE:Riforma dialetica hegeliana, IV, Il Circo lo della filosofia e della storia della filosofia, p. 157. Il Vindelband, che sostanzialmente s'accorda su questo pun to col Gentile, vi è citato a p . 155-6. Vedere sullo stesso argomento nel medesimo volume: III. Il concetto della storia della filosofia.

È questa una delle fondamentali dottrine di Giovanni Gentile e anche senon così da lui chiaramente formula ta sempre però seguita, di Bertrando Spaventa. « Donde... quell'unità perfettamente fusa di trattazione storica e filo. sofica, che è propria dituttiisuoi scritti filosofici; nei quali la storia è sempre dimostrazione e la dimostrazione è sem pre storica.

GENTILE, La critica, studio citato, A. XII, fasc. I, p. 40. (228) La riforma della dialettica hegeliana, IV . p. 156. 200

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QUINTO

volta un suo antecedente, non può, non esser valu tata anche post rem, nella mente, quale cognizio. ne della storia della filosofia, poichè ha da valere da attuale preparazione e condizione di una filo sofia attuale » . E' evidente. « E continua il Gentile che cosa sarebbe se non un nome vano e senza soggetto la storia della filosofia, ove non fosse la storia della filosofia appresa e conosciuta; e magari astratta dall'attuale cognizione, ma dopo essere stata appresa ed essere stata ricostruita ? « La storia è storia razionalmente ricostruibile; nella ricostruzione una scelta del materiale è inevitabile; la scelta richiede un criterio e il criterio non potrà essere che una no zione della filosofia » . (229) Non insisto : la storia della filosofia presuppone la filosofia, poichè non v ha processo o momento storico ricostruito o rico struibile, che non sia costruzione compiuta o futura della filosofia. Orbene, se non è concepibile filosofia che non si fondi sulla storiadella filosofia, nè storia della filosofia che non poggi sulla filosofia; poichè le due discipline formano un circolo solido, è evi. dente che esse non sono due ma una, cioè uno stesso e identico processo dello spirito. Verità, questo, che assume una evidenza tutta sua nell'idealismo attuale, dove la storia della filosofia è, nè più né meno, l'atto del filosofare, che è, naturalmente, la filosofia: tutta la storia, e tutta la filosofia anche se, pensando, non si coglie, non si crea che, sempre, a volta a volta, (229) Teoria dello spirito, VII, p. 179.

CAPITOI
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GENTILE

un solo aspetto della realtà: l'estetico, l'etico, il lo gico, ecc., poichè chi non vede che nel pensamento di un aspetto universale della realtà si riesce a pen sare sistematicamente, benchè in iscorcio, la realtà tutta intera nella sua unità? « Giacchè la totalità della filosofia non consiste nella scolastica compiutezza del le sue parti, sibbene nella logica sistematica dei con cetti, in cui essa si realizza ). (230) Così tutti i fatti dello spirito si risolvono nell'atto spirituale, la storia temporale si risolve nella storia eterna ». I fatti del. la storia - scrivé conchiudendo, con gran forza, il Gentile :sono tutti anelli di una catena, che non si può spezzare, e che, nella sua totalità, è sempre, nel pensiero del filosofo che la ricostruisce, tutto un pensiero, il quale si articola in se stesso e si dimo stra, cioè si realizza, diventa a se stesso una realtà, nel processo concreto di queste sue articolazioni. I fatti della filosofia nel suo passato, pensateli; e non possono essere che l'atto, l'unico atto della nostra fi losofia, che non è nel passato, nè in un presente, che sarà passato, poichè esso è la vita, la realtà stessa del vostro pensiero, centro di irradiazione d'ogni tempo, passato e futuro che sia. La storia, dunque, quella appunto che èin tempo, è concreta soltanto nell'atto di chi la pensa come storia eterna » . (231) Ahimè! Pur troppo l'atto nostro non è in un pre sente che non sarà passato, non è la concretezza della (230) Op. cit., p. 182. (21) Teoria dello spirito, XIII, p. 183.

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storia eterna. In esso, certo, si riassume e sbocca il passato, essendo concretamente risultato del pas sato, congiunto organicamente e dinamicamente al presente; ma sarà passato anch'esso. La nostra vita di pensiero, si svolge, si articola, nella continuità suc. cessiva del tempo, non in quella senza sucessione del l'eternità, per la semplice ragione che noi non siamo Dio,l Atto puro, ma l'atto misto di potenza, cioè l'at to imperfetto perfettibile.

La storia della filosofia è la filosofia, Con ciò non s'è ancor detto però che la storia della filosofia sia tutta la storia e, quindi, tutta la realtà. Accanto alla filosofia abbiamo l'arte, la religione, la scienza, la vita (volontà pratica). Sicchè, oltre la storia della filosofia, pare si debba far posto almeno ad altri quat tro generi di storia, salvo che queste quattro forme dello spirito, come distinte dalla filosofia, non abbia no in proprio una storia. E' così. Tutte queste for dice il Gentile sono, fuori della filosofia, astoriche. Poichè delle tre prime forme dello spirito trattere: mo più tardi, ci limitiamo a dirne qui solo quel tan to che richiede strettamente la natura di questo capi tolo. Maggiore ampiezza di svolgimento daremo alla quarta, alla volontà.

me .

L'arte, come arte, non ha storia. Ogni opera d'arte è una individualità in sè chiusa, che empiricamente si pone accanto a tutte le altre in maniera atomisti ca. In ogni opera artistica, non pure, p. es., di poeti diversi, ma anche dello stesso poeta, l'arte è un'arte 203

DI GIOVANNI GENTILE

suolo » . a (232) Vedere in Frammenti di estrtica e lotimoalura lo studio su Pensiero e poesia illa liina l'orninedia spec. la parte II dove, il n '238, ho prese le parole citate. (233) Teoria gen. dello spirito, XIII, p. 193. .

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FILOSOFIA
a sè, che va considerata in se stessa, perchè non ha nessuna relazione colle precedenti o colle seguenti. E' un mondo chiuso, finito. Un'opera d'arte risolve un particolare problema estetico, un problema esteti co a volta a volta nuovo, e toto coelo diverso da quel lo che viene risolto in un'altra opera di arte : perciò essa è incommensurabile con ogni altra. Che cosa so no dunque le tante « storie dell'arte e della letteratu ra» che possediamo? Quando non siano galleria o museo, cioè atomistica giustapposizione di opera a ope ra , non sono ac « se non la storia dello spirito nella sua concretezza, dacui l'arte si spiccacome fiore dal Ogni forma artistica è nuova, e non ha per cið svolgimento, e, quindi, neanche storia: lo svolgi 'mento e la storia sono del contenuto, ma non in quan to contenuto dell'arte, perchè, come tale, si confonde con la forma, e fuori della forma è contenuto d'arte astratto, cioè irreale. Lo sappiamo già dal Croce e dal De Sanctis. « La storia del contenuto di un poema serve solo ad affiatarci con lo spirito del poeta », a comprendere cioè, in noi, quella realtà storica sulla quale nasce la creazione artistica. (232) « Dove si guar da allo storia non si vede l'arte » . (233) La storia dell'arte è, quindi, se è vera storia, sto 204

CAPITOLO QUINTO

ria della filosofia. E non ha storia, per il Gentile, la religione. Nella religione quello che ha valore, è l'og getto, nel quale il soggetto, dopo averlo creato, co me proiezione di sè, si oblia, si annulla. E l'og. getto è Dio, e Dio'è l'Assoluto come immobile, come puro essere e come assolutamente inconoscibile, per chè il soggetto che dovrebbe conoscerlo si è anne gato in esso. Non è possibile, quindi, nè la storia dello spirito umano, cioè la storia della dialettica dello spi rito che si oggettiva, per poi soggettivarsi e oggetti varsi ancora. Lo spirito è portato dalla stessa sua na tura a superare a volta a volta ogni posizione religiosa riscotendosi nella sua autonomia, criticando il suo con cetto del divino, e procedendo quindi a forme sem pre più spirituali di religione. In guisa che nella sua religiosità lo spirito è immobile, e si muove soltanto superando ogni volta il suo momento religioso, e as sorbendolo nella filosofia.

Ecco la storia della dialettica concreta o della filo sofia. La storia si costruisce riportando così la reli gione come l'arte, così il puro oggetto come puro soggetto, nella storia universale dello svolgimento del lo spirito; in cui arte e religione sono posizioni spi rituali, concetti della realtà, e, quindi, essenzialmente storia della filosofia. (234) Vedremo nel capitolo se guente quanta solidità abbia questo concetto della re (234) Op. cit., p. 194.

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ligione. Evidentemente il Gentile, per negare realtà o storicità autonoma alla religione, chiude gli occhi da vanti, per es., allo sviluppo della rivelazione dell'An tico Testamento, e alle varie forme successive di re ligiosità che si spiegano nella religione del vero Dio prima e dopo Gesù Cristo. La tirannia degli schemi gli nasconde la realtà. Si fa presto ad affermare che è la filosofia che fa passare l'uomo a forme sempre più alte di religiosità. Si fa presto a negare ogni svol gimento alla religione che è la forza più viva e più universale dello spirito umano! I Santi, come tali, cioè come anime eminentemente religiose, in cui tutto era ispirato dalla religione, dalla fede e dalla speranza e dalla carità di Cristo e di Dio Padre, hanno una sto ria e ha una storia la stessa santità.

E della scienza si può dare storia ? Neanche della scienza, dice il Gentile. Il perchè è evidente. Intanto non si ha una scienza, la scienza, ma le scienze. La scienza, considerando la realtà come natura, la pensa composta di elementi, tra i quali l'uno o l'altro è as sunto a oggetto di una indagine particolare: la par ticolarità della scienza si fonda quindi sopra una in tuizione naturalistica del reale. Cioè ogni scienza pre suppone il suo oggetto come un quid da conoscere che sta davanti al pensiero. Non lo dimostra; lo assumecome un dato. Di qui l'empirismo e il dom matismo delle scienze. «.Empirica, infatti, è la co noscenza del dato, che è dato, in quanto non è co struito; e non è costruito perchè è immediato, essen

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CAPITOLÒ QUINT

do innanzi alla mente che lo conosce senza connet tersi a tutti gli altri elementi della realtà che essa co nosce » . (235) La scienza è, quindi, sistematica. E, perchè l'oggetto della scienza è perchè è, essa è an che dommatica. Dommatica e acritica. Tutte le scien ze particolari « tendono all'asserzione di una realtà in cui lo stesso potere asserente, assorbito dalla pre occupazione dell'oggetto, oblitera sè medesimo dal mondo in cui l'oggetto, si rappresenta » . (236) Là do ve non c'è questo potere, che è il centro attivo del mondo della conoscenza, non c'è critica, non c'è la restaurazione del concetto del conoscere. La critica nasce dal sospetto che la realtà non sia un quid da to, che la testimonianza immediata dell'esperienza sia in parte o in tutto fallace. Macon questo sospetto si esce dalla scienza e si entra nella filosofia, come cri. tica dei presupposti della scienza. E questo non vale solo delle così dette scienze della natura, ma per tut te le scienze come diverse dalla filosofia, cioè per tutte le discipline che trattano un oggetto particolare non posto dallo spirito, ma presupposto. Anche le così dette scienze dello spirito, o morali, anche la fi losofia dello spirito, concepita come studio di una realtà di fatto sono naturalistiche, dotate di tutti i ca ratteri negativi enumerati dianzi. E tutte queste scien ze non possono essere storia, per la stessa ragione per la quale non si può dar storia delle idee platoniche.

(235) Sistema di logica, Vol. I, Introduzione p. 8. (236 ) Op. cit.,

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Là dove non c'è dialettica non vi può essere storia. « La storia dovrebb'essere lo svolgimento della scienza e la scienza, come tale, non può avere svol gimento perchè presuppone una verità perfetta, alla quale non si può aderire per gradi, ma nella quale converrebbe saltare di botto : quindi il concetto, tutto proprio delle scienze naturalistiche, della scoperta, della intuizione, sostanzialmente identica al concetto platonico dell'intuito primitivo e trascendente delle idee ». (237) Conchiudendo : come la storia dell'arte e della religione non è possibile che risolvendo l'astrat tezza del puro oggetto religione e quella del pu. ro soggetto arte nella concretezza della filosofia che è sintesi dialettica di soggetto -oggetto, così, e per la stessa ragione, se non si risolve la partico larità e la dommaticità della scienza nella univer salità e mediatezza della filosofia, non si potrà dare mai una storia della scienza. Questa storia è possibi le solo come studio della mentalità, in perpetua for mazione,onde si pongono via via e si risolvono i sin goli problemi scientifici: come studio del processo dialettico del pensiero che viene realizzandosi come pensiero della natura, o come filosofia empirista. (238) La ragione è sempre la stessa : non si dà storia che della realtà concreta, e l'unica concreta realtà è la filosofia. La quale è unità di conoscere e di volere, di teo ria e di pratica: fuori di essa anche la pratica è una (237) Teoria dello spirito, XV, p. 199. (238) Op. cit., p. 199.

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pura astrazione. La distinzione fra il conoscere e il volere o l'agire « nasce dal confronto di certi atti psi chici con certi altri; la cui differenza si può formu lare così: che gli unipresuppongono il mondo, a cui si riferiscono; gli altri si riferiscono a un mondo che essi creano ». Chi conosce, l'uomo in quanto cono. sce, coglie l'essere che è e come è; lo sente com'è lo percepisce com'è, lo concepisce e lo giudica co me è; per questo appunto la sensazione, la percezio ne, il concetto, il giudizio sono atti teoretici. L'uomo invece in quanto vuole, fa quel che non c'è e ci sarà per effetto del fare.

« Per la conoscenza il mondo non cresce nè sce. ma, per l'azione riceve un incremento »). Conoscendo, si contempla, agendo, si domina; si domina perchè si crea: così nel mondo fisico, come nel mondo mo rale; si creano i valori morali le virtù e i va lori economici le comodità e gli agi della vita.

(239) Come si vede e come s'è già accennato altro ve, questa differenza si fonda, secondo l'idealismo attuale, su un concetto falso della realtà : sul concetto dell'esistenza di una realtà esteriore indipendente dal la mente che ne fa il suo oggetto, o meglio, che la trova come suo oggetto. Noi ora sappiamo, che, se condo l'idealismo, l'oggetto del conoscere non è se non il soggetto stesso che si oggettiva guardandosi in seno, nell'atto stesso del conoscersi; che la realtà è il soggetto nell'atto del suo sviluppo; è autoctisi, e, e

(239) Vedere: Sommario di pedagogia, I, p. 81, seg.

filosofia di G. Gentile

CAPITOLO
209 14 - La
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quindi, noi sappiamo pure che il conoscere non pre suppone ma crea la realtà, cioè che è la volontà, agire, Crea la realtà creando se stesso, poichè, nell'ideali smo attuale, la realtà coincide con l'attività. Dunque: volere o agire che, data la identità tra volizione e intenzione e azione, è tutt'uno è lo spirito pratico, e volere o agire è lo spirito teoretico : identici come assoluta autocticità, come libertà 'creatrice infinita. « Noi afferma un'altra volta il Gentile non sap piamo più concepire la conoscenza se non come crea zione della realtà, che è la stessa conoscenza, fuori dellaquale non è possibile altra realtà. Realtà che è realtà spirituale crea la volontà, creando se stes sa; realtà spirituale, crea del pari l'intelletto, creando se medesimo: l una creazioneè identica all'altra; l'in. telletto è volontà, nè la volontà ha caratteri che pos sano speculativainente farne cosa distinta dall'intellet to » . (240) Tuttavia, conoscenza e volontà debbono, malgrado la loro reale identità, apparire sempre co. me diverse; e perchè? Perchè noi siamo portati : ipo statizzare delle astrazioni; a ipostatizzare la realtà di qua dall'idealità e l'idealità come superatadalla real tà. « Che altro infatti vuol essere la volontà, come altra dal conoscere, se non appunto la realtà (spiri tuale) opaca, cieca, per sè stessa, checontinua nello spirito quella medesima vita senza intelligenza e pur tenacemente operosa della natura? >> (241) E l'ufficio > (240) Teoria dello spirito XV, p. 202. (241) Sommario di pedagogia , I, cit, p. 86.

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dell'intelligenza, verrà concepito, conseguentemente come una illuminazione, mediante riflessione o con templazione, della volontà oscura, o della vita. Vuo le accennare qui il Gentile al concetto crociano della volontà ?

Ma l'idea, insegna egli, non si può distinguere dall'azione o dall'atto se non astrattamente : l'idea è idea concreta solo nell'atto che la pensa; e l'atto è at to realizzatore solo se è coscienza dialettica, cioè illu minata dall'idea in esso immanente come idea in at to. « Quando un atto è azione che si oppone a una idea, l'idea non è atto spirituale, ma mero termine ideale dello spirito che si pensa: oggetto, non sog. getto. E parimenti, quando un'azione è compiuta e la guardiamo teoricamente, l'azione non è più atto del soggetto, ma semplice oggetto, a cui lo spirito nella sua attualità guarda e che risolve perciò nell'atto pre sente della coscienza che ha di quell'azione: coscienza che, ora appunto, è la sua vera azione ». (242) La realtà concreta è, dunque, l'autoctisi : sintesi di pensiero e di volontà; creazione e contemplazione; creazione dialettica cosciente e autocosciente. Il superamento del naturalismo intellettualistico consiste nel concetto del conoscere come volere: ossia come attività crea trice, e propriamente autocreatrice : che è il solo con tenuto speculativo del concetto di volontà. (243)

(242) Teoria dello spirito, XV, p. 203. (243) Sistema di logica, Vol. I., parte I', p. 124.

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Dunque la realtà è storia come filosofia. Quod erat demostrandum . « Quello che, come vita dello spiirto, si oppone alla filosofia quasi oggetto suo, astratta mente bensì è cosa diversa dalla filosofia, ma vive come filosofia ». (244) Le diverse forme dello spirito non sono, come tali, forme dello spirito se lo spirito è concretezza, la concretezza che è filosofia; unica, quin di, forma concreta di esso, cioè non forma ma realtà piena onnicomprensiva. « Di guisa che la filosofia veramente la immanente sostanza di ogni vita spiri tuale; e non potendosi concepire storia della filosofia che rimanga alle spalle della filosofia , rimane chiaro che nel concetto della identità dell'una con l'altra e uella eterna risoluzione dell'una nell'altra è la più aperta e più perfetta conferma dell'assolutezza della realtà spirituale, inconcepibile come limitata in un suo momento da condizioni che la precedano e coinun que la determinino » . (245) Soltanto così, con questa risoluzione del reale neil'atto del pensiero, si attua la illimitata libertà dello spirito. Facciamo qualche osservazione. Questa dottrina del l'attualità, nella quale soltanto sono quello che so no concretamente le forme del reale, come « nella notte tutte le vacche sono nere », e nella quale devo (244) Teoria dello spirito, I. cit., p. cit. (245) Op. cit. p. 203-4.

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(246) Conversazioni critiche, S. II, p. 69. (247) E' il Capitolo XVII, della Teoria dello spirito.

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no risolversi l'arte, la scienza, la religione, l'economia, il diritto e la morale, se vogliono non essere puris. sime astrazioni, è stata chiamata dal Croce misticismo idealista e storico. (246) Pare che sia così : la realtà del Gentile è mistica perchè ineffabile. L'arte, nella sua concretezza, che cos'è? Non l'arte, ma la filoso fia. E la religione e la scienza? Non la religione e la scienza, ma ancora la filosofia. E la filosofia è l'atti vità pratica in tutti i suoi aspetti. La notte colle vac che nere. E la filosofia che cos'è? L'atto del pensie ro. Che non è una definizione, perchè non la distin gue da nulla, essendo tutta la realtà atto del pensie. ro. Le distinzioni sono sommerse nell'unità che è tut to e che può essere denominata anche volontà, sensa zione, percezione, concetto, giudizio, perchè è l'indi stinto che tutto abbraccia : l'ineffabile : Come si possa svolgere se non è in sè distinto è un mistero. Poi che: dov'è la molla dello svolgimento? Vediamo se è possibile fare un po' di luce. Ai rapporti fra idea lismo e misticismo il Gentile consacra tutto un capi tolo della più sistematica in senso intensivo cd e stensivo - delle sue opere. (247) Studiamolo. L'idea lismo e il misticismo affermano entrambi che tutto è uno e che conoscere è raggiungere l'uno attraverso tutte le distinzioni. Lasciamo di esaminare se questa sia la più giusta definizione della dottrina mistica e andiamo innanzi. Il pregio del misticismo è questo: 213

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l'affermare che non c'è realtà vera se non è l'asso luta realtà, Dio. « E questo vivo senso, questo con tatto intrinseco o gusto del divino, è sublimazione dell'energia umana, purificazione dell'anima e beati tudine » . (248) Ho sottolineato « sublimazione dell'e nergia umana », perchè, come vedremo nel capitolo seguente, il Gentile altrove si sforza di dimostrare poco coerentemente che il misticismo è annichilamen to del soggetto nell'oggetto. Ma il misticismo ha pure un grave difetto : quello di cancellare nella not te oscura dell'anima tutte le distinzioni e quindi an negare nel seno dell'infinito, « dove non pure si smar risce ogni visione delle cose finite, ma della stessa personalità » . Altro che « sublimazione dell'energia umanal » L'idealismo invece « risolve tutte le distin zioni, ma non le cancella come il misticismo e affer ma il finito non meno risolutamente che l'infinito, la differenza non meno che l'identità (249) Ma quali differenze? Quali, intendo, differenze reali? Risolvo l'astratto nel concreto : ecco tutto. E il concreto non ha differenze: è atto del pensare e basta. Ma, dice il Gentile : è atto del pensare che è unificazione o me glio instaurazione di un'infinita ricchezza di catego rie, quale nessuna logica e nessuna filosofia ha mai concepita » . E perchè e come? Perchè nell'atto del pensiero si risolvono tutte le forme dell'esperienza che sono infinite davvero. « Non c'è la natura ne (248) Pag. 227-8. (249) P. 228.

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la storia: ma sempre, questa natura, questa storia, a volta a volta, sempre risulta in questo atto spiritua le ». (250)

Faccio mia una pagina del Croce. Egli dice al Gen tile : « Questa « ricchezza strabiliante di categorie » che l'idealismo attuale mi vuol regalare, è l'offer. ta della coppia infinita dei singoli fatti e atti del pen. siero, e non già determinazione di categorie mentali e spirituali. E nella pretesa che tu affermi, scoppia stridente la contraddizione da me designata come mi sticismo storico. Perchè, come mai un fatto si distinguerebbe dal l'altro (o, se ti piace meglio, un atto dall'altro) se il pensiero non fosse esso stesso distinzione (distinzio ne nell'unità), e cioè non facesse valere come catego ria di giudizio le forme stesse dello spirito ossia del la realtà, per discriminare gli aspetti della realtà? Po sto che anche pel tuo stesso convincimento, la serie temporale non abbiaqui nessun diritto di entrata, per. chè essa è un ultimo e astratto derivato, e non già la creatrice della diversità, io non vedo come tu pos sa, sul fondamento dell'idealismo attuale, raggiungere la diversità della storia, ossia pensare la storia. Se pen sare è giudicare, come si giudica senza categorie, (affermantisi, ben inteso, solo nell'atto del giudizio ?) Si potrà intuire senza giudicare; ma l'intuizione, di. sgiunta dal pensiero che è il suo compimento e tra sferita a criterio gnoseologico, segna appunto il tra

(250) Teoria dello spirito, cap. XVIII, p. 235.

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passo dall'idealismo al misticismo ». (251) Come l'u-. no indistinto crea i molti distinti? Come è possibile senza distinzione la mediazione, cioè il pensiero? E se non c'è mediazione, come è concepibile la storia ? Che cosa risolve l'atto del pensiero, se non esiste che esso, l'atto del pensiero? L'idealismo attuale, che vuol ridurre tutta la realtà alla storia, rende affatto impossibile la storia. Vedremo più tardi come nella filosofia del Gentile, che vuol essere tutti i valori, è impossibile anche il concetto di valore. E secondo lui, tutte le filosofie andrebbero a sboccare in essa! Tantoe molis erat costruire una filosofia che chiama astrazione l'arte, la scienza, la morale, il diritto, e chiude tutta la vita in un atto che pretende di essere eterno, ma che dell'eterno non ha che la fissità asso luta; che non puòarticolarsi, vivere, produrre, perchè non può mediarsi. E' la liquidazione del pensiero, cioè della filosofia. Per filosofare bisogna uscire dall'he gelismo italiano e affermare il realismo con tutti i suoi dualismi. Così soltanto si rende possibile la storia. Se non esiste che il soggetto e il soggetto è eterno, non c'è storia. Non c'è' storia se il soggetto non è, almeno, uni tà di forme spirituali distinte. (252) La filosofia è

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(251) Conversazioni critiche, S. II, XV, Una discussione tra filosofi amici: pp. 85-6.

(252) Questo ha veduto MARIO CASOTTI, che nel suo Sag gio di una concezione idealistica della storia Valecchi, Firenze, 1920 - ha stimato necessario fondere il concetto gentiliano dell'attualità spirituale del concetto, tutto cro

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storia e la storia è filosofia, a patto che esistano nella storia tutte le forme della realtà che il pensiero uma no ha sempre riconosciuto, a patto che l'uomo, di cui è la storia nel senso vero e pieno, non venga mu tilato, ma losi guardi nella sua realtà multiforme che è tendenza al Bello, al Bene,al Vero; e come tendenza al Bello ci dà l'arte, come tendenza al Vero ci dà la logica, come tendenza al Bene ci dà l'economia e la morale che sono realtà irriducibili, perchè rispon dono a irriducibili concetti e definizioni. La storia è filosofia ma a patto che nella storia si veda, si ri conosca in tutto lo svolgimento del pensiero dell'uma. nità, quella tendenza istintiva verso l'oggetto e quel a credenza isradicabile, suffragata dal pensiero rifles so di quasi tutte le filosofie, nell'esistenza di un fuori di noi, che noi non creiamo, ma ricreiamo, cono scendo. La storia è filosofia a patto che si tenga conto di quella che è la più grande forza propulsiva della sto ria, la religione, come fede amante di un essere che dirige l'uomo, l'aiuta nell'attuazione doverosa dei suoi piani provvidenziali secondo le leggi della sua sapienza e del suo amore; a patto che si veda nella storia la necessità di Dio per l'uomo, al quale la storia lo dimostra - non si perviene come diceva f ciano, della dialettica dello spirito come nesso di unità distinzione e rapporto circolare dei distinti. Non discuto il modo della fusione: per me non è riuscita, nel suo li bro, perché non è conservata l'autonomia delle forme dello spirito artistico, religioso e pratico di fronte allafilosofia.

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S. Paolo, che traversando tutta la natura, creata non da noi, ma da Lui, e ritrovandolo sotto il velo dove si nasconde solo per essere accessibile a chi sa leg gere e non svisare e non negare le magnifiche pagi ne rivelatrici del cosmo, fattura del suo amore; che si veda nell'ordine naturale, non una creazione senza significato e illusoria dell'uomo, ma un mezzo neces sario di unione con Dio e un mezzo necessario di distinzione da Dio - secondo le belle parole di Mau rizio Blondel, (253) il quale ha ragione di affermare che non vi può essere società vera, e quindi, nean che vera storia, se non ammettendo Iddio : « E ' vano tentare di raggrupparegli spiriti come na famiglia, respingendo il Padre degli spiriti; nel fondo delle cose, l'uomo » . (254) Il vincolo delle anime, la sorgente alla quale le anime possono attingere le forze neces nella pratica comune della vita, nella lògica segreta delle coscienze, senza Dio non c'è punto uomo per sarieal loro sviluppo individuale e associato, è, non un preteso lo trascendentale che tutto svaluta, uomi ni e cose, ma il Dio trascendente, la Provvidenza eter na di G. B. Vico, che è quella di Leibniz, di San Tommaso e di S. Agostino. Nel sistema del Gentile non sono gli uomini che fanno la storia, ma lo spi rito universale, nel quale dal quale e per ilquale sono e divengono tutte le cose. Il Gentile si affanna a ripe

(253) L'Azione, trad. it. di E. Codignola, Vallecchi, Fi renze, Vol. II, p. 317. (254) Op. cit., p. 3,3.

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terci che la sua attualità pensante è piena fusione del divino coll'umano, ma in realtà il suo divino imma nente - immanente in che? se, fuori di lui non c's nulla di reale in cui possa immanere! è l'universale che divora gli individui, la vita infinita, che assorbe tutte le determinazioni; il cui svolgimento, anzi, non dovrebbe consistere che in questo: risolvere in sé, eternamente, tutto quello che tende a porsi, ad affer marsi, fuori di Lui. La storia si riduce tutta a un eter no afinale fare e disfare e rifare e ridisfare di forme particolari, dove esse nullapossono, nulla fanno, spun tano e si dileguano nel divenire universale; dove nulla sono, perchè quello che è in noi si chiama ed è lo spirito come atto, che s'individualizza in noi uni versalizzandoci, cioè risolvendoci in risolvendoci in sè, ad ogni istante.

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E questa storia, dalla quale noi, come individui. particolari, siamo assorbiti, nella quale nulla valiamo e nulla siamo, la si chiama: « la celebrazione del l'uomo » ! Ed è, in realtà, la radicale celebrazione della morte dell'uomo, della sua eliminazione da! teatro della storia e della verità. Quando gli Italiani vedranno la terribile disumanità per dirla con una brutta parola corrispondente alla bruttezza della cosa di questa filosofia, e torneranno a dissetarsi alla filosofia perenne, rispettosa della storia, delle forme concrete della realtà, e così corrispondente, nella sua sintesi di vero idealismo e di vero realismo, di im manenza e di trascendenza, a tutte le richieste razio nali e morali dell'umanità Qui l'uomo non è dis 219

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trutto, svalutato : è « causa » seconda, la più nobile delle cause seconde, cooperante colla causa Prima al l'incremento del valore della realtà. Noi non siamo in tutto seguaci del così detto « novo realismo america no » ; noi non ammettiamo la realtà irrelativa degli og getti : ce lo vieta il nostro concetto della organicità del reale. Salutiamo, tuttavia, ogni salutare reazione con tro le esagerazioni dell'idealismo, convinti che la verità saprà trionfare domani degli eccessi di destra e di sinistra, instaurando, o meglio restaurando, quella concezione della vita cosmico -umana, che è Platone corretto da Aristotile e fuso cogli elementi sani del l'idealismo anglo -americano che non nega ma polen zia i dualismi della realtà una, a quale è sintesi di indefiniti rapporti nello spazio e nel tempo che ne costituiscono l'ordine e la razionalità e la storia. Noi affermiamo, col nuovo realismo, la dottrina della porta aperta « cioè dell'anima che riceve luce da tutta la realtà che la circonda o che le si rivela con molte voci diverse formanti un unieo concento, cioè un'ar monia obiettiva; noi ammettiamo che c'è fuori si noi una realtà obiettiva, che noi tendiamo a far nostra accogliendone in noi, nell'intuizione, e nel concetto, mediante l'intuizione e ilconcetto, gli esseri nella loro individualità e nei rapporti che li legano intrinseca mente l'un coll'altro, di modo che l'uno è per l'altro e tutti per ciascuno, in un organismo di relazioni mutue, di azioni e di reazioni esterne e reali, aventi la ragione del loro essere e del loro svolgimento in una Ragione creatrice, ma trascendente, ma distinta

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infinitamente da loro e dalle sostanze attive in cui inesistono; una Ragione personale eterna. Arriviamo sempre a Dio, nella critica dell'idealismo dell'imma nenza, perchè, appunto, l'immanente non si compren de, non si spiega, che per il trascendente, in cui c'è la sorgente prima dell'essere e del divenire della realtà universale

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La religione e il cristianesimo nell'idealismo attuale di Giovanni Gentile

A questo punto della nostra esposizione, non po chi saranno ansiosi di sapere più diffusamente e più sistematicamente, cioè con più ricchezza di svolgi mento logico, se la religione, in generale, se il cristia nesimo in particolare trovino un posto, e quale posto, nel sistema filosofico di Giovanni Gentile, Mi affretto a dirlo : la trattazione di questo soggetto è una delle più difficili, perchè il pensierodelfilosofo che stiainu discutendo è, nel tentativo di far entrare la religione nei suoi schemi troppo angusti, molto meno preciso, chiaro e concreto che nella sistemazione della restan te realtà spirituale. Si sente ad ogni passo chelo sfor zo non gli vuol riuscire, anche dopo che la religione è stata ridotta ad un semplice aspetto di essa; ed è . proprio qui dove l'idealismo attuale rivela, soprattut

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to, la sua impotenza a farsi valere come una spiega zione, anzi come la spiegazione, dei valori umani e umano - divini, come un inveramento di tutte le filoso fie e di tutti gli atteggiamenti imperituri dello spirito, come pretende di essere. Noi rifuggiamo, per indole e per fermo proposito, dalle forti parole contro i no stri avversari, ma confesso che parecchie volte, nello studio di questa parte della filosofia gentiliana, un misto di sdegno e di delusione avrebbe voluto sfo garsi contro l'autore di essa in espressioni piuttosto severe ma, credo, non immeritate. L'idealismo attuale vuol essere la nuova religione, perchè crede di essere la nuova filosofia; nella quale è nuovo, si capisce, il concetto di Dio. Lo Spaventa, con tono e parole sarcasticamente blasfemi , aveva scritto, criticando il naturalisino, o, meglio, la spiegazione naturalistica dell'uomo: « Il vecchio Dio, che, sebbene decollato, come il giganteOr rilo, non si dava per morto, rideva a crepapellc dalla consolazione: espulso dalla finestra, speravadi entrare per la magna porta dell'uomo. Ma il proverbio dice: riderà bene, chi riderà l'ultimo, e l'ultimo a ridere non fu lui. In apparenza egli rientro: la ristaurazione fu festeggiata con canto e con colpi di cannone: i divo ti rialzaronoglialtari..., ma fu un'illusione ottica: era no i morti che figuravano da vivi; e in realtà era en trato il nuovo Dio, noto soltanto a pochi, ancora bam bino, accolto e nascosto nelle fasce e bende dell'in. fanzia; i cui vagiti erano coperti dal suono degli or gani e delle campane. E tutto questo fracasso non fece

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soprattutto, che è ben altro, nella realtà storie

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nè anche udire l'ultimo grido del vecchio Dio, il qua le era stato morto davvero; e chi gli recise il fatal ca pello, fu una o meglio, due persone dabbene, timora te di Dio, spiriti solitari, con parrucca e codino; l'una del golfo Napoli, l'altra da quel di Danzica. E ucci dendo lui, uccisero con lo stesso colpo il naturalismo, il materialismo, l'ateismo » . (255) Il Gentile aggiunge - ciò che del resto si comprende: «Il vecchio Dio : è il Dio trascendentale; il nuovo scoperto da Vico e da Kant, è il Dio immanente dell'uomo; il pensiero, che lo uccise quella « vista produttiva » come la chiama lo Spaventa, che la mente. (256) Lasciamo stare Kant e lasciamo stare Vico, Vico , da quello che ha schizzato lo Spaventa e che è stato ri prodotto, con aggiunte e rimaneggiamenti, dagli idea listi italiani; ma è evidente che il vecchio Dio non è ben morto neanche ora, se i figliuoli spirituali dello Spaventa, i Gentile primo tra tutti, sentono ancora il bisogno di risolverlo nel Dio nuovo, che, pare, vagisce ancora nelle fasce e nelle bende, come ai giorni delle rodomontate spaventiane.E il vecchio Dio ha sem pre intorno a sè la sua magnifica corte di verità eter ne, che l'idealismo italiano nega, ma che le filosofie,

(255) Paolittismo, positivismo e razionalismo; ripubbli cato dal Gentile in scritti filosofici, Morano, Napoli, 1900; p. 302-3. Cito da La Crótica, A. XII, fasc. I, 1914, La ri forma dello hegelismo (Betrando Spaventa), II, p. 39. (256) Lu critica, I. cit.

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quasi tutte le filosofie e tutta la vita umana affermano oggi come ieri e più di ieri: la libertà, l'immortalità dell'anima e un piano provvidenziale signoreggiante il corso degli avvenimenti umani. E l'idealismo può orientarsi, con loSpaventa «il cui pensiero era sordo , affatto ad ogni aspirazione religiosa » contro la tendenza antica ed eterna dello spirito umano, che di stingue il tempo dall'eterno, il mondo da Dio e po stula un assoluto fuori del relativo, pud tentare a suo piacere di sradicare dal pensiero e dalla vita il culto di quella che chiama il « vecchio » Dio; l'umanità pas serà indifferente davanti alla negazione dell'irrealismo e si prostrerà davanti al suo Dio. L'idealismo, mentre vuol liquidare la religione, liquida se stesso nell'im potenza evidente, non solo pratica ma anche teorica, di risolvere nell'immanenza il trascendente supremo: Dio, cioè di spiegare idealisticamente l'atteggiamento religioso, specialmente cristiano, dell'anima umana. Che cos'è la religione per Giovanni Gentile e nel sistema suo? « L'idealismo moderno - scrive il Gentile e noi l'ab. biamo già veduto è il concetto della realtà come autocoscienza. Autocoscienza è soggetto, ma il soggetto è tale in quanto oggetto a se stesso: è unità attiva viva dei due termini onde consta l'atto spirituale, sog getto,e oggetto. Senza quest'auto-obiettivazione lo spi rito sarebbe solo una semplice presunzione, non una

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(257) GENTILE, La Critica, A. XII, fasc. II, 1914, Studio citato , p. 135 .

La filosofia di G. Gentile .

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realtà che si prova reale » . (258) Parole un po' oscure come parecchie, di Giovanni Gentile, a chi non ha un po' di familiarità colla terminologia idealistica. Ve diamo chiarire ulteriormente questa, che è una delle tesi fondamentali, e non la fondamentale, dell'ideali mo. Lo spirito, come si sa, è sintesi; cioè unità viva; e l'unità concreta, viva importa evidentemente una dualità, poichè essa non è una unità sterile di identità, ma unificazione, ma il farsi uno di opposti. Come due cose, affinchè siano pensate come due, devono essere pensate come una, cioè come strette l'una all'altra da mutui rapporti,così l'unità come sintesi non è intelli gibile e non è anche dualità. È evidente. Ebbene : l'unità, lo spirito come unità, è autocoscienza, ossia il soggetto che conosce se stesso. Ma, il soggetto che conosce se stesso non è altro certamente dal sogget to solo; se egli non si alternasse, non diventasse altro, dentro se stesso, e non fosse oggetto oltre che soggetto, egli non si conoscerebbe. Il soggetto non conoscerebbe se stesso, se, essendo sempre quell'uno medesimo soggetto. (259) Ecco perchè il soggetto de ve obbiettivarsi, deve porsi a se stesso come oggetto: solo così esso si realizza perchè solo così diventa co scienza di sè. « Noi siamo noi in quanto ci dividiamo dentro di noi stessi tra noi che abbiamo coscienza e quel noi di cui abbiamo coscienza e che, come ter (258) Discorsi di religione, II, XIII, p. 84. (259) La riforma dell'educazione, p. 226.

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mine opposto al principio o autore della coscienza , è diverso da noi: qualche cosa di assolutamento diver so : noi soggetti ed esso oggetto » (260). Naturalmen te l'oggetto è interno al divenire del soggetto; è il ter. mine medio del circolo onde il soggetto si realizza : in esso il soggetto si differenzia, si aliena e quindi si media e pensa.... La realtà del soggetto richiede e implica nel suo svolgimento dialettico quella dell'oggetto come altro da esso, ma altro da esso solo come momento del processo per cui esso si attua. « L'essere dello spirito è alienarsi da sè, e in questo alienarsi da sè realizzarsi come autocoscienza, riflessio ne o intorno a sé». È, come si vede, il processo del l'idea hegeliana in tesi, antitesi e sintesi, o come po sizione del soggetto, dell'oggetto e del soggetto-ogget to. Si noti bene: lo spirito, la realtà concreta, cioè la realtà tout court, è questa unità di soggetto-ogget to; è la sintesi della coscienza di sè e della coscien za dell'oggetto come altro da sè è l'autocoscienza creatrice, lo spirito che si svolge e per svolgersi crea l'altro, l'alterità. Con cið non si spezza af fatto l'unità: « di un germe che si svolge scrive bene il Gentile - non c'è differenziamento che spezzi sia pure per un istante solo, l'unità ». (261) Cosi lo spi. rito che ponealtro innanzi a sè non rompe affatto la propria unità mediante la posizione dell'alterità: l'al

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(260) Discorsi di religione, 1. cit., p. 85. (261) Teoria dello spirito come alto puro, 2, IV, p. 35.

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tro da noi non è tanto altro che non sia noi stessi. In altre parole: il processo costruttivo dell'oggetto è, come s'è già veduto, un momento dialettico del pro cesso costruttivo del soggetto. Il soggetto è sempre soggetto di un oggetto, ma in quanto esso, il sogget to, si costituisce soggetto del suo atto rispettivo. La vita, quindi, la realtà, la concretezza del'attività spiri tuale è nell'unità di soggetto-oggetto, come oggetto del e dal e nel soggetto.

E ora comprenderemo che cos'è la religione nel sistema genitiliano. La religione è l'antitesi dell'arte. Cioè: l'arte è puro soggetto, la religione è puro og getto. Chiariamo questa definizione preliminare. L'arte è la realizzazione che lo spirito fa di sè co me soggetto. « L'uomo che si chiuda nella sua sog gettività e non conosca se non quello che amore o altro gli detti dentro, ossia non prenda contatto col mondo ma si effonda nel suo astratto mondo interio re, questo uomo è l'artista. L'arte è coscienza di sè, pura astratta autocoscienza, che si dialettizza in se stes sa, e astraendo dall'antitesi in cui si è realizzata, e quindi chiudendosi in un ideale che è sogno ma den tro di cui essa vive, cibandosi di sè medesima, o, me glio, creando un suo proprio mondo»). (262.

L'arte in altre parole, é la celebrazione della pura soggettività, della tesi astratta dall'antitesi, del sogget to astratto dall'oggetto. È un momento dello spirito, il momento iniziale e fondamentale del suo sviluppo, e vuol essere integrato con l'altro momento, quello (262) La riforma della educazione, pag. 230.

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dell'oggettività: non dicevano che lo spirito concreto non è nè soggetto (puro) nè oggetto (puro), ma sog getto che si oggettiva, e oggetto che si soggettiva, in virtù della soggettività che realizzandosi vi si annida ? Non perdiamo mai di vista questa formulazione del l'essere concreto dello spirito, se vogliamo intendere qualche cosa della filosofia del Gentile. L'arte, dicevo, è l'esaltazione del soggetto sottratto ai vincoli del rea le, è il soggetto che si pone nella sua astratta sog gettività. L'opera d'arte è la posizione dell'Io come pura soggettività, e ogni posizione dell'Io come pura soggettività è un'opera d'arte. L'opera d'arte esprime sì, anch'essa, un mondo, ma un mondo che è il mon do dell'artista: il quale quando dall'arte torna alla vi ta, sente di passare ad unarealtà diversa da quella del la sua fantasia. Scrive ancora il Gentile : « La vita va gheggiata dal poeta è una vita il cui valore consiste appunto nel non inserirsi nella vita a cui mira l'uomo pratico, e che il filosofo tenta ricostruire logicamen te nel suo pensiero: nel non potervisi inserire, perchè essa è libera creazione del soggetto che si stacca dal reale, in cui il soggetto stesso si è realizzato e qua si incatenato, e si pone nella sua astratta immediata soggettività » . (263) Soggettività astratta perchè imme diata, cioè non passata ancoraattraverso l'antitesi, l'og getto. E coscienza di sè, va bene; ma la coscienza di sè è soltanto un lato della dialettica spirituale che si compie nella sintesi della coscienza di sè (tesi)

(263) Teoria dello spirito, XIV, pag. 187.

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e della coscienza dell'oggetto come altro da si (an . titesi).

Ecco: passare dalla coscienza di sè alla coscicnza dell'oggetto come altro da sè è precisamente passare dall'arte alla religione. La quale è dunque, in oppo sizione al'arte, l'esaltazione dell'oggetto sottratto ai vincoli dello spirito, in cui consiste la conoscibilità dell'oggetto stesso. Mentre l'artista esalta la propria astratta individualità, l'uomo religioso, il santo, «que sta individualità prostrae annientain facciaal suo Dio, il quale occupa infinitamente la sua coscienza, come altro, assolutamente altro da lui. Onde il soggetto pre cipita nell'oggetto, astraendo totalmente da sè medesi mo, e s'immerge nella contemplazione di se stesso, come s'è alterato obbiettivandosi: di quest'altro se stes so in cui non si riconosce, e che perciò divinizza, e colloca sugli altari, a cui egli si prosterna ». E continua, il Gentile, portato dalla sua visione di annichilamento del soggetto, implicito, secondo lui, nella religione, come essenza anzi della religione, e portato dal suo schema fondamentale hegeliano dello sviluppo dello spirito che in uno dei suoi momenti deve attuarsi nella perfetta antitesi alla soggettività: « La sua personalità (personalità del santo) è annullata; cioè si attua e realizza in questo auto-annullarrento, che è la caratteristica teorica e pratica del misticismo e l'atto specifico della religione »(.264) E che è l'og . getto? l'oggetto della religione? Tutto quello che ;(264) La riforma dell'educazione, 232-3.

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conosciamo; tutto quello che lo spirito vede innanzi a sè, non vedendo se stesso. E tutto ciò che si cono sce è divino! E perchè? Perchè l'oggetto, concepito co me pure oggetto, astratto dalla sua essenziale relazio ne col soggetto, è concepito nella sua irrelatività come assoluto, come infinito. « Dio non è solo quello che immaginiamo al di sopra dei cieli, irraggiungibile coi mezzi propri del nostro conoscere, ma tutto ciò che e alla portata, come si dice, dei nostri sensi: il mon do quale ci apparisce disteso nello spazio, e ogni par te sua, in quanto oggetto di un nostro momentu spi rituale; il mondo, quale ci si dispiega nel ben più am pio orizzonte interiore del nostro pensiero, e ogni sua parte in cui termini l'attività nostra spirituale di un certomomento » . (265) E l'oggetto come puro oggetto è Dio perchè infinito. E come? L'ho già accennato : che è negato non può passare ad altro...; eperò non es sendoci altro pel soggetto che quell'oggetto; esso, l'og getto, è tutto, è infinito. Non importa che quest'og getto sia una goccia d'acqua: se questa goccia non si risolve in qualche modo in un processo spirituale noi non la possiamo porre altrimenti che infinita. Ma allora, in che si distingue la religione dalla scienza.? Non ci trasportano anche le scienze dal dominio sog gettivo dell'arte in quello della pura oggettività? Si, e in ció la scienza non si distingue dalla religione pro priamente detta. « C'è una parentela tra l'atteggiamen (265) Sommario di pedagogia, Vol. II, pag. 187.

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to spirituale, per cui l'uomo si trova in faccia alla natura, e il suo atteggiamento religioso; poichè, per dirla hegelianamente, nell'uno e nel'altro caso l'idea ha innanzi se stessa come diventata altro da sè. F quella medesima concezione oggettivistica della realtà che crea gli dei, crea pure la natura »). (266) Si noti pe ro : le matematiche e tutte le altre scienze, e tutte le cose e tutti i fatti, come oggettivazione del soggetto, sono mole indigesta, cumulo di particolari senza si stema, in cui non è possibile che posi e si acqueti l'Io che è unità assoluta. L'Io si oggettiva in Dio, ma in un Dio solo, in un oggetto solo, come si è veduto; la scienza e il sapere particolare ci riempiono l'anima di una moltitudine sterminata di divinità, mentre a religione, come culto di Dio, è sistema o unificazione suprema: in esso l'anima riposa. La mente non pud arrestarsi alla moltitudine degli oggetti delle scienze, e si getta fuori dei fenomeni, dei fatti e di tutti gli oggetti dell'esperienza, in cui si oggettiva l'Io stesso, postulando un oggetto trascendentale. Ecco spuntare Dio, o gli Dei unificati nell'attributo dell'assoluta tra scendenza, che sono tutti una stessa divinità». Chi non ricorda, a questo punto, l'idea teologica di Em. Kant, come unità definitiva degli oggetti del nostro conoscere, come conoscenza conclusiva di tutte le cose? Ma, io sento il bisogno di fare al Gentile una domanda che, a questo punto, pud parere molto stra na: come sidistingue veramente l'arte dalla religione

(266) Sommario di pedagogia, Vol. II, pag. 208.

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e dalla scenza ? L'arte è pura soggettività, la scienza e la religione sono pura oggettività, mi si ripete in tutti i toni. Ma sono parole e parole. L'artista crea: che cosa? un oggetto, che cosa volete che crei se non un oggetto? L'uomo religioso crea, anche un oggetto. L'u no e altro nell'oggetto si fissano, si perdono fino a un certo punto. Non è forse un conoscere, anche l'arte ? Non è, essa, l'Io che si attua conoscendo sè, o cono scendosi come oggetto? Non dice anche il Gentile che « quando l'arte si realizza, essa non è pura soggettivi tà, bensì soggetto che si oggettivaP». Qual'è la diffe renza dell'oggettivazione religiosa e dell'oggettivazio ne artistica? Se tutto è creazione dell'Io trascendenta le, dell'Io universale che è l'attuale realtà di ogni Io, a quali caratteri distinguiano le creazioni dell'arte da quelle della religione? Dice altrove il Gentile : « L'attività dell'uomo che vive, vivendo se stesso, cioè costituendo in se stes so un suo mondo, questa è l'arte » . L'arte è la for ma soggettiva dell'attività spirituale; momento esteti co è nello spirito il momento della pura soggettività : è, secondo il Croce, la situazione del soggetto, è il suo sentimento come dato immediato di conoscenza. Approfondendo questo concetto crociano, il Gentile osserva, a ragione, che alla base di esso sta precisa mente la soggettività della forma artistica dello spi rito che è particolarità senza universalità, soggetto senzo predicato, semplice immagine, natura, come realtàimmediata dello spirito e nello spirito, ossia im mediata presenza dello spirito a se stesso, cioè pura

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espressione-intuizione. Ecco perchè l'arte è la celebra zione della molteplicità, della particolarità, della indi vidualità della vita spirituale. Perciò l'arte è astorica, se la storia è ricollegare e unire la vita,spirituale in un sistema, creandone l'oggettività, che è appunto la storicità.

La religione, invece, è pura affermazione dell'og getto, un afissarsi nella realtà, veduta come estranea all'attività del soggetto, e perd tale da limitare e, quindi, annullare questa attività Mentre l'arte è la pura immediatezza dell'oggetto. « Arte, dunque, e reli gione si presentano come un aul-aut; o soggetto, che è, esso, infinito, l'universo; o oggetto, che è infinito, il Tutto. Un infinito esclude l'altro. Il poeta trova il suo mondo nel proprio petto; il santo sente il vuoto dentro e volge gli occhi al cielo lontano »). (267) Non » mi persuade. Abbiamo all'un caso come nell'altro un soggetto che si affissa in un soggetto, un soggetto che, secondo il Gentile, crea il proprio oggetto; nel l'un caso come nell'altro l'oggetto è immediato, è il soggetto che si oggettiva e distacca sè da sè. Non è solo nel sentimento artistico che il soggetto acco glie nella sua anima commossa e trasforma in senti mento i fiori e il cielo e gli avvenimenti umani; non è solo nella creazione artistica che il soggetto deve (267) Vedere per tutta questa parte delle teorie gentilia ne: Arte e Religione in Giornale critico della filosofia ita liana, A, I, fasc. IV, 1910, p. 261 segg., passim.

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raccogliersi in sè, nel suo mondo interiore; l'atteggia mento religioso ha gli identici caratteri : abbiamo sem. pre, nella teoria gentiliana, un soggetto che vive le impressioni e le oggettiva; e non capisco davvero do ve si appiatti la distinzione fra arte da un lato, reli gione e scienza dall'altro. Tanto più che, secondo il Gsntile, anche la religione e la scienza hanno in pro prio quel carattere della astoricità che è caratteristico dell'arte. E, astoricità non è negazione di oggettività? Come se ne esce? Un'altra osservazione la farò sotto. Dio è ineffabile, anzi inconoscibile, continua il Gentile. Perchè? Ma perchè l'oggetto nella sua astratta opposizione al soggetto, al conoscere, è il reale che della realtà esclude appunto il conoscere, e che è percið ed ipso inconoscibile, affermabile solo misticamente. E Dio non può essere che uno come abbiamo già accennato, perchè l'oggetto, nella sua assoluta inonoscibilità, non solo non tollera la com pagnia del soggetto, ma non tollera neanche la com pagnia d'altri oggetti; percið appunto, non c'è po liteismo che non tenda all'idea di una divinità superiore e che atutte le altre conferisca la potenza deldivino. E il momento rigidamente religioso del la religione non pud essere altro che il monotei smo, per cui, posto l'oggetto nella sua opposizione al soggetto, e cancellato il soggetto, non rimane possibilità di uscire da esso e passare ad altri ogget ti, o comunque di differenziare il primo. (268) Qui

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cadrebbe in acconcio un'altra osservazione, che per non rompere il filo dell'esposizione, farò più sotto. Intanto fissiamo bene questo punto: l'oggetto è con cepito come assoluto, come infinito, come trascen te e come uno, come cioè, il Dio del monoteismo perchè il soggetto si è così annullato, così cancellato nell'oggetto o di fronte all'oggetto, che, non esisten do, per così dire, più, gli è impossibile pensare un al tro oggetto, passare ad altro. Parlando di tale annul lamento il Gentile diventa eloquente. L'essenza della religiosità è il misticismo, che a dire a S. Paolo : Desiderium habeo dissolvi ed esse cu Christo, Vivo autem, iam non ego, vivit vero in me Christus; che fa dire, fra l'altro, a Gesù : Si quis vult post mevenire, abneget semetipsum. E il Gentile cita S. Francesco, ci ta Jacopone da Todi, Giov. della Croce e Pascal, per concludere: « L'essere di Dio è il nostro non essere. La religione è questo mirare alla realtà, che, veduta come altra dall'uomo che ci si affissa, si rappresenta come immediatamente infinita. La religione è questo affisarsi dell'uomo all'oggetto della sua coscienza e obliarvirsi. Obliarvirsi come conoscere e come fare, in guisa che nè possa presumere di conoscere egli ciò che conosce, nè possa presumere di fare da sè quel che fa (rivelazione, grazia). Obliarvisi come libertà, cioè come spirito. E quindi adorare, piegandosi, la fronte nella polvere, innanzi all'infinito, e quindi pre gare, implorare il soccorso, onde soltantoci può venir fatto di adempierela volontà di Dio. L'unione reli giosa è un sommeregersi del soggetto nell'oggetto, un

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dimenicare sè e abbandonarsi, darsi all'oggetto, a Dio. Di qui una delle affermazioni care al Gentile : « L'elemento più profondamente religioso della reli gione, non è tanto l'affermazione del soggetto astrat to, quando piuttosto la negazione del soggetto. Il Bud dismo è ateismo, ma è schietta religione, perchè non nega a Dio per affermare ,anzi per negare, il soggetto, che è la conclusione necessaria e caratteristica della religiosità ». (269) Ma l'oggetto, senza il soggetto che lo conosce è l'ignoto : « e se affermare è pure in è : qualche modo conoscere l'ignoto, non è affermato se non come quello che si nega. Così l'affermazione del l'oggetto, spezzato che sia il rapporto che esso ha col soggeto, coincide colla sua negazione » . (270) Quin di conseguenza della posizione religiosa, del divino come negazione assoluta del soggetto, è l'agnostici smo. Il Deus absconditus è la divinità di tutte le reli gioni (271). E ora fermiamoci un momento. Se nella religione lo spirito, il soggetto si oblia, si dimentica, si annulla nell'oggetto, come torna esso ancora sog getto che pensa, e. pensando, supera la sua posizio ne di assorbimento, di sommersione nell'oggetto ? Co. me si redime dall'annullamento? Come ripassa dalla pura oggettività nella soggettività ? come ripassa dalla religione all'arte ? È chiaro; coll :acquistare coscien za della soggettività dell'oggetto. Chi acquista coscien

(268) Teoria dello spirito. XIV, p. 192-3. (269) Discorsi di religione, III, p. 128. (270) Op. cit., p. 129. (271) Op. cit., p. 81.

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za ? Il soggetto. Ma duque esso non si è annullato nell'oggetto, non si è oggettivato e obliato tutto co me conoscere e come libertà così da non rimanere ancora conoscenza e libertà: diversamente come po trebbe riaffermarsi, vedere sè nell'oggetto, filosofare? Se tutto tutto il soggetto si è negato nell'oggetto, la negazione sarà eterna, il soggetto non risorgerà dalla morte nell'oggetto, e la storia umana dovrebbe essere, dopo la prima oggettivazione, perpetua og gettivazione, religione, adorazione, abbracciamento incosciente dell'uomo a Dio, culto di Dio; anzi Dio stesso e solo unico, senza l'uomo: il soggetto che si oggettiva oggi tutto, ilsoggetto infinito e uno og gettivato non è forse Iddio ? E a storia umana sareb be finita colla prima oggettivazione strettamente reli giosa, cioè di Dio, del soggetto come Dio. Pianoammonisce il Gentile: « La religione non è soltanto la religione di Dio, ma è religione di Dio, in quanto è religione dell'uomo: non è soltanto posizione im. mediata dell'oggetto, ma questa posizione in quanto realmente celebrata alla presenza del soggetto» Alla presenza del soggetto? Ahl ma dunque c'è ancora il soggetto e tutto intiero se alla sua presenza si cele bra la religione, che è la negazione del soggetto, l'an nullamento del soggetto! I soggetti sarebbero due, u no che si annulla e l'altro che assiste alla celebrazio ne dell'annullamento ? Ma l'annullamento vero non c'è mai stato, non c'è mai mi avverte ancora il Gentile: « Non è possibile che lo spirito si fissi nel

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la sua mera posizione religiosa, annullando sè mede simo come soggetto; giacchè lo stesso annullamento non può aver luogo se non per affermazione di atti vità dello spirito » (272) « La conciliazione delle forze antagoniste operanti nel mondo dello spirito non sa. rebbe possibile, ci avverte ancora il Gentile, se l'oppo sizione tra l'arte e religione fosse tale da escludere ogni relazione tra i due termini » Dunque? « Il principio della conciliazione sta nella religiosità dell'arte e nel la estesticità della religione ». Nel momento oggettivo c'è il momento soggetivo e viceversa «L'arte è natura nello spirito: cioè immediatezza. Ma la iinmedia tezza medesima è il carattere si della natura e sì del divino in generale » . « Il soggetto, come immediato soggetto, non è vero e proprio soggetto: ma è tut t'uno con l'oggetto ...; l'arte èarte e religione è reli gione, ma anche l'arte è religione, e viceversa». L'ar te tiene e domina la personalità dell'artista come Dio iene e domina l'anima del santo « Innanzi alla crea tura della sua fantasia egli si piega adorando, come a una realtà sacra. La massima soggettività è massi ma oggettività ». (273) Ma, e la distinzione d'ov'è la distinzione, se nel soggetto distinzione non c'è? nel l'oggetto? Allora siamo nella trascendenza. Ma l'os servazione che intendo fare è un'altra. Questa: l'an nullamento, dunque, non ha luogo; la negazione del soggetto nell'oggetto, come puro oggetto non è pos

(272) Teoria dello spirito, XIV, p. 193. (273) Giornale critico, 1.cit. pag. 272-76, passim.

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sibile; ogni oggettivazione si celebra alla presenza del soggetto, mercè la dialettica immanente dell'atti vità del soggetto. Ma se il soggetto c'è conosce, è conoscere; se conosce è libero e può passare .e pen sare ad altri oggetti : ma, non m'aveva detto il Gen tile che l'oggetto è concepito come infinito, e come u no, come il Dio del monoteismo, appunto perchè il soggetto si annulla e si cancella così nell'oggetto, che gli è impossibile pensare, nonchè sè stesso, un altro oggetto? Se questo annullamento non ha luogo, co me nasce la concezione di Dio come infinito, come assoluto, cioè come Dio trascendente ? Di qui non si scappa : o il soggetto si annulla nell'oggetto, e la storia umana sarà finita, dovrebbe essere finita da un pezzo, perchè, avvenuto l'annullamento, non resta che l'oggetto, Dio, l'assoluto, tutto, unità del tutto e tra scendente il tutto; o l'annullamento non accade, cioè, il soggetto permane e, quindi, è attualità di conoscen za di fronte all'oggetto e possibilità di conoscenza di altri oggetti, e allora l'idea di Dio infinito, assoluto, non potrà sorgere, se il Gentile è coerente, mai e poi mai. E se il soggetto permane nell'oggetto, dunque conosce, dunque afferma, è essenzialmente afferma: zione; dunque l'essenza della religione consiste, non nella negazione del soggetto, ma nella affermazione dell'oggetto. Che cos'è, dunque, la religione, se non è negazione del soggetto, non è perciò posizione di dell'oggetto. Che cos'è, dunque, la religione, se non l'idea diDio? l'adorazione di Dio; la vera religione? Il Gentile nè lo spiega nè può spiegarlo. L'astrattez

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za dell'arte fuori della religione, e viceversa, cioè del l'oggetto fuori del soggetto e del soggetto fuori del l'oggetto è uno dei punti sui quali insiste a più ri. prese il Gentile. Basterà citare qualche altro passo. Come non è possibile che un artista realizzi la sua arte senza contaminazione, così non è realizzabile u . na pura religione in cui il soggetto si annichili in effetto nel tutto. (274) Uomini astratti (cioè non reali) sono e quelli che si chiudono nel puro mondo dei loro sogni, e quelli che s'immergono nella contem plazione del divino. (275) In altre parole, la religione descritta sopra come annullamento del soggetto nel l'oggetto è la religione nel suo concetto, ma, come tale, non esiste nella realtà. Ma che cosa ha teorizzato, dunque, il Gentile? Non la storia, la realtà ? non l'atto dello spirito nei momenti del suo sviluppo dialettico? Ma il pensiero non si deve identificare con la storia, con la realtà? Il suo sarebbe dunque un concetto vuoto, voluto dal la necessità di attuare lo schema hegeliano e suo della tesi, antitesi e sintesi, mentre nella realtà con creta non esiste nè la vera tesi (arte) nè la vera an titesi (religione), perchè nella tesi c'è l'antitesi (nel soggetto c'è l'oggetto) e nell'antitesi c'è la tesi (nel l'oggetto c'è il soggetto?) « Tale la natura si dell'ar te, e sì della religione: una flagrante contraddizione. Il soggetto che per essere soggetto è oggetto : l'og (274) La riforma dell'educazione, p. 232. (275) Discorsi di religione, II, p. 54.

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getto che per essere oggetto è soggetto. Di qui il tor mento del poeta, di qui pure lo spasimo del misti co. Un'arte perfetta, una religione perfetta, voglio dire un'arte che non sia religione e una religione che non sia arte, sono due impossibilità » . (276) Il che, pare, viene a dire che l'essere non adegua mai il do ver essere (arte perfetta, religione perfetta), che la real tà non adegua mai l'ideale. Diversamente, perchè il tormento del poeta, lo spasimo del mistico? Ma il do ver essere non è tutt'uno, nell'idealismo attuale, con l'essere, il reale umano non è tutto l'ideale? E do mando ancora: in che si distingue la religione dal l'arte? abbiamo, ripeto, nell'una e nell'altra il sogget to di un oggetto e l'oggetto di un soggetto: dov'è la distinzione! E, se non c'è l'affermazione che non sia negazione, ossia la tesi che non sia antitesi, nè la negazione che non sia affermazione, ossia l'anti tesi che non sia tesi : in altre parole, se non c'è l'ar te che non sia anche religione, e non c'è la religio ne che non sia arte, come è possibile il passaggio dialettico dall'arte alla religione, dal soggetto all'og. getto ? Non vi può essere dialettismo, perchè non e. siste vera opposizione; perciò non vi può essere svi. luppo, storia. Inoltre : se la concretezza dell'arte e la concretezza della religione è lo spirito, come unità di soggetto e oggetto, cioè come filosofia; se arte e religione sono, fuori della filosofia, due astrazioni, dunque non esi (276) Op. cit., p. 233.

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ste che la filosofia, la sintesi, il pensiero; e l'arte come pura immediatezza del soggetto e la religione come pura immediatezza dell'oggetto, non esistono affatto perchè, come s'è veduto, non c'è nè il momen to della soggettività pura e libera da ogni forma di oggettività, nè il momento dell'oggettività pura e libe ra da ogni forma di soggettività: non esiste che l'at to del pensiero che è soggetto -oggetto. Anche l'arte è pensiero, anche la religione è pensiero, o filosofia. Siamo ancora al panlogismo, non abbiamo, in que sto, fatto un passo su Hegel. C'è un'unica differenza : per Hegel esse, l'arte e la religione, rappresentano momenti che saranno superati per sempre; nel Genti le sono momenti eterni del pensiero, astratti, presi per sè (sono momenti!), concreti nella filosofia, e l'im purità dell'uno è garanzia dell'eternità dell'altro. « Ap punto perchè non c'è arte pura, la religione è eter na: ed è eterna anche l'arte, poichè la stessa religio ne non si può attingere nella sua assoluta purezza » . (277) Eterna l una e l'altra, non come forme, ma co me momenti, dello spirito, e perciò, non autonome. Il Croce non ha insegnato nulla per ciò che riguar da l'arte, agli idealisti attuali. Ma continuiamo. Non c'è, dunque, il puro ogget to : nell'oggetto palpita il soggetto che lo fa essere. Dice il Gentile: « Non c'è spirito così pieno di Dio e invasato dal sentimento del divino, che è realtà ob biettiva e tutta obbiettiva (ma come tutta obbiettiva? (277) La riforma dell'educazione, p. 199.

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non è contaminata dalla soggettività?), il quale dal suo Dio non si senta animato e sospinto alla propa ganda religiosa, ossia ad attribuire a se stesso il valo re e la forza di un'attività capace di produrre qual che cosa anche lei; e non sia comunque tentato di teologizzare su quella verità che si trova dentro per superiore grazia rivelatrice, e, teologizzando, per via positiva o negativa, di mettere se stesso nella cogni zione di Dio e svolgere un'opera soggettiva. In con clusione si vede sempre il soggetto riaffermarsi ener gicamente di dentro alla stessa coscienza dell'ogget to ». (278)

Altro che sommersione del soggetto nell'oggetto! Altro che annullamento del conoscere e del fare! Al tro che antitesi, come puro oggetto, e, quindi, ogget to assoluto e infinito ! Nulla di tutto questo : l'oggetto nel soggetto, il soggettonell'oggetto, attivo come pen siero e come volontà come conoscere e come fa re. E « quanto più ardente è la fede e profondo il sentimento della propria,nullità e ossessionante l'idea dell'oggetto che è tutto, tanto più potente è pure l'e nergia dello spirito, del soggetto che opera a creare una tale situazione » . (279) Ah! dunque, nell'oggetto, in Dio cioè, lo spirito non si annulla; ma si potenzia! Dunque sono in pro porzione diretta il crescere di Dio nell'anima e il cre scere dell'anima in Dio e in se stessa e crescerà pu (278) Discorsi di religione, II, 51-2. (279) La riforma dell'educazione, pag. 234.

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re, nella stessa proporzione, nell'anima, dove si cele bra la teofania, il sentimento della sua grandezza. E' così. Non ha osservato il Gentile che mentre l'anima del Santo confessa la propria nullità si sente, però, superiore alle cose che lo circondano, e tanto più su periore quanto più si eleva verso Iddio! e che, a vol te, al contatto con Dio, si sente chiamato a cooperare in modo tutto speciale all'attuazione dei disegni di Dio? Pensiamo ai fondatori di ordini religiosi, ai gran di riformatori, e ai grandi maestri spirituali : S. Ago stino, S. Bernardo, Santa Caterina da Siena e Tom maso da Kempen. Si sentono nulla davanti a Dio, alla stessa maniera che si confessa ignorante chi mol to sa, se si confronta con l'infinito scibile. Ma l'uno e gli altri si sentono superiori a tanta parte dell'umanità e perciò appunto se ne fanno mae stri, e, tutt'altro che perdersi in Dio, orientano lo spi rito verso la vita per conquistarla. Non è il sentimen to della propria nullità che li muove all'azione, ma la coscienza di essere uno strumento eletto nelle ma ni di Dio, il veicolo, per così dire, di Dio agli uo mini. Il loro « so di non esser nulla » ha il medesimo significato che il socratico « so di non saper nulla » : come Socrate sapeva di sapere, i Santi sanno di es sere qualche cosa, di esser molto e di molto potere : come si spiega diversamente la loro prodigiosa atti vità Attività diretta non soltanto a far troneggiare Dio nell'anima, ma anche a render sè e a rendere gli altri, quanto più possono, simili a Dio. Per grazia di Dio, si capisce bene; ma, lo noti il Gentile, per gra 245

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zia alla quale l'anima è andata incontro e l'ha colti vata nel suo cuore, l'ha tenuta viva, l'ha ricreata continuamente in sè, l'ha data a sè.

La grazia non è attivamente grazia, se trova l'uomo passivo, se l'uomo con la corrispondenza non la fa lui esser tale. E la vera vita religiosa non è fare at tivamente la volontà di Dio? informare attivamente la propria vita della volontà di Dio? Le più grandi personalità, le piùgrandi anime sono state formate dal la religione; che è, dunque, non un annegamento del la natura e dell'autonomia umana nelle onde della grazia, ma una grande fucina, dove la natura umana si tempra, si purifica; si potenzia nel fuoco della vo lontà divina. Così parla William James della santità : « Cette élévation de l'àme vers Dieu se manifeste par des sentiments d'harmonie et d'amour à l'égard des hommes. Le saint n'éprouve plus ni haine ni jalou sie, aucune antipathie, aucune animosité. L'épanou issement de l'âme sainte aboutit à des vertus qui for tifient l'esprit et domptent la chair. C'ést la fermeté, la patience, la serenité; la crainte, l'anxiété, l'égoisme rongeur sont emportés par le soufle d'en haut » . Per la grazia di Dio sì, ma anche per l'azione dell'uomo che vuol farsi simile a Dio-santità e a Dio amore. « La charité dei santi renverse toutes les barriè res, qui séparent d'ordinaire les hommes des ani maux » . E l'attività di S. Vincenzo de Paoli, di Don Bosco, del Cottolengo e del P. Lodovico da Casoria emana dalla religione non meno che la contempla

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zione del misteri e l'ascetismo. Ed emana dalla reli. gione il complesso delle virtù eminenti ui ordine in dividuale e di ordine sociale che fanno i santi. La santità, in tutti i suoi aspetti infiniti, è frutto della religione. Che è, dunque, non una negazione, ma una potente affermazione del soggetto. Non si rac chiude, sul serio, in due testidi sapore mistico-come fa il Gentile - la infinitamente multiforme esperienza religiosa e l'attività che ne scaturisce : le esigenze si stematiche non devono e non possono far svisare o coartare la realtà storica di migliaia e migliaia di ani me d'ogni sesso, d'ogni età e d'ogni condizione, che, non soltanto pregano e adorano, ma si purificange passano, lottando e dolorando, di perfezione in per fezione, e confortano e sollevano gli oppressi e met no nelle anime gioie e speranze. E tutto questo sa rebbe prodotto secondo il Gentile dalla fede nel la realtà di un'auto-proiezione o auto-oggettivazione dell lo trascendentale! Autoproiezione che la sopravve niente filosofia mette a posto, risolvendola nel sog getto! Così che, secondo lui, la più grande e uni. versale forza della storia, la religione, scaturisce dall'errore di prendere come reale l'irreale, come con creto l'astratto, come Dio l'autoproiezione dialettica dell'Io! Ma non è razionale la storia. Non è, anzi, secondo il Gentile, l'unica vera razionalità? Ma dun . que, la realtà storica si muove, si sviluppa, di prat gresso in progresso, sotto la molla di un'astrazioneb creduta erroneamente realtà oggettivantDihimèlinigues'I sto caso nulla v'è di più irrazionplercheila storiapl 2491

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dappoichè non la realtà, non il pensiero la infor ma e la svolge nella sua realtà dipendente dalla re. ligione, ma una falsa credenza, anzi è, in gran par te, lo svolgimento di una falsa credenza e deve inter venire la filosofia a risolvere nel suo vero essere, nella sua reale soggettività il più grande fattore della storia, creduto dalla storia stessa erroneamente ogget tivo. Poichè il compito della filosofia di fronte alla religione è, nel pensiero del Gentile, proprio questo : dare all'uomo la coscienza della soggettività di Dio; mostrare che la fonte da cui sgorga la determina zione concreta dell'essenza divina è l'attività sogget iiva; che il vero concreto non è Dio ma lo spirito, che il mio Dio è il Dio mio, creato dal vero Dio che è lo spirito, l'atto spirituale. La filosofia liquida dunque la religione? L'idealismo attuale è ateo ? Par rebbe di sì, poichè, dove è liquidata la trascendenza è liquidata anche la religione. Ma il Gentile protesta: Ateo il mio idealismo? « Se ateo fosse questo idea lismo attuale, ateo sarebbe già lo stesso idealismo primitivo del cristianesimo, che col dogma dell'incar nazione riconobbe la necessità di colmare l'abisso che la coscienza ebraica da una parte e la filosofia greca dall'altra avevano scavato tra lo spirito umano e la realtà; e riconobbe pure l'impossibilità di intendere altrimenti la differenza, che nel seno stesso della coscienza sorge tra l'oggetto e il soggetto, che come derivante da una fondamentale unità. E certamente l'ateismo dell'idealismo d'oggi non sarebbe se non loAntesteo Cristianesimo primitivo, pervenuto alla ma

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turitàdel suo sviluppo mercè lo svolgimento di quel principio dell'immanenza, onde lo spiritualismo cri stiano trionfd del naturalismo greco » . (280) Niente dunque ateismo nell'idealismo attuale: non più ateo, esso, che il Cristianesimo primitivo. Tra poco ci oc cuperemo brevemente anche di questo; intanto vedia mo se colla più rigorosa negazione della trascenden za quale si vanta di essere, fra l'altro, l'attualismo, si possa ancora parlare di religione. Sicuro che si può parlare afferma il Gentile. Lo svolgimento del . lo spirito non è negare e trasformare conservando. Così la filosofia nega bensì l'astrattezza della religio ne, ma la mantiene nel sistema concreto della dia. lettica spirituale. La mantiene? Sì, perchè essa non nega la religione, ma soltanto l'interpretazione che la religione dà di se stessa, o meglio del proprio ob bieto, e mira a un concettodella realtà, in cui all'a nimo sia dato posare con la stessa fede, con la quale egli s'abbandona a Dio nel più genuino de' suoi at teggiamenti religiosi » . Ma se Dio non c'è, dove ri posa l'anima? Evidentemnete il Gentile mostra di credere che lo Spirito che, da soggetto indeterminato si fa soggetto determinato, e da soggetto si fa oga getto e poi soggetto-oggetto per tutta l'eternità, tra volgendo l'individuo empirico nella morte senza im mortalità; che lo spirito trascendentale che è pura razionalità logica che si sviluppa come una serie di sillogismi, possa sostituire Iddio Padre, Provvidenza, (280) Discorsi di religione, II. p. 83.

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Amore, fondamento delle nostre speranze e della no stra immortalità! Negare conservando! Ma che cosa. si conserva ancora della religione, negato il Dio per sonale e la razionalità del nostro volgerci a Lui? La santità, anzi ogni atteggiamento religioso, non ha per base la convinzione profonda dell'esistenza di un essere immateriale, più buono, più potente di noi, e il sentimento d'una vita più alta, alla quale ci ele viamo gradatamente attraverso la comunicazione con quell'Essere? Andate a dire a Sant'Agostino che l'Es sere nel quale il cuore vuole riposarsi è lo Spirito, il suo lo trascendentale! Andate a dire a Dante che il Dio uno e trino del suo Paradiso è l'Io trascenden tale come soggetto, oggetto, soggetto-oggetto! Anzi,de vo fare un'altra osservazione: perchè mai le incarna zioni più alte della ragione, cioè i filosofi somminon hanno mai accettatoYopinione di Senofane identica in sostanza a quella del Gentile che è l'uomo che crea il suo Dio ? Tutta la filosofia, fino all'idealismo attuale, è stata contaminata dalla trascendenza, e non s'è accorta d'una cosa molto alla portata di mano, perchè è un fatto del mondo interiore, che cioè Dio è una nostra obbiettivazione e che questa obbiettiva zione può benissimo tenere il posto, avere il valore di Dio! Nei vari millenni della sua riflessione, la filosofia, la ragione, non ha conosciuto questo suo atto fonda mentale, e, quel che è peggio, non lo vuol cono scere neanche ora, dopo che gli hegeliani d'Italia lavorano da decenni a batterlo nei cervelli dei pen

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satori! Non lo vogliono conoscere neanche filosofi dello stampo del Varisco e del Marinetti. Del Vari sco conosciamo le idee in proposito; del Marinetti sappiamo, fra l'altro, che la sfera religiosa egli vede al vertice dell'attività umana e trascendente tutte le altre forme spirituali, come fonte e fondamento del l'arte, del diritto, della morale, della filosofia. Non è un argomento, questo mio, lo so, ma è una consta tazione, che, anche da sola, deve far sorgere un non temerario sospetto contro la legittimità delle conclu sioni idealistiche. Alla religione, secondo il Gentile, spetta un luogo nella scuola, come quella che sviluppa lo spirito co me oggetto. Ma che religione può insegnare un mae. stro che sia imbevuto delle idee di Giovanni Gentile? Non deve egli risolvere la religiosità in una forma spirituale superiore, cioè in povere ed esatte parole : non deve negare continuamente Dio come trascen dente l'uomo e indipendente da lui : non deve ne gare continuamente la religione? No, dice ancora Giovanni Gentile : « se voi maestri nella scuola vorrete generare a un tratto, e fin da principio, quel lo che nel nostro spirito è il risultato di un lungo processo, voi incominciate, evidentemente, dal negare questo, che è il carattere essenziale del nostro patri monio spirituale: di essere risultato d'un processo. Il maestro deve spogliarsi del sistema attuale del suo pensiero, saper tornare alla fede ingenua de' suoi pri mi anni e comprendere il valore dell'Io che si posa e si ferma in una oggettività determinata, cioè in 251

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Dio »). (281) Non posso dilungarmi a mostrare l'in consistenza, -la impossibilità pratica, e la ributtante insincerità di questo atteggiamento religioso, che il Gentile consiglia a un maestro ateo. Di quell'atteg giamento v'è anche impossibilità teoretica. « Tu do vresti accordarmi dice, a questo proposito, il Cro ce al Gentile che, in ogni momento di un in gegnamento, c'è tutto l'insegnamento, sicchè la reli gione, insegnata dall'uomo non religioso, non è e non potrebbe essere mai altro che critica della reli. gione, e non già calda e ingenua religione tradizio nale » . (282)

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Riassumo in due parole la posizione del filosofo idealista di fronte alla religione: 1) lo sviluppo dello spirito importa una graduale negazione di Dio; è gra duale ateismo. 2) « La religione è immortale nella fi losofia », proclama il Gentile; la filosofia ideale-attua listica liquida la religione, diciamo noi. E l'idealismo che vuol far sboccare nelle sue dottrine tutto il pen siero e tutta la vita del passato, non s'accorge che i suoi schemi sono troppo stretti per poter compren dere la religione e deve rassegnarsi, nonostante le sue speciose proteste e velleità in contrario, a esser ateo; ateo non meno del positivismo e del materialismo. Il De Ruggiero, che pur segue così davvicino il Gentile, dopo aver notato la posizione peculia re della scienza della natura, che prima il Gentile

(281) La filosofia contemporanea, Vol. II, appendice, p. 268. (282) Conversazioni critiche, XV, p. 93. >

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identificava con l'arte, accentuando il momento sog. gettivo della costruzione scientifica, e ora identifica, o quasi (metto di proposito questo « quasi »), con la religione accentuando il momento oggettivo delle leg. scrive: « E' un'oscillazione che ci rende dub biosi della solidità di tutto il sopramondo della con cezione gentiliana, dove sembra che i momenti spi. rituali vengano ipostatizzati entro forme rigide e la dialettica si esplichi tra concetti fatti » . (283) Il Croce fa al Gentile una osservazione uguale. E conchiude : « Direi quasi che, secondo i bisogni sistematici, quel le scienze sono messe or qua or là, come usavano appunto i vecchi sistematici, solleciti di raggiungere a ogni costo un'unità anche apparente, anzichè di schiarire e determinare i singoli concetti secondo ve rità » . (284) Altro che attualismo ! Butti via, gli sche mi, i concetti fatti dell'hegelismo il Gentile e si acco sti senza pregiudizi di scuola alla realtà cosmico-uma na, specialmente alla realtà della realtà, la religione, e comprenderà com'è angusta, com'è lontana dal ve ro la sua filosofia dei momenti spirituali del diveni re, della realtà. La quale realtà non si pud costrin

(283) Sommario di pedagogia, vol. II, p. II, p. 217. (284) Op. cit., p. 92. - Il Gentile protesta che lo svolgi mento del suo concetto in proposito è rettilineo. Non pos so addentrarmi in una discussione di questo genere, ma è molto significativo che quelle osservazioni siano state fat te contro il Gentile proprio dal Croce e dal De Ruggiero. Per la controsservazione del Gentile vedere Frammenti di Estetica e Letteratura Lanciano Carabba in nota . p. 371

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gere nel letto di Procuste della dialettica hegeliana, com'è ricostruita dal Gentile, e si vendica di ogni ten tativo di simile costrizione, mostrandone l'assurdità.

E passiamo a dire qualche cosa del concetto che del Cristianesimo s'è Watto Giovanni Gentile, e con lui gli idealisti d'Italia.

« Ci sarà chi avrà paura di proclamare Hegel più grande di Cristo? » , si domandava qualche anno fa Giovanni Papini. (285) Ebbene: i nostri idealisti ita liani non hanno di codeste paure e proclamano, già da tempo e a tutto fiato, Hegel più grande di Cristo, l'hegelismo superiore al Cristianesimo. Dirò subito co me. Secondo loro, come si sa, la storia del pen siero umano culmina e sbocca nell'idealismo di Gior gio Hegel, passato, per così dire, allo staccio delle speculazioni dello Spaventa e del Gentile : così che l'idealismo attuale sarebbe il frutto maturo di tutto lo svolgimento della nostra ragione protesa, in mille tentativi, verso l'afferramento della realtà nella verità e nella certezza, cioè della filosofia; e tutte quindi le filosofie, nella loro parte vera e non caduca, sono per esso semplicemente dei momenti del lungo fati coso processo dell'Idea, dello Spirito verso la libertà nella verità; processo che trova il suo coronamento nell'Hegel dello Spaventa e del Gentile. Le filosofie sono momenti del graduale, lento e faticoso formarsi della filosofia unica senza plurale, come suprema e (285) Polemiche religiose, Cultura dell'anima, Carabba, Lanciano I, La religione sta 'da sè, p. 34.

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definitiva rivelazione che l'uomo fa all'uomo : l'uomo che è anche Dio, che è, come ragione, vero e unico Dio : tutto Dio e Tutto. Ed è più che naturale che tut te le fasi dello sviluppo, nei loro aspetti vivi e reali, vengano denominate da ciò che caratterizza ed è lo stadio finale dello sviluppo: idealismo, idealismo at tuale. Che è, per dirla evangelicamente, come , con trariamente alle abitudini del loro passato non molto lontano, ainano esprimersi da qualche tempo i nostri idealisti un piccolo granello di senape, il quale, quando è seminato in terra, è più piccolo di tutti i semi che sono sopra la terra; ma, dopo che è stato seminato, cresce e si fa maggiore ditutte le erbe, e fa rami grandi, talche tutti gli uccelli del cielo pos sono riposarsi sotto l'ombra sua. Il granello di sena pe è stato seminato in terra da Socrate colla scoper ta del concetto o del vero pensiero, poi è andato crescendo, crescendo di filosofia meno perfetta in filosofia più perfetta, cioè più idealistica, finchè, ec co : molti uccelli del cielo, cioè molti giovani del bel lo italo regno vanno a riposarsi all'ombra dello spi rito o della realtà come Atto puro, come mentalità attuale o pensiero pensante, beatil Tutto questo va bene, mi si dirà ancora : ma come c'entrano Cristo e il Cristianesimo? Non sono soltanto le filosofie che rappresentano i momenti storici dello sviluppo idea listico, che va dall'affermazione socratica del concet to, anzi dalla natura pensata dei presocratici, fino al l'Idea hegeliana, intesa come pensiero in atto, come atto del pensiero, come atto, atto atto, che, è tutto,

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tutto, 'tutto? Cosa c'entra il Cristianesimo, che è, non una filosofia, ma una religione, cioè una filosofia im perfetta, per ragazzi e, come tale, ottima, anzi la mi gliore, ma sempre un buon gradino più basso della filosofia, che, bontà sua, la risolve poi in sè, cavan do dal mito quel poco o molto di vero che c'è den sono più re . ligione, ma filosofia, non oggetto di fede, ma di scien za ? Se c'entra il Cristianesimo? Ma non sapete che, per il Gentile, esso non è soltanto, non è principal mente una religione, ma anche, e sopratutto, una filosofia? « E la sua grandezza - afferma l'illustre fi losofo poggia sulle verità filosofiche e morali che essa bandì, e con cui essa riuscì a trasformare la ci viltà umana, non sul suo schietto elemento religioso » . (286) Ecco : facciamo subito un'osservazione che nel Cristianesimo, alla base della dottrina religiosa, stia anche una filosofia, un complesso di concetti in torno a Dio e agli uomini e al cosmo, si capisce; e su tale filosofia, si devono fondare anche i suoi precetti morali. Ma quale filosofia? Il fondo del Cristianesimo è la filosofia della volontà e della libertà, afferma il Gentile, anzi il volontarismo idealistico. Cioè? « Il volontarismo cristiano (come dottrina della carità e dela fede) afferma il valore specifico della volontà... La realtà vera, che è quella dello spirito, non si co nosce, ma si ama, non è innanzi a noi, come spet tacolo che noi si possa anche passivamente godere, (286) Discorsi di religione, III, X, p. 129.

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tro, per esprimerlo in concetti,che ? 256

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essa è innanzi a noi soltanto se facciamo che vi sia. Quindi l'importanza capitale della fede » . E ' la fede che crea Dio, è la fede, come amore e come speran za, che cera il regno di Dio, che crea i valori spiri tuali del Bene morale e della Verità. « La realtà conchiude il Gentile - è quella spirituale che lo spi rito fa essere, e non presuppone ». (287) Non è pre supposta, ma posta dalla volontà affermante, che è fede e amore. Scrive ancora il Gentile : Il germe di vita proprio del Cristianesimo era stato il concetto dello spirito, come vera realtà, che non è oggetto di conoscenza, ma di fede e di amore; ossia dello spi rito come realtà che l'uomo non presuppone a se stesso, ma realizza e fa essere nel proprio animo in quanto vuole affermarla. Quindi un nuovo concetto dello spirito: non più concepito come intelletto l'intelletto è lo spirito che conosce il mondo o la na. tura, che non è vera realtà, ma come volontà che è lo spirito che non conosce altro mondo all'infuori di quello che essa crea », (288) che crea colla fede e coll amore. La fede è onnipotente. E non può non essere tale, poichè è, nientemenoi la sintesi a-priori, cioè la attività di Kant, che crea, che trae da sè tutto quello che conosciamo o possiamo conoscere. Tutto. Non ce lo dice il Gentile, ma un altro attualista, il De Ruggiero: « Nella vita del soggetto, scoperta da

(287) Op. cit., II, VII, p. 62. (288) Giordano Bruno e il pensiero del Rinascimento, Valsecchi, Firenze, p. 245.

17 - La filosofia di G. Gentile ;

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DI GIOVANNI GENTILE

Gesù, la fede ha già immanente quella funzione che, molti secoli piùtardi, con più ampia ma non più ener gica coscienza, sarà chiamata con nome nuovo : la sintesi a priori » . Dunque: Gesù=Kant. « La fede, in Gesù, muove le montagne : » è essa che, oggetti vando o proiettando fuori di sè degli stati d'animo, incarnando la vita del soggetto nel mondo reale, crea il sopramondo, il Regno di Dio o Regno dei Cieli, dove gli afflitti saranno consolati; dove quelli che hanno fame e sete della giustizia saranno ristorati, i misericordiosi otterranno misericordia, e i persegui tati la beatitudine. Cioè non otterranno niente, perchè questo benedetto Regno dei Cieli non esiste chenel soggetto, è una proiezione della fede e della speran za del soggetto. L'uomo cristiano crea lui, il suo Dio, come ha detto, secondo l'idealismo, Gesù. « L'amore cristiano non era più la conoscenza dell'essere, che è in sè, indipendente dalla nostra conoscenza, ma la creazione dell'essere. Non era più lo spettacolo della vita, ma la celebrazione di questa » . E nell'incarnazio ne non è Dio che si fa uomo, ma l'uomo che gene ra Dio » . Proprio così. « E Dio scendeva in terrae si incarnava in quanto l'uomo cessava di essere un va gheggiatore platonico del vero mondo che è Dio e diventava l'artefice di questo mondo, e cioè esso stes so Dio. « Ecce enim regnum Dei intra vos est » : Il che vuol dire, non : « il regno di Dio è dentro di voi », come parebbe a prima vista, a chi non ha preconcetti, ma il regno di Dio è creato, è fatto da voi : Dio e il suo regno. « Così tutta la storia del 258

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l'uomo acquista un valore insospettato dagli antichi, il valore di una vera e propria teogonia » (289), che è l'intuizione sostanziale del Cristianesimo. Siamo noi, cioè, a generar Dio, secondo il Gesù degli idealisti. Ma, insomma, esiste o non esiste, nel Cristianesimo un mondo di valori, che l'uomo non crea, ma attua e ricrea, colla volontà buona, in sè? Preesistono o non preesistono all'uomo la sfera del Bene morale e quel la della Verità? C'è o non c'è una verità da vede re, un bene da praticare? Io apro un libro di Gio vanni Gentile, e leggo: « Se per Cristianesimo s in tende il Cristianesimo di fatto, quale vien fuori dal l'Antico e dal Nuovo Testamento, esso, come dottri na, è lo stesso idealismo greco » . Cioè: « Per esso la verità è un assoluto estramondano, estratemporale. estraspaziale, estraumano » . Quindi è fuor dell'uomo, non creata dall'uomo, ma da esso presupposta, pro prio come insegna il filosofo che è agli antipodi de gli idealisti italiani: Platone. Noi, ora, domandiamo: ma c'è sul serio un altro Cristianesimo da quello che vien fuori dall'Antico e dal Nuovo Testamento? Pa re di sì: « Il vero idealismo cristiano (del Cristo che è Dio e uomo in una sola persona) afferma che la verità viene dal di dentro » . (209) Ma dove dia. mine ha appreso codesto idealismo cristiano il Gen tile? Altrove ha scritto citando una pagina di Blon ko

(289) I problemi della scolastica e il pensiero italiano, Bari,Laterza, 1913, pp. 71-72.

(290) Il Modernismo, Bari, Laterza, 1909, pp. 46-47.

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del : « Io osservo che Gesù non ha scritto nulla; noi quindi non abbiamo quella testimonianza diretta che l'uomo può lasciare del suo proprio pensiero; non ci rimane per penetrare nella sua intimità se non la coscienza che hanno avuto della sua coscienza, uomi ni semplici » cioè gli uomini semplici che scrissero i Vangeli, quelli che iniziarono la tradizione. Credo che sarà d'accordo il Gentile. Ebbene, da questi scrit tori non vien fuori, anche secondo lui, che il mondo spirituale l'uomo non lo fa, ma lo presuppone. E' vero che comeaggiunge subito, riferendo, il Gen tile secondo lui, il Blondel, che egli fa suo, pa re, quegli uomini semplici in ragione del loro difet to di cultura erano poco capaci di esprimere idee, di descrivere una vita interiore quella di Gesù - e di spiegare la propria fede. Ma, o ci basiamo su lo ro o saremo all'oscuro di tutto. E non si pensa che fra gli scrittori del Nuovo Testamento abbiamo un Luca e un Paolo, che non erano poi tanto semplici; non si pensa che la storia scritta di Gesù si alimen tava della storia non scritta, anzi di una vita nuova delle anime che avevano veduto e udito il Maestro e che conservarono nella memoria amorosa i fatti e i detti di Lui. Ebbene, tutto : scritto, tradizione, vita cri stiana è orientato verso la trascendenza, è pieno del senso della trascendenza del bene della verità. Guardi la storia, il Gentile, se crede che nei libri non si possa trovare l'immagine fedele dell'insegna mento di Gesù. La storia cristiana, nelle anime più profonde e più illuminate, è la « Imitazione di Cristo vi (

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vivo sempre nellaChiesa dei Santi che mette capo a Lui e da Lui attinge nuovi impulsi, e da Lui si ispi ra e su Lui si modella. Ebbene questa storia, questa vita non è ininterrottamente che un indice teso verso un mondopiù alto e più buono del nostro, il mondo di Dio, dov'è la ragione di tutti i valori, il perchè di tutti i dolori e le fatiche degli uomini. Il cardine di tutta la vita cristiana è l'idea di Dio; di Dio che l'uo mo deve continuamente rifare in sè coll'amore e con la fede, deve trasformarlo in vita interiore. Ma se vi cerchiamo accenti di idealismo attuale, di soggettivi. smo assoluto, di immanenza, non ve li troviamo, per chè il Cristianesimo, come scritti, come tradizione e come vita profonda delle anime, ne è la negazione. Altra è la verità cristiana, é per conoscerla bisogna essere disposti ad accoglierla, non come la si vorreb be per farne un puntello delle nostre teorie, ma come è, come risulta dalle uniche molteplici testimonianze vi che ce la tramandano. E' assurdo che tutto lo svol gimento del Cristianesimo quale si attua armonica mente in Oriente e in Occidente, negli scritti e nella vita, sia uno svisamento del Cristianesimo antico, e che la interiorità morale di Sant'Ignazio, di Agostino e di Francesco d'Assisi, non sia la stessa interiorità morale di Gesù.

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Del Bene, come ideale da attuare, il Gentile scrive : a Tutto lo svolgimento del Cristianesimo consiste nel liberarsi a grado a grado dal preconcetto della trascen denzadel Bene, per impossessarsi della coscienza della sua attuale spiritualità, o della suapresenza nell'atto

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FILOSOFIA DI GIOVANNI GENTILE

in cui lo spirito si realizza » . (291) Cioè : l'ideale di perfezione, la perfezione non preesiste all'uomo come qualche cosa da praticare, ma è l'uomo che la pone con la sua volontà. E questo è Cristianesimo! Ma, e le prove? Non è il Padre che è nei cieli il nostro ideale di perfezione? E la perfezione non consiste nell'amarlo con tutto il nostro cuore nel fare la sua volontà nell'osservare i Suoi comandamenti? E Gesù non è venuto a rivelarci il Padre? Non è la Sua una nuova rivelazione di veritàdogmatiche e morali, alle quali de ve aderire l'intelletto e che deve riconoscere pratica mente la volontà? Non è, nel Cristianesimo, la na tura distinta dallo spirito, Dio infinitamente buono, e santó, distinto dall'uomo che possiede solo limitata mente la bontà e la santità? E la vita umana non è, non dev'essere un imparare conoscere Dio Padre, un adorare Iddio Padre, un volere attivamente che venga il regno di Dio Padre, che sia fatta la sua vo lontà? Non abbiamo nel Cristianesimo tutti i dualismi e tutte le eteronomie del Platonismo? Lo confessa an che il Gentile : « Il Cristianesimo si disfarebbe di tutto il contenuto religioso, se non conservasse accan to allo spirito la natura (e, cioè, il mondo esteriore e Dio trascendente, come Verità e come Bene della natura e della grazia, dell'ordine naturale e dell'ordi ne sopranaturale), smorzando perciò il suo slancio (291) Discorsi di religione, III, X, 130.

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spiritualistico e quindi negando la libertà, e seque e strando il divino da tutto l'ambito della natura » (292) Lasciamo stare lo smorzamento dello slancio spi ritualistico e la negazione della libertà: noi crediamo che proprio il Cristianesimo come religione, come co munione dell'anima con Dio Padre trascendente, sia la fonte dello slancio spirituale non conosce i San ti il Gentile? e della libertà nella Verità piena. Osserviamo solo che se il Cristianesimo si disfacesse, si fosse disfatto fin da principio del contenuto reli gioso, $l mondo non sarebbe cristiano, perchè il Cristianesimo, come lo intende e lo vuole il Gentile, sarebbe stato semplicemente una lontana anticamera dell'Hegelismo corretto e rifatto; un cenacolo, framol ti cenacoli del pensiero, un momento, come tanti al tri, meno perfetto di altri , dello sviluppo umano. Niente di più. Ma crede sul serio il Gentile che il Cristianesimo abbia conquistato gli animi più come filosofia che come religione? E crede davvero che la filosofia del Cristianesimo sia sulla linea del nuovo idealismo? Non vi ha dubbio : è ben questo il suo pensiero : ai passi già citati aggiungiamo questo : « L'i dealismo fa sua, del Cristianesimo, la intuizione cen trale, immanentistica e spiritualistica, dello spirito che crea la sua realtà, che è l'unica realà; e attua, così, davvero il Cristianesimo primitivo. La concezione im manentisticadell'atto spirituale, così rigorosa, com'è

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(292) Op. cit. ivi.

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GENTILE richiesta dal modernoidealismo, è l'inversamento del Cristianesimo » . (293)

No, no, no! Tutto il Cristianesimo è orientato verso la trascendenza. Come sono fuori di noi e indipen dentemente da noi gli uccelli dell'aria e i gigli del campo, il monte delle Beatitudini e il Calvario, così è fuori di noi il Cielo, dov'è il Padre, ideale di perfe zione, dove ascenderà il Figlio che ha vinto il pec cato e la morte ed è venuto a rivelarci il Padre; donde verrà lo Spirito Santo a compiere la rivelazione del Figlio; dove c'è una volontà già fatta, tutta fatta e perfetta, come amore, infinito nell'intensità e nel l'estensione, tutta la verità perfettamente compresa e perfettamente sentita e goduta, dove, quindi è spie gato ab eterno l'infinito mondo di tutti i valori. E' questo, è anche questo, il Regno dei Cieli; quel Re gno che Dio vuol attuare, nei limiti del possibile, sulla terra e nelle anime, col persuaderegli uomini a fare la eternamente perfetta volontà del Padre : « ven ga il tuo Regno, sia fatta la tua volontà ». La vera volontà dell'uomo dev'essere il volere divino; l'azio ne umana dev'essere sintesi di Dio e dell'uomo, della volontà di Dio e di quella dell'uomo che la fa sua amando e sperando.

Lo spirito umano crea la sua realtà? Ma non è Dio, in sè trascendente, la realtà più vera dello spi. rito umano come suo 'ideale e sorgente di forza? Certo, Dio non è vivente, operante nell'uomo senza

(293) Discorsi di religione, II, 83. 264

la cooperazione della volontà buona dell'uomo. Cri sto è venuto a dare all'uomo Dio la vita divina. Ma Dio non è il possesso degli inerti, sibbene dei forti, degli attivi. La vita divina non palpita e non cresce nell'uomo, se l'uomo non la suscita continuamente in sè; Dio non è in noi se non lo generiamo ininterrotta mente nel nostro cuore, facendo, non a parole, ma colle opere e in ispirito e verità, il suo volere asso luto. Il Dio che è amore e che è spirito non può vi vere che nello spirito che lo ama, cioè nell'atto che lo vuole attivamente, riconoscendo praticamente la sua volontà. Ma,si noti, è colla grazia di Dio che l'uomo, secondo Gesù e la tradizione cristiana, produce e riproduce Dio in sè: è sempre Dio che si dà all'uomo. Nessuno va al Padre, se il Padre non lo trae. L'uo mo genera e rigenera spiritualmente in sè Dio sem pre coll'aiuto di Dio. Se si riducesse a questo il si gnificato delle parole del Gentile: « La volontà crea Dio creando se stessa, e crea se stessa, creando Dio » , non direbbe nulla di più e nulla di meno di quello che ha detto Gesù, quando ha promesso che tutta la Trinità sarebbe discesa nell'anima di colui che fa la volontà del Padre. Ma di immanenza, di teogonie vo lontaristiche, nel Cristianesimo primitivo non v'è trac cia. E lo svolgimento del Cristianesimo, sia come filosofia che come religione, accentua sempre più que sta, che è una delle verità centrali del Cristiane simo primitivo, che, cioè, Dio è infinitamente più di

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noi, è trascendenza infinita, dalla quale attingiamo luce e forza. Ed è proprio perchè l'umanità attende indefinitamente da Lui e da Lui solo ciò che essa non è nè può essere nè può fare da sola, che noi preghiamo e chiamiamo credendo; « Dacci oggi il nostro pane; liberaci dal male » .

lo comprendo benissimo perchè l'idealismo attua le vuol trovare nel Cristianesimo la sua ispirazione, che dovrebbe esserne anche la conferma, e perchè il Gentile non scrive, si può dire, libro od opuscolo, senza inchinarsi al Cristianesimo, o meglio senza far inchinare il Cristianesimo all'hegelismo, nel quale dovrebbe essere inverato. Anche gli ideali ti com prendono che una filosofia che non sappia assimilare il Cristianesimo, che informa la storia di due millenni, è giudicata. Anche l'idealismo sente la verità delle parole di Pietro: « Signore, a chi ce ne andremo noi? Tu hai le parole di vita eterna » . Pur troppo, queste parole non potendo il Gentile far sue, mostrandole inverate nel suo sistema, le svisa, mettendo in esse ciò che vuol trovarvi, per poi poter dire: L'idealismo in vera tutte le grandi filosofie e tutte le grandi cor renti spirituali della storia; invera sopratutto il Cristia nesimo, che della storia è la forza più universale e creatrice. Ma vi è alla stessa scaturigine del Cristia nesimo una opposizione che non si sopprime e che è il fatto fondamentale , primogenito del Cristianesi mo : opposizione dei termini Dio e uomo, spirito e materia, pensiero ed essere. Vi è una filosofia che ri . solve questo dualismo; ma essa lo risolve dissolvendo

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fatalmente la religione, mentre nessun credente pud rimanere cristiano se non accetta in sè questa grande affermazione dualisica del mondo giudeo-cristiano ellenico, che è anche la base granitica su cui poggia la nostra civiltà occidentale.Sopprimete l'opposizione, come fa la filosofia dello spirito, e il Cristianesimo non esiste più, in quanto esso poggia tutto e solo sopra una Realtà diversa e più alta di noi stessi, so pra Uno al quale ci rivolgiamo e parliamo non come a una proiezione del nostro pensiero, ma come a Co lui che è, come alla fonte della grazia, come figli al « Padre » , come a Colui da cui deriva la Vita. Se ammettessimo che Dio « si fa » , il Cristianesimo non diventerebbe più che un mito, un bellissimo mito. Cristo perderebbe ogni significato, la sua passione, il suo sangue di cui è rossa la storia di due mila anni, non sarebbe più che parole, apparenze dissolte come nebbie nella luce piena di un divenire graduale dello Spirito. « Il grido di Gesù nel Getsemani, scri ve un autore, da cui traggo questi pensieri e cito appunto perchè non è tenero per la nostra filosofia è un grido nel vuoto, verso un Padre che non l'ascolta, e tutta la grande battaglia della vita cristiana attraverso i secoli, tutta questa sete d'un Ignoto eterno, ma oggettivo e reale, che è il contenuto lievito della nostra arte e del nostro pensiero, possono essere guardati dall'alto di una catledra professorale coine la philosophia inferior dei fanciulli, a cui, diventati adulti, una divinità sola rimane : il genere umano

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principio e fine, in cui la ragione disvela se stessa naturalmente » . (204).

Tutto si può trovare nel Vangelo, con la esegesi degli idealisti che somiglia qualche volta a quella dei teosofi. Che Cristo affermi un mondo spirituale di fronte alla sfera della vita naturale, che egli insegni che, per conoscere Dio realmente e per conoscere realmente il mondo dei valori spirituali, del Bene e della Verità, bisogna amare, volere, fare che l'amore sia una fonte di luce fac et videbis; che Egli ponga il valore dell'uomo soprattutto nella volontà buona, lo sapevamo. Ma l'idealismo dimentica che il Cristianesimo è un amore per intendere, che suppone la verità bella e fatta; che è volontà che suppone l'essere, come oggetto fuori di sè. Inoltre : Dio è nella buona volontà, ma senza Dio non c'è nè buona volontà nè fede. Se l'uomo desidera di possedere Dio, gli è cheDio s'è già donato a Lui. E tutto il preteso volontarismo si riduce a questo: che non vi può essere mai certezza solida, piena sulla base del solo ragionamento e non anche su quella dell'amore e della volontà, e che soltanto l'uomo ex veritate, l'uomo retto, ascolta la voce di Dio. L'idealismo dimentica che tutto il compito del Cristianesimo si riassume nel precetto di amare Dio con tutto il cuore, con tutta l'anima, con tutto lo spirito è di amare comenoi stessi il prossimo nostro, creature di Dio, figli adottivi di Dio, portanti l'im

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(294) T. GALLARATI-SCOTTI, Vita di A. Fogazzaro, p. 491-2.

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e di (295) Vedere: Il modernismo e i rapporti, ecc., pp. 197 e 210 . (296) Frammenti di estetica e letteratura, Lanciano, Ca rabba, p. 219.

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magine della creazione e della redenzione di Dio. Dimentica che, nel Cristianesimo, tutta la morale si fonda sulla religione, che i rapporti reciproci degli uomini riposano intieramente sulla comunione del l'uomo con Dio Padre, come vedeva anche Mazzini, poichè da Dio soltanto procede il vincolo interiore che unisce gli uomini, e che la forza che spinge la volontà di ascensione in ascensione è in Dio, che dà all'uomo di potere e di volere. Voler separare, o anche solo distinguere, nel Cristianesimo, la filosofia e la morale dalla religione è impresa disperata. Morale e religione sono aspetti inseparabili di una medesima concezione delle cose una medesima vita. Il che aveva riconcsciuto, del resto, anche il Gentile, che, come aveva additati gli inconvenienti che derivano dalla separazione della morale dalla metafisica, (295) così addita gli incon venienti non dissimili che nascono dal separare l'etica dalla religione. « Come staccare nella dottrina di Gesù la fede oltremondana dalla sua etica? » (296) Non vi sono in esso dei motivi morali che non siano anche motivi religiosi. La morale, mentre alimenta la reli gione e la sostiene e la prova, affonda le sue radici nella religione, come attività interiore dell'uomo che tende alla perfezione di Dio, come comunione d'amore sempre più perfetta, più figliale con Dio Padre, verso 269

FILOSOFIA DI GIOVANNI GENTILE

il quale deve orientarsi tutta l'anima e tutta l'azione. E le famose parole: Regnum Dei intra vos est, di cui tanto abusano gli immanentisti, non significano che precisamente questo : la comunione con Dio che tira a sè l'anima, la circonda del suo amore e la bea di sè, mentre l'anima si dà senza riserve a Lui, nella carità e nella rinunzia di tuttoper appartenere a Lui solo. E che il Dio col quale comunichiamo, amando, non sia nel Cristianesimo, una fattura dell'uomo, ma il Dio del più puro teismo, lo dimostrane valore infinito assegnatoalla preghiera e la fiducia incrolla bile che Dio risponde sempre a tutte le nostre do mande. O non appartiene al Cristianesimo primitivo tutto questo ?

L'idealismo dimentica che la vita cristiana consiste nel fare la volontà del Padre celeste, che è Signore Legislatore, amico delle anime, vivo nelle anime che lo cercano, ina trascendente tutto il finito che è da Lui, per Lui, in Lui. Scrive il Gentile : « Fiat voluntas tua, dice la nuova preghiera, poichè comincia a ve dersi che questa volontà non è già fatta, non è quella natura, che come presupposto dello spirito, è un factum . La volontà divina ora deve farsi, e farsi in terra, come in cielo; farsi nella volontà umana. Il mondo pertanto non è più quello che c'è, ma quello che ci deve essere; non quello che troviamo, ma quello che lasceremo, quello che è in quanto con l'energia del nostro spirito lo facciamoessere » . (297)

(297) Discorsi di religione, II. 270

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Ecco : noi non neghiamo al Gentile il diritto di servirsi di frasi evangeliche per esprimere la sua dot trina e di mettere in esse tutto quello che vuole; ma che faccia passare per Cristianesimo il significato che dà lui a quelle parole, questo non possiamo permettere senza protestare. No, no, illustre Professo re : la frase evangelica che le è sì cara, non ha, neanche lontanamente, il senso immanentistico che Lei vi in carna. Pregando così da due millenni il credente brama, come Gesù, che nel mondo umano trionfi nel tempo la legge di Dio come trionfa dall'eternità in Cielo. Il suo significato coincide con quello dell'altra frase del Pater « Venga il tuo Regno» e la spiega. e L'anima che la pronunzia: è in fondo nello stesso at teggiamento di desiderio che caratterizza la preghiera di Gesù nell'Orto: « Non mea voluntas sed tua fiat » ; solo che questa è individuata nel dolore di un singolo, mentre quella è universale. L'idealismo dimentica che il Cristianesimo è la religione dell'amore che prega e adora una Provvi denza paterna, infinitamente perfetta e infinitamente buona, perchè infinitamente personale. E dimentica, soprattutto, che è essenziale al Cristianesimo di vedere nel Dio-uomo, non la idealistica deificazione dell'u manità e l'umanizzazione della divinità, cioè la più universale e perfetta immanenza panteistica o teo-pan teistica, ma il Redentore che concilia, Egli ed Egli solo, ima summis, cioè l'uomo con Dio, al quale, ora, per la Sua misericordia e per Gesù, gli uomini guar dano come a un Padre, vicino sì, ma trascendente,

1 271

FILOSOFIA DI GIOVANNI GENTILE

e, perciò appunto, capace di esaudire le nostre pre ghiere e di elevarci, attraverso il mediatore Gesti Cristo, a Sè, colla Sua grazia. Non si contaminano così i dogmi essenziali del Cristianesimo: sono, queste, contraffazioni che compromettono e pregiudicano chi le fa e il sistema di pensiero, in nome del quale si fanno. Ci muove semplicemente a sorriso questo pe riodo gentiliano, che formula idealisticamente il signi ficato dell'incarnazione: « E Dio scendeva in terra e s'incarnava in quanto l'uomo cessava perciò di essere un vagheggiatore platonico del vero mondo, che è Dio, e diventava l'artefice di questo mondo; e cioè esso stesso Dio » . (298)

Recentemente è stato scritto che l'immanentismo idealistico è una macchina da guerra costruita a bella posta per battere in breccia il Cristianesimo. Non credo. Il gran daffare che si danno gli idealisti intorno al Cristianesimo si spiega a sufficienza, anzi si spiega solo, se si tien conto del bisogno che sentono sem pre più forte di mostrare a sè e agli altri che le loro dottrine possiedono tanta meravigliosa vitalità da poter assimilare il nucleo più profondo del Cristia nesimo. Pur troppo, però, è verissimo che dal Gentile e da' suoi si attenta di strappare al Cristianesimo i suoi connotati storici, per ridurlo ad una approssi mazione incompiuta dei loro propri presupposti, e di chiudere a forza nel recinto della speculazione razio nalistica i valori più genuinamente caratteristici della (298) I problemi della scolastica, ecc., p. 71.

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272

CAPITOLO gesto

religiosità . Noi conosciamo i canoni di esegesi stori ca del Gentile. Lo spirito non trova nulla fuori di sè; e, nella storia come nella natura, noi non possiamo incontrarci mai se non in noi stessi, nella nostra ani ma e nei nostri concetti. E' dunque evidente che, studiando il Cristianesimo, lui non possa imbattersi che nell'idealismo, nell'immanenza assoluta. Egli scri ve: « Io non posso aprire i Vangeli... senza avere una mia filosofia: la quale filosofia sarà naturalmente fondata non su argomenti storici, appunto perchè filosofia; ma sarà per l'appunto la mia mente, e quasi gli occhi con cui guarderò dentro i Vangeli » . Ma noi, pur ammettendo che lo storico si accosta sempre al passato con una filosofia, che gli serve di criterio di valutazione di uomini e di cose, sappiamo che, e lo storico e ogni altro studioso, possono e devono, sotto pena di non meritare la nostra fede, osservare un altro canone: « Per riconoscerla, la verità, biso gna essere disposti ad accoglierla, non come la si vorrebbe, ma com'è » . E cercare e prováre, non af fermare. Affermazioni come quelle che ci ammanisco no sulla religione e sul Cristianesimo i nostri idealisti costano poco e valgono meno.

273 18 La filosofia di G. Gentile .

CAPITOLO SETTIMO.

I valori nell' idealismo attuale Noi valutiamo. Cioè, di un oggetto qualsiasi af fermiamo la sua importanza in rapporto a noi o a qualche altro soggetto: in rapporto, p. es., al nostro soffrire o godere per influsso suo. « Questo m'impor ta » ; «quest'altro non m'importa » , vuol dire, in prima e ultima analisi: « questo ha valore », « quest'altro non ha valore ». Il valore è, quindi, sem pre relativo a un soggetto al quale « importi » , e pre suppone un tendere, un desiderare del soggetto, un suo volere: vale, per me, quello che soddisfa il mio desiderio; non vale ciò che col mio desiderio non ha rapporto alcuno, nè positivo nè negativo: valenon, o è disvalore, quello che ne ostacola o impedisce la soddisfazione. Questa distinzione di tre casi diversi di valore è empirica: speculativamente non sono che due, poichè nulla ha relazione con noi, colla nostra coscienza, davanti al quale noisi possa prendere l'at

· 274 - )

CAPITOLO SETTIMO

teggiamento dell'indifferenza. Tutto cid di cui ci ac corgiamo - e quello di cui un soggetto non s'ac corge non ha vero rapporto con esso ci importa sempre, più o meno, come corrispondente o come avversante al nostro desiderio. Perciò, la radice d'ogni valore è l'attività pratica, la volontà o la no lontà del soggetto: la volontà tesa verso un bene o qualche cosa che da esso sia percepito come bene e la nolontà che rifugge da un male. Di qui il concetto del valore come relativo alle nostre aspirazioni pratiche. Anche alle teoriche, per chè il soddisfacimento che coll'attività teoretica un soggetto si procura, « importa i anche alla volontà, all'attività diretta a un fine. Senza il concetto di fine non è possibile il concetto di valore. Non solo quin di il valore delle cose relative alla nostra attività, ma anche questa stessa attività riceve il suo valore dal fine, vale in rapporto al suo fine. Delle cose ha det to bene il Varisco che « nessuna vale intrinsecamen te niente; le cose non hanno valore che in ordine a dei soggetti; in altre parole hanno l'attitudine a mo dificare un valore che già esiste, il valore di un sog getto ». E il soggetto ha,o non ha un valore intrin seco? Parrebbe di no, se, come s'è affermato, ogni cosa vale in ordine al suo fine. Ma se il fine di quel soggetto, di quell'unico soggetto autocosciente che nel l'ordine mondano siamo noi, che è l'uomo, si identifi casse colla sua piena realizzazione? Allora è evidente che il fine gli sarebbe intrinseco, e quindi gli sarebbe intrinseco anche il valore. Spieghiamoci. Dice bene il

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LA FILOSOFIA DI GIOVANNI GENTILE

Varisco: « Noi aspiriamo alla felicità. Liberarsi da que. sta aspirazione, già non possiamo; ed è più che dubbio se lo dovessimo, anche potendo. L'aspirazione a un go dimento animalesco va combattuta; combatterla, risol verla, è necessario alla realizzazione del valore; n'è parte. Ma qui si parla dell'aspirazione a una felicità da noi fondata sul valore; che sia costituita dall'ac cordo di tutti gli elementi della persona. Se una tale felicità non fosse concepibile, non sarebbe consegui bile neanche il valore; anchè il valore consiste infatti nel medesimo accordo » . (299) Cioè: la costituzione della persona coincide col conseguimento della feli cità. Kant aveva torto a separare il bonum perfectionis, dal bonum beatitudinis. Ricordate una pagina della Critica della Ragion pratica? « La virtù è la condizio ne suprema di tutto ciò che ci può sembrare soltan to desiderabile, quindi anche di ogni nostra ricerca della felicità e quindi è il bene supremo. Ma non per questo essa è il bene intero e perfetto, come oggetto della facoltà di desiderare degli esseri razionali finiti: poichè per questo bene si richiede anche la felicità, e invero non semplicemente agli occhi interessati del la persona, che fa di se stessa lo scopo, ma anche nel giudizio di una ragione disinteressata, che consi dera la virtù in genere nel mondo come fine in sè. Poichè aver bisogno di felicità, ed esserne anche de. gno, ma tuttavia non essere partecipe di essa non è

(299) I massimi problemi, - Conclusione, p. 231. p .

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affatto compatibile col valore perfetto di un essere ra zionale, il quale nello stesso tempo avesse l'onnipo tenza ». Dunque il sommo bene perfetto è costituito essenzialmente di due elementi : la virtù e la felicità; che sono, però, in Kant, elementi diversi specifica mente, e di diverso valore: quella è la condizione as soluta e suprema del sommo bene, questa è la con seguenza della prima. « Le massime della virtù quelle della propria felicità sono affatto differenti ri spetto al loro principio pratico supremo, e ben lungi dall'esser concordi, benchè appartengano a un som mo bene e lo rendano possibile, nello stesso sogget to si limitano assai e si recano pregiudizio » . Perciò lo sforzo di essere virtuoso e la ricerca razionale del la felicità sono due azioni non già identiche, ma dif ferenti. (300) Noi non accettiamo questa dottrina, per chè sappiamo che il bene eudemonologico, inteso ret tamente come felicità razionale, e il bene etico inteso come costituzione della persona, sono un unico bene non solo oggettivamente, ma anche nel possesso sog gettivo. Quindi, a dimostrare la esistenza di Dio o la immortalità dell'anima, noi non adduciamo, fra l'altro, come Kant, due prove distinte, e diverse, ma una so la : l'esigenza del sommo bene della persona, ossia l'attuazione dei suoi supremi valori, la virtù e la feli cità, non come due, ma come uno, e non attuabili che sul fondamento delle due verità sopraccennate: l'eternità a parte post della nostra persona, e Dio;

(300) Trad. it., 1. II, cap. II, p. 131.

CAPITOLO
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LA FILOSOFIA DI GIOVANNI GENTILE

(301) Teoria dello spirito, X, p. 125.

cioè l'attuazione e la permanenza dei valori, e il fon damento di essi. Abbiamo dimostrato : 1º che non c'è valore se non c'è un soggetto a cui importi. - 2º Che il va lore coincide colla felicità, come attuazione della per sona. E ora vediamo come si tenga conto dell'idea lismo attuale di queste due verità, che a noi paiono evidenti. Nella filosofia del Gentile, come ora deve essere chiaro, i singoli soggetti, quelli che noi chiamiamo soggetti umani per limitarsi a questi non han a no alcuna realtà fuori del soggetto unico, che è l'at tualità del pensiero; sono mere parvenze effimere che assume l'Io trascendentale nel suo divenire; l'espe rienza pura come sintesi totale, per essere concreta, deve, per così dire, dirompersi in esperienza parzia li, nelle quali però non perde la sua totalità, l'infinita sua unità o unificazione come coscienza di tutte le coscienze, o come autocoscienza infinita, eterna che si pone nel finito e nel temporale senza perdere in essi e per essi i suoi caratteri divini. « Questa per sonalità, per cui entriamo nel mondo del molteplice e degli individui naturali, nel senso aristotelicocioè nel senso comunemente accettato è radicata in una personalità superiore, e soltanto in essa è rea le » . (301) Conseguentemente anche i nostri valori, non sono reali che in quanto sono valori dell'unico soggetto. Il valore è dello spirito, non della natura, 278

non del molteplice come tale, non di quei soggetti che non sono soggetti, ma oggetti. E lo Spirito, il soggetto unico non valorizza mai gli oggetti in quan to oggetti, poichè tutta la realtà e tutto il valore so no del soggetto. «La vita, la realtà dello spirito è nell'esperienza (nella natura di cui l'esperienza è co scienza); ma esso ci vive dentro senza essere assor bito e senza diventar mai esso stesso natura, anzi conservando sempre la propria infinità o unità » . (302) Se lo spirito non diventa natura, è chiaro che la na tura non diventa valore. Lo spirito proietta il proprio valore nell'oggetto, nel regno del particolare, ma è una semplice proiezione priva di ogni qualsiasi real tà. « Io, in quanto attribuisco, o riconosco, al molte plice il valore, non sono uno degli elementi del mol teplice, ma l'Uno, l'attività, in se stessa immoltiplica bile, e perciò principio della moltiplicità » . E' solo reale questa moliplicità, la moltiplicità, cioè, « che non si astrae dall'attività che la pone e non è astrat tamente molteplice (com'è quella si noti per cui io e mio figlio siamo numericamente due, e io coi miei genitori facciamo numericamente tre), ma si realizza nell'unità stessa attuale dello spirito» . La molteplicità per la quale io e tu, lettore, siamo due, è la molteplicità falsa impietrata che ci fa uscire dal seno dell'eterno divenire e ci getta nell'astratto e as surdotempo;èlamolteplicitàfalsacaotica; ilperchè io non sono mai riuscito a capire e so che un per (302) Op. cit., cap. cit., p. 126.

CAPITOLO
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chè non c'è, ma tiriamo via e domandiamo piuttosto qual'è la moltiplicità vera e sentiremo dirci che la moltiplicità vera è quella che lo spirito non fissa a naliticamente (uno, due, tre, quattro...) ma quella di cui vive, e che è l'immanente sua posizione; la mol tiplicità che esso, lo spirito, assorbe eternamente in sè: cioè la molteplicità che è unità: che cosa può es sere altro che unità, se reale è soltanto il soggetto unificante, Uno, in quanto Uno e unificante? La na tura non è reale che in quanto si distingue come na tura o molteplicità. Ecco perchè il soggetto empirico muore: muore perchè non è reale; tutto quello che a importa » a lui come a uno fra i molti, è un im portare irreale, fondato su falso vedere empirico; non speculativo; da non tenerne conto, insomma, come non si tiene conto dei sogni o delle allucinazioni, L'immortalità è tutta una con la permanenza dei va lori, e tutti e soli i valori reali sono permanenti. Noi, esseri empirici, moriamo, perchè non valiamo. Svi luppiamo questo concetto dell'idealismo.

« L'affermazione dell'immortalità dell'anima è im manente all'affermazione della stessa anima, che è il più semplice, elementare e, quindi, imprescindibile at to del pensiero; il quale non può essere meno che Io, affermazione di sè »). Benissimo. E' proprio questo uno degli argomenti che noi adduciamo a prova del la sopravvivenza senza fine dell'anima al corpo. Eb bene: che cosa importa questa primissima e fonda mentale realtà, questa affermazione ch'è la base di tutte le altre? Ossia: qual'è il significato dell'immor

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talità? o dell'affermazione che l'anima non può subi re la vicenda delle cose transeunti? « Ecco : l lo do. mina lo spazio e il tempo : e si oppone alla na tura, unificandola in sè e trascorrendo da un ter mine all'altro di essa, nello spazio e nel tempo, anzi spingendosi di là d'ogni termine » . (303) E' immen so direbbe la teologia. Lo spirito perciò non può u schierarsi in mezzo al molteplice che sorge col por re un altro da sè, senza pur intravvedere che gli so vrasta e lo domina e ne trionfa, sottraendosi alla sua legge. Poichè l'Io non è soltanto posizione d'altro e opposizione di sè a quest'altro e moltiplicazione. E' anche, e prima di tutto, unità, per cui tutti i coe sistenti dello spazio si abbracciano d'un solo sguar do nel soggetto, e tutti i successivi neltempo sono compresenti in un presente che nega il tempo » . (304) Concetti, questi, che ora ci devono essere famigliari. E come lo spirito, l'Io, intravvede subito e sempre la sua superiorità dominatrice sul molteplice? Il Gentile ce lo dice in bellissime dal suo punto di vista e concettose parole, Il soggetto, l'Io, s'accorge del valore della propria affermazione, ossia del suo por re l'oggetto e contrapporvisi. Nella sua affermazione c'è infatti, la discriminazione del vero dal falso : es sa è, cioè, un giudizio'valutativo : niente si pensa se non come vero che si distingua dal suo contrario. E il vero è quel che è, uno assoluto, necessario. Il

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(303) Teoria dello spirito, Cap. X, p. 120. (304) Op. cit., X, p. 121.

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GENTILE

vero non può, quindi, essere molteplice, temporale e spaziale come le cose della natura, ma deve trascen derle e le trascende di fatto, pur come pensiero ne cessario delle cose della natura stessa: anche il pen siero del relativo è assoluto, e la verità di esso, ogni verità, si pone come eterna. Ma l'eternità del vero, importa l'eternità del pensiero in cui il vero si mani festa e che è, in fondo, identico con esso. Così la. trascendenza del vero importa la presenza dell'eterno nello spirito e, quindi, la trascendenza di questo su tutte le creature, che succedono nel tempo: importa cioè la vita oltremondana. « Tutti i motivi a cui si appoggia ogni fede nell'immortalità si risolvono nel l'affermazione dell'assolutezza del valore di tutte le affermazioni dello spirito », o, in altre parole, « l'im mortalità èaffermazione che il soggetto fa di sè, del proprio assoluto valore ». Perciò la religione, presa nella suaposizione ideale, è negazione dell'immorta lità, perchè nega il valore del soggetto, e solo in quan to l'atteggiamento religioso è contaminato dalla filosofia, che è coscienza dell'immanente rapporto dell'oggetto col soggetto e pone questo come crea tore di quello, è in grado di affermare l'immortalità. Tutte le religioni connettono il con cetto dell'anima al concetto di Dio, che non an nienta le sue creature più nobili; secondo la reli gione sarebbe Dio che pone in ultima analisi l'ani ma immortale. Pare, ma non è cosi, dice il Gentile. « Non « Non il concetto di Dio pone l'anima immortale, ma il concetto di Dio in quanto nostro

pare a noi 28%

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CAPITOLO SETTIMO

concetto, e, quindi, manifestazione della potenza del lo spirito; ossia il concetto della nostra anima... E' il concetto della propria immortalità, o dell'assoluto valore della propria affermazione, che genera quel concetto di Dio a cui si connette il concetto di una anima immortale; ovvero il concetto di un Dio vero e proprio, che è un essere eterno ». (305) Le parti so no, come si vede, invertite: la filosofia idealistica at tribuisce al soggetto, al valore assoluto del soggetto, quello che il realismo predica dell'oggetto degli og getti : di Dio; per gli idealisti l'uomo è immortale e Dio esiste, perchè lo spirito ha un valore assoluto. E l'immortalità è la spiritualità stessa dello spirito anzi di ogni momento e di ogni forma di attività spirituale.

Immortale è ciò che è fuori del tempo : è « la personalità superiore che contiene la personalità em pirica, per la quale, nascendo, entriamo nel mondo del molteplice, e tutte le altre empiriche personalità e quanto altro si dispiega nello spazio e nel tempo, é non si può dire che sia prima del nascere dell'altra e dopo del suo morire; perchè questo « prima » e questo « dopo » farebbero decadere lei stessa dall'u no nel molteplice... ma è fuori di ogni «prima » e <<dopo », di contro al tempo che essa fa essere nel l'eterno » . (306) Ma l'eternità dello spirito è la stessa mortalità della natura. « Perchè la unità dello spirito

(305) Op. cit., cap. cit., p. 123. (306) Op. cit., cap. cit., p. 125-6.

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FILOSOFIA DI GIOVANNI GENTILE

è l'intelligibilità della molteplicità naturale. La quale, non presa in astratto, è la natura dello spirito (il mol teplice dell'uno); e perciò partecipa dell'immortalità di questo, ma distruggendovisi come natura; che è ap punto quel che accade». (307)Lo spirito, mentre dà vita, dà morte, perchè assorbe in sè la vita. «La vi ta che non fosse morte dell'oggetto posto dallo spi rito, importerebbe l'abbandono dell'oggetto da parte dello spirito stesso: una vita impietrata, la morte as soluta » . La nostra personalità empirica è immortale appunto perchè muore : « la vera vita s'immedesima nella morte » ; ecco perchè s è affermato che la im mortalitàdel molteplice è nellasua eterna mortalità. Conchiude il Gentile: « La sola immortalità, adun que, alla quale si possa pensare e alla quale effetti vamente siè sempre pensato, affermando l'immortalità dello spirito, è la immortalità dell'Io trascendentale; non quella, in cui si è fantasticamente irretita la mi tica interpretazione filosofica di quest'immanente af fermazione dello spirito, l'immortalità dell'individuo empirico » . (308) Il regno dell'immortalità è nell'atto, come puro atto dello spirito, fuori del quale nulla vi è che non sia astrazione. E' mortale l'individuo aristotelico, che è pur quello del pensare comune; ma consoliamoci - è immortale l'individuo comeatto spirituale, che è l'individuo non individuato, ma che eternamente s'individua in nuove forme effimere

(307) Op. cit., l. cit., p. 130-1. (308) Op. cit., X, p. 121.

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CAPITOLO SETTIMO

(309) Teoria dello spirito, X, p. 128.

come forme particolari dell'Io eterno. Domandiamo: è questa la immortalità a cui aspira la natura umana? che vuole il cuore dell'uomo? che corrisponde, cioè, agli interessi più intimi e più concreti dell'individua lità spirituale? Pare di no. Il cuore ci chiede invero l'immortalità dell'empirico, oltre che del trascenden tale. Ci chiede l'immortalità del nostro essere indivi duale, così com'esso si concreta in un sistema di relazioni particolari, appoggiandosi alla concretezza positiva degli individui naturali. « L'immortalità mia è l'immortalità di tutto ciò che ha valore per me, va lore assoluto: quindi mia, p. es. e dei miei figli e dei miei genitori, che formano insieme con me un complesso molteplice di individui. Il che, in generale, vuol dire, che l'immortalità mia si concreta nell'im mortalità del molteplice ». (309 Precisamente! Perciò pare che si dovesse concludere all'esistenza di un inconciliabile contrasto fra le ragioni del cuore e l'idealismo. Ma il contrasto è pura apparenza, mi av. verte il Gentile. L'idealismo soddisfa a tutto, a tutto, a tutto. « E non lascia insoddisfatto - neanche nella questione che qui ci interessa - alcuno dei bisogni del nostro cuore. E come mai? Prima di dirvelo e di sciogliere il terribile enigma, il Gentile ci ammo nisce e mette le mani innanzi. Se tu non riesci a persuaderti è segno che non ti sei messo al punto di vista del nostro idealismo « insistente sempre nella necessità di ravvisare la realtà nella sua indefettibile 285

DI GIOVANNI GÊNTILE

0 (309 a) Op. cit., X, p. 127-8.

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condizioned'inerire al pensiero, comepensare attuale». Ebbene: ecco, io mi colloco a codesto punto di vista; che devo fare dell'altro ? Mi ammonisce ancora il Gentile : devi star attento a collocarviti con tutti e due gli occhi, e non guardare con un occhio al pensiero concreto, in cui la molteplicità è molteplicità dell'uno, e la natura perciò è spirito; e con l'altro al pensiero astratlo in cui la molteplicità, non è altro che molte plicità e la natura è natura, di là dello spirito. Niente altro ? Ecco fatto. - E ora statemi a sentire, par che dica l'autore dell'Io trascendentale come atto puro, in cui si trovano, morti, tutti gli io empirici. Statemi a sentire. « Conviene considerare, che io, in quanto attribuisco al molteplice il valore, per cui sento il bisogno di affermare l'immortalità, non sono uno degli elementi del molteplice, ma l'Uno » . Con vien considerare inoltre che la molteplicità di cui mi preme, e non pud non premermi di affermare la im mortalità è la molteplicità che ha valore, cioè che non è più molteplicità distinta numericamente mio fratello, il babbo, la mamma, come uno, due, tre, quattro ma la molteplicità che muore nell'u nità. (309 a) Par di sognare. Ma, professore, dice sul serio o scherza ? Dice sul serio e ci illustra l'af fermazionc con un esempio. Noi di un'opera d'arte affermiamo l'immortalità. Ma quale immortalità? Quel la di un'opera tra le opere, come fatto, fuori dello spi rito? Neanche per sogno. La sua immortalità è nello 286

spirito che la apprende, la gusta, la ricrea in sé.Va bene. Ma l'opera d'arte resta o non resta quella particolare opera d'arte ? Lo spirito, ricreandola, la distrugge forse ? ne fa morire in sè la peculiare invidualità che la costituisce? La Pentecoste e I Sepolcri restano sempre sempre La Pentecoste I Sepolcri? Invece, nell'idealismo, mio padre, fini to che abbia la sua vita empirica, cessa di essere mio padre; mio fratello cessa di essere mio fratello; l'esempio è fuori di posto. Il Gentile, a proposito di immortalità, ha scritto dei bei pensieri: questi: « Dio o un nostro figliolo, o la nostra madre, o il frutto dell'opera nostra, che è la nostra proprietà, o il frutto del nostro ingegno che è la nostra filosofia, la nostra arte, tutto cid che vale per noi, ha un valore, in quanto il suo valore trionfa dei limiti della nostra vitanaturale, oltre la morte, nell'immortalità. E l'uo mo con quella stessa aspirazione onde si ricongiunge a Dio e a' suoi morti, che non sono più nel mondo dell'esperienza, in un altro mondo, si ricongiunge pure in questo a quelli che ci rimangono, ai suoi eredi , a cui lega il frutto del suo lavoro, e ai suoi posteri cui affida e tramanda la creazione del suo spirito: perchè tutta la personalità s'eterna in tutto cið che ha per lui valore, come realtà della sua propria vita » . (310) Certo. Ma se mia madre, se mio fratello o il mio figliuolo morti non sono più come mia ma dre, mio fratello e mio figliuolo; se tutto quello che (310) Op. cit., X, p. 123.

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LA FILOSOFIA DI GIOVANNI GENTILE

essi avevano di peculiare e per cui erano congiunti con me nell'intensità dell'amore, se tutto è sparito, se non è più, che valore possono avere per me, ora, quelle creature adorate e piante? E che conforti può dare al mio cuore il sapere che lo spirito che pen. sava in esse è eterno, arricchito del loro pensiero, del loro amore, della loro vita che ora non è più , non sarà più ? Io ho bisogno di guardare oltre la tomba, oltre il letto della loro agonia e di vederle ancora, di saperle vive, vive, vive e per sempre quelle creature adorate e piantel E il mio stra zio è senza nome se le peculiarità che io amavo in esse non sono più, mai più. Se il Gentile mi dirà che la filosofia non confortare i cuori, per rendere più bella la vita e meno terribile la morte, ma per dire la verità, io l'ascolto; non con vengo con lui, ma l'ascolto; ma quando mi viene a dire che la sua dottrina che afferma la mortalità del l'Io empirico risponde ai bisogni, a tutti ipiù pro fondi bisogni del cuore, non l'ascolto più, perchè mi riesce difficile pensare che sia veramente convinto di quello che insegna. Ad ogni modo io so che difende una causa disperata. E se non sapessi per altra via che è di ottimo cuore, direi che non sa cosa sia il cuore. E lasciamo il cuore.

esiste per

I singoli soggetti, come tali, non sono, dunque, nell'idealismo immortali. E non hanno valore perchè sono, 'non soggetti, ma oggetti, e il valore è del sog getto. E anche se avessero valore, il loro valore non sarebbe che apparente, appunto perchè il. vero

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CAPITOLO SETTIMO

valore permane e loro non permangono. Invano hanno sofferto e gioito, lavorato e lottato; invano hanno compiuto sacrifici e rinunzie e atti di eroismo, invano hanno amato e odiato. Invano, intendo, dal punto di vista della loro persona, nella quale soltanto consisteva il valore completo di questi atti, come atti spirituali. Non invano per gli altri, pare, per altri soggetti, per la vita universale che ebbe incremento dall'opera loro. Ma poichè anche gli altri soggetti sono privi di valore e la vita universale dell'espe rienza è percið stesso, nè bene nè male, consegue che il valore non è, come s'è ripetuto, che del Sog getto Unico, dell'Io trascendentale, dell'atto del pen siero uno, infinito, eterno. In esso sono conservati tutti i valori, nell'eternità. E in che consiste il valore suo 'L'abbiamo già veduto: nella sua spiritualità. Il valore è lo spirito in quanto spirito, etutto ciò che vale attinge il suo valore da esso. E lo spirito si distingue dalla natura, da cid che, fuori di esso, non ha valore, per un carattere radicale; la natura è con tingente, lo spirito è necessario : la natura è ciò che è e non dev'essere, non è necessario che sia, mentre lo spirito non è se non in quanto deve essere. Non si può pensare che il pensiero non sia. In questo suo dover essere sta il suo valore. Lo spirito come autoctisi, ossia la realtà « ci si presenta in infinite forme, poichè infinite sono le forme in cui si realizza il pensiero: ma queste forme infinite son tutto quello che sono in quanto essere del pensiero che pensa. Ebbene: « intendere questo essere del pensieroè inten

19 La ' filosofia di G. Gentile . 289

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dere la necessità di cid che deve essere, ossia di cid che ha valore » . (311) Naturalmente il dover essere si pud predicare soltanto del pensiero pensante, che è attività, produzione, creazione, o realtà in via di prodursi, unità di realtà e di idea, coscienza e auto coscienza. Tale essere unico del pensiero, in cui la realtà è idea e l'idea è realtà, in cui, cioè, la realtà si idealizza in quanto si realizza, e l'idea si realizza per idearsi, questo è la necessità, il dover essere di cið che ha valore. (312) « Lo spirito come unità di reale e ideale è ciò che deve farsi, ed è bene farsi, male non farsi, ciò che propriamente e solamente è necessario. Cid che è, che è fatto, non ha valore, in quanto il valore è del farsi, perchè solo il farsi è bene e verità, sintesi, come s'è veduto, di pensiero e di volontà, di certezza e di verità, cioè di soggetto e oggetto, di amore e di speculazione, di necessità e di libertà, ossia di dover essere che non può non essere : è valore assoluto.

Il divenire compenetrato di pensiero, reso possi bile dal pensiero, è tutt'uno col pensiero, è fare la verità, fare il bene; è, quindi, realtà libera e morale, cioè il compendio di tutti i valori. L'universalità della volontà libera è il bene; l'universalità del pensiero libero è la verità; e, poichè volontà e pensiero sono, in fondo, tutt'uno, sono la sintesi concreta dello spi rito, anche verità e bene sono la cosa stessa. Lo spi (311) Sistema di logica, Vol. I. · P. I, p. 92. (312) Op. cit. p. 93.

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rito che è verità è anche, proprio in quanto è verità, bene. Tutta la realtà si riveste così di un profondo carattere morale, che possiamo riassumere in poche parole: «La concezione spirituale della vita comlucia dall'avvertire che se il bene fosse all'origine, noi non lo potremo fare; e il bene che non si fa non è bene. Esso perciò non è presupposto, ma risultato della vita e della storia. La quale non è decadenza ma è progresso; non è impoverimento e logorio della realtà, ma arricchimento e rinvigorimento. La felicità a cui il volere tende, non è la condizione di esso, ma la stessa realtà che esso realizza: la quale felicità, perchè pienezza di essere, è perfezione, ma essendo di qua del volere, è morale, coincide appunto con la stessa virtù o atto del libero volere » . (313) Percið in ogni atto spirituale si fondono insieme tutti i va lori speculativi, tutto il valore eudemologico e tutto il valore morale; si fondono in una eterna mediazio ne, in un eterno farsi dialettico. Nè si opponga che l'atto spirituale, dovendo essere quello che è, doven do divenire come diviene, non può essere morale appunto perchè il carattere del suo divenire è la necessità. Chi così oppone non ha capito che su prema necessità è suprema libertà dice, per tagliar la testa al toro, il Gentile. Certo, lo spirito deve di venire come diviene, cioè deve porre l'oggetto, sè come oggetto, e deve risolvere eternamente l'oggetto nel soggetto. Il che viene a dire che l'atto deve es

(313) Discorsi di religione, III. pp. 110-1.

non

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1 (314) Sistema di logica, P. I. p. 115.

sere atto, che l'atto non può non svolgersi dialettica. mente, e la difficoltà viene a mutarsi in quest'altra: Perchè l'atto ? Domanda assurda com'è assurda, nelle filosofie dell'essere, la la domanda : Perchè l'essere: L'atto o lo spirito come atto, è l'originario, l'assoluto, il dover essere, il dover agire: è la sua natura. « La libertà del soggetto è un'astrazione, ove non s'im medesimi col suo opposto; poichè già la sua natura consiste nel suo immedesimarsi con questo. La libertà pertanto, quando non sia una vuota parola, accen nante ad una astratta individualità, si attua nell'ogget tivazione del soggetto, e si risolveperciò nell'oggetto, che, determinando il soggetto, ne limita la libertà e gli si oppone, infatti, come il suo contrario. Ed ec co la necessità, in cui pare venga meno la libertà, mentre essa tocca si può dire il solido terreno del reale: la necessità del vero, come determinazione, e cioè posizione reale della libertà del soggetto. La necessità è la posizione dell'oggetto come realtà del soggetto » ; posizione necessaria : perchè il sog getto è soggetto in quanto si oggettiva, si conosce, si media, si realizza. Quindi la suprema necessità del soggetto in quanto oggetto a sè stesso, sub spe cie obiecti, ha riscontro nella suprema libertà del me desimo sub specie subiecti. (314) Così si è risposto, più che implicitamente a un'obiezione che può sorgere in molti, che concepiscono l'oggetto come condizionante il soggetto; così: « Il passato confluisce 292

nel presente; la molteplicità si risolve nell'atto dello spirito; dunque il presente è condizionato dal passato, la concretezza dell'atto uno dal molteplice » . Ma, a questo punto, conosciamo la risposta: la condizione non è da concepire come divisa dal condizionato, come limitante il condizionato. Il rapporto tra la molteplicità e l'unità è quello disintesi, nella quale nè il condizionato è assorbito dalla condizionecome voleva la vecchia metafisica dell'essere, col suo concetto di causa efficiente nè la condizione si perde nella realtà condizionata - come tendeva a fare l'empirismo col suo concetto della causalità' em pirica, o dell'assoluto come semplice effetto in cui si risolva la causa ma il condizionato è nella con . dizione o nell'incondizionato che lo pone, cioè lo condiziona senza staccarlo da sé. « La realtà non si sdoppia, ma si mantiene nella sua unità, pur distin guendosi in condizione e condizionato: perchè non c'è metafisica e empirismo che possa rappresentarci la condizione nel suo immanente rapporto col con dizionato, nè questo nel suo rapporto immanente con quello, se non come unità dei due termini » . (315) Unità dialettica, di pensiero, dove l'identico genera il diverso autogeneticamente, autogeneticamente l'Uno è principio dell'altro, del molteplice: dell'essere, che, come s'è veduto, è necessario. Ma, osserva il Gen. tile, la necessità dell'essere coincide con la libertà dello spirito. Perchè l'essere, nell'atto del pensare, è (315) Teoria dello spirito, XII, p. 163.

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l'atto stesso: il quale, non è, ma si pone (e quindi, è libero), non presupponendo nulla (e quindi è ve. ramente incondizionato). La libertà è assolutezza, ma in quanto l'assoluto è causa sui. E si noti : « Sur che suppone il sè, il soggetto, l'autocoscienza, onde l'essere causato non è effetto, ma fine, valore: il ter mine a cui si tende, e che si conquista » . (316) Così la libertà coincide con la necessità, ed è, perciò, as soluto valore, assoluto dover essere cosciente, autoco sciente, come assoluta verità e come assoluto bene. Valore teoretico e pratico insieme, perchè il conoscere è anche volontà, libertà, tutta la libertà. Valore infi nito. Almeno così affermano gli idealisti; vediamo se è vero.

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a c (316) Op. cit., XII. p. 267.

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In una concezione della realtà, dove il valore non abbia di contro un disvalore, nulla vale. Perchè il valore suppone la distinzione del bene dal male, della verità dall'errore. E questa distinzione, nell'idea lismo attuale, nonsi trova, non si può trovare, a dispetto di tutte le affermazioni in contrario del Genti. le e dei « seguaci sui » . Infatti: di reale, secondo il Gentile, non c'è che l'attualità del pensiero, il dive nire come atto e l'atto come divenire. Tutto cid che è pensato, ossia, sempre il pensiero che pensa, è verità, la Verità: la verità e il bene, perchè l'atto è identità di pensiero e di volontà. «Il pensiero asso lutamente nostro o assolutamente attuale, è vero ap punto perchè nostro o attuale. Quello che attualmente 294

pensiamo, se lo pensiamo, lo pensiamo come verità » . (317) E si noti che nel Gentile non esiste, distinta dalla teoretica, una forma pratica economica dello spirito, una forma passionale a cui si debba, col Croce, attribuire l'errore, per salvaguardare l'autorità del pensiero. L'atto del pensiero è tutto, ed è quello che è, quello che deve essere, cioè la verità e il bene: è tutta la verità (bene) nient'altro che la verità. La verità è verità senza ombra di opposizione, di errore, è tutto il bene senz'ombra di opposizione di male. E se non c'è opposizione non c'è dialettica, se non c'è dialettica addio il farsi, il crearsi, la libertà del dover essere, il valore! - Ma l'opposizione c'è, mi sento dire: quella dell'astratto e del concreto « La verità è bensì del conoscere puro, ma non è dell'astratto sog. getto nè dell'astratto oggetto, nè della loro astratta posizione, poichè il conoscere è il superamento di tutte queste astrattezze » . (318) Va bene: l'astrattezza è il combustibile che il pensiero distrugge e pone eternamente per distruggere : il combustibile non an cora incenerito, e, quindi, momento essenziale e ine liminabile.

La verità è nel logo concreto che dissolve a volta a volta l'organismo anteriore del pensiero da cuisia fuggita la vita e restaura un altro vitale organismo. E che, cos'è il combustibile, l'opposizione da vincere? Cid che non è spirito, non è attualità, non è presen

(317) La riforma della dialettica hegeliana, IX p. 248. (318) Sistema di logica, P. I. p. 247.

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te. Il passato dunque, il fatto? Si. Il passato è la na tura, cioè il pensiero che s'è pensato e non si pensa più, il pensiero non attuale, non più attuale, la verità che non è più verità, l'errore. Il combustibile, ossia il momento dell'opposizione da vincere, necessario al concetto del logo concreto e della verità e del bene, è l'astratto, il passato, la natura, l'errore - Natura il male, che è tutt'uno con l'errore, co me il bene è tutt'uno con la verità. Scrive, un po' astruisamente, il Gentile: « Il male morale è il non essere di quell'essere che non è propriamente essere, ma èpiuttosto divenire: ossia non è essere immediato, ma essere mediato. Il bene è l'universale; ma si attua nella mediazionedell'essere spirituale; e il male non è se non il non -essere di quell'universale, o di questa mediazione. Il male è percid quell'essere immediato, che è la natura veduta dallo spirito » . (319) Dunque c'è l'opposizione e c'è la dialettica degli opposti. Infatti : l'errore e il male sono il non essere di quello spirito, che è sì veritàe bene, maa patto di farsie vin cendo il suo interiore nemico (l'errore, il male), con. sumandolo, e avendone quindi bisogno per vincerlo, consumarlo, come la fiamma ha bisogno del combu stibile. Uno spirito che è già spirito (che non si fa, non diviene) è natura. L'errore è dunque nella ve rità come suo contenuto che si risolve nella forma; il male è nel bene, onde il bene si nutre. (320) 296

e (319) Discorsidi religione, III - 123. (320) Teoria dello spirito, XVI - 211.

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FILOSOFIA
sive error,

CAPITOLO SETTIMO

« Errore c'è nel sistema del reale, in quanto lo svi luppo del processo di autoctisi, che ha come suo momento essenziale la propria negazione, pone l'er. rore stesso come suo momento ideale, come una po. sizione, cioè già superata, e quindi svalutata ». (321)

E se lo spirito è il presente, il male o la natura sa rà il passato, il passato che è l'interna sostanza del presente. L'errore è un atto decaduto in fatto, un pre sente che è passato, ed è questo anche il male mo rale; in altre parole l'errore è una verità passata, il male è una moralità passata. La natura (l'errore, il male morale), è il passato dello spirito; è ciò che nello spirito appare altro o diverso da sè, ma che in realtà è lo spirito stesso in un grado anteriore della sua esistenza, messo in confronto e posto in relazio ne col suo grado attuale. Il male è quello che pen savo (volevo) l'anno passato, ieri, un momento fa! Croce osserva, a tutta ragione: « Il passato! Ma io, (e, comeme, ogni uomo),nell'esaminare le proposi zioni da me pronunciate in passato, distinguo assai bene quelle di esse che furono pensieri, poveri pen sieri, ora ravvivati e arricchiti nel nuovo pensiero; e quelle che non furono pensieri, ma semplici nomi senza significato o senza significato preciso, a no imposti o suggeriti dalle condizioni pratiche nelle quali mi trovo. E delle prime mi compiaccio e delle seconde arrossisco; sulle prime continuo a costruire, le seconde abbatto e sgombro via per gettar le basi (321) Op. cöt., Cap. XVI, pag. 209.

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della nuova costruzione; le prime sono soluzioni che si legano alle nuove soluzioni, le seconde velano pro blemi da proporre e risolvere. Così, del pari, nelle mie azioni passate, distinguo quelle sulle quali la mia coscienza scorre tranquilla, dalle altre che mi turbano come male da riparare o che hanno gettato sul mio animo radici le quali conviene estirpare, perchè il male non si rinnovi »). (322) La questione dell'errore e della verità, del male e del bene ridotta a una semplice questione di ieri e oggi, di prima e di poi!L'errore è tale solo quando, nello sviluppo dello spirito, è superato; prima era u na santa verità! Tutto ciò è logico nell'idealismo at tuale, ma è anche una reductio ad absurdum di tutto il sisterna . Ed è logico l'idealismo attuale anche quan è do identifica la pazzia colla sanità mentale, poichè anche il pazzo pensa e il pensiero guardato in sè è sempre sano; ma, ripeto, una dottrina che sostiene assurdi simili è, se non mi sbaglio, giudicata. Si no ti che l'errore e il male non sono nè errore nè male mentre il primo si pensa e il secondo si fa : nell'atto sono verità e bene. E non sono errore e male nean che quando vengono predicati tali, perchè questo giu dizio li redime nella verità e nel bene, che sono l'at to che giudica; e, giudicando l'errore come errore e il male come male, li pone come bene e verità: ne il male, quindi, nè l'errore, sono alcunché di reale, di concreto, neanche come privazione: sono in se (322) Conversazioni critiche, Vol. II, p. 76.

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. (323) Discorsi di religione, III, pp. 123-4.

qualche cosa di astratto, di inesistente, com'è inesi stente e pur astrazione il passato fuori del presente, e nel presente non è più passato, ma, appunto, pre sente. L'errore, (il male) è errore in quanto è supera to; in quanto, in altri termini, sta dirimpetto al con cetto nostro, come suo non essere. Esso è, quindi, non una realtà che si opponga a quella che è spiri to, ma è la stessa realtà di qua dalla sua realizzazio ne, in un suo momento ideale. Momento che viene eternamente risolto nella realtà che si realizza, che è la realtà concreta, la verità, il bene. Il male è un mo mento ideale del bene, del concreto, che lo risolve eternamente in sè, lo fa bene, momento del suo be ne e della verità, nel presente che lo pone. Tutto è disvalore nel momento che non è più : che è, in sè, un momento astratto, irreale; tutto è bene nel mo mento in cui è voluto; tutto è verità nel momento in cui è pensato; così pure il male è bene nel momento in cui è giudicato come male, l'errore è verità nel momento in cui è giudicato come errore. « Il male c'è, in quanto è negato così come il par ticolare c'è in quanto si universalizza, e il reale in quanto si idealizza. Il male è come l'astratta materia che viene organizzata nel circolo della vita, a costi tuire il corpo vivente ». (323) E' la natura, che come tale è astratta, ed è concreta in quanto si fa spirito, verità, bene. Che è l'unica realtà. Basta fare qualche cosa, anche ammazzare, ruba 299

re, tradire e si fa bene; non meno bene che chi si sacrifica per gli altri, chi dà il suo ai poveri, chi è fedele all'amico. Ogni atto di coscienza comprende tutta la realtà, tutto lo spirito, tutto il valore; non ha nulla fuori di sè, è tutto quello che deve essere, è assolutamente buono. Se dopo questi atti non ci fosse ro altri atti, essi sarebbero tutti ugualmente l'asso luto bene, l'assoluta moralità. Ma perchè la persona lità dell'agente non si esaurisce tutta in questi atti e dopo di essi ne vengono degli altri che hanno per materia e contenuto gli atti antecedenti, percid pos. siamo parlare anche di male, e tutti gli atti passati son mali, tutti ugualmente mali : ogni fatto, ogni at. to decaduto in fatto lascia fuori di sè tutta la realtà, tutto lo spirito, tutto il valore; è dunque l'assoluta mente cattivo; ma solo astrattamente, perchè in con creto, in quanto cioè fatto presente e idealizzato nel l'atto spirituale, ridiventa ancora buono. Come si fa a uscire da questo groviglio di assurdità urtanti con tro il senso comune e contro la più elementare co scienzamorale Il malvagio vale il santo, perfettamen te. «Ogni uomo ha la sua filosofia, e quindi il suo mondo. Lo prenda sul serio, lo ami come quel mon do che è suo, perchè è la realtà in cui deve perdere sè stesso per ritrovarsi » . (324) Già! tutte le canaglie, tutti i teppisti, tutta la malavita hanno la loro filoso fia, il loro mondo; vivano secondo quello e tutto an drà benone, e saranno degli eroi, dei santi. « Fino a (324) Discorsi di religione, II, p. 91. -.300

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re (325) Sommario di pedagogia, Vol. I, P. I, p. 38.

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questo punto è arrivato lo spirito del mondo» ...; più oltre non si potrà andare, speriamo. E il dolore che cos'è ? « Che altro è il dolore se non il contrario di quel piacere che è per ciascuno, come diceva il Vico, il celebrare la propria natura? Il non essere dello spirito : ecco quello che è doloro so ». I dolori nostri, come tali, come dolori dell lo empirico, non valgono nè disvalgono; non sono sem plicemente, perchè non toccano l'Io trascendentale, che è atto puro senza possibilità di passione. La no stra vita reale non è la mescolanza di piacere e do lore, di desideri non appagati, di tedio e di noia che entrano in ogni piacere e lo seguono; noi, realmente, siamo la contemplazione di quel panorama che è la nostra vita più dolorosa che lieta, dell'oggi e dell'je ri, siamo l'Io che s'accorge di soffrire, e in que sto accorgersi il duol si disacerba; «« tra il soffri. e l'accorgersi di soffrire c'è questa questa diffe renza, che non è poca : che nel soffrire questo soffrire dovrebbe essere l'atto stesso dell'Io (e spressione assurda, perchè soffrire è essere passivi, e un atto passivo è come dire luce buia); nell'accor gersi di soffrire, invece, questo soffrire non è più l'atto dell'Io attuale: è tutt'al più quello che l'Io era prima, cioè quello che ora pare che fosse prima in quanto ora s'accorge di soffrire » . (325) Ma di che cosa mi accorgo io quando mi accorgodi soffrire se 301

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il soffrire non può mai essere stato reale? Perchè « ci pare che prima il nostro lo fosse soffrire » Contem plando il dolore non lo subiamo più, lo dominiamo. Ma prima che lo contemplassimo c'era o non c'era? E dove era? e di chi era? e che cosa era? Non era certo una passione reale, ossia dell'Io trascendenta le, dal momento che questo è sempre tutto quello che vuol essere, perché è sempre quello che deve essere e il dover essere e il voler essere coincido no perfettamente. Ildolore non è quindi possibile. L'Io trascendentale celebra eternamente la sua vita che è tutta la vita; quindi non pud imporgli di nulla, appunto perchè deve essere, attraverso tutto il divenire, quello che vuol essere. Se gli importasse di qualche cosa, sarebbe segno che la sua vita o s'è accresciuta o diminuita, cosa inconcepibile nell'asso luto che è, in ogni atto, tutta la realtà, tutta. Per svilupparsi l Uno crea il molteplice, il povero molteplice umano, che piange e ride, che spera e re sta deluso, ma l'Io trascendentale si realizza ugual mente bene attraverso il pianto e il riso, la speran za e la delusione, precisamente come si realizza u gualmente bene attraverso le azioni dei santi e attra verso quelle dei malvagi. Faccio mia un'altra volta una magnifica considerazione del Varisco : « L'unico soggetto, quello che in ciascuno di noi (a quanto ci dicono) è il soggetto vero, il solo che valga, non può essere violato nè offeso da niente. Perchè tutto quan to accade, primo: non accade che in apparenza, non tocca la realtà ultrafenomenica, impassibile del sog

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getto medesimo; secondo: ha radice nel soggetto stesso , non in altro. Tutto quanto accada è un mezzo perchè il soggetto esplichi la sua vita realizzantesi nelle coscienze ap parentemente distinte dei singoli soggetti. Per conse guenza, i fatti umani hanno tutto lo stesso valore; cioè sono tutti senza valore reale. L'uomo che sacrifica so stesso al bene altrui e il calunniatore abbietto, si e quivalgono, in quanto sono l'uno e l'altro mezzi, co me dicemmo; e mezzi l'uno e l'altro necessari; per chè il soggetto unico è libero, in quanto non dipen de che da sè; ma il suo esser libero consiste nel suo estrinsecarsi apparente secondo una intrinseca neces sità. La distinzione del bene dal male serve per noi che siamo in apparenza molti, distinti l'uno dall'altro e dal soggetto unico;per il quale tutto è bene poichè tutto mira infallibilmente al fine vero : alla manifesta zione del soggetto medesimo nel mondo fenomenico. Inutile domandare quel che diverrebbero la vita e la storia, se ci persuadessimo che questa dottrina è vera, e operassimo in conformità » . (326) E con tutto ciò, nonostante tutta questa svalutazione di tutta la realtà, l'idealismo si presenta, fra l'altro, co me una filosofia che soddisfa tutti i bisogni del cuore, come una filosofia che vuol essere la nuova religione che invera il Cristianesimo, nel quale è sacro il nostro dolore davanti a Dio Padre, che legge nei nostri cuori, che sa quello che ci abbisogna, che ci ama infinita

(326) Conosci te stesso, Note, p. 330.

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mente più che ogni padre e ogni madre terreni, che veste i gigli del campo e nutre gli uccelli dell'aria, che ha mandato sulla terra il suo figliolo a salvarci dal la morte e a confortare i nostri dolori colla visione di una beatitudine nella quale Dio stesso è mercede infinita ed eterna a coloro che hanno pianto, che fu rono perseguitati, che sentirono la fame e la sete del la giustizia. L'assoluto dell'idealismo non ama, non crea le sue creature che per divorarsele, che per at tuare la propria vita attraverso il loro dolore e la lo ro morte. Già! Basta dire à chi soffre, a chi anela a una vita migliore, che il dolore è un momento della dialettica dello Spirito; che è il suo non -essere che spinge l'essere di collo in collo, che è l'interna molla onde lo Spirito progredisce lo Spirito con iniziale inaiuscola; - che il dolore è la natura che lo spirito risolve eternamente in sè, basta dirgli questo perchè speri e si conforti e viva! Anche nel Cristianesimo il dolore è la molla interna del perfezionamento; in que sto sta il suo valore razionale e di sentimento : il suo valore etico nel senso più preciso della parola. Ma il perfezionamento che il dolore promuove e di cui è momento non è quello di un preteso lo ultrafenome nico nel quale e per il quale il dolore non può esse re dolore ma semplice non -essere, incapace di qua lunque risonanza pratica o nel sentimento o nella vo lontà dell'assoluto eternamente e immutabilmente im passibili, come un Buddha, in faccia ai nostri dolori di ogni genere, che esso con infinita indifferenza po ne e risolve per attuare se stesso. Nel Cristianesimo

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il dolore è un dono della Provvidenza ordinato al l'attuazione dell'essere nostro, è purificatore e propul. sore della vita dell'Io che ci sta severamente a cuo re, perchè è noi, la nostra personalità; di questo lo individuale e personale che si dibatte in un dramma di liberazione. E nella lotta contro il male vero che non è il dolore, ma il peccato, l'uomo è stimolato e sorretto dalla visione di un mondo superiore di feli cità serbato proprio a coloro che della sofferenza sanno farsi uno sgabello per salire verso la perfezio ne del Padre. Qui sì che il dolore è redento in ar monia colle esigenze profonde morali e sentimental della natura umana; essendo concepito come un mez zo di salute scelto e provato eroicamente da Gesù e come provà di amore di Dio verso le sue creature. E l'individuo, anzi che risolversi continuamente nell'universale, dove acquista bensì apparentemente un preteso valore ma solo a patto di cessare, di per. dersi; nel Cristianesimo è centro morale del cosino, poichè tutta la vita e tutta la lotta di questo ci fanno sentire e ci impongono imperiosamente il compito di Gesù di trasformare la realtà materiale in realtà spi rituale per farla servire al progresso etico dell'uomo singolo e dell'uomo associato, e in questo progresso dello spirito nostro risolvere le opposizioni, trionfar ne, tramutandole in momenti di attività morale. L'a zione dell'uomo che accetta il dolore per vincerlo si associa con quella dell'Uomo-Dio che, attraverso la sua passione e la sua morte ha ritolto e ritoglie l'u manità alla potenza del male.

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1 305 20 - La filosofia di G. Gentile .

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L'individuo, anzi che dover cessare di essere tale per valere, anzi che venir considerato e trattato come pura apparenza, ha un valore autonomo l'infinito valore della propria anima che cresce a misura che egli si forma una cosa sola con Dio e si associa a Lui, subordinandosi ai suoi disegni, per trasmutare il dolore e i contrasti dell'esistenza in uno strumento di lotta vittoriosa contro l'errore e la malizia. L'uomo diventa corredentore. Ecco come in questa mirabile sintesi di umano e di divino tutti i valori sono con servati, tutti i problemi del dramma dell'esistenza av viati sicuramente e fortemente verso la soluzione, che non distrugge, non nega, ma spiega. E qui cade al suo posto un'altra osservazione. Il Gentile, dopo ave re riassunto il principio e la conclusione della sua dottrina nella nota teoria dello spirito come atto che pone il suo oggetto in una moltiplicità di oggetti, ri solvendo la loro moltiplicità nell'unità dello stesso soggetto; dopo aver assommato tutta la dottrina in due concetti « che si possono considerare l'uno il pri mo principio e l'altro l'ultimo termine della dottrina stessa» ; nel concetto, cioè « dell'unità, anzi dell'uni cità del concetto» il concetto del soggetto centro di tutte le cose, pensamento e posizione di tutte le cose, come conceptus sui, e in quello del forma 2 , lismo assoluto, o della forma trascendentale dello spi rio che pone la materia e la risolve in se sicchè la sola materia che nell'atto spirituale ci sia, è la stes sa forma come attività; dopo aver giustamente det to che questi due concetti sono 'un solo concetto,

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poichè concepire il pensiero come forma assoluta è come concepire la realtà come conceptus sui; scrive: « E in questo concetto abbiamo il filo conduttore per uscire dal labirinto della difficoltà, in cui lo spirito u mano si travaglia non potendo raggiungere come reale niente che sia fuori di se stesso e trovandosi alle prese sempre con qualche cosa, con cui ripugna alle sue più profonde esigenze che si identifichi : il male (do lore, errore, male morale), la natura » . (327) Dove conduca questo mirabile « filo conduttore» abbiamo veduto. Da questeparole risulta chiaramen te ciò che già dovevamo sapere, che, cioè, ildolore è messo sulla stessa linea, espresso con lo stesso appellativo che il male morale e l'errore: è la « na tura » , il « non-essere » dello spirito. Ed è naturale. Tutto quello che pare limitazione dello spirito, non può essere guardato che dal punto di vista dello spi rito stesso ; e lo spirito non è nè bene nè male, nè verità nè orrore; nè gioia nè dolore; è l'atto che non ha in sènessun criterio di distinzione, nessuna diver sità di punto di vista, perchè appunto è unità senza molteplicità che risolve in sè ogni molteplicità. Lo spirito tutto atto non può veder nulla se non dal punto di vista dell'atto: l'atto, cioè, e il non -atto; se stesso, e la natura come non -atto : come non-atto e basta. E la natura non è nè male, nè errore, nè do lore; è natura, è passato, è fatto, e basta. « Il proble ma della natura che lo spirito trova sempre dinanzi, (327) Teoria dello spirito, Cap. XVI, p. 208.

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e considera perciò come il suo presupposto, quasi la bruniana anfitrite, dal cui seno si generano e nel cui seno finiscono tutte le forme ed egli stesso, lo spiri to, che nella sua concreta posizione vi si contrappo ne e da essa tenta attingere l'alimento onde abbiso gna la sua vita dal principio alla fine, il problema di questa natura è identico al problema del dolore, del l'errore e del male » . (328) Tutti e tre sono, astratta mente, come l'altro dello spirito; e, come tali, si iden. tificano. Se sono uguali ad una terza, sono uguáli anche fra loro. Il dolore è l'errore, è il male mo. rale e viceversa, ma non come dolore, male, errore, ma come non -atto, come essere che è il non essere dello spirito. Non solo. La natura è il passato dello spirito. Il dolore è, quindi, il passato dello spirito. E se questa non vi pare una magnifica soluzione del problema dei nostri e degli altri dolori gli è perchè, forse, anzi senza forse, non vi siete collocati al pun to di vista dell'idealismo attuale : e se trovate che la realtà empirica del dolore non si elimina, ahimèl col battezzarla natura, non-essere, ecc. ecc., è segno evi dente che non vi è ancora famigliare la taumaturgica dialettica del divenire.

La eterna soluzione della natura nello spirito co me momento di esso, detta al Gentile una pagina bella e forte, come, non di rado, ne sa scrivere l'a postolo dell'idealismo attuale.

<< Scendete dentro all'animo vostro e sorprendete (328) Teoria dello spirito, Cap. XVI, p. 211.

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lì, nell'atto vivo e nel fremito della vostra vita spiri tuale, la natura che grandeggia formidabile in tutta la vastità di tempo e di spazio che noi le conferiamo, nel suo carattere essenziale : come quell'oscuro limite dell'essere nostro spirituale, dal quale si diparte e al quale sempre ritorna la vita del nostro spirito. Guar date se quella natura non è lo stesso non-essere del nostro fremito interiore, dell'atto onde voi siete voi stessi; il non-essere interno al vostro atto medesimo: come ciò che voi dovete pur non essere e diventare, con l'atto stesso onde vi ponete. Quando, risveglian doci dal sogno che è la filosofia volgare, e riscoten doci e riaffermando vigorosamente la nostra perso nalità, la natura stessa troviamo dentro il nostro spi rio come il postro non - essere immanente all'essere nostro che è vita ed eterna vita, come l'eterno pas sare del nostro eterno presente : con la ferrea neces sità del passato nell'assoluta libertà del presente. E guardando a questa natura, l'uomo nella vita del suo spirito ritrova tutta la potenza dello spirito e l'infini ta responsabilità dell'uso che egli ne fa, dando luo go non mai a piccoli incidenti della vita universale, simili a quelli che sono all'occhio volgare i brulichii degli insetti sul dorso della Terra insensibile, ma al vasto respiro dell'universo la cui realtà si appunta nell'autocoscienza » . (329)

· Non discuto il contenuto dell'ultimo periodo: tut ta la nostra vita, tutti i nostri amori e dolori, tutti i (329) Op. cit. p. 214-16.

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1nostri errori e le nostre lotte, sono nella vita univer sale anche meno dei « brulichii degli insetti sul dor so della Terra insensibile ; non valgono, in sè, co me tali, nulla. E non discuto neanche di fronte a chi e di che cosa può essere responsabile l'uomo, l'uo mo singolo, se è sempre quello che deve essere, quello che è posto dallo spirito, e se davanti a que sto, come persona empirica, non ha valore. Il Genti le si balocca con delle parole che nell'idealismo at tuale non possono avere nessun significato intelliggi bile. L'uomo empirico non è responsabile: sarà re sponsabile di fronte a se stesso l'Io trascendentale Fa presto a sottostare alla responsabilità delle sue a zioni, dal momento che esso è la Verità, il Bene, lo sviluppo morale, il farsi sempre più perfetto, qualun que sia il modo empirico di manifestarsi. Il Gentile si sforza di dare un carattere morale alle sue teorie, e non gli può riuscire, perchè il suo concetto della realtà storica o della realtà universale come esperien za pura che è quello che è e che deve essere, sem pre, ad ogni istante, attraverso ogni specie di mani festazione, non lascia più nessuna possibilità di dif ferenziazioni etiche che abbiano un valore vero, me tempirico. Non insisto. E sarà ancora necessario mo strare che la forte pagine del Gentile contiene un sogno, il sogno dell'uomo che vuol farsi Dio, o l'As. soluto, con esclusione di ogni altra forma di essere, ma che la realtà vera, non del sogno, ma dell'espe rienza e della speculazione storica, è ben altra, è bep diversa? La verità è questa: il mio Io empirico è rea :

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le e reali sono gli altri lo empirici che limitano la mia libertà e nello stesso tempo mi aiutano a svilupparla, a farla valere. Ogni cognizione è diceva il Tari coscienza del vassallaggio dell'Io a un non-lo che lo limita. Con quella stessa coscienza con cui affermo me, soggetto particolare, affermo altri soggetti dai quali mi distinguo. L'affermazione che il soggetto particolare fa di sè, è l'affermazione che esso fa del I'oggetto altro da sè : del non-me, del non -mio, pro fondamente diversi nella coscienza, dal me, dal mio La vita psichica mia ha dei caratteri di intimità, di valore immediato, di vita vissuta che non possiedono quello che io sulla base di inferenze razionali dalle mie percezioni, riproduco faticosamente in me. Per chè non posso vivere intensamente al pari dei dolo ri miei e delle mie gioie i dolori e le gioie degli al tri? E perchè non mi sento responsabile davanti al la mia coscienza delle azioni degli altrie le chiamo non-mie, e non le chiamo valori o disvalori miei? Perchè non conosco tutto quello che gli altri pensa no, sentono, vogliono, e distinguo le azioni degli al tri dalle azioni mie? Sono limitato, dunque, sotto o gni rispetto, non sono tutto, non sono tutti, la mia realtà non è, non ho coscienza che sia, non vedo al cun segno che sia, l'Io assoluto, che pensa tutto in me, che vuole tutto in me, che opera tutto in me e fuori di me. Noi insistiamo, inoltre, sulla impossibilità di con. cepire il valore, qualunque valore, se il soggetto em pirico non è reale;reale, intendo, nella sua distinzio 311

1ne concreta, non come contenuto d'una coscienza su periore; perchè, come abbiamo dimostrato, il valore non può aver luogo nell Unico-Tutto degli idealisti, nel quale non vi può essere nessun criterio di distin zione valutativa. Non basta fare della libertà la ratio essendi e, quindi, la ralio cognoscendi del reale, per salvare ilvalore; una attività produttiva, una produtti vità libera vale solo in quanto si attua e come bene che si distingua davvero dal male e redima il male; e come verità che si distingua davvero dall'errore: se essa si attua ugualmente bene nel male e nell'errore che nella verità e nel bene è segno che, come ho accen nato più sopra, è assolutamente indifferente al valore e al disvalore : non vale. Anche perchè, anzi proprio perchè, non ha nessun fine da raggiungere : non una verità da conoscere, non un bene da conquistare. E quello che deve es sere , ma il suo dover essere non è deontologico , sibbene fisiologico, non morale ma fisico, di natura cioè; così l'acqua deve bagnare, così il sole deve sorgere e tramontare. Come possa essere morale l'autocrearsi o il prodursi spontaneo che deve auto crearsi o prodursi, per il solo fatto che è farsi, non capisco. A meno che non vediamo la moralità anche nello sviluppo di un seme in pianta, di un embrione animale in adulto, io non riesco a vedere, nello spi rito, una libertà morale, dal momento che in esso non c'è l'amore del bene morale, ma soltanto l'amore 0, meglio, la tendenza irresistibile al proprio sviluppo, l'atto necessario dello sviluppo. Se la libertà è la

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spontaneità, certo lo Spirito è libero, non però di li bertà morale, se il suo sviluppo, il suo atto, l'atto che lo costituisce, non può essere valutato che con un criterio che è privo di ogni valore morale, come è quello del presente e del passato, dell'atto e del fat to, con un criterio che è subordinato al non-valore, alla natura, al passato; il male, ripetiamolo ancora, è il passato e il bene è bene in quanto negazione e risoluzione del passato. E' inutile: perchè possa esi stere il valore bisogna restaurare proprio quell'obiet tivismo, quel naturalismo come lo chiama il Gen tile, che è, secondo lui, la fonte maledetta di tutti gli errori. Se non si ammette un qualche cosa che non è il nostro atto, ma che sta dinnanzi al nostro atto come un oggetto che dobbiamo cercar di com prendere, non si potrà mai parlare nè di verità, che è ricreazione soggettiva della creazione oggettiva, ne di errore che è fingere di possedere l'altro da noi, cioè dal pensiero in atto, mentre in realtà non lo possediamo; e se non si ammette un ideale concre. tato in un principio che si presenti allo spirito come ciò che si deve attuare, come l'essere deontologico da tradursi in essere etico nella volontà e nell azione, non si può assolutamente parlare di bene o di male morale. E perchè i valori permangano e siano asso luti, è necessario ammettere che la persona, che è il primo valore come il principio libero che li pone, ponendo atti di verità (di bene), non perisca e che il suo apprezzamento etico o le sue valutazioni pratiche vengano riconosciute e fatte sue da una Ragione

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infinitamente buona che le eterni, che ne garantisca e fondamenti la necessità e la universalità. Creare valori non effimeri maeterni è la finalità ultima della nostra vita; ed è soltanto l'esistenza di Dio che ci assicura che il mondo nostro e noi non siamo un vano affaticarci di moto in moto, ma un progresso spirituale voluto da un Sommo Bene, un attuarsi ascensivo di un disegno di bontà e perciò una gra duazione di valori che è, precisamente, lo spiegarsi nel tempo di quel disegno che ha principio da Lui e termina in Lui.

Principio da Lui. Se il mondo ha avuto un comin ciamento, cioè se esiste un Dio personale le due questioni, in fondo, sono una, - i valori non sono una vana parola, ma una necessità : l'Assoluta persona non può creare che una realtà che valga, e, posto che essa valga, non può, a meno di apparire ed es sere irrazionale, annullarla, permettere comunque che venga anullata. Se il mondo ha avuto un comincia meno, l'esserci dei soggetti particolari consiste nel loro essere pensati da Dio ; pensandoli , Lui, che è valore infinito, li crea come valore, che non potranno perire, appunto perchè il concetto dell'esistenza in chiude evidentemente quello della permanenza dei valori e del trionfo finale del valore sul disvalore. La storia cosmico-umana vale perchè è una progressiva realizzazione di questo trionfo. Qui la teologia non è una parola vuota di senso, ma la più intima realtà, come ragione delle cose, immanente nel cuore di esse. Qui sì che coincidono essere e volere, s'impli

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cano a vicenda la concezione teoretica ultima e la valutazione pratica della realtà, come ha detto il Va risco. E il valore e la necessità razionale del dualismo di soggetto e oggetto, di cosmo e Dio, ci si affacciano in tutta la loro evidenza speculativa ed etica insieme. L'Io ha un limite, non apparente e di nome come quello che, nell'idealismo, da Fitche a Gentile, pone lo stesso lo : che limiti seri volete che ponga l'Io? L Io pone sè, sempre sè; non limiti ma gradi di svi luppo, e la lotta, il contrasto, la contraddizione scno semplicemente inconcepibili. Il suo è lo scorrere dell'acqua cheta incolora, inqualificabile, dove ogni goccia è identica a un'altra, a tutte le altre goccie, uno scorrere, anzi che non è scorrere dell'acqua ma puro scorrere, senza letto e senza sponde, senza prin cipio e senza fine, ma soprattutto senza la minima possibilità di ostacoli. Tutte le distinzioni, tutti i con trasti, che gli idealisti vogliono farci vedere, nello sviluppo dello spirito, sono introdotti, cioè posti, dal di fuori, accettati da altre filosofie, ma non concilia bili colla fondamentale idea dello spirito consacrata e predicata dall'idealismo attuale. E tutte le belle frasi e belle pagine che gli attualisti dedicano al con cetto quasi eroico della vita sono a posto, hanno un significato, nella dottrina nostra, non nella loro. Per noi l'Io ha un limite, non come suo costitutivo, ma come termine da conquistare; fatto da tradurre in atto, al quale nel mio operare e per conquistarlo, devo adattarmi : cioè limitare, incanalare e concretare

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la mia libertà o spontaneità, che solo così diventa volontà umana spirituale, razionale. Concludendo : senza sforzo per vincere ostacoli non è concepibile il valore; senza trascendenza di og getto da conoscere non ci può essere sforzo; ecco la giustificazione morale del dualismo immanente nel cosmo creato. Ai tre postulati, tradizionalmente accet lati, del valore morale dei nostri atti: libertà, immor talità, Dio, noi ne aggiungiamo un quarto: dualismo di soggetto e oggetto, di conoscente e conoscibile; i quali postulati sono, poi, le condizioni necessarie dei due sommi valori umani : la perfezione e la feli cità, che, come abbiamo affermato al principio di questo capitolo, non sono due ma uno. Ammettiamo, dunque, anche noi l'unità dei valori : il Bene come norma teleologica di tutti i nostri atti e come ragio ne intima del carattere di essi. Tutti gli atti hanno valore perchè ispirati da Esso, perchè cioè lo sforzo della volontà umana e di tutta l'umana attività si po ne e si sostiene, e, quindi, è quello che è, per il Bene che ci sta dinanzi come mèta necessaria del nostro pensare e del nostro fare. La vita umana è un tendere a Dio, dal quale e per il quale siamo fatti, e per il quale soltanto tutto ha valore ciò che ha valore. (330)

(330) H profondamente ragione il Papini: « Tutti han. no bisogno di Te, anche quelli chenonlo sanno, e quelli che non lo sanno assai più di quelli che sanno. L'affama. to s'immagina di cercare il pane e ha fame di Te; l'asse tato crede di voler l'acqua e ha sete di Te; il malato s'il 316

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ludedi agnognare la salute e il suo male è l'assenza di Te. Chi ricerca la bellezza nel mondo, cerca senza accor gersene Te, che sei la bellezza intera e perfetta; chi per segue nei pensieri la verità, desidera, senza volere, Te, che sei l'unica verità degna d'essere saputa; e chi s'af fanna dietro la pace cerca Te, sola pace dove possono ri posare i cuori più inquieti. Essi ti chiamano senza sapere che Ti chiamano e il loro grido è inesprimibilmente più doloroso del nostro . Storia di Cristo, Preghiera a Cri sto, p. 260.

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Questo pensiero, tutto agostiniano, esprime meglio di ogni altro il carattere cristiano dell'anima umana e il va lore morale della nostra attività. Il Dio di Gesù Cristo è il fondamento di tutto ciò che è, di tutto ciò che vale. 317

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Le idee pedagogiche di Giovanni Gentile > « Al problema dell'educazione, secondo le distin zioni che tutti siam soliti di fare, si perviene per due vie: per quella della filosofia; che, studiando la na. tura dello spirito, non può non occuparsi della gui sa del suo nascimento, e però della sua formazione e sviluppo; e per quella della politica, che, mirando a creare lo Stato, deve preoccuparsi dei cittadini, nel-. le cui menti e nel cui animo deve lo Stato mettere le sue radici, anzi trovare la sua vera e attuale real. tà. La prima via è quella che si dice della teoria o speculazione, la seconda quella della pratica. La pri ma è corsa da pochi e sono i filosofi, i quali per al tro non sempre esplicitamente si propongono il pro blema educativo, benchè tale problema sia sempre immanente, e abbia comunque una soluzione ne' lo ro sistemi » . (331)

(331) Vincenzo Cuoco pedagogista, in Studi Vichiani, IV, Messina, Principato, 1915.

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Il Gentile si è proposto esplicitamente e consape volmenteil problema educativo e le sue sono fra le migliori opere pedagogiche che conosciamo. In esse, tutte le pagine sono ispirate da un altssimo senso della scuola e dell'educazione in generale, e questa viene trattata come una celebrazione dello spirito e un rinnovamento continuo della vita in tutta la sua pienezza e freschezza. Egli vuol « portar nella scuo la un senso del problema educativo come missione umana e come coscienza speculativa di questa mis sione, e questo senso vuol destare con la rinnovata ricerca di un concetto dell'uomo e di un orientamen to necessario a chi del proprio spirito vuol far guida e modello dell'uomo che si vien formando » . (332) E non solo per le scuole egli scrive, ma per tutti gli uomini colti che cercano una coscienza e una fede, per sè e per gli altri.

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La rinnovata ricerca di un concetto dell'uomo : ecco il compito fondamentale di chi si propone di rinnovare, su basi sicure, l'educazione Noi sappia mo dalle pagine che procedono il concetto nuovo o rinnovare, su basi sicure, l'educazione. Noi sappia tile, ma non sarà inutile riassumerle qui brevemente, come in epilogo e prospetto.

Conoscere è entrare nell'interno delle cose; ed entrare nell'interno delle cose, non è altro che entra re nell'interno di noi medesimi , che le creiamo. Le cose conosciute sono in virtù del nostro conoscerle, . (332) Sommario di pedagogia, Vol. I, Prefazione, XIII, IX .

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sono l'oggetto creato a volta a volta dall'attto della nostra mente. Cose, prima d'essere conosciute, non esistono. Il conoscere è perciò unità viva: non è la somma del conoscere, il conoscere non c'è che come conoscenza della cosa. È, adunque, atto, onde può cominciare a porsi qualcosa, a conoscersi un qual che oggetto suscettibile d'analisi, o di conoscenza di cose distinte. L'atto del pensiero ha un valore che non tramonta mai, è eterno, e, quindi, ferma in eter no tutto ciò che si conosce, come qualche cosa che pensato una volta, non si può non pensarlo come è stato pensato. Conoscenza è coscienza dell'ogget to e coscienza, insieme, del soggetto nell'oggetto. È coscienza e autocoscienza concreta : nulla si può co nuscere se chi conosce non ritrova se stesso nell'og getto conosciuto : l'autocoscienza concreta è autoco scienza di una data coscienza, ossia l'atto della co scienza, in quanto il principio attivo immanente in questa è appunto quella soggettività, in cui consiste l'autocoscienza; è sintesi di lo trascendentale (astrat to), e di lo empirico (pure, preso a sè, astratto): «.Nessuno può raccontare se stesso senza essere, ol tre questo se stesso, quell'altro sè più profondo, che si mette innanzi se stesso e rifà la storia. E in que sto sè più profondo si realizza l'autocoscienza, il ve ro Io, e quindi lo stesso presunto lo empirico» . (333) Poichè l lo non è, ma si fa. E si fa con l'atto . (333 Op. cit., Cap. IV., p. 18. . )

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stesso del pensarsi. « L'uomo, in quanto soggetto, in quanto quell'essere che si dice: lo, non è cosa, nè specchio del reale, ma principio vivo e attuoso, da cui tutto il reale, che è suo, dipende L'uomo è autocoscienza che si realizza come co scienza delle cose; è l'atto onde tutti gli esseri sono nel mondo che noi pensiamo; è l'attività universale che si agita e celebra negli animi di tutti, « e trionta dei secoli e delle distanze spaziali perchè, più che umana, divina » . Il soggetto umano è universale. La sua vita consiste nel progresso di svolgimento per il qual esso sale da condizioni inferiori a condizioni superiori, eternamente soddisfatto per quel che fa ed eternamente insoddisfatto di quel che ha fatto. Cioè : « il soggetto che non ha plurale è l'unità vivente in uno sviluppo progressivo, in un ascendere eterno at traverso i più svariati atti psichici sempre più spicca tainente umani, che sono determinazioni dell'atto per manente che è Io. Infatti : che cosa sono le sensa zioni se non atti dell lo, l'Io stesso nella sua multi forme immediatezza : l lo, la cui attualità è un senti re e un sentirsi sempre nuovo, cioè, in sempre nuo ve sue modificazioni Autocoscienza immediata di coscienza rinnovantesi ininterrottamente? (E il piacere e il dolore, come ci è noto, non sono fatti psichici diversi dalla sensazione : il piacere è la sensazione stessa, il dolore è la negazione della sensazione, cioè dell'attualità dell'Io). E se l'Io è autocoscienza, è an che, per cið stesso, percezione. Non c'è sensazione che non sia coscienza e autocoscienza, e il passag

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gio dalla sensazione alla percezione non è che quel lo chesi compie sempre nello sviluppo dello spirito, cioè da coscienza a coscienza, da una attualità del l'Io a un'altra più piena, più perfetta. Ed è pur facile vedere che ogni sensazione, ogni percezione, è anche rappresentazione. Purchè la rappresentazione si con sideri in concreto, nel soggetto che la crea, non in astratto, come contenuto staccato della esperienza sen sitiva, e avente percið delle note o degli elementi co muni a più percezioni. In questo senso, nel senso di generalizzazione del contenuto delle sensazioni, la rappresentazione si identifica colla specie sensibile de gli scolastici, e il complesso delle rappresentazioni costituirebbe l'esperienza tipica, cioè l'esperienza con creta storica, ma divisa dal momento psicologico delle sensazioni attuali, e, quindi, non più storica, non più attuale, cioè non più concreta e reale. Ogni rappresentazione deve quindi esprimere un momento della coscienza il momento il cui il soggetto si sente come questo rosso o questo bianco e tutti i momenti della coscienza sono diversi l'uno dall'altro e pur tutti universali nella loro particolarità, perchè ogni momento di coscienza è elemento vivoin una compagine organica, che è ogni volta tutto il mondo del soggetto. O la rappresentazione è espressione di questa realtà o non è nullla di spirituale, di esperi mentale, se è vero che l'esperienza vera, reale, è l'e sperienza storica, ossia la sensazione, tutta una sen sazione in eterno svolgimento, unità, quindi, di im mediato e di mediazione. E quello che è la rappre

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sentazioneè il linguaggio. Anch'esso in ogni parola è momento concreto di vita spirituale e non catego rie espressive astratte applicabili a più soggetti. Non esistono le parole, esiste solo la parola, come non esistono le sensazioni ma la sensazione o lo spirito sempre rinnovantesi, in momenti sempre più densi di contenuto. La realtà della parola è là dove si rea lizza, cioè nello spirito sempre in fieri e quindi sem pre da esprimersi con parole diverse o con signifi cati diversi della stessa parola. L'uomo, sentendo, si rappresenta il suo mondo e l'esprime. E il mondo che esprime è fatto di momenti, cioè di atti, nei quali e per i quali è sempre e non è mai quello che è, ap punto perchè si nega nell'atto di affermarsi: è sensazione, percezione, linguaggio attraverso infiniti mo menti, sempre nuovi pur nell'unità dello spirito: è lo spirito nei suoi momenti. Le parole sono la nostra vita spirituale, l'espressione del vivo sentimento della realtà spirituale di cui palpitiamo e fremiamo perchè attuale realtà psichica immediata. Come non esistono nella realtà spirituale vere rappresentazioni astratte e, quindi, parole astratte, così non hanno il minimo si gnificato o valore conoscitivo i cosidetti concetti a stratti, che nascono per un processo di generalizza zione dei particolari, o della comprensione logica dei particolari. Anche il concetto è, al pari della sensa zione, la coscienza che l'Io ha di sè nella sua deter minazione, o nell'atto che risolve nella sua unità im manente la molteplicità dei momenti spirituali della esperienza immediata.

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E il concetto è, precisamente, la coscienza che l'Io ha interrottamente di questa risoluzione o di questa mediazione che esso compie; mediazione uni versale e assoluta, perchè è tutto lo spirito e soltanto lo spirito. Il concetto è il giudizio come sintesi a priori,cioèl'unità dell'immediato dello spirito e della mediazione, e, quindi, tutt'uno colla sensazione e coi la scienza, considerata come percezione e rappresen tazione concreta. Abbiamo già veduto che anche l'a gire è conoscere, in una concezione in cui sia risol ta nello spirito l'opposizione idealistica di soggetto e oggetto, e affermato il soggetto come autoctisi. L'i- . dentità sintetica di sensazione e di percezione ossia di vita e di riflessione sulla vita, è nient'altro che, precisamente, l'identità sintetica di volontà e di co noscenza . Dunque l'uomo è soltanto soggetto e la sua fun ione è unica : farsi, crearsi. Soggetto uno che si og geltiva e si fa molteplice, ma che rifonde eternamen te la molteplicità nella propria unità assoluta. Sog getto che è tutta la realtà cioè eterna creazione del la realtà o di sè come realtà universale, unità di rea le e di spirito. (334) « L'uomo, l'uomo vivo, e non quello a cui si guarda dal di fuori, l'uomo che pen (334) Ho riassunto la Parte prima del primo volume del Sommario di Pedagogia. Specialmente interessanti sono, di questa parte, il Capitolo X, il XV e il XVI, nei quali il Gentile tratta, rispettivamente, del Lönguaggio, dell'Unità dello spirito e del reale, e dello Spirito come attività uni versale .

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sa, che vuole, che è personalità in atto, non soggia. ce mai a una natura non sua. Egli se la foggia a cominciare da quella che è il suo corpo; del quale egli viene a grado a grado ampliando l'effetto del proprio potere, e popolando tutto intorno lo spazio, che è suo, delle creature a cui egli dà vita. Pensate non il piccolo uomo che vedete chiuso in un metro quadrato e nell'istante; ma l'uomo che ha fatto e fa tutte le belle cose di cui vivete, all'umanità, allo spi rito; alla sua potenza che è pensiero e lavoro (ma lavoro sempre in quanto pensiero) : a questo mondo materiale in cui viviaino, tutto squadrato e misurato e percorso dalla forza che noi infreniamo e scate niamo e moderiamo, e rimutato dal suo essere di u na volta, e fatto quale noi lo vediamo, atto al nostro vivere, associato a noi nella nostra vita, fuso con noi, spiritualizzato; e provatevi poi a distinguere la natu ra dallo spirito, e a pensar quella senza questo. La natura si può dissociare dall'uomo naturale: una par te della natura dal resto. Ma quello non è l'uomo che domina la natura; non è Volta che s'impadroni sce dell'elettrico e trasforma la terra : non è Michelan gelo che trasfigura il marmo, creando il Mosè » . (335) Davanti a questa eloquente definizione dell'uomo a qualche lettore verrà spontanea la domanda: se l'uomo è questo, come si può parlare di educazione, di pedagogia, Chi educa l'Assoluto, Dio? Domanda, però, che non si farà più dopo che avremo svilup (335) La riforma dell'educazione, pp. 209-10.

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pato il concetto gentiliano di pedagogia edi educa zione; concetto nuovo, pel trionfo del quale sono sta ti scritti da noi, libri di molto valore e sono sorte riviste serie e battagliere. (336) Ciò che faremo nel le pagine che seguono.

Filosofia e pedagogia sono una medesima e iden tica scienza. Qual'è infatti la scienza dell'uomo come soggetto, che è tutta la realtà universale nella sua at tualità? L'antropologia? Si, purchè non si consideri l'uomo come una specie tra le specie animali, come usa. La psicologia anche, se il fatto pschico che es sa prende a studiare, sia l'atto in cui si concentra e risolve la vita non pure del corpo e di un corpo, ma di tutto.Scienza dell'uomo è anche, e meglio delle due nominate, la metafisica in quanto ha per ogget to un essere che è l'essere, fuori del quale non c'è altro. Ma la scienza del reale come spirito dell'uo mo, come umanità, è di diritto edi fatto chiamata fi losofia, che per il Gentile non è la logica e la meta fisica, la fisica e l'etica, la filosofia della natura e la filosofia dello spirto, la filosofia dell'essere e del do ver essere, ma tutte queste discipline fuse insieme. senza le suddette filosofie speciali in cui pare che essa si articoli. « Non è filosofia speciale, perchè li berandosi da ogni formalismo, essa non considera

(336) Tutti sanno che alludo specialmente alle opere del Codignola, del Santini , del Provenzal e a quelle, soprat tutto, idealistiche del Lombardo Radice, e alle Riviste: I nuovi doveri, La nostra scuola, L'educazione nazionale e La volontà .

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uno schema o un tipo o una legge astratta della real tà, ma la realtà stessa nella sua assoluta concretezza, oltre la quale non è possibile concretezza maggiore, la realtà come legge a se stessa » . (337) In essa l'es sere è il dover essere, il fatto è la legge, l'accadere psichico è tutt'uno coll'accadere ideale : tutto è fuso nel processo spirituale, nell'atto, che è, quindi, atto o accadere assoluto. come s'è ripetuto tante volte e dovrò ripe - un fare che è farsi, spirito, libertà. « Co me scienza universale e concreta, questa filosofia non ammette nè integrazioni nè specificazioni. Il rea le è storia, cioè diversificazione di se da se stesso e insieme unificazione in sè d'ogni sua molteplicità; anche lafilosofia, che è storia, sarà un quasi dirom persi in forme diverse che, astrattamente considerate, non sono filosofia, ma, se considerate ciascuna, nella loro attuale concretezza, si risolvono tutte nell'unità immoltiplicabile della filosofia. (338) « Si può dire che ogni disciplina, per astratta è particolare che sia, è vera; ma di una verità che aspet ta di essere ancora approfondita, é non si può appro fondire dal punto di vista di essa, ma solo da quello della filosofia, in cui essa si risolve » . (339) Ebbene: la pedagogia è una di queste discipline che si risol vono nella filosofia o è la stessa filosofia Vediamo. L'uomo si può considerare, guardare qual'è e quale (337) Sommario di pedagogia, vol. I, p. 114. (338) Op. cit., p. 115. (339) Op. cit., p. 116.

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dev'essere; si può guardare alle leggi naturali o costi tutive della natura immediata dell'anima, o ai fini, ai bisogni, alle aspirazioni, di essa; cioè al suo essere o al suo dover essere. E, analogamente, l'uomo in formazione può presentarsi come un processo mec canico o come un processo teleologico; quello è l'og. getto della psicologia, questo dell'etica, come scien za dei fini a cui deve mirare lo sviluppo umano. Ma, come è un'astrazione l'essere disgiunto dal do ver essere o anche semplicemente diverso da esso, così sono nient'altro che astrazioni lo sviluppo mec canico e il teleologico, la psicologia e l'etica vedute come due e non come uno. Ogni psicologia ha l'e tica dentro di sè, perchè non c'è psicologia che possa tralasciare di considerare, come fatto psicologico, quella idealità etica che è implicita nello sviluppo dell'uomo, e non c'è etica che non supponga un concetto dell'anima proporzionato ai fini da essa teo rizzati. La pedagogia, studiando la formazione del l'uomo concreto, come quello che è e come quello che deve essere, è, duque, psicologica ed etica in.. sieme. Il valore s'immedesima col fatto concepito come atto, come immanenza assoluta. L'uomo si forma per autoctisi, cioè si pone come essere che deve essere e come dover essere che è, e la scienza dell'autoctisi, ossia dell'assoluta libera e necessaria autodeterminazione dello spirto si chiama filosofia. Percið la pedagogia èla filosofia. (340) Que (340) Op. cit. P. II. Cap. I. é II. Sono note le polemiche sostenute dal Gentile contro il Calò, per la difesa di que

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sta identificazione suppone oltrepassata la vecchia concezione della pedagogia, secondo la quale l'edu cazione sarebbe l'azione di uno spirito che promuove lo sviluppo di un altro spirto; e l'altro sarebbe, quin di, lo spirito in formazione, oggetto della filosofia, e altro l'educazione come azione promotrice di cotesto sviluppo, o come tecnica pedagogica. In questa vec chia concezione la pedagogia è un'arte, o tutt'al più come vollero il Rosmini ed altri, la scienza dell'arte d'educare.

Ebbene: - dice il Gentile già mostrammo l'in. sostenibilità della distinzione fra teoria e pratica, co noscere e fare. Ora la tecnica pretende appunto di assidersi in mezzo tra la teoria e la pratica, volendo essere quella teoria, che non è vera teoria, perchè è indirizzata alla pratica, e sarebbe propriamente quella certa teoria che costituisce in potenza il soggetto di una certa pratica, un sapere che èpotenza di fare. Il sapere è sempre in noi una determinata potenza: potenza di conoscere e di sapere ulteriormente ciò che altri o io stesso privi di quel che è in nostro spirituale possesso, non possiamo; potenza di fare se quel sapere mette in atto le condizioni necessarie al l'agire. Ora, il concetto aristotelico di potenza, co me attitudine a diventare qualche cosa, è, secondo il Gentile, insostenibile. Egli osserva che la potenza è un elemento intrinseco dell'atto e stessa una cosa sto concetto della pedagogia. Vedere del Calò : Fatti e pro blemi del mondo educativo, Pavia, Mattei Speroni, 1911.

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1 (341) Op. cit., P. II. p. 127. >

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con esso. « Se io penso a, ho sì la potenza di pen sare a, ma questa potenza, realisticamente intesa, non è altro che la mia soggettività determinata in questo pensiero di a; se io pensi a, in questolo, soggetto di questo pensiero è la potenza di esso ;ma in que sto lo attualmente soggetto di questo pensiero. Prima dell'attuarsi di questo pensiero non c'era la potenza di questo, ma degli altri pensieri che sono via via venuto pensando ». E conclude: « L'assolutezza del. l'atto, che non è mai se non se stesso, imparagonabile ad altri atti, non consente il concetto di potenza, e però nè pur quello di tecnica ». (341) Si capisce che la filosofia dell'attualità non può ammettere che l'at to,l'atto senza potenza, e , inteso a dovere, questo con cetto è conciliabilissimo colla filosofia tradizionale: un intellezione è la potenza concreta di una intelle zione successiva, un'atto di volontà ne prepara un'al tro, è la condizione di un atto di volontà ulteriore: la vita spirituale non è forse un passare ininterrotto da un atto meno perfetto a uno più perfetto, dal no to semplice al' noto complesso, dal bene al meglio, o da un potere concreto attivo a un altro e più per fetto attivo potere? E ha ragione fino a un certo pun. to il Gentile quando afferma, in una frase concet tosa, che « non c'è un sapere che insegni l'arte di fare scuola ». E perchè non ci può essere questo sa. pere? Per la buona e semplice ragione che la vita è creazione, è il regno del nuovo; che lo spirito nel

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processo è sempre uno spirito nuovo, perchè nuove sono le circostanze, nuove le sue disposizioni spiri tuali, nuovi i suoi rapporti colla realtà, nuovi i pro blemi che si affacciano all'anima dell'alunno. La scuola, se è vera scuola è, perciò, un atto assoluto, senza precedenti e senza conseguenti « in cui tutto quello che abbiamo appreso è nulla rispetto a quello che dobbiamo allora sapere ». (342) Si noti però che lo spirito è, dice il Gentile, un processo, un proces so logico graduale, non un andare saltuario: ogni grado è tirocinio a un grado superiore, tirocinio così e così determinato, perchè determinato insosti tuibile individuale è, precisamente, lo svolgimento spirituale. Non c'è un arte dell'educare, ma c'è però una logica dell'educazione, immanente nello spirito dell'educando. Da a non si va a'c senza passare per b. Educatore è colui che tiene conto di questo processo e lo favorisce, immedesimandosi con esso Éd ora si fa chiaro quale deve essere il rapporto fra educatore ed educando. L'educatore si trova coll'edu cando in una relazione immanente, che il Gentile ca ratterizza con un concetto noto: sintesi e priori. Cioè il tale educatore e il tale educando e non esi stono concretamente se non il tale educatore e il ta le educando, sempre nuovi non sono concepi bili come concreti che 'nell'atto di educare, e nel l'atto educativo non èconcepibile l'uno senza l'altro. Noi non possiamo intendere nessuno fuori dell'azione (342) Op. cit., P. II. p. 128.

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che ha esercitato - e quindi esercita il suo edu catore sopra di lui; il suo educatore come tale, e si capisce, la cui realtà si attua nell'atto di educare. E sempre educa chi ha educato: niente si perde del nostro passato, tutto è variamente presente nel nostro presente. Come si vede, qui l'educazione è veduta dall'intrinseco, nella sua attività vivente, nella quale soltanto i due termini di educatore ed educando sono correlativi, in quanto un'azione spirituale stringe in dissolubilmente insieme due spiriti. Due spirti o un solo spirito? Ecco la questione dibattuta fra il Gen tile e parecchi teorici della pedagogia. La risposta del Gentile non può essere dubbia: « Due spiriti, come due, non sono spiriti, e come spiriti non sono due » . Convien dire percid « che gli spiriti concor renti nell'atto di educare, o non sono spiriti, o sono uno spirito unico » . (343) Ebbene: spiriti sono certa mente e chi educa e chi è educato : l'uomo, qualun que cosa faccia e per qualunque verso si consideri, è spirito: Spirito, cioè, processo autocreativo. « L'edu catore, educando, profittando dell'educazione, si fa educando » . Ma sono due spiriti o uno? Il pro blema è vano, illusorio, assurdo dice il Gentile. « Il problema si pone quando si sono cancellati da uno spirito i caratteri della spiritualità, e s'è ridotto a qualche cosa di vagamente intuito materialisticamen te; quando guardiamo uno spirito dal di fuori ». (344)

- > (343) Op. cit., P. II. p. 130. (344) Op. cit., P. II. P. 131.

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Entrate in voi stessi e vedrete sparire la molteplicità, perchè vi verrà meno la base materiale di essa. L'e. ducatore, o il maestro, in quanto tale, è tutto risoluto nella sua determinata soggettività, la cui vita è nel l'argomento che gli offre materia alla presente lezio ne, e in quella vita si risolve anche tutto l'educando se veramente apprende e freme e vibra nella parola del maestro. Se c'è questa unificazione spirituale del l'educando coll'educatore, o fusione delle due attività in una, avremo la scuola; se le due umanità non si fondono, non esistono, spiritualmente, nè il maestro nè l'alunno. Cioè : « un atto educativo non è conce pibile se non ad un patto; che cioè attraverso esso si realizzi l'unificazione degli spirti che vi con corrono » .

La scuola consiste nella comunicazione della col. tura. E la coltura non è lì innanzi a noi, quale teso ro dissepolto dalle profondità della terra ed esposto alle nostre mani : la coltura è quella che noi ci fac ciamo; essa è la vita del nostro spirito. Essa non è nei libri; è nel maestro; non è in un mondo ideale trascendente nel mondo delle idee bell'e fatte,è soltanto nello spirito, o, meglio, nell'atto dello spi rito onde si comunica e nello spirito che attualmente impara. La scuola si compie nello spirito del discen ie che è identico collo spirito del maestro; la immedia ta opposizione di maestro e discente si viene risol vendo nell'unità del processo spirituale, in cui l'edu (345) La riforma dell'educazione, XI, p. 245.

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cazione via via si attua. (345) L'entrare dell'educa tore nel processo spirituale dell'educando, o nello spirito di lui che si fa continuamente, non è un usci re da se medesimo, non è come un distaccarsi da sè, per aderire a un processo estraneo, ma ènè più nè meno che realizzare il proprio processo. Il maestro e lo scolaro sono in quanto si fanno nella loro corre lazione educativa: sono un processo unico. Non di mentichiamo che non sono spirito, non sono reali i nostri lo empirici, come due, tre, dieci, cioè come molteplicità: sono reali in quanto si risolvono nell'Io unico, nel soggetto senza plurale « Perciò l'educazio ne non è un fatto che empiricamente si osservi e possa fissarsi e ritenersi soggetto a leggi come di natura, anzi, è quasi mistica formazione di una spi ritualità superindividuale, che è poi la sola effettiva, reale, concreta personalità che l'individuo attui». (346) E lo spirto è ininterrotto divenire, crearsi. Se tutto è spirito, tutto è spirito in quanto si fa spirito. Educatore ed educando sono spirito, ma in quan to si fanno e nel farsi. Rispetto a un momento ulte riore ogni farsi è qualche cosa di fatto, non è unità, ma dualità, molteplicità che viene risolta nell'atto che la pensa. Così eternamente. Poichè, l'educazione, co me formazione dello spirito, non ha nè principio nè fine. Il processo educativo è eterno; e non gli è as segnabile alcun limite di tempo, nè a parte ante, nè a parte post, per la semplicissima ragione che il tem (346) Op. cit. l. cit.

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po è nello spirito, non lo spirito nel tempo. Dice bene, dal suo punto di vista, il Gentile: « Ogni mo mento nel tempo del processo educativo non è un momento di reale educazione, ma di reale pensiero dell'educazione » . Cid vale come sappiamo del l'atto spirituale in genere. « Se io ripercorro nella memoria la mia vita passata, che è oggetto del mio pensiero presente, ma non il inio pensiero, la mia vita presente, posso assegnare un principio ad ogni periodo della mia educazione Ma collocando questi vari momenti distinti nel tempo della mia vita, io non rifletto che questa varietà s'incontra è s'irradia da questo momento della mia vita attuale, in cui ricor do, facendo me estraneo a me medesimo. Laddove questo stesso possibile, in quanto quel che di me ripercorro con la memoria è vivo nella mia vita attuale, che non è nel tempo, ma contiene il tempo >> (347) « L'educazione vera è nella vita vissuta del no stro spirito dove non c'è tempo ma il ritmo dell'e terno atto spirtuale ». (348) E, come non ha princi pio, l'educazione non ha fine, perchè non può aver fine lo svolgimento dello spirito. « L'homo sapiens è un processo spirituale; e, come tale, non è mai compiuto, ed è tutto un processo'», fino alla morte, empiricamente parlando; senza termine, dal punto di vista speculativo che coglie il vero spirito, nel quale sono contenute e risolte tutte le nascite e tutte le mor

(347) Sommario di Pedagogia, P. II, p. 144. (348) Op. cit., ivi.

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ti. E questo l'lo che si educa. « Nell'unità del pro cesso lo spirito sempre, nella sua essenza, è educan do : perché se non fosse e se non fosse scolaro vi vo ed attivo esso cascherebbe nel nulla, poichè il suo essere è il suo vivere e formarsi o educarsi : essere un eterno scolaro, anzi l'eterno scolaro » . Quale dub bio pud restare, ora, che la pedagogia sia filosofia se l'una e l'altra studiano, sono, anzi lo svolgimento o la formazione dello spirito che si educa svolgen dosi e si svolge educandosi? Purchè, naturalmente si tratti di filosofia che concepisca l'educazione come realtà assoluta, essenziale, necessaria, che sia capace cioè, di attribuire all'educazione un valore assoluto poichè se la educazione venisse concepita come un fatto tra i fatti, un succedersi di puri fenomeni con tingenti nel loro modo di essere, non potrebbe certo coincidere colla filosofia che è la scienza dell'asso luto e non del relativo, del reale e non del fenome no, del necessario e non del contingente. E la filosofia che concepisce l'educazione come realtà assoluta e risolve, quindi, in sè la pedagogia la filosofia che tratta l'educazione come un processo di natura essenzialmente spirituale. è lo spiritualismo L'educazione è spirituale come processo, sviluppo divenire assoluto; quindi le filosofie spiritualistiche che trattano lo spirito quasi un fatto, uno stato, un essere suscettibile di sviluppo, o di cui lo sviluppo costituisce una caratteristica accidentale, non posso no identificarsi affatto colla pedagogia. Se si conce pisce l'educazione quasi il modo e il mezzo con cui

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lo spirito attinge la sua vera essenza, ma che divent ta inutile e non più necessaria, quando lo spirito ta le essenza abbia già attinto, avremo introdotto una differenza fra pedagogia e filosofia : questa intende a contemplare lo spirito nella sua essenza immutabile e incorruttibile, quella a studiarlo nel suo sviluppo, nel suo mutamento, nel suo divenire. Dunque? Dun que non questa filosofia spiritualistica s'identifica colla pedagogia che elevi lo spirito a principio as soluto della realtà, ma quella che, oltre ciò, lo con cepisce come processo, sviluppo, atto, o divenire as soluto : che, perciò, non sia solo spiritualismo, ma spiritualismo dinamico, o, in una parola, assoluto idealismo. Il quale « può identificarsi colla pedago gia, in quanto può affermare la realtà assoluta del l'educazione, col risolvere tutto il reale nel proces so dialettico dello spirito » . (319) Facciamo qual che osservazione prima di procedere oltre nella espo sizione. Il Gentile ha scritto delle pagine magnifiche a confutare il preteso dualismo fra maestro e disce. polo; sulla educazione interna, sulla spiratualità della capisce; Noi non siamo d'accordo in tutto con lui, si capisce; ma quando rigetta con delle ottime ragioni il valore dei manuali, dei metodi, dei programmi con. siderati in se stessi e fuori dello spirito che li vivifi chi; quando batte contro le precettistiche delle gram matiche, delle retoriche e anche delle didattiche, che (349) Vedere per tutta questa pagina: MARIO CASOTTI: Il contenuto filosofico della pedagogia, in L'educazione na. zionale, A. II, N. 21, 30 settembre1920.

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337 22 - La filosofia di G. Gentile .

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vogliono costringere lo spirito di chi insegna e di chi vorrebbe e dovrebbe imparare in un letto di Procu ste e tolgono all'educazione ogni spontaneità, e, quin di, ogni spiritualità, nella mania di imporre il passa to al presente, mentre la vita non conosce altro pas sato che quello che essa contiene nel suo vivo pre sente; quando egli si scaglia contro i « componimen ti con cui si pretende che un tema antecedentemen te definito come nucleo di un organismo di pensie ro, motivo dominante e legge di un lavoro artistico, o di un lavoro di riflessione morale e speculativa, venga svolto dagli scolari che possono non aver pen sato mai sull'argomento, possono non essere punto disposti a quella certa vibrazione spirituale, ed es sere lontanissimi da quella via l ngo la quale quel tema potrebbe essere svolto » ; (350) quando il Gen tile polemizza contro tutto ciò che vorrebbe cristalliz zare l'educazione in sistemi fatti, negando la libera spontaneità dello spirito, noi sottoscriviamo e gli bat tiamo le mani. Ma gli contestiamo il diritto di pole mizzare contro tutte quelle degenerazioni del vero spi rito pedagogico. Non sono anch'esse creazioni dello spirito ? Non fanno parte di quella molteplicità delle scuole, in cui lo spirito si manifesta e si concretizza? Tutto ciò che è ha la sua brava ragione di essere, e deve essere messo tutto, assolutamente tutto, sullo stesso piano, e guardato collo stesso sguardo di ap provazione. O tutte quelle che, dal punto di vista no (350) La riforma dell'educazione, pp. 162-3.

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stro, abbiamo chiamate « degenerazioni della peda gogia» sono forme reali e allora sono spirituali e perciò buone, anzi ottime, necessarie, assolute; o non sono realtà, e allora è perfettamente inutile battaglia re contro di esse. L'educazione è empiristica, mate rialistica ? Ma valgono l'idealistica, se sono reali: il reale è il razionale, è lo spirituale; e quelle due forme di educazione sono egualmente eterne, U gualmente assolute, ugualmente necessárie. Lo spirito assoluto, l'atto puro, per educarsi, cioè per svolgersi, si crea maestri, apre scuole, scrive libri, traccia metodi, formula programmi, ecc. ecc.; finchè quei maestri insegnano, anche seguendo vecchi pro grammi , vieti metodi, pessimi libri, insegnano bene, che diamine? È lo spirito che pensa, parla, vuole in essi; lo spirito che li risolve continuamente in sè. O insegnano male perchè precisamente resistono alla forza risolutiva dello spirito? Non diciamo sproposi ti: se tutto è spirito, tutta la realià nell'attodello spi rito, che cosa, mai volete che resista allo spirito? E perchè lo spirito non si limita a creare scuole spiri tuali, idealistiche, come vogliono il Lombardo--Radice e il Gentile, e come, con parecchie riserve fondamen tali, vogliamo anche noi? Perchè crea anche, le scuole che si ispirano alle dottrine dell'Ardigò, del Marchesini, o del positivismo e del realismo, le qua li soffocano, le une e le altre, secondo il Gentile, lo sviluppo dello spirito stesso? L'Unità non può svolgersi che concretandosi nella molteplicità. bene! Ma per svolgersi questo povero spirito abhi Va

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sogna proprio di una molteplicità che ne ostacoli lo svolgimento? Di scuole dove lo si nega o teoricamente o praticamente, dove se ne oppugna le più alte idealità, e lo si irrigidisce in sistemi del passato e se ne ostacolano le libere sue creazioni? Non gli basta la creazione delle scuole neo-hegeliane? O si diverte, lo spirito, a trarre dal suo seno la infinita varietà contradditoria di manifestazioni e a vedere gli Io empirici in lotta l'uno contro l'altro? Anche se proprio lui è quello che ne deve subire il danno? Il danno! Ma se lo spirito crea questa caotica va rietà di scuole, che contemporaneamente dicono al cune « Si » e altre « No» in tutti i toni, è segno che esso ci sta ugualmente bene in tutte, con tutti i mae stri e con tutti i metodi e programmi . Tanto la mol teplicità che esso crea se la risolve continuamente in sè e qualunque direzione prendano gli affari di que sto mondo empirico, la dialettica è sempre ugualmen te trionfatrice. E se lo spirito vuol educarsi attraver so tutte le correnti di pensiero e tutti i sistemi mora li e tutte, quindi, le pedagogie, è segno che ciò con tribuisce al suo sviluppo, che è amante delle più sva riate esperienze, che brama affermarsi di fronte a tut te le opposizioni, le quali, anzichè ostacolare il suo fa tale andare, lo potenziano all'infinito, e non deve veder di buon occhio, credo, le polemiche degli idealisti con tro le scuole empiristiche che sono pure e semplici creature sue. Cioè, ini correggo: egli, lo spirito, si serve degli idealisti, precisamente per vincere l anti. tesi, l'opposizione, la molteplicità, che, per volere

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creatore dello spirito stesso, rinascerà domani in for me nuove, in altri empirismi, in altri realismi; ed es so, lo spirito, avrà ancora da risolvere, da superare per progredire. Poichè, in concreto, l'atto assoluto è nient'altro che perpetua creazione di ostacoli, allin chè nel superarli, nel trionfarne sia possibile l'attività, cresca senza fine l'attività. Lo spirito crea i realisti e gli empiristi, con tutte le loro scuole, e tutti i loro programmi -e i loro metodi come la sua antitesi, che non gli è meno necessaria della tesi per la sintesi; attraverso poi l'idealismo attuale, o come idealismo attuale, la supera, e, superandola, si svolge, progre disce, è, e saranno da lui benedetti gli uni e gli al tri, gli empiristi e gli idealisti, gli uni e gli altri sue creature assolutamente e ugualmente necessarie al suo essere di spirito concreto. Fanno benone, dun que, gli empiristi a essere empiristi tutti d'un pezzo c gli idealisti a combatterli senza quartiere, e senza speranza di sgominarli definitivamente: lo spirito stes. so li susciterà dalle loro ceneri a vita nuova, più rigo gliosa, più resistente, perchè più crescano la vita e il trionfo dello spirito. Non contestiamo, dunque, all'i dealismo il diritto di polemizzare, come, sorridendo, minacciavamo di fare al principio di questa nostra os servazione; noi neghiamo soltanto che gli idealisti sia no più necessari allo spirito, piùgenuine manifestazio ni dello spirito, che gli empiristi. Chi si sognò mai di dare la preferenza alla tesi in confronto dell'antitesi? di dire, di due elementi essenzialissimi all'attività, che uno è più necessario dell'altro ? Noi ci sentiamo,

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quindi, in dovere di esortare gli empiristi a mante nere col ferro e col fuoco le loro posizioni e agli idea listi di combatterle pure col ferro e col fuoco: la vita dev'essere pugna omnium contra omnes, diversa mente cade nel nulla. E noi stessi siamo travolti nel la lotta, o come empiristi o come idealisti : nell'un caso come nell'altro è certo però che siamo al nostro posto, nel postoin cui ci mette lo spirito, e, o co me tesi o come antitesi, noi facciamo tutto il nostro dovere; perciò qualunque sia l'atteggiamento che as sumiamo, noi siamo perfettamente giustificati, perchè è poi lo spirito stesso che si atteggia attraverso noi così e così. Facciamo un'altra considerazione. Ci si dice che l'educazione è funzione di educatore ed educando in un solo spirio, nello Spirito. Intendiamoci. Noi sap piamo intanto che lo spirito, che è sempre tutto in ogni momento del suo atto, non è se non un pro cesso autogenetico, in cui trovano il loro posto e la loro verità tutte quelle forme della realtà, che, con siderate astrattamente, stimiamo anteriori e diverse dalla spirituale : dette in genere materiali. Lo spirito non è, ma si fa; e si fa come risoluzione della ma teria, che perciò si trova dentro. « Onde staticamen te tutto è materia; dinamicamente, nel suo processo intimo, tutto è spirito ». (351) Si capisce che in que sta concezione del reale il vero maestro dell'uomo è il Tutto. E il capitolo' che il Gentile consacra allo (351) Op. cit. Cap. cit. passim.

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sviluppo di questo concetto contiene delle pagine che sono tra le migliori della nostra letteratura pedago gica. « L'uomo vive di tutto, o tutto raccoglie nel ritmo della propria vita » , << Tutto si muove intorno a noi di un lavoro eterno, che è una storia sola : e noi, nel sistema di questo tutto, risolvendo tutto il lavoro nel processo spirituale che è il nostro Io, quando sentiamo profondamente il nostro essere, non possiarno non guardare con quegli stessi occhi di amore e di gratitudine e di riverenza, onde guardia mo ai nostri maestri » . Niente occhi di amore o di gratitudine o di riverenza, dico io. Io non mi so no grato di ciò che mi da. Il maestro è l'alunno e viceversa. « Il nostro spirito, che è lo spirito, si muove sempre dentro di sè; nella sua vita, che è il dispiegarsi di un processo, contrappone continua mente sè a sè nell'atto stesso che si pone come uni tà, e risolve quindi l'opposizione » . Ma il tutto è: maestro dello spirito, solo se questo tutto s'intende come unità spirituale del tutto. « Il maestro è, perciò, lo spirito, lo spirito nella sua realtà individuale e sog gettiva, dove però è immanente la massima, l'assolu ta universalità e oggettività » . (352) Niente e nessuno educa lo spirito che è autoformazione assoluta. Cer to lo spirito si realizza nella molteplicità degli uomi ni, anzi di tutti gli esseri. Ma tutti gli uomini e tutti gli esseri non sono che momenti dello spirito. I qua li uomini e i quali esseri hanno certo avuto influsso (352) E' il capitolo XII: Il vero maestro del Sommario di pedagogia, Vol. I, pag. 190 segg.

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sopra di me, ma, in fondo, questo influsso è di me, Spirito, su me. Lo Spirito si fa Socrate e Aristotele e Platone : lo stesso identico Spirito, che è Maestro, e l'unico Maestro, di se stesso. Dice il Gentile: « Tan to più eccellente è il maestro quanto meno lo scola ro vede fuori del Maestro e quanto meno di diverso vede fra sè e il Maestro » . Ma qui il Maestro è sem pre quanto si possa immaginare eccellente, perchè lo scolaro si vede identico, perfettamente identico al Maestro, che si fa tutto per lo scolaro, perchè è es so stesso lo scolaro, s'immedesima e si risolve nel l'autocoscienza dello scolaro, anzi è l'autocoscienza dello scolaro senza bisogno di risoluzione. Il Mae stro vive nello scolaro? Sfido io! E' lo scolaro, tutto lo scolaro. E l'educazione si risolve in un eterno mo nalogo' che lo spirito fa a se stesso. Tutte le distin zioni di scolaro e maestro sono affatto empiriche e sono empirici i rapporti di amore, di gratitudine, di riverenza che legano fra loro scolaro e maestro. L'at to dice a sè l'atto; il tutto dice a sè il tutto; un atto sempre nuovo, un tutto sempre diverso : ecco l'educa zione. Perchè questo eterno monologo solitario, que sta voce a cui non risponde che l'eco della voce stessa, è un mistero. Lo spirito fa, disfa, rifà, forma, di sforma, riforma: è cosciente di questo fare e rifare : ecco il processo autocosciente, l'educazione, l'autofor mazione. Educazione? Se lo spirito è tutto, il suo non può essere progresso, ma solo cambiamento; l'au tocreazione non è vera creazione : è un farsi diversa mente, dirsi in altre parole. L'autocreazione dice an 344

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ch'essa rapporto verso un termine, la maggiore o mi. nore approssimazione al quale è la misura dell'effettiva autocreatività, è il termine di confronto del mio cre scere su me stesso. L'autocreazione, in altre parole, suppone un termine, almeno ideale, di arrivo, al quale si miri nell'attoprogressivo. Anche l'educazio ne si risolve, dunque, nell'idealismo attuale, in una immensa visione o autovisione caleidoscopica, in una eterna mutazione di scena, senza spettatori e senza progresso. « L'atto dello spirito è un atto unico, an corchè molteplice nel suo contenuto in se stesso con siderato. Ma in quell'atto è tutto » . (353) Sempre tutto : . un tutto che varia; non si ripete, ma non progredi sce. Come non si ripeta, come anzi possa mutare, producendo, esso che è identico, il diverso, esso che è unico, il molteplice, è anche un mistero. Il Gentile lo afferma. « Lo spirito è sempre lo Spirito, ma non si ripete e non sipuò ripetere mai ». Nella nostra conce zione la impossibilità della ripetizione è evidente. Stu diando, io scopro sempre nuovi aspetti della realtà in definita nei suoi individui e nelle relazioni universali di questi e il mio studio è progressivo, perchèè in continuo approssimarsi all'intelligenza del Tutto, che è l'ideale a cui tendo. Nell'idealismo non c'è nulla da scoprire e nulla da raggiungere; pare che l'atto crei e passi di arricchimento in arricchimento, ma, in realtà, si tratta di una illusione. Non c'è progresso o arricchimento, perché: (353) Op. cit., p. 196. >

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1. Non esiste un termine di confronto termine d'arrivo che sia la misura del crescere su se stesso dell'atto, che, perciò, potrà mutare, ma non progredire. Lo spirito è sempre il Tutto che si cono sce tutto : potrà essere, forse, diversamente tutto, non più o meno perfettamente tutto.

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2 . Nonchè il progresso, anche la semplice mu tazione è inconcepibile in uno spirito che è fuori del tempo, sopra ogni successione, un atto eterno; un atto eterno che divenga, un divenire eterno, è, per noi, una contradictio in adjecto. L'eterno è, per definizione, possesso infinito che toglie la possibilità stessa del processo. Il divenire nel tempo lo com prendo, è una necessità: il divenire nell'eternità è un assurdo.

3 . Non c'è arricchimento dove la realtà, l'u. nica realtà, è l'arricchimento stesso; dove niente e nes suno s'arricchisce. Dove non si può parlare nean che di arricchirsi, ma si deve, se mai, parlare di ar ricchire, impersonale, semplice atto di nessuno da nessuno per nessuno. Il solo individuo che si possa concepire nell'idealismo è quello che s'individua, cioè lo spirito; l'individuo individuato non è intelli gibile. Se l'individuo è uno, a maggior ragione una sarà la persona. L'individuo pensa, vuole, opera, non come individuo ma come potenza universale. Io vo glio, io penso, io agisco, quando in me voglia lo Stato a cui appartengo, il mondo delle nazioni in cui lo Stato coesiste con gli altri, anzi quando in me, voglia il mondo, il Tutto, la persona che non ha

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plurale: il mio pensiero, la mia azione sono reali quando sono pensiero e volontà del Tutto. La nostra personalità particolare è astratta, empirica, irreale : in concreto si realizza come personalità universale. Dot trina, questa, che ha un lato verissimo in quanto af ferma che l'individuo è quello che è per le relazioni organiche ond'è unito con tutta la realtà come rea zione a tutta l'azione del reale cosmico-umano. Ma per noi esiste un centro personale, che, come tale non diviene, ma è; o meglio che non è il divenire, ma un essere che diviene e, divenendo, si arricchisce. E per noi, sostanzialisti e realisti, il centro personale sta negli Io molteplici che entrano in mutua relazio ne l'uno con l'altro, con tutto, così che la realtà si figura come personalmente policentrica; non mono centrica veramente quella dell'idealismo é acen trica : le persone, gli Io molteplici sono reali con creti, centri di riferimento di tutto il reale, individuali cioè distinti fra loro, ma insieme congiunti attraverso rapporti universali. Nell'idealismo il centro di riferi mento è unico: unico il soggetto che pensa e vuole, l'Io trascendentale che risolve continuamente in se gli Io empirici, che solo in esso e per esso, risoluti in esso, hanno valore di concretezza. E anche l'Io trascendentale sfuma, se tutto tutto è divenire, se non c'è un punto stabile di essere. E del resto anche ammesso che un centro personale ci sia, che senso possono avere, data la riduzione di tutte le persone alla persona che non ha plurale, frasi come queste: « bisogna rispettare la personalità dell'alunno »,

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« il maestro deve farsi la persona dello scolaro » a deve esistere mutua comprensione fra la persona del maestro e quella dell'educando »); non si com prende. O meglio, si comprende che non hanno sen so alcuno. State pur certi che quel rispetto, quella comprensione, quella fusione ci sarà sempre: volete che lo spirito non si rispetti, non si comprenda, non sia fuso in se stesso? Scrive il Gentile : « L'educa zione si propone di sviluppare nell'uomo la libertà poichè educare è fare uomo l'uomo; e l'uomo è de gno del suo nome quando è padrone di sè, con l'ini ziativa e la responsabilità de' suoi atti, con la co scienza e il discernimento delle idee che accoglie, pro fessa, afferma e propaga; sicchè tutto quello che fa dice e pensa, si possa dire veramente che sia egli a farlo, dirlo e pensarlo » (354) L'educazione si pro pone di sviluppare? Chi si propone? Evidentemente lo Spirito; che si propone, dunque, di svilupparsi. Lo Spirito che è sviluppo, niente altro che sviluppo; lo spirito che è educazione, nient'altro che educazione, che è libertà, nient'altro che libertà, tutta la libertà tutto lo sviluppo, tutta l'educazione, che può essere Lo svilupposi propone di sviluppare lo sviluppo, l'e ducazione si propone di sviluppare l'educazione? Non senso. Non ci si propone nulla quando si è di necessità tutto quello che ci si può proporre di essere. « Questa è la vita vera dello spirito: in ogni suo palpito egli spazia per l'infinito, senza incontrare altro che quello (354) La riforma dell'educazione, pp. 40-1.

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stesso che egli realizza spiritualmente. Lo spirito non incontra che lo spirito ». Non potrà quindi incontrare limitazioni, ostacoli : non esiste l'antinomia di educa tore e di educando, di libertà e di autorità: l'educa zione è uno scorrere senza letto e senza sponde : puro divenire. Di chi? Di nessuno. E' divenire, scorrere. Lo scorrere che è maestro e scolaro; Uno, Tutto, Atto, Divenire, Scorrere. Ci sentiamo colti dalle vertigini. Nel Divenire puro tutto è risolto: maestri e scolari, li bri, metodi, programmi, autorità, libertà, individuo, Stato, Umanità, Cosmo : l'atto produce l'alto, lo scor rere produce lo scorrere, l'agire agisce, agisce, agisce : altro mai nulla. Ma questo atto però si può ancora chiamare persona? E' autocoscienza, lo so; ed è l'au tocoscienza di infinite coscienze, ma intanto le co scienze si risolvono tutte senza residuo nell'auto coscienza, che, quindi, è l'unica realtà, di cui le ani. me nostre e tutta la natura non sono che momenti fugaci, anzi, ombre fugaci, astrazioni fuori del mo mento risolutivo. Ma l'atto eterno universale che è fuori dello spazio e del tempo, puro atto senza so stanza, atto sostanziale, è concepibile ancora come qualche cosa di concreto ? E' concreta la pura auto coscienza di nessuno? Qualcuno l'ha chiamata una « respirazione fuori dell'aria ». Se lo scorrere fuori del tempo e dello spazio, lo scorrere asostanziale di nessuno, da nessuno, verso nessun termine, senza di stinzione, senza forme intrinseche, non è una colos. 349

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sale astrazione, io non so più che cosa questa parola significhi. E' il nichilismo assoluto. Non basta affer mare la concretezza: bisogna renderla possibile. Il Gentile pensa come noi quando scrive: « Se non ci fosse il soggetto, chi penserebbe? Non è possibile con cepire il pensiero senza personalità, perchè il pen siero è conceptus sui, cioè lo; e, quindi, non solo pensiero come attività, bensì attività che si ripiega su se stessa e si pone pertanto come persona ». Ma quando il Gentile mi pone questo soggetto, questa persona, come puro divenire, un divenire che è fuori di ogni tempo, Unità senza molteplicità, senza nec suna distinzione, che pone indistintamente il bene e il male, la verità e l'errore, e davanti alla quale, co me s'è veduto, spariscono errore e verità, bene e male; che è indifferente in facciaad ogni produzione di realtà empiriche e che tutte risolve continuamente in sè comevalori identici e, perciò, comenon valori, allora questa Persona non so concepirla e, come di cevo sopra, mi si dilegua nel pensiero come una in significante astrazione.

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Nei libri « pedagogici chiamiamoli così del Gentile troviamo delle pagine, dei capitoli interi, in cui si sente vibrare il senso verso le realtà empi riche umane, alle quali sembra che l'autore dia come noi il valore di persone. Ecco un pensiero che ritor na molte volte : « L'uomo che si educa è l'uomo in teso rigorosamente come spirito: spirito libero, in quanto infinito e veramente universale in ogni suo momento e atteggiamento » . E continua: « Lì l'educa E 350 -

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tore deve guardare per farsi un concetto adeguato della sua opera, la cui enorme responsabilità quale si svela a chi rifletta come nella monade dell'indivi duo, nell'anima semplicetta del bimbo che si abban dona fiduciosamente al suo pollice plasmatore, vibra l'infinito e nasce ogni attimo una vita che si riper cuote in tutta la sconfinata distesa dello spazio, del tempo, d'ogni reale » . E', in fondo, con qualche ri serva, il nostro concetto della organicità del reale, del l'universale concreto. « L'educatore prosegue il Gentile deve intravvedere, deve sentire questo in finito in cui si spande ogni sua parola, ogni suo sguardo, ogni suo gesto; deve, entrando in scuola, ar restandosi a quel fanciullo, a cui non si deve sol tanto magna reverentia, ma lo stesso culto che a tutte le cose divine, deve sentirsi in alto, molto in alto, e sentire la difficoltà e il dovere di mantenervisi : deve perciò lasciar cadere di dentro a se stesso tutte le miserie della sua particolare persona, e le sue preoccupazioni e passioni, e pensieri prosaici del gior no e di tutti i giorni, e le basse voglie della carne che ci tira in giù, e aprire l'animo alla fede esalta trice delle sue energie, al dio che deve reggerlo e ispirarlo. Chi non è in grado, dentro la scuola, di sentire la santità del luogo e dell'opera che egli im prende a celebrarvi, non è educatore » . (355) Deve, deve, deve! Ma l'educatore non è lo spirito, che è assoluta verità, assoluto bene, assoluta necessità, as (355) La riforma dell'educazione, pp. 246-7.

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soluta spiritualità ? E pud questo educatore venir meno, anche un solo istante, al proprio dovere? E può la realtà empirica del maestro empirico essere anche minimamente di ostacolo all'attuazione dello spirito, se lo spirito non trova nel suo svolgimento altro che quello che esso stesso realizza ? L'educatore sarà sempre necessariamente il perfettissimo educatore, se non si vuole ammettere iniziativa, libertà propria nel maestro empirico come tale, e dar così valore di realtà indipendente alla molteplicità. Quella pagina la potrebbero scrivere un Martinetti e un Varisco, so pratutto un Varisco; la potremo scrivere anche noi con loro : con qualche riserva e scrivendo Dio con iniziale maiuscola. Il Gentile no. Educazione è autoe ducazione dello spirito senza plurale, infallibile, per il quale non c'è nè basso nè alto, nè degradazioni ne esaltazioni, perchè in lui che è l'unica realtà l'es sere si confonde col dover essere. Anche noi ammet tiamo l'identità di filosofia e di pedagogia, purchè la filosofia riconosca tutti i dualismi che siamo venuti affermando in questo e nei capitoli precedenti : i dua lismi della filosofia perenne. Anche noi ammettiamo, nell'atto educativo, come tale, la compenetrazione mutuz del maestro e dell'alunno attraverso le iden tiche leggi e l'identica natura dello spirito umano; ma neghiamo, in nome della più universale ed ele mentare esperienza, la risoluzione dei due spiriti in un preteso spirito trascendentale, che nè l'esperienza nè la speculazione trovano. Il maestro e lo scolaro quando vibrano della Verità e del Berie, quando il

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maestro insegna come « l'uom s'eterna » e lo scolaro impara ad eternarsi, si conformano tutti e due al pen siero e alla volontà di Dio, ultima norma di tutto ciò che è vero e di tutto ciò che è buono, ma non si risolvono in Dio, non si indentificano in Lui, che è trascendente. Anche noi ammettiamo che il vero maestro degli uomini è tutta la realtà, contemplando la quale noi saliamo, per dirla con S. Paolo, dalle cose visibili alle cose invisibili; che il libro vero del la nostra educazione spirituale è l'anima dell'uomo stesso, nella quale troviamo i principi eterni di ragio ne e le leggi della coscienza morale, attraverso le quali ci parla il Maestro divino. L'imitatio Christi è per vasa da cima a fondo di questo pensiero e il De Magistro e le Confessioni di S. Agostino ne fanno la base di ogni vera educazione. « Se entrambi ve diamo che è vero quel che dici ed entrambi verliamo che è vero quel che dico, dove mai cið vediaino? Non io in te, non tu in me, ma entrambi nella in commutabile verità che è al di sopra di te e di me » . (356) Ogni cosa è vera se è conforme alla incommuta bile verità: ma, questa non è immanente, ma tra scendente, e non la vediamo che in aenigmale. Siamo in pieno platonismo. « Non uscir fuori, torna in te; nell'uomo interiore abita la verità; e se trovi mutevolo la tua natura trascendi te stesso ! Tendi colà, doade s'accende lo stesso lume di ragione » . (357) Per que (356) Confessioni, XII, 25. (357) De vera religione; 39-72. 353 23 La filosofia di G. Gentile .

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sto appunto l'educazione deve essere religione, per chè, come insegnava anche il Mazzini, il fondamen to dei diritti e dei doveri, della scienza vera e della morale, è Dio. L'educazione senza Dio è un nome vano. Dice bene se spogliamo certe frasi del sapore schiettamente panteistico che necessariamente hanno - il Gentile: « La religione come principio e legge dell'educazione ha il merito grandissimo di far sentire la realtà del soggetto nell'oggetto, l'uomo legato al mondo, alla verità, alla legge, a un tutto che è asso luto; in cui si spunta l'arbitrio individuale. Dovunque si volga, chi crede in Dio, vede Dio, la sua volontà assoluta, che è la sua legge, e sente sè alla presenza indefettibile di questa volontà possente cui non si re siste. Questo senso religioso è lo stesso senso morale; la posizione dello spirito che sente nel suo inondo una legge assoluta. L'istruzione religiosa è piercið essenzialmente morale, perchè la realtà che essa met te innanzi, è una realtà avente un valore assoluto » . (358) Ma questo valore si dilegua, nell'idealismo, dove Dio è lo stesso uomo che non è legge morale, ma atto, identità di essere e dover essere, che non è le gato a nulla, perchè non è che se stesso, lo spirito, che non incontra mai altro che lo spirito; anche l'uomo empirico, in quanto reale, cioè non più em pirico, non astratto ma concreto, non è che lo spirito che s'individua. E tutta la pedagogia del Gentile, ve duta dal punto di vista dell'idealismo attuale, dell'e (358) Sommario di pedagogia, P. III., p. 263.

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$ vanno com

sperienza pura, ha il suo principio e la sua fine in questa formula. « Lo spirito è autoeducazione; l'auto educazione è tutta la realtà; tutta la realtà è maestro e discepolo a un tempo e sotto lo stesso rispetto; ed è tutto quello che deve essere: la migliore delle morali possibili; perchè è lo stesso atto dello spirito » . Per chè il Gentile s'affanni a scrivere tutte le belle cose, veramente belle, che scrive perla riforma della scuo la, non si capisce. Ma volete insegnare allo spirito, riformare le posizioni dello spirito, che ama di svi lupparsi a quel modo che tutti vediamo? E perchè lo spirito susciti ogni tanto degli uomini che vogliono dare maggior serietà all'istruzione, a quell'istruzione che lo spirito stesso realizza, è un altro mistero. E come questi uomini possano scrivere qualche cosa di differente da quello che è la pratica universale della scuola, vogliano correggere la realtà positiva dello sviluppo umano secondo programmi, metodi e testi accettati, è un mistero anche più mistero degli altri. Possiamo pensare che una delle tante ruote di un immenso ingranaggio, la quale va va va con tutte le altre che vanno vanno e deve andare come va e tutte devono andare come vanno, che, anzi, non sono tutte insieme che un andare andare andare, possa un giorno avere la pazza idea di vo ler andare e di far andare diversamente da come si va? Più che « andare » non potranno essere mai! E se sono tutto l'andare che deve essere; se tutte vanno devono andare, come può sorgere anche il solo 355

CENTILE

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sospetto, e, soprattutto, il desiderio, di andare diver samente. Assurdo. Assurdo come l'idealismo attuale ultima eloquente riduzione all'assurdo d'ogni idealismo immanente. Se noi siamo accomunati nel processo dall'unico spirito, senza il minimo margine di iniziativa nostra, di libertà di scelta, di sviluppo autonomo, sono perfettamente vani tutti i consigli che il Gentile prodiga ai maestri, e la sua filosofia potrà forse dare all'uomo « il senso della realtà del si stema del mondo e della propria realtà in questo si stema » ; potrà anche additare all'uomo « in tutta la sua vastità sconfinata la spirituale fraternità del suo essere in tutti i momenti del suo processo » (359), ma tutto questo si riduce mi pare, a nulla, se si pensa che la coscienza e l'autocoscienza è dell'unico essere, che non ha fraternità di sorta, e la realtà del sistema è infinitamente piccola, evanescente se la si riduce al puro atto presente, all'attualità del dive nire autocosciente. Certo è che questa filosofia non può moralizzare la vita, nessuna forma della vita, perchè in luogo di conservare i valori é darne co scienza all'uomo, svaluta l'uomo dell'esperienza, e distrugge tutti, assolutamente tutti i valori umani, colla distruzione radicale di tutte le categorie e di tutte le distinzioni, come abbiamo dimostrato sopra. Di un altro punto vogliamo toccare. L'idealismo, dopo aver risolto il corpo nello spirito, risolve con seguentemente l'educazione fisica nell'educazione spi.

(359) Sommario di pedagogia, P. III., p. 264.

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rituale. Il corpo naturale, non creato dalla stessa atti vità spirituale, non esiste. « Giacchè la naturalità del corpo, come la materialità del mondo naturale, è una realtà fenomenica, corrispondente a un nostro punto di vista provvisorio e astratto: laddove la spiritualità viene ad essere la forma definitiva ed assoluta, in cui, pensando, finiamo col concepire ogni reale » . Perciò, naturalmente, il corpo c'è in quanto e per chè lo facciamo noi ed è quale noi ce lo facciamo: « e più lo spiritualizziamo, più lo facciamo nostro, più lo ravviviamo cioè dellanostra spiritualità, e più esso acquista valore » . (360) Si capisce che il « noi » non è il noi empirico, ma il « Noi » trascendentale, che si crea diversi corpi, la indefinita varietà di cor pi, per concretarsi. Noi ci domandiamo, forse, per chè lo spirito non si contenta di creare gli spiriti, e magari uno spirito solo, per concretarsi; o meglio, perchè non si oggetliva soltanto in molti o uno spi rito. Chi fa questa domanda non ha letto o nonha capito la nostra esposizione. Anche il corpo è spiri to, immanente nell'atto del pensiero e identico con esso. Lo spirito non produce che spirito, non trova che spirito. Ma, allora, che cosa vuol dire : « la spi ritualità del corpo consiste nella sua spiritualizzazio ne? » c'è o non c'è questo corpo da spiritualizzare? Anche chi fa queste domande non ci ha capito. Il corpo è l'oggetto, la natura; il passato che si spiri tualizza pensandolo, ponendolo pensato. E non si (360) Op. cit., P. III, pp. 267-9.

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domandi dove è il passato come passato, come na tura; come corpo da spiritualizzare, prima di venir spiritualizzato. Prima non c'era: spirito, corpo, sono sintesi a priori, sono autoctisi, momenti del processo dello spirito. Il corpo rientra, dunque, nel concetto generale di natura. « Vivere è farsi il corpo; perchè vivere è pensare; e pensare, è aver coscienza di sè, di cui non si ha coscienza se non si oggettiva; e l'og getto, cometale, è il corpo, il nostro corpo ». (361) Ma non c'è un dato naturale, che non è dato a noi di modificare, - di educare, di correggere e che noi non possiamo se non accettare per costruirvi su? Non c'è un corpo che non ci diamo noi, e che non è, perciò, prodotto del nostro spirito e parte della sua stessa vita e sostanza? Certamente, se consi deriamo l'uomo nella sua realtà empirica, come uo mo particolare, come uomo pensato. Ma l'Uomo ve ro è l'Uomo presente, che è tutta la realtà perchè tutta in sè la raccoglie; in cui uomini e natura sono tutto uno, perchè sono lo spirito nella sua universa lità. E in esso, come momenti dello sviluppo di es so, considerate nel processo della loro genesi, tutte le così dette deformazioni o mostruosità fisiche sono a posto. Non esistono disvalori nè organici nè este tici in natura, proprio perchè non esiste l'antispiritua lità, e perchè tutto è come deve essere nello svilup po complessivo dell'Uomo. Vedete la gobba, per es. « La gobba, se si guarda nel processo della sua ge.

(361) La riforma dell'educazione, p. 210.

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DI GIOVANNI GENTILE

nesi, apparisce come una formazione governata da quella stessa logica, con cui intendiamo la formazione del torace o del dorso di chi non ha questa mostruo sità, e la mostruosità fisica come certe (tutte, si ca pisce) mostruosità morali, considerate nella loro ge nesi e nel tutto, cessa per tal modo di parere una mostruosità » . Per gobbo, un gobbo è fatto bene, di ceva il Pananti in un epigramma, che, secondo il Gentile, cela una profonda verità. (362) Quello che si dice del gobbo si applica al cie co, allo zoppo, allo storpio, al sordo, ecc : tutte for mazioni logiche perfette. Ma se tutto è perfetto, che cosa vuol dire « educare il corpo? » , spiritualizzar lo? Non lo spiritualizza lo spirito continuamente? E' questa, appunto, la educazione fisica. C'è dice il Gentile qualche cosa che si modifica con oppor tune cure del nostro corpo e qualche cosa che non si pud : ma non perciò meno si spiritualizza. « Ed è stato detto assai bene che ognuno è pittore del pro prio viso, perchè nessun viso è forma materiale mu ta e inespressiva che si possa conoscere come tale: ogni viso ha la sua espressione, dove tutto si idea

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(362) Sommario di pedagogia, vol. I, p. III, p. 267. - L'epigramma é questo : Sosteneva un dottore Che ha fatto tutto bene il Creatore . Gli disse un gobbo: Guardami le rene; Ed ei : Per gobbo tu sei fatto bene.

l Gentile commenta: « Per gobbo, cioè in relazione al l'ideadel gobbo, ossia se questi si considera nello spirito » (ivi).

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lizza e traluce l'anima; e si è belli o brutti, secondo i sentimenti che si covano dentro » . (363)

il corpo -

e (363) Op. cit. l. cit. p. 269.

LA
Tutto, dunque, si spiritualizza, ma non tutto si modifica. Non capisco, dal punto di vista del Genti le, questa distinzione. Lo spirito, è quindi anche non è divenire necessario e libero ? pro cesso logico nel quale tutto è come deve essere, tut to si svolge come deve svolgersi? Come può pen sarsi una distinzione fra ciò che si può modificare e ciò che non si pud? Ha dei limiti lo spirito? No tolti però quelli yoluti dallo spirito, dalla logicadello spirito che è lo spirito stesso. Ma la logica dello Spirito è la ottima delle logiche, la Logica, tout courl la quale non può mettersi dei limiti di sorta, nessu na deformazione da correggere, nessun male da vin cere, nessun fatto da disfare, da modificare e da ri far meglio : l'ottimo non ammette il meglio. Tutto quello che fa è bene e non può disfare il già fatto perchè è un elemento del sistema della realtà. Di fat ti, a propriamente parlare, lo spirito non modifica nulla : spiritualizza e risolve. Rinnova, ricrea, crea. Si guardi la realtà da questo punto di vista e tutte le forme dei corpi e tutte le forme dei temperamenti ci appariranno ugualmente belle, ugualmente logiche, e ugualmente creabili e ricreabili, cioè educabili : sono tuttelo Spirito, momenti dello spirito nel suo svilup po; il qualeè tutto buono, tutto vero, tutto bello, per chè tutto necessario, tutto logico, tutto a posto. - 360

Diversamente ci sarebbe un disvalore, un'antispi ritualità, e basta anche un solo momento di disvalore per distruggere, nel suo stesso concetto, lo Spirito, che è assoluta libertà e identità di essere e dover essere. L'educazione spiritualizza il corpo e il corpo non è che questo processo di spiritualizzazione. E l'educazione fisica è perciò tutta in funzione delle più alte finalità dello spirito. « Il canto modellatore delle voci e moderatoredegli organi vocali, la dan za, esercizio ritmico dei muscoli, la scherma e ogni sorta di ben intesa ginnastica son tutte forme di edu cazione spiritualizzatrice del corpo. E ogni esercizio, in cui lo spirito s'adopri a piegare sempre più il cor po alle proprie finalità, estetiche, morali o come al trimenti vengano denominate, è educazione del vero corpo, concreta realtà dello spirito » . Si capisce che, nell'idealismo attuale, è assolutamente inconcepibile un esercizio corporeo che non sia sempre e tutto ed eminentemente spirituale e soltanto spirituale. E so lo dal punto di vista empirico, cioè delle distinzioni astratte, il Gentile può scrivere : « Non è educativa la ginnastica che fa dell'uomo un forte e agile animale, ma quella che dell'uomo fa un forte e agile uomo: forte al lavoro in cui si realizzano tutte le forme della spiritualità; agile e pronto al dovere, che ri chiede sempre sollecitudine. Nè sono educativi il can to e la danza che facciano di una fanciulla una mac china dalla squillante gola e dai saldi garretti; sì quelli che faranno la voce interprete schietta di senti menti gentili e di tutti gli atti l'espressione ingenua

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9.99

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a (364) Sommario di pedagogia, Vol. I. P. III, pp. 269-70. (365) Conversazioni critåche, Serie II, p. 94.

LA
e composta della grazia » . (364) Cioè della spiritua lità. E noi siamo perfettamente d'accordo; l'educazio ne dell'uomo deve essere umana: si deve ordinare lo sviluppo fisico allo spirituale. Ma, nell'idealismo, que sto avviene sempre necessariamente : per esso, come dicevamo, la distinzione è empirica. A questo dottrina del Gentile il Croce ha fatto un'osservazione che ci sembra fuori di posto. Egli domanda: « A quale forma dello spirito corrisponde la cosi detta educazione fisica, che è, poi, educazione spiri tuale? alla estetica, alla religiosa, o alla filosofica, che sono quelle che tu ammetti o meglio non ammetti, perchè le due prime sarebbero momenti unilaterali ed astratti? Tu non puoi trovare il posto a quella forma di educazione spirituale, perchè ti manca il concetto dell'attività economica. E l'educazione fisica, sebbene qualificata da te come spirituale, ti resta sospesa in aria, non riuscendo a rivendicare il suo vero luogo nel sistema dello spirito » . (365) Io credo che un posto l'abbia, ma al di qua dello schema: arte, religione, filosofia; alle quali corrispondono educazione estetica, educazione scientifica e religiosa, educazione filosofica. Scrive il Gentile: « L'educazio ne fisica, dunque, non si aggiunge all'educazione del lo spirito : è, anch'essa, educazionedello spirito. Essa è la parte fondamentale di questa educazione; poichè 362

il corpo è il fondamento della nostra spirituale perso nalità » . (366) L'educazione fisica è, quindi, l'educa zione del fondamento della spiritualità. Parrebbe che la realtà constasse di corpo (fondamento) e di spiritua lità (arte, religione e filosofia). E' bene questa l'im pressione che si ha leggendo le pagine che il Gen tile consacra a illustrare l'educazione fisica. Ma non perdiamo di vista il principio che tutto ciò che è natura, molteplicità, è oggetto, cioè autooggettivazio ne dello spirito, e, quindi, scienza e religione. L'uo mo si foggia la natura a cominciare dal suo corpo, dal quale egli viene a grado a grado ampiando il pro prio potere, e popolando tutto intorno lo spazio che è suo, delle creature a cui egli dà vita. L'educazione fisica rientra, dunque, se non mi sbaglio, nell'educa zione scientifico-religiosa. Ma, siccome questa viene dialetticainente dopo la educazione estetica, non si ca. pisce piuttosto come l'educazione fisica possa essere il fondamento d'ogni educazione.Ma non confondia moci. Pare che il Gentile non dia molta importanza a ciò cheriguarda la distinzione e il postoche le forme hanno nello sviluppo dello spirito. Quello che gli pre me di far rilevare e su cui insiste continuamente è che tutto, anche il corpo, va poi a ridursi alla filosofia, al pensiero, che è tutto. « Tale coscienza, tale corpo; non c'è pensare che non sia fare. Il pensare vi fa il cervello, ma vi fa tutto il resto del corpo. « Mi piace >

(366) La riforma dell'educazione, p. 210.

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1

> (367) La riforma dell'educazione, p. 210-11.

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riferire un'altra bella pagina del Gentile. «Chiama. telo pure volere - questo pensare ma non c'è un solo atto di pensiero che non sia quell'attività che ri sponde nella mente aquesta parola. Senza volere voi non avete corpo, perchè il corpo è, prima di tutto e sempre, vita; e vivere non si può senza volere. Come senza volere non ci reggeremmo in piedi, ma stramaz zeremmo al suolo così senza volere, tutta la forza che mantiene al suo posto ogni organo e mantiene tutti gli organi nel circolo della vita, cederebbe e si annichili rebbe. La forza del volere, il vigore della personalità, lo slancio dello spirito nel suo divenire, questa è la potenza mirabile che spoltrisce la materia e la organizza, e sostenta la vita, e la potenzia, e l'adatta al progresso dei fini » . (367) L'educazione fisica è, dunque, in fondo educazione del volere; del volere che è pensare, quel pensare che è agire. L'educazione fisica veduta nella sua concretezza è, dunque, edu cazione filosofica. Lo sapevamo. E poco importa sapere che cosa essa è fuori della concretezza; credia mo però di doverla identificare colla educazione reli giosa. Ma forse ci sbagliamo. Noi mettiamo - fedeli al nostro realismo l'educazione fisica in una sfera propria perchè, per noi, il corpo non è lo spirito; tuttavia vediamo anche noi una profonda verità in queste parole del Gentile che affermano energicamente l'unità dell'uomo. Che il nostro spirito si formi esso il corpo è, entro certi limiti, vero, e la filosofia pe 364

renne non l'ha mai ignorato; ma dall'ammettere que sto all'affermazione che l'anima crea il suo corpo, ci corre. Il commercio dell'anima col corpo non è com mercio di creazione che in senso molto largo, in quanto, cioè, il corpo è quello che è come corpo uma no, per l'anima; e viceversa, nello stato presente. Ma l'anima forma, non crea; l'educazione è formazione non creazione. Formazione limitata in mille modi dal. la materia che non ubbidisce che in parte alla attività formatrice dello spirito. Concludiamo. Lo spirito, og getto della filosofia, è, per il Gentile, la formazione dello spirito, oggetto della pedagogia. Così : se per spirito s'intende davvero lo svolgimento, la formazio ne, l'educazione dello spirito, la filosofia, tutta la filo sofia, diventa pedagogia, e la forma scientifica dei singoli problemi pedagogici diventa la filosofia. Per cid la trattazione pedagogica deve esporre specula tivamente i concetti filosofici e mostrare criticamente l'insussistenza dei problemi pedagogici considerati co me autonomi, e il loro assorbimento nella speculazio ne filosofica. « La pedagogia, insomma, consiste nella riduzione della pedagogia alla filosofia. La pedago gia che si riduce, è la pedagogia empirica, che si pone come autonoma rispetto alla filosofia; e la pe dagogia che riduce, è la pedagogia filosofica, o la fi losofia come critica della pedagogia » . (368) E noi siamo perfettamente d'accordo, purchè, come osser vammo sopra, l'uomo, oggetto della filosofia e della (368) Sommario di pedagogia, Vol. II., Introduzione, p. 14-15.

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pedagogia sia l'uomo empirico, l'unico uomo educa. bile sul serio, l'unico del quale si possa tracciare lo sviluppo. Senza questo concetto dell'uomo non so. no possibili nè pedagogia nè filosofia, o, meglio, non è concepibile nessuna pedagogia davvero filosofica, che tenga conto, cioè, di tutte le esperienze, di tutte le at tività, di tutte le distinzioni reali, che l'esperienza ci mostra e la speculazione deve rispettare e tutta la vita è chiamata a svolgere. Il Gentile vuole che, fuori dell'idealismo attuale, che nega lo spirito-sostanza, questa riduzione della pedagogia alla filosofia e l'iden tità delle due non sia possibile. E perchè? Perchè lo spirito sostanza non è sviluppo e l'educazione è svi luppo. Noi crediamo invece che la possibilità dello sviluppo, che sia progresso, che sia educazione, è ne gata proprio dalla teoria dell'attualismo, e salvata sol tanto nel nostro realismo che dimostra la storicità e la organicità del reale cosmico-umano, che tende a un fine. Senza un fine, un terminus ad quem non s'intende il progresso, non si spiega la realtà cosmico umana. E la filosofia e la pedagogia sono precisamen: te, considerate nel loro concetto speculativo, lo stu. dio dello svolgimento della realtà umana, veduta in tutti i suoi rapporti nel cosmo, verso un fine. Que. sto è la filosofia ed è la scuola; la scuola che è la riprova, per così dire, della filosofia, o la filosofia verificata ogni momento nella realtà. E poichè la real tà umana è arte e religione e logica e morale ed eco nomia, che sono categorie reali e non riducibili, l'e ducazione è estetica e religiosa e logica e morale ed

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economica, che sono, si capisce, non varie educazioni separate, ma una sola educazione che si svolge secondo aspetti e forme realmente distinte. Noi, in nome del rispetto dovuto alla realtà, affermiamo e l'unità del l'educazione e la distinzione reale delle forme edu cative.

E si capisce che anche la didattica debba ridursi alla filosofia, o alla pedagogia. La scuola è la scuola in atto, che attua un dato programma ed è quello che è per il programma che attua. Il programma, concretamente, non è programma che quando funge davvero da programma, cioè quando diventa scuola: e la scuola non è concretamente scuola che come at tuazione di un determinato programma. La scuola programma èla scuola-atto e viceversa. E non c'è pun to bisogno di essere idealisti per ammettere questo: deve ammetterlo ognuno che accetti la concretezza spirituale dell'atto educativo, cioè della scuola.

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APPENDICE AL CAPITOLO OTTAVO .

Pensieri sull'Educazione.

Nelle pagine che precedono sulle teorie pedago giche del Gentile nonabbiamo potuto nè voluto da re che quel tanto che ci si presenta e ci si spiega come strettamente connesso, anzi identico, nelle linee generali, coll'idealismo attuale: la pedagogia dell'idea lismo. Abbiamo appena accennato alla polemica del Gentile contro la pedagogia del realismo e a tutte le molte questioni che fa sorgere il complesso proble ma della scuola; questioni che il filosofo dell'attuali smo o dichiara insussistenti, o poste male, o male ri solte; non abbiamo potuto diffonderci a sviluppare la concezione concreta dell'educazione che il Gentile svolge in capitoli, che resteranno come esempio di profondo sentimento della serietà della scuola, ma, purtroppo, di non uguale sentimento profondo della vanità infinita di certe raccomandazioni, dal punto di vista dell'idealismo attuale, per il quale ogni scuola

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AL CAPITOLO OTTAVO

dovrebbe essere la migliore delle scuole, perchè po sizione dello spirito assoluto.

In questa « appendice » vogliamo raccogliere, sotto titoli dal largo significato, alcuni pensieri più carat teristici, e anche in parte, più accettabili, delle teo rie gentiliane sull'educazione. Quello che di essi non possiamo accettare o che non possiamo far nostro se non con parecchie riserve di contenuto o di espres sione, vedrà da sè ogni lettore intelligente che ci ab bia seguito fin qui nell'esposizione critica dell'ideali smo attuale. Metteremo, del resto, a scopo di indi rizzo di critica nostra, qualche osservazione a piè di pagina.

Il maestro

« Il maestro non s'illuderà mai di insegnare pre cisamente quello ch'egli sa. Si dice di uno il quale ripete sempre la stessa canzone, che pare la ripeta sempre in quel medesimo tono come farebbe un or ganino, che è una macchina. Un maestro che sia u na macchina da far lezioni, non è un maestro, ma la materializzazione o la degenerazione antispirituale del maestro, che sidice per ischerno un pedante. Pedan te è colui che non ha (o meglio ha in scarsissima dose) quella qualità che è essenziale allo spirito, una vol ta che si concepisca come continua creazione di se stesso, e però formazione inquieta e sempre insod disfatta di sè : che è l'originalità o freschezza di ogni

La filosofia di G. Gentile .

APPENDICE
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FILOSOFIA DI GIOVANNI GENTILE

momento. Non sente il flusso della vita, perchè egli è pigro e non si muove spiritualmente; e tutto gli par sempre quello, mentre è egli sempre quello; e ripete sempre le stesse parole, poichè le parole gli pare si adattino a tutti i casi, in cui egli non vede differenze; e di ogni cosa che creda una volta aver capito, si fa un modello, una regola assoluta, e si caccia col cervello dentro un sacco di definizioni, di massime astratte, dei così detti concettigenerali, che sono fotografie di cose morte viste una volta : e non può muovere un passo se non dentro al suo sacco, ossia conforme a uno di quei suoi fantasmi di vuote generalità; non dice parola, chenon sia quella di un dato scrittore cospicuo : non fa un costrutto, che non sia quello approvato dai grammatici; non obbedisce a un'ispirazione simpatica del cuore perchè vi si op pone la lettera di un precetto morale. E, smorzando irisomma dentro di sè la fiamma della propria spiri tualità, s'avvolge malinconicamente in un mondo di ombre, dove non gli è dato più, com'è naturale, di imbattersi in un solo essere vivo. E così il maestro che crede di recarsi in saccoccia, chiuso in un ma nuale da leggere e rileggere, il tesoro del sapere che egli deve insegnare, il maestro professionalizzato di. venta quel famoso pedante che è insieme stato per

(369) Verrebbe voglia didomandare perchè mai lo spi. rito i scelga, per ilsuo sviluppo, dei maestri cosi terribil mente antispirituali. Mala risposta del Gentilenon è dif ficile à indovinarsi: anche il pedante è una formazione

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AL CAPITOLO OITAVO

secoli la triste tragedia e la gioconda commedia del la giovinezza umana ». (369)

A cioè pensava,

« Il maestro che è maestro non si ripete, ma si rin nova perennemente nello spirito dello scolaro. Vive, e perciò, si fa sempre diverso; e così si fa, facendo si con lo scolaro; egli lo scolaro, uno stesso spi rito. Chi, dopo aver letto un'ora di lezione non vi ha imparato nulla, non ha fatto imparar nulla ai suoi scolari : egli ha ripetuto quel che sapeva a memoria e non havissuto in quel che diceva, e per pensarlo avrebbe dovuto fare in se stesso; e gli scolari hanno sbadigliato, lavorando, nella mi gliore ipotesi, con quella svogliatezza e sfiaccoaggi ne del maestro, restando estranei al vero sapere, sen za interesse, senza vita nella loro vita: e che è tutto ciò che potranno poi esibire agli esami; ma non la scierà alcuna traccia di sè, che un senso imperituro di amaro e di noia, come di chi serba nel cattivo pa lato il disgusto di un cibo ingoiato di mala voglia e non potuto digerire » . (370) « Il maestro non è maestro perchè in possesso del metodo, ma perchè in lui, nella sua mentalità conver ge e si avviva la storia dello spirito. Una biblioteca raccoglie, si, anch'essa la somma della realtà spiri. tuale, ma in forma tutta materiale ed estrinseca. I li. logica come le altre, nel processo totale del divenire; e, per pedante, è fatto bene ». Non c'è altra risposta possi. bile da parte dell'idealismo attuale. (370)Sommario di pedagogia, Vol. I, P. II, cap. VIII, Pa 164-5.

APPENDICE
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DI GIOVANNI GENTILE

bri sono libri se letti : e i libri di una biblioteca non si leggono tutti, ma alcuni soltanto, scelti secondo un criterio e un interesse, che sgorga soltanto da un vi vente animo umano. La biblioteca è sì storia, ma la storia morta; la sua vita è nell'uomo, biblioteca non vasta come quella materiale, ma scelta, sistemata e fusa in un processo spirituale. In un processo spi rituale la storia si fonde e ravviva raccolta come co scienza di un'autocoscienza : facendosi Io. Il maestro pertanto non è la storia come lo e personalità. Onde il maestro è questa storia viva e intelligibile a se stes sa, che è storia insieme e filosofia; coscienza di un certo contenuto spirituale e della spiritualità di esso e di ogni contenuto, o, per dire la cosa stessa in forma più corrente, cognizione delle cose e cognizio ne dell'uomo, rispetto al quale le cose hanno un sen so e valore. Il maestro è filosofo, più o meno, in quanto uo mo; e se egli, in quanto maestro d'altrui, deve esse re la maggiore realtà spirituale, in sè deve pure po tenziare questa universale radice e sostanza della spi ritualità, che è la filosofia; la quale non crea già nel maestro un carattere particolare o distintivo di una speciale categoria di umanità, ma accentua una nota dell'umanità più profonda; elevando il maestro, come il sacerdote, il padre, la madre ai gradi più alti del l'umano valore » . (317) « Il maestro potenzia in sè la spiritualità, perchè ri. (371) Op. cit., P. II, cap. X, pp. 180-1. 9

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OTTAVO

specchia la storia; e la storia è tutto il reale. Tutto si muove attorno a noi di un lavoro eterno, che è una storia sola; e noi nel sistema di questo tutto, ri solvendo tutto il lavoro nel processo spirituale che è il nostro Io, quando sentiamo profondamente il no stro essere, non possiamo non guardare con quegli stessi occhi di amore e di gratitudine e di riverenza, onde guardiamo ai nostri maestri non pure ai nostri genitori e a quanti altri esseri umani partecipano al la nostra vita e concorrono al suo incremento, ma alla casa, alla terra dove dolcemente fummo nutriti, a quella luna che da bimbi fummo soliti a rimirare lungamente e invitare alle conservazioni ingenue del la nostra fantasia, e quel vasto firmamento in cui va gava e amava smarrirsi la nostra immaginazione, co me non possiamo pensare senza tenerezza quel mon do di fate e di eroi, onde le fiabe riempirono un tempo il nostro spirito, facendovi vivere una vita che dura nella presente » . (372)

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« Se quello che riceviamo veramente dal maestro è l'esser nostro, quell'essere che è la nostra stessa necessità, onde tutte le cose poi ci son necessarie, o quel valore, onde tutte le cose poi hanno un valore per noi, tutto è nostro maestro, perchè tutte le neces sità, che son tante innanzi al nostro pensiero, quan do sono veramente tali, sono l'unica necessità nostra, e tutti i valori si realizzano nell'unico valore, che è l'esser nostro spirituale. Tutto ha valore per noi, per (372) Op. cit., P. II, cap. XII, pp. 191-2. 2

APPENDICE
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LA FILOSOFIA DI GIOVANNI GENTILE

chè la nostra via è legata a tutto. Il nostro vero maestro è il tutto, l'unità spirituale del tutto, che si realizza come processo dello spirito dello scolaro » , (373)

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« Questo concetto speculativo del maestro non an nulla di certo il concetto empirico: come in generale la filosofia non annulla la storia, ma soltanto l'inve ra, intervenendo in ogni suo momento a ravvivarla della propria vita. Non voglio negar già l'azione po tentissima che ebbero nel mio spirito i miei maestri, ma solo affermare che questa azione si pud intende re soltanto in un sistema di azioni, in cuirientra tut to il mondo in cui sono vissuto e che è il tutto nel la sua realtà storica; e affermare che questo tutto è realtà storicæ in due sensi : uno astratto e l'altro con creto; uno della storia morta e l'altro della storia concreta » . (374)

Maestri e scolari - La disciplina

<< Nella scuola la volontà del maestro è certamente la volontà degli scolari; ma non in quanto la volon tà dell'uno e quella degli altri rimangano quelle che erano prima di incontrarsi nella scuola; la volontà della scuola è una sola volontà quando c'è la scuo la; quando il maestro è un maestro e però insegna, quando gli scolari sono scolari, e però imparano.

(373) Ivi, p. 190. (374) Op. cit., cap. cit., pp. 193-4.

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374 :

AL CAPITOLO OTTAVO

Realizzare la disciplina o realizzare una volontà-leg. ge riconosciuta dagli scolari, pare non sia altro che realizzare la propria volontà di maestro. La discipli na non è il dovere dello scolaro, ma il dovere, il do vere fondamentale del maestro. La disciplina è costi. tuita dal riconoscimento pratico dell'autorità. Ebbene, se il riconoscimento pratico dell'autorità importa una immedesimazione di volontà, quell'affiatamento spiri tuale che è universalizzazione, il primo riconoscimen. to pratico, e la radice d'ogni altro, è quello che il soggetto stesso autorevole tributa alla legge della propria volontà. Ond'è che il 'rispettare noi la legge che abbiamo fatta è la prima condizione d'ogni disci plinae d'ogni governo ». (375)

« I veri maestri non si sono mai dato pensiero dei rompicapo che sono pei pedagogisti le questioni del la disciplina. Insegnano con tanto amore, con tanto affiatamento e contatto spirituale con la scolaresca, e mettono quindi tanta serietà e sincerità, tanto ardore e tanta vita nell'opera propria, da non trovarsi mai al caso di affrontare una personalità riluttante da ri durre a quella docilità per essi non è un'antece dente, nè un conseguente del loro insegnamento: è un aspetto di questo. Comincia nell'atto stesso che essi cominciano a insegnare e cessa quando l'inse gnamento finisce. In concreto, la disciplina che essi fanno regnare nella loro scuola non è se non ilna.

(375) Op. cit., vol. II, cap. I, pp. 42, 41, 39.

APPENDICE
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turale atteggiamento dello spirito che aderisce a se medesimo nella serietà e intimità del proprio lavoro. Giacchè la disciplina, l'autorità e il rispetto di essa mancano, quando nella scuola non si riesca a stabi lire quella unica personalità superiore, in cui la vita spirituale degli alunni si fonde ed unifica nella vita spirituale del maestro; quando gli alunni non veda no, momento per momento, il proprio ideale nel maestro, così come esso è per loro, col suo porta mento, col suo aspetto, col suo sguardo, colla sua parola, nella complessa concretezza della sua perso nalità spirituale; quell'ideale, verso di cuiil loro spi rito, momento per momento, tende liberamente. Ma quando questa attuale unità, in cui l'opera didattica, come ogni forma educativa, consiste, si stabilisce, di sciplina, autorità e rispetto dell'autorità, ne sono ele menti indefettibili » . (376)

« La disciplina non è la condizione della scuola co me si pensa da tutti i pedagogisti. Essa rischia di es sere la stessa scuola. E non sarà più vero allora che in una scuola non si profitti perchè non vi è disci plina; ma piuttosto che non vi è disciplina perchè non vi si profitta. E non vi si profitta perchè non vi è organizzato il sapere, perchè il sapere che vi è portato dal naestro non è vero processo spirituale, non è spirito : chè lo spirito è universale , diffusivo , unificatore, generatore di spirito. Si ricorra pure alla esperienza e si vedrà che il maestro senza autorità è

(376) La riforma dell'educazione, p. 174-5.

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OTTAVO

il maestro senza coltura, o senza coltura organizza ta, che è lo stesso; il maestro che non è spirito, quell'universalità attracnte, in cui si precipitano le a nime. E' il maestro asino, o il naestro confuso, o il maestro troppo dotto per i suoi scolari; un maestro, quindi, la cui dottrina non ha valore positivo di dot trina per i suoi scolari. Ma dove il maestro sa, e sa per i suoi scolari, e li attira nel suo sapere, e li di sciplina con la disciplina del suo sapere, ivi il pro blema della disciplina, come problema diverso da quello dell'insegnamento, non esiste» . (377)

« La disciplina si può definire l'etica del sapere: quell'unità di legge e di volontà, di oggetto e di sog. getto, di forma e di amore, di autorità e di libertà, che si realizza nel sapere, e soltanto nel sapere » .

« Problema intimo alla disciplina è quello derivante dalle infrazioni della disciplina stessa. Infrazione, che non sono un accidente in guisa che un ottimo inse gnante possa sperare di non averne mai a deplorare nella sua scuola; anzi, un momento necessario della disciplina. Come chi dice buono, dice pure cattivo, chi dice disciplina dice pure indisciplina: non già soltanto perchè medesima, come diceva Aristotile, è la scienza dei contrari , ma perchè medesima è pure la realtà dei contrari, nell'uno si realizza l'altro.

Perchè non fosse bisognerebbe che la disciplina. fosse una cosa invece che un atto. La cui natura im.

(377) Sommario di pedagogia, vol. II, P. I, cap. I, pa gine 52-53.

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FILOSOFIA DI GIOVANNI GENTILE

porta un prodursi continuo, che in ogni suo momen to presuppone la propria negazione, il non essere della produzione stessa.

Se la disciplina è una vittoria sul suo contrario, la scuola realmente non è disciplina senza essere in sieme indisciplina. E quindi sorge il problema dei castighi, come correttivo della indisciplina e restau razione della disciplina e d'ogni governo, o d'ogni legge che debba dimostrare il suo positivo vigore. Un problema dei più dibattuti nella didattica, e che non ha potuto mai essere ben risolto, perchè mal posto in base a un concetto astratto della disciplina. Astratta è la legge che non sia una volontà, cioè che non sia già un'autorità positiva; ma astratta è ancora la stessa autorità che non sia tuttavia ricono sciuta. La disciplina scolastica non è la disciplina del maestro effettivo, che ha fatto della sua anima l'ani ma della scuola, ossia la disciplina attuata nello sco laro: il riconoscimento dell'autorità. Ora la indiscipli na non è propriamente, come si pensa ordinariamente, la violazione della disciplina, perchè la disciplina ancora non c'è : non c'è la disciplina concreta; la quale, evidentemente, non potrebbe essere violata perchè chi la violerebbe è colui invece che la crea. Se la disciplina precedesse l'indisciplina, dal bene nascerebbe il male, e l'indisciplina rappresenterebbe un reale regresso. Essa invece è strumento di pro

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AL CAPITOLO OTTAVO

gresso, e l'elemento costitutivo della disciplina con creta .

(378) Come il soggetto si ponga un limite e non veda che il limite è posto da lui stesso,che è, cioé, soggetto ogget tivato; come, in altre parole il soggetto non debba rico noscersi nell'oggetto, se è nell'oggetto e l'oggetto, che è sempre ininterrottamente coscienza, autocoscienza di co scienza, capisca chi può. Bella e peregrina la spiegazione del delitto, del peccato, del male! E' nient'altro, ogni de. litto, ogni peccato ogni male, che la negazione nega zione necessaria, razionale della legge da parte della

APPENDICE
Come nasce infatti tale momento negativo della disciplina . Questa è, come si è veduto, unità di sog getto e oggetto, di libertà e di autorità, di volontà e di legge. Tale unità non è data immediatamente. Il soggetto, oggettivatosi, da prima non si riconosce nell'oggetto; senza il momento reale della differenza tra l'oggetto e il soggetto questa oggettivazione del soggetto non avrebbe luogo: e senza questa ogget tivazione, il soggetto stesso non avrebbe realtà. Quin di la legge, l'autorità, che pure non sono se non il nostro noi (la nostra legge, la nostra autorità), da prin cipio ci si pone innanzi nella sua opposizione alla nostra libertà; e la nostra libertà deve negarla, perchè essa è infinita e non ammette limite : come èprovato dalle pretese sconfinate del bambino, sul cui collo non abbia peranco pesato il duro giogo della neces sità. In questa opposizione della legge alla volontà, e nella sua conseguente negazione, consiste l'indi sciplina, e, in generale, il delitto, il peccato, il male » . (378) 1 379

FILOSOFIA DI GIOVANNI GENTILE

« Ma se il soggetto non si oggettivasse, non sareb be soggetto; se la volontà non incontrasse mai un li mite nella legge, non sarebbe volontà. E però l'indi sciplina non è una postuma rottura della legge della scuola, ma il tramite per cui si passa ad instaurarla. Guai alla scuola in cui fin dal primo giorno tutti ca piscono, e regna la più perfetta concordia tra mae stro e scolari. In quella scuola non gli scolari son saliti al livello del maestro, ma questo è disceso al livello di essi, e tradisce il suo dovere di essere uomo! Se la scuola è scuola, se vi si deve imparare qualche cosa, essa importerà fatica e sforzo : cadute, quindi, e risorgimenti » . (379)

Il castigo

Che è dunque il castigo? Se il fine del castigo è, non la restaurazione ma l'instaurazione della disci plina, dell'etica del sapere, rotta a mezzo dalla oppo volontà o della libertà: questa, si noti, la nega, la deve negare, perchè le si pone innanzi come oggetto che la vuol limitare; 'e fa quindi, benone, fa il dovere a negarla nell'azione. E' dovere ogni detto, ogni peccato, ogni tra sgressione. E' inutile : se non si ammette l'antecedenza, almeno logica, della legge alla volontà e la sua indipen denza in qualche modo da questa, non si può spiegare l e. sistenza del male; e l'indisciplina di qualunque genere e forma vale quanto l'osservanza della legge. Siamo sempre lì : nell'idealismo attuale è inconcepibile ogni disvalore; quindi anche ogni valore. (379) Op. cit. vol. II, P. 1, pp. 54-7. - Chi cade? e chi ri sorge? Ma è possibile caduta o risurrezione da parte del.

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OTTAVO , sizione tra la libertà e la legge, esso deve riuscire a realizzare l'unità; a realizzarla, non astrattamente, ma nella stessa anima dello scolaro indisciplinato, facen dogli sentire quel che gli sfugge, che cioè la sua legge è lui stesso, e che noi che gliela imponiamo, non siamo suoi tiranni, ma i suoi amici, la voce stes sa dell'anima sua. Il che non importa che il castigo debba ridursi a un'amorevole riprensione, a un dolce avvertimento, accompagnato da nuove dimostrazioni di premure, che s'affrettino ad attirare ancora più, ravvicinare e legare l'animo ribelle; e tanto meno si gnifica che convenga piuttosto perdonare che casti gare .

Il vero educatore non perdona mai, se per per. dono s'intende l'omissione di quel castigo che è l'instaurazione della disciplina, e , in generale , del bene, giacchè il perdono in questo caso sarebbe un abbandono dell'educando al male. Il perdono legitti mo e morale è quello che risparmia castighi inutili, perchè interverrebbero dopo raggiunta e attuata la loro finalità, quando il colpevole è pentito e ha ri conosciuto il proprio torto e la necessità della legge, che aveva negata. Ma risparmiare un castigo inutile l'atto infallibile, libero ma necessario, assolutamente buo. no, assoluta ragione? Si può chiamar caduta la necessa ria e moralissima negazione della legge da parte dell'in finitamente libero, di diritto e di fatto,prima che sorga in esso coscienza che la legge è fattura sua, posizionesua, esso stesso come oggettonecessario allo sviluppo dialetti co ? Di fasi si può, semmai, parlare; di cadute e di resur rezioni no .

APPENDICE
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DI GIOVANNI GENTILE

è, si badi, una frase impropria; perchè se l'essenza del castigo consiste nella conciliazione degli opposti, che si oppongono l'uno all'altro nell'animo del col pevole, non è possibile più un castigo dove la con ciliazione sia già avvenuta; e invece del castigo ri marrebbe allora la sua forza estrinseca, che creerebbe un nuovo dissidio, invece di sanare l'antico, che non ha più bisogno di esser sanato. (380)

Il castigo, se deve sanare il dissidio tra lo spirito e la sua legge, non può consistere in altro che in una modificazione dello spirito; perchè se la legge potesse mutarsi, il torto non sarebbe del ribelle, e l'indisciplina non ci sarebbe. Il soggetto deve trasfor marsi, e quindi riconoscersi nella legge.

E la sua trasformazione, chi vi rifletta, è la sua stessa naturale aspirazione, lo stesso svolgimento del la sua natura, che può essere impedito soltanto dal venir meno, dal variare della legge. Giacchè la dia lettica dello spirito si svolge per duemomenti egual

(380) Dove non c'é colpevolezza non ci può essere casti. go; e la colpevolezza nelle teorie dell'idealismo attuale è, a dir poco , un nonsenso. Lo spirito in tutte le sue manife. stazioni concrete è sempre quello che deve essere, e, quin di, è inconcepibile anche un reale dissidio. Chi, del resto, dovrebbe castigare? chi ha il diritto di essere castigato, cioè, liberato dal male? Lo spirito? Ma è forse, lo spirito, un educando che ha bisogno di tirate d'orecchi per arar diritto ? E tutti i dissidi non si conciliano da sè, necessa riamente e sempre, se dissidi fossero possibili? La molte. plicità, l'oggetto, non è sempre risolta nella unità, nel soggetto? Belle pagine queste, ma per noi; per gli idealisti non possonoaver alcun senso.

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mente necessari; in uno dei quali il soggetto si trova innanzi a sè come oggetto, e non si riconosce; ma nel secondo si riconosce. Momenti ideali, distingui bili per l'analisi dell'atto, in cui il soggetto si cono sce come oggetto di sè; sempre lo, che non vuol dir altro che questo conoscersi come oggetto di sé. Il soggetto dunque è condotto dalla sua propria na tura a riconoscersi nella legge, e però ad osservarla; purchè la legge sia tale. La legge deve essere ferma, inflessibile come la natura, e il fanciullo deve imparare a conoscerne il valore dalle conseguenze delle sue infrazioni. - E la prima conseguenza, dato il concetto della disciplina come unità spirituale che si attua tra maestro e sco laro, sarà il dissidio tra l'uno e l'altro; primo e fon damentale castigo, a cui tutti gli altri possono ridursi. Lo scolaro che si è fatto un solo spirito col maestro posa lo sguardo nell'occhio del maestro, e l'anima nella sua parola: vede in lui lo specchio della propria anima; o meglio, lo ha nell'anima. Quando quell'oc chio respinge il suo sguardo, quando quella parola si rivolgecontro la sua anima che non l'ascolta, den tro allo scolaro si produce una scossa, che è castigo. Sarà lo sguardo, sarà la parola, sarà un atto qual siasi: ma dimostrerà sempre una scissura, anzi sarà una scissura avvenuta nell'unità di prima, perchè quell'unità si determina in quella legge, che lo sco laro non ha riconosciuta. E la scissura sarà avvertita dallo scolaro come una scissura, non tra sè e un altro, ma tra sè e sè, tra il sè universale qual'è, per 383

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DI GIOVANNI GENTILE

lui, quello che fa uno coll lo del maestro, e questo sè nuovo, particolare. Il castigo deve far sentire tale scissura; e non andare più in là; e sarà tanto più ef ficace quanto più viva sarà l'unità, in cui si sia pro dotta la scienza ;e poichè questa unità si fonda nel l'universalità dello spirito, l'efficacia del castigo sarà in ragione diretta dell'universalità dello spirito del maestro. Poichè sentire questa scissura tra'sè e sè, è sanarla : non nasceva essa infatti dal non riconoscersi nella legge dov'è realizzato il vecchio sè? Il dolore anche qui, o non nasce, o nasce morendo nel suo opposto: inquesto caso nella dolcezza del pentimento, che è instaurazione dell'unità spirituale » . (381) « Universale lo spirito che infligge il castigo, par. ticolare (in senso relativo, s'intende) quello che lo subisce. E la sua efficacia dipenderà pure dalla pro porzione in cui esso starà con questa particolarità, dovendo essere tanto più grave, quanto più è parti colare lo spirito del colpevole; e la gravità del ca stigo crescerà quanto più profondamente negherà le determinazioni proprie dell'autocoscienza del colpe vole; toccarle ciò che essa ha di più intimo, più suo, è, naturalmente, scuoterla sempre più fortemente. E come il corpo è ciò, in cui prima l'autocoscienza si

(381) Anche il pentimento! di che cosa deve mai pentirsi il povero spirito? Di non essersi riconosciuto nella legge? Ma non è questo non riconoscersi la condizione necessa ria della sua dialettica E non viene poi a riconoscersi naturalmente? Non « poi » ; nell'atto stesso di porsi si ri conosce. Il prima e ilpoi sono momenti ideali,nulla più. E allora?

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realizza, e quindi come il fondamento di ogni sua realtà, il castigo che importa la negazione dell'una o dell'altra determinazione di quell'atto che è, esso stes so, il .corpo, è la più grave correzione che si possa tentare di una personalità » . (382)

Lo scolaro Il sapere - -

« L'eccellenza del maestro come si è veduto è in misura del suo farsi tutto per lo scolaro, e del suo immedesimarsi o risolversi nella stessa autoco scienza di esso. Questo concetto non va inteso a strattamente, come s'intenderebbe se non si osser vasse che lo scolaro è un certo scolaro (un certo processo spirituale) e che il tutto dello scolaro è anch'esso in conseguenza un certo tutto (che è poi quello stesso processo spirituale).

(382) E tutto questo perchè? perchè? Perchè lo spirito si deve flagellare, se si svolge come devesvolgersi? E pro prio si deve punire in quello che è, nellautocoscienza! E come? Creando un dolore, cioè un'antispiritualità? E se questo è assurdo, come lo spirito punisce se stesso ? Ma quando si punisce non s'è già riconosciuto per quell'uni versale che è? Non è inutile allora il castigo? Perchè, non si dimentichi, lo spirito che punisce e lo spirito che deve essere punito sono l'identicospirito; anzi anzi: l'identico atto spirituale. O c'é qualche cosa fuori dell'attualità, fuori del presente che si oggettiva e si sente in quella og . gettivazione? Che cosa vuol mai dire: lo spirito univer sale infligge il castigo allo spirito particolare? Come l'atto

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385 La filosofia di G. Gentile . 25

GIOVANNI GENTILE

Giacchè, come è chiaro, l'attualità viva e definiti va dell atio educativo, non si coglie guardando al maestro, ma allo scolaro in cui il maestro si risolve. Il maestro muore lo scolaro resta; e il maestro vi ve soltanto nello scolaro. Onde questa vita postuma del maestro, in cui si celebra e dimostra la sua azio ne educativa, non si può definire e valutare se non nell'attualità dello spirito educando. Anche qui deve dirsi : « respice finem » . Così il biografo di un gran de scrittore, d'un grande personaggio storico si oc cupa degli antecedenti che preparano e spiegano le opere, in cui l'eroe è l'eroe: ma non prospetta quegli antecedenti se non appunto come preparazione di quelle opere, cioè come intelligibili a loro volta come principio d un processo che culmina poi in quelle opere. E ogni storico in generale atteggia e colorisce di necessità variamente il corso degli avve nimenti storici in rapporto al risultato che gli pare sia scaturito. Chi vuole intendere il padre comincia dal guardare ai figli; e chi vuol intendere il maestro nel la sua azione educativa, deve studiare lo scolaro. Lo scolaro è il centro vivente della scuola. Ora lo scolaro è sempre un dato scolaro. Lo Spi può infliggere il castigo all'atto? E perchè l'universale in fligge castighi alparticolarese questo è, nè più nè meno, quello che lo fa l'universale? Assurdi, assurdi, assurdi. E non sensi. Tutto quello che in queste pagine vi è di vero, disensato è tale dal punto di vista nostro non da quello dell'idealismo attuale, che non può darsi un concetto plau sibile nè delle colpe nè dei castighi. Vedere per tuttequeste pagine: Sommario di pedagogia, Volume II, P. I, Cap. I, passim.

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rito è sempre lo spirito; ma non si ripete e non si può ripetere mai. E se tutto quel tutto che il maestro è per lo scolaro - è la realtà stessa dello scolaro come risoluzione o atto del tutto, ognun ve de che quel tutto, che il maestro deve essere, non è l'astratta somma delle parti della realtà, oggetti delle singole scienze dell'enciclopedia (che è poi un tutto, che non esiste), nè un tutto particolare, quasi l'og getto di una determinata scienza (che è anch'esso un tutto inesistente, se non per astrazione). Il tutto è sem pre un tutto individuale : ossia il tutto, assoluto ben sì, ma individualizzato. Che non sarà un concetto difficile per noi, che sappiamo che il tutto è lo spi rito; il quale non è una somma di inomenti, distesi nel tempo, nè, tanto meno, uno o alcuno di questi momenti separati da altri momenti; una unità che, realizzandosi in un processo, è tutta in ogni momen to suo, e niente fuori di tutti i momenti : ciascuno dei quali, come determinazione dell'universalità dello spirito, è quell'individualità che si esprime nell'Io. Il tutto è cioè il tutto fatto persona (la persona dello scolaro). E questo tutto deve farsi il maestro; e quan to più nel maestro lo scolaro trova l'appagamento di tutte le esigenze della sua personalità, tanto più il maestro è maestro.

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« Il inaestro deve, egli e i suoi libri, farsi vivo per lo scolaro e nello scolaro; deve cioè riconoscere e rispettare e appagare o lasciare che possano altri. menti essere appagate tutte le esigenze che si orga nizzano con quella dell'apprendimento del suo latino

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FILOSOFIA D GIOVANNI GENTILE

- p. es., nella complessità concreta della vita spi p. rituale dell'alunno: e quelle esigenze appunto che so no proprie del suo alunno, varie secondo i tempi, le età, le condizioni sociali e tutto : assolutamente varie, e però non definibili astrattamente, ma da vivere nel la loro spirituale e quindi interiore natura, quale è data dalla filosofia. Guai alla scuola dove non pene tra il sole e col sole tutta la vita! Guai alla scuola che mortifica in un fanciullo un solo germe vitale, per mutarsi in fabbrica di una fetta sola d'umanità!

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Nè si vuol negare il diritto della specializzazione delle scuole e però dei maestri. L'universalità della istruzione non è enciclopedia. Si può saper molte co se ed esser più unilaterale di chi ne sa bene una sola. La specializzazione è carattere intrinseco della essenziale individualità dello spirito. Chi sente, non può sentire se non una sensazione: chi pensa, non può pensare se non un solo pensiero. L'atto dello spirito è un atto unico, ancorchè molteplice nel suo contenuto in se stesso considerato. Ma in quell'atto è tutto.

Questo sapere intelligentemente rispettoso di tutte le forme del sapere, nel cui sistema è la sua vita e la sua realtà è uno solo : che è il vero porro unum necessarium , come s'è accennato e ora si può meglio vedere : la filosofia.

La quale, essendo il concetto che la realtà ha di se stessa in quanto spirito, che si realizza nella sto ria e in ogni momento suo, sente sè come il centro attivo della storia, e la storia, nel suo complesso e in

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ogni momento, come la sua stessa realtà. Il rispetto di ogni altra forma del sapere è quindi per la filo sofia rispetto di sè medesima.

Ma, per questo stesso rapporto; onde la filosofia è intimamente connessa con la storia e ogni mo mento suo, ossia con tutte le forme del sapere e del la realtà, ogni forma del sapere concepita in modo concreto, nella consapevolezza del suo proprio esse re come momento della filosofia o realtà universale, non è esclusione di tutte le altre, anzi inclusione e risoluzione: è forma spirituale, in cui si rispecchia la realtà universale dello spirito; e che perciò nè anche essa potrebbe svalutare le altre forme del sapere o dell'essere, senza svalutare se stessa. Ond'è che quel tutto, che il maestro dev'essere allo scolaro, può es sere bensì qualunque special forma dello spirito, ma filosoficamente consapevole della propria specialità: fi losofia concreta come una certa forma spirituale; ovve ro una certa forma spirituale concreta come filosofia.

Nel concetto della filosofia, concepita in modo concreto, come qui si è fatto, si esaurisce il concet to dello spirito, che vale realmente e attualmente co me maestro, e si risolve quindi, a maggior ragione, l'educazione e la pedagogia, che tanto astrattamente si vuol concepire come teoria dell'educazione. Tanto è vero che fuori del soggetto (che è la filosofia) non c'è realtà, ma astrazioni » . (383)

1 >

(383) Sommario di pedagogia, Vol. I, P. II, Cap. XIII. Belle pagine, belle osservazioni . Le nostre riserve s'in tendono, si sanno. Per noi il porro unum necessarium ,

APPENDICE
Di FO. 1 1 .
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LA FILOSOFIA DI GIOVANNI GENTILE

nel sistema del sapere,è bensì, la filosofia, ma come quel. la che ha al suovertice la Teodicea, scienza della vera Ultima Ragione del sapere e della realtà. La quale realtà non è tutta il soggetto, noi che conosciamo e amiamo; ma anche l'oggetto che il soggetto non crea, ma presup pone. E' inutile che ci ripetiamo. E che ci indugiamo a di mostrare ancora una volta come anche qui le più delle profonde osservazioni di Giovanni Gentile non hanno si gnificato e valore che nel dualismo, nel realismo : nel si. stema nostro che, vivo di molti secoli, può tutto assimilare come organismo gagliardo, nel quale tutto s'invera quello che ha valore veramente, umano.

VVorrei riportare altre molte pagine, profondissime, che trattano della nazionalità della cultura, dell'unità del sapere e dell'educazione. Si sente vivamente in quelle pagine la verità di quello che ha sempre af fermato la pedagogia cristiana, come la intendiamo noi, quella proprio del nostro realismo, che il Gen tile riguarda come l erroneo presupposto fondamen tale di ogni seria educazione: - che, cioè, la scienza deve investire ed investe di fatto tutta la persona e ne attua l'umanità concreta, che è universale e na zionale insieme: che ogni frammentarietà di educa zione deprime la personalità e ne soffoca il libero svolgimento; che l'educazione deve mettere in moto tutto lo spirito e guardarsi dall'atrofizzarne qualche funzione; deve dargli l'equilibrio, così da non oppri merlo sotto il peso delle cose e da non esaltarlo a dismisura nella coscienza della sua personale costanza; deve impedirgli di lanciarsi nel mondo dei sogni e di disperdere e frantumare la propria attività investi gatrice in cose che non saziano la sua sete. Anche per noi è questo, nel suo aspetto vero, negativo e J - 390

APPENDICE AL CAPITOLO OTTAVO

positivo, l'ideale dell'educazione. E' inutile aggiungere che però questo ideale è manchevole se non si inte gra con un elemento che il Gentile, per pregiudizi di sistema, non sa apprezzare: Dio, come suprema legge del maestro e della natura e come fine al quale deve tendere, con sempre più viva coscienza, ogni specie di educazione degna di questo nome. La scuola senza Dio, senza il Dio trascendente no stro, non può avere nè consistenza nè valore, ed è monca e di poca efficacia ogni riforma dell'educa zione che da Lui prescinda. Senza dire che, negata la molteplicità delle persone umane, la scuola non esiste più. A meno che non si voglia dimenticare il senso tradizionale, l'unico senso possibile, della parola « scuola », per darle quello di divenire, di semplice divenire dello spirito, negando ogni distin zione tra maestro e scolaro, ogni concetto di disci plina, di ideale da attuare, di autorità, di legge, di castigo, cioè negando proprio la scuola come tutti la intendono, come la intende praticamente anche il Gentile.

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CAPITOLO NONO

Le dottrine morali e giuridiche del Gentile

essa

Il pensiero, pensando, realizza una realtà che è la realtà. Naturalmente il pensiero del quale qui si trat ta, non è il pensiero particolare, molteplice, degli in dividui particolari, finiti, empirici, ma ilPensiero tra scendentale, universale. Ho detto male « realizza la realtà »; dovevo dire : « si realizza come realtà » . Ab biamo visto come l'idealista spiega in qual modo e perchè il pensiero generi dal suo seno la natura: la natura del naturalista e quella dell'oggettivista; quella del positivismo, dell'empirismo e del materia lismo, non meno che quella del platonismo, che è anch'essa natura nel senso che a questa parola dà il Gentile, di realtà presupposta dallo Spirito: non è la realtà del pensiero, del pensiero puro, e l'idealista la nega, senza accingersi a spiegarla, ba standogli come dice il Gentile di spiegare il pensiero che se la rappresenta. 392

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Il pensiero crea, dunque, la realtà, o si crea co me realtà. Questa proposizione che suona paradossa le all'orecchio dell'uomo volgare, si presenta « ovvia e quasi banale, appena si comincia a fermare l'atten zione su certe forme della realtà, dove più facile rie sce a scorgere la sua interiore natura dinamica; qua li sono le forme della realtà che si dice morale, in senso lato » . (384) Il mondo morale è manifestamente un mondo che non riceviamo, ma facciamo; faccia mo direbbe uno dei nostri maggiori filosofi colla ricognizione pratica dell'essere inteso, creando, così, i valori morali, mediante la sintesi volitiva del l'ordine ideale e dell'ordine reale, dell'oggetto e del soggetto, nel giudizio pratico. Poichè la realtà morale è, nell'uomo, non un pre supposto, bensì un prodotto, dell'attività volitiva. La volontà morale, in altre parole, é tetica e creatrice. A parere di tutti, il nostro spirito, nel campo mora le, non è, ma si fa; è morale nel suo farsi; in quan to, cioè, cammina, progredisce: arrestarsi è cessare di essere morale: non progredi est regredi, insegna una delle più profonde dottrine della morale 'ascetica. Ogni uomo deve instaurare ininterrottamente la pro pria vita spirituale; creare se stesso come uomo eti co. Naturalmente l'uomo non è tale per natura, ma è uomo davvero se realizza, progredendo, la natura u mana, attraverso il proprio perfezionamento indefini (384) GENTILE, I fondamenti della filosofia del diritto, - Pisa, Mariotti, 1916, p. 21.

CAPITOLO
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ma una (385) GENTILF, Osservazioni al « Principio della morale del Rosmini» , pubblicato a cura di Giovanni Gentile, Bari, Laterza, 1921, p . 189.

LA
to : siate perfetti come è perfetto il Padre che è nei cieli, è il precetto di Gesù. « Non è possibile conce pire mondo morale senza concepire lo spirito morale come attività creativa : perchè il mondo morale, ossia l'insieme di tutte le azioni che si presentano al no. stro spirito come suscettibli assolutamente di una va lutazione che le approvi o le disapprovi, può essere valutato soltanto se si considera come dovuto asso lutamente all'attività dello spirito; come quello che è quale lo spirito l'ha voluto » . (385) Benissimo finchè si tratta del mondo moralo umano, al quale il Genti le restringe le sue osservazioni, « Anche chi si arre sti al concetto di uno spirito teoretico come spirito presupponente la sua realtà e da essa condizionato, vedrà chiaramente che, oltre da questo spirito, bisogna pure ammetterne un altro, uno spirito pratico il quale non presuppone, crea la sua realtà, realtà che non ha una esistenza sensibile, ma esiste non meno certamente di tutte le cose sensibili; una realtà da cui ci sentiamo compene trati in tutti gli istanti della nostra vita, e che fa vi brare continuamente tutte le fibre del nostro essere spirituale: il bene e il male, che non vediamo soltan to attorno a noi, per tutto il mondo a cui si estende la nostra esperienza personale e storica, ma dentro di noi per tutti gli atti della nostra vita, ciascuno dei 394

quali o ci apparisce tale, quale doveva essere, e pe ro buono, o inferiore alla legge, cui si sarebbe dovu to commisurare, e però cattivo » . (386) « E se una real. ( tà morale esiste, essa esiste in quanto l'uomo la fa esistere: il suo carattere morale consiste appunto in questo suo esistere come prodotto dello spirito uma: no. E se si dice volontà lo spirito come attività pro duttiva della sua realtà, è chiaro che chi dice bene o male, dice volontà creatrice del bene o del male. Creatrice, perchè ciò che si dice bene o male, è totalmente prodotto dalla volontà; chè, altrimenti, non potrebbe approvarsi totalniente come bene, nè ripro varsi come inale. La volontà creatrice è la volontà che si dice libera, come quella che non si può pensare se non come ex se rata, non prodotta, essa stessa, da qualche cosa di diverso da lei, rna da sè medesi. ma» (387) Tutto vero, ma con due riserve. La pri ma, che la volontà trova, non crea le esigenze mo rali implicite in tutti gli esseri, quali si presentano alla volontà illuminata dell'uomo, perché le riconosca nel giudizio pratico e nell'azione che fa sintesi con esso. La entità, le verità che l'uomo conosce, esigo no, indipendentemente dall'uomo, di essere ricono sciute; e la volontà deve riconoscerle se vuol essere volontà morale : l'esigenza soggettiva della propria perfezione si attua nell'attuazione dell'esigenza ob biettiva degli enti. Sono cose note.

(386) Osservazioni, p. 191. (387) Op. cit., p . 193.

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La seconda riserva è questa: non è vero che la volontà nostra, perchè possa essere creatrice, debba ex ' nata . Anche le cause seconde umane hanno una sfera propria d'azione, tutta quella sfera che si riferisce al perfezionamento e allo sviluppo del la propria persona. La volontà, per operare creando, dev'essere ex se nata solo nel senso che l'atto deve essere libero, non condizionato.

essere

Perchè si possa intendere più compiutamente la realtà morale secondo la concezione del Gentile dob biamo sviluppare purtroppo non potremno evitare qualche ripetizione di pensiero già svolto e qualche osservazione nostra fatta più indietro i seguenti punti di dottrina:

a) La realtà morale non è distinta dalla volon tà che la produce.

b) La realtà morale è sintesi di bene e di male. c) La realtà morale non è una sfera'distinta nel la complessiva attività dello spirito, perchè ogni atto spirituale.è rivestito di carattere etico.

Non spenderemo molte parole allo svolgimento del primo punto. Lo spirito non è facoltà, ma atto : e se fosse facoltà non potrebbe mai essere atto. E perchè? Perchè il passaggio dalla facoltà all'atto è intelligibile nella psicologia aristotelica, la quale fa. ceva intervenire dall'esterno l'energia che traducesse in atto la potenza; non ha più significato nella filo sofia moderna, che muove dal'idea di sviluppo auto nomo dello spirito, ossia dell'autocoscienza come so

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stanza d'ogni momento della vita dello spirito » . (388) L'autocoscienza è unità, che si realizza bensì attraver so differenze, ma le differenze sono interne all'unità e non è fissabile nessuna differenza, per chi non vo. glia abbandonare il concreto (l'unità concreta) per l'astratto (differenze distinte dall'unità ).

)

Perciò, producendo la realtà morale, la volontà produce se stessa, collo stesso identico atto, sotto il medesimo identico rispetto. « La volontà, quando si dice creatrice, non si deve intendere già che crei un mondo che esca dal suo essere e si ponga per sè indipendente dal principio positivo donde emana. La volontà è posizione di sè medesima, così come ogni conoscenza è autocoscienza, posizione di sè ». (389) Il bene e il male sono l'azione buona e cattiva, non l'oggetto dell'una e dell'altra. La moralità è della li bera azione personale: l'effetto non aggiunge per sè nulla alla moralità degli atti umani. E' evidente. E ' pu re evidente, dice il Gentile, che « l'atto della volontà non è altra cosa dalla volontà, quasi la volontà fos se sempre la stessa volontà, compia o non compia un certo suo atto. La volontà è quella che è nell'at to suo : non è una sostanza concepibile di là dagli atti in cui si manifesta. Il suo essere è il suo stesso manifestarsi nei suoi atti » . Ora, « se volere e atto di volere sono lo stesso, quella produzione onde il vo lere produce se stesso, produce il suo atto. Una vo lontà che non voglia, non è volontà: è una volontà (388) I fondamenti della filosojia del diritto, pp. 25-6. (389) Op. cit., p. 33.

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che non voglia niente (nessun atto determinato), non si determina come nessun atto, cioè non vuole». (390) Conclusione : la volontà è creatrice della mora le, ma in quanto è creatrice di se stessa come realtà morale. Neanche il secondo punto richiede lunghi svolgi menti per chi ha compreso che cosa significhi dia letticità dei processi dello spirito, e che tale dialetti cità è il carattere fondamentale di ogni divenire, o dello spirito nella totalità delle sue manifestazioni. « Dialettica dicesi la vita in cui sussiste la realtà spirituale, in quanto essa non può pensarsi mai ne come soltanto positiva, nè come soltanto negativa: e il suo essere pertanto è non essendo e però ponen dosi; ma ponendosi senza fissarsi mai nell'essere già posto, senza che si esaurisca mai il processo di po sizione ». (391) Il bene o la volontà è il valore dello spirito nella sua attualità dialettica; è svolgimento, svolgimento concreto, e, quindi, implicante il momen. to negativo, il male. « I due termini non si contrap pongono logicamente, ma nell'attualità della vita inte riore, in cui il bene è sempre vittoria sul male, nè conserva il suo pregio ove sparisca il nemico da combattere e da sconfiggere » . (392) Ma occorre fis sar bene, nella loro realtà completa, i due termini (390) Osservazioni, p. 194. (391) Op. cit., p. 34. (392) Op. cit., p. 39.

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costitutivi di ogni atto morale. Il bene e il male sono opposti. Noi sappiamo già che questa opposizione non si deve intendere nel senso che da una parte c'è il bene e dall'altra il inale che si guardino in cagne sco : l'opposizione non è immediata ma mediata. Spie ghiamoci : « Il bene è un processo, è l'atto della vo lontà, e quest'atto, come ogni atto, è in quanto prima non è; il suo essere è il cessare del suo non essere, e tanto è quanto cessa di non essere. Sicchè l'essere dell'atto volitivo, che è realizzazione del bene, è in tanto cessar di essere del male; onde il bene è ade rente al male come all'elemento necessario della sua propria esistenza. Se male non ci fosse, noi potrem mo concepire un bene già tutto realizzato, senza vo. lontà; un bene in sè, che renderebbe impossibile la bontà di un uomo, se un uomo è buono volendo il bene. Un bene tutto realizzato, sarebbe, dunque, la negazione del bene; ossia appunto il suo contrario ». (393) Perchè, come sappiamo, uua volontà che non sia processo, ma possesso intero e perfetto di ogni bene senza mistura di male, è, per il Gentile, incon cepibile. Perciò si può dire che il bene sta al male a guisa di un opposto che si sostituisce al suo op posto, del quale trionfi in perpetuo nel suo processo d'attuazione. Bisogna, perciò, distinguere, nell'atto morale due volontà : la volontà del bene e la volontà del male, che è, poi, nient'altro che la non-volontà del bene. « Solo in quanto c'una volontà del bene, (393) Osservazioni, p. 196.

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c'è la corrispettiva volontà del male, che è quella che la prima vince e annulla ». Il Gentile si affretta ad aggiungere: « Il che, evidentemente, non significa, che, essendoci la volontà, il male e la non volontà non ci siano, perchè già annullati. L'esserci della vo lontà importa costantemente il generarsi della volontà; la quale non è perciò mai generata; nè il suo con trario pertanto è mai distrutto. E la realtà eterna del male come della non-volontà,è immanente all'eterna vita del bene ». (394) In questo modo egli crede di aver risposto alla domanda se la volontà sia male e bene insieme. « La volontà è bene; ma male è pure, in quanto oltre ad essere se stessa, come atto che è, e quindi perpetuo processo di autoproduzione, è pure il contrario di se stessa. Si può dire che volere è bene e non volere è male a patto di non considerare astrattamente il non volere come qualche cosa che stia per se, fuori del volere: ma come la base dello stesso volere » . (395).

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Facciamo qualche osservazione. E prima di tutto: Come è concepibile nell'idealismo attuale la volontà come bene e male insieme, cioè l'atto come princi pio di bene e di male ? Il Gentile ci avverte di una cosa molto semplice, che, cioè, essa non può essere principio dei due opposti nello stesso tempo e sotto lo stesso rispetto, e che, per intendere la duplice fe

(394) Osservazioni, pp. 196-7. (395) Op. cit., p. 197.

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nomenologia del bene e delmale, bisogna distinguere tra volontà e volontà. (396) E la distinzione si riduce, come si è già accen nato, a dire che il bene sta al male al modo di un opposto che si sostituisce all'altro opposto, come il nero si sostituisce al bianco nell'atto dello scrivere. Il valore si oppone al disvalore, ed è negazione reale di questa sua negazione. (397) Il male e il bene sono, così, due momenti ugualmente necessari, ugual mente essenziali della dialettica della volontà e dello spirilo in generale, e non so davvero perchè, dal punto di vista dell'idealismo, il male venga chiamato nemico, nemico da combattere eda sconfiggere. E' tan to poco nemico che lo spirito se lo crea di continuo, se lo deve assolutamente creare ogni momento, come ele mento necessarioindispensabile albene. Dice bene l A liotta: « Se il male dovrà sempre esistere, se è l'anti tesi che rende possibile la superiore perfezione sin tetica dell'assoluto, non solo è inutile affaticarsi per eliminarlo, ma anzi è un pessimo servizio che si rende a Dio (allo spirito) che ne ha bisogno per trion fare nell'eternità. Per esser everamente buoni dobbia mo prima uccidere, rubaré, torturare il prossimo e poi pentirci: e tuffarci di nuovo nella tempesta delle colpevoli passioni, per assaporare in seguito la gioia della redenzione, in questa alterna vicenda è la divi. na dialettica della storia. Un delinquente ravveduto val più di un santo che non conosce il peccato ».

(396) Op. cit. pag. 195. (397) I fondamenti, p. 39.

401 26 - La filosofia di G. Gentile .

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(398) La realtà del male consiste nell'alimentare il fuoco spirituale, nel dare costantemente allo spirito nuova esca, ma essa in se stessa è niente. (399) Ben venga, ben venga il male dunque. Ma l'augurio è superfluo: lo spirito ci pensa ben lui a creare tutto il male, l'ottimo male, che gli occorre. Pecca fortier et age fortiter: è la formula riassuntiva, pare, della mo rale dell'attualissimo. Se questa è la realtà, non pos so comprendere come possa sorgere il comune con cetto di male, come disvalore, disarmonia, come antitesi vera del bene, del progresso, come negazione o impedimento di sviluppo spirituale. Vediamo se ci viene fatto di sciogliere l'enigma. « Questo nemico scrive il Gentile ora apparisce come esterno, e ora come interno al soggetto. Nemico esterno è il male che avvertiamo negli altri, e che in varimodi (educazione) combattiamo, per far prevalere la volon tà buona che ci è propria; nemico interno è la no stra bassa cupidigia; l'inclinazione egoistica e irrazio nale, che ognivigile coscienza sorprende ad ora ad ora nel suo proprio fondo, e che si sforza quivi stesso di reprimere e sottomettere alle finalità superiori. Ma nell un caso come nell'altro il vero nemico è interno, ed equivale all'attuale momento negativo della nostra effettiva realtà spirituale. Il male (il disvalore morale) non è un'entità per sè stante, sì un oggetto di giu

(398) La guerra eterna e il dramma dell'esistenza, sec. ed. V; Alle sorgenti del male, pp. 140-1. (399) I fondamenti, p. 43.

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dizio; fuori di questo non è possibile trovarlo. Tutta la realtà di un'ingiustizia non si manifesta (e, cioè, realizza, non vale per quella realtà che essa è, e in quanto realtà morale) se non nella coscienza che la valuta. (400) Ma « quando il male è male, egli è già morto nella coscienza purificatrice che lo giudica» . Perciò, come s'è già veduto, il male non c'è mai. E' bene ogni azione reale, effettuale, del soggetto. Tutto ciò che è voluto è bene nel momento che è voluto. La volontà, l'attività spirituale, è il valore etico, il valore tout court. E, poichè l'unica realtà è il vo luto, o meglio il volere, l'attività, percið sparisce ogni nozione di buono e di cattivo, di lecito e illecito, di giusto e ingiusto. Il preteso male è male quando lo si giudica; ma nel momento stesso che lo si giu. dica tale, non è più male. Il male, in altre parole, è nel giudizio valutativo della nostra coscienza; ma con questo stesso giudizio lo riproviamo e lo facciamo entrare nella sintesi di un bene più alto, in quanto è vinto e spiritualizzato. E, siccome lo spirito è sem pre autocoscienza di coscienza e vede e valuta tutti gli atti nel loro divenire, perchè è esso che li pone, perciò il male è sempre vinto, spiritualizzato, espiato nel suo stesso accadere,' cioè non esiste mai. Come spiega il Gentile, che vede nella preghiera di Gesù e nella sua dottrina primitiva, la prima affermazione dell'idealismo attuale, - come spiega il « Rimettici i nostri debiti » , se tutti i debiti si pagano mentre ven (400) I fondamenti, p. 39.

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> (401) Discorsi di religione, III, pp. 325-6.

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gono fatti? E ho accennato a quella domanda del Pater, perchè esprime la più profonda realtà religio so-morale dell'uomo di tutti i secoli. E domando ancora : come sorge il concetto del male? L'abbiamo accennato altrove: « La vita è una scala infinita dalla terra al cielo, dalla natura allo spirito, e tutta una storia di progresso incessante. Ogni gradino che si salga è bene, e male è arrestarsi all'uno d'essi, per lentezza e ignavia di spirito che pieghi alla natura. Nella vita dello spirito ogni fermata è colpa». (401) Ma, per non dire che, certamente, non è questo il concetto delmale che vive in ogni coscienza mo rale, e che una scala è un non senso là dove non esiste nè un primo nè un ultimo gradino, e percid nessun gradino; nè un principio da cui si parte nè un fine come termine d'arrivo, senza il quale tutti gli atti sono ugualmente bassi o ugualmente alti, perchè manca la misura del valore e, quindi, lo stes so valore; domandiamo come vi possono essere fermate o rallentamenti nella realtà che è atto, che è spirito, divenire, progresso necessario, essere che è tutto tutto il dover essere. Il male è l'immediato che non si fa, ma è, ci ripete il Gentile. Ed è male perchè non è spirito. Ma, evidentemente, lo spirito im mediato, o la realtà immediata che non è spirito, è u. na bella chimera, là dove tutto diviene, si fa, è enon è. Lo spirito è sempre mediatamente, e non si vorrà, credo, battezzare come male uno dei momenti della mediazione. 404

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Non è tutto immanentemente buono l'atto spiri. tuale? Dunque è tutto mediazione! Piuttosto non si vede come la mediazione possa essere dialettica o superamento di particolarità da parte dell'universale. La morale è realizzazione dell'universale, perchè è la realizzazione dello spirito. E anche l'individuo è uni versale, perchè soggetto, spirito, in quanto l'indivi dualità particolare che l'universale eternamente nega e risolve in sè, nella sostanza universale, non è nul. la di reale, ma l'ideale momento interiore dell'atto morale. La particolarità è, realmente, un puro postu lato? Che cosa sono allora, e dove sono le opposi zioni, le guerre, i conflitti fra l'universale e il parti colare e fra le diverse particolarità? Com'è possibile la resistenza dell'elemento particolare alla sua univer salizzazione? Non è momento della realizzazione del l'universale. L'atto è buono e tutto ciò che è è at to; anche il momento ideale della particolarità è atto, e, quindi , non più particolare, ma universale. Che co sa è l'elemento particolare che lo spirito sopprime per instaurare il valore universale? « Il mio interesse pud essere in contrasto con l'interesse altrui solo a patto che l'interesse altrui sia pure mio ». E come posso no esistere l'identità e la diversità d'interesse nello stesso soggetto ? « Gli individui sentono la loro parti colarità egoistica e repellente in quanto convengono e si scontrano, come due atti di giudizi contraddito rii, in un oggetto, che sia un identico oggetto di vo lere; anzi nello stesso volere, stando l'uno per l'af

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fermazione, e l'altro per la negazione ». (402) Com'è possibile? L'atto è uno, il volere è uno, come sog getto e come oggetto; nell'atto unico si dovrebbero scontrare, anzi l'atto unico dovrebbe essere, due giu dizi contraddittorii, la negazione el'affermazione! Di ce ancora il Gentile: « La particolarità del volere con siste in quella negazione della propria affermazione che è insita nella natura stessa di quella e senza la quale questá non sarebbe atto ma fatto; non azione dell'uomo, ma l'essere delle cose particolari » . (403) Ma perchè la negazione della affermazione universa le deve essere particolarità ? Ancora : « La società gli accordi, i conflitti sociali, i contrasti d'interessi e d'aspirazioni - non è inter homines, ma in interiore ? homine, e tra gli uomini è solo in quanto tutti gli uo mini sono, rispetto al loro essere spirituale, un uomo solo, che ha un solo interesse, in continuo incremen to e svolgimento: il patrimonio dell'umanità». (404) Ecco: come nell'atto unico che è tutto universale pos sano coesistere le particolarità sempre vinte e mai vinte, come moltitudine di elementi infinitamente va ri, discordanti e contradditorii, qual'è la società reale che siamo noi, non posso comprendere. E anche u. na volta ha ragione l'Aliotta :«L'esperienza ci dà va rie anime giunte a un grado diverso di sviluppo, mentre il ritmo dialettico non ci offre che un solo

(402) Op. cit., p. 46. (403) Op. cit., ivi. (404) op. cit. ivi.

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processo, e in ogni suo momento un solo grado di sviluppo: La simultanea esistenza di fasi diverse di sublimi eroismi e di bassezze morali, di energiche vo lizioni e di vili abbandoni, è inesplicabile con la dia lettica, che tutto riduce a una serie unica. Io penso un'infinità di altri individui, che giudico peggiori o migliori di me dal punto di vista etico, penso i mar tiri e penso i delinquenti, che vivono insieme nella simultaneità dell'attimo fuggitivo; se formassimo una unica coscienza, le azioni altrui, che mi ripugnano, dovrebbero apparirmi come momento, superato della mia stessa vita, e identificarsi con quelle di cui assu mo la responsabilità, e gli eroismi degli altri dovreb bero mostrarsi a me, non come atti reali fuori della mia persona, bensì soltanto come forme superiori di vita, a cui desidero elevarmi, confondendosi col mio avvenire » . (405) La mia critica è più radicale: io ne go la possibilità stessa dell'esistenza della particola rità nell'atto, il quale se è, è universale; nego la pos sibilità della dialettica, quindi; nego soprattutto, la concepibilità del male, là dove non si possono scor gere che momenti reali del bene. E' inutile : se non si ammette una norma della moralità, con la quale io possa entrare in conflitto o in armonia, riconoscen dola o disconoscendola; se non si ammette un bene come presupposto del nostro volere, un bene come doveressere, che ogni individuo personale debba in staurare e ricreare in sè, seguendo precisamente la (405) Op. cit., pp. 161-62.

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norma morale oggettiva; se non si ammette che gli individui particolari sono reali e realmente limitati e possono amare l'individuale in contrasto con l'univer sale, il bene economico in contrasto col bene etico; se non si ammette, come dimostravamo altrove, un fine e, quindi, un valore ultimo delle azioni umane, che siano buone o cattive secondo e a misura che ad esso si avvicinino o da esso si allontanino, non è concepibile nessuna moralità. Ha scritto il Gentile: « Una conoscenza tutta necessariamente vera avrebbe lo stesso valore d'una condotta tutta ugualmente buo na; cioè nessun valore : poichè nella sua necessaria determinazione si dimostrebbe vita naturale, non vi ta dello spirito. Il quale si distingue dalla natura per chè processo libero; e verità, quindi; ma che non è verità immediata e necessaria, ma verità che trionfa dell'errore, e così, secondo che s'è già visto, bene che ha ragione del male » . (406) Noi avremo da fare parecchie riserve prima di accettare assolutamente questaconsiderazione, ma essa è certamente vera se si riferisce a una realtà che diviene e non ha attuato tutto il suo essere come verità e come bontà. E' vera riferita al Gentile. E siccome, nel suo sistema, non sono concepibili nè l'errore nè il male,tutte le cogni zioni saranno necessariamente vere, e tutte le con dotte necessariamente buone; tutte ugualmente buone, perchè tutte, ugualmente, processo, alto, divenire, li bertà, universalità. Cioè tutte, anche secondo lui, sen za valore, tutte egualmente amorali. (406) Osservazioni, p. 209.

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Eppure l'idealismo attuale presume di essere l'uni ca concezione veramente etica della vita. Per esso tutto è morale : la moralità non è una sfera della real tà, ma la realtà. La morale « è la concretezza, e per ciò il culmine dell'atto spirituale, dove si moralizza, cioè effettivamente si attua ogni altro momento dello spirito» . (407) Ottima esigenza, espressa variamente in molte belle pagine dal Gentile, ma, date le sue premesse, condannata a restare pura e semplice esi genza. Vediamo, a ogni modo, come il Gentile la svolge e la mostra attuata nel suo sistema. Tutta la vita dello spirito è essere identico al do ver essere, che gli è dentro. « Il male non è opposto all'ideale; ma è il reale che è interno all'ideale che si realizza appunto come negazione del suo reale. Il mondo, così, si idealizza, si spiritualizza, si illumina tutto per diventare mondo della libertà, mondo spiri tuale, mondo morale » . È secondo lui, la concezione cristiana della realtà. E continua : « mondo morale in atto, mondo che è reale in quanto si realizza, ed è morale in fieri: atto morale » . (408) Tutta la realtà è libertà, e, quindi, eticità. « In quanto atto, e non fat to, la realtà morale si pud definire: libertà. La quale vuol dire: 1° mediazione; 2º universalità. « Libero è lo spirito in quanto processo, in cui l'essere non è al principio, nè alla fine, ma nell'unità del principio con la fine. Io voglio liberamente in quanto nè io mi stac (407) I fondamenti, p. 60. (408) Discorsi di religione, III, p. '103.

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co dal mio volere come effetto della mia attività, nè il mio volere si stacca da me » . (409) Io sono in quan to il mio essere è mediazione, in quanto cioè, l'Io è realizzazione che il realizzante fa di sè medesimo. Automeditazione creatrice, libertà assoluta. E, perciò, anche universalità. « Giacchè la mediazione questo . realizza: l universalità del soggetto che si pone nel l'atto » . L'operare spirituale è attuazione dell'io, affer-, mazione di sè; idealizzazione dell'oggetto immediato, o di sè come oggetto immediato e particolare, e quin di posizione dell'oggetto concreto, di universalità con creta nella e per la mediazione. Questo è sempre il pensiero; riduzione del particolare sotto l'universale, categorizzamento. E questo è il volere o atto morale. « Affermarsi, ma affermarsi come l'atto stesso dell'af fermarsi; e cioè negare la propria presunta o astrat ta soggettività particolare, per essere soggettività con creta, universale. A questo patto siamo liberi » . (410) Ma si capisce dal fin qui detto che noi non siamo naturalmente liberi : la libertà ce la conquistiamo; la nostra è, quindi, libertà morale. Tutta la vita dello spirito è conquista, cioè realizzazione di se stesso at traverso la negazione della sua immediatezza. Ecco uno dei concetti, sui quali insiste maggior mente il Gentile. A dimostrazione di esso, egli richia ma il concetto dello spirito come processo logico, che è quanto dire mediazione e conquista e si ap (409) Op. cit., p. 105. (410) Op. cit., III, p. 106.

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pella all'esperienza individuale e sociale, alla storia dell'individuo empirico e a quella dell'umanità come progressivo affrancamento da schiavitù d'ogni genere attraverso una graduale elevazione dalla vita partico lare alla sfera delle cose universali, dei valori, degli ideali, mediante l'assoggettamento a una legge che ci trae sempre più in alto. L'universalità, è, percid, mediata, conquistata. L'universale è la legge, come legge della volontà; ma la legge che ha valore per noi è la legge a cui si riconosce il valore mediante un giudizio pratico. Citiamo ancora : « Ogni universa le è universale vivo, concreto, ossia vero universale solo se non preesiste all'atto, di cui è l'universalità, e se è il prodotto, anzi la stessa vita, o realizzazione dell'atto stesso: e quindi non è immediato, come tut to cid che si presuppone, ma consiste nella stessa mediazione» (411), come tutto ciò che si pone. Nul la precede l'atto: quello che gli idealisti chiamano « ideale », non è ciò che quella parola significa per noi: una meta da raggiungere, anteriore all'atto che vi tende; ma è immanente all'atto positivo della no stra personalità. E' l'atto stesso : tutto il reale e tutto l'ideale insieme, tutto creazione (non creatura, ma creazione) dello spirito che è universale, assoluta au toctisi. L'atto che non si conforma a nulla, che non è misurato da nulla, che non si riferisce a nulla, a nes sun fine e nessun principio. Non ha nulla davanti a sè, nulla, cioè, che possa giudicarlo, valutarlo. E' la (411) Op. cit., pp. 110-11.

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vera spiritualità. « E morale qui non ha altro signifi cato se non quello di spirituale, ossia avente un va lore, o altrimenti, un pregio assoluto, in guisa che o nulla gli si possa preferire, edesso quindi obblighi e s'imponga in maniera categorica »). La qualemorali tà non è forma speciale di spiritualità: essa « investe ogni momento della vita dello spirito, che non può non essere di valore assoluto : valore inintel ligibile, se non corrisponde a un dover essere im prescindibile hic et nunc, in virtù della libertà ». (412) « Il bene, in conclusione, è il valore dello spirito nel la sua attualità dialettica » . (413) E' assoluta libertà, universalità perfetta, che ha in sè tutta la sua ragio ne di essere e di operare, che liberamente e neces sariamente si pone, cioè si media, si giudica e valu ta. Si valuta ? In base a che? Secondo quale criterio ? Qual'è il principio immanente per cui si può media re sempre in meglio, di fase in fase più perfetta, cioè esistere come autocoscienza progressiva, si giudica e si valuta ascendendo? Qual'è in altre parole, la ratio essendi, la ratio cognoscendi del suo progredire, del suo volere e valutarsi? Questo è per me, uno dei più gravi problemi dell'idealismo attuale: dove è, qua le è in esso, il principio del valore e della valutazio ne del giudizio morale? La creatività, l'attività effettua le non è, in sè e persè, morale; accanto al fare che è fare, esiste un fare che è disfare; il furto, per es. (412) I fondamenti, p. 35. (413) Op. cit., p. 38. 3

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l'omicidio, la calunnia; neanche il divenire non è in sè morale: anche il vizio diviene; tanto più perchè il divenire è perchè deve essere, deve essere perchè è. Parla spesso di legge, di autorità assoluta, di ideale da attuare il Gentile. « L'uomo non è morale, ma si fa, e si fa riconoscendo non a parole, ma nelle ope re, la legge, l'universale, che è oggetto della sua at tività soggettiva » . L'uomo è uomo negando, sdegnan do di essere quel che è, e volgendo gli occhi all'i deale che deve realizzare. E se questo ideale lo con fondesse con quello che è già, egli si acqueterebbe così perfettamente nel suo essere da addormentarsi nel sonno profondo della pietra »). (414) Sono parole, prætereaque nihil. L'uomo nella sua particolarità (ideale) è sempre la migliore, l'unica possibile posizione dello spirito; nella sua trascenden talità è lo spirito stesso; che non nega nè sdegna nul la; diviene si fa, come hic et nunc deve e può dive nire e farsi, senza possibilità di addormentamenti, di quiete. E' un farsi che va da sè, sempre nel modo migliore, colla stessa necessità, collo stes so ritmo, di momento in momento, di fase in fase, senza intoppi, senza possibili variazioni: è sempre tutto e solo quello che deve e può essere : diviene perchè è divenire, si fa perchè è farsi. Quando si pensa che « tutte le autorità si fondano nell'autorità ond'è rivestito dentro ciascuno di noi, nel seno dello spirito, che è... il vero sovrano, la uni (414) Discorsi di religione, p. 135.

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versale persona » , e che lo spirito è il soggetto della legge, la forza che la fa eseguire, (a chi?) e il termine di essa, perchè la legge è pel soggetto l'atto stesso del suo realizzarsi; ed il soggetto, « che la pone nel la sua realtà, osservandola e che la pone nella idea lità del suo valore osservandola liberamente » ; e che, come l'universale è l'ideale, anche il dovere scaturi sce dall'atto spirituale senza esserne, perciò, mai il presupposto, a cui l'atto debba conformarsi; ecco , che noi vediamo dileguarsi a poco a poco, senza re siduo, e legge e dovere e autorità, per non avere più davanti a noi che l'atto, il quale, precisamente come il fatto del positivismo, non ha valore alcuno, per chè è quello che è, quello che deveessere, nell'uni co modo, ripeto, che deve e può essere; puro atto messo sopra una via, o meglio, creantesi a volta a voltauna via, che non hatermineperchènon haprin cipio, che non ha nè in sè, nè fuoridi sè un princi pio di valutazione, un ideale da attuare che sia la misura delle fasi del processo, senza una norma a cui conformarsi, un dovere da adempiere, un valore in somma: è questa la più assoluta e radicale amoralità che si possa concepire.

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La vita mortale è conquista. Conquista dice lotta, sacrificio, sforzo, rinuncia. Concetti, tutti questi, che troviamo infinite,volte nelle pagine morali del Genti le, ma ai quali non si può assegnare, nell'idealismo, nessun senso plausibile. «La coltura e tutta la vita nostra è coltura, come vita dello spirito, è sforzo, lavoro, ma aggiunge il Gentile - non pena » .

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E perchè non è pena? Perchè « quello che noi dob biamo volere, è quello stesso che precisamente vo gliamo; ma noi vogliamo quello appunto che dobbiamo volere » . (415) A che si riduce il compito, la missione dello spirito? A dover volere quello che vuole e non può non volere! Il lavoro è « la libertà» « la celebra zione dell'essere » ; la formazione dello spirito, il di venire, insomma, di ciò che è assoluto divenire, l'es sere autocoscienza di ciò che non può essere se non autocoscienza. Un lavoro molto faticoso ed esigente uno sforzo colossale, come si vede! La mediazione - quante volte dobbiamo ripetercil è la natura stes sa dello spirito, che è, per definizione, oggettivarsi continuo e spontaneo e continuo e spontaneo risogget tivarsi. La realtà, la vita è tutta in questa formula: « L'universale soggetto si oggettiva, cioè, si particola fizza; l'oggetto si soggettiva cioè torna a universaliz zarsi », perchè tale è la sua natura : senza sforzo, dun que, senza lotta, senza sacrificio; dov'è la moralità? La vita dello spirito è educazione istruttiva, dice il Gentile. « Il contenuto del dovere umano è questo di essere uomo, realizzare la natura umana, che è la stes sa natura dell'essere universale : lo spirito. Ma lo spi rito è sapere, autocoscienza, è però coscienza. Il per fezionamento umano, pertanto, questa realizzazione di sè che è il dovere unico dell'uomo consiste nel pro cesso dello spirito attraverso il sapere. Questo pro cesso, che è la volontà, è lo studio, il sapere come (415) La riforma della educazione, pp. 134-136.

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opera nostra, come conquista » . (416) Conquista? Svi luppo spontaneo, e necessario, è forse conquista? Conquista morale? «Tutte le dottrine morali, dice an cora il Gentile, si appellano all'ideale, come negazio ne del naturale egoismo, sacrificio della particolare individualità »). Si capisce. Ma, nell'idealismo, l'egoi smo, il male, la particolarità sono assorbite nell'uni versalità senza concepibile sacrificio : chi sacrifica? chi, se non esiste che l'atto nella sua necessaria libera natura dialettica; l'atto che non può riprovar núl la, perchè tutto quello che ha posto è necessario fat tore di progresso e, quindi, di moralità? se la me diazione non è che la sua essenziale, essenzialissima dialettica, cioè proprio la concretezza dell'atto, la real. tà stessa dell'attività spirituale?

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E i problemi morali diventano come la morale, e, conseguentemente, un non senso. Ha scritto il Genti le che tutti i problemi morali sorgono (sul terreno dell'esperienza) dalla opposizione assoluta in cui l'Io empiricamente considerato si distingue da tutte le per sone « e deve tuttavia instaurare, come suprema aspi razione del suo proprio essere, un'armonia, un'unità, con tutti gli altri e con tutto l'altro » . I problemi mo rali sorgono « in quanto avvertiamo l'irrealtà del no stro essere concepito empiricamente come lo che si opponga 'alle persone diverse e alle cose che lo cir condano, e in cui pure si attua la sua vita » . E co me si risolvono? « Non si risolvono, sé non quando (416) Sommario di pedagogoa, vol. II, p. I, pp. 51-2.

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l'uomo arrivi a sentire i bisogni altrui come i bisogni proprii, e la propria vita quindi non chiusa entro l'angusta cerchia della sua empirica personalità, ma intesa sempre ad espandersi, nell'attuosità di uno spi rito superiore a tutti gli interessi particolari » . (417) Cioè, in povere parole: quei problemi si risolvono negandoli radicalmente, vale a dire dichiarando non esistenti le distinzioni sulle quali sorgono. Ridotte le persone ad una sola persona assoluta e infinita, ri solta la moltiplicità nell'unità trascendentale, i proble mi morali sono belli e svaniti. Svanisce anzitutto il fondamentale fra essi : com'è possibile il male?

Un divenire come quello dell'idealismo attuale, per quanto mediazione, incremento di universalità, non può essere nè buono nè cattivo, perchè, dica ciò che vuole il Gentile, è affatto istintivo, naturale, necessa rio, di necessità assoluta. Poichè esso non è libero nel senso che possa comunque dare la sua adesione al suo opposto, cioè alla particolarità, all'inazione, o che possa essere diverso nei suoi atti da quello che è, da come diviene; cosa affatto assurda; ma è libero perchè dotato di autonomia, che è assai diversa dal la libertà. « La libertà di cui si parla prima di Kant (e dopo non se ne parla più? e il Rosmini, e il Gio berti, per non citare che due nomi cari al Gentile?), è la libertà della volontà che è libera perchè ha di fronte la legge e può conformarvisi o dissentirne;

(417) Teoria dello spirito, cap. II, p. 12.

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417 27 La
di G. Gentile .
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l'autonomia è l'affermazione dell'unità radicale e in scindibile dei due termini: è la libertà del volere che è libero, perchè non ha di contro a sè, main sè, la legge, e non può non conformarvisi se realizza sè medesimo»). (418) E lo spirito realizza sempre neces sariamente se medesimo. Il volere coincide col cono scere, che è la verità, e quindi, il Bene, la creatività, la spiritualità effettuale.

Svaniscono tutti i problemi che riguardano i do veri verso gli altri, perchè gli « altri » non sono reali, essendo empirica la molteplicità di soggetti che non siano risolti senza residuo nell'unità.

Svaniscono anche e perdono ogni significato tutti i problemi che sorgono sul dovere fondamentale che ha l'uomo di essere uomo, come unità da conquistarsi faticosamente, perchè l'uomo non può non essere sem pre l'uomo perfetto, in cui l'ontologia coincide colla deontologia, il soggettivo coincide coll'oggettivo, l es sére col piacere, il mondo sensibile col mondo intel liggibile, l'egoismo coll'altruismo, il bene col male. Assoluta amoralità, e, quindi, assoluta impossibilità di un'etica che non sia semplicemente la radicale dichia razione della nullità di tutti i problemi morali. E toc chiamo un altro punto delle dottrine etiche dell'idea lismo.

Scrive il Gentile : «L'universalità della volontà li bera è il bene. Ma questo bene non è il bene eude monistico. La felicità, come fine naturale dell'uomo, (418) Osservazioni, p. 201.

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(419) Discorsi di religione, III, pp. 119-121.

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rientra nel quadro della natura » ; il che vuol dire che è irreale, fantastica. La felicità non preesiste alla sua tendenza, non la condiziona, non la genera; e nean che la segue, appagandola, come, per es., premio della virtù . « Al falso eudemonismo, che è quello na turalistico, convien sostituire il vero, l eudemonismo spiritualistico». Così : «La felicità a cui il valore ten de non è la condizione di esso, ma la stessa realtà che esso realizza : la quale è felicità, poichè è pienez za di essere, perfezione; ma non essendo di qua dal volere, è morale, coincide appuntocolla stessa virtù o atto libero del volere » . (419) Ecco, anche noi so steniamo che il fine delle azioni umane non dev'es sere, direttamente, il bene eudemonistico, sibbene l'ac crescimento dei valori della persona, e che, in questo senso, ma solo in questo senso, la virtù è premio a se stessa, la felicità è nell'atto buono. Noi sappiamo, - se l'ha detto insuperabilmene S. Agostino che in ogni peccato c'è la pena del peccato e in ogni atto virtuoso il premio della virtù. Un premio ade guato ? E basta quel premio per appagare il nostro bisogno di felicità ? Ecco le questioni. Vediamo di ri spondere. L'uomo ha due esigenze, cioè due aspirazioni, dal. le quali non si può liberare, che sono, tutte e due, profondamente morali : l'esigenza alla piena giustizia, e l'esigenza alla perfetta felicità; le due, sono, in fon do, un'aspirazione unica: il perfectum bonum è la fe-, 419

( ( sona » 7

licità nella giustizia. La prima è stata sviluppata, co me è noto, magistralmente da Kant, che, guardando la in tutta la sua ampiezza e profondità, fu portato a dover ammettere l'immortalità dell'anima, come con dizione sine qua non della moralità; l'altra rappresen ta il tema centrale della speculazione greca e uno dei temi fondamentali di tutte le filosofie. Che cos'è la felicità? « E' l'accordo fra tutti gli elementi della per l ha definita bene il Varisco. Noi facciamo una piccola aggiunta: « e l'attuazione della piena giu stizia » ; appunto perchè gli elementi della persona, in quanto serie di atti personali, aventi tutti, anche per noi, un valore morale, esigono la corrispondenza infinita del premio alla virtù, Il Varisco aggiunge: « Se una tale felicità non fosse conseguibile, non sa rebbe conseguibile neanche il valore; anche il valore consiste infatti nel medesimo accordo » , (420) Ebbe ne, si può parlare sul serio di felicità nell'idealismo? Già sappiamo che in esso l'individuo empirico, come distinto dall'Io trascendentale, non ha valore, e la sua pretesa di una felicità distinta da quella del soggetto unico è priva di ogni razionale fondamento. Il giusto sciagurato che deplora il dissidio tra il me rito e la fortuna, ed esige che questi ed altri e più profondi e urtanti dissidi vengano finalmente compo sti, è vittima di un falso vedere, giuoca di fantasia, non si è inalzato ancora al punto di vista dell'ideali smo nel quale tutto tutto è a posto e tutto si com (420) I massimi problemi , Conclusione, p. 231.

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pone nella migliore delle armonie. Lasciamo dunque stare l'individuo empirico. Ma si può parlare di feli cità dell'Io trascendentale ? Ecco; la felicità è trionfo dei valori, è coscienza di virtù morali, è comunica zione amorosa di persone; e noi non troviamo nulla di tutto questo nell'atto puro dell'idealismo del. la immanenza. Davanti allo spirito nulla ha valore e nulla ha disvalore. Il Gentile è sempre persuaso che nel suo idealismo trovino soddisfazione tutti i diritti della individualità, ad eccezione di quelli derivanti da un concetto fantastico dell'individuo tra individui. So no fantastici, si capisce, tutti i diritti che si fondano sulla distinzione di ciascuno di noi da tutti gli altri! Noi non siamo che la concretezza dell'atto. L'abbia mo già veduto: l'atto è il processo in cui il soggetto particolare si risolve. Il soggetto particolare collabora all'atto, col risolversi nell'atto stesso, perdendo la sua particolarità. Cosicchè nell'idealismo il particolare è una astrazione.

E' lo spirito che in noi pensa e sente, teme e spera, vuole e opera, ed ha una responsabilità, dirit ti e doveri, afferma il Gentile. Ma responsabilità da vanti a chip diritti di fronte a chi doveri verso chi? E che cosa pud temere e sperare, se esso è il faber della sua fortuna é non può non essere il migliore dei fabbri, celebra eternamente la sua libertà senza ostacoli? Celebra senza spettatori, celebra perchè la sua natura è di celebrare, com'è quella delle api di fare il miele e quella degli uccelli di fare il nido, checchè protesti in contrario il Gentile. Quali sono le

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sue virtù morali? Crea, e, nell'atto di creare, divora le sue creature; pone indifferentemente il bene e il male, il dolore e la gioia, gli eroi e i delin. quenti; dà alle sue creature esigenze indistruttibili di immortalità e di giustizia che non verranno mai soddisfatte. Questa la vita dello spirito. Se la felicità può essere la sua, non è certamente felicità morale, fe licità spirituale, fondata sui valori, come beatitudine nella giustizia.

La morale non è in funzione dell'eudomologia, ma questa però, rientra finalmente, in quella, poichè la vera felicità si confonde col valore. E l'idealismo è la negazione di questo, e, conseguentemente, di quella.

A completare questi cenni intorno alle teorie mo rali del Gentile nella esposizione delle quali il de siderio di chiarezza e di completezza ci ha fatto com mettere, non me lo nascondo, qualche ripetizione di cui non so pentirmi giova dire brevemente del concetto gentiliano del diritto e vedere, pur brevemen te, quali sono, secondo lui, i rapporti che passano fra il volere morale e il volere giuridico.

« Ildiritto può dirsi la natura nel mondo della vo lontà » . (421) La natura è, cioè, nel mondo del valore attuale, il voluto, come nel mondo del pensareè il pen sato. Nella dialettica della volontà, o dell'attività mo rale, bisognadistingueremomenti diversi. Volere è vo lere un oggetto, che è, poi, niente altro che un modo di (421) I fondamenti, p . 67.

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volere del soggetto : voglio passeggiare, leggere, scri vere, ecc. Come il pensiero pensa sempre il pensie ro, così la volontà vuole sempre la volontà. (Noi sappiamo del resto che la distinzione di volontà da pensiero non è reale: il pensiero è anche volontà e reciprocamente).

« Il volere è nell'atto suo unità di questi due ter mini : volere come volere e volere come voluto » . (422) Il voluto è la legge del volere; legge, non come interna ad esso e come momento di esso o legge morale, ma come staccata dal volere e considerata in se stessa astrattamente. « Il distaccarsi del voluto dal volere trasforma evidentemente l'attuale voluto nel già voluto, senza sottrarlo perciò alla dialettica del vole re » . La ragione è chiara: « Se il voluto vi si sottra esse, è chiaro che cadrebbe nel nulla, poichè l'essere è della dialettica spirituale; e uscire realmente dal cir colo di questa dialettica non può essere altro che an nientamento. Ma il voluto non si annienta; e non si annienta perchè esso stesso è spirito, ancorchè in forma negativa. Esso, cioè, non è annullato, ma sem plicemente negato; e perciò conservato nella sua ne gatività » . (423) E' conservato come contenuto di vo lere, come il già voluto che non è volere: « non è più volere, ma contenuto di volere; non è più legge ma contenuto di legge; non è più libertà che è for za, ma forza senza libertà; non è più oggetto che è

(422) Op. cit., p. 57. (423) Op. cit., p. 58.

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soggetto, ma oggetto opposto al soggetto » . (424) E' forza che già era libertà, e ora è limite della liber tà; è oggetto, ma in forma da non potervisi ricono scere, e, quindi, come opposto al soggetto. E', come si vede, uno dei soliti cammuffamenti dell'Io; cam muffamenti così abilmente eseguiti, che il mascherato, sulle prime, non è in grado di riconoscere sotto la maschera se stesso! E pensare che è autocoscienza infinita,eternamente presente in ogni suo atto e, quin di anche nell'atto di cammuffarsi!

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Ebbene: « questo voluto, come volere già voluto, è il diritto in senso stretto che si può dire una vo lontà già realizzata, diversa dalla morale in ciò, che questa è volontà che si realizza » . (425) Non diceva mo sopra che il diritto è la natura nel mondo della volontà? La natura nel mondo del pensiero è il pas sato, l'errore; nel mondo della volontà, parrebbe che dovesse essere, analogamente, il male : error,sive na tura. Ma non è. Il a già voluto » in tanto è, in quanto c'è già il volere che lo contrappone a sè, lo nega nella sua particolarità, che è la sua obiettività astratta. Perciò abbiamo detto che il già voluto è con tenuto del volere: contenuto, quindi, inconcepibile fuori del volere stesso nella sua attualità »). (426) « Il di ritto è diritto in quantonoi lo sentiamo come coatti vo; legge della nostra volontà, senza che sia la no

(424) Op. cit., pp. 58-59. (425) Op. cit., p. 59. (426) Op. cit. p. 60. 424

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e > (427) Op. cit., p . 61. (428) Op. cit., pp. 60-61.

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stra stessa volontà » . Insomma : lo spirito vuole e crea un voluto; il quale non si riconosce come creatura del volere, nè questo per uno strano giuoco, che si rinnova sempre, dell'autocoscienza può ricono scersi, sulle prime, come creatore della sua creatura, e si lascia imporre da essa. Ma la obbiettività astrat ta, la particolarità come tale, nella sua immediatezza, non è la natura; errore cioè per il pensiero, male per la volontà? No. « Come momento interno all'atto del volere (morale), il diritto rientra nella dialettica di que sto, non come l'elemento negativo, anzi come l'ele mento positivo, ma astrattamente positivo, del volere stesso ». (427) Il diritto starebbe alla morale come la religione alla filosofia? Vediamo. « La dialettica del l'atto spirituale non importa soltanto il non essere dello spirito (il male) ma anche questo essere, senza di cui non sarebbe possibile quella posizione di sè, in cui l'atto spirituale consiste. La volontà che non fosse volontà non potrebbe realizzarsi come tale; ma non si potrebbe realizzare neppure una volontà che fosse già volontà. Sicchè l'opposto della volontà che è in quanto diviene, è duplice: volontà che non è, volontà che è; e la volontà attuale non nega soltanto quella che non è, ma anche quella che è: nega la prima essendo la seconda, é nega la seconda essen do la prima; giacchè essere davvero volontà (volere attualmente) questo appunto significa: essere non es sendo, e non essere essendo volontà ». (428) Da que - 4.25

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ste parole pare che il diritto si avvicini più al con cetto dell'arte che a quello della religione, mentre in altri passi esso tiene più della religione che dell'arte. E' probabile che, nel campo pratico, perchè si possa riempire lo schema postulatodalla dialettica, un fat tore debba rappresentare due parti, e che questo fat tore sia naturalmente il diritto, che si deve, quindi, ri guardare come immediato astratto soggetto e come immediato astratto oggetto, corrispondentemente al l'arte e alla religione della sfera teoretica. Riassumendo : la volontà che non è, è il male; la volontà che è, è il diritto. Queste due volontà, sepa rabili solo astrattamente, vengono risolte nel volere come realtà concreta, dove « c'è posto sì pel male che è non essere della volontà (particolarità), e sì pel diritto che è essere della volontà (universale) ». (429) Così che il volere morale, come vita attuale dello spi rito che, con unico processo, particolarizza l'univer sale e universalizza il particolare, non sarebbe che sintesi del male e del diritto Precisamente, proprio come nel mondo del pensiero, questa è la sintesi di arte, religione ed errore. Riavvicinamento un po' stra no, come si vede, ma dobbiamo essere abituati, ora, a certi paradossi.

E' morale, dunque, la volontà che si realizza, è giuridica la volontà già realizzata. Il diritto è il no stro stesso essere realizzato, ma noi non ci ricono sciamo in esso, non vi riconosciamo la nostra attività (429) Op. cit., p . 61.

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che è libera, mentre il nostro essere realizzato è ne cessità (factum infectum fieri nequit) « e l'attribuia mo a un'altra volontà (divina o umana) ma più forte della nostra » . (430) Gli è perchè essa ci si presenta in tutta la sua ferrea necessità come antagonistica al la nostra libertà; ci si presenta come dura lex nella sovranità, nello Stato, che sono sue incarnazioni. Come s'è veduto, lo Stato non è inter homines, ma in interiore homine. « Non è quello che vediamo sopra a noi, ma quello che realizziamo dentro di noi, con l'opera no stra di tutti i giorni e di tutti gli istanti; non soltan to entrando in rapporto con gli altri, ma anche sem plicemente pensando creando col pensiero una real tà, un movimento spirituale, che primao poi influirà sull'esterno, modificandolo». (431) Noi, però, non ci accorgiamo di questa nostra continua creazione e ri guardiamo la creatura come opposta al creatore, ap punto perchè ci si presenta, ed è, non come la vo lontà nella sua libertà, ma come la volontà nella sua legge. Ecco perchè sentiamo il diritto come coativo. Esso è la nostra volontà, il voluto, che distaccato dal volere in atto, per forza di astrazione, ci si impone, come s'impone, in qualità di Dio, l'oggetto conside rato come puro oggetto. Naturalmente la volontàmo rale risolve continuamente in sè la volontà giuridica con lo stesso atto con cui il pensiero risolve in sè la

(430) Ivi. (431) Discorsi di religione, I, p. 34.

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religione. Nascono anzi, pare, a un parto, Dio, diritto, Stato, Sovranità, e coll'identico atto di soggettivazio ne si risolvono nella concretezza dell'attualità del pen siero morale. Poichè i processi non sono due ma u no: teoretico e pratico insieme. Come è eterna la fa se, il momento dell'oggettivazione astratta (Dio, dirit to), così è eterno il momento della risoluzione del l'astratto nella sintesi a priori logica e pratica insie me. Per ciò che riguarda la risoluzione pratica il Gen tile scrive con grande efficacia e limpidamente: « Nel la storia, dove tutta la vita spirituale si attua, il di ritto si libra tra la morale da cui sorge e la morale a cui mette capo: e ogni momento della storia, così nell'individuo come nell'insieme degli uomini che so no tutti un individuo, è un momento di moralità che risolve una situazione giuridica perfarne nascere una nuova. Ogni organismo di rapporti giuridici è come un sistema della natura, che l'attività dello spirito ha creato, e che nell'attività dell'Io tornerà a riassorbirsi, come elemento d un ulteriore ampliamento e potenzia mento del regno dello spirito » . (432) Rimandiamo a 'sotto qualche osservazione che qui cadrebbe a po sto. Il diritto è, dunque, il voluto che si impone e si oppone come legge obiettiva al libero volere. Il Gen tile si fa un'obbiezione : Oltre la legge obiettiva del diritto, c'è la legge non meno obiettiva della morale. In che dunque consiste la differenza del di ritto dalla morale? La domanda è importante. Lo(432) I fondamenti, p. 67.

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spirito, come diritto, è categoria meramente gnoseo logica o è reale momento eterno dello spirito distin to dal suo momento morale. E' evidente che se lo spirito, come diritto, fosse reale, la sua legge non si distinguerebbe dalla legge morale se non a patto che venga dichiarata non reale la legge morale. La qua le, come s'è veduto, è non solo reale, ma il corona mento, l'anima profonda della realtà tutta. Perciò bi sogna concludere che la categoria giuridica ha carat tere meramente gnoseologico. «La legge, nella sua attuale realtà, è e non può essere se le: ma nell'atto, onde la legge è realmente legge, e in cui percid deve dirsi che consiste la sua realtà, essa non è soltanto legge: cioè non è più soltanto quella legge con cui da noi si agguaglia il diritto. Essa infatti si attua mediante la volontà attuale, che è libertà; quella libertà, che, considerata a sua volta astrattamente e perciò rispetto a una legge pure a stratta, ci apparisce come l'opposto della legge, e che è infatti la concretezza dell'autocoscienza, l'energia onde l lo si pone » (433). Il Gentile non poteva deter minare meglio la sua teoria della legge morale in rap porto al diritto. La posizione del voluto di fronte al volere, del già voluto di fronte alla volontà attuale, è posizione gnoseologica idestinata a risolversi nella concretezza dell'atto volitivo, che differenzia il diritto dalla morale. Ecco perchè gli atti giuridici vengono sempre sottoposti alle valutazioni morali. « La legge trova sempre innanzi a sè la volontà pronta a giudi (433) Op. cit., p. 68.

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carla moralmente, e quindi a temperarla, se è da lei, con l'equità, o a modificarla e riformarla. Nè la co scienza moralepotrebbe mai contrapporsi alla dispo sizione della legge e agire su questa, come fa di continuo nel suo svolgimento, se alla legge che ven ga a contatto con la volontà in quel rapporto spiri tuale, in cui solo è possibile che attinga la sua real tà, non fosse proprio l'eticità che la coscienza morale ha l'ufficio di valutare » . (434)Nella realtà esiste quin di medesimezza di diritto e morale. Gnoseologica mente c'è però distinzione fra i due. Guardiamo un po' in faccia il diritto come categoria meramente gno seologica. E' diritto, cioè legge, ogni volere già vo luto? Ogni azione, considerata come già posta, è leg ge dotata di valoregiuridico? Il furto fatto, la rapina eseguita, la calunnia perpetrata sono diritto ? Certo, data la definizione e lo svolgimento gentiliani del concetto del diritto. E anche perchè, nella realtà, il furto, la rapina e qualunque delitto sono, come attua lità di volère, essenzialmente morali, e il diritto non è che la morale astrattizzata, per così dire, o fissata staticamente. Ciò che è diritto dal punto di vista sta tico, è morale da quello dinamico. E allora che senso può avere la frase: « la volontà tempera, modifica, ri forma la legge ? » Lo spirito riforma se stesso ? Il già voluto è riformabile e da riformarsi solo per il fatto che è gid voluto ? Non è originariamente la legge giu. ridica un atto etico, in quanto non può avere se non quel fine immanente che è unum et idem coll'atto spi (434) Op. cit., p. 70, 430

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rituale? anzi non è essa sempre il contenuto dell'atto spirituale? Originariamente è assolutamente buona o gni legge, ogni voluto, e non vedo la ragione perchè il solo fatto d'essere già voluto tolga al volere la sua assoluta bontà.

La risoluzione e, attraverso questa, la creazione, le capisco, la riforma no. Il già voluto è la natura, nel mondo della volontà, ed è proprio della natura di ve nir risolta continuamente nello spirito, il quale non ha nessun'altra attività di fronte ad essa. Ma queste ultime osservazioni sono quisquilie, e il Gentile ci po trebbe rispondere che la risoluzione è graduata, cioè non rivoluzionatrice, ma, precisamente, riformatrice. E avrebbe ragione. Contro di lui noi facciamo Walere come conclusione delle osservazioni già fatte, sopra tutto un appunto molto grave, a cui abbiamo già ac cennato: l'assurdità, cioè, che ogni voluto sia un di ritto; perchè diversamente ogni azione malvagia già compiuta sarebbe legge giuridica alla pari delle azio ni scaturite dalle volontà più sante; precisamente co me, prima di essere diritto, erano tutte egualmente morali. Il diritto, nell'idealismo, non ha più senso, co me non hanno senso alcuno la verità e la moralità. Siamo, ripeto, nel perfetto nihilismo di tutti i valori. Ed è strano che un energico e nobile assertore dei valori, com'è Giovanni Gentile, non s'accorga delle disastrose conseguenze alle quali, pensato fino in fon do, conduce irrimediabilmente il complesso delle sue teorie. Che noi, perciò, rigettiamo con tutta la forza del nostro spirito.

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Il Gentile, storico della filosofia

La realtà è spirito; lo spirito è autocoscienza; l'au tocoscienza è atto, l'atto è storia, la storia è storia della filosofia, e questa è filosofia. Si deve senza dub bio alla dimostrata identificazione di storia della filo sofia e filosofia la grande e poderosa fioritura di la vori storici che caratterizza le correnti di pensiero che mettono capo al Croce e al Gentile, specialmen te al Gentile. E la storia non è più concepita come lavoro di ricerche erudite, in cui lo spirito non ha che da constatare e da notare i fatti del passato sul la base di documenti, senza nulla mettervi di suo, an zi evitando di farne una manifestazione di personali tà, ma come risuscitazione del passato alla luce del presente vivo nello storico, anzi tutt'uno con la vita dello storico, che ha un suo pensiero, un suo siste ma, un suo speciale modo, un criterio tutto suo di 432

giudicare, e, quindi, di presentare gli avvenimenti u mani. La storia non è pura accettazione impersonale del passato, ma ne è la ricostruzione fatta dall'Io che sceglie, ordina, valuta alla luce del suo pensiero at tuale ogni visione della storia della filosofia e ogni determinata concezione filosofica. « Nessuno può ve dere se. non co' propri occhi, nessuno del pari può pensare se non col proprio pensiero; e chi si pone a ripensare la storia della filosofia, s'intende che abbia già una certa riflessione filosofica, senza della quale cotesta storia non avrebbe neanche un interesse per lui, e dalla quale egli, ripensando la storia, non pud prescindere. Sicchè, gli piaccia o no, riesce sempre ad una costruzione soggettiva » . (435) Noi non abbiamo intenzione di passare in rasse gna le parecchie opere di storia della filosofia che l'Italia deve al Gentile, meno che meno poi quel le che sono nate sotto il suo vigoroso impulso di maestro che, coll'esempio e colla parola, sa far lavo rare.' In una delle sue prime pubblicazioni di storia della filosofia, a coloro che deploravano di dover ve dere anche nelle più accurate-storie della filosofia mo derna, affatto o quasi dimenticati i nostri sommi filo sofi, domandava rimproverando: «Abbiamo noi for se, colla nostra critica, adoprato abbastanza a prova rel'importanza dei nostri filosofi, nella storia genera le del pensiero ? Abbiamo forse da contrapporre alla

l'as Eori lub F10 Ja -0 (435) G. GENTILE: Saggi critici, serie prima, Napoli, Ric ciardi, 1921. Filosofia e storia della filosofia. Lo studio è del 1902 .

26 - La filosofia di G. Gentile.

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FILOSOFIA DI GIOVANNI GENTILE

ricca letteratura che gli stranieri con infaticabile lavo rio hanno accumulata sui maggiori e minori filosofi de' loro paesi, qualche cosa che non dico l'aggua gli, ma le si possa in alcun modo paragonare? Ov vero, quando s'è incominciato da noi, risorti a nuova vita con la nuova Italia, a prender parte à quel mo vimento scientifico di studi storici, in cui le altre na zioni ci avevan lasciato indietro di tanto, nel campo della filosofia non ci siam forse volti quasi tosto per imitazione specialmente dellaGermania ai sistemi an tichi e stranieri? » (436) Nella quasi generale indiffe renza degli italiani per la storia del loro pensiero, grandeggia per gli idealisti, e un po' per tutti, una figura che è la consolante eccezione alla regola : BERTRANDO SPAVENTA. - E' stato lui, lo Spaventa, il primo a darci in iscorcio la storia della filosofia ita liana, nel quadro generale della storia del pensiero universale e a dircene il carattere e l'importanza; è stato lui a scoprire, idealisticamente, e a far oggetto di nuovi studi il Bruno e il Campanella, il Vico e il Galuppi, il Rosmini e il Gioberti, che mette in nuo va luce e inipone all'attenzione degli italiani. Ed ec co che Giovanni Gentile si mette sulle sue traccie, e, seguendo i criteri storiografici del Maestro, ci dà Ber nardino Telesio (437); Dal Genovesi al Galuppi (438); Rosmini e Gioberti (439); La filosofia in Italia dopo

(436) Rosmini e Gioberti Prefazione, Pisa, 1899.

(437) Bari, Laterza, 1911. (438) Napoli, Edizioni della « Critica » , 1903. (439) Pisa, Sistri, 1899.

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il 1850 (440); ci dà Studi Vichiani (441); Giordano Bruno e il pensiero del Rinascimento (442); I proble mi della scolastica e il pensiero italiano (443), «lelle quali opere le tre prime sono un vero monumento di erudizione compenetrata di pensiero critico, di coltu ra filosofica sistematica, sicura, profonda. Nessuno in Italia e pochi nel mondo sono uguali al Gentile nel

(440) Nel La critica dal 1903 al 1914. Sono stati ristam. pati in volumi a parte gli studi sugli scettici e sui Plato nici col titolo : « Le origini della filosofia contemporanea in Italia, volume primo. I Platonici, Messina, Principato, Si vedano in rivista di filosofia Neoscolastica (A. IV. 1912, Fasc. I, II, IV) le succose e giuste critiche fatte dal Masnovo all'articolo del Gentile sul Tomismo Italiano, dopo il 1850 (La critica a. IX, fasc. VI, 1911).

Noi facciamo nostre tutte le belle osservazioni del Dott. Masnovo rivolte a mettere in rilievo la manchevolezza sto. rica e la inconsistenza delle critiche, di cui pecca lo Stu- . dio del Gentile .

(441) Messina, Principato, 1915.

(442) Valecchi, Firenze, 1920.

(443) Laterza, Bari, 1913. In una monografia completa sul Gentile bisognerebbe dare, almeno per sommi capi, an che il contenuto di questi lavori, di diverso valore; cosa che non entra nel quadro di uno studio sulla filosofia del Gentile. Qui vogliamo accennare ancora, come a studi di vero valore storico-filosofico, ai lavoretti del Gentile su Dante e su Leopardi, ripubblicatiin Frammenti di estetica e letteratura, Lanciano, Carabba, 1920; nonchè, e a molto maggior ragione, a una fra le più interessanti opere sue: La ri orma della dialettica hegeliana. E l'elenco potrebbe continuare, perchè tutte le pubblicazioni del Gentile sono Storia, come sono storia tutte quelle dello Spaventa.

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cosciente dominio della storia del pensiero congiunto con un acume critico che sa cogliere, dal punto di vista dell'idealismo attuale, le parti vive e le parti ca duche delle più svariate sistemazioni del sapere, nel l'ordinare il tutto alla illustrazione e dimostrazione del pensiero che viene svolgendo da anni, con una coerenza meravigliosa, sempre fondendo a filosofia colla storia, che è per lui la controprova della filoso fia, anzi la sua concretezza. Lo studio sul Galuppi, quello sul Rosmini e sul Gioberti, potranno continua re ad essere tacciati di tendenziosità idealistica trop po accentuata, che porta a svisare parecchi tratti sto rici degli autori esposti e valutati, ma tutti dovranno ammirare la ricchezza di informazioni biografiche in senso largo e la grandezza del tentativo di farli entrare tutti e tre nella corrente dell'idealismo kantiano, co me è inteso dallo Spaventa, dal Croce, e da lui. So no capolavori di ricerca e di critica. E pregi anche più visibili, perchè rilevati da maggior vivezza di e spressione che si dispiega in tutti i toni, dall'esposi tivo al sarcastico, mostrano gli studi sulle correnti fi losofiche dal '50 a noi : quello del positivismo, che tanto valse a spazzare la « filosofica scientifica » -dal campo del pensiero italiano, è superbo. Ma questi pregi non ci devono nascondere i di fetti gravissimi della esecuzione del piano, difetti che diminuiscono o tolgono ogni valorea parecchie rico struzioni storiche dell'idealismo, e ci fanno, qualche volta, assumere un atteggiamento di diffidenza di fronte alle altre. Noi sappiamo ora, per troppe pro

»

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ve, che i nostri idealisti non potranno mai darci del la storia del pensiero che trattazioni troppo unilate rali, e, quindi, tendenziose perchè possano avere la nostra fiducia, Peccato, perchè molti di loro, e primo fra tutti il loro capo, possiedono delle eccezionali at titudini di storici. I criteri storiografici, dicevamo, del Gentile, sono quelli dello Spaventa. Il Gentile li ha riassunti in una bella pagina che citiamo per intero. Dopo di aver detto che l'hegelismo come « metafisica della mente » era diventato per lo Spaventa il risultato più maturo di tutta la storia della filosofia, scrive : «Donde e quel suo dello Spaventa apprezzamento alta mente filosofico di tutti i momenti più importanti del la storia della filosofia, e quell'unità perfettamente fu sa ditrattazione storica e filosofica, che è propria di tutti i suoi scritti filosofici : nei quali la storia è sem pre dimostrazione e la dimostrazione è sempre stori ca : non nel senso, beninteso, che l'autore sforzi i va ri sistemi filosofici per volgerli al servizio de' propri intenti dottrinali, manomettendo la verità storica, con fondendo tempi e situazioni diverse; bensì in un sen so molto più alto, che sarà difficile intendere per cer. ti storici correnti, ma non è però meno vero e vitale. Già questa storia filosofica in cui lo Spaventa fumac stro sommo, non ha punto quella fretta che s'imma gina, non avendo bisogno che sia raggiunta fin da principio quella mèta a cui essa vede indirizzato lo svolgimento del pensiero, anzi attinge il proprio va loré e a propria giustificazione storica di tutta la via

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percorsa dal pensiero nel suo svolgimento. Essa ha un solo interesse, quello d'intendere tutto il processo, come il processo genetico del risultato. E se soltanto nel risultato, com'è ovvio, può realmente determinar si il concetto della filosofia, ossia dell'oggetto stesso della storia, che altrimenti non si saprebbe neppure di che dovrebbe essere storia, è chiaro che la vera oggettività storica e il sincero o almeno intelligente ri spelto della verità storica non si può ottenere se non da questa storiafilosofica che in ogni momento e fram mento fa che si riverberi la luce del tutto, quale si proietta dal significato del termine finale. E la storia dello Spaventa è oggettivissima, se per lui, la storia della filosofia doveva 'metter capo a quella che era per lui la filosofia; e soggetiva è perciò naturalmen è soltanto per coloro a giudizio dei quali la filosofia vera non è quella » . (444). * In poche e povere parole, il criterio storiografico qui enunciato è questo: « l'hegelismo è la filosofia vera; con alla mano questa filosofia vera si fa l'esa me e lo studio di tutte le filosofie, gettando sopra di esse la luce della filosofia hegeliana, cioè creando in esse quell'hegelismo che, essendo l'ultimo stadio della evoluzione del pensiero, perchè la filosofia vera, deve trovarsi in tutte, deve essere vista in tutte. Bi sogna, cioè, hegelianizzare la storia del pensiero, la quale quando sarà così hegelianizzata, dimostrerà la (444) La Critica, Bertrando Spaventa, A. XII, fasc. I, p. 40. La sottolinatura è mia.

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verità storica dell hegelismo,' ne sarà la piena giusti ficazione » . Cioè: mettiamo da per tutto l'hegelismo e non troveremo altro che hegelismo. Ma, e se, per me, l'hegelismo non fosse la filosofia vera? Allora parrebbe che anche la interpretazione hegeliana della storia dovesse apparirmi non vera, cioè cadere, dal momento che la sua oggettività dipende dal presup posto che sia vera quella filosofia in funzione della quale si fa la storia. Ma non è così. Il Gentile para il colpo: « Nè d'altra parte, è il caso che il primo ve nuto se ne son visti in Italia più di uno si metta innanzi allo Spaventa per dirgli che appunto e gli non ne accetta la storia perchè non ne accetta la filosofia. Perchè qui la filosofia non si può giudicare in separata sede dalla storia, essendo tutt'una con questa; e la forza della prima consiste appunto nella solidità della seconda » . (445) Così che siamo co stretti ad accettare in hlocco storia e filosofia : quella perchè è, in ogni sua fase, un momento della filoso fia vera, l'hegelismo; questa perchè è provata dalla storia. Ma noi in tutta questa bella prova non vedia mo che,un colossale circolo vizioso : si prova l'og gettività della storia con la verità della filosofia, e la verità della filosofia con la oggettività della storia. Vorrebbe essere, forse, per il Gentile, questo, uno dei famosi circoli solidi, che non si possono rom pere, ma è tanto poco solido che lo rompiamo d'un colpo. negando la verità dell'hegelismo e, quindi, conseguentemente, l'interpretazione hegeliana della (445) Ivi. 439

storia del pensiero. Noi non abbiamo bisogno di co lorare del nostro sistema la storia della filosofia, per trovare in essa la giustificazione delle fondamentali i dee che svolgiamo e propugniamo; prima fra esse quella trascendenza e quel complesso di dualismi pla tonici che gli hegeliani d'Italia devono negare anche là dove sono evidentemente nel cuore delle filosofie, affinchè la storia di queste non sia una smentita del sistema idealistico dell'immanenza, che dovrebbe es sere il sistema della vita. Noi sappiamo ora in quale atteggiamento i nostri hegeliani si fanno innanzi a ogni sistema. Essi inti mano a tutti: « tu devi rappresentarmi un momento del cammino del pensiero verso l'idealismo, verso l'idealismo attuale », e perchè nessuna corrente si ri fiuti di compiere quella missione, la riducono, la ri maneggiano, con opportuni oscuramenti di certe par ti e con altri opportuni rilievi di certe altre, in modo che da sistema non idealistico quale ti appariva pri ma di quei tali rifacimenti, ora ti si presenta come un hegelismo in embrione o in qualcuna delle sue fasi di sviluppo. Scrive lo Spaventa: « Nei filosofi, nei veri filosofi, vi è sempre qualcosa sotto, che è più di loro medesimi, e di cui essi non hanno co scienza; e questo è il germe di una nuova vita. Ri petere macchinalmente i filosofi è soffocare questo germe, impedire che si sviluppi e diventi un nuovo e più perfetto sistema » . (446) Il Gentile fa sua, si ca (446) La filosofia italiana nelle sue relazioni con la filo sofia europea, Bari - Laterza, 1909, p. 238.

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pisce, questa dottrina del germe. « Sotto la veste vo luta delle dottrine, queste hanno in se medesime, nella stessa essenza logica loro, una sostanza scien tifica superiore agli interessi accessorii ed estranei de gli individui nel cui spirito sorsero e si affermaro no » . (447) E sono sempre interessi estranei ed ac cessorii che portano i filosofi veri ad affermare qual che cosa non conciliabile dell'idealismo. Perciò « bi sogna scomporre e ricostruire un sistema, per giun gere a quel contenuto, che in ogni sistema si può distinguere dalla forma imposta dal tempo, e che è il vero e proprio oggetto dell'interpretazione, epperò della critica filosofica » . (448)

In un lavoro su Giacomo Leopardi come ( ( mae stro di vita » , il Bertacchi aveva formulata così la norma fondamentale del suo metodo,critico : « E' co munissima sentenza che l'opera d'uno scrittore, non valga solo per sè, ma anche per il modo diverso on d'essa, quasi, si adatta a ciascuno di noi » , poichè spesso, dalla parola d'un autore, accostata alle anime nostre, si svolgono sensi ulteriori, che l'autore non previde, ma che le affinità degli spiriti o le somiglian ze dei casi vi sapno naturalmente ritrovare. « Il creato . re è creato a sua vola, è rinnovato via via di signi ficazioni e di uffici » . Il Gentile osserva : « Sicchè il ain Leopardi maestro di vita è il Leopardi dei sensi ul teriori e non il Leopardi storico : il Leopardi creato

(447) Dal Genoveso al Galuppi, Prefazione, p. X. (448) Rosmini e Gioberti, p. 42.

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più che il creatore : creato, s'intende, in questo caso, dal Bertacchi » . E nota giustamente: « Il quale (Ber tacchi), una volta sul punto di creare, non è più le gato da nessuno di vincoli onde ogni critico e sto rico è legato alle opere che intende interpretare » . (449) Ora io non dirò che il Gentile, interprete di qualche nostro grande, si senta e si mostri slegato da tutti i vincoli « onde ogni critico e storico è legato alle opere che intende interpretare» , m'inganno, fra le sue norme e quella del Bertacchi c'è differenza poco maggiore di quella che passa, per diela volgarmente, fra zuppa e pan bagnato, Mettiamo le cose a posto. La filosofia segue un processo di sviluppo continuo attraverso il tempo : una sistemazione prepara una sistemazione ulteriore, ininterrottamente.

ma , se non

un (449) Frammenti di estetica e lett., p. 341.

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E' la filosofia perenne. Questa continuità non sa rebbe possibile se i diversi sistemi fossero dei tutti chiusi e non forme di una sistemazione unica; se, in alre parole, ognuno di essi non contenesse germe che domanda di essere sviluppato da un pen siero più maturo. E' evidente. E spetta al filosofo di trovare e di svolgere il germe nascosto. Ma è pure evidente che egli, il filosofo, deve trovarlo quel ger me, non mettercelo, e non svisare i sistemi per farne le fasi di uno sviluppo preconcetto, in funzione, cioè, del proprio sistema. Alterazione non è interpretazione, non è sviluppo. Certo il fatto storico bisogna rivi 442

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verlo, cioè scomporlo e ricomporlo, ma la ricompo sizione non deve cambiare il tipo del sistema che ci affatica il risultato del lavoro nostro non deve fare a pugni collo spirito che pervade la filosofia che ricom poniamo; diversamente il nostro non è un processo ricreativo ma creativo, che ci dà, non il fatto storico, ma il nostro soggetto. Sfrondiamo pure i sistemi di tutto quello che non è intima esigenza organica, sistemazione logica, ma sovrapposizioni dovute a fat tori diversi dalla appassionata riflessione filosofica, ma guardiamoci bene, -- sotto pena di venir meno ai più elementari doveri verso la verità dal riguar dare come elemento estraneo e accessorio tutto quello che non concordi col tipo di sistema che vogliamo trovarvi. E guai se non si segue cum grano salis quest'altro criterio storico che compie l'antecedente : « Lo storico della filosofia deve avere uno sguardo superiore onde si studi lo sviluppo del pensiero d'o gni singolo pensatore. Il carattere di una vera e pro pria storia è che i sistemi siano fra di loro connessi per quelle intime ragioni, che vanno ricercate sempre al di là delle esplicite dichiarazioni dei filosofi » . (450) Io credo che prima di porsi al disopra dei sistemi bisogna porsi nei sistemi, diventar loro più che è possibile, immedesimandovisi, rinunziando allo sguar do superiore. Così pure non deve essere spinta trop po in là la regola di cercare i motivi logici interni dei sistemi al di là delle ragioni che portano i filosofi.

(450) Dal Genovesi al Galuppi, C. IV ; pp. 209-10.

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autori dei sistemi : il lavoro di ricerca di queste ragio ni ulteriori deve limitarsi ad essere solo lavoro di integrazione, non tale che si sostituisca a quello di intendere e ordinare il complesso delle ragioni che ci rivelano i costruttori stessi dei sistemi . Diversamen te si corre grave e sicuro pericolo di perpetrare co lossali travisamenti. E gli svisamenti perpetrati, per la speciosa ragione che bisogna sfrondare l'opera dei pensatori di tutto quello che è dovuto a motivi estrin seci, afilosofici, e di andar oltre le loro dichiarazioni, abbondano davvero nell'idealismo. Rechiamo qualche esempio. Il mondo platonico della speculazione agostinia na pare che sia un mondo ben connesso e orga nizzato, ma non è, mi dice il De Ruggiero. « Esso è travagliato da intimi dissidi e attraversato da op poste correnti che lo decompongono é lo ricom pongono con una fluttuazione senza tregua » . Come fare ad avere un S. Agostino in armonia con se stesso, un Agostino-spirito e non natura, l'Agostino storico, insomma? Come si arriva alla sua personalità vera? Ecco : « La liberazione della personalità vera di Ago stino... implica uno sfrondamento radicale di tutto il ciarpame dommatico e biblico che soffoca la rivela zione della coscienza e ostacola il processo d'interio rizzazione dello spirito, che sono gli aspetti più ori ginali della filosofia d'Agostino. Quest'opera non può appartenere che a noi moderni»). (451) Si domanda; (451) Storia del cristianesimo, Vol. II., p. 225. .

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il S. Agostino che avrete fra le mani, dopo che sarà compiuto quel tale sfrondamento, che cosa avrà an cora del s. Agostino storico, vero, che è armonia di teologia e filosofia, di fede e ragione, di amore e di pensiero, protesi verso il trascendente della ragione e della rivelazione, verso il Dio di Platone, dei Van geli, di S. Paolo? E quando il De Ruggiero ci viene a dire, che per Agostino « la realtà è realizzazione, che si compie nell'intimità dello spirito e la riflessio ne mentale acquista il valore di una creazione che dal nulla delle cose, ma dell'essere attivo del pensiero, trae all'esistenza gli oggetti » ; quando ci si dice che Agostino è decisamente antiplatonico, perchè egli « fa del pensiero (umano) un'energia interiore alla cui ri cerca non preesiste un oggetto già formato e il cui cercare è perciò un continuo trovare, perchè è un continuo creare » allora noi ci domandiamo se consiste, fra l'altro, in questi deturpamenti incredibili l'oggettività storica dell'idealismo. Non sappiamo se il Gentile accetti la interpretazione del pensiero di San Agostino fatta dal De Ruggiero; ci pare che debba accettarla, perchè è condotta intelligentemente secon do i criteri dello Spaventa e suoi. Tanto più che il De Ruggiero non ha fatto che applicare ad Agostino quel processo di riduzione della trascendenza all'im manenza, quella trasformazione di platonismo in idea lismo, di cui il Gentile ci ha dato un saggio eloquente nella sua concezione del Cristianesimo. Il metodo è uno, come è perciò identico il risultato. Il metodo consiste nellaeliminazione di tutto ciò che non corri.

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sponde ai proprii presupposti, e in una interpreta zione idealistica delle dottrine fondamentati: il risulta to è, si capisce, l'idealismo. Un altro esempio tipico di interpretazione idealistica ci è offerto dalla scoper ta » del Vico.

> per es.

Il metodo è sempre quello: si ascrive a interessi estrinseci, a preoccupazioni non filosofiche al desiderio di non recar nocumento alla propria fede cattolica, menomandola tutto ciò che nel Vico, è affermazione innegabile di trascendenza, si svolge a senso immanentistico tutto ciò che apparentemente si presta a una tale significazione e anche, qualche volta, quello che vi ripugna, e poi ci si dice: ecco Kant, ecco Hegel, nel Vico! È il metodo del Gentile. Il quale, dopo aver dichiarato violenta, cioè impo sta da considerazioni estrinseche, la mescolanza dua listica che fa il Vico, sulle orme di Platone, della considerazione speculativa (sub specie aeterni) della storia con la considerazione empirica (sub specie tem poris), ponendo fuori dell'eterno il temporaneo e ne gando, con ciò, la filosofia dello spirito, come meta fisica della realtà intesa idealisticamente come spirito; dopo di aver detto che l'esistenza di una natura, o pera di Dio, accanto alla storia, opera dell'uomo, e la distinzione della storia dalla scienza della storia, come rifacimento della storia da parte dello storio grafo con un dualismo del tutto analogo a quello con cui il Vico si rappresentava nell'esperimento l'o pera del fisico a rispetto dell'opera indipendente della natura : dopo, dunque, di aver detto che tutto

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questo non è che un residuo della concezione dua listica antica, residuo che permane anche nell'ideali smo assoluto hegeliano; dopo di aver affermato, sulla base di una interpretazione che è un modello di libertà esegetica, che il Vico riduce la grazia alla Provvidenza, o la mette da parte, e la Provvidenza concepisce come razionalità immanente nelle cose, che spiega da sola ogni realtà; il Gentile fa di G. B. Vico uno dei più grandi antesignani dell'idealismo, un vero precursore di Hegel. (452) Un precursore incosciente beninteso. Nuovo Mosè egli prennunzia addita la ter ra promessa, ma non vi entra; come Kant egli si ar resta all'esigenza razionale di una nuova metafisica. Sfronda e sfronda, riduci e riduci, fa dire a Vico quello che ha mai detto, non ha mai voluto dire e fa a pugni colle sue dottrine, quali uscirono dalla sua mente e quali esistono nelle sue opere, con tutti i dualismi che ammettiamo noi, ed eccoti il Vico della Scienza nuova dell'idealismo, cioè della metafisica della realtà concepita come spirito. La sua filosofia è spiritualisticamente immanentistica: il trascendente è qualche cosa che « riappare » come estraneo alla spe culazione di lui, e tutti i dualismi sono, non un ele mento vitale, organico del suo pensiero, ma un « cep po » , un « incubo » una « incoerenza » . (453) E Vico

(452) Vedere: Studi Vichiani. La seconda la terza fase della filosofia vichiana, pp. 41, segg. passim , (453) Gentile. Il carattere storico della filosofia italiana, Bari, Laterza, 1918, pp. 33-7.

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non potè essere mirato nella sua schietta fisionomia, e quasi svelato a sè medesimo, che dal libero pen siero del secolo XIX, dal pensiero di Hegel, dello Spaventa, del Gentile, del Croce. (454) Ecco la « sco perta di Vico », fatta per virtù di un « sistema logico, netto, derivato, tutto da un principio tratto con rigore alle conseguenze con cuore che non trem ». (455) Altro esempio : Antonio Rosmini. Ecco, secondo il Gentile, la genesi del suo pensiero: « Fin da quando il Rosmini si affaccia sulla soglia della filoso fia moderna, con la sua dottrina della conoscenza, che fa riconoscere identico al giudicare, cioè alla sintesi concepita come sintesi a priori rampollante dell'unità del soggetto, e già vede ottimamente, che l'elemento a priori è formatore, cioè creatore del mondo conosciuto (l'essere) e forma dell'intelletto, si spaura delle conseguenze perniciose di questa dot trina, intravvedute al lume dell'insegnamento cattoli co, che pone un divario di natura tra la mente dell'uo mo e la divina, che è quella creatrice, e s'appiglia alla teoria dell'intuito, e della forma dell'intelletto fa una mera ombra, o un semplice riflesso dell'essere reale, avvolgendosi in difficoltà inestricabili, che mortificano la vitalità della sua sintesi a priori» . (456).

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La interpretazione gentiliana del pensiero Rosmi niano sollevò a suo tempo un vero clamore di pro

(454) Op. cit., p . 37. (455) Ivi. (456) La critica, A. X, fasc. I, p. 36-7.

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Liber al cent 2013 ch

d to. . j (457) Se ne fece portavoce il CAVIGLIONE mediante Il Ro sminivero, del quale parleremo fra poco. (458) GENTILE, La critica. A. XI. fasc. V. p. 166. 29 · La filosofia di G. Gentile.

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teste da parte dei vigili custodi del pensiero del Ro veretano. (457) Per intenderla, quella interpreazione, in tutto il suo valore e nel posto che le spetta nella filosofia nostra, dobbiamo parlare di una fra le dot trine più care così al Gentile come allo Spaventa; la nazionalità della filosofia e quindi l'esistenza di una filosofia italiana. « La storicità della filosofia nella forma datale da Hegel e la nazionalità della filosofia furono costantemene due problemi capitali del pen siero dello Spaventa » . (458) Due problemi che sono, a riguardarli bene un unico problema, perchè la na zione non è un fatto naturale, ma processo di forma zione autocosciente d'un popolo che si costistuisce li beramente; come, sotto un altro rispetto, formano una cosa sola universalità e nazionalità, anzi perso nalità della filosofia. Dice benissimo il Gentile: « Ogni più modesto uomo che pensa non può a meno di pensare col convincimento di essere nel vero : cioè di pronunciare un giudizio che abbia valore assoluto, trascendente i limiti della sua personalità, sia pure particolare e privata, ma anche nazionale. Ma ciò non toglie, nè che in ogni filosofia sia ravvisabile un carattere nazionale, nè che ogni filosofia la quale sia cosa viva, abbia ad averne uno » . E continua « Non soltanto nazionale, ma la fiosofia è, dev'esse re, personale : vita dell'anima, che è sempre anima 449 -

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individuale piantata con radici profonde nel suolo della storia determinata, come storia di un uomo, e in quell'uomo di un popolo, e in quel popolo d'una civiltà, e infine di questa umanità che trasforma il nostro pianeta in regno sempre più trasparente dello spirito; e insomma nel mondo nel complesso com patto delle sue attinenze svariate e della sua vita uni. ca »). (459) E, poichè chi dice personalità concreta dice nazionalità diremo che la filosofia nella sua sto ricità concreta deve essere universale, e nazionale in sieme. Perciò come insegnava lo Spaventa, bisogna combattere e « la pretesa di coloro che, per tema di smarrire la indivualità propria del genio nazionale, vorrebbero sequestrata la mente italiana dal movimen to del pensiero germanico», e la pretesa di coloro che corrono all'eccesso opposto « e pensano che noi non siamo nulla, non abbiamo una nostra idea, un nostro genio, una nostra storia » . (460) Ma che cos'è la nazione se non una particolare concretizzazione dello spirito universale? Quindi la nazione non può chiudersi in se stessa, perchè dire spirito è lo stesso che dire universale. Se la concretezza dell'universale implica le differenze, queste non cancellano mai quel lo. « Signori, la filosofia italiana è da per tutto; è in sè tutta la filosofia moderna » proclamava lo Spaven ta. « Ella non è un particolare indirizzo del pensiero,

(459) Il carattere storico della filosofia italiana, pp. 9-10. (460) GENTILE, La critica, Bertrando Spaventa, A. XI. fasc. V, p. 172.

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ma, direi quasi, il pensiero nella sua pienezza, la to. talità di tutti gli indirizzi »). (461) Secondo lui, il no stro genio nazionale, è appunto l'universalità in cui si raccolgono tutti gli opposti, l unità armonica in cui si riassumono tutti i lati dell'ingegno europeo. La filosofia europea si rifà dalla filosofia italiana. Telesio influisce su Bacone, Bruno sullo Spinozza, Campa nella su Leibniz, e forse Bruno e Campanella su Car tesio . E « la filosofia del Vico se può da una parte considerarsi come una delle forme più eminenti dello schietto spirito italiano e una delle maggiori forze au toctone sviluppatesi dalla storia particolare d'Italia, apparisce, dall'altra quasi uno specchio dei principii fondamentali della moderna filosofia europea. Essa unisce e concilia in un solo atto di vita la più larga universalità ideale con la più concreta determinatezza storica » (462)

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Dopo il Vico, l'Italia, fino al principio dell'otto cento fu aperta e soggetta al riflusso della cultura europea. «La cultura, nata nell'Italia della Rinascita, vi ritornava come filosofia dell'esperienza e antimeta fisica, come illuminismo, come materialismo » . E si afferma come criticismo e idealismo, dipendentemen te, questa volta, da filosofie non italiane. Il Galuppi, avrebbe potuto prendere il problema nuovo della fi losofia, quello del conoscere, da Vico e invece lo prese da Kant. Ma poi la filosofia italiana si svilup

(461) La filosofia italiana, ecc., p. 30. (462) Studi Vichiani, p. 91.

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pa ancora come filosofia nazionale: il nostro pensiero rinsanguato secondo gli idealisti dalle idee più vitali della filosofia tedesca, si solleva ad altezze non più toccate da noi dopo i grandi pensatori del Rina scimento, a quelle stesse altezze che raggiunse con Kant e dopo Kant la filosofia tedesca con Fichte e con Hegel.

Ora, qual'è il posto che il Gentile, dopo lo Spa venta, ma con ben altro apparato di ragioni, assegna al Rosmini nell'ultimo periodo della nostra filosofia? Un posto molto universale, come lo ebbero tutti i grandi filosofi italiani : quello di Kant. Rosmini è il « Kant italiano », anzi Kant rivissuto da Fichte « il « Kant inteso, generalmente bene » , aveva detto lo Spa venta. Anche questa volta a forza di riduzioni. Non assistiamo già allo sviluppo di un germe, ma a una vera e propria sostituzione di un tipo di sistema a un tipo fondamentalmente opposto. L'essere ideale, indipendente dalla mente, oggetto d'intuito, si trasfor ma nella categoria Kantiana, attività universale del soggetto; la percezione intellettiva, che consiste nel l'applicazione dell'essere ideale ai dati della perce zione sensitiva, diventa la sintesi a priori; scompare la cosa in sè, viene inaugurato come rosminianismo, a dispetto del Rosmini, il più puro soggettivismo, il più puro e assoluto formalismo di Kant, e quando il rapporto necessario fra pensiero ed essere viene interpretato come identità dei due, abbiamo già oltre passato Kant e siamo in Fichte, per non dire in He gel. Ecco due dei quattro punti nei quali il Gentile

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DECIMO

crede di poter riassumere il significato del rosminia nismo nella storia della filosofia :

1. Il Rosmini concilia, come aveva fatto già Kant, le opposte sentenze empiriche ed idealistiche, accettando dal filosofo tedesco il principio che pen sare è giudicare, e che ogni giudizio è una sintesi · a priori di materia offerta dall'esperienza sensibile e di forma innata nell'intelletto, grazie all'unità origua. ria dello spirito che si sviluppa per la funzione sin tetica della ragione.

2. L'intuito cui ha fatto ricorso il Rosmini, per salvare la conoscenza da un soggettivismo scet tico, onde gli parea viziato il Kantismo, quell'intuito pel quale si crede che il Rosmini rinnovi la vecchia opposizione d'oggetto e soggetto, non è se non una parola vana, avendo, il Rosmini negata per l'appunto cotesta opposizione coll'ammettere essenziale ed im manente nello spirito l'elemento categorico Kantiano. (463)

L'oggettività rosminiana è una cosa stessa con la soggettività Kantiana.

E se noi domandiamo perchè il Rosmini non si sia mai accorto di questo suo kantismo fichtiano, il Gentile ci risponde che il Rosmini non capì se stesso. Gli autori, specialmente i grandi filosofi, non sono mai coscienti di tutte le conseguenze dei principii posti. Il Caviglione, come si è accennato, criticò una per una diffusamente le affermazioni del Gentile. Noi

(463) Rosmini e Gioberti, Pisa, Nistri, 1899, p. 244. ) ,

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dell'og

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non possiamo permetterci di riferire, neanche sunteg giando, nè le ragioni addotte dal Gentile nè la di fesa del Rosmini vero fatta dal Caviglione, e meno che meno la polemica che ne seguì : siamo convinti che in complesso ha torto il primo e ragione il se condo, anche perchè il Caviglione tiene in conto e accetta talune delle critiche del Gentile quella per es. innegabilmente vera, che il Rosmini vide in Kant un Protagora, considerando le categorie kantiane come attività, anzi come dei predicati, inerenti alla mente individualmente presa, onde trarre le conseguenze scettiche e soggettivistiche che tutti conosciamo. Ma questo errore di interpretazione non infirma punto le altre molte critiche fatte dal Rosmini al Kantismo, e non toglie che i due sistemi , nonostante le innega bili affinità che li caratterizza, siano opposti, com'è opposto il soggettivismo, specialmente quello del Kant degli idealisti, all'oggettivismo, com'è opposta la fi losofia della assoluta immanenza a quella che accetta e dimostra tutti i fondamentali principi del Platoni smo, tutte e due le specie di trascendenza getto al soggetto, di Dio all'uomo, che sono proprie dei sistemi dualistici. Togliete al Rosminiani smo questi caratteri e l'avrete distrutto perchè essi non sono punto elementi estrinseci, accessori, del si stema, ma proprio la spina dorsale di tutto l'organi smo. Il Gentile è certamene nel suo pieno diritto di sostituire la propria filosofia, una fase storica della propria filosofia, a quella che è considerata, ed è, la vera filosofia storica del Roveretano, ma anche noi 454 -

abbiamo il diritto di dire : « Questo non è il Rosmini vero, ma un Rosmini ridotto, svisato, mutilato, tra sformato, o passato nel suo opposto ». Nel Rosmini del Gentile il Rosmini storico non potrebbe riconoscersi; la sua autocoscienza, non coinciderebbe con quella che compenetra il sistema rosminiano del Gentile, il quale non è, dunque, il sistema del Roveretano, se è vero che ogni sistema è anche personale, cioè scatu rente sempre da una personalità storica determinata. Se nel Rosmini del Gentile il Rosmini storico non può riconoscersi perchè vi manca l'impronta della sua personalità, è segno che non è uscito dalla sua coscienza, non esce perpetuan ene dalla sua coscienza storica, è segno che esso non è creazione, pensiero vivo e schietto del Rosmini : non è Rosmini. Sarà tutto quello che volete, ma non rosminianismo. Dello Spaventa il Gentile ha scritto : « La vera importanza della critica dello Spaventa sul Galuppi, sul Rosmini e sul Gioberti è di rappresentare il progresso del pen siero italiano dopo Gioberti. La interpretazione spaven tiana non è la interpretazione del Galuppi fatta da un galuppiano, nè quella del Gioberti fatto da un giobertiano. , Quelle interpretazioni (spaventiane)) suppongono un punto di vista superiore a quello dei filosofi interpretati, e la loro verità non è una que stione di storia, ma di filosofia. Nella storia del pen siero italiano hanno il merito grandissimo di realizza re un effettuale progresso » . (464) Noi invece crediamo (464) La Critica, Bertrando Spaventa, A. XI. fasc. VI, p . 457.

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che sia un regresso, neghiamo la legittimità dimu tilare e svisare i sistemi, in nome di una pretesa filo sofia superiore; neghiamo che nella interpretazione spaventiana gentiliana del Rosmini e anche del Gioberti, e anche in parte del Galuppi si tratti di mero sviluppo, di mera conseguenza, di un'autocritica interna. È nuova e diversa autocoscienza individuale, creazione di una nuova persona; è di oggi non di ieri. Non ci troviamopiù, in quelle interpretazioni, da vanti al Rosmini al Gioberti, al Galuppi, ma davanti allo Spaventa e al Gentile. Del quale ammiriamo sin ceramente e profondamene la eccezionalissima capa cità di ricreare, di penetrare e improntare della sua lucida e forte coscienza tutte le correnti di pensiero che prende adesaminare, trasformandole in momenti in una corrente unica, della corrente che va a sboc care nel suo idealismo attuale, Nella quale corrente, come al Rosmini è as. segnato il posto di Kant rivissuto in Fichte, al Gioberti, interpretato dallo Spaventa, spetta quel lo di Hegel. Gioberti invera il Rosmini. « Il soggettivismo (idealismo) rosminiano è vinto dal l'oggettivismo (ontologismo) giobertiamo precisa mente come l'idealismo soggettivistico di Fichte tra passa nell'oggettivismo onnicomprensivo di Hegel non in quanto questo (l'ontologismo) gli si oppone, ma in quanto lo si invera e gli conferisce il suo pro prio valore. Aveva ragione il Rosmini a sostenere la idealità dell'essere oggetto dell'intuito; ma perchè questo potesse sfuggire alle critiche del Gioberti, do

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veva acquistare il valore del primo ontologico gio bertiano (di Dio). E in questo valore si assolve e conchiude la nostra filosofia » . Ecco : noi non siamo rosminiani e meno che meno giobertiani, e di Rosmi ni e di Gioberti sentiamo di dover parlare solo per mantenere nella loro luce vera due sistemi originali di pensiero, sui quali l'idealismo getta ingannevoli bagliori di luce falsa, che li fa passare per sistemi opposti alla loro realtà vera. Ed è più che certo che contro la sua identificazione con regel protesterebbe, e come sapeva protestare lui, anche il Gioberti, che ha sempre combattuto Hegel e ha sempre considerato come suoi maestri S. Agostino e il Malebranche, cioè le più spiccate incarnazioni del platonismo. Ma dopo tutto, lui non ha fatto che prestare il suo nome à battezzare un nuovo sistema: Hegel veduto dallo Spa venta; il suo sistema vero, il giobertismo storico, non è toccato. Ed è naturalmente al Gioberti dello Spa venta che i nostri idealisti invitano gli italiani a rifarsi come. all'ultima tappa della nostra filosofia classica. Il Rosmini è legato al passato: « la sua filosofia vuol essere, e non è, questa vivente coscienza del divino che abita nello spirito umano... egli avvolge lo spiri to entro fasce più e più volte piegate di distinzioni tra il soggetto umano puramente umano e Dio. Ma Gioberti, il grande Gioberti spezzò le fasce » . Ve ramente il Gioberti storico, anche in una delle ope re che più volentieri citano gli idealisti, sostiene que sti pensieri: « Il necessario e non il contingente deve essere il principio e a base della filosofia, come lo

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FILOSOFIA DI GIOVANNI GENTILE

è delle esistenze. Dio è non l'uomo nè il mondo » . (465) « L'essenzadel panteisrno consiste nel confon der l'esistenza coll'essere e nel dire non ciò che è, è Dio, ma ciò che esiste, è Dio » . L'intelligenza divi na è la facoltà, con cui Dio comprende la verità, che, per noi, sono sovrintelliggibili. Ora queste verità so no l'essere. L'essere è Dio. Dunque l'intelligenza di vina è la facoltà, con cui Iddio comprende se mede simo. L'inteligenza divina è dunque a rispetto nostro la sovrintelligenza. Noi non abbiamo la sovrintelli genza; intendiamo però di non averla e l'abbiamo in modo negativo, in quanto ce ne formiamo un con cetto generalissimo, e ne suhodoriamo l'esistenza. In tal senso l'intelletto umano è fatto a immagine di Dio » . E ancora : «L'intelligenza nostra è la facoltà, che comprende le esistenze. La sovrintelligenza a la facoltà, che comprende le essenze ». (466) Le fasce non sono ancora spezzate, come si vede. So bene, che non è con due testi che si può fondare una teoria, ma a noi non sono in verità i testi come tali che im portano, ma i testi in quanto riassumano la dottrina e lo spirito di essa. Il Gioberti ha sempre distinto due specie di scienze filosofiche quelle che studiano l'en te e quelle che studiano le esistenze. «L'ente si con

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(465) La teoria della mente umana; Rosmini e i rosmi niani; La libertà cattolica. Frammenti inediti pubblicati da Edmondo Solmi Fratelli Bocca, 1910. - Teorica della mente umana (sommariodella seconda parte) IV, p. 41. (466) Op. cit., XXVIII - XXIX, p. 56.

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sidera astrattamente dall'ontologia e concretamene dal la teologia razionale. Le esistenze sono le sostanze e forze spirituali, o le sostanze e forze corporee, o l'anima, e le attinenze delle une colle altre. Nel pri mo caso abbiamo la pneumatologia, e nei due ultimi la cosmologia » . (467) Anche nel Gioberti, dunque, tutti i dualismi del platonismo e dell'aristotelismo. Il Giobertismo non è, nei suoi svolgimeni, la scolasti ca nostra, lo sappiamo : noi non ammettiamo nè l'on tologismo in generale, nè la forma speciale che esso ha assunto nel Torinese; ma il giobertismo è anche più lontano dall'hegelismo che dalla filosofia tradizio nale. Il Gioberti combatte anche nel libro che qui ci tiamo a pretesa di Feuerbach e di Hegel di costrui re Dio sul tipo dell'uomo e scrive: « L'uomo e ilmon do sono senza dubbio una guida necessaria per co noscere gli attributi di Dio, ma ce li fanno conoscere re, non come l'originale ci rivela la copia, ma come l'effetto ci rivela la causa, e quindi la copia ci rivela l'originale ». E conchiude : « Il sistema di Hegel e di Feuerbach è il colmo delpsicologismo ». (468) E noi sappiamo che con questa parola il Gioberti voleva e sprimere la falsità di una dottrina. Di Hegel ha scrit to ancora: « Il grande errore di Hegel è di aver ap plicato all'ente l'idea di esplicazione, propria dell'esi stente, invece dell'idea di creazione» . (469) E creazio

(467) Op. cit., Introduzione, p. 12. (468) Op. cit., - Della libertà cattolica, - libro I, XXI, pp . 172-3 . (469) Op. cit., La teorica della mente umana, (Somma rio dellaparte II), XVIII, p. 49.

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ne qui e dappertutto nel Gioberti, non è che la pro duzione in tempo e dal nulla degli scolastici, cioè il concetto tradizionale, nostro, di creazione, che impli ca la più grande distinzione e indipendenza possibile di Dio dalle cose. Non è di questo parere il Gentile. « La creazione delGioberti, in quanto continua e cir colare, è l'infinita potenza dello spirito e non più quel la creazione in tempo attorno a cui invano si affatica la speculazione tomistica » . Ma non è vero. Gli idea listi non hanno mai fondato su prove plausibili que sta che resta perciò una pura asserzione. Nè Schelling nè Hegel dunque. Certe espressioni delle opere po stume potrebbero farci vedere veramente, nel Giober ti, l'immanentismo, ma il nucleo del sistema suo è quello accennato da noi. Possiamo dire della identi ficazione fatta dallo Spaventa e dal Gentile del Gio berti coi due idealisti tedeschi, quello che l'Acri dice va dellaidentificazione, che lo Spaventa aveva tenta to prima del Torinese collo Spinoza. « Conchiudo che, come l'idea di Pietro che è in Pao lo esprime, così dice lo Spinoza, non la natura di Pie tro, ma quella di Paolo, così l'idea del Gioberti, che è nello Spaventa non esprime la natura del Gioberti, ma sì bene quella dello Spaventa » . (470) Poichè, cer to, il Gioberi, dello Spaventa e del Gentile, è a voita a volta lo Spinoza, Schelling e Hegel. E il Gentile ammonisce: « È tempo che si riprenda la grande tra

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. (470) Dialettica turbata - Bologna - Mareggiani, 1911, pp. 67-8. Ho fatto del plurale singolare; « idea » invece di « idee » .

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dizione giobertiana » . E se il Gioberti rapprésenta il punto d'arrivo di tutta la filosofia italiana anteriore all'idealimo attuale e il punto di partenza di questo, si capisce che tutte le altre correnti filosofiche dal 1850 a noi, non hanno speculativamente valore alcu no. « Tra gli scettici, i platonici, i positivisti e i neo kantiani e i neo-tomisti non s'è trovato un filosofo che rappresentasse un principio veramente nuovo do po la filosofia italiana della prima metà del sec. XIX: un principio superiore, il cui valore non dipendesse unicamente dal momento e dalle circostanze storiche. Tutti han detto certamente una parola opportuna vel momento in cui han parlato, interpretando ciascuno a suo modo un bisogno reale della coltura contempo ranea. Ma nessuno s'è sollevato alla piena intelligen za dei termini reali a cui s'era ridotta la speculazione in Italia con Galuppi, col Rosmini e, col Gioberti. E nessuno è stato quindi in grado di eseguire un vero progresso speculativo». (471) E in alcune belle pagi ne retrospettive in cui riassume le conclusioni gene rali dei suoi studi sulla filosofia nostra dopo il 1350, giustifica con tocchi magistrali queste sue afferma zioni.

Gli scettici combattono e i platonici propugnano quell'ontologia che era stata canzonata dal Galuppi, dichiarata, di fatto, insussistente dal Rosmini, trasfor mata in protologia o logica delle categorie, dal Gio berti. «Vennero i positivisti ignari non pure di Kant, ma e di Leibniz di Cartesio e parve non avessero (471) La Critica, A. X, fasc. I, p. 27.

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FILOSOFIA

mai fatto i loro studi di filosofia. Colla negazione dell a-priori, cioè della possibilità stessa del pensie ro, il positivismo non solo si metteva fuori del kan tismo ma fuori di ogni filosofia. la più ingenua e primitiva: « la quale, comunque concepisca il reale, non può a meno di far della logica la legge di As so; salvo magari ad assegnare a questa logica una sede, di là della umana ragione, in una regione tra scendente o nel fondo stesso della realtà naturale » . Il neokantismo e il neotomismo non hanno un vero valore speculativo essendosi chiusi in lavoro quasi esclusivamente filologico. Insomma la filosofia nostra non fa un passo sul Gioberti; ciò nonostante quelle correnti compirono anche loro la missione provviden ziale che assegnava ad esse la storia. Questa: kosmi ni e Gioberti, pure avendo alle mani il problema fi losofico della filosofia pos-cartesiana, il problema del conoscere; pure avendo impegnato il loro pensiero nel concettodello spirito come sintesi a-priori (sinte si che importa logicamente la negazione di ogni tra scendenza), e del mondo come circolazione del pen siero nella dialettica delle sue immanenti categorie, non raggiunsero mai la piena e netta coscienza del la rivoluzione che arrecavano in quell'assetto scolasti co della concezione del mondo, che è accettato e im posto dala teologia cattolica; e ritennero fino all'ul timo che almeno la cornice del vecchio quadro po tesse e dovesse conservarsi. Era un'illusione; per chè il nuovo quadro avevagiàuna cornice sua; ma an che le illusioni nella realtà storica dello spirito uma

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no sono realtà, e realtà solide, che devono essere li. quidate nei conflitti del pensiero. E contro questa vec chia cornice gli scettici rivolsero le mire del loro scet ticismo. Inoltre : « la filosofia italiana col Rosmini e col Gioberti aveva acquistato la coscienza della sin. tesi a priori, onde si pone l'assolutezza del pensiero e quindi l'impossibilitàdi trascendere questo, nè an che per porreun altro pensiero» . Ma questa coscien. za era in loro così debole, che non seppero far ve dere tutta la vanità della trascendenza, dell'altro mon do. Bisogna perderla, dunque, questa coscienza insuf ficiente e riacquistarne una più energica. « Gli scatti « ci la fecero perdere », negando la possibilità della sin tesi del rapporto tra la mente e la realtà, privando così l'uomo dell'assoluto non interamente nuovo, ma accendendo, coll'atto stesso della sua negazione, il vivo desiderio dell'assoluto vero, che non ha più nul la di comune col vecchio.

La missione dei platonici fu eminentemente posi tiva; antagonista a quella degli scettici : l'affermazio ne dell'assoluto che dopo Platone, è stato il fonda mento di ogni filosofare; di quell'assoluto che si cer cherà sempre di concepire meglio, ma di cui non si potrà mai fare a meno senza smarrire ogni possibili tà di orientamento pratico e speculativo . Il platoni smo; coll'Acri specialmente, finì nel misticismo, ma « le stesse conclusioni mistiche sono il fallimento d'un processo filosofico nuovo » . Le benemerenze del positivismo rispetto al pro

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gresso di tutta la cultura italiana furono diben lun ga ya maggiori. Anzi tutto - dice il Gentile quella di aver liquidato la « Filosofia delle Scuole Italiane » del Mamiani e del Ferri, con « tutti i vecchi arnesi della filosofia tradizionale, che i poveri positivisti in fatti combattono nelle loro riviste, nei loro libri, co me ildualismo spiritualistico, l'anima sostanza, le idee innate, il libero arbitrio, ecc ecc. » . Altro grandeme rito : quello di aver esercitato e messa in onore la ri cerca positiva storica o naturale. «Avevamo bensì -durante e prima del risorgimento nazionale - comin ciato a filosofare, e avevamo anche filosofato con grande vigore, ma in astratto; avevamo avuto degli storici di polso, ma per l'ampiezza dell'orizzonte a cui avevan saputo guardare, non per la pienezza della cognizione dei fatti; avevamo avuto anche geniali in telletti nelle scienze della natura e scopritori e critici di gran valore; ma non avevamo nelle nostre univer sità quella sistematica disciplina di studi, che si dan no la mano per frugare da tutti i lati la natura e pre cisare i contornidei suoi fenomeni. La nostra cultura non aveva equilibrio. E per farle acquistare questo equilibrio bisognava pure per qualche tempo volgere le spalle alle idee e inseguire i fatti » . E ci fu l'ado razione del fatto, che voleva significare negazione del l'assoluto, o meglio del vecchio assoluto, poichè i po sitivisti non negano,di proposito e assolutamente ogni assoluto e ogni assolutezza; si insistette, anzi, dall'Ardigd e da altri sulla divinità e sulla necessità, sia pure meccanica, del fatto stesso. Certo non ave

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vano il concetto idealistico del fatto come concretez za dell'assoluto : « tuttavia affermando che il fatto o tutto, e fuori del fatto non c'è nulla, essi enunciarono in forma impropria la verità, che oscuratamente senti vano, dell'immanenza del vero assoluto nei fatti, e pe rò del valore, della serietà dei particolari naturali ed umani » . Nel positivismo era imminente, però, un grave pericolo : quello della morte della filosofia e del senso filosofo. Poichè il suo fatto, l'unica realtà che ammettesse, era e poteva essere l'ogretto delle scien ze particolari, non della filosofia; e il positivista, con dannando a morte la metafisica, in realtà condannava a morte la filosofia. Chi sottrasse alla pugna icono clasta l'eredità del passato, mostrando ai positivisti quale ingenua e schietta metafisica essi costruivano negando ciò che oltrepassasse l'esperienza anche la negazione dell al di là dell'esperienza, del metafi sico, è metafisica; chi salvò dalla negazione sbri gativa il tesoro delle tradizioni passate, illustrandone molti aspetti con metodo severo, furono i neo-kantia ni, e, un pochino, i neo -tomisti. Così « nessuna fati ca è andata perduta. La filosofia, dopo Gioberti, su questa via che abbiamo fatta, non ha compiuto un passo innanzi : ma noi, dopo fatta questa via, non possiamo tornare a Gioberti, senza sentire che la sco lastica, il dualismo, il trascendente il vecchio Dio è morto; senza sentire nondimeno più vivo di prima il senso della presenza dell'assoluto; senza sentirci stretti alla via stessa dei fatti, degl'infiniti fatti, fluenti con tinuamente, come alla vita stessa dell'assoluto, che là

- La filosofia di G. Gentile .

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DI GIOVANNI GENTILE

dentro palpita; senza sentirci stretti del pari alla tra dizione del pensiero, quasi alla sostanza più intima dell'esser nostro, che nella storia ritrova se stesso si realizza. E tornando, così trasformati al Gioberti noi non possiamo essere più giobertiani » (472) Sfi do io! Gioberti, se potesse, tratterebbe molto male chi con queste idee osasse professarsi suo discepolo Si deve tornare al Gioberti con spirito hegeliano proclama il Gentile a modo di conclusione per chè lo spirito della speculazione del Torinese è, seb bene si professi in constrasto con quello di Hegel, senzialmente hegeliano. Vi troviamo, cioè, « un hege lismo giobertiano, oscuro involuto in presupposti ete rogenei, da cui per la sua immaturità non gli riesce di liberarsi: insomma, un giobertismo, che ha una logica interiore hegeliana, quale potrà svelarsi a un critico formato a uno spirito hegeliano più schietto che quello diGioberti non possa essere ». (473) Questo critico non potè essere, per varie ragioni di temperamento spirituale, e di studi e di circostan ze storiche, nessuno dei parecchi hegeliani che fiori rono in Italia prima dello Spaventa e insieme con lui la critica del Gioberti, come del resto quella del Vi co, doveva iniziarsi col fondatore del nuovo hegeli smo : lo Spaventa, che più degli altri era fatto per

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(472)Vedere per tutto questo riassunto storico La Criti ca, A. X, fasc. I; La filosofia in Italia dopo il 1850; VI Gli hegeliani, introduzione, pp. 23-34. (473) La Critica, A. X, fasc. 35. - 466

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atin vert bol -

comprendere il valore delle filosofie alla luce della storia, e più degli altri era affine, come uomo della nuova Italia che sentiva profondamente i problemi nazionali e la storicità nazionale, la concre tezza italiana del pensiero, a Vicenzo Gioberti. Ed ecco la base storica dell'ultima fase, della fase attua le del pensiero idealistico dell'Italia : B. Croce torna con spirito che sa e vuol cogliere, sull'esempio del lo Spaventa, l'intimo midollo dei sistemi, o degli ab bozzi di sistemi, a GB. Vico; G. Gentile torna, col lo stesso spirito, e con la profonda coscienza della inferiorità o vanità di tutte le altre sistemazioni, a Vin cenzo Gioberti. « Il pensiero italiano era destinato a tornare al Gioberti, come era destinato a tornare al Vico : avendo così l'uno come l'altro soltanto sboz zata una filosofia, alla quale il corso generale delle menti, nella necessità sua, doveva tosto o tardi con durre in forma più spiegata e consapevole. L'uno e l'altro non si rendono conto delle verità che essi pu re discoprono: e han bisogno che essi stessi siano scoperti, quando le loro stesse verità, conquistate per altra via, metteranno altri in grado d intendere il loro profondo e vero pensiero, meglio che non l'avesser inteso loro stessi » (574) Questi criteri storici dell'idealismo e questo il suo sviluppo storico nella nostra filosofia, organica mente unita nel suo processo dialettico al movimento universale del pensiero. Quello che ne pensiamo, quanto a certi criteri e, per l'esigenza di questi, al (474) Op. cit. studio cit., p. 34. 467 30 * . La Filosofia di G. Gentile.

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GENTILE e

posto assegnato ai più grandi fra i nostri pensatori l'abbiamo già detto. E abbiamo anche fatto capire che il nostro dissenso dal Gentile non ci impedisce di ammirare la grandezza e, in parte, la verità del dise gno storico, nel quale tutte le correnti spirituali han no adempiuto, volenti o nolenti, consapevoli o in. consapevoli, una determinata missione provvidenzia le. E l'esecuzione del disegno è senza pari, ed è stata continuata fino a noi e si continua ancora. Tutte le manifestazioni speculative o di semplice cultura del la nostra vita nazionale hanno trovato e trovano nel Gentile,un pensatore che le domina dall'altezza sicura di un sistema e le valuta e le colloca nell'unità orga nica del progresso italiano e umano. Chi ha letto e leg. ge le varie annate di La Critica, chi legge il vi. vo Giornale critico della filosofia italiana, sa con che sicura visione egli ha guardato e guarda ad ogni posizione e ad ogni soluzione di problemi di cultura e di vita, facendo vibrare dappertutto il suo amore mazziniano per gli alti ideali e per l'Italia, non me no che il desiderio di creare condizioni culturali e fi losofiche che possano costituire la base di un ulte riore e più intenso progresso. Egli vuol instaurare « nella filosofia, e con essa e per essa in tutta la no stra attività spirituale, quella pienezza che fa del pen siero fucina ardente non di semplici sistemi specula tivi, ma di sistemi della vita » (475); ecco perchè egli (475) Cosi finisce il GENTILE l'interessante Prolusione al Corso di storia della filosofia nella Università di Roma, del 1918 - Il carattere storico della filosofia italiana, Bari, Laterza, 1918.

LA
FILOSOFIA

assume un atteggiamento preciso, chiaro, come di un segnavia davanti a tutti gli avvenimenti che hanno una notevole importanza nello svolgimento della no stra storia; davanti alla guerra, (476) davanti a partiti politici, davanti al problema scolastico, (477) ecc. ecc.

Ma nella multiforme attività rivolta alla pratica egli non smarrisce mai se stesso, non si disperde mai, perchè va alla vita con una filosofia che vuole ali mentarsi di concretezza, vi porta la luce del suo si stema, che del suo sistéma ama nutrirsi, come del suo combustibile. Tutto è fatto entrare in qualche modo, nella corrente del suo pensieru, dove le forme della attività umana tendono, qua e là pur troppo costrette dalla tirannia di uno schema oreconcetto, a mostrar si come modi sempre più universali e concreti del l'articolarsi creatore della Realtà unica che è o Spi rito o il Pensiero, che pone il molteplice e, mentre lo pone, lo penetra di autocoscienza e lo unifica, risol vendo nell'atto tutta la infinitamente varia realtà teo retica e pratica che si dispiega nello spazio. Un ten tativo poderoso, che non gli è riuscito, che non gli può riuscire mai, in faccia al quale nessuno pud pas sare indifferente; certamente non noi che vogliamo di mostrarne la inconsistenza, opponendo ad esso una diversa, e, per parecchi rispetti, opposta concezione della realtà storica.

(476) Guerra e Fede, Napoli, Ricciardi, Dopo la Vittoria, La « Voce » Soc. An. Ed., Roma 1920. (477) Il prolema scolastico del dopoguerra, Napoli, Ric ciardi, 1919; Educazione e scuola laica, Valecchi, Firenze, 1921.

CAPITOLO DECIMO >
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LA FILOSOFIA DI GIOVANNI GENTILE

Prima di finire questa esposizione della concezio ne della filosofia e della storia della filosofia del Gen tile, vorrei accennare con una certa ampiezza alle molte polemiche che egli dovetté sostenere contro av versari di ogni genere in difesa delle sue idee: fra gli altri col Calo e col Varisco. E non sarebbe cer tamente inutile, ma mi farebbe oltrepassare i limiti che, nell'accingermi a questo lavoro, fissai con piena riflessione e col proposito di non varcare. Io ho vo luto dare, nelle sue linee generali, il sistema, nella sua storicità e nella sua originalità, cioè metterlo nel posto che occupa nella storia del pensiero universale e nazionale. Dalle pagine precedenti scaturisce che il sistema del Gentile è la riduzione alle ultime conse guenze e all'assurdo delle teorie dell'idealimo asso luto della sinistra hegeliana, della quale da noi fu rappresentante, primo, intelligente e originale, lo Spaventa.

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CONCLUSIONE

no

Così è stata tenuta accesa, con fiamma sempre più viva, la fiaccola che un giorno Donato Jaja parve con. segnare al Gentile. Nelle molte critiche che abbiamo fatte all'idealismo attuale, e che ora è inutile riassume re, anche solo in brevi tocchi, abbiamo rifuggito, di proposito, da ogni parola meno che rispettosa, convin ti come siamo che il culto della verità non deve maj andare disgiunto da quello di urbanità e anche, nel nostro caso, di profondo rispetto. E nel criticare ab. biamo cercato di metterci, più che ci è stato possibile, dal punto di vista del filosofo che discutevamo. Concludendo voglio insistere sopra una cosa di grande importanzaper gli amici neoscolastici. È que sta : la dimostrata incompatibilità del sistema nostro con quello del Gentile e l'assurdità di questo, non ci dispensano dal dovere di imparare cose che scaturisca dall'attività speculativa prodigiosa del filosofo idealista. Da Benedetto Croce e da Giovanni Gentile tutti abbiamo, imparato e dobbiamo imparare due - 471

GENTILE

cose : - prima, che all'approfondimento della nostra riflessione nello spirito, allo scopodi coglierne il ritmo e le leggi, giovano più lo studio dell'arte e della lette ratura e l'interesse vivo alla storia che non le scien ze cosiddette di esperienza, non esclusa la cosiddetta psicologia sperimentale. Lo spirito è qualità, non quantità; la scienzesperimentali per se stesse non pos sono coglierne nessunissimo aspetto, nessunissima attività, perchè sono e vogliono essere scienze della quantità.

La seconda cosa che da essi dobbiamo imparare è anche più importante, dal punto di vista del suc cesso della nostra attività di pensatori cattolici nel mondo attuale. A conquistare gli uomini a una cor rente di idee è necessario poggiare quella corren te sopra una vasta base di coltura, che abbracci tutti i problemi spirituali e tutte le risposte che, dai diver si punti di vista, a quei problemi vengono date, e si mostri di possedere risposte proprie, nuove o nuo vamente formulate, in funzione degli atteggiamenti sempre nuovi che lo spirito cercante assume nel suo divenire e in armonia con tutta la cultura degna di questo nome : le risposte devono sorgere vive e fre sche dallo spirito che tutto abbraccia e comprende, come vive e fresche e scaturenti da tutta la realtà che sale sono le domande che la vita, la vera vita, che è pulsazione universale e semprenuova, rivolge al pen siero.

Da Giovanni Gentile abbiamo imparato e dobbia mo imparareil senso storico, la visione storica dei

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problemi: le diverse posizioni che i problemi hanno assunto e vanno assumendo nello svolgimento dello spirito, sempre diversamente atteggiato, sia che af facci dubbi o proponga soluzioni. Coi nostri libri, coi nostri articoli, colle nostre lezioni, noi batteremo l'a ria o dei mulini a vento, se prima di dire la nostra parola, non conquistiamo la visione esatta del pecu liare significato che un problema, chepare vecchio, prende dalla peculiare realtà organica, dalla quale e sulla quale sorge.

Guai, se nel cuore delle vecchie formole di dub bio o di soluzione del dubbio non sappiamo sentire o mettere i dubbi e le soluzioni del momento attua le, se le formazioni dei problemi non sono, nello spiríto, se non sempre nella lettera, storichel E anco ra abbiamo imparato e dobbiamo imparare a sapere e vedere e interpretare la storia del pensiero in funzio ne dei nostri concetti, del nostro sistema di concetti, cioè della nostra filosofia, che, se è davvero filosofia perenne, pensiero concreto dell'umanità, o coscienza e autocoscienza di essa, deve essersi formata attra verso tutte le fasi dello sviluppo spirituale umano, nel quale, perciò, noi possiamo trovare la graduale formazione e mostrare che il passato sgorga nel no stro presente, è, finalisticamente, nelsuo crescente svi luppo, il nostro presente, che è l'unico presente di pensiero, e quindi, di vita che abbia valore. Noi ab biamo, da molti esempi, veduto come il Gentile sa cogliere, nella storia del pensiero, il filone prima ap pena percepibile, poi via via più distinto e più gran

CONCLUSIONE 1
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DI GIOVANNI GENTILE

de, del suo idealismo attuale, come egli sa dare rilie vo idealistico agli accenni lontani, più o meno fram mentari, alle sue teorie, e come sa innalzare quegli accenni a criterio di verità dei sistemi in cui si tro vano sparsi, e come tutti i sistemi e frammenti di si stemi prendano, sottola forza del suo pensiero, l'a spetto di momenti preparatorii del sistema suo. Noi sappiamo che in questo, chiamiamolo così, adatta mento quotidiano della speculazione passata e presente all'idealismo attuale, in questa interpretazione ideali stica del pensiero, non si trova spesso fedeltà di espo sizione dell'idea altrui, e che, qualche volta, ci sen tiamo urtati e offesi nel nostro senso storico da sti racchiamenti e svisamenti eségetici che ci fanno pro testare. I sistemi interpretati in funzione di una idea vengono troppo spesso deformati e immiseriti e ische letriti, ridotti, cioè, a schemi così mozzi e scarnati, che avrebbero ragione gli autori dei sistemi svisatidi sollevare alte proteste e di non riconoscere in essi se stessi, il loro pensiero vivo e complesso Ma le man chevolezze nella esecuzione non infirmano la bontà del metodo rettamente inteso e prudentemente segui to, che anche noi dovremmo adottare per dar valore concreto storico alla nostra filosofia e per fare di questa una revisione critica dei concetti fondamen tali di tutti i pensatori in funzione dei concetti no stri. Ma sempre, ripeto, coi temperamenti voluti del l'esigenza per noi fondamentale: l'oggettività. Non si tratta di mettere, come fanno gli hegelia ni, il pensiero nostro al posto di quello storico, për

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poi avere la grande gioia e la sorpresa di trovarve. lo; si tratta semplicemente di mettere nella loro luce piena di principii fondamentali operanti in tutta la storia del pensiero, i nostri principi, le nostre teorie dualistiche e della trascendenza, che hanno, certa mente, più verificazione nella storia che i presupposti dell'idealismo.

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CONCLUSIONE
Da tutti e due dal Croce e dal Gentile dob biamo imparare a vedere e cogliere la organicità, la metodicità, la modernità, e la concretezza storica del sapere. Ma quanto ai principii noi non abbiamo nulla ad imparare; noi ci sentiamo superiori agli idea listi, perchè la filosofia che costruiamo sulla base di essi, non contraddice, come l'idealismo, alle attesta zioni della coscienza umana e della cognizione comu ne, ma la spiega, la integra e la riduce a sistema. O la filosofia è spiegazione e integrazione dell'esperienza o fallisce allo scopo, che è quello di rendere esplicite c ordinare a unità le ragioni implicite nella moltepli cità degli esseri e degli avvenimenti. La filosofia, co. m'è intesa dalla storia del pensiero umano è, e deve essere, non una pretesa visione dell'atto di una sfera trascendentale dove il distinto si perde nell'Indistinto ei molti sono assorbiti nell'Uno, ma una sistemazio ne dei distinti, una unificazione, non assorbente o risolvente, ma soltanto spiegativa dei molti. Filosofare, è spiegare, sistemare, unificare le forze dell'universo che si inseriscono nella nostra psiche, e rendere ra gione delle esigenze profonde della realtà cosmico umana . - 478

APPENDICE. e

L'amico Bontadini pubblicò qualche mese fa nella Rivista di Filosofia Neo-Scolastica un articolo assai interessante: Le Polemichedell'idealismo. Intornoa quell'articoloioe Bontadini discutemmo à lungo prima e dopo la sua pubblicazione; io insistendosoprattutto sulla differenza radicale, vorrei dire, che separa Croce da Gentile, lui quella differenza molto atte nuando, o interpretandodiversamente da come lainterpretato io. Credo che i lettorimi saranno grati della mia risoluzione di pubblicare questo brano di lettera dell'amico Bontadini, chepuòconsiderarsi il frutto di quelle discussioni, Dalle osservazioni ch Ella mi fa, mi sembra di poter conchiudere che suquesto argomento della polemica Croce Gentile esiste fra Lei e me, un consenso fondamentale ed un fondamentale dissenso . Fondamentale il consenso in quanto è sulla caratterizzazione essenziale delledue filosofie; fondamentaleil dissenso in quanto è sul valore della critica fatta a quella del Gentile.

Quanto al consenso io accetto la sua formula mirabilmente concisa,che il Croce tratta e risolve problemi cheanchela filo sofia tradizionale considerava come immanenti;il Gentile in vecerisolve nel senso dell'immanenza problemi chela filosofia tradizionalerisolveva nel senso della trascendenza. Per questo io chiamerei la immanenza del Croce passiva o immediata, quella del Gentile attiva o mediata o risolutiva. Il Croce vede il mondo esifermalì; Gentilevedeilmondo elo affermacomeDio. Era ben questa la differenza principale ch'io volevo, col mio articolo, mettere in chiaro: o sono ben lieto di incontrare il Suo pieno consentimento.

La questione del dissenso è più complessa. Per Lei l'accusa di misticismo fatta alla filosofia del Gentile è esatta o conduceal dissolvimento del sistema, ciò che a me non sembra, almenoaprendere l'accusa così come si trova oggi, e tanto più come è nel Croce. Dico tanto più come è nel Croce, perchè questi è idealista, oalmeno dice di esserlo; e quell'accusa im plica,daparte dichilafacciapropria come critica,precisamente il rifiuto del concetto idealistico fondamentale che è quello dell'unità dell'esperienza.

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Ma vediamo come, questa critica, l'intende Ella. Essa anzi tutto riassume in sè tutte le tre critiche elencate dal Croce contro il Gentile, tanto, cioè, quella che va sotto lo stesso ti. tolo di misticismo, come lealtre due fatte sotto quellodi pan logismoe fenomenismo scettico:e fa benea riserbare soltanto il primotitoloper tutte, perchèin fondo sitratta sempre di cri ticare la posizione di una unitàoscura dovelamente smarrisca il suo metodo. Tuttavia la triplice specificazione non viene soppressa, ma solo presentatain deduzioneda quel principale motivo, come, del resto, è anche nel Croce. Ecco come: il Gentile ponendoun Io trascendentale inobbiettiva. bile, cioè mistico, contraddice al canone idealistico che ciò cheè reale è reale per la percezione (corrisponde all'accusa cro ciana di misticismo, variato però assai il motivo tecnico).

b - il Gentile con la sua teoria dell'atto unico immolti plicabile sopprimetuttalamolteplicità del reale eprecisamente le differenziazioni

1) · per distinzione (accusa crociana di panlogismo); 2) · per contrarietà (accusa crociana di fenomenismo scettico).

Quanto alla prima accusa a me sembra ch'essa avrebbe ef ficacia se quell'Io trascendentale inobbiettivabile, avesse, come inobbiettivatoalcunarealtàontologica; chè allora sì, vi sarebbe qualcosa ad un tempo realeenon conosciuto, con contraddi zione al canone idealistico. Ma come inobbiettivato, e anche come inobbiettivabile, in una parolacome per sè solo l'Io tra scendentale è, al pari della categoria Kantiana, inesistente: la sua realtà sta tutta nell'incarnarsi, che faccia, nell'oggetto sperimentale.Maallora,sidirà,perchèparlareditrascendentale? Perchè parlare di questo principio superiore alla semplice empiria ? Ecco: a mio modo di interpretare la filosofia genti liana, il trascendentale non è chela considerazione, diciamocosì, in assoluto della realtàempiricapresa nella sua totalità forma le e contenenziale;l'empirico che per sèè immediato in quanto, comeunitào totalità dell'esperienza, èriconosciuto (dimostrato) comeil tutto della realtà, diventa, in cotalesua unità, trascen dentale. Ma anche indipendentemente daciò il trascendentale sta bene per esprimerela dinamicità, l'irrequietezza dell'espe rienza (in Kant,la funzionalità ): il trascendentalecioè esprime l'atto in quantoquesto non è solo teticità, ma anchenegatività, cioè dialettica. Iltrascendentale esprimela caratteristica dello spirito, per cui questo, come progresso, non può mai acquie tarsi in un contenuto acquisito. Il trascendentale esprimela crescita, è il momento della crescita. Naturalmente la crescita che non è sopra, in quanto fuori, di ciò che è già cresciuto,

APPENDICE
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GENTILE

ma in quanto crescita che trasvaluta il già cresciuto e lo in nova secundum se totum. Il trascendentale, cioè, risolve l'em pirico e lo supera (nel nuovo empirico). Ma se Lei dà al trascendentale stesso, oltre alla sua realtà di risolutore e superatore dell'empirico, una realtà per sè già fatta, Lei viene proprio a negarlo come trascendentale, cioè come progresso, contrariamente a quello che l'idealismo pre senta comesua tesi da dimostrare. Onde l'idealista potrà sem pre rispondere che la Sua criticaprende un'altro bersaglio (poichèqui si tratta, essendo lacritica di carattereinterno, di mettersiinnanzi quel che dice l'idealismo e mostrarlo contrad. ditorio). Se noi ci rappresentassimo la filosofia del Gentile in questo modo :

a) - descrizione del contenuto dell'esperienza nelle sue formalità universali; b) - constatazione dell'unità del contenuto nella forma dell'esperienza (storia , atto); c) - dimostrazione della coincidenza di essa unità con Dio ; mi sembra che avremmo innanzi, in compendio, l'essenziale di essa filosofia, essendo evitata la questione di quel trascen dentale, che,come un dentro e fuoridell'esperienza,balenante ed inafferrabile, hagià dato troppapenaa tantivalenti uomini, chesisonointeressati,per ragionidiverse,dell'attopuro, preoc cupati più del tecnicismo che del concetto semplice. Iocredo ch Ella converràconme nel rinunciare a questa critica; ed a questo generedi critiche affatto sterili, ch Ella, mi sembra, à preso inconsiderazione soloper scrupolo di .... completezza.

Venendo allora alla critica prima secundae, ancor qui, se teniamo innanzi loschema disopra, è chiaroche l'unità, essendo l'unità della storia, ha per contenuto tutta la molte plicità dei fatti umani, nonsolo, ma anche delle forme dello spirito, intese come determinazioniuniversali del contenuto (p.es.lequattro forme crociane); solo che si tenga fermoche la loro distinzionenon può maiessere così radicale da estermi narli, reciprocamente, fuori dell'unico regno dello spirito (che inquestasua unità è coscienza o pensiero ), Più gravee complessal'accusa della parificazionedei contrari ch'Ella nel suo libro sul Gentile sostiene ampiamente. E non oserei dire che larisposta degli idealisti, che io riassumo nel l'articolo,misoddisfia pieno.Difficoltàmisorgono dal concetto generale del valore,e poi dalle particolariesigenze deidiversi valori,speciedi quellologico e di quello etico. In questi argo menti fondamentali avrò grato di intrattenermi con Lei altra

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volta. Qui vorrei soltanto osservare, in primoluogo che questa critica non è autorizzata in bocca ad unidealista,come il Cro ce, perchè perluinon cipuò essere altro fondamento del valore fuori che lo spirito presente a se stesso, · lo spirito, beninteso, come oggettività; senza che con ciò sipossa dire d'altra parte che, appunto, la critica mira allo stesso concetto idealistico; poichènon si tratta di critica interna (come le due precedenti che intendevano scorgere un'affermazione contrariaal canone idealistico fondamentale) quasi che si conduca l'idealismo a contraddirsiconsè medesimo. Se, infatti, il maleattualeèbene, esso, per l'idealista, non è male e bene, ma soltanto bene. Tuttosi riduce dunque alla soppressione del male como posi tività. Tesi classica:ma quel che urta è il modo dellasoppres sione: per un realista il male è nulla perchènon è che la de ficienzarispettoalla norma;perl'idealista ilmale è, come male, nulla, perchè diventa essola norma. Ma già si sente che non si riescea porre bene laquestione, perchèquandoio apro bocca e dico il male, l'idealista, come Sordello a udire Mantova, sorge chiedendo dove si possa mostrare questo male. E se io glielomostro, gli devo pure mostrarela norma rispetto cui esso è male, devo cioè mettermi innanzi larealtà comecomposta della norma (coscienza della norma) e di quel male(coscienza del male perla coscienzadella norma); epoichè la norma,come coscienzadella norma, è sintesi (storica) di sè e del male (in quanto essaè anche storica coscienza del male), segue che la vera realtà è essa essa che è bene e non, assolutamente, il male, che è tale in quanto regolato al suo posto di male. Risposta ormainota; ma cheintantonon siriesce facilmente a spiantare; perchè non si riesce, in linea di pura tecnica, a mettere l'idealismo in contraddizione.Mi sembra chebisognerà ricorrere alla critica esterna: cioè dimostrare, indipendente mente dall'idealismo, che è necessaria una norma assoluta, fuori della storia, cui le azioni umane ed il pensiero umano della stessa norma delle azioni debbano essere conguagliati Dopo di che, ma solo dopo, la tesi idealista viene fuorifalsa. E quella tesi si può dimostrare per tante vie, tra cui, magari anche, se si vuol restare nell'argomento, questa della teoria dei valori. E tale è il compito ch'io oso proporre a Lei: tra mutare la critica da internain esterna; perchè mi sembra, ri peto, che aprender così nella sua immediata presentazione, la tesi idealistica, la contraddizione non sprizzi mica per sè stessa . »

APPENDICE -
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Gustavo Bontadini .

DEDICA Pag. V INTRODUZIONE VII

CAPITOLO PRIMO Il metodo dell'immanenza 1

CAPITOLO SECONDO Il nuovo hegelismo 44

CAPITOLO TERZO L'idealismo attuale (I. La realtà spirituale . 83

CAPITOLO QUARTO Ancora l'idealismo attua le (II. - Unità e molteplicità 121

CAPITOLO QUINTO La realtà come storia 178

INDICE >»> ) >

CAPITOLO SESTO La religione e il Cristiane simo nell'idealismo attuale di G. Gentile 222

CAPITOLO SETTIMO I valori nell'idealismo attuale 274

CAPITOLO OTTAVO Le idee pedagogiche di Giovanni Gentile . 318 APPENDICE AL CAPITOLO OTTAVO Pensie ri sull'educazione . 368

CAPITOLO NONO -Le dottrine morali e giuridiche di Giovanni Gentile . 392

CAPITOLO DECIMO Il Gentile, storico della filosofia 432

» . . » > >> CONCLUSIONE > 471

Nihil obstat quominus imprimatur

Can. JOSEPH NOGARA, Censor Eccl. Mediolani, die 10Aprilis MCMXXII

Imprimatur

In Curia Arch. Mediolani, die 11 Aprilis MCMXXII Can. JOAN Rossi, Vic, Gen.

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