Speleologia n. 76 - giugno 2017

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REPORTAGE:

VENETO: 16 Rana-Pisatela

FRIULI VENEZIA GIULIA: 24 Grande Poiz

MACEDONIA: 30 Spedizione in Macedonia

INDONESIA: 34 Seram

PROGETTI:

42 Carcaraia “CAI 1000”

45 Campo dei Fiori

48 Cassano allo Ionio 2017

50 PPUR

APPROFONDIMENTI:

53 Sisol

57 Creative Commons

SPELEOLOGIE: 62 Gorgazzo

ISSN 0394-9761 ANNO XXXVIII - GIUGNO 2017 Poste Italiane S.p.A.Spedizione in Abbonamento PostaleD.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004) art. 1, comma 2, DCB Bologna
Rivista della Società Speleologica Italiana

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Presidenza

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Vicepresidenza

Federico Cendron vicepresidenza@socissi.it

Segretario

Silvia Arrica segreteria@socissi.it

Tesoreria

Cristina Donati tesoreria@socissi.it

Segreteria Soci

Tel. 051 534657 (pomeriggio) quote@socissi.it

UFFICI

Assicurazioni

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Cell. 335 5434002 - Fax 030 5531267 assicurazioni@socissi.it

SOCIETÀ SPELEOLOGICA ITALIANA

Centro Italiano di Documentazione

Speleologica “F. Anelli” - CIDS

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Tel. e fax 051 2094531 biblioteca.speleologia@unibo.it

GRUPPI DI LAVORO

Scientifico

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Via Zamboni, 67 - 40126 Bologna

Tel. 051 2094547

Fax 051 2094522 paolo.forti@unibo.it

COMMISSIONI

Audiovisivi Francesco Maurano audiovisivi@socissi.it

Catasto Umberto Del Vecchio catasto.grotte@socissi.it

Gli articoli possono essere inviati all’indirizzo speleologia@ socissi.it (mailing lista di redazione) oppure ad uno dei componenti della redazione stessa, accompagnati da un recapito telefonico di almeno uno degli autori per facilitare eventuali contatti diretti. Oppure possono essere inviati su CD o DVD a: Società Speleologica Italiana, via Zamboni, 67 – 40126 Bologna.

A) RIVISTA CARTACEA

I testi

I testi devono essere originali e possono essere forniti in .doc, .rtf, .docx, .odt. Non devono contenere formattazioni particolari, numerazione delle pagine, note a piè di pagina, rientri, tabulazioni, revisioni e quant’altro abbia scopo di simulare una impaginazione. Inoltre, lungo il testo, non devono essere inserite immagini, ma queste devono essere fornite in singoli file a parte. Eventuali indicazioni sul posizionamento delle immagini lungo il testo devono essere segnalate inserendo una “nota di servizio di colore rosso” con la dicitura “qui la foto n. XX” oppure “qui il box n. Y”. Ogni articolo deve essere introdotto da un breve riassuntoanche in lingua inglese - e, nel caso di articoli che illustrano spedizioni all’estero, possibilmente anche nella lingua del paese visitato. Ogni articolo deve essere corredato da una cartina di inquadramento della zona. I testi devono riportare il nome e cognome degli autori e l’eventuale associazione di appartenenza. Eventuali tabelle o grafici devono essere anch’essi forniti in file a parte.

Il numero massimo di battute - spazi inclusi - per le varie tipologie di testi sono le seguenti:

Articolo esteso: 20mila battute (+ una decina di immagini)

Articolo breve: 10mila battute (+ 6/7 immagini)

Notizia: 5mila battute (+ 3/4 immagini)

Rientrano in questo conteggio anche le battute dei box, delle didascalie, dei ringraziamenti e del riassunto iniziale in lingua italiana. Non rientrano nel conteggio le battute dell’abstract inglese e dei riferimenti bibliografici.

Eventuali elenchi di partecipanti, collaboratori, sponsor, patrocinii, ecc. devono essere limitati al minimo indispensabile.

Le immagini e le didascalie

Figure, carte, profili ed immagini, possibilmente inediti, devono essere forniti in digitale e in alta risoluzione, in modo da poter essere stampati anche in grande formato o

Cavità Artificiali

Michele Betti - c/o Dip. Sc. della Terra Sezione di Fisiologia

Università di Urbino “Carlo Bo”

Via Ca’ le Suore 2, 61029 - Urbino (PU)

Tel. +39 0722 304286 Fax +39 0722 304226 artificiali@socissi.it

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Relazioni Internazionali

Fabio Siccardi, Riccardo Dall’Acqua corso Mazzini 26/1 - 17100 Savona Fax 019 8485490 estero@socissi.it

Scuole di Speleologia

Flavio Ghiro

Via Partigiani d’Italia 14 10060 Bibiana (TO) Tel. 0121 559113 - 333 6933759 scuole@socissi.it

Tutela ambientale ambiente@socissi.it

eventualmente a tutta pagina. Si accettano formati .tif o .jpg alla minima compressione possibile e con dimensioni non inferiori a 10x15 cm con risoluzione di 1800x1360 (2,3 Mega pixel). Le foto a tutta pagina o a formato aperto devono avere una dimensione non inferiore a 30x45 cm e risoluzione non inferiore a 2560x1920 (5 Mega pixel). Se compresse in .jpg devono comunque rispettare le precedenti dimensioni una volta decompresse.

Tutte le immagini devono essere numerate e fornite di relative didascalie e nome dell’autore/degli autori in un documento a parte, secondo questo schema:

Foto 1: L’ingresso dell’abisso W le Donne si apre lungo il sentiero principale che conduce alla vetta del Grignone (LC). Questo ha fatto sì che la cavità fosse nota da sempre agli escursionisti, e che ben presto essa venisse esplorata fino alla profondità di -70 m, limite che per molti anni ha rappresentato il fondo della cavità. Solo parecchi anni dopo è stato forzato un meandro ventilato che ha permesso di accedere al resto della cavità. (Foto Cesare Mangiagalli).

Le didascalie delle foto (obbligatorie) sono preferibili estese, che illustrino un tema di cui non si è parlato nel corpo principale del testo o che approfondiscano ulteriormente un aspetto già trattato nel corpo principale del testo.

I rilievi e la carte

I file di rilievi e carte geologiche devono essere consegnati “aperti” in modo da potervi intervenire nel caso lo si rendesse necessario. Essi devono avere dimensioni reali di stampa, quindi con disegno e caratteri leggibili adatti ai vari formati:

Rilievo/cartografia a doppia pagina: 42x30 cm

Rilievo/cartografia a una pagina: 30x21 cm

Rilievo/cartografia a mezza pagina: 21x15 cm

Rilievo/cartografia a ¼ di pagina: 15x7,5 cm

Rilievi di grotta e carte geografiche devono sempre riportare la scala grafica e l’orientamento rispetto al nord (possibilmente parallelo a uno dei lati del foglio) e una didascalia di corredo che deve prevedere: numero di catasto, sigla della provincia e nome della grotta; dati metrici di sviluppo della grotta con l’indicazione della quota di ingresso e il dislivello dall’ingresso al fondo; comune, località e quota dell’ingresso. Eventuali coordinate; data di esecuzione; autori.

I ringraziamenti

I ringraziamenti, non obbligatori, devono essere ridotti allo stretto essenziale e non devono riportare lunghi elenchi di nomi di persone individuali, ditte, associazioni, sponsor ecc.

Speleosubacquea

Leo Fancello

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speleosub@socissi.it

COLLABORAZIONI E RINGRAZIAMENTI

Jo De Waele

REDAZIONE

Luana Aimar, Silvia Arrica, Riccardo Dall’Acqua, Massimo Goldoni, Francesco Grazioli, Leonardo Piccini, Antonio Premazzi, Michele Sivelli, Marco Vattano

Modello ombreggiato d’Italia e delle regioni ©ISPRA – Servizio Geologico d’Italia

Gli articoli firmati impegnano solo gli autori

La bibliografia

La bibliografia, inserita in fondo al testo e messa in ordine alfabetico, deve essere essenziale e riportare solo i testi realmente significativi ai fini dell’articolo. Eventuali bibliografie estese o esaustive possono essere inserite sull’estensione web. La forma da seguire per la bibliografia è la seguente:

Articoli: Dal Molin L., Burato M., Sauro F. (2011): El Cenote. L’esplorazione di un abisso di alta quota nelle Dolomiti Ampezzane. Speleologia, n. 64, pp. 16-24.

Libri: Vianelli, Mario; a cura di (2000): I fiumi della notte. Bollati Boringhieri, Torino: 327 p.

Contributi in volumi: Pasini Gc., Sivelli M., Zanna A. (1994): “Il rilievo dell’Acquafredda”. In: Atti del IX Convegno speleologico dell’Emilia Romagna, Casola Valsenio 31 ottobre 1993.

B) ESTENSIONE WEB - SPELEOLOGIA IN RETE

Se sono disponibili materiali adeguati e diversi da quelli destinati alla rivista cartacea, è preferibile che i contributi vengano corredati anche da una integrazione sul web. Su Speleologia in Rete possono essere inserite: ulteriori immagini: in numero non superiore a 1015, che possono essere organizzate in photogallery animate. In questo caso possono anche essere di risoluzione non elevata. E’ necessario che vengano numerate e dotate in un file a parte di breve didascalia con il nome dell’autore/degli autori (max 200 caratteri).

Ad esempio:

Foto 1: l’ingresso dell’abisso di W le Donne. (Foto Cesare Mangiagalli).

filmati: possibilmente brevi e incisivi, della durata massima di qualche minuto; devono essere dotati di musiche free o non commerciali. Il video sarà caricato sul canale Youtube di “Speleologia”

Rilievi di formato maggiore rispetto a quello previsto per il cartaceo, rilievi 3D, carte, tabelle, poster ecc. preferibilmente in .pdf.

Immagini 3D (anaglifo, .pdf, ecc.), panoramiche, ecc. Ulteriori approfondimenti del testo, purchè brevi (23mila battute massimo spazi inclusi) e corredati da ulteriori immagini a bassa risoluzione

Bibliografie estese o esaustive.

Link a siti, blog ecc.

www.ssi.speleo.it NORME PER GLI AUTORI

Semestrale - Anno XXXVIII

Giugno 2017 - n.76

Autorizzazione del Tribunale di Bologna

n° 7115 del 23 aprile 2001

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Questo 2017, anno di elezioni, e quindi di rinnovo delle cariche sociali, è e sarà un anno importante per la Società Speleologica Italiana. In quanto Associazione di Tutela Ambientale, siamo stati sollecitati ad aggiornare alcuni punti del nostro Statuto, dove è stata formalizzata la nostra intenzione di avere presenza di socie all’interno dei nostri organi dirigenti. Era una situazione di fatto, l’abbiamo trasformata in un’affermazione statutaria e anche in una specifica norma di regolamento. Come Presidenza e Consiglio Direttivo abbiamo optato per le elezioni online, rivolgendoci a una società di spessore internazionale, con specifiche esperienze anche in Italia.

2017 Un anno di scelte importanti e decisive

La rivista viene inviata a tutti i soci SSI aventi diritto e in regola con il versamento della quota annuale

Quote sociali anno 2017

aderenti, minori e allievi: € 30,00

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Abbiamo fatto questo per semplificare le procedure, dando seguito a quanto richiesto dall’Assemblea cinque anni orsono, laddove si era già optato perché le comunicazioni ai soci avvenissero esclusivamente per via telematica. Inoltre, crediamo sia così possibile coinvolgere un numero maggiore di socie e soci nel voto. Effettuate l’accesso al portale soci, avremo così la certezza di avere i vostri dati corretti e in particolare la vostra email, necessaria per le comunicazioni relative alle oramai prossime votazioni.

Il 2016 ha confermato i 3500 soci complessivi e il 2017 sembra indicare leggeri aumenti, specialmente nei soci ordinari. Qui ringrazio le Scuole, che ogni anno coinvolgono oltre seicento allievi nei corsi propedeutici di primo livello. Ringrazio, perché è nei corsi che risiede il volano del rinnovamento e del ricambio.

Senza le scuole ci precluderemmo il futuro, perderemmo un grande “capitale umano” e ridurremo disponibilità di investimento nelle attività sociali. Per questo, non senza difficoltà, stiamo cercando maggiori risorse da destinare alla formazione. A livello di coperture assicurative stiamo anche valutando nuove opzioni, più adeguate anche alle esigenze di chi si assume il compito di istruire e formare.

L’auspicio del Consiglio e mio personale è anche quello di avere un soddisfacente numero di candidate e candidati per i ruoli che andremo a eleggere. Parliamo di numeri, ma anche di qualità di intenzioni e di competenze messe in gioco. L’Assemblea a Gramolazzo (Minucciano-Lu) ha deliberato in merito ad alcuni requisiti minimi, legati all’appartenenza a SSI, per candidarsi ai diversi ruoli. La Società è dei soci, il ricambio nella dirigenza è vitale, ma occorrono interesse, capacità di fare squadra, disponibilità a mettersi in gioco in un complesso lavoro organizzativo, gestionale e di comunicazione. Il ricambio continuo è fondamentale per mantenere giovane, dinamica e operativa la nostra Società. E per continuare a essere riferimento vitale e contemporaneo della speleologia italiana.

Una speleologia viva, che produce esplorazioni e cultura. Cito il Terzo Simposio Internazionale a Varenna, i vari Convegni tenuti in Lazio, Lombardia e Campania, sempre in prezioso equilibrio tra valore del passato e comprensione del futuro che stiamo già vivendo.

Fra le varie attività messe in campo negli ultimi mesi voglio ricordare il “Report sullo stato di salute delle grotte italiane”, ovvero la possibilità (data anche dall’esperienza pluriennale di Puliamo il Buio) di attivare una rete di segnalazioni utili ad aggiornare il database relativo alle grotte a rischio. Questo permetterà la redazione annuale di un rapporto da presentare agli enti competenti e sarà uno strumento decisivo anche all’interno del protocollo siglato con il Cai e la Federparchi. Infine un invito. Partecipare ai campi speleologici estivi, poiché sono momenti in cui si condivide la passione per le grotte, si coltiva l’idealità della nostra azione, lontano da conflitti che la distanza aiuta a rende piccoli e di poco significato. Buone grotte, l’appuntamento è a Finalborgo, dal 1° al 5 novembre, all’incontro nazionale!

1 Speleologia 75 dicembre 2016 EDITORIALE
Speleologia
Speleologia 76 giugno 2017 www.speleologiassi.it/76-editoriale
2 Speleologia 76 giugno 2017 IN QUESTO NUMERO
In copertina
:
Pisatela, Ramo Giacobbi
,
il collettore principale di Pisatela in cui sono convogliate le acque dei rami che poi percorrono il Ramo Nero nel Buso della Rana. (Foto S-Team)
concrezioni
pavimento scuro. (Foto Silvia Arrica) EDITORIALE 2017 - Un anno di scelte importanti e decisive Vincenzo MARTIMUCCI 1 Un mostro chiamato editing Massimo GOLDONI 4 SGUARDI SUL BUIO ITALIA - Lombardia, Veneto, Friuli Venezia Giulia, Toscana, Abruzzo, Campania, Calabria 5 ESTERO - Cambogia, Cina 14 DOCUMENTARE REPORTAGE VENETO - Rana-Pisatela, a cinque anni dalla giunzione Sandro SEDRAN 16 FRIULI VENEZIA GIULIA - Il progetto Grande Poiz e i complessi del Monte Canin Gianni BENEDETTI, Mila BOTTEGAL, Alessandro MOSETTI, Michele POTLECA, Paola RODARI, Paolo RUCAVINA 24 MACEDONIA - Spedizione in Macedonia. Il potenziale carsico di una terra insediata fin dall’epoca Micenea Alberto DI FABIO, Giorgio Antonio MARINELLI, Daniele FERRANTI 30 INDONESIA - Seram. L’isola dei fiumi perduti Andrea BENASSI, Thomas PASQUINI 34 PROGETTI Camminare sui vuoti della Carcaraia Laura PAOLIERI 42 Che aria tira lassù? Ovvero, essenza di un tracciamento aereo al Campo dei Fiori (VA) Gian Domenico CELLA 45 Cassano allo Ionio 2017. Un progetto di ricerca speleo-archeologica Felice LAROCCA 48 Puerto Princesa Underground River (Palawan). Un progetto trentennale di ampio respiro Leonardo PICCINI 50 16 5 24 30
In IV di copertina: Grotta GEA o del Sorell, Capo Caccia, Alghero. Il candore delle
contrasta sul

APPROFONDIMENTI

Morfologie pseudocarsiche tra i ghiacci del Sistema Solare

Sossio DEL PRETE

Creative Commons. Cosa sono e come possono cambiare le creazioni speleologiche.

Un esempio dal Catasto grotte della regione Lombardia Damiano

SPELEOLOGIE

HYPOGEA 2017. In Cappadocia la seconda edizione del Congresso Internazionale di Speleologia in Cavità Artificiali

Esplorazioni profonde al Gorgazzo. Il nuovo racconto dei protagonisti A

2016. Per la prima volta in Abruzzo l’incontro annuale della speleologia italiana

dal 1 al 5 novembre il primo

I temi del Congresso di Biospeleologia in Sardegna, Cagliari 7-9 aprile 2017 Enrico LUNGHI, Manuela MULARGIA, Roberto COGONI, Salvatore

27

1933 - 1 marzo 2017)

3 Speleologia 76 giugno 2017 Vai all’edizione online digitando http://www.speleologiassi.it/76-sommario Il simbolo indica articoli con estensioni linkate a
53
57
MONTRASIO
Mario
61
PARISE
cura della Redazione 62 Strisciando
Alessandra GIURA 64 FinalmenteSpeleo2017,
raduno organizzato
Comitato Organizzativo FinalMenteSpeleo2017 65 Etica, tutela
BUSCHETTU 66 Interventi del Soccorso Speleologico nel 2016 A cura di Lelo PAVANELLO 67 Speleoscienza in Italia 2016 A cura di Jo DE WAELE e Michele SIVELLI 69 Viaggio in Biblioteca 72 Recensioni 74 Biografie Giulio Cappa, chi era costui? (1932-2016) 78
CIGNA Mario Maffi (Cuneo
Anna Ida MAFFI 79 Summary 80 62 34 48 65
in Liguria
e ricerca.
Arrigo A.
settembre

Un mostro chiamato editing*

Durante una recente riunione di redazione, abbiamo provato ad analizzare quali sono le modalità di comunicazione nell’ambito della comunità speleologica italiana. La parola analisi è forse eccessiva, si è scambiata qualche opinione. I social media favoriscono senza dubbio la diffusione delle notizie. Gli sviluppi di un’esplorazione si seguono quasi in diretta, gli obbiettivi sono anticipati. Tutto questo a costo zero. La facilità di comunicare consente di scambiare una notevole quantità di informazioni. Non poche immagini sono realizzate con smartphone e a video rendono benissimo. Ora è possibile una pubblicazione digitale senza il passaggio dell’editore. Un blog, la comunicazione via Telegram, Messenger o WhatsApp, una pagina Facebook, un profilo Instagram consentono di raggiungere immediatamente, e senza mediazioni, un numero molto elevato di interlocutori. Si possono postare parole, immagini, video. Qualche problema subentra se proviamo a valutare la “qualità” della comunicazione, ovvero cosa viene trasmesso. La pellicola costava e obbligava a un utilizzo mirato. Il digitale permette infiniti tentativi. La carta costava e costa. Scrivere su carta significava e significa scegliere, rivedere, tagliare. Per chi è abituato a comunicare sul web, in proprio, l’idea di una redazione che vaglia, valuta, consigli, rimanda, sollecita… risulta strana.

Se una foto ha avuto 150 “Like” perché non va bene per Speleologia? Se ho descritto l’esplorazione nei minimi dettagli e ho avuto commenti entusiasti, perché mi si dice che non si capisce esattamente cosa ho fatto e dove? Le questioni sono comprensibili, perché la capacità di trovare e percorrere ambienti inesplorati non sempre si accompagna alla capacità di acquisire, restituire e condividere dati. I dati non sono solo le misure del rilievo, la topografia. I dati sono il “racconto” della grotta. L’immagine è la descrizione di ciò che circonda il vuoto percorso. La narrazione delle peculiarità. E tutto questo, pensando che sia comprensibile a chi è lontano dallo spazio dell’azione. E comprensibile a chi leggerà tra molti anni. E il tutto deve essere coerente con l’identità di Speleologia e di SiR, Speleologia in Rete, ovvero l’estensione sul web. Tutto sommato, sembrerebbe semplice. Invece di rappresentarsi, di comunicare con chi già sa, si compie lo sforzo di allargare il proprio pubblico. Sforzo che permette di lasciare un segno, di creare memoria. Uno dei limiti oggettivi della narrazione speleologica è che la narrazione stessa non può essere che degli stessi attori. In pratica, ogni articolo ha, spesso, una forte valenza autobiografica, che può sconfinare nell’esaltazione della propria esperienza. Nelle esplorazioni complesse si ha il rischio di più narrazioni che non giungono a sintesi.

Perché le prospettive sono molto diverse e sono diversi gli angoli spaziali e temporali. Non di rado, se si esclude la pratica di chi ha consuetudine a riportare, la narrazione degli eventi si aggrappa al già detto o scritto. O di sconfinare nella polemica, nel ricorrere al criptico scientifico o di rincorrere una cosa terribile, lo stile, ovvero la sua simulazione. E questa è una trappola terribile, perché molte frasi o definizioni sul web e nel mondo social “funzionano”. Scritte su carta e non viste a video, sfiorano e oltrepassano il ridicolo. I segreti della Natura. Le viscere della Terra. La speleologia con la Esse maiuscola. Il vuoto si spalancava davanti a noi. Sembrava una scommessa impossibile. L’onore della risalita. Per anni abbiamo inseguito un sogno. Oltre, si vedeva il buio. Un inferno di fango. Il cuore batteva come impazzito. Risalgo frenetico su roccia marcia. Incuranti della frana sovrastante. Un vento incredibile. Insostenibile. Tremendo. Il meandro (il pozzo, la galleria…) sembrava non avere fine. Non credevamo ai nostri occhi. L’incubo era finito. Solo una squadra forte e affiatata poteva. Contro l’invidia e le dicerie. La Storia ci ha dato ragione. Un sogno avverato. Oltre ogni umano limite. Una volontà incrollabile. Si presentò un ambiente enorme. Le diramazioni erano infinite. Il rumore dell’acqua era assordante. Un senso di grandiosa solitudine. Eravamo piccoli di fronte all’immenso. Quali altre sorprese ci riserverà? Siamo sicuri di avere detto la parola fine? Le corde erano finite. Con uno sforzo sovrumano (?)

È possibile ovviare a tutto questo? Se rispondessimo no, diventerebbe inutile questo editoriale di redazione. E’ difficile, ma non impossibile. Innanzitutto dobbiamo considerare che per fare un’esplorazione e per creare un articolo si richiedono attitudini non sempre presenti nelle stesse persone. Oltre alla correttezza grammaticale e sintattica serve scrivere per informare, trasmettere ad altri. Non serve scegliere chi scrive bene, perché di solito per chi “scrive bene” si intende chi ricorre proprio alle frasi fatte, [al colore ?], che sono il contrario del raccontare. Serve confrontarsi con chi sa comunicare in maniera piana ed efficace. Lo stesso vale per la fotografia. Pubblicare per la stampa significa mettere insieme conoscenza, visione e tecnica. Una parte della grotta, fotografata o ripresa in video professionalmente, può dare l’idea dell’insieme, evidenziare morfologia, esaltare speleotemi, sottolineare la genesi e lo sviluppo di quel particolare vuoto. Dobbiamo imparare a portare gli altri nei mondi nuovi, migliorando tecniche e aggiornando linguaggi. Coinvolgendo specifiche competenze. E accettando la figura di chi media tra molteplici esigenze. L’editing può non essere un mostro!

4 Speleologia 76 giugno 2017
* Messa a punto redazionale di un testo prima che vada in stampa.

Esplorazioni in Grigna nel 2016 e inizio 2017

Nel corso del 2016, numerose uscite sono state dedicate all’esplorazione delle grotte e alla ricerca di nuovi ingressi in Grigna ed è stato tenuto il consueto campo estivo di due settimane ad agosto.

In Moncodeno, tra le varie novità, è da citare l’esplorazione della Grotta delle Condotte Freatiche (LO 1739) che raggiunge il mezzo chilometro di sviluppo. La cavità presenta consistenti accumuli di ghiaccio e quattro ingressi percorribili, di cui due trovati dall’interno rimuovendo delle frane. La grotta ha stranamente un andamento piuttosto orizzontale.

Sulla parete del Sasso dei Carbonari, dopo essere scesi in corda per una settantina di metri dalla ferrata, a una notevole distanza a piedi dal rifugio Bogani, è stato esplorato il Pozzo nella Parete Sbagliata (LO 5468) dove sono stati raggiunti i -130 m. Rimane ancora da scendere un pozzo laterale. L’interesse di questa cavità è dovuto al fatto che presenta una forte circolazione d’aria e si apre su un versante della montagna a oggi ancora poco ispezionato a causa della sua ripidità.

All’Abisso delle Spade (LO 1648) è stato esplorato un nuovo ramo che da -600 m conduce a -740 m, dove hanno inizio degli stretti cunicoli freatici ben ventilati e mol-

to fangosi fermi su un saltino. Un’altra via a -700 m, ben più promettente, per ora è stata tralasciata.

A W Le Donne (LO 1936), oltre alla sistemazione dei campi base, sostituzione delle corde e stesa parziale del cavo telefonico, si è proceduto allo svuotamento del sifone di -1150 m, oltre il quale la cavità proseguiva (esplorazione effettuata nel 2012 dallo speleosub Davide Corengia di InGrigna!) ed era ferma su un grosso pozzo. Dopo due campi interni si è finalmente riusciti ad abbassare il livello del sifone e passare senza bombole. Un traverso ha permesso l’esplorazione di gallerie, finalmente ampie, denominate Autostrada del Sole. Per ora sono stati rilevati circa 700 m, anche se ne sono stati esplorati almeno altri 400/500 m. L’ambiente si presenta assai complesso, con diverse vie ferme per mancanza di materiali e di tempo, tra cui un pozzo su una grossa forra a -1260 m circa. Al Pozzo nel Dito (LO 1967) sono proseguite le esplorazioni e dai -200 m si è passati a -508 m, grazie anche alla discesa di un enorme pozzo di 106 m. Rimangono ancora numerosi pozzi da scendere in varie zone della grotta. Purtroppo la cavità presenta numerose strettoie che rendono la progressione particolarmente lunga e faticosa. Sebbene la grotta sia situata in prossimità del Complesso del Releccio “A. Bini”, al momento sembra prendere un’altra strada. Tuttavia la fortissima circolazione d’aria non lascia dubbi sulle potenzialità di questa grotta. Lo scavo alla base del primo pozzo di 10 m del Pozzo sotto il Sentiero per la Piancafor-

mia, alias Pozzo del Bambino (LO 5377), a breve distanza dal rifugio Bogani, ha permesso di accedere a una nuova importante grotta, per ora esplorata con grossi pozzi sino a oltre -230 m. Rimangono ancora diverse vie da indagare.

Nel versante sopra Pasturo sono state esplorate diverse grotte nel conglomerato di cui quattro con circa 50 m di sviluppo. Analogamente anche nelle altre zone della Grigna sono state effettuate svariate uscite di ricerca e sono state scoperte ed esplorate oltre venticinque nuove grotte e revisionate diverse cavità già note. Il raggiungimento di una delle nuove grotte (LO 5718) è stato particolarmente difficoltoso perché sono stati utilizzati circa 400 m di corda per attrezzare la grossa parete Sud del Palone ove era presente il ben evidente ingresso.

Nella zona sopra Lierna si è riusciti a superare l’ostruzione di una breve condotta (Grotta del Ragno Gigante, LO 5691) e si è avuto accesso a una complessa serie di cunicoli esplorati per una settantina di metri. L’interesse di questa grotticella è dovuto al fatto che presenta antiche tracce dell’attività dell’uomo per l’estrazione di ferro (presenza

In alto: l’aerea calata in parete che ha richiesto circa 400 m di corde per il raggiungimento di un ingresso sulla parete Sud del Palone. (Foto Marco Corvi).

A fianco: l’entrata della 1739 LO, grotta che ci ha regalato 500 m di esplorazione. (Foto Andrea Maconi)

SGUARDI SUL BUIO 5 Speleologia 76 giugno 2017
LOMBARDIA

di muretti a secco ormai completamente concrezionati); appare veramente incredibile la scomodità dei luoghi nei quali veniva condotta l’attività estrattiva del minerale! Tutte le cavità sono state rilevate, documentate e gli aggiornamenti sono confluiti all’interno del database Tu.Pa.Ca. gestito dalla F.S. Lombarda.

Infine nel mese di ottobre 2016 si è proceduto, in collaborazione con la Federazione Speleologica Lombarda, Comunità Montana Valsassina, Parco della Grigna Settentrionale, Comune - Protezione Civile di Pasturo, GEV, alla pulizia di alcune grotte situate in località Brunino, comune di Pasturo (LC), dalle quali è stato estratto un considerevole volume di rifiuti (alcune tonnellate).

Alle ultime attività hanno partecipato i seguenti gruppi: Cani Sciolti, G.G. Busto Arsizio, G.G. Gallarate, G.G. Milano, G.G. Novara, G.G. Saronno, G.R.C. Putignano, G.S. Alpi Marittime, G.S. Lecchese, G.S. CAI Napoli- G. S. Natura Esplora, G.S. Le Nottole, G.S.L. ‘Ndronico, G.S. Orvieto, G.S. Pisa, G.S. Ribaldone, G.S. Ruvese, G.S. Siracusano, S.C.Erba, S.C. CAI Romano di Lombardia e S.C. Orobico. Si ringraziano i gestori del Rifugio Bogani e tutto lo staff per la calda ospitalità e il supporto logistico fornito, la ditta Sicurlive (http://www.sicurlivegroup.it/) per la donazione di maglie rapide, la ditta Norda per la fornitura di bottiglie d’acqua, la ditta BCB Borse di Robbiate (LC) per la fornitura di sacchi speleo, la ditta Kong per la fornitura di materiale a prezzi scontati, il Sig. Mauro Piantini per la fornitura delle manichette per la pompa.

Andrea MACONI - G.G. Milano (Progetto InGrigna!)

Durante le fasi di pulizia dai rifiuti del Pozzo Pandora LO 5141 a Brunino: è stata recuperata persino una vasca da bagno. (Foto Andrea Ferrario)

Oltre alla Grigna, consueta meta di ricerca, le attività di quest’anno sono state estese, seppure molto più sporadicamente, anche al settore dei Piani di Bobbio – Piani di Artavaggio nelle zone basse e dello Zucco Maesimo, dove sono state esplorate solo quattro brevi cavità.

Altre modeste grotte sono state poi esplorate alle pendici del Monte Due Mani. Sebbene la loro origine sia tettonica, in alcune di esse si riscontra la presenza di concrezioni calcitiche. Le prospettive di esplorazione sono legate all’esistenza di moderate circolazioni d’aria all’interno di alcune cavità. Tuttavia la natura conglomeratica e la locale precarietà delle rocce limitano le possibilità di sviluppi significativi.

Le ricerche nella vicina Val San Martino, invece, hanno consentito il reperimento di una nuova grotta a Torre de’ Busi. La cavità, il cui nome locale è Fùren Bass (LO 8042), sembra essere un’antica sorgente, forse afferente al sistema carsico della Fonte Ovrena (LO 1138), la cui portata media di 50 l/s indica la presenza di un reticolo di drenaggio piuttosto esteso e con potenzialità ancora tutte da scoprire. Difatti fino ad ora nella zona bassa di alimentazione della sorgente non erano presenti cavità significative, mentre solo nel-

In alto: tratto di cunicolo di collegamento tra i due principali ambienti del Fùren Bass (Foto Andrea Maconi)

In basso: la galleria del Fùren Bass a una trentina di metri dall’entrata. (Foto Francesco Merisio)

la zona alta del Monte Tesoro (circa 950 m di quota più in alto dell’Ovrena) sono situate numerose grotte, seppure quasi tutte con sviluppo modesto.

Il Fùren Bass presenta interessanti forme di erosione selettiva negli strati verticali di maiolica e ambienti piuttosto ampi, chiari in-

6 Speleologia 76 giugno 2017 SGUARDI SUL BUIO
Non solo Grigna Esplorazioni in altre aree della provincia di Lecco

dici dell’importanza di questa grotta. Dopo la grossa galleria iniziale si ha un reticolo di gallerie in leggera discesa con alcuni approfondimenti di origine più recente e con andamento piuttosto complesso. Il fondo della grotta è totalmente intasato da sedimenti, seppure sia verosimile che la cavità prosegua oltre questo punto. Un ramo in risalita invece conduce, dopo due arrampicate, su altre condotte parzialmente riempite da sedimenti e con andamento complesso.

Lo sviluppo rilevato assomma a oggi a 175 m per un dislivello totale di 32 m.

Un’altra zona presa in esame è quella sopra il paese di Erve, dove al momento erano presenti solo poche grotte, seppure sia verosimile ritenere che ve ne sia un numero ben maggiore. Difatti sono già state identificate ed esplorate una quindicina di grotte nuove, tutte di sviluppo modesto. Alcune di esse risultano parzialmente rimaneggiate dall’attività dell’uomo per l’estrazione probabilmente di ferro in epoche remote.

Infine altre piccole grotte sono state scoperte nella vicina Valle Imagna sopra Ca’ Pietrobelli a Bedulita

Le esplorazioni sono state condotte dal G.G. Milano, S.C. Erba e S.C. Orobico.

La Grotta dei Fulmini Monte Campo dei Fiori - VA

Il Monte Campo dei Fiori è un piccolo massiccio calcareo che domina da nord la città di Varese e l’omonimo lago e costituisce una delle principali aree carsiche della Lombardia, ospitando molte cavità, tra cui il complesso ipogeo dell’Alta Valle della Stretta formato dalle grotte G.V. Schiaparelli, Via col Vento e Cima Paradiso, al quarto posto regionale in termini di profondità (- 714 m) e con uno sviluppo complessivo di circa 10 km.

Il complesso montuoso è interamente contenuto entro il Parco Regionale Campo dei Fiori, costituito nel 1984, occupante circa 63 km2, ed è formato per la quasi totalità da rocce carbonatiche, essendo allungato in direzione est-ovest (per 8 km circa). Esso presenta un versante nord in buona parte scosceso, soprattutto nel settore sommitale, con diverse pareti rocciose verticali, mentre il versante sud digrada più dolcemente verso il Lago di Varese e contiene la gran parte delle grotte

presenti. In totale si contano oltre 130 cavità, per uno sviluppo complessivo di oltre 40 km. La montagna presenta due vette principali, Cima Trigonometrica e Cima Paradiso (quest’ultima sede dalla Cittadella delle Scienze e dell’Osservatorio Astronomico) entrambe quotate 1226 m s.l.m. Quest’ultima vetta riveste particolare importanza speleologica poiché sotto di essa si sviluppa il complesso ipogeo dell’Alta Valle della Stretta, accanto a un’elevata concentrazione d’importanti cavità, nonché un nuovo sistema ipogeo che apre a possibili future prospettive interessanti: la Grotta dei Fulmini. Essa trae il nome dal fatto di aprirsi poco sotto la Stazione Fulmini dell’Osservatorio Astronomico, ove si registrano e studiano tali fenomeni meteorologici, ed ha visto recenti lavori di disostruzione ed esplorazioni effettuati dal Gruppo Grotte CAI Carnago e dal Gruppo Speleologico Prealpino, coordinati da Guglielmo Ronaghi.

Tutto inizia nell’inverno 1993-94, con il rinvenimento, da parte di Gian Paolo Rivolta, di una minuscola fenditura soffiante aria calda (e quindi bocca meteoalta “calda”), prossima a ipogei già allora importanti. La fessura dista meno di 400 m in linea d’aria dall’ingresso della grotta G.V. Schiaparelli, pur senza apparire direttamente collegata con essa, secondo prove con traccianti aeriformi effettuate sugli ipogei dell’areale sottostante (vedi anche articolo a pag. 45-47, ndr).

All’allargamento dell’ingresso seguirono lunghi e duri lavori per proseguire oltre successive strettoie in roccia, ma che furono poi abbandonati di fronte a una pericolosa frana che occludeva la via principale. Meno di due

anni fa, la frana fu superata, seppure attraverso un passaggio molto precario, trovando un’importante prosecuzione con un pozzo da 60 m e una sottostante galleria. La gioia per la scoperta fu però di brevissima durata, perché bastò una pioggia per provocare un crollo di massi con la chiusura della via. A ogni disostruzione parziale seguiva, poi, un nuovo crollo dall’alto, a seguito di piogge, insomma un lavoro di Sisifo, vanificato ogni volta, che condusse ad abbandonare definitivamente tale percorso. Attraverso cunicoli subparalleli, adiacenti alla frana, si è finalmente riusciti a reperire una nuova via che ha portato direttamente alla galleria sotto il pozzo da 60 m. Questa imponente galleria, dominata dal pozzo rimasto isolato dall’alto, è caratterizzata da un’evidente faglia e si raggiunge ora attraverso una “scala” naturale rocciosa. Tali ambienti di fondo (a – 110 m di profondità dall’ingresso) segnano il passaggio litologico dal Calcare Selcifero Lombardo alla Dolomia a Conchodon, con un orizzonte fossilifero, e mostrano due diverse prosecuzioni, per ora impercorribili per le strette dimensioni, con un’importante circolazione d’aria e i segni di un forte deflusso idrico a seguito di piogge. Attualmente sono in corso lavori di messa in sicurezza del nuovo percorso, che si ritengono indispensabili per poi procedere ad aprire quelle strettoie che, si spera, portino a importanti prosecuzioni.

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Speleologico Prealpino In alto: la Sala dello Specchio a -110 metri. (Foto Guglielmo Ronaghi)

Val Giongo Project (Bergamo)

L’idea di rivisitare cavità a catasto ormai da anni, non lontano da casa (Bergamo), e che potessero impegnare i bene intenzionati anche solo per qualche ora al giorno ha dato i frutti migliori in Val Giongo. Si tratta, questa, di una valle laterale della Val Brembana, parzialmente ricompresa nel Parco dei Colli di Bergamo, città dalla quale dista una ventina di minuti in macchina.

I sorprendenti risultati esplorativi ottenuti fin dalle prime uscite, hanno portato un gruppo di amici appartenenti a gruppi speleologici locali a definire una vera e propria area di ricerca nella bassa Val Giongo ampia circa 5 km2 da affrontare con l’esperienza, l’entusiasmo dei più giovani e le competenze presenti nel gruppo. A poco più di un anno dalle prime uscite, i risultati più importanti sono stati: il superamento di un sifone al Fontanú (LOBG 1092) che ha portato il limite della grotta dai 28 m conosciuti sino a quel momento a quasi 500 m, il superamento del primo sifone alla sorgente Prodizza (LOBG 3641), che da 70 m è ora di 150 m circa, la revisione con ulteriori novità della Tamba di Val Giongo (LOBG 1080), ma soprattutto la scoperta di Giubilea, visitata anni addietro da locali per i primi 20 m e poi sepolta sotto metri di detrito che ne ha reso invisibile l’ingresso per decenni. La riscoperta della grotta, avvenuta grazie a uno scavo condotto nel

dicembre del 2016 proprio grazie alle indicazioni di chi l’aveva “seppellita”, ha dato sino a questo momento risultati insperati permettendoci di superare il chilometro di sviluppo in questi primi mesi di esplorazione. A questi tre “gioielli”, vanno aggiunte le numerose cavità della zona in cui, grazie all’attività di ricerca e scavo, sono state aggiunte decine di metri di sviluppo, oltre ad una decina di grotte nuove, con estensione per ora ridotta e non ancora accatastate.

Da un punto di vista geologico l’area in esame è caratterizzata dalla presenza di una sequenza di età giurassico-cretacica in cui le formazioni che accolgono le grotte di maggiori dimensioni sono: la Maiolica (Fontanú e Tamba di Val Giongo) e il “Sass de la Luna” (Giubilea). Per meglio dettagliare l’assetto geologico strutturale dell’intera area in esame, è in corso un rilevamento geologico di superficie dal quale ci si attende un’integrazione del quadro conoscitivo del sottosuolo fin qui acquisito e magari nuovi spunti esplorativi. Inoltre è in corso il rilievo digitale di tutte le grotte rientranti nel progetto mediante distanziometro laser. Per dare un’identità specifica alla ricerca si è costituito un nuovo sodalizio, il “Val Giongo Project”, promosso attualmente da due gruppi speleologici bergamaschi: il Gruppo Speleologico Valle Imagna e Progetto Sebino, ma è aperta la possibilità a tutti gli interessati di partecipare e contribuire alle ricerche, i cui sviluppi futuri, oltre alla documentazione speleologica, sono legati alla sensibilità delle

amministrazioni interessate che attualmente sono: il Parco dei Colli di Bergamo, i comuni sul territorio e la Provincia di Bergamo. Per eventuali contatti: Roberto e Giacomo Cerretti (cerrocerre@gmail.com), Claudio Forcella (claude@alice.it)

VENETO

Sul Monte Baldo piccole grotte crescono

Il Gruppo Attività Speleologica Veronese negli ultimi anni ha privilegiato la ricerca sul massiccio del Monte Baldo (Prealpi Venete – Provincia di Verona), ottenendo risultati incoraggianti in una zona che, nonostante le sue grandi potenzialità, non ha ancora regalato il “grande complesso”. Le esplorazioni si sono concentrate nel Bus delle Taccole (attualmente la più profonda cavità baldense), all’Abisso RH9, al Buco di Punta Ciusole e al nuovissimo Buco della Costabella, meglio noto come Dieischisé (Ditaschiacciate).

Buco di Punta Ciusole 7659 VVR

La grotta, già in catasto, si apre alla base delle pareti della Pala delle Ciusole a 1150 metri di quota. Dopo poche decine di metri dall’ingresso la cavità presentava una fessura che lasciava immaginare la presenza di un nuovo pozzo. Dopo qualche uscita dedicata al suo allargamento, si è riusciti a forzare la fessura che immette su un pozzo inclinato che segue la direzione e l’inclinazione degli strati dei Calcari Oolitici medio-giurassici. Oltre, una spaccatura permette di raggiungere un saltino di pochi metri che termina in un deposito di fango biancastro. Un piccolo salto parallelo ha la stessa terminazione, apparentemente senza ulteriori speranze di prosecuzione. Nonostante lo sviluppo modesto (80 m) la grotta risulta molto interessante per la sua posizione rispetto alla risorgente del fiume Aril, la principale del versante occidentale.

Abisso RH9 5568 VVR

La grotta, che si apre al Cavallo di Novezza, sul versante orientale del Monte Baldo, si sviluppa interamente nel Calcare di Nago (Eo-

8 Speleologia 76 giugno 2017 SGUARDI SUL BUIO
www.speleologiassi.it/76-val-giongo SPELEOLOGIA ALLE PORTE DI BERGAMO
A fianco: la grotta Giubilea rappresenta la novità esplorativa di maggior rilievo dell’area della Val Giongo. (Foto Nicola Belotti)

Buco della Costabella (Dieischisè)

Brenzone - Monte Baldo

WGS 84: 0640979

5061119

1770 m s.l.m.

punto, tuttavia le dimensioni del pozzo e delle gallerie, inconsuete per il Monte Baldo, fanno ben sperare in uno sviluppo maggiore dell’attuale.

Bus delle Taccole 425 VVR

In questa storica cavità del Monte Baldo si sono svolte alcune recenti rivisitazioni in collaborazione con gli speleologi del GAM di Verona. Vi si accede da più ingressi; quello inferiore è costituito da una grande frattura alta una ventina di metri e larga la metà che immette attraverso uno scivolo detritico in un pozzo di 65 metri, del diametro abbastanza regolare di 7-8. La base si allarga notevolmente ed è ingombra da un grande accumulo di glacionevato di spessore non quantificabile (almeno 40 metri) che divide in due il pozzo e maschera gran parte delle pareti; fra queste e la massa glaciale, in direzione nord, è stato possibile scendere al momento solo una ventina di metri.

Rilievo GASV 2016

cene medio-superiore). L’individuazione di una finestra sul secondo pozzo della grotta ha portato alla scoperta del ramo “Gli Amici del Birraio”, costituito da una serie di pozzetti e stretti passaggi in cui si è lavorato per mesi. L’esplorazione è nuovamente ferma su uno stretto meandro con una notevole corrente d’aria. Complessivamente la cavità ha un’estensione di 225 m e una profondità di 90 m, che la colloca al terzo posto tra le grotte del Monte Baldo. Anche il nuovo ramo si sviluppa parallelamente a quello principale, lungo evidenti discontinuità tettoniche a elevata inclinazione e con andamento E-O.

Buco della Costabella (Dieischisè)

La grotta, scoperta da Franco Malizia durante una ricognizione scialpinistica, si apre sul versante occidentale, poco a nord del Baito delle Buse, sulla grande gobba della Costabella. Una piccola apertura tra i mughi immette in un pozzetto di circa quattro metri e alla base un passaggio sulla sinistra si approfondisce seguendo un meandro tra alcuni massi di frana, fino a un saltino di pochi metri. Alla base, una sala dal soffitto regolare porta a un ampio pozzo di 23 metri, le cui pareti sono costellate di noduli di selce scura che contrastano con il nocciola delle bancate di Calcari Oolitici, la formazione del

Giurassico medio in cui si sviluppa la grotta. Alla base del pozzo, una finestra e un saltino di qualche metro danno accesso a una bella forra che scende seguendo sia l’inclinazione degli strati (15-20 gradi) che la loro direzione (270-280 W) per oltre 40 metri e si arresta in un vano più ampio, in parte ostruito da una frana. Le esplorazioni sono ferme in questo

Esplorata la prima volta nel 1957 dal GES Falchi di Verona è senza dubbio la più interessante grotta del Monte Baldo. Situata a 1818 metri di quota, quasi sulla verticale della risorgenza del Fiume Aril (500 litri/secondo di media con punte di 3.500, 68 metri di quota) ha un potenziale da record ma purtroppo, fino ad oggi, i tentativi di scendere oltre il potente tappo di ghiaccio sono risultati vani.

Ci si prepara a entrare in Dieischisé. Sullo sfondo la valle di Prada, il promontorio di San Vigilio e il basso Garda. (Foto Franco Malizia)

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“Un buco nell’acqua” a Dobra Picka - Monte Canin

Dobra Picka è una grotta facente parte del Complesso del Foran del Muss sul Monte Canin.

È il 26 luglio 1996 quando Gianni Benedetti e Moreno Dorigo iniziano le prime battute di rilievo in questa fantastica cavità. La grotta è stata da poco scoperta dallo stesso Moreno con Giacomo Zamparo, ma la forte corrente d’aria che investe il sottostante sentiero doveva aver già infreddolito diversi escursionisti.

Le esplorazioni proseguono a ritmo serrato fino al 2000, delineando la grande ossatura sulla quale, in seguito, si sono innestati i maggiori abissi del Complesso del Foran del Muss: Comici, Mornig, Kropka Piec.

Il 18 marzo 2000 si tocca un fondo, portando il sistema a superare i 1100 m di profondità, primo meno mille in Friuli Venezia Giulia. Nel 2002, da un altro fondo a 1097 m di quota, arrampicando lungo delle risalite per quasi 300 m di dislivello, s’intercetta una lunga condotta fossile, terminante su sifone: un sifone pensile a 1264 metri di quota. Si decide quindi di provare a ritornare in inverno, quando le condizioni idriche interne possono favorire il parziale svuotamento del passaggio sifonante.

Nel febbraio del 2012 nel corso di un campo interno per continuare le esplorazioni lungo le risalite, si controlla il sifone e si osserva che il livello dell’acqua si è abbassato di diversi metri, lasciando passare una furiosa corrente d’aria che increspa la superficie del laghetto. Si decide allora di ritornare con l’attrezzatura adeguata!

Marzo 2013. Dato il periodo di secca, viene organizzato un campo interno di tre giorni per tentare il superamento: purtroppo il sifone in quest’occasione è chiuso. Un altro tentativo, nell’aprile del 2015, si blocca a pochi metri dall’ingresso, completamente ostruito dal ghiaccio. Con un altro campo interno di tre giorni, nel marzo del 2016, si raggiunge nuovamente il sifone ma il livello dell’acqua non ne permette il superamento. A gennaio del 2017 un nuovo tentativo va a vuoto a causa dell’abbondante innevamento che costa agli speleologi sette ore di marcia per l’avvicinamento alla grotta. Nel febbraio dello stesso anno, si ritorna per i soliti tre giorni di campo interno; finalmente il sifone risulta aperto e, con l’ausilio di una muta stagna, si supera il tratto allagato. Vengono esplorati 500 m di nuove condotte ventose e parzialmente allagate, ma rilevate solo per un breve tratto. Inoltre s’intercettano diversi arrivi, che sembrano puntare verso l’esterno o verso la vicinissima grotta Rotule Spezzate (5561 RE): il collegamento sembra ormai vicinissimo! Sfruttando la siccità invernale, si ritorna nel mese successivo per concludere le esplorazioni e terminare i rilievi. Due speleologi,

Alessandro Mosetti del Gruppo Triestino

Speleologi e Sebastiano Taucer del Gruppo Speleologico San Giusto, attrezzati con muta stagna, superano il lago ed esplorano rilevando i rami post sifone. Purtroppo si constata che tutte le possibilità di prosecuzione si bloccano di fronte a fessure impraticabili con forte corrente d’aria e arrivi d’acqua, da uno dei quali deve provenire il teschio di un piccolo camoscio.

La caparbietà e la costanza nel tentare il superamento del sifone sono dovute al fatto che sembrava a portata di mano il collegamento tra il Complesso del Foran del Muss e il Complesso del Col delle Erbe. L’unione di questi due grandi sistemi porterebbe a un’unica cavità di oltre 70 chilometri di sviluppo. In Dobra P infatti le gallerie pre e post sifone sembrano far parte morfologicamente del sistema di Casera Goriuda (Grotta Rotule Spezzate), che è parte del Complesso del Col delle Erbe. Ogni uscita ha visto la partecipazione di tanti amici che hanno aiutato nel trasporto dei materiali. A loro un grosso ringraziamento.

TOSCANA

La Buca del Basilisco in Val di Lima (Lucca)

L’area carsica della Val di Lima si trova nella Toscana settentrionale, in una porzione del territorio appenninico della provincia di Lucca, al confine con quella di Pistoia. Il torrente da cui prende nome, la Lima, tra le località Tana a Termini e Astracaccio, attraversa il cosiddetto “Nucleo mesozoico della Val di Lima”, costituito da dolomie, calcari, calcari selciferi e marne che affiorano a partire dallo stretto fondovalle, fino agli impervi rilievi sommitali che sovrastano il torrente.

Le cime più rilevanti sono il Monte Memoriante (1149 m s.l.m.) e la Penna di Lucchio (1176 m s.l.m.) a sud; il Balzo Nero (1313 m s.l.m.) e Monte Prato Fiorito (1284 m s.l.m.) a nord. Il territorio racchiuso fra questi rilievi è caratterizzato da profonde gole e da fenomeni carsici di vario tipo, fra cui spiccano grotte-sorgente e caverne dagli ampi portali. Nella seconda metà dello scorso novembre (2016), nella porzione più meridionale

10 Speleologia 76 giugno 2017 SGUARDI SUL BUIO
Alessandro MOSETTI - Gruppo Triestino Speleologi
www.speleologiassi.it/76-dobra-picka-2016 www.speleologiassi.it/76-dobra-picka-2017 ENTRIAMO IN DOBRA PICKA
Le grandi condotte inclinate di Dobra P prima del bivio per il fondo, che portano verso la base delle risalite. (Foto Alessandro Mosetti)

dell’area, sotto le pendici della Penna di Lucchio, un tratto del Fosso Scuro, torrente solitamente senza scorrimento superficiale, è collassato mostrando l’apertura di una cavità carsica.

L’episodio si è verificato dopo un evento climatico eccezionale (piogge molto abbondanti e concentrate), ma non sono state condotte indagini approfondite per stabilire quale sia stata la causa ultima che ha portato a questo crollo.

Grazie all’ampiezza dello scivolo iniziale, lungo ed esteso una decina di metri, la cavità è riuscita ad recepire buona parte del materiale risultato dal cedimento. Il resto è un ampio pozzo/sala che purtroppo termina in un tappo di fango dopo una ventina di metri. La peculiarità della grotta è data soprattutto dal suo ritrovamento, avvenuto in seguito a un fenomeno di cui conosciamo l’esistenza (come l’apertura di una cavità in seguito al crollo della volta, con conseguente formazione di una dolina come forma carsica superficiale), ma che può risultare raro vedere nel corso di un periodo di studio anche decennale, soprattutto in aree con carsismo propriamente detto, in rocce carbonatiche. La grotta è stata denominata “Buca del Basilisco” (T-LU 2123) dall’antica denominazione con cui i vecchi abitanti indicano il luogo in cui si è aperta la cavità; denominazione di cui però non rimane traccia nella cartografia moderna. La figura mitologica del Basilisco (il “re dei serpenti” che, si diceva, dava la morte con lo sguardo) è associata in Toscana a

fossi, campi e foreste. Lo stesso basilisco è stato inoltre adottato come stemma del vicino paese di Pontito, nella Svizzera Pesciatina. È grazie a Alessandro Necciari e Carlo Messina che ho avuto questa segnalazione, e per questo desidero ringraziarli.

ABRUZZO

Novità dal Pozzo dei Tre Portoni (Majella, CH)

Durante l’ultimo campo estivo in Majella, organizzato dallo Spelo Club Chieti e dal GS CAI Fabriano, i lavori di scavo nel Pozzo dei Tre Portoni (A 0046) hanno finalmente portato a degli ottimi risultati. Dopo anni spesi per superare una zona della grotta particolarmente instabile, tra freddi meandri, frane sospese e laminatoi bagnati, il superamento di un’ennesima frana ha dato accesso a una serie di pozzi che scendono sino a una profondità di circa 300 m. Le dimensioni e le morfologie di questi nuovi ambienti, uniti allo scorrimento idrico e alla circolazione di aria, fanno sperare che questa possa essere finalmente la via giusta per accedere alle parti più profonde del sistema carsico della Majella.

Le potenzialità della grotta sono enormi: il fondo si trova alla quota di 2330 m s.l.m., mentre le sorgenti a quote inferiori ai 500 m s.l.m. Le esplorazioni sono per ora ferme alla base di un salto di 5 m, dove l’ennesima frana ostacola il passaggio ma, la volta di un meandro lascia intravedere l’ovvia prosecuzione… Torneremo appena le condizioni meteo lo permetteranno.

11 Speleologia 76 giugno 2017
MARIANI Abisso Luigi Bombassei (T1013 - LU) Ingresso della Buca del Basilisco (T-LU 2123). (Foto Giulia Orsini) Ambienti verticali nel Pozzo dei Tre Portoni (A 0046), sulla Majella. (Foto Carlo Olivanti)

Speleosub alla Grotta dell’Auso di Ottati Massiccio degli Alburni

La sorgente Auso è una delle principali sorgenti basali degli Alburni cui afferirebbe uno dei collettori principali di questo massiccio carsico. L’accesso a questo collettore tramite l’esplorazione della Grotta dell’Auso di Ottati (CP31), distante dalla sorgente solo qualche decina di metri, è sempre stato uno dei sogni degli speleologi “alburnini”. Durante i primi tentativi d’immersione, risalenti al 1993, gli speleosub (F. Lo Mastro e R. Onorato) discesero una condotta molto inclinata fino a -17 m di profondità mentre nel 1998

Matteo Diana, Riccardo Malatesta e Giorgio

Caramanna trovarono il passaggio che li condusse a rilevare circa 200 m di parte aerea e a esplorare una cinquantina di metri della parte sommersa, fino alla profondità di trenta metri.

Nell’agosto del 2015, Luca Pedrali e Nadia Bocchi compiono una prima immersione nella grotta ripercorrendo e superando la parte di cavità sommersa già esplorata nel ‘98. Oltrepassano due strettoie (a -43 m e a -62 m) e, da quota -62, Luca risale una condotta alquanto inclinata per circa 150 m, arrestandosi a quota -6 m sulla soglia di un nuovo dislivello negativo (a rilievo 350 m di grotta sommersa).

Nell’agosto 2016, dopo una prima immersione necessaria per posizionare lungo il tragitto le bombole, Luca Pedrali raggiunge

il limite della precedente esplorazione e percorre un lungo condotto che da quota -6 lo conduce, con un continuo sali-scendi, fino a quota -1 m. Qui, oltre uno stretto laminatoio, riesce a intravedere il riflesso di uno specchio d’acqua oltre il quale la grotta continua in ambienti aerei. Purtroppo i tentativi per superare la strettoia sono vani. Durante la terza immersione, Pedrali perlustra un condotto laterale del lungo tratto terminale della grotta che purtroppo si rivela senza via d’uscita e completa il rilievo (in totale 510 m).

La mancanza di correnti nelle acque interne alla grotta in regime estivo, oltre alla mancanza di un gradiente tra la quota delle acque della sorgente Auso e quelle dello specchio d’acqua del vascone d’ingresso della grotta, escludono la possibilità che vi sia

un collegamento diretto tra la sorgente e la parte sommersa della grotta esplorata. Tutto ciò farebbe ritenere che la Grotta dell’Auso di Ottati sia un grosso sifone terminale dal quale l’acqua trabocca soltanto nella stagione invernale comportandosi quindi come troppo pieno della sorgente Auso.

Si ringraziano per il prezioso aiuto gli innumerevoli speleologi che hanno supportato l’esplorazione.

Associazione Interregionale Ricerche Esplorazioni Speleo-Subacquee (AIRES)

A sinistra: ingresso della Grotta dell’Auso di Ottati (cp 31), da cui l’acqua tracima soltanto nei periodi di piena. (Foto Francesco De Robertis)

Sotto: alcuni fermo immagine degli ambienti della Grotta dell’Auso, ripresi durante l’immersione. (Foto Luca Pedrali)

12 Speleologia 76 giugno 2017 SGUARDI SUL BUIO
CAMPANIA
Sezione longitudinale della Grotta dell’Auso di Ottati (CP 31).

Grazie a un’intuizione “archeologica”, seguita da intense campagne di ricerca condotte da un gruppo di speleologi di varie parti d’Italia, la Calabria può vantare la conoscenza di una nuova area carsica oltre a quelle più note dell’Alto crotonese e del M. Pollino (provincia di Cosenza): quella delle Serre Cosentine, posta in Appennino fra le città di Cosenza, Paola e Amantea.

L’area era già nota agli speleologi che, dagli anni ’90 del secolo scorso, avevano esplorato modeste grotte nei territori di Cerisano, Grimaldi, Dipignano, Domanico, Carolei, Mendicino, Falconara Albanese e San Lucido. La Grotta dell’Avis, lunga 40 m, era la cavità più estesa.

Dopo un periodo di stallo nel 2013, grazie a delle ricognizioni archeologiche operate da Carmelo Colelli, emerse che l’area delle Serre Cosentine sarebbe potuta diventare una fra le aree carsiche più importanti della regione. Questa storia inizia quindi nel 2013 quando il Colelli effettua delle prospezioni archeologiche nei boschi della Crocetta dove è colpito dal fatto che diversi torrenti nella zona confluiscono e si buttano, scomparendo, in un grosso e profondo “buco nero”.

Successivamente, in occasione di “Magara 2013” (campo di ricerca e studio speleologi-

co e biospeleologico) viene forzato l’iniziale pseudo-sifone (risultato lungo circa 10 m), ritrovandosi in un’alta e bella galleria che viene percorsa per 300 m e che chiude su sifone (Speleologia, n. 69, p. 61-62).

Durante il campo “Speleo Tour 2015” viene superato anche questo ostacolo, percorrendo centinaia di metri di strette condotte fino a un ennesimo sifone oltre il quale si accede a zone finalmente più ampie. Nell’occasione è redatto un parziale rilievo della grotta. Segue un altro campo a settembre del 2015 cui aderiscono vari gruppi calabro-apulisiculi, dove vengono topografati altri 250 m di gallerie e attuato “puliamo il buio”, una campagna di pulizia degli ambienti ipogei. La grotta si sviluppa in corrispondenza del contatto tra rocce carbonatiche del Miocene, relativamente recenti e con uno spessore medio di circa 40 metri, che poggiano in trasgressione e con una giacitura sub-orizzontale su un basamento cristallino impermeabile. Queste caratteristiche locali hanno imposto una particolare morfologia ipogea, con ampie gallerie con un pavimento in leggerissima pendenza verso ovest che si alternano a piccoli passaggi allagati. La progressione quindi è pericolosa anche durante i periodi secchi! Nel resto dell’anno la grotta è del tutto impraticabile; prova ne sono i numerosi residui organici incastonati nelle volte delle più ampie e alte gallerie.

L’ingresso si apre con una grande caverna in cui penetrano le acque di un piccolo torrente a una quota di circa 880 metri, nella parte più bassa di un vasto polje in pieno crinale appenninico. Nel giro di pochi metri, l’am-

pio antro si trasforma in un basso laminatoio non più alto di 70 cm, quasi del tutto ricolmo d’acqua anche nei periodi di forte siccità. Subito dopo, gli ambienti ridiventano per qualche centinaio di metri ampi.

È in questo tratto che da piccole fessure poste in entrambi i lati della galleria sono presenti due scaturigini da cui esce acqua che incrementa notevolmente la portata del torrente che proviene dall’esterno.

In più punti la galleria piega e man mano si restringe fino a trasformarsi in un basso laminatoio appena percorribile ed è proprio poco oltre un’ennesima strozzatura che l’acqua scompare inghiottita da sottostanti fratture o gallerie.

Da qui in poi e per un bel tratto si striscia attraversando piccole sale in frana e arrivando a un modesto ambiente dove è presente un breve sifone da cui fuoriesce acqua che si insinua in una piccola condotta. Superato il sifone, lungo all’incirca 4-5 m, ci si ritrova in ambienti altrettanto angusti in forte salita da cui scende un rivolo d’acqua proveniente dal sovrastante torrente che scorre poco oltre e che si intercetta dopo pochissimi metri. Da qui gli ambienti sono molto più grandi e più agevoli dei precedenti: da un lato, da dove fuoriesce un torrente d’acqua, è possibile percorrere una bassa galleria di circa 100 m; dalla parte opposta gli ambienti sono decisamente alti. È possibile seguire la corrente per circa 250 m fino a un basso sifone che per ora impedisce il passaggio.

In totale sono stati percorsi circa 850 m di gallerie con un dislivello negativo di appena 26 m, dati che fanno capire il perché di molti tratti allagati.

Oltre all’attività esplorativa, va segnalato il lavoro di recupero di diversi copertoni da camion finiti sottoterra per l’incuria della gente. Recentemente, grazie soprattutto agli speleologi del Gruppo Forre del Tirreno, l’intera area circostante la grotta dell’Apze di Sant’Angelo è divenuta ancora più importante poiché i nuovi ingressi di cavità trovati (sia a pozzo, che a scaturigine) sommati a quelli gìà conosciuti, hanno fatto capire che si tratta di un unico grande sistema idrogeologico, ancora tutto da scoprire… Fra le cavità trovate recentemente, ci piace segnalare la Grotta di Mario e Andrea, dedicata a due nostri carissimi amici recentemente scomparsi.

Gianluca SELLERI, Francesco FERRARO

13 Speleologia 76 giugno 2017
CALABRIA
Apz di Sant’Angelo
Un’importante, e pericolosa, grotta calabrese
Cp 418

Spedizione tedescoamericana trova la grotta più lunga della Cambogia

Negli ultimi giorni del 2016 si è svolta una spedizione internazionale in Cambogia, in un’area dove si registra una vasta presenza di rocce carbonatiche del Permiano e un carso a torri. La zona è ubicata nella provincia di Battambang (Cambogia occidentale), vicino la citta di Sampov Lun, non lontana dal confine con la Thailandia. Due grotte sono state facilmente trovate nei pressi della strada principale, aumentando di circa 1 km il totale di quanto rilevato nella spedizione. Nel gennaio 2017, un piccolo team di speleologi, due tedeschi e tre americani, è tornato nella stessa area per tre settimane. Grazie a eccellenti guide locali sono state individuate ed esplorate 24 nuove grotte; una di queste, la La Ang Phnom Chakrey (la prima rilevata nella spedizione del 2016), è stata esplorata portando la sua lunghezza da 132 m a circa 500.

Molte grotte hanno ingressi verticali e pozzi profondi più di 20 m. In molte cavità sono state asportate tonnellate di sedimenti e guano di chirotteri, utilizzato come fertilizzante.

Sul Phnom Prampi (Phnom significa in lingua Khmer, collina), ci è stata mostrata una grotta chiamata La Ang Khchal, il cui ingresso por-

ta in un’enorme sala in cui gallerie ad andamento labirintico connettono diversi ingressi. Due giorni sono stati necessari per rilevare la grotta che si è poi rivelata la più lunga della Cambogia con uno sviluppo di 1960 m. Nella sala principale della grotta vive una grande colonia di chirotteri che sarebbe il caso di proteggere. Phnom Chakrey è stato il secondo rilievo carbonatico indagato nella spedizione del 2017. Sono state trovate diverse grotte tra cui la Roung Phnom Chakrey 11 (approssimativamente 600 m di sviluppo) costituita da una larga e sinuosa galleria, in alcuni punti molto decorata, che conduce a un secondo ingresso. A causa della mancanza di tempo non abbiamo potuto esplorare altri rilievi carbonatici, ma sicuramente l’area di Sampov Lun sarà oggetto di esplorazioni nel futuro. Nelle provincie di Banteay Meanchey e Odda Meanchey sono state, inoltre, esplorate altre venti nuove grotte, raggiungendo anche il fondo di un pozzo ritrovato nella spedizione del 2016. Generalmente, le grotte di questi rilievi carbonatici sono di dimensioni limitate con la grotta più lunga che raggiunge poco più di 200 m. Alla fine della spedizione (febbraio 2027), tre membri del team hanno fatto tappa nel Phnom Kulen National Park nella provincia di Siem Reap, dove sono state rilevate otto grotte nelle arenarie tra cui una che rappresenta un’attrazione del parco, la Bat Cave, lunga 281 m. Due di queste grotte nelle arenarie presentano dei piccoli corsi d’acqua interni, i primi fiumi sotterranei incontrati in Cambogia.

Complessivamente sono state esplorate 54 nuove grotte e sono state visitate due sorgenti carsiche, raggiungendo circa 7 km complessivi di passaggi sotterranei rilevati. La spedizione ha anche effettuato delle osservazioni biospeleologiche e realizzato un dettagliato report in inglese che è in fase di pubblicazione nei volumi della “Berliner Höhlenkundliche Berichte”.

CINA Guangxi 2017

Il progetto Guangxi 3.0, continuazione dei progetti Fengshan 2012 e Fengshan 2015, è rimasto in stand-by per poco più di un anno prima di poter essere avviato per poi concretizzarsi, infine, con la spedizione “Guangxi 2017”, condotta fra il 9 e il 26 marzo 2017. La spedizione, svoltasi a ritmi frenetici, si è conclusa con 30 km di grotte esplorate in soli 15 giorni di attività; spostamenti locali inclusi!

I primi cinque giorni il team ha fatto base nella piccola città di Jiangzhou, contea di Fengshan. Da lì sono state condotte esplorazioni sia nel complesso di Jiangzhoudong (51 km di sviluppo) sia nel settore di Mouai, situato una quindicina di chilometri più a nord.

Il polje di Mouai è situato a sud-est di Shaowandong, dove nel 2012 e 2015 sono state scoperte le gallerie attive del fiume di Poxin. Il polje si trova al livello della confluenza dell’ipotetico collettore di Jiangzhou con il fiume di Poxin, che riappare poi nella grotta di Maowandong e nella risorgente di Sanmenhai. Le esplorazioni nella grotta di Shendong, principale cavità del settore di Mouai, erano ferme dal 2015 a 4 km dall’ingresso sul collettore principale, davanti a una cascata. Come si sospettava, la grotta finisce su sifone 150 m più avanti. Si sono ottenuti invece migliori risultati a monte del sistema, dove sono stati scoperti 2,5 km di ampie gallerie fossili e sopra la parte finale attiva del complesso, dove sono stati trovati altri 1,5 km di gallerie semiattive e 3 nuovi

In gran parte dell’Estremo Oriente, le grotte rivestono un importante ruolo nella cultura religiosa buddista e spesso costituiscono veri e propri luoghi di residenza dei monaci. Qui l’ingresso di La Ang Phnom Chakrey (Foto Matt Oliphant & Nancy Pistole)

14 Speleologia 76 giugno 2017 SGUARDI SUL BUIO
CAMBOGIA

ingressi. La grotta di Shendong alla fine della campagna 2017 ha uno sviluppo di 8791 m per un dislivello totale di 196 m: il complesso ha 5 ingressi.

Tre giorni sono stati dedicati alla prospezione esterna, parziale, della zona compresa fra Shendong e Luhedong. Sono state visitate 8 grotte. La principale è Heidong, che si sviluppa per 2327 m. Non si è invece riusciti a ritrovare il fiume di Poxin a valle di Shendong. Approfittando della base a Jiangzhou sono state condotte una serie di punte esplorative in Jiangzhoudong, il più grande complesso carsico della contea di Fengshan e di tutto il Guangxi. Il collettore attivo di Jiangzhoudong rimane tuttora in gran parte sconosciuto ma è stato esplorato un primo tratto, purtroppo ridotto, di circa 500 m di fiume, nei pressi dell’ingresso di Daluedong. Due altre punte sono state dedicate al raggiungimento e all’esplorazione di potenziali ingressi superiori del sistema. Il primo è uno spettacolare tiankeng di 300 m di profondità; il secondo un bel pozzo di 80 m. Ambedue sono stati collegati al sistema, risultando essere il 12esimo e 13esimo ingresso del sistema di Jiangzhoudong.

Dal 16 marzo, per i 4 giorni successivi, il team si è spostato a Fengshan per condurre delle esplorazioni lungo il tratto del fiume di Qiaoyin che, dalla città, attraversa il carso in direzione della sorgente di Poyue, situata una trentina di chilometri a sud. Il fiume di Qiaoyin si perde a circa 7 km a sud di Fengshan, riappare poi furtivamente sul

Longtandong si sviluppa per 5,5 km con gallerie fino a 120 m di larghezza e 145 m di altezza.

(Foto Silvia Arrica, SOUs le Karst Exploring Team)

fondo di due grandi doline e sparisce infine definitivamente. Le sue acque risorgono mescolate con le acque del fiume di Poxin a Poyue. Le esplorazioni, condotte su più fronti e sfruttando più ingressi del sistema, hanno permesso di seguire il letto attivo o semi attivo del fiume di Qiaoyin per una lunghezza totale superiore a 8 km tra cui: Anhedong, 2876 m di sviluppo per un dislivello di 141 m, sorgente del primo traforo, percorsa con i canotti per più di 2,5 km; Longtandong, 5576 m di sviluppo e 101 m di dislivello, grandissima grotta semi attiva con gallerie fino a 120 m di larghezza e 145 m di altezza; Wanhedong, 1827 m di sviluppo, sorgente del secondo tratto aperto; Sorgente Q1, 1733 m di sviluppo, sorgente del terzo tratto aperto; Inghiottitoio Q1, 385 m di sviluppo, da esplorare ancora. Approfittando del fatto di avere la base a Fengshan, è stata effettuata anche una esplorazione in Longendong, 1060 m di sviluppo, sorgente di una zona montagnosa situata a nord di Fengshan. A ovest di Sanmenhai è stato disceso, il tiankeng di Nonglé alla base del quale è stata scoperta una delle più grandi sale sotterranee del mondo. La sala, denominata Hong Kong – Hai Ting Chamber, ricopre una superficie di 77 000 m2. Si colloca pertanto nella “top ten” mondiale. Gli ultimi 4 giorni operativi della spedizione sono stati dedicati alla realizzazione di una ricognizione della vicina contea di Donglan, dove sono state esplorate 16 nuove grotte e rilevate

poco più di 8,5 km di gallerie. Tre di queste grotte superano 1 km di sviluppo. È stato anche sceso il tiankeng di Nonghao, 192 m di profondità e parzialmente quello di Ganyan, 414 m di profondità, con un pozzo di 360 m. Durante l’ultimo giorno della spedizione il team ha realizzato anche la congiunzione delle grotte di Paihongdong e Dagoudong, entrambe esplorate da speleologi francesi nel 2016, ottenendo il più importante sistema di Donglan con uno sviluppo di 10,6 km. Le esplorazioni a Donglan sono state seguite da una squadra della televisione nazionale cinese CCTV. In totale il team ha rilevato 29898 m di pozzi, fiumi e gallerie. È stata realizzata un’importante documentazione fotografica e verrà preparato a breve un resoconto completo con tutti i dati raccolti. Buona parte di questi dati saranno inoltre integrati nel catasto delle grotte di Fengshan, in corso di pubblicazione.

La spedizione Guangxi 2017 è stata patrocinata dalla Società Speleologica Italiana, dal Geopark Leye –Fengshan e dalle autorità della contea di Donglan. Hanno partecipato al progetto: Jean Botazzi, Anne Cholin, Marc Faverjon (France), Silvia Arrica, Daniele Battistini, Marco Lunardi, Gianluca Melis, Francesca Onnis, Michele Pazzini, Paola Pierinami, Mimmo Scipioni, Marco Zambelli (Italia), oltre a speleologi cinesi dei gruppi di Hong-Kong, Nanning, Chongqing e Fengshan. Il SouKa team ringrazia i suoi partner, che hanno contributo al successo del progetto: Il Buranchetto, Alta Quota di Roma, Vertigini Sport di Terni, Tecno Bike Terni, Consorzio Servizi Verticali di Narni, Fioretti Fiorello.S.a.S di terni, Hauteur & Sécurité, Viaggi Voltaire, Packrafting Store, Rifugio Donegani.

15 Speleologia 76 giugno 2017
Pisoliti a Gambandong, contea di Donglan. (Foto Silvia Arrica, SOUs le Karst Exploring Team)

Rana-Pisatela a cinque anni dalla giunzione

Sandro SEDRAN

Nella parte più orientale dei Monti Lessini, in Veneto, si estende l’Altopiano del Faedo-Casaron, al cui interno si sviluppa il complesso Rana-Pisatela, compreso interamente nel comune di Monte di Malo.

Questo altopiano carsico ha un estensione di appena 15 km quadrati e confina a est con la pianura padanoveneta, dove si trovano Malo e Schio, a sud con il Comune di Cornedo Vicentino, a ovest con la valle del torrente Agno e la città di Valdagno, mentre a nord è unito con le colline di Monte Magrè, ma il limite è dato dal passo della Contrada Cima.

L’aspetto superficiale dell’altopiano è quello tipico delle colline calcaree di bassa quota, ricoperto da boschi di faggio e castagni e disseminato da innumerevoli doline di dimensioni anche importanti. L’altopiano ha

IL PUNTO DELLE RICERCHE

16 Speleologia 76 giugno 2017
VENETO Rana Pisatela
SUL GRANDE COMPLESSO CARSICO VENETO
Ramo delle Gettate, Pisatela. La partenza della galleria terminale del ramo. Notare lo strato di pavimento sospeso che l’acqua non è riuscita a erodere. (Foto S-Team)

Scarpata orientale dell’altopiano FaedoCasaròn. Alla base della scarpata si trova l’ingresso del Buso della Rana.

(Foto Antonio Danieli)

delle piccole contrade scarsamente abitate, con zone adibite a pascolo che stanno diminuendo sempre di più. Purtroppo è anche un paradiso per i cacciatori di volatili, attività molto in voga tra gli abitanti del circon-

dario e bisogna stare attenti quando ci si muove per i boschi durante la stagione venatoria. Le indicazioni sentieristiche in loco sono sistematicamente eliminate per tenere lontani gli escursionisti dalle innumerevoli postazioni di tiro sparse per i boschi.

Le quote del massiccio calcareo variano dai 780 m s.l.m. del Monte Faedo fino ai recapiti idrogeologici di base, costituiti dal Buso della Rana a 340 m s.l.m. e ai 265 m s.l.m. della Grotta della Poscola.

Cenni geologici

Gli eventi geologici che hanno influito sulla formazione di questo complesso carsico iniziano 45 milioni di anni fa, quando tutta la zona fu interessata dalla più violenta eruzione vulcanica nella storia del Veneto Occidentale che riempì di vulcaniti e basalto tutta la fossa tettonica dell’Alpone-Chiampo. È lo strato di basalto che ha condizionato lo sviluppo carsico successivo. La roccia nera che troviamo in ogni ramo attivo, è uno strato impermeabile che fa da pavimento a tutto il sistema. La sua giacitura poco inclinata ha favorito l’andamento sub-orizzontale della maggior parte delle gallerie, una rarità nel panorama carsico della regione. Il successivo disfacimento fisico-chimico dei depositi vulcanici andò a creare uno strato di marne ricche di fossili, che sono diventate famose nel mondo come lo “strato-tipo” di Priabona (località a sud di Monte di Malo), sezione di riferimento a scala mediterranea. Priaboniano è il nome per indicare quello specifico intervallo dell’Eocene superiore (37-34 milioni di anni fa). Queste marne sono immediatamente riconoscibili in grotta per via dei loro colori vivaci e si presentano molto friabili e scivolose.

Sopra le marne andarono a depositarsi le Calcareniti di Castelgomberto (Oligocene, 34-24 milioni di anni fa) che, fittamente fessurate, hanno favorito lo sviluppo del sistema carsico che oggi conosciamo. In esse sono presenti numerosi fossili marini, spesso visibili lungo le gallerie, come il meraviglioso banco corallino nel Ramo Principale, i numerosi gusci di riccio e i più rari denti di squalo. In questo periodo ci furono ulteriori eruzioni vulcaniche che ritroviamo con la presenza di neck basaltici che attraversano il calcare.

Con l’inizio del Miocene (25 milioni di anni fa) si sovrapposero degli strati di arenaria, oggi completamente erosa, ma che ritroviamo in grotta con piccoli depositi ricchi di dentini di pesci fossili di scogliera mescolati con piccoli ciottoli silicei policromi, che si presentano come perle di quarzo, diaspro, onice e agata.

Le argille plioceniche e pleistoceniche (5-0,01 milioni di anni fa) sono l’ultimo dei componenti che caratterizzano i materiali presenti nel complesso carsico.

Tutta la storia geologica e paleontologica del territorio è stupendamente illustrata nel museo del Centro Studi del Priaboniano, situato naturalmente a Priabona, vicino alla chiesa, visitabile ogni pomeriggio della prima domenica del mese.

Un recente studio ha rivelato che nella genetica delle gallerie del Buso della Pisatela sono intervenute anche forme di corrosione ipogenica, cosa molto probabile

17 Speleologia 76 giugno 2017

vista la storia vulcanica dell’area. L’abbondante presenza di depositi di gesso rappresenta invece il residuo lasciato dall’ossidazione della pirite, processo che concorre nella dissoluzione della roccia. Questo fenomeno spiega il perché le gallerie e le sale della Pisatela sono molto più ampie di quelle della Rana.

Idrologia

L’idrografia interna del complesso Rana-Pisatela è divisa in due corsi d’acqua indipendenti che confluiscono entrambi all’ingresso del Buso della Rana. Dal Ramo Destro dell’Ingresso arriva tutta l’acqua raccolta dal Buso della Pisatela che attraversa il Ramo Nero in Rana e raccoglie gli arrivi dai rami a nord. Tramite il sifone a valle dei Rami di Sala Snoopy, attraversa i Rami attivi dei Sabbioni e, con le piene, si travasa dal Verde nello Scaricatore e arriva all’ingresso.

In realtà parte dell’acqua si travasa anche nel Ramo dei Sassi Mori e, attraverso fessure impraticabili, finisce nel Ramo delle Marmitte e quindi nel corso d’acqua che è raccolto dal Ramo Principale. In esso confluiscono tutti gli altri rami del Buso della Rana. Lo spartiacque si trova approssimativamente lungo la direttiva dei rami Snoopy e Faglia.

In regime di magra le acque non arrivano all’ingresso, ma sono intercettate centinaia di metri più a monte da fessure e condotte impraticabili; riemergono alle sorgenti poste a quote inferiori rispetto all’ingresso della Rana. Durante le piene si attivano sia il Ramo di Destra che il Ramo Principale, convogliando nel torrente Rana alcuni metri cubi al secondo.

Il sistema carsico ha uno scarso potere di trattenimento dell’acqua, dato che si tratta di una rete a dreno dominante. È stato riscontrato che la piena arriva all’ingresso in media dopo circa 6-8 ore dall’inizio della pioggia e defluisce in un tempo poco superiore dal momento in cui smettono le precipitazioni. La conoscenza del regime idrico interno è determinante per non rischiare di restare bloccati all’interno. Sono numerosi i passaggi bassi che si allagano completamente (primo fra tutti il sifone posto a 200 m dall’ingresso) e ci sono vaste zone di lento deflusso che vengono

completamente riempite dall’acqua che sale anche per 6-8 metri di livello (ad es. il Ramo Verde alla confluenza con i Sabbioni). Da osservazioni dirette (da chi è rimasto bloccato dentro!) è stata pure riscontrata un’inversione della direzione della corrente durante le piene. Ad esempio: il Trivio nel Ramo Principale fa da imbuto perché le sezioni delle gallerie si restringono; se arriva troppa acqua questa viene respinta e torna indietro nel Ramo delle Marmitte e nel Principale.

Esplorazioni

In estrema sintesi, questa è la storia delle esplorazioni che ha visto come principali protagonisti i gruppi speleologici “Trevisiol” e “Proteo” di Vicenza, quelli di Malo e Schio e contributi minori dai gruppi di Valstagna, Bassano, Verona e Rovereto.

1887, prima notizia di esplorazione, avvenuta grazie ad una secca eccezionale che ha svuotato il sifone.

1933: inizio ufficiale delle esplorazioni grazie all’abbassamento del livello del sifone in seguito a lavori di approvvigionamento idrico (Ramo Principale).

Anni ’50: esplorazioni sistematiche (Ramo Trevisiol) con realizzazione dei primi studi scientifici culminati nella pubblicazione del 1960.

1969: nel Ramo Attivo di Destra viene superata la frana dopo Sala della Scritta e si apre la fase delle grandi esplorazioni (Rami di Sinistra, Snoopy, Nero, Faglia).

Anni ’70: esplorati anche i rami orientali (Sabbioni, Scaricatore, Sassi Mori). Grandi tempi di permanenza in grotta e conseguente costruzione dei bivacchi. Iniziano le risalite alla ricerca di un’uscita sull’altopiano (Camino Natale ’77, Salti, Giacomelli, Ramo dei “G”, Papesatàn). 1979: Pisatela è lunga solamente 91 m.

Anni ’80: scoperta ed esplorazione del Ramo Nord, ma progressivo abbandono delle esplorazioni interne con l’inizio della ricerca sistematica di una giunzione dall’altopiano.

Anni ’90: viene superato il sifone in fondo al Ramo Nero e viene raggiunta Ultima Spiaggia. Per il resto è “morte” delle esplorazioni interne (solo piccole scoperte), mentre in Pisatela si arriva fino a Sala dell’Orda.

Anni 2000: Pisatela “boom!”. Oltre 6 km esplorati

A sinistra: mappa geologica con locazione delle principali sorgenti. (Club Speleologico Proteo)

A destra: il Tunnel, Ramo Giacobbi, Pisatela. L’incredibile rettilineo sviluppatosi sotto un giunto di strato. Una volta riempito da sedimenti l’erosione è avvenuta principalmente nella parte alta. Ora buona parte dei sedimenti sono stati asportati dall’acqua, ma restano ben visibili ai bordi della galleria. (Foto S-Team)

18 Speleologia 76 giugno 2017 REPORTAGE - RANA PISATELA

Risalita con il palo da scalata nella sala terminale dei Rami di Sala Snoopy (Rana). Il palo, formato da più pezzi assemblabili, ha consentito di risalire agevolmente alcuni metri per preparare la disostruzione di una frana pensile e verificare la presenza di un passaggio che consente di by-passare il sifone che chiude il ramo. (Foto S-Team)

arrivando fino a 30 m di distanza in pianta dal Ramo Nero. Esplorati anche 2 km nuovi in Rana: Spalmer e Frankigna+Emmequadro in zone dove si dava per scontato di aver già guardato bene.

17 Marzo 2012: giunzione Rana-Pisatela.

È il raggiungimento del sogno di generazioni di speleologi vicentini: il secondo ingresso della Rana! Fortemente voluto dal gruppo di Malo, con l’appoggio del gruppo di Schio, lo scavo dell’instabile frana, per tutelare un minimo di sicurezza, è avvenuto tenendo sempre roccia viva sul lato sinistro e puntellando la frana a destra man mano che si avanzava. Un lavoro immane durato anni, iniziato con il contatto sonoro tra le due grotte a fine 2003 e terminato con successo dopo un ultimo anno di assiduo e costante impegno sul fronte di scavo con parecchie uscite di prove ARVA per misurare la distanza e capire bene la direzione. Le piene hanno riempito più volte il fronte di scavo e per questo un cancello in ferro protegge la zona dall’arrivo di nuovi detriti, ma, cosa ben più importante, ha anche ripristinato la circolazione d’aria originaria prima dell’inizio dei lavori.

Sala dell’Orda, Pisatela. La grande frana che occupa interamente questa sala ha bloccato per parecchi anni le esplorazioni nel Buso della Pisatela, ma alla fine si è trovato il passaggio giusto nel 2002. (Foto S-Team)

Tecnicamente la giunzione non ha portato nessun tipo di vantaggio ai fini esplorativi. Arrivare dalla Pisatela nelle zone più a monte del Ramo Nero non è molto più vantaggioso che arrivarci dalla Rana. La frana ha sempre un punto interrogativo sulla sua stabilità e per questo, con un accordo tra i gruppi di Malo e Schio, è stato limitato l’accesso con la chiusura a chiave del cancello che separa le due grotte. Oltre la frana si trova

una lunga e impegnativa strettoia (il by-pass) prima di arrivare alle zone allagate del Ramo Nero dove ci si bagna completamente salvo indossare una muta. Trop-

19 Speleologia 76 giugno 2017

REPORTAGE - RANA PISATELA

pe cose negative che, quasi quasi, rendono meno gravoso arrivare in queste zone dall’ingresso della Rana. Per questi motivi si preferisce anche non incentivare la traversata Rana-Pisatela nonostante resti un’esperienza dalle forti emozioni, fattibile solo se accompagnati da chi conosce la strada, e adatta a speleologi esperti, pur essendoci solamente il pozzo d’ingresso da fare in corda.

Esplorazioni GGS

Dal 2012 a oggi il Gruppo Grotte CAI Schio ha continuato scavi e risalite in Pisatela, aumentando la lunghezza di alcuni rami esistenti, specialmente quelli più a monte e chiudendo punti interrogativi lasciati durante l’epopea esplorativa. Si tratta di rami poco attivi dove il concrezionamento regala zone di estrema bellezza che, contrariamente alla Rana, continua a rimanere integra e deliziare i visitatori. I rami Cigno, Castello, Basa Senoci, Tira Bora hanno visto la loro lunghezza aumentata di parecchi metri. Sono stati risaliti una dozzina di camini, anche di oltre 30 metri nella Sala dell’Apocalisse, ma non hanno portato risultati di rilievo.

Nei periodi di magra si stanno esplorando anche i due meandri allagati a monte della Sala delle Travi: Ramo dei Mutanti e Ramo a Sud, dove gallerie di dimensioni ridotte e passaggi con pochi centimetri d’aria a pelo dell’acqua mettono a dura prova gli esploratori.

Esplorazioni GGT

Il Gruppo Grotte “Trevisiol” CAI Vicenza sta ancora lavorando nel recente Ramo Emmequadro ed è impegnato con risalite e scavi in zone lasciate in sospeso dagli esploratori degli anni ’70, il Camino nel Ramo del

In alto: rilievo sintetico del complesso carsico relativo all’anno 2005. La situazione attuale poco si discosta dall’andamento generale qui visualizzato.

Sala Broccoli, Ramo Emmequadro, Rana. Una ricchezza e concentrazione di concrezioni di questo tipo non si era mai vista in tutta la grotta. (Foto S-Team)

20 Speleologia 76 giugno 2017

Pantano e la colata nel Ramo Trevisiol (incredibilmente mai risalita!). Lo scavo nel Cunicolo del Guano (Ramo Trevisiol) ha permesso, a fine aprile 2017, di chiudere un anello congiungendolo con la base del Camino Thutankamen nel Ramo Fossile di Sinistra. Probabilmente il passaggio era già stato percorso ma non risultava indicato sul rilievo. Così come anche altri 45 metri mai rilevati in una diramazione del Ramo Trevisiol (Ramo GGS 84).

Durante le risalite in Rana spesso si è avuta l’amara sorpresa di trovare spit a 5-6 metri da terra, mentre la base del camino sembrava vergine e mai risalita. La tecnica del palo da scalata assemblabile è stata ripresa a gennaio 2017, durante un’uscita congiunta multi gruppo, per disostruire un camino situato a valle dei Rami di Sala Snoopy, in concomitanza con l’immersione nel sifone che ha portato altri 15 metri, ma la certezza di una frana insuperabile dagli speleosub.

Oltre alle esplorazioni, S-Team sta invece provvedendo alla documentazione fotografica dei rami della Pisatela e di alcuni rami meno noti della Rana con lo scopo di implementare il sito www.busodellarana.it (recentemente premiato al concorso Italia Speleologica della SSI) e diffondere la conoscenza sul complesso carsico.

Prospettive

Di lavoro da fare ce ne sarebbe, ma mancano volontà e persone. Innanzitutto deve sparire il pensiero comune, più volte assodato, che in questo complesso carsico ci lavorano solo gli speleologi vicentini. Loro hanno la memoria e l’esperienza ed è utile contattarli per evitare sovrapposizioni, ma il campo esplorativo, ora come ora, è aperto a chiunque. Ci sono ancora dei camini da risalire e sono proprio le esplorazioni più recenti (Spalmer, Frankigna-Emmequadro) a dire che esiste un reticolo di gallerie posto a un livello superiore rispetto a quello attuale. Altri obiettivi potrebbero essere quelli di unire rami molto vicini tipo Faglia con Nero, Snoopy con Sabbioni e creare degli interessantissimi anelli interni.

Come per il Corchia e i grandi complessi carsici che hanno fatto la storia delle Speleologia italiana, anche il Buso della Rana avrebbe grande bisogno del rifacimento del rilievo. La Rana non ha un rilievo tridimensionale! La foga esplorativa degli anni ‘70, in concomitanza di un calo degli speleologi attivi, aveva fatto mettere da parte il rilievo altimetrico per privilegiare quello in pianta e capire le direzioni che si stavano

21 Speleologia 76 giugno 2017

prendendo. Si sarebbe fatto successivamente, parziale, ma i dati delle battute di rilevamento sono andati perduti e quindi bisogna rifare tutto da zero. Da quei dati si era ricavato qual era lo scostamento medio tra sviluppo in pianta e sviluppo spaziale; quindi i metri totali del Buso della Rana vennero aumentati d’ufficio in base ai calcoli fatti.

Rifare il rilievo, oltre che bello e utile, sarebbe anche l’occasione per far saltare fuori chissà quanta roba nuova o mai rilevata (vedi esplorazioni recenti GGT), ma ci vorrebbe la volontà e uno sforzo organizzativo per un progetto a medio termine, gestito magari da una Federazione che possa coinvolgere molti speleologi.

La situazione attuale dei rilievi pubblicati vede il Buso della Rana aggiornato al 2015 e il Buso della Pisatela aggiornato al 2007.

L’esortazione ai nuovi esploratori è di non dare mai nulla per scontato e di riguardare la grotta con occhi nuovi e curiosi, come non la si fosse mai vista. Mai pensare “tanto lì ci avranno già messo il naso...” perché con quel pensiero si erano “dimenticati” tutto il Ramo Fossile di Sinistra. Le soddisfazioni non tarderanno a venire. La nuova frontiera potrebbe essere quella di riuscire a intercettare il reticolo sotterraneo che alimenta la sorgente della Grotta della Poscola. Non si conosce cosa sta sotto i 2/3 meridionali dell’altopiano, ma uno studio idro-geologico di Gleria, terminato nel 1985,

S.I.C.

Il Buso della Rana è Sito d’Interesse Comunitario (SIC IT3220008).

Lo stato italiano ha recepito la direttiva europea 92/43/CEE “Habitat” per la protezione delle biodiversità del territorio e ha stilato un elenco di Siti d’Interesse Comunitario inserendoli nella Rete Natura 2000. Grazie alle rare specie di pipistrelli ed invertebrati endemici che frequentano la grotta, anche il Buso della Rana è stato inserito tra questi siti.

Il Ferro di Cavallo maggiore (Rhinolophus ferrumequinum) aveva scelto alcuni rami interni per svernare con oltre 100 esemplari rilevati nel 2003-2004 (Vettorazzo 2004), ma recentemente non si sono più osservati nei loro luoghi abituali di stazionamento.

A inizio primavera ed inizio autunno, sono state avvistate due colonie temporanee di Miniopterus schreibersii sia alla Grotta della Poscola che in Rana, grotte con ampie aperture prive di ostacoli, molto adatte al volo veloce di questa specie. Entrambe le grotte rappresentano un importantissimo punto di abbeveraggio e caccia anche per altre specie, sia antropofile (Pipistrellus kuhlii e Hyspugo savii) che forestali (Myotis bechsteinii, nonchè di Myotis nattereri, Eptesicus serotinus e Plecotus austriacus ), come anche per il Ferro di Cavallo minore (Rhinolophus hipposideros) una delle specie più a rischio estinzione in Europa.

Spesso capita di osservare nelle acque la presenza del niphargus, più raramente la monolistra berica. Purtroppo uno studio sistematico sulla presenza degli invertebrati sembra mancare da oltre 50 anni.

L’altopiano del FaedoCasaròn. Da notare che il reticolo dei 40 km di gallerie della Rana-Pisatela occupa solo un terzo a nord di tutto l’altopiano. Il potenziale esplorativo è enorme, dato che Grotta della Poscola drena una quantità d’acqua di pari entità solo che disturbi tettonici impediscono un accesso agevole al reticolo sotterraneo dal suo ingresso.

A sinistra: camino “C” del Ramo Silvestro, Rana La rivisitazione di questo ramo ascendente, situato sopra il Ramo Principale, ha portato il gruppo “Trevisiol” alla scoperta del nuovo Ramo Emmequadro. (Foto S-Team)

22 Speleologia 76 giugno 2017 REPORTAGE - RANA PISATELA

prevede che ci siano tanti km di gallerie pari a quelle del complesso Rana-Pisatela. È una fonte sicuramente attendibile, dato che aveva previsto con esattezza l’esistenza delle gallerie della Pisatela ancora prima che venissero scoperte. La portata d’acqua della Poscola è simile a quella della Rana, quindi l’ipotesi è fondata. Purtroppo movimenti tettonici hanno disturbato la parte a valle della zona di risorgenza e solo pochi centinaia di metri della Poscola sono facilmente percorribili.

Poi l’acqua arriva da strette fessure ortogonali allagate difficilmente percorribili dagli speleosub. La speranza è di trovare un accesso dall’alto e pareva potessero riuscire gli speleologi di Malo nel Buso della Vecia che, con -183 m di dislivello è la più profonda grotta dell’altopiano (dopo la Rana-Pisatela). Purtroppo sono finiti anche loro in fessure impraticabili e un sifone ha fatto desistere, per ora.

Altra via, più improbabile, ma da sempre sognata, potrebbe essere quella di cercare di superare il limite sud all’interno del Ramo Principale in Rana, magari trovando antiche vie di deflusso situate a quote superiori e che un tempo confluivano nel bacino idrico della Poscola.

Da parecchi anni ormai, nella zona esterna all’ingresso del Buso della Rana è sorto il Parco Incantamonte, con ristorante, zona giochi per bimbi e soprattutto un ampio parcheggio al sicuro (finora) da furti nelle auto che tanto hanno funestato in passato. Qui ha un ufficio la

Cooperativa Biosphaera che effettua visite speleologiche guidate lungo il Ramo Principale e propone attività didattico/scientifiche per le scuole.

Le attività commerciali del parco hanno attirato critiche da parte di molti soggetti, ma negli ultimi mesi, grazie in particolare allo sforzo dell'amministrazione comunale, si è aperto un tavolo di discussione tra i privati concessionari dell'area e il mondo speleologico: l'obiettivo è quello di discutere un regolamento per la conservazione ambientale dell'area e individuare attività e servizi che valorizzino gli aspetti naturalistici e culturali del parco e di tutta l'area.

Bibliografia di riferimento

• Lanaro F., Scapin M., Panizzon S. (2012): Congiunzione Buso della Rana – Buso della Pisatela. Speleologia Veneta, n. 20, pp.41-52.

• Gasparella R. “Il territorio tra Monte di Malo e San Vito di Leguzzano”. http://www.busodellarana.it/vecchiosito/varie/studi/ geologia.htmPereswiet-Soltan

• Ferretto M. (2010): Attività estiva dei chirotteri: prime osservazioni su alcune cavità dei Monti Lessini Vicentini. Speleologia Veneta, n. 18, pp.

• Tisato N., Sauro F., Bernasconi S.M., Bruijn R.H.C., De Waele J. (2012): Hypogenic contribution to speleogenesis in a predominant epigenic karst system: A case study from the Venetian Alps, Italy. Geomorphology, vol. 151-152, pp. 156-163.

• www.busodellarana.it/bibliografia

23 Speleologia 76 giugno 2017
Rilievo del Buso della Pisatela aggiornato al 2007

Il Progetto Grande Poiz e i complessi del Monte Canin

Ingresso di Loch Kozicy. Questa cavità, scoperta ed esplorata dagli speleologi polacchi alla fine degli anni ’90, era caduta nell’oblio. Dopo le più recenti esplorazioni del Progetto Grande Poiz, la grotta è stata collegata alla Grotta Clemente, a sua volta entrata a far parte del Foran del Muss.

(Foto Michele Potleca)

Il Foran del Muss, sul versante nordoccidentale del massiccio del Monte Canin (Udine, Friuli Venezia Giulia), rappresenta da quasi cinquant’anni uno dei più affascinanti terreni di gioco per gli esploratori di grotte.

Dopo le iniziali scoperte ed esplorazioni di abissi degli anni Sessanta e Settanta, l’indagine si è concentrata sulla ricerca degli antichi livelli di gallerie, oggi per lo più fossili, che percorrono il massiccio a diverse quote. Rapidamente le conoscenze acquisite e le moderne esplorazioni, dove per “moderno” s’intende un’esplorazione attenta alle morfologie incontrate e non più la sola discesa in profondità, hanno permesso agli speleologi di collegare fra loro molte grotte, delineando uno fra i maggiori sistemi ipogei del massiccio. Nasce così, nei primi anni 2000, il Complesso del Foran del Muss, che supera i 20 km di sviluppo, raggiunge i 1118 m di profondità e conta più di 25 ingressi (per una descrizione

più dettagliata si rimanda al n. 42 di Speleologia - novembre 2000). L’estensione e le morfologie delle grotte del Foran del Muss hanno fatto nascere l’idea che questo vasto reticolo di gallerie non possa essere disgiunto dal vicino Complesso del Col delle Erbe che, dopo le esplorazioni degli speleologi ungheresi, ha superato i

24 Speleologia 76 giugno 2017 REPORTAGE
FRIULI VENEZIA GIULIA
www.speleologiassi.it/76-canin ESPLORANDO IL GRANDE POIZ
Canin Gianni BENEDETTI, Mila BOTTEGAL, Alessandro MOSETTI, Michele POTLECA, Paola RODARI, Paolo RUCAVINA

Pianta delle grotte dell’area del Grande Poiz in relazione ai complessi del Col delle Erbe e del Foran del Muss. Il sistema che fa capo alla Grotta Clemente, collegato al Complesso del Foran del Muss, misura ad ora circa 5,5 km di sviluppo.

Grotta A Ovest di Paperino. È la prima delle cavità scoperte nel Grande Poiz e si sviluppa prevalentemente in salita. In estate dal suo ingresso fuoriesce una forte corrente d’aria fredda; si tratta sicuramente di un ingresso basso di qualche sistema sconosciuto alle pendici nord del Cuel Sclaf, cima all’estremo ovest dell’altipiano del Monte Canin. (Foto Ivan Centazzo Castelrotto)

40 chilometri di sviluppo, sfiora i 900 m di profondità e conta ormai decine d’ingressi. Tuttavia fenomeni neotettonici devono aver alterato le morfologie originarie delle grotte, rendendo alquanto difficile realizzare il collegamento di questi due vasti sistemi ipogei.

Le esplorazioni di questi ultimi quindici anni si sono dapprima concentrate là dove i due sistemi sono più vicini, sotto la Valle dei Camosci, cioè la depressione posta fra il Foran del Muss e il Col delle Erbe. Entrando dall’Abisso Gortani, sopra al nodo di giunzione con l’Abisso Davanzo nel Complesso del Col delle Erbe, nuove gallerie hanno portato gli speleologi a soli 130 m dalla Grotta Dobra Picka, che fa parte del Complesso del Foran del Muss. Stretti passaggi hanno per ora impedito di proseguire le esplorazioni. Altre diramazioni invece chiudono su grandi faglie interessate da brecce di frizione.

Osservando i rilievi delle grotte si può notare come i due sistemi, isolati nelle parti più meridionali ed elevate di quota, sono invece intersecati, più a nord e a quote comprese fra i 1400 e i 1500 metri, da vasti sistemi di antiche condotte freatiche che percorrono tutto il versante del massiccio con andamento da est a ovest: sono le grotte Buse d’Ajar, Di Nuovo Insieme per Vincere e Rotule Spezzate, già collegate al Complesso del Col delle Erbe.

Le ricerche si sono dunque spostate in queste zone, sia per riesplorare alcune grotte ventose già conosciute, sia per cercare nuovi possibili ingressi, facilmente mascherati dall’intricatissima vegetazione che si spinge fino a circa i 1600 m di quota.

25 Speleologia 76 giugno 2017

REPORTAGE - GRANDE POIZ

La Grotta Inversa, già conosciuta e mai più riesplorata, è stata oggetto di nuove indagini che hanno permesso di trovare il collegamento con la sottostante Rotule Spezzate.

Un ampio pozzo esterno, semi nascosto da folti pini mughi, ha dato accesso all’Abisso Gordio, altro nuovo ingresso di Rotule Spezzate.

L’Abisso Pampero, scovato dagli speleologi della Commissione Grotte Eugenio Boegan (CGEB) di Trieste, entra anch’esso in Rotule Spezzate.

La maggior parte delle scoperte fatte in questi ultimi anni ha permesso di trovare nuovi ingressi di Rotule Spezzate, senza portare però a clamorosi sviluppi che possano far pensare a nuovi collegamenti fra i due sistemi.

A un certo punto un’intuizione comincia a farsi strada e diventa nel corso degli anni sempre più consistente: questi reticoli est-ovest, in realtà, devono proseguire verso occidente, dove un tempo le acque interne scorrevano prima di uscire dalle risorgive. La speranza è quindi di trovare altri ingressi bassi del Complesso del Foran del Muss e di rintracciare le antiche condotte, prosecuzioni occidentali delle gallerie già conosciute di Rotule Spezzate.

Nel 2012, perciò, sulla scorta di un racconto che favoleggiava di un nuovo abisso ventosissimo, con una grande quantità d’acqua al suo interno, posto in una zona remota e mai più indagata, due soci del Gruppo Triestino Speleologi (GTS) decidono di investigare il Grande Poiz, posto a ovest del Picut, nella speranza di poter, appunto, rintracciare la prosecuzione logica di questi antichi reticoli.

In una bella giornata settembrina, dopo aver pernot-

tato al bivacco speleologico “Procopio” posto in cima al Foran del Muss, i due iniziano a scendere di quota, mantenendosi sulla direttiva del Grande Poiz. Sorpassano il WZ10, ingresso basso del Mornig, individuano l’ingresso di Kropka Piec, tassello di collegamento posto fra gli Abissi Seppenhofer, Comici, Mornig e Dobra Picka, quindi Picia Jama 1 e 2, che sono altri due ingressi di Kropka Piec e superano l’ingresso di Loch Kozicy, a circa 1700 m di quota. È quest’ultima un’altra fantomatica cavità esplorata parzialmente dagli speleo polacchi e poi mai più rivisitata; sul suo fondo, agli inizi degli anni Duemila, un amico polacco rimase incastrato in una strettoia per molte ore e per poco l’esplorazione non si trasformò in tragedia. Più in basso

È sembrato subito chiaro che la miglior arma per esplorare una zona come il Grande Poiz fosse quella della collaborazione tra gruppi, collaborazione peraltro già sperimentata in altre occasioni. Solo con il contributo di diverse persone unite da uno scopo comune si poteva pensare di raggiungere risultati rilevanti. È nato così il “Progetto Grande Poiz”, nome forse un po’ altisonante ma che rende bene l’idea di una grande impresa collettiva che ha riunito e ancora riunisce chi ha voglia di lavorare per un bene comune e non solo per il proprio gruppo.

Già dal primo anno (2012) tre sono i gruppi che esplorano in Grande Poiz: Gruppo Triestino Speleologi, Gruppo Speleologico San Giusto e Unione Speleologica Pordenonese. Ma è nel 2013, con la scoperta dell’ingresso della Grotta Clemente, che viene coinvolto un maggior numero di gruppi e di speleologi. L’occasione è data da una serata tra amici e una riunione ufficiosa in

osteria. Il racconto dei primi esploratori –soprattutto per quanto riguarda le morfologie delle gallerie e le forti correnti d’aria – affascina subito diversi speleo di alcuni gruppi triestini.

Man mano che si procede con le esplorazioni e le novità si raccolgono altri volenterosi, dalla Regione e anche da fuori Regione. Si crea così una lista di indirizzi e-mail per coordinare le attività in zona.

L’impostazione data sin dall’inizio al progetto è quella del “si esplora e si rileva”. Lo spirito che lo anima è quello della piena condivisione delle informazioni e dei risultati ottenuti. Ogni volta che una squadra esplora e rileva mette a disposizione i dati che vengono assemblati con il prezioso lavoro di Alessandro Mosetti.

Dall’inizio (autunno 2012) fino all’inverno 2016/2017 hanno preso parte al progetto più di quaranta speleologi. Alcuni hanno partecipato a quasi tutte le esplorazioni, altri solo sporadicamente, altri solo una volta. Tutti però hanno contribuito al raggiungimento degli esaltanti risultati descritti in queste pagine. Questi i gruppi di

appartenenza:

ANF - Associazione Naturalistica Friulana (Tarcento, UD)

GC - Grotta Continua (Trieste)

GGCD - Gruppo Grotte Carlo Debeljak (Trieste)

GGT - Gruppo Grotte Treviso (Treviso)

GSSG - Gruppo Speleologico San Giusto (Trieste)

GSMADF - Gruppo Speleologico Monfalconese ADF (Monfalcone, GO)

GSP - Gruppo Speleologico Pradis (Pradis Grotte, PN)

GTS - Gruppo Triestino Speleologi (Trieste) Lindner - Società di Studi Carsici A.F. Lindner (Ronchi dei Legionari, GO)

USP - Unione Speleologica Pordenonese CAI (Pordenone)

Questo lungo e impegnativo lavoro, infine, è stato reso possibile anche grazie all’Ente Parco delle Prealpi Giulie che ha messo a disposizione Casera Goriuda la struttura utilizzata dagli speleologi come base d’appoggio.

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“GRANDE POIZ”: IL PROGETTO E LA NASCITA DI UNA FORTE COLLABORAZIONE
L2V. Alla profondità di 320 m si intercetta il Fiume che Romba, grosso collettore che drena le acque verso il Fontanon di Goriuda. (Foto Alessandro Mosetti)

All’ingresso di Uscita con Vista. Uno dei rari casi in speleologia in cui al fondo di un abisso, disostruendo una frana, casualmente si è sbucati all’esterno, di notte e in un posto sconosciuto!

(Foto Michele Potleca)

scorgono altre zone interessanti, ma i pini mughi e i dislivelli verticali fra un circo e l’altro li fanno desistere dal continuare, anche se le tracce dei camosci lasciano intuire che la zona sia molto frequentata... ma esclusivamente da questi agilissimi animali.

Si decide quindi di ritentare ma questa volta affrontando direttamente il problema, e cioè dal basso, riscoprendo gli antichi passaggi dei cacciatori e, prima di loro, dei malgari, che pare si spingessero con le loro bestie fino al Grande Poiz e ancora più in là. Raggiunto quello che verrà soprannominato Prà dei camosci, a quota 1300 m sotto la Casera Goriuda, ci si stacca dal sentiero CAI e si devia verso occidente percorrendo cenge e intuendo stretti e ripidi passaggi, complicati da una fitta vegetazione, fino a raggiungere la conca del Grande Poiz, fra i 1500 e i 1600 m di quota.

La parete alla base della quale, tra l’abete e la colata di ghiaccio, si apre l’ingresso della Grotta Clemente. Da notare le pieghe e le uncinature degli strati suborizzontali a testimonianza del complesso quadro deformativo dell’area.

Gran parte del sistema carsico della Grotta Clemente è impostato su faglie e fratture; in alcune gallerie sono inoltre ben apprezzabili movimenti neotettonici recenti desumibili dal dislocamento delle sezioni singenetiche.

(Foto Alessandro Mosetti)

In questa conca si vorrebbe ritrovare la grotta L2V (Lazzaro 2 la Vendetta – 5693 RE), scoperta ed esplorata una ventina di anni prima da Alberto Lazzarini (CGEB) e dai suoi amici. L’abisso, si favoleggia, era ventosissimo, bagnatissimo... ed esplorato fin sopra un pozzo, stimato profondo almeno una quarantina di metri. I rami attivi, si sa, sono quasi sempre in compagnia dei rami fossili, quelli che permettono di spaziare dentro la montagna e di congiungere fra loro le grotte. Questo è l’abisso che fa per noi, tanto per cominciare.

Una fortissima lama d’aria gelida ci guida prepotentemente all’ingresso della grotta: ma non si tratta di L2V, bensì di una nuova cavità, che chiamiamo A Ovest di Paperino; di L2V nemmeno l’ombra!

Siamo ormai ad autunno avanzato e le puntate esplorative proseguono a ritmo serrato, consapevoli che con la prima neve tutta la zona sarà off-limits, sia per il rischio di scivolate sui ripidi versanti e sia per non esporci alle valanghe che spazzano il Grande Poiz. Si continua a esplorare A Ovest di Paperino, che si rivela un grande meandro che scende da zone ignote dell’altopiano. Nel frattempo si scova l’ingresso di L2V e con un paio di esplorazioni riusciamo a continuare in profondità, scendendo il famoso pozzo inesplorato di 40 m... per almeno una novantina di metri, e proseguendo ancora!

Stagione 2013: all’inizio di giugno si risale in Grande Poiz per continuare le esplorazioni nelle due grotte e per rintracciare dal basso l’itinerario migliore per arrivare in Loch Kozicy. Dopo aver segnato la strada, durante la discesa, una fessura soffiante attira l’attenzione: il breve interstrato di ingresso immette in un dedalo di condotte percorribili per centinaia di metri, e continua ovunque in ogni direzione, sempre ventosissimo. Nasce così la Grotta Clemente Marcon, alla quale dedicheremo ancora molte uscite esplorative. Il rilievo comincia a delineare gli antichi reticoli suborizzontali, preambolo forse dei tanto sognati “tunnel”, quelli che, nelle nostre intenzioni, dovrebbero permetterci di scorrazzare da ovest a est, collegando i due grandi complessi del Col delle Erbe e del Foran del Muss. La grotta viene collegata con quella che scopriremo essere Loch Kozicy, che è riattrezzata per rifarne il rilievo e completarne le esplorazioni.

Intanto due esplorazioni in L2V portano ancora in profondità, oltre i 300 m, dove finalmente si sente il fragore di un grosso collettore: il Fiume che Romba. Si dovranno aspettare due stagioni per ritrovare le condizioni meteo e idrologiche per poter continuare le esplorazioni in sicurezza.

Si scova un’altra cavità, la Grotta Luganiga, o A Est di Paperino che, con alcune veloci esplorazioni, si collega con Clemente e Loch Kozicy. Un breve scavo da Clemente ci fa sbucare all’aperto: nasce così Uscita con Vista. Il dedalo di gallerie che si sta scoprendo s’ingarbu-

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REPORTAGE - GRANDE POIZ

glia sempre più: già cinque ingressi (Clemente ha due entrate vicine) e molte centinaia di metri di condotte, sempre percorse da correnti d’aria fortissime.

L’anno seguente, il 2014, si scopre il sesto ingresso: Passime el Canel; il sistema supera ormai i 3 chilometri di sviluppo. Proseguono anche le esplorazioni nella Grotta A Ovest di Paperino, che continua sempre a salire dentro l’altopiano con notevoli correnti d’aria. Nel 2015 si riesce a forzare una strettoia in Clemente, entrando in un altro importantissimo sistema di antiche e grandi condotte: ci si ferma a poche decine di metri dalla Grotta Rotule Spezzate, a causa di un grosso riempimento trasportato dagli antichi fiumi. La giunzione fra i due sistemi è sfiorata, ma in ogni caso... non si passa! In compenso si è aperto l’ennesimo fronte di esplorazioni, che a distanza di poche settimane consentirà di collegare il sistema della Grotta Clemente al Complesso del Foran del Muss, e precisamente con un ramo nei pressi del fondo dell’Abisso Seppen-

CLEMENTE, L’ULTIMO MALGARO DI CASERA GORIUDA

Entrando nella Casera Goriuda, un nome inciso nella pietra balza all’occhio: “Marcon”, l’ultima famiglia di malgari che vi passò i propri giorni fin dopo la seconda guerra mondiale, prima di un abbandono definitivo. L’ultimo che la utilizzò personalmente fino al 1951 fu Clemente Marcon. Se ancora oggi è possibile conoscere gli avvenimenti di questa famiglia lo si deve all’insostituibile opera di documentazione svolta da Dario Marini, che sul n. 74 – 1980 di Alpi Giulie ne ha narrata la storia nell’articolo “I Marcon di Casera Goriuda”; leggendolo si scopre un personaggio unico cui il destino ha richiesto moltissimi sacrifici in cambio di un’esistenza piena e avventurosa.

La storia della Casera Goriuda copre quasi sette secoli (la prima traccia risale a un atto giudiziario datato 1341), ma è nel 1911 che il padre di Clemente ne prende possesso spostandosi da Sella Nevea. Il diciassettenne Clemente inizia a viverci e a lavorarci salando e stagionando i formaggi ricavati dal latte di mucche, capre e pecore. Il bestiame ha bisogno di pascolo e acqua ed è per questo che Clemente e la sua famiglia percorrono instancabilmente e quotidianamente il reticolo di sentieri arditi sparsi sulle pendici settentrionali del Bila Pec e del Grande Poiz fino ai prati estivi del Foran del Muss e del Col delle Erbe. Il severo ambiente carsico viene sfruttato per le potenzialità che può dare: aria gelida per conservare burro e panna, la nuda roccia di una caverna per proteggere il bestiame dai temporali e saette d’alta quota. Le rare sorgenti servono ad abbeverare gli animali e gli uomini. Ra-

ramente si va a caccia di camosci. Di tutto questo oggi rimane poco o nulla. I sentieri sono stati inghiottiti da piante infestanti o lamponi, i muretti sono scomparsi, i ricoveri franati e le sorgenti seccate; ma percorrendo le balze selvagge ci s’imbatte ancora oggi nelle tracce lasciate da Clemente e i suoi avi, capaci di addomesticare un terreno tanto ostile.

Clemente nasce il 23 maggio 1894 e sin da bambino deve badare a se stesso poiché i genitori devono dedicare tutte le loro energie al lavoro presso il Conte Maraini a Sella Nevea. Appena cresciuto, aiuta i genitori come pastore durante i periodi estivi e quotidianamente si reca a Saletto (20 km di distanza) per ritirare la posta del Conte; in cambio questo lo manda a Udine ad apprendere il mestiere di meccanico. Allo scoppio della Prima Guerra Mondiale viene arruolato come mitragliere nell’aviazione italiana partecipando a una sessantina di azioni, compresi alcuni raid su Lubiana. Viene decorato di una medaglia d’Argento dopo essere rimasto illeso nello schianto del suo velivolo Caproni. Terminati i combattimenti può ritornare finalmente alla casera e nel 1920 si sposa: dal matrimonio nasceranno quattro figli. Il 30 agosto 1927 la Casera prende fuoco accidentalmente e viene distrutta completamente assieme a 200 forme di formaggio: un evento catastrofico per la magra economia della famiglia. Clemente non si perde d’animo e tutto si aggiusta grazie al risarcimento di un’assicurazione infortunistica da lui stipulata: un dito tranciato dall’ascia permette fortuitamente il rifacimento dell’intera casera, rendendola accogliente quanto basta e dotata di acqua potabile (l’acquedotto – in legno – lungo 500 metri funziona per i suc-

cessivi 36 anni fino al 1964). Nel 1931 rimane disgraziatamente vedovo, ma nell’anno successivo si risposa: i figli salgono a 7. Per mantenere la numerosa famiglia lavora sia alla Casera sia in imprese locali ed è la moglie – Graziana Pitocco – a divenire la gerente della malga e lo è ininterrottamente dal 1932 fino al 1951. Il 7 luglio del 1936, in sua presenza, viene alla luce nella casera la figlia Ester. Dal 1935 al 1937 lo richiamano in aviazione, ma non partecipa al secondo conflitto mondiale iniziando a lavorare come motorista alla miniera di Cave del Predil dove rimane fino al 1954 andando poi in pensione. Nel dopoguerra, dal 1948 al 1960, è consigliere al Comune di Chiusaforte dove si distingue sia per iniziativa che per rettitudine. Conclude i suoi anni nella casa di Roveredo che non lascia nemmeno dopo il terremoto del Friuli del 1976 nonostante i danni subiti. A fine 1977 invia una lettera lucidissima a Dario Marini elogiandolo per quanto da lui descritto nel “volumetto II Alpi Giulie Occidentali”, fornendo però al contempo alcune preziosissime delucidazioni e precisazioni in merito. Narra così parte della sua storia, sollecitando un incontro per poter tramandare ai posteri – prima che sia troppo tardi – tutto quanto riguarda quei luoghi a lui così cari. Si spegne il 15 marzo del 1978, a quasi 84 anni. L’incontro purtroppo non avrà mai luogo, ma alcuni dei suoi figli incontreranno comunque Marini che potrà così ultimarne il ritratto.

Clemente Marcon, uomo non comune, espressione di un’epoca ormai scomparsa.

Ci è sembrato doveroso dedicargli una grotta e ci piace pensare che il primo a vederne l’ingresso sia stato proprio lui…

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Nella pagina a fianco: Casera Goriuda, sul versante nord del Monte Canin a 1405 m di quota. È stata la casa della famiglia Marcon per molti anni. Ristrutturata dall’Ente Parco Prealpi Giulie, è ora un ottimo punto d’appoggio per le esplorazioni e le ricerche nella zona del Grande Poiz.

(Foto Alessandro Mosetti)

A destra: Grotta Clemente, 23 giugno 2013. Foto di gruppo dopo la scoperta del collegamento tra la Grotta Clemente e la Grotta Loch Kozicy. Da sinistra: Paolo Rucavina, Alessandro Mosetti, Michele Potleca, Stefano Guarniero, Gianni Benedetti.

(Foto Alessandro Mosetti)

hofer: più di 30 ingressi, 25 km di poligonali aggiornate, potenzialità esplorative incredibili.

In L2V, sfruttando la stabilità del meteo tardo-autunnale, si riesce finalmente a continuare le esplorazioni; si raggiunge il Fiume che Romba e lo si segue per svariate centinaia di metri di profondità, intercettando notevoli portate d’acqua: di qua passa circa un terzo dell’acqua che sgorga poi al Fontanon di Goriuda. Le esplorazioni terminano a 540 m di profondità, poco distanti dai rami nuovi del Fontanon, ma la giunzione, causa un importante sistema di fratture parallele, risulta pressoché impossibile, almeno entrando da L2V, che termina su un’ampia galleria riempita alla base da crolli e detriti.

Nel 2016 l’idea è di disarmare i tratti che chiudono per concentrarsi sulle nuove zone esplorative della Grotta Clemente, quelle collegate con l’Abisso Seppenhofer del Complesso del Foran del Muss: diverse vie, alcune delle quali anche attive, e tutte sempre con moltissima circolazione d’aria, sembrano avvicinarsi alla sottostante Rotule Spezzate.

Bibliografia

Grotta Clemente. Le condotte che si sviluppano per centinaia di metri poco dopo l’ingresso lungo il ramo di destra. (Foto Ivan Centazzo Castelrotto)

Si entra così nella Grotta Luganiga per recuperare materiale... ma basta una controllatina a quella che sembra una condotta in cima a una risalita per ritrovarsi a esplorare l’ennesimo dedalo di condotte. Alla fine della stagione rileviamo un altro chilometro e mezzo di grotta: rami che proseguono e un altro ramo che si ricongiunge con Clemente nelle zone di collegamento col Seppenhofer.

Attualmente il sistema della Grotta Clemente, collegato con il Complesso del Foran del Muss, ha aggiunto altri 5,5 chilometri di sviluppo e altri 6 ingressi, con ancora moltissime possibilità esplorative.

• Benedetti G. (2015): Progetto “Grande Poiz”: un aggiornamento. Speleologia, n. 73, p. 11.

• Benedetti G., Mosetti A. (2000): Il Complesso del Foran del Muss. Speleologia, n. 42, pp. 3-20.

• Benedetti G., Potleca M. (2013): Progetto “Grande Poiz”. Speleologia, n. 69, pp. 54-55.

• Marini D. (1980): I Marcon di Casera Goriuda. Alpi Giulie, n. 74, pp. 49-56.

• https://www.youtube.com/watch?v=EPGzu1LdQFE

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Spedizione in Macedonia: Il potenziale carsico di una terra insediata fin dall’epoca Micenea

Durante il corso organizzato a ottobre 2015 dalla Scuola di Speleologia “Montelago”, costituita dal Gruppo Grotte Recanati e dal Gruppo Autonomo Speleologico (GASP) di Civitanova Marche, ha partecipato un ragazzo macedone di nome Sefedin Arslani. Le pause in grotta erano perciò occasione per raccontarci della sua terra e di grotte che non aveva mai potuto esplorare perché privo di ogni nozione speleologica.

Da qui nacquero l’idea e l’entusiasmo per una spedizione nel Parco di Mavrovo in Macedonia, per conoscere ed esplorare un territorio che poche persone avevano frequentato.

MACEDONIA

http://d-maps.com/carte.php?num_car=2070&lang=it

http://d-maps.com/carte.php?num_car=60216&lang=it

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www.speleologiassi.it/76-macedonia VIAGGIO IN MACEDONIA REPORTAGE
Nella pagina a fianco: lo spettacolare soffitto in conglomerato di Grotta Melincka. (Foto Andrea Gianangeli) Mavrovo

Iniziammo a osservare immagini satellitari: il territorio ci colpì, oltre che per la vastità, anche per i numerosi “indizi” che facevano immaginare fenomeni e panorami carsici. Individuammo anche un grande buco, del diametro di circa 7 metri, che faceva pensare a un imponente ingresso di cui non vi era notizia. Iniziammo anche a reperire informazioni relative al mondo speleologico macedone e stabilire un primo contatto con Marjan Temosvki, Presidente del Gruppo SK Zlatovrv, nonché Vice Presidente della Federazione Macedone, cui ne seguiranno tanti altri, pre e post spedizione. Effettuammo infine ricerche riguardo alle attività esplorative internazionali svolte in Macedonia negli ultimi anni. Ne risultò che diverse spedizioni, soprattutto da parte di gruppi slovacchi e francesi, si erano concentrate principalmente nel massiccio di Jakupica, scoprendo quella che a ora è la grotta più profonda Macedone, Slovacka Jama (-598 m).

Spedizioni speleosubacquee italiane, inoltre, avevano esplorato il canyon di Matka, in particolare la risorgenza di Vrelo. Unica spedizione con ricerche ad ampio raggio su tutto il Paese di cui abbiamo trovato testimonianza fu quella svoltasi alla fine degli anni Novanta da alcuni gruppi francesi che aveva portato alla scoperta di numerose grotte e risorgenze.

Nessuna di queste, comunque, aveva interessato il ter-

ritorio indicatoci da Sefedin o aveva semplicemente sfiorato il parco di Mavrovo al confine ovest del Paese. Lo stesso Marjan Temovski confermò che nell’area non erano presenti cavità conosciute rilevanti, ma ribadì che la zona era molto interessante dal punto di vista speleologico grazie alla presenza di formazioni di calcare triassico e a numerose risorgenze; due di esse, in particolare, con portate che variano da 1,5 a 1,8 m3/s. Ci imbarchiamo ad Ancona il 16 agosto del 2016 con destinazione Igoumenitsa; da qui muoviamo verso l’altopiano di Asan Dzura situata a sud della Macedonia a pochi km dal confine con la Grecia dove abbiamo appuntamento con Marjan Temovski e i ragazzi del suo gruppo dell’SK Zlatovrv. Il gruppo è formato da giovani adolescenti; ci rendiamo subito conto che le nostre sensazioni di avere davanti ad un’attività speleologica in fase di “ricostruzione” post guerra civile sono senz’altro fondate. Il giorno successivo ripartiamo alla volta di Prilep, dove Marjan ci attende per mostrarci una cavità ipogenica molto suggestiva che sta studiando personalmente come ricercatore da anni, la grotta di Provalata. A pochi chilometri di distanza visitiamo la grotta di Melincka che, sviluppata in un conglomerato, mostra da subito la sua straordinaria bellezza geologica. Al suo interno troviamo una miriade di frammenti di cocci con colorazione che varia dal rosso ocra al nero

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Una delle doline presenti sull'altopiano di Mavrovo. (Foto Andrea Gianangeli)

REPORTAGE - MACEDONIA

liscissimo. Purtroppo nemmeno di questi, Marjan ha saputo darci spiegazioni e solo in Italia alcuni ricercatori dopo aver visionato le foto, hanno stimato gli stessi risalenti al Neolitico. Il giorno successivo muoviamo verso Vrutok per il Parco del Mavrovo.

Il 20 agosto una squadra effettua un sopralluogo sull’altopiano di Mavrovo e s’imbatte in quella che battezziamo “Grotta di Belul”. È il buco individuato dal satellite, un grande salone di crollo che prosegue su un ampio meandro chiuso da frane concrezionate. Qui ci imbattiamo in una vecchia scarburata che testimonia che la grotta è già stata esplorata, anche se presumibilmente decenni fa.

Il 25 agosto riusciamo a trovare un’altra grotta, una grossa spaccatura sulla roccia che conduce a un pozzo di circa 15 metri, sulla base del quale giacciono centinaia di siringhe e relativi aghi, presumibilmente usate per vaccini di pecore. Il sito utilizzato come ricovero dai pastori, richiede di essere bonificato e un evidente passaggio d’aria indica una possibile prosecuzione. Chiamiamo la grotta con il toponimo locale: Chavkarnik. Il giorno successivo, Ali Ahmeti, personalità politica locale, e il Sindaco di Gostivar ci accompagnano in una cavità dove, a loro detta, sono conservati numerosi resti umani.

Solo una volta dentro comprendiamo l’importanza del sito: ci sono oltre 50 crani dislocati un po’ ovunque, alcuni in posizione naturale, sul suolo, più o meno ricoperti di fango, altri invece visibilmente collocati su rocce.

Il primo pensiero di ognuno di noi è il medesimo, la

A fianco: “Grotta di Belul”. La base del pozzo di ingresso è costituita da un cono di frana ricoperto da un soffice muschio verde.

(Foto Andrea Gianangeli)

In basso: il grande salone centrale alla base del pozzo della “Grotta di Belul”. La luce del sole riesce a penetrare illuminando il grande salone fino all'inizio del meandro, che purtroppo dopo alcune decine di metri termina in una frana.

(Foto Andrea Gianangeli)

Nella pagina a fianco in alto: grotta Samatska Dupka ad Asan Djura.

(Foto Andrea Gianangeli)

In basso: Grotta a Tajmishte. Il pavimento è ricoperto da uno spesso e compatto strato di fango e sedimenti dai quali emergono ovunque ossa umane. In particolare sono stati rinvenuti oltre 50 teschi.

(Foto Andrea Gianangeli)

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www.speleologiassi.it/76-macedonia-video VIAGGIO IN MACEDONIA

paura di ritrovarsi in una “fossa comune” legata alla guerra civile del 2001. Ci confrontiamo e decidiamo di osservare attentamente tutto il sito con la speranza di trovare segni che possano indicare che i resti risalgano a tempi più remoti. Dall’osservazione notiamo che non vi sono resti di abiti, metalli e polimeri e alcune ossa presentano evidenti segni di concrezionamento. Notiamo inoltre tracce di cera rossa in alcuni punti della grotta, segno evidente di una frequentazione, con ogni probabilità cercatori d’oro. Cominciamo a documentare il sito nel poco tempo rimasto a nostra disposizione. I resti sono collocati anche oltre una strettoia che impedisce il passaggio. Dovremmo scavare o disostruire per passare, ma vista la particolare situazione del sito, decidiamo di comune accordo di terminare qui la percorrenza. In accordo con il Presidente preleviamo un paio di campioni (nello specifico un cranio e una mandibola) con la speranza di poterli riportare in Italia per effettuare delle indagini accurate, impresa che però non sarà possibile a causa di alcune complicazioni istituzionali.

Qualcuno di noi, forse, non tornerà più in Macedonia; per altri si spera possa essere, questa, la prima di una lunga serie di spedizioni. I risultati ottenuti nel 2016 fanno infatti ben sperare per la prossima spedizione che programmiamo per i mesi di luglio e agosto 2017.

Partecipanti:

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Daniele Ferranti, Giorgio Marinelli, Cristina Carlocchia, Andrea Gianangeli, Alberto Di Fabio, Giampaolo Bellesi, Sefedin Arslani, Jeton Osmani, Luigi Russo, Serena Assogna, Paola D’Eugenio, Giacomo Berliocchi e il piccolo Eugenio.

Seram l’isola dei fiumi perduti

“Una volta sull’isola di Seram esisteva una grande montagna: l’intera isola era costituita da un altopiano. Al centro di questo, più o meno dove oggi si trovano le sorgenti dei fiumi Makina e Sapalewa, viveva una coppia; marito e moglie. Lì, a una certa distanza dal villaggio, avevano costruito il loro Pondok, la loro capanna. L’uomo si chiamava Makina e la moglie Sapalewa.”

Cosi inizia un mito raccolto negli anni ‘20 del secolo scorso (De Vries 1927).

Il mito racconta l’origine dei fiumi dell’isola di Seram, nati da Makina e Sapalewa: marito e moglie che vivevano come uomini, prima di diventare gli antenati di tutti i corsi d’acqua dell’isola:

“... dalla testa della donna all’improvviso l’acqua uscì spruzzando da tutte le parti. Gli spruzzi si trasformarono in un flusso che sgorgava dalla testa di Sapalewa, che trascinò l’uomo e trasportò entrambi lungo il corso dei fiumi Sapalewa e Makina come attualmente esistono. I primi fiumi che comparvero a Seram. Makina percorse la

sua strada verso est, mentre Sapalewa si scavava la sua attraverso il terreno. Spinsero e presero a calci tutto ciò che incontrarono lungo la loro strada, scagliarono via lontano enormi pezzi di roccia e terra che ricaddero qua e là. Così nacque la montagna selvaggia e feroce.”

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www.speleologiassi.it/76-seram NEI FIUMI SOTTERRANEI DI SERAM REPORTAGE
Spiaggia presso il villaggio di Saleman. Sullo sfondo la catena della Gunung Hatu Saka. (Foto Marc Faverjon)

La montagna selvaggia e feroce, fatta di enormi pezzi di roccia, apparentemente scagliati da forze non umane, ovvero la montagna cosparsa di grandi pareti, coni carsici, valli, forre e ovviamente grotte. Sull’onda di queste suggestioni, nel mese di agosto del 2016 si è svolta sotto il coordinamento del gruppo Acheloos Geo Exploring, la spedizione Seram 2016, con destinazione l’omonima isola nell’arcipelago indonesiano delle Molucche. La spedizione, la terza nell’isola, aveva due obiettivi differenti: la ricerca di prosecuzioni nel grande pozzo della Goa Hatu Saka, attualmente la grotta più profonda dell’Indonesia, e l’esplorazione dei grandi trafori nella provincia di West Seram, già iniziata nella precedente spedizione con la documentazione del Sapalewa Underground River. Allo stato attuale sull’isola sono in parte documentate circa 110 cavità, risultato di due spedizioni australiane (1997, 1998) e di tre indonesiane (2011, 2013 e 2016). Di queste circa trenta, per un totale di dieci chilometri di sviluppo, sono quelle scoperte da noi nel corso di una ricognizione (2012) e due spedizioni (2015, 2016). Vista l’estrema frammentazione delle zone calcaree e per cercare di inquadrare le potenzialità dell’isola, nel corso dei tre anni sono state visitate otto diverse aree carsiche: tanto in alta quota quanto lungo le numerose falesie a mare. Tra i fenomeni carsici individuati, il sistema del fiume Sapalewa è sicuramente a oggi il più importante. Restano comunque molte zone carsiche totalmente inesplorate, tanto nel massiccio centrale compreso nel grande Parco Nazionale di Manusela, luogo realmente difficile e selvaggio anche per gli standard indonesiani, quanto nelle piccole aree calcaree che punteg-

giano sia la provincia occidentale sia quella orientale. Luogo remoto e fino a pochi anni fa quasi totalmente ignoto dal punto di vista speleologico, l’isola di Seram si pone già oggi come area di primaria importanza nel panorama del carsismo indonesiano, e probabilmente ha ancora molti segreti da svelare. A patto ovviamente di cercare una speleologia di spedizione non semplice e mai banale.

Hanoea, figlia di Sapalewa

Secondo il mito, il fiume Hanoea sarebbe figlia di Makina e Sapalewa, e non a caso come sua madre decide a volte di scomparire sottoterra. Lungo il suo corso, il fiume incontra infatti numerosi banchi isolati di calcari, nei quali ha scavato una sequenza di trafori. Con un bacino complessivo di circa 50 km2, l’Hanoea nasce dalle cime del Towile Boi Boi in una zona pianeggiante poco conosciuta intorno ai 1200 m di quota. Dopo un corso di circa 30 chilometri, sfocia nel mare di Seram, presso il villaggio di Latuhelo, con una portata media stimata in base alle pluviometrie di circa 2 m3 al secondo. Stima confermata anche dalle osservazioni sul campo. La valle che ha creato, stretta e isolata è totalmente disabitata, ma utilizzata dagli abitanti come zona per coltivare piccole piantagioni e orti nella foresta primaria. In particolare, a monte del primo traforo, la zona - molto integra dal punto di vista naturalisticoè usata come terreno di caccia, soprattutto ai cervi. Dal punto di vista geologico la situazione del suo bacino appare complessa e diversificata. In parte si sviluppa su terreni impermeabili, e in parte su zone calcaree di

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diversa natura geologica. L’identificazione dei trafori è avvenuta in fase di studio grazie alle fonti geologiche storiche lasciateci da Luis Martin Robert Rutten, a loro volta frutto di una minuziosa campagna sul terreno. A causa della fitta copertura forestale, il confronto con le attuali foto aeree e satellitari ha infatti permesso di riconoscere con certezza solo il primo dei quattro o forse cinque trafori esistenti nella vallata. Proprio l’usci-

ta del primo traforo era stata raggiunta nel corso della precedente spedizione confermando cosi l’affidabilità delle informazioni storiche. Questo primo traforo si sviluppa in un grosso cono isolato con una distanza tra il punto d’ingresso e quello di uscita di circa 1,3 km su un dislivello di circa 200 metri. La differenza di quota ha caratterizzato il traforo, che presenta all’uscita un ramo attivo sifonante, mentre l’ingresso percorribile si trova circa 60 metri più in alto sulla sommità di una forra laterale, probabilmente in passato parte della grotta. Questo ramo, di dimensioni imponenti, con un’altezza in alcuni punti di oltre 70 metri e abitato da una enorme colonia di chirotteri, è percorso dal fiume solo in condizioni di piena. La galleria prosegue quindi semi-fossile con laghi e marmitte per oltre metà del traforo, guadagnando ulteriore dislivello sempre su strutture molto vadose. Oltre un passaggio quasi sifonante, la grotta cambia forma e nella grande galleria che segue si incontra il corso attivo del fiume Hanoea. Verso valle questo scompare in un ringiovanimento non percorribile che probabilmente corre sotto la galleria, mentre risalendolo con progressione molto acquatica si riesce ad uscire nell’inghiottitoio di monte, posto al termine di un tratto di forra. La grotta presenta quindi uno sviluppo totale di circa 2,1 km su un dislivello idrologico di circa 190 metri tra il punto di cattura e quello di risorgenza, mentre il dislivello ipogeo percorribile risulta essere di circa 160 metri. Dal punto di vista morfologico è significativa la presenza all’esterno, lungo l’alveo a monte dell’inghiottitoio, di numerose catture del fiume lungo parete. Segno che il banco calcareo è in parte presente sotto l’alveo. Una di queste catture, forse la più importante, si ritrova in grotta e da origine ad un ramo laterale la cui esplorazione è terminata proprio sotto una imponente cascata, proveniente da un foro nel soffitto, con una portata di circa un metro cubo al secondo.

Si percorre l’Hanoea sotterranea in ampie gallerie per 1 km circa fino a perdite del fiume poco a valle del cimitero dei bambù. (Foto Marc Faverjon)

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Alcuni degli abitanti del villaggio di Latuhelo erano a conoscenza del percorso sotterraneo del fiume, ma era noto solo l’ingresso sifonante, per cui la posizione incerta dell’inghiottitoio a monte ci ha spinti ad esplorare il traforo in risalita. Una volta identificata una via per raggiungere in esterno il corso supe-

riore dell’Hanoea, è stato quindi raggiunto e in parte esplorato il secondo traforo, conosciuto con il nome di Balubloi. Il tratto di valle compreso tra i due trafori, lungo circa 8 chilometri, appare svilupparsi su terreni principalmente impermeabili, e il fiume in condizioni di stagione secca riceve relativamente pochi affluenti. Il banco calcareo ricompare circa un chilometro prima dell’ingresso, mentre il flusso presso il portale è stato stimato attorno a 1,5 m3 al secondo. Questo secondo banco calcareo dall’analisi delle carte geologiche appare molto più vasto del precedente: sebbene l’ampiezza nord-sud sia limitata a un paio di chilometri, la sua estensione est-ovest dovrebbe aggirarsi intorno ai venti chilometri. Sembra infatti emergere proprio dalla cima del Towile e svilupparsi lungo buona parte del corso superiore dell’Hanoea, per poi proseguire verso ovest tagliando trasversalmente almeno altre due vallate. L’osservazione diretta ha inoltre evidenziato che si tratta di un calcare differente rispetto al primo traforo, molto più duro e compatto. Con ogni probabilità si tratta del medesimo blocco in cui si sviluppa il vicino sistema carsico del Sapalewa. Proprio l’orientamento est-ovest che assume la vallata del fiume, con l’alveo totalmente compreso nel terreno carsico, fa sì che la struttura del secondo traforo appaia più complessa. La sua parziale esplorazione ha evidenziato come non si tratti di semplici trafori, ma di una serie di valli interne e polje in parte secchi che si sviluppano lungo la vallata. Quelli che dai rilevamenti geologici erano definiti come secondo, terzo e quarto traforo, tra loro molto ravvicinati, potrebbero quindi essere parte di un unico sistema. Un sistema dove l’alveo principale si attiva solo in caso di forti piene, mentre la circolazione idrologica avviene nel tratto ipogeo. A questo riguar-

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L’Hanoea presso l’uscita del secondo traforo nella grotta di Balubloi, ha una portata di circa 2 m3/s. (Foto Marc Faverjon

REPORTAGE - SERAM

do, l’osservazione della portata all’interno di Balubloi sembra confermare una maggiore complessità carsica con molteplici arrivi e ramificazioni. La grotta è stata percorsa per circa 1,2 km, ma la sua esplorazione si è dovuta interrompere per mancanza di tempo. Tutta la parte a monte fino alla sommità del Towile resta totalmente inesplorata e potrebbe costituire un importante futuro obbiettivo esplorativo.

Il Kawa e i suoi fratelli

Nonostante tre spedizioni, la maggior parte dei trafori identificati negli anni ‘20 del secolo scorso dal famoso geologo Rutten, restano ad oggi ancora inesplorati. Le difficoltà di spostamento li rendono infatti obbiettivi difficili, che necessitano ogni volta di tempi lunghi per essere raggiunti. Difficili ma sicuri: l’accuratezza dei rilevamenti geologici e la conferma che abbiamo avuto anche sull’Hanoea ci fanno pensare che tutti i fenomeni identificati possano rivelarsi come importanti

Nome grotta LatitudineLongitudineQuota EsplorazioneSvil. mDisl. m UTM 52MUTM 52Mslm

Gua Rarola 968398341653110Si105

Hanoea spring968030142612665Si500

Hanoea dry 9680353425886105Si

Hanoea sinkhole9679849428444248Si

2011-127

Bolubloi9673549426356330Parziale96247

Sapalewa sinkhole9676876441213280Parziale >4000-210

Sapalewa spring9677956440018220Parziale

Sapalewa high9676880440950430Parziale

Pozzo del casuario9676890440882360No??

Gua Batu Sori9676736440692422Si2105

Gua Cepet Cepet9676975440743414Si70-10

Cobra di pietra9676710440586480Parziale>400-80

Portale alto9676726440507530Parziale>100>-50

Ingr. alto Sapalewa9676873440399570No??

Valle perduta I°9676746440189560No??

Valle perduta II°9677092440269570No??

Gua Patune9677227439775440Si88-35

Gua Hatu Saka9667051512886910Si1000-388

Grotte Hatu Huran963190242605210Si50-10

Grotte di Hatu Sua963275742610617Parziale>502

Sopra: Tabella delle grotte esplorate e documentate durante la spedizione Seram 2016.

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sistemi carsici. In particolare il traforo del fiume Kawa ci è stato confermato dagli abitanti nel corso della spedizione. Con una portata teorica all’ingresso di oltre 2 m3 al secondo, il traforo del Kawa, che inoltre si sviluppa sullo stesso banco calcareo dell’alto Hanoea, appare sicuramente un obbiettivo di estremo interesse. Anche il traforo del fiume Mata, segnalato da questi autori vicino alla costa, è confermato dal ritrovamento di una vecchia foto degli anni ‘20 che ritrae l’ingresso, è potrebbe anche rivestire importanza dal punto di vista storico-religioso. Ancora poco o nulla sappiamo invece circa la natura dei fenomeni presenti nella parte orientale della provincia di West Seram,

SAPALEWA

“Sapalewa andò a sbattere sul monte Hatoesori, un gigantesco frammento di roccia, così grande che non poteva più andare avanti. Arrabbiata per questo ritardo, si gonfiò sempre di più, finché il villaggio di Boeria, che era li vicino, fu in grande pericolo, rischiando di essere trascinato e inghiottito dall’infuriare delle acque. Ogni volta che si sentiva un boato, si potevano udire le parole di Sapalewa: “Hahate sa mai! Hahatatata’’, che nella sua lingua significa: “Presto datemi!”. Rimbombavano come il suono di uno scalpello nella roccia. Gli abitanti del villaggio non capivano cosa volesse e gettarono tremanti di paura un cane nella corrente infuriata, ma un attimo dopo l’animale fu scagliato indietro da un

attorno al massiccio chiamato Cecilia Range. Anche in questa zona, le fonti storiche ci parlano di almeno due fiumi che decidono di migrare nel sottosuolo. La fitta copertura forestale maschera purtroppo ogni ingresso, rendendo praticamente inutile il confronto con le foto satellitari. Nonostante questo, l’osservazione delle morfologie fa pensare che il tratto sotterrano di almeno uno di questi fiumi, il Way Menja o Jali, possa avere un forte sviluppo verticale, in tutto simile alla grotta di Hatu Saka. Tanto le carte storiche che i DEM attuali evidenziano infatti una grossa valle chiusa sospesa, con una quota intorno ai 900 metri e una superficie di circa 6 km2, al cui fondo Rutten e Sachse pongono il punto di scomparsa del fiume. Al contrario, il punto di uscita appare incerto, tanto nella distanza quanto nella quota, trascinandoci verso nuove fantasia esplorative.

Goa Hatu Saka: il fondo dell’Indonesia

Goa Hatu Saka si presenta come un’imponente voragine a cielo aperto. Profonda 388 metri, consiste in un inghiottitoio semiattivo di morfologia prettamente vadosa, in cui si getta il corso del fiume Sungai Niatolun. Sebbene il corso d’acqua abbia un bacino limitato, rappresentato da una valle sospesa di 4-5 km2 di estensione, il regime delle piogge ne garantisce una portata media di quasi 200 l/s, che sale rapidamente in caso di piogge intense. La grotta è costituita da due verticali principali: il pozzo d’ingresso, di 217 m, e il salone terminale (The Ultimate Pitch), immensa campana di roccia alta circa 180 m. Ci si può spostare dall’una all’altra attraverso tre vie, due fossili e una semi-attiva. Il fondo, ovvero la superficie basale dell’Ultimate Pitch, non è altro che un vasto riempimento detritico. Non ci è dato sapere cosa di preciso occluda lo scorrimento della ciclopica mole di fango ivi depositatasi, ma la sorprendente planarità (dell’ordine di 2 m di dislivello su 90 di lunghezza), l’assenza di evidenti segni di piena

vortice. Allora provarono a offrire tutti i tipi di cibo salato, ma anche questi ribollivano e venivano scagliati indietro. Infine spinsero una vecchia giù nell’acqua e questa tornò poco dopo con il messaggio che Sapalewa voleva un parang, un machete con cui potersi mangiare la sua strada attraverso la roccia. Si precipitarono allora lì per raccogliere e lanciare in acqua il parang e non molto tempo dopo sentirono un rumore tonante. Ecco che l’acqua, già ai loro piedi e che aveva raggiunto i pavimenti delle case, cominciò a scemare. Una volta scomparsa sottoterra nella parete di pietra, Sapalewa continuò il suo viaggio, ma qualche tempo dopo si dovette fermare nuovamente per rompere un percorso attraverso la roccia Batoe Tajane, la ‘Roccia al Centro’, e infine attraverso Batoetausiwa, la ‘Roccia dei Siwa’. Quando tornò ad emergere in superficie, ruotò il parang verso il Kampong e si

precipitò a riva. Il terzo giorno del suo viaggio si unì in mare con il marito Loemakina.” Cosi gli Alune, che abitano la provincia di West Seram, raccontano l’origine del grande traforo che il fiume Sapalewa ha scavato attraverso la catena dell’Hatoesori. Il sistema carsico, esplorato nella precedente spedizione, raggiunge oggi i 4,5 km di sviluppo tra parte attiva e le gallerie fossili che circondano il grande tiankeng interno, con un dislivello tra i diversi ingressi di circa 210 metri. Nonostante non sia stata oggetto di ulteriori ricerche nel 2016, l’area carsica del Sapalewa possiede ancora numerose possibilità esplorative. In particolare, dall’osservazione delle ortofoto sono stati identificati almeno due ingressi alti che potrebbero rappresentare altrettanti rami fossili del sistema, mentre altri sono stati raggiunti e non completamente esplorati.

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LA MADRE DI TUTTI I FIUMI
La cascata “Neanche bagnato” corrisponde all’arrivo in grotta di una parte del fiume Hanoea. (Foto Ivan Vicenzi)

sulle pareti (salvo nella parte inferiore) e la presenza di una proliferante fauna (per lo più anellidi e insetti loro predatori), lasciano supporre che si tratti di un passaggio sufficiente a drenare anche i flussi di piena senza che l’ambiente ne venga sommerso, tuttavia impenetrabile ad ogni ulteriore speranza esplorativa. L’abisso, con le pareti ricoperte di un verde brillante, è già impressionante a causa della piccola nuvola che a certe ore ne inghiotte la prospettiva stazionando a circa cento metri di profondità, ma diventa realmente spaventoso quando la luce solare riesce a illuminarne tutto il primo pozzo. Conosciuto localmente da tempo immemore, prende il nome dalla montagna su cui sorge, Hatu Saka per l’appunto, oggi all’interno del Manusela National Park, nella regione centro-settentrionale dell’isola di Seram a circa 910 m di quota. L’area fa parte del territorio tradizionale degli abitanti del piccolo villaggio costiero di Saleman; per essi costituisce ancora un luogo sacro, motivo per cui le spedizioni suc-

cedutesi hanno finora dovuto ingraziarsi il favore di divinità e antenati attraverso cerimonie e offerte rituali gestite dal re del villaggio. Il primo tentativo esplorativo risale al 1970. L’anno precedente, tre abitanti di Saleman assieme a due amici di Jakarta avevano visitato il baratro e avevano dunque deciso di calarvisi. I cinque, così muniti di scalette di corda, riguadagnarono la lunga erta che separa la grotta dal paese e si affacciarono nuovamente sull’orlo di Goa Hatu Saka. Inorriditi alla vista, mutarono però rapidamente idea, limitandosi a una più sicura misurazione indiretta di profondità. Con una certa arguzia, calarono un sasso legandolo a segmenti di liane annodati tra loro. I segmenti erano di pari lunghezza, per cui poterono stimare una profondità di poco superiore ai 220 m, errore - visti gli strumenti - tutto sommato trascurabile. La scoperta occidentale della grotta avvenne durante la spedizione SUSS (Sydney University Speleological Society) - WCC (Wessex Caving Club) nell’agosto del 1996. Accompagnati da Thalip, figlio di uno degli ardimentosi di 26 anni prima, gli anglofoni raggiunsero l’ingresso e ne scesero una manciata di metri a scopo fotografico. Furono dunque gli stessi a organizzare nell’aprile 1998 la ‘Ekspedisi International Menjelajah Goa’, spedizione internazionale di stampo anglosassone mirata all’esplorazione di Goa Hatu Saka. In 13 giorni di campo in foresta riuscirono nonostante condizioni climatiche a dir poco avverse, a esplorarla quasi del tutto, rendendola così - e lo è tuttora - la maggiore profondità indonesiana. Aprile non è infatti il periodo di maggior secca, e tutta la discesa del primo baratro venne accompagnata dal fiume che vi si gettava dentro, creando una spaventosa cascata di oltre 200 metri

Hatu Saka, il pozzo d’ingresso. (Foto Marc Faverjon)

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LA RICERCA SCIENTIFICA IN INDONESIA

Nella nazione indonesiana, dal punto di vista legale, ogni attività di ricerca scientifica è subordinata allo sviluppo di accordi bilaterali con l'Istituto Indonesiano delle Scienze (LIPI). La restrizione è prevista in particolar modo nell'ambito delle scienze biologiche, tanto da prevedere precisi protocolli per i campionamenti e il prelievo di materiali faunistici. Per un principio etico e nel rispetto di queste leggi, durante le nostre spedizioni ci siamo astenuti da ogni prelievo biologico. Pertanto, chiunque desideri intraprendere questo tipo di ricerche, deve prevedere iter istituzionali che ufficializzino a tutti gli effetti questo genere di attività.

che danza all’interno del pozzo. Stimato in quell’occasione circa 0,5 m3/s, il fiume occludeva completamente uno dei tre possibili percorsi presentatisi di fronte agli esploratori. Per questo motivo, e dato il notevole potenziale (vi sono diverse plausibili risorgive pressoché a livello del mare), l’esplorazione di Hatu Saka non poté dirsi terminata. Passata la lacerante guerra civile che sconvolse lo stato indonesiano per circa dieci anni, una spedizione di giavanesi s’interessò nuovamente all’area e alla grotta. Membri dell’Acintyacunyata Speleological Club di Yogykarta tentarono nella ‘Laporan Ekspedisi Seram 2011’ di ripetere la discesa, ma nonostante fosse estate vennero sorpresi da una furibonda piena che li obbligò a darsi alla fuga. Con l’ultima spedizione del 2016, di cui scriviamo in questo articolo, si è molto probabilmente conclusa l’esplorazione di Goa Hatu Saka. Nonostante infatti le lucrative benedizioni dei nobili di Saleman e le beneaugurali bende rosse che cingevano i nostri polsi, l’unica prosecuzione evidente - il ramo semi attivo - si è ricongiunta alla grande sala terminale. Non sono state rinvenute altre possibilità esplorative. Il periodo favorevole (primi di agosto) ha però permesso di trovare il Sungai Niatolun in quello che è presumibilmente il suo stato di massima secca. La grotta era infatti asciutta, poiché la poca acqua del ruscello si perdeva di colpo 400 m prima del salto in Hatu Saka, ingurgitata da un piccolo inghiottitoio assolutamente impercorribile. Allo stato attuale è da considerarsi questo il percorso attivo del Sungai Niatolun, e non più il restante thalweg che termina presso l’ingresso dell’abisso. Dall’analisi della pianta, la direzione di drenaggio al fondo dell’Ultimate Pitch sembra tornare sotto al corso del thalweg, e

quindi in direzione del punto di assorbimento attivo, continuando a far sognare. Lo sviluppo spaziale dopo le ultime esplorazioni è di circa 1 km, mentre la profondità si è confermata essere di 388 metri dal bordo più basso della valle. Il pozzo presenta infatti un circo di pareti che sale per altri 90 metri fino a una zona di lapiez superiori. Una ricognizione nella parte alta della montagna, che sale verso nord fino a una triplice cima a quota 1400, non ha portato risultati esplorativi. L’area è di difficile percorrenza e appare costituita da estesi campi di lapiez e valli chiuse. In alcuni punti sono state inoltre individuate morfologie epicarsiche molto sviluppate: zone di lame alte e affilate, in tutto simili agli aghi del monte Kajende in Papua o a quelli presenti sul Gunung Api presso Mulu.

Ringraziamenti

Come ci suggerisce il mito, uomini e fiumi possono essere più simili di quanto pensiamo. Entrambi scorrono attraverso luoghi e tempi, entrambi costruiscono i propri luoghi e le proprie storie, entrambi si fondono tra simili per creare qualcosa di più grande e a volte si separano in contorte diffluenze. Per alcuni anni, alcuni di noi hanno intrecciato le proprie storie con quelle dei fiumi di Seram. Adesso che altre correnti e altri fiumi ci trascinano in un’altra grande isola, quello che possiamo dire è che stata una fortuna e un onore esplorare tra le foreste ed i fantasmi di quest’isola. Hanno partecipato alla spedizione Seram 2016: Ivan Vicenzi (Gruppo Speleologico Sacile), Thomas Pasquini (Gruppo Spelologico Piemontese), Katia Zampatti (Gruppo Grotte Brescia), Andrea Benassi (Società Speleologica Saknussem), Marc Faverjon e Paolo Turrini. Un ringraziamento particolare va al Dr. Yunus Kusamahbrata, a tutto il personale del Manusela National Park, agli abitanti dei villaggi di Saleman e Latuhelo e ovviamente a Kikko Lamp, nostro sponsor tecnico.

Sala terminale sul fondo di Hatu Saka (-388 m); in alto la luce filtra dal lontano ingresso.

Bibliografia

• Andrews C. (1999): A touch of Spice. Goa Hatu Saka. Internationa Caver, n. 24, pp.3-11.

• Benassi A. (2016b): Sungai Aouk: il fiume degli Dei. Speleologia, n° 75, pp.12-13.

• Benassi A., Baroncini Turricchia G. (2012): Cercando grotte all’ombra del Nunusaku Speleologia, n°67, pp.50-55.

• Benassi A. (2016): Seram 2015: inseguendo il ruggito del Sapalewa. Speleologia, n. 74, pp.14-15.

• Benassi A. (2015): Seram 2015: Sapalewa underground river Expedition Report, 116 p. (on line report https://drive.google. com/open?id=0B8voZyYANWYfOXJYRHlGUk5zNk0

• De Vries G. (1927): Bij de berg Alfoeren op West-Seran Zutphen W. J. Thieme & Cie.

• Laumanns M., Price L. (2016): Atlas of the great caves and karst of Southeast Asia. Part 1, introduction – Malaysia (2nd edition). Berliner Hohlenkundliche Berichte, n. 65.

• Rutten L. Hotz W. (1920): De geologische expeditie naar Ceram, TAG 33 (2nd series), pp. 17-73.

• Sachse F. J.P. (1922): Seran: Mededeelingen van het Bureau voor Bestuurszaken der Buitengewesten. Eencyclopaedisch Bureau, n. 24.

• Vicenzi I. (2016): Seram – Papua 2016, Cronache Ipogee, n. 10, pp. 2-4.

• http://peta.caves.or.id/(Indirizzo dell’attuale catasto on-line indonesiano curato dalla ISS Indonesian Speleological Society)

• https://www.facebook.com/IndonesianSpeleologicalSociety. Pagina ufficiale della ISS

41 Speleologia 76 giugno 2017

Camminare sui vuoti della Carcaraia

Un tratto del percorso attraverso i bianchi costoni calcarei nelle zone basse della Carcaraia. Sullo sfondo la cresta rocciosa del M. Cavallo. (Foto Marco Taverniti)

Atre anni dalla sua ideazione, il sentiero “CAI 1000” è finalmente diventato realtà: un sentiero a tema speleologico che tocca gli ingressi di cinque dei quindici complessi più profondi di mille metri in Italia.

Ci troviamo nelle Apuane settentrionali, in un fazzoletto di terra sul versante nord del Monte Tambura chiamato l’Alta Valle dell’Acqua Bianca, più nota nell’ambiente speleologico come Carcaraia. L’interesse per quest’area iniziò negli anni 60’ a opera del Gruppo Speleologico Fiorentino (GSF), spinto qui dalla ricerca del bacino di assorbimento della sorgente del Frigido, che si trova sul versante opposto della montagna. Negli anni ‘90-2000, grazie a incessanti esplorazioni, quest’area carsica divenne un punto di riferimento nel mondo speleologico e un laboratorio di tecniche e logiche adeguate per portare avanti fronti esplorativi a grandi distanza dagli ingressi. Ogni speleologo che abbia almeno 10 anni di attività ricorderà probabilmente il raduno di Apuane 2007, in cui il “sentiero dei meno mille” era uno dei 18 percorsi proposti per far loro conoscere le principali aree carsiche delle Alpi Apuane. Il percorso nasceva unendo le tracce già utilizzate dagli speleologi per raggiungere

gli ingressi di alcune delle oltre 230 grotte della Carcaraia, tra cui gli ingressi dei meno mille. Negli anni successivi, questo percorso ha avuto un gran

42 Speleologia 76 giugno 2017 PROGETTI
Dai percorsi di “Apuane 2007” nasce il sentiero speleologico “CAI 1000”
Laura PAOLIERI - Gruppo Speleologico Fiorentino CAI, Speleoclub Garfagnana CAI

Uno dei pannelli esplicastivi che spiegano le caratteristiche dell'area carsica lungo la quale si snoda il percorso. (Foto Federico Domenichini)

seguito in Toscana, sia da parte di singoli escursionisti, sia da parte di sezioni CAI. In molti hanno ripercorso questo ripido sentiero, talvolta lamentandosi dello stato della traccia e dei segni a forma di pipistrello (caratteristici in vari colori di tutti percorsi di Apuane 2007), talvolta provvedendo silenziosamente a migliorarli. In tempi in cui la speleologia è in contrazione, l’idea di consegnare all’attività promozionale del CAI un sentiero di stampo speleologico già utilizzato dalla comunità che frequenta queste montagne, ci è sembrato un modo per fare divulgazione sul territorio e un esperimento per allargare gli orizzonti della speleologia senza snaturarne il significato, che per noi è quello della ricerca, l’esplorazione e lo studio delle grotte. Il numero inusuale “1000” ci è stato riconosciuto dal GR CAI Toscana per la particolarità della proposta: un nuovo tipo di sentiero tematico, il sentiero speleologico, che a nostra conoscenza non ha simili al momento in Italia.

Questo sentiero potrebbe essere solo il primo di una serie di sentieri speleologici CAI capaci di far conoscere e valorizzare le aree carsiche, in modo da contribuire a promuoverne il territorio con forme di turismo sostenibile.

Il tracciato del sentiero di Apuane 2007 è stato opportunamente rivisto, sia per ammorbidirne le asperità, anche su consiglio del CAI regionale, sia per rendere più lineare il percorso.

Nella scelta del logo tematico da apporre sulle tabelle CAI, ci è sembrato naturale riprendere il pipistrello segnavia di Apuane 2007, di colore nero come è norma per i loghi tematici CAI.

Abbiamo voluto completare la traccia con dei pannelli divulgativi pensati per gli escursionisti, senza dimenticare gli speleologi. I pannelli, situati presso gli otto

CAI MILLE PROFONDITÀ SUPERFICIALI

Dal paese di Gorfigliano si percorre la strada che sale in direzione delle cave alte di Carcaraia. Il sentiero parte dalla galleria dove termina la strada asfaltata e prosegue con la strada marmifera. Percorsi circa 700 metri dopo un primo tornante a sinistra, occorre fare una breve deviazione lungo uno stradello dismesso a sinistra per incontrare l’ingresso della Buca dell’Aria Ghiaccia. Tornati sulla strada si continua a salire fino a una biforcazione dove, a destra, si segue in direzione delle cave Focolaccia. Si continua ancora sulla marmifera fino a quota 1220 dove i segnavia si inoltrano a sinistra nel bosco. Di lì a poco si raggiunge l’ingresso dell’Abisso Gigi Squisio e, più in alto, la depressione che ospita l’ingresso dell’Abisso Arbadrix. Di qui è possibile abbandonare il percorso ritornando sulla strada marmifera poco distante. Rimanendo invece sul sentiero, si prosegue nel bosco in ripida salita fino all’impressionante dolina dell’Abisso Saragato. Continuando s’incontra il pannello illustrativo dedicato alle acque sotterranee; poco dopo, dove termina la vegetazione, si ha una

ingressi e in altri punti della valle, raccontano la storia delle esplorazioni di quella grotta e introducono due chiavi per la comprensione dei sistemi carsici: aria e acqua, in modo da presentare le grotte come sistemi correlati con l’ambiente circostante.

Per tradurre in realtà questo progetto, sono occorsi tre anni di iter burocratico, in cui ci hanno sostenuto le sezioni e le relative commissioni sentieristiche, che hanno subito sposato l’idea. Il primo passo formale è stato la presentazione del sentiero al CAI regionale, valutando gli aspetti di sicurezza del percorso con sopralluoghi congiunti. Poi l’ottenimento del nulla osta dal Parco delle Alpi Apuane, considerando gli aspetti d’impatto paesaggistico della cartellonistica. Infine l’apertura della CILA (Comunicazione Inizio Lavori Asseverata) per interventi di edilizia libera da parte dei Comuni sul cui territorio insiste il sentiero. Parallelamente ci siamo impegnati per trovare fondi e fare rete con le

spettacolare panoramica sul monte Roccandagia, Tambura, Focolaccia, Cavallo, Zucchi di Cardeto e Pisanino. Si sale quindi fino a connettersi al sentiero CAI n. 177 dove, deviando a sinistra è possibile raggiungere l’ultimo meno mille esplorato nella valle: l’Abisso Chimera. Invece, proseguendo in salita lungo il 177 poco prima di raggiungere la cresta del Monte Tambura si giunge all’ingresso dell’Abisso Roversi, la grotta più profonda d’Italia, al momento. Raggiunta la cresta fino al Passo della Focolaccia si può godere del panorama sul più ripido e inciso versante marino della Versilia con vista sull’Alto di Sella, Sella, Altissimo e Monte Corchia. Si attraversa la cava e si scende un tratto di marmifera sotto il Monte Cavallo fino al tornante dove la traccia del sentiero “CAI 1000” reimmette nel tipico paesaggio brullo e lunare della Carcaraia. Dopo poco incontriamo l’ingresso dell’Abisso Perestroika e poi, giù, fino alla faggeta dove si apre l’ingresso di Mani Pulite. Da qui seguendo ancora il ripido sentiero si costeggia l’alveo secco del Rio Rondegno riguadagnando la strada di cava, chiudendo così la parte ad anello del sentiero. Si ridiscende quindi fino alla galleria.

43 Speleologia 76 giugno 2017

istituzioni del territorio e le associazioni speleologiche. Sul sito www.sentieromenomille.it, in continua costruzione, sono reperibili le immagini dei pannelli informativi, adeguate informazioni sul percorso e altri approfondimenti a tema speleologico.

Il tragitto è stato classificato dal CAI come adatto a escursionisti esperti (EE), sia perché impegnativo, con i suoi 9 km e oltre 800 m di dislivello, sia per via del terreno accidentato con tratti esposti. Il tempo di percorrenza medio indicato è di 5-7 ore, anche se di buon passo, e senza fermarsi a leggere i cartelli, può essere percorso più velocemente.

Che sia percorsa da escursionisti e speleologi, questa camminata a cielo aperto, su un terreno dal carsismo esasperato, regalerà splendidi panorami e l’acuto contrasto con le cave di marmo bianchissimo. Ci auguriamo che l’escursionista che avrà la pazienza di leggere

i pannelli esplicativi, possa tornare a casa anche con uno sguardo di quanto c’è sotto i suoi i piedi. Il sentiero “CAI 1000” nasce da una collaborazione tra alcuni gruppi speleologici toscani: Gruppo Speleologico Fiorentino CAI, Speleoclub Garfagnana CAI, Unione Speleologica Pratese CAI, e la sezione CAI Castelnuovo di Garfagnana, competente per territorialità, che si è assunta la gestione del sentiero.

Il progetto è stato patrocinato da: Società Speleologica Italiana, Federazione Speleologica Toscana, Unione dei Comuni della Garfagnana, Comune di Minucciano, Comune di Vagli e CAI Firenze e realizzato con il contributo di: Banca della Versilia Lunigiana e Garfagnana, Unione dei Comuni della Garfagnana, Federazione Speleologica Toscana e Sezione CAI Castelnuovo di Garfagnana.

I cartelli indicatori della vecchia sentieristica CAI lungo l’aerea cresta del monte Tambura. (Foto Marco Taverniti)

44 Speleologia 76 giugno 2017 PROGETTI - CARCARAIA CAI 1000 Nome Numero catasto Quota ingresso (m s.l.m.) Dislivello positivo (m) Dislivello negativo (m) Dislivello totale (m) Sviluppo spaziale (m) Complesso carsico Sorgente di recapito BUCA DELL’ARIA GHIACCIA T/LU 10271088365760112535000 Complesso della Carcaraia Equi Terme ABISSO GIGI SQUISIO T/LU 16281222.243882112535000 Complesso della Carcaraia Equi Terme ABISSO ARBADRIX T/LU 741132653653702700–Equi Terme ABISSO PIERO SARAGATO T/LU 350146551120112535000 Complesso della Carcaraia Equi Terme Frigido ABISSO PAOLO ROVERSI T/LU 7051705100125013504300–Frigido ABISSO PERESTROIKA T/LU 104915220116011602000–Equi Terme ABISSO MANI PULITE T/LU 115914420106010604500–Equi Terme BUCA DEL SELCIFERO (ABISSO CHIMERA) T/LU 1775150137 m102110589430–Frigido

L’area carsica del monte Campo dei Fiori, situata a settentrione della città di Varese, ospita un sistema carsico di tutto rispetto, comprendente classicamente in alto una zona di infiltrazione, quindi una zona di trasferimento, e in basso una zona satura permanentemente invasa dalle acque. All’attuale stato delle conoscenze sono note oltre 160 cavità. (Foto Luana Aimar)

Che aria tira lassù?

Ovvero, essenza di un tracciamento aereo al Campo dei Fiori (VA)

Correva l’anno 2016 quando un manipolo di appassionati di meteorologia delle grotte mise incoscientemente in piedi un corso nazionale CAI di meteorologia ipogea sulle sponde del Ticino, nella suggestiva sede di Panperduto (canale Villoresi). Gli argomenti trattati non rientravano proprio nei canoni classici della materia, ma puntavano piuttosto a fornire qualche lume per interpretare e seguire il misterioso fluire dei venti sotterranei, che perpetuamente stregano generazioni di speleologi (e non solo…). Come ben sappiamo, l’appetito vien mangiando: quindi, perché non concludere in bellezza con un bel tracciamento nel vicino sistema del Campo dei Fiori? Ce lo chiedevano con insistenza gli speleo che operavano in zona (Gallarate, Varese ecc.): bisognava prendere l’occasione al volo.

Sapevamo, poco, di una serie di tracciamenti aerei precedenti portati avanti anni prima, cui supplimmo con i saggi suggerimenti di Gian Paolo Rivolta che i test li aveva pensati e condotti. Quindi, a metà luglio, eccoci in azione alle pendici del Campo dei Fiori muniti di bottigliette, botticini e quant’altro necessario per portare avanti questa esperienza.

L’area

Il monte Campo dei Fiori o Tre Crocette (1227 m s.l.m.)

è situato a settentrione della città di Varese, da cui può venire raggiunto addirittura con autobus urbano. Si tratta di un massiccio sedimentario calcareo-dolomitico di età triassico-giurassica, con dorsale orientata estovest: rappresenta il fianco meridionale di una piega i cui strati immergono verso sud con una pendenza di 30-40o. L’area ospita sistemi carsici di tutto rispetto, comprendente classicamente in alto una zona d’infiltrazione, quindi una zona di trasferimento, e in basso una zona satura permanentemente invasa dalle acque. Le grotte più importanti finora conosciute, partendo dalle quote più alte, sono:

Il Complesso della Valle della Stretta formato dalle grotte Schiaparelli (1112 m s.l.m.), Via col Vento (1015 m s.l.m) e Cima Paradiso (1184 m s.l.m): sviluppo superiore a 8 km, profondità 714 m.

La grotta Marelli (1027 m s.l.m ): sviluppo 5800 metri, profondità 512 m.

L’ abisso dei Mattarelli (1014 m s.l.m ): sviluppo 4500 m, dislivello 417 m.

La grotta del Frassino (900 m s.l.m ): sviluppo 2650 m, dislivello 154 m.

Il Bus del Remeron (720 m s.l.m ): sviluppo 2330 m, dislivello 343 m.

La grotta Nuovi Orizzonti (610 m s.l.m ): sviluppo 7080 m, dislivello 239 m.

Altre grotte significative sono Scondurava, Scondurelli, Befanassa, Ghiri, Virginia Macchi; allo stato attuale sono noti complessivamente oltre 160 ingressi. Dal punto di vista meteorologico, vari studi hanno evi-

PROGETTI 45 Speleologia 76 giugno 2017
www.speleologiassi.it/76-campo-dei-fiori PROFUMO... DI FIORI?

denziato che le grotte poste più in alto funzionano da bocche calde, quelle alla base del sistema da bocche fredde, quelle poste a quote intermedie fanno un po’ quello che vogliono.

Il tracciamento

Come primo passo abbiamo cercato di provare il collegamento tra i settori bassi di alcune grotte ancora in esplorazione e le grotte apparentemente più interessanti che si aprono nell’area basale della montagna. La tecnica, oramai abbastanza collaudata, è stata quella di rilasciare essenze naturali e di rilevarne il passaggio mediante cattura su captori a carbone attivo. Il tracciante è stato successivamente rilevato mediante gascromatografia, previa estrazione dell’analita con solvente.

I traccianti sono stati rilasciati nelle grotte:

Abisso Mattarelli, area fondo: D-Limonene (aria 10.1 °C, portata 1.5 m3/s)

Abisso Schiaparelli, area fondo: ß-Pinene (aria forte, 11.2 °C)

Abisso Marelli, Galleria Italia: α-Pinene (aria 9.4 °C, portata 0.45 m3/s

I rilevatori sono stati posti invece in queste grotte:

Quattro Donne: aria 9-11 °C, portata 0.35 m3/s

Cattivi Pensieri: aria 8-9 °C, portata 0.7-0.9 m3/s

Ultimo Arioso: aria 6.5-8 °C, portata 0.2-0.3 m3/s

Nuovi Orizzonti: aria 9-10.5 °C, portata 0.1-1.6 m3/s

Frassino: nessun dato

Giurati: aria 11-13 °C, portata 1.2 m3/s

Emos: aria 12.5 °C, portata 0-0.1 m3/s

Antro della Calce: aria 9-13 °C, portata 0.1-0.4? m3/s

Conclusioni

Una prima conclusione è che l’analisi gas cromatografica, decisamente più economica rispetto a quella associata alla spettrometria di massa (GC-MS), permette di avere buoni risultati in questo campo di applicazione; i costi di una campagna di tracciamento sono ora

Valori della concentrazione relativa (area gas-cromatogramma)

Grotte tracciateBeta PineneD-limonene [test fondo ambientale]0.1-050.1-0.3

4 Donne33685

Cattivi Pensieri4.24

Ultimo Arioso3.511

Nuovi Orizzonti0.80.3

Emos80.2

Antro Calce1.51

Frassino8.52.5

Giurati2<0.1

Positivo sicuro

Positivo possibile

Positivo probabile

Per meglio comprendere i rapporti tra le cavità note nel Campo dei Fiori, nel luglio del 2016 è stato effettuato un test di tracciamento delle arie di grotta utilizzando tre diversi traccianti.

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PROGETTI - CAMPO DEI FIORI

Schema

alla portata di ogni gruppo speleologico strutturato. Dobbiamo purtroppo precisare che la rilevazione del tracciante α-Pinene è dubbia per una serie di problemi analitici, purtroppo solo successivamente risolti.

Circa i collegamenti tra le grotte oggetto del test, i grafici sono sicuramente più chiari di mille parole:

Mattarelli è in netta relazione con Quattro Donne (una relazione così chiara che meriterebbe un ulteriore esperimento con un tracciamento quantitativo), una piccola parte dell’aria va comunque a Ultimo Arioso. Schiaparelli fornisce un modesto contributo all’aria che esce dal Frassino e ancora più modesto a quella che esce da Emos.

Scendendo nei dettagli, in prima approssimazione i volumi di aria misurati in entrata e in uscita sono abbastanza coerenti, ma la temperatura dell’aria riscontrata in uscita, fatta eccezione per Quattro Donne, è tendenzialmente più bassa, fino a due °C.

La bassa concentrazione del tracciante riscontrato nei captori, l’incoerenza nella temperatura dell’aria circolante ci fanno pensare a un sistema vasto e complesso, percorso da flussi aerei alimentati da un areale più vasto rispetto alle grotte oggetto del test.

Alla luce di questa prima positiva esperienza, varrebbe sicuramente la pena proseguire con altre serie di test, anche quantitativi.

Ringraziamenti

I test sono stati resi possibili dalla collaborazione di speleologi di più gruppi, in particolare Gallarate, Novara e Varese, coordinati da Luca Palazzolo, Riccardo Sainaghi e Alessandro Uggeri.

In particolare desideriamo ringraziare per le numerose uscite Lia Botta, Gianluca Glotta, Massimo Loriato, Antonio Moroni, Oscar Sules e Marco Venegoni.

Bibliografia essenziale

• Uggeri A. (2016): “Area Carsica di Monte Campo dei Fiori”. In: Il catasto Speleologico Lombardo (Progetto TuPaCa). Federazione Speleologica Lombarda, Erba, pp. 167- 179.

• Rivolta G.P. (2016): Tracciamenti aerei tra le grotte del Monte Campo dei Fiori (VA). Labirinti, n. 35 in stampa.

• Cella G.D., Gigante D., Miragoli M. (2015): “Tracciamento delle correnti aeree con terpeni naturali”. In: Atti XXII Congresso nazionale di speleologia, Pertosa-Auletta (ed. digitale). Memorie dell’Istituto Italiano di Speleologia, vol. XXIX, pp. 478-485.

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Il rilascio del tracciante nella frana finale dell’abisso Schiaparelli.
(Foto
Marco Venegoni)
delle connessioni rilevate durante l’esperimento di tracciamento.

Cassano allo Ionio 2017 Un progetto di ricerca speleo-archeologica

Questo progetto, voluto e coordinato dal Centro Regionale di Speleologia “Enzo dei Medici”, nasce dall’esigenza di un riordino e, al tempo stesso, di un potenziamento delle conoscenze relative ai fenomeni sotterranei naturali ricadenti nel territorio comunale di Cassano allo Ionio (Cosenza). Le cavità naturali presenti in questo comprensorio territoriale, affacciato sull’ampia Piana di Sibari nella Calabria settentrionale ionica, possiedono una lunga storia: riconosciute come sede di remote frequentazioni antropiche sin dagli anni Sessanta del secolo scorso, sono state successivamente esplorate da diversi sodalizi speleologici nazionali sino a mettersi in evidenza per i lori ragguardevoli sviluppi metrici, tra i più lunghi oggi noti in Calabria. Ben presto, tuttavia, la vasta mole di dati derivanti da esplorazioni condotte da singoli studiosi nonché da ricerche effettuate da gruppi speleologici o enti universitari, è andata disperdendosi e frammentandosi, senza mai giungere a ricomporsi in un quadro unitario di conoscenze. Recentissime indagini e scoperte, d’altro canto, hanno messo in evidenza l’esistenza di nuove emergenze ipogee e di giacimenti archeologici in precedenza del tutto ignoti. Il Progetto

speleo-archeologico “Cassano allo Ionio 2017” è finalizzato a porre rimedio a queste lacune; il suo scopo, in particolare, è quello di pervenire a un censimento puntuale delle cavità esistenti in loco, alla ricostruzione

Grotta inferiore di Sant’Angelo: un momento delle ricerche condotte nell’area del Trivio.

(Foto Francesco De Salve)

Grotta in contrada Pavolella: crani umani accumulati alla base di una profonda frattura nella roccia.

(Foto Felice Larocca)

48 Speleologia 76 giugno 2017 PROGETTI

Grotta inferiore di Sant’Angelo: manufatto in selce campionato durante le recenti indagini.

(Foto Felice Larocca)

Grotta dell’Antenato: uno degli ingressi della cavità utilizzata per finalità sepolcrali.

(Foto Felice Larocca)

della loro storia esplorativa, alla creazione di un database di dati speleometrici, all’individuazione di misure utili alla tutela dei maggiori siti d’interesse archeologico. Tutto ciò è stato precedentemente concordato con la Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio per le Province di Catanzaro, Cosenza e Crotone nonché col Comune di Cassano allo Ionio che, prendendo atto delle linee guida del Progetto, le hanno fatte proprie autorizzando le attività in programma.

I siti in corso di studio

Alla data del 20 aprile 2017 le cavità di Cassano allo Ionio regolarmente censite e inserite negli elenchi del Catasto delle Grotte della Calabria risultano essere 24, perlopiù ubicate alle falde dei massicci carbonatici del Muraglione e del Monte San Marco. La più estesa tra esse è il Complesso delle Grotte di Sant’Angelo, originariamente costituita da più grotte distinte, congiunte tra loro in tempi diversi mediante esplorazioni speleologiche (Grotta inferiore di Sant’Angelo, Grotta superiore di Sant’Angelo, Grotta sopra le Grotte di Sant’Angelo, Grotta dei Settenani), sino a formare un’unica grande cavità lunga complessivamente 3649 metri. Le ricerche in tale complesso sotterraneo si sono concentrate nell’originaria Grotta inferiore di Sant’Angelo, che oggi ospita un percorso turistico su passerella lungo poco meno di 250 metri. In questa cavità la maggiore attenzione è stata indirizzata al settore ipogeo noto come “Il Trivio”. Qui sono state riconosciute consistenti tracce di antiche frequentazioni umane, collocabili nell’Eneolitico iniziale, attorno ad oltre 5500 anni fa.

Elenco delle cavità che costituiscono il Complesso delle Grotte di Sant’Angelo a Cassano allo Ionio, con relative sigle catastali e sviluppi planimetrici.

N°Sigla catastaleNome cavitàSviluppo planimetrico

1Cb 104Grotta inferiore di Sant’Angelo1325 m

2Cb 103Grotta superiore di Sant’Angelo1005 m

3Cb 102Grotta sopra le Grotte di Sant’Angelo233 m

4Cb 406Grotta dei Settenani1086 m

L’accensione di fuochi in questo distretto sotterraneo è testimoniata dalla presenza di sedimenti fortemente carboniosi. Abbondanti resti di vasellame in impasto, di industria litica su pietra scheggiata e levigata, di resti faunistici in parte recanti segni di combustione hanno orientato l’interpretazione del contesto in senso cultuale. L’esplorazione di una profonda frattura verticale presente al suolo ha permesso di recuperare, peraltro, numerosi manufatti che sembrerebbero essere stati gettati al suo interno intenzionalmente.

Un’altra cavità oggetto di studio è quella nota come Grotta dell’Antenato, situata a poca distanza dalla precedente. Essa ha restituito i resti di diverse sepolture, collocate all’interno di anguste fratture nella roccia calcarea. Probabilmente tali fratture facevano parte del fondo di una cavità in origine più ampia, poi distrutta a seguito di attività di cava (di cui restano evidenti tracce in superficie). L’orizzonte cronologico di tale contesto sepolcrale è molto ampio, coinvolgendo un arco temporale che si estende dalla fine del Neolitico fino agli inizi dell’età del Bronzo (all’incirca tra 6000 e 4000 anni fa).

Le prospettive di ricerca

Le indagini, che proseguiranno sino alla fine del 2017, coinvolgeranno molte altre grotte, a iniziare da quelle che mostrano maggiori esigenze di conoscenza e tutela per la presenza di giacimenti archeologici interni. In alcuni casi, per le cavità a più alto rischio di manomissione da parte di scavatori clandestini, gli imbocchi saranno protetti da solidi cancelli temporanei, che saranno poi rimossi a ricerche concluse.

49 Speleologia 76 giugno 2017

Puerto Princesa Underground River, Palawan Un progetto trentennale di ampio respiro

Dopo la spedizione del novembre 2016, tra aprile e maggio di quest’anno si è svolto il secondo atto del progetto di ricerca portato avanti dall’associazione La Venta Esplorazioni Geografiche nel parco nazionale del monte Saint Paul, nell’isola di Palawan (vedi Speleologia, n. 66).

Il progetto, denominato “Support for Sustainable EcoTourism In Puerto Princesa Underground River Area” è stato ideato insieme alla Tagbalay Foundation di Puerto Princesa, un’associazione privata che promuove attività per uno sviluppo economico sostenibile dell’isola di Palawan e la salvaguardia delle sue bellezze naturali, ed è stato portato avanti con la preziosa collaborazione di speleologi filippini appartenenti al Gaia Exploring Club di Manila e all’associazione “La

In alto: la grande galleria superiore scoperta nel 2016 nel settore nord del sistema, probabile relitto di un antico percorso del collettore e ora occupata da crolli e grandi depositi di concrezione.

(Foto Alessio Romeo)

A sinistra: proiezione su immagine aerea dello sviluppo in pianta del Puerto Princesa Underground River (PPUR); aggiornamento 2011. (Elaborazione grafica Leonardo Piccini)

50 Speleologia 76 giugno 2017 PROGETTI

Karst” con sede a Palawan. I finanziamenti derivano dal piano di collaborazione internazionale Italy-Philippines Debt for Development Swap Program e per questo il progetto ha usufruito dei massimi appoggi istituzionali.

In sostanza, una grande opportunità per continuare gli studi e le ricerche in quest’area carsica davvero unica, che ha visto gli speleologi italiani protagonisti sin dalle prime spedizioni del 1989 e 1990, svolte sotto l’egida della Società Speleologica Italiana. Una grande opportunità, quindi, ma anche una grossa responsabilità, poiché il progetto prevede esplicitamente che le attività di ricerca debbano portare benefici concreti anche alle popolazioni locali e non solo incrementare le conoscenze su un piano strettamente speleologico e scientifico.

Per questo motivo il lavoro è stato incentrato prima di tutto sul completamento della documentazione e delle ricerche scientifiche, al fine di avere un quadro esaustivo delle particolari caratteristiche ambientali del sistema carsico del Saint Paul, base conoscitiva indispensabile per la sua salvaguardia.

Sul piano scientifico è stato dato ampio spazio a ricerche di tipo biologico, con un campionamento a tappeto dell’intero complesso carsico e di altre grotte dell’area, che hanno permesso finalmente di avere un quadro completo della ricchezza faunistica e della biodiversità di questo vasto ecosistema sotterraneo.

I campioni raccolti nelle due spedizioni sono diverse centinaia e, sebbene ancora in fase di smistamento e studio, numerosi sono gli esemplari raccolti appartenenti a probabili nuove specie. È stata anche accertata la presenza di almeno sette diverse specie di chirot-

teri e due di salangane, le “rondini” di mare che abitano in gran numero questa grotta.

Nel novembre 2016 erano state posizionate ben sette sonde per il monitoraggio del comportamento idrodinamico del fiume sotterraneo, lungo oltre 7 km, che rappresenta il principale “motore” energetico del sistema. 20 termometri con datalogger erano stati invece collocati in varie parti della grotta, registrando le temperature con un periodo di 15 minuti. I dati raccolti rappresentano una mole di dati enorme, sebbene limitata nel tempo, che certo permetterà di comprendere meglio la complessa dinamica energetica dell’Underground River.

Sono stati poi prelevati vari campioni di rocce, depositi e speleotemi. In particolare sono state raccolte alcune stalagmiti, già divelte dalla loro base per cause naturali, ed eseguiti alcuni carotaggi di speleotemi da analizzare per ricostruzioni paleoclimatiche. Numerosi campioni raccolti sono invece relativi ai vari minerali, in prevalenza fosfati, prodotto della reazione tra sostanza organica e roccia in posto o precipitati da acque di percolazione venute a contatto con depositi di guano. Per quanto riguarda le operazioni di rilievo, oltre ad alcune poligonali di controllo di rami già rilevati negli anni precedenti, sono stati eseguiti i rilievi 3D con laser scanner di alcuni dei più grandi ambienti presenti nella grotta, tra cui la “Italian’s Chamber”, scoperta nel 1989, la cui pianta misura approssimativamente 360 m di lunghezza per una larghezza massima di 150 m. Tecniche di fotogrammetria sono state invece usate per rilevare particolari forme di corrosione parietale, tra cui pareti ricche di scallops e antichi solchi di livello idrico (solchi di battente).

51 Speleologia 76 giugno 2017
L’ampio portale d’ingresso della Tara Cave, grotta orizzontale esplorata recentemente dagli speleologi filippini dell’associazione
La Karst di Palawan. (Foto Alessio Romeo) Le splendide eccentriche trovate in nuove diramazioni nelle zone scoperte nel 2011. (Foto Alessio Romeo)

Le soddisfazioni non sono mancate neanche sul piano esplorativo, sebbene questa fosse un’attività necessariamente subordinata rispetto alle altre. Sopralluoghi in diramazioni non più rivisitate dalle prime esplorazioni del 1989 e 1990, fatte essenzialmente per completare la documentazione fotografica, hanno infatti permesso di scoprire importanti continuazioni e nuovi ambienti. Anche nelle grandi gallerie scoperte nel 2011 (vedi Speleologia n. 66) sono state esplorate nuove diramazioni laterali per oltre un chilometro di sviluppo, ricche di concrezioni uniche per forma e bellezza.

Una delusione invece è arrivata da una veloce prospezione nelle zone alte della montagna, dove nel 2011, in occasione della prima ascensione documentata del Saint Paul Dome (1028 m s.l.m.) erano stati individuati alcuni inghiottitoi a circa 700 m di quota. In un tre intensi giorni fatti di lunghe camminate nella foresta, violenti acquazzoni, fango e sanguisughe, sono stati raggiunti nuovamente i due ingressi visti 6 anni fa, ma entrambe le grotte chiudono dopo poche decine di metri di sviluppo e profondità, lasciando comunque intravedere la possibilità di trovare grotte a sviluppo verticale in un’area che rimane ancora in gran parte inesplorata.

Il progetto era però incentrato anche su altre attività, tese alla divulgazione di competenze tecniche, di rilievo e scientifiche agli speleologi filippini, al personale del Parco e alle guide che lavorano per accompagnare i turisti in grotta. Corsi e lezioni pratiche sono stati svolti sia nella spedizione del 2016 sia in quella del 2017, con ampia partecipazione e soddisfazione da ambo le parti.

Tra gli obiettivi del progetto c’era anche l’individuazione di percorsi d’interesse naturalistico da proporre ai

turisti come alternativa o integrazione alla visita all’Underground River. Per questo motivo sono stati svolti sopralluoghi in alcune cavità minori dell’area, di accesso relativamente semplice ma di particolare interesse morfologico, con lo scopo di predisporre progetti di fruizione “ecoturistica” e a basso impatto. Attività che potranno diventare opportunità concrete di lavoro per la gente del posto, in qualità di guide, e rivolte a turisti che vogliano conoscere più approfonditamente il territorio e non limitarsi ad un “mordi e fuggi” ristretto alla sola visita del tratto turistico del Puerto Princesa Underground River.

Il materiale video-fotografico raccolto, di notevole qualità, potrà invece essere utilizzato per arricchire la documentazione rivolta ai turisti e per realizzare centri di accoglienza informativi, tra cui anche un possibile museo a Puerto Princesa.

In sostanza, sono stati in totale 45 giorni di intensa attività che hanno visto coinvolti circa 60 persone, tra speleologi e ricercatori, sia italiani che filippini, tutti tesi, con uno spirito di massima collaborazione e amicizia, ad arricchire le conoscenze di questo straordinario sistema carsico sotterraneo, che non immeritatamente è stato riconosciuto nel 2012 come una delle “nuove sette meraviglie naturali del mondo”.

Enti di ricerca coinvolti: Università di Bologna, Università di Firenze, Museo di Storia Naturale di Firenze, Istituto Nazionale di Fisica Nucleare di Torino, Università di Almeria.

Patrocini: Ambasciata Italiana in Filippine, Philippines – Italy

Debt for Development Swap Program, Puerto Princesa National Park, Tagbalay Foundation, City of Puerto Princesa.

Sponsor: Leica Italia, Laserscangst, Eragest di Tiziano Conte, Lifesaver, Amphibious, Ferrino, De Walt, Dolomite, Scurion, Tiberino.

Un momento del corso di aggiornamento pratico di progressione in corda rivolto agli speleologi filippini.

(Foto Martino Frova)

52 Speleologia 76 giugno 2017
PROGETTI - PPUR

ERRATA CORRIGE

Il presente articolo sostituisce integralmente il precedente, pubblicato su Speleologia n. 78 alle pagine 54-57, andato in stampa con errata assegnazione delle didascalie. Ci scusiamo qui con l’amico Sossio Del Prete per l'errore in cui siamo incorsi e al quale rimediamo.

Morfologie pseudocarsiche tra i ghiacci del Sistema Solare

Canali, depressioni doliniformi, sinkhole e rilievi residuali sui corpi ghiacciati del Sistema Solare

Sossio DEL PRETE - Planetario di Caserta - Federazione Speleologica Campana

Evoluzione di uno spider

a) All’inizio della primavera australe, la struttura a canali radiali è coperta da uno strato di ghiaccio secco;

b) il ghiaccio traslucido è riscaldato dal basso e sublima dalla base. Il gas eiettato attraverso crepe nel ghiaccio, porta in carico la polvere che viene dispersa dal vento a formare dei conoidi; c) Il loro sviluppo risente dei cambiamenti della direzione del vento, nuovi conoidi si depositano sul ghiaccio secco in assottigliamento; la favorevole inclinazione del Sole rispetto alla superficie fa brillare le pareti dei canali; d) In piena estate con il disgelo completo del ghiaccio secco, i canali scavati nel ghiaccio d’acqua vengono esumati. Il substrato esposto è coperto da un sottile strato di polvere che nella stagione successiva verrà ridistribuita da nuove eruzioni. (http://www.uahirise.org).

Lo spazio celeste rappresenta senza dubbio l’ultima frontiera dell’esplorazione umana. Per ora, tuttavia, si è solo iniziato a esplorare il giardino intorno casa e per lo più tramite sonde automatiche che, con i loro apparati tecnologici, ci fanno osservare e studiare gli ambienti e le variegate morfologie dei pianeti del Sistema Solare. Queste indagini hanno aperto nuovi scenari geologici e geografici che hanno permesso di trovare, sulla Luna e su Marte, chiare evidenze di morfologie ipogee sotto forma di tubi di lava. Ma l’acquisizione recente di dati su corpi ghiacciati come comete, lune e pianeti, o di regioni come le calotte polari di Marte, ha permesso di identificare morfologie pseudocarsiche epigee. Nella gran parte dei casi non si tratta di forme generate da qualche processo di solubilizzazione chimica come nel fenomeno carsico, o da crolli di cavità endoglaciali, bensì da un processo fisico di sublimazione in cui il calore e la ridotta o nulla pressione atmosferica portano il ghiaccio solido a trasformarsi direttamente in vapore. Questi fenomeni evidenziano la possibile presenza di contesti speleogenetici legati a processi chimico-fisici assolutamente sconosciuti sulla Terra, i cui meccanismi richiedono ancora approfondimenti e ulteriori dati da future missioni.

Tra i ghiacci di Marte

Le calotte polari di Marte sono alcune delle regioni più dinamiche di tutta la superficie del pianeta. A causa dell’inclinazione dell’asse di rotazione e dell’eccentricità dell’orbita, Marte riceve fino al 45% d’irraggiamento solare in meno tra afelio e perielio. Le calotte si espandono e si contraggono in maniera significativa e in inverno si verifica un consistente aumento della massa del volume di ghiaccio. Esse hanno uno spessore di 2-3 km e sono costituite principalmente da depositi stratificati di ghiaccio d’acqua e polvere, mantellati da un sottile strato di ghiaccio di anidride carbonica soggetto a disgelo stagionale.

Le due calotte polari presentano aspetti morfologici molto differenti fra loro; quella settentrionale ha una superficie piatta, butterata e granulosa (cottage cheese), quella meridionale presenta superfici più uniformi con presenza di pozzi, canali, depressioni dal fondo piatto e forme residuali tipo mesa. Le particolari condizioni atmosferiche nell’area del Polo Sud, inoltre, sono

responsabili di una anomala distribuzione geografica delle precipitazioni nevose causa del decentramento della calotta polare, molto più piccola di quella settentrionale, rispetto al polo geografico.

Le immagini ad alta risoluzione del Mars Orbiter Camera hanno mostrato che le variazioni di temperatura stagionale nelle regioni polari creano paesaggi con una grande varietà di morfologie.

Forme canalizzate sono state osservate nella regione del Polo Sud nota come “criptic region” (regione misteriosa), così chiamata perché sebbene coperta da uno strato di ghiaccio di CO2 presenta un albedo (la frazione di luce incidente che viene riflessa) molto basso. Queste morfologie, dette “spider” o “aracniformi”, mostrano una modesta depressione centrale da cui si diparte una rete di canali ramificati; hanno un diametro di 200-300 m, ma possono variare da poche decine di metri fino al chilometro. I canali sono profondi da pochi decimetri a 1 m e ampi fino a 5 m. Durante la primavera australe in corrispondenza dei canali si osserva la formazione transitoria di depositi di polvere scura concentrati o dispersi a conoide che, riformandosi ogni anno più o meno nella stessa posizione, sembrano indicare un controllo topografico nella loro genesi. Sulla loro origine, s’ipotizzano fenomeni tipo geyser associati alla sublimazione primaverile del ghiaccio di CO2 che si accumula in inverno nelle regioni polari. Con il sorgere del Sole nel corso della primavera australe, le polveri scure riscaldate dalla luce del Sole “affondano” attraverso lo strato ghiacciato e si accumula-

APPROFONDIMENTI 53 Speleologia 76 giugno 2017
www.speleologiassi.it/75-pseudocarsismo UN VIAGGIO NEL SISOL

APPROFONDIMENTI - SISTEMA SOLARE

no a formare un livello scuro tra il ghiaccio di CO2 e il sottostante substrato di ghiaccio di H2O perenne. L’energia assorbita dalle polveri fornisce il calore necessario a innescare la sublimazione del ghiaccio di CO2 lungo l’interfaccia con il substrato di ghiaccio d’H2O. La sublimazione genera vapore di CO2 che provoca un rapido aumento di pressione in grado di sollevare e rompere localmente la lastra di ghiaccio soprastante da cui erutta gas ad alta pressione. Il flusso gassoso mentre converge velocemente verso il punto di emissione prende in carico i depositi di sabbia e polvere e li eietta all’esterno. Contemporaneamente, erode anche il substrato scavando una rete di canali ipogei organizzati in una struttura di tipo radiale, gli “spider”. Alla fine dell’estate, il ghiaccio secco può essere completamente rimosso esumando i canali ipogei scavati nel substrato che vengono ricoperti da nuovo ghiaccio di CO2 nell’inverno successivo, rinnovando il ciclo.

Fatte le dovute differenze genetiche, queste morfologie ricordano una sorta di karren ad andamento centripeto che si approfondiscono e convergono dalla periferia verso il centro.

Durante il disgelo stagionale, la sublimazione esercita anche un altro tipo di “erosione” sul mantello di ghiaccio di CO2 sporco. Con la primavera e l’estate australe la sublimazione del ghiaccio secco stagionale dà origine a depressioni doliniformi, che informalmente potremmo definire “doline da sublimazione”, circondate da altipiani residuali dalla sommità piatta tipo mesa Queste depressioni hanno pareti scannellate, talora gradonate e molto inclinate e ampliandosi lateralmente possono andare in coalescenza fra loro. Sebbene il loro diametro sia variabile da poche centinaia di metri a più di un chilometro, la profondità, dedotta in base alla proiezione dell’ombra, è di circa 8-10 m. Le pareti a contorno mostrano una sequenza di strati costituita da un’alternanza di bande chiare e scure dello spessore di 1-2 m. L’ampliamento delle depressioni fino alla loro coalescenza riduce nel contempo l’estensione delle mesa. La velocità di arretramento delle pareti è dell’ordine di 1-3 m/anno.

Talora le doline hanno una tipica forma a “fagiolo” e

quando i due margini si uniscono possono isolare un piccolo torrione residuale al centro che poi scomparirà. L’approfondimento verso il basso della depressione procede fino allo strato di ghiaccio perenne di H2O sottostante che rimane in sede in quanto le temperature raggiunte non sono sufficienti a farlo sublimare. Le depressioni si espandono di anno in anno, ma se nel fondo durante l’inverno si accumula un nuovo strato di ghiaccio secco, si può originare una forma multipla con una nuova generazione di doline sovrimposte.

Il carsismo negli idrocarburi di Titano

Sulla superficie di Titano, luna di Saturno, la sonda Cassini ha individuato forme molto simili a quella di una tipica area carsica: colline residuali a cono, aree con diffusa presenza di morfologie doliniformi, valli e laghi di origine pseudocarsica presumibilmente sono il risultato dell’azione solvente esercitata sull’esotico substrato “roccioso” composto da toline (molecole organiche che si formano per irraggiamento della radiazione ultravioletta di metano o etano), acido cianidrico, acetilene e altri composti organici in un ambiente con temperatura media di 95 °K (-178 °C). Questo tipo di substrato risulta solubile in una miscela di composti organici con una composizione media di 77% di metano, 23% di azoto molecolare e tracce di etano tipica delle piogge e dell’atmosfera di Titano.

In anni di osservazione, la sonda Cassini ha individuato molti sistemi temporaleschi nelle regioni polari ed equatoriali a seguito dei quali si sono formati temporanei laghi di idrocarburi, provando che le piogge di idrocarburi effettivamente raggiungono e bagnano il suolo nonostante la ridotta gravità (0,14 g).

Pur non disponendo di dati diretti, le dimensioni dei canali individuati indicano che gli eventi piovosi possono essere molto intensi (fino a 1 cm/ora) mentre i modelli atmosferici indicano valori annuali medi delle precipitazioni più o meno equivalenti a quelli dell’iperarido deserto dell’Atacama in Cile. Questa dissoluzio-

In alto: panoramica di un campo di “doline da sublimazione” del Polo sud di Marte nel corso della primavera australe. Si osservano piccole doline a “fagiolo” e doline circolari isolate o coalescenti con o senza torrione all’interno (NASA/JPL/University of Arizona). Questi paesaggi osservati per la prima volta nel 1999 dal Mars Orbiter Camera furono definiti dall’aspetto simile al “formaggio svizzero” (Thomas et al., 2000).

A sinistra: evoluzione di una “dolina da sublimazione a fagiolo”. La dolina a “fagiolo” (1) si richiude a “tenaglia” su se stessa (2) isolando un torrione (testimone o butte) al centro (3) che col tempo sublimerà completamente (4). (NASA/ JPL/University of Arizona).

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L’intricato pattern di morfologie doliniformi che la sonda New Horizons ha fotografato nella regione di Tombaugh il 14 luglio 2015 (NASA/JHUAPL/SwRI). Il riquadro ingrandito copre un’area di 80x80 km.

ne potrebbe essere uniforme o portare alla formazione di morfologie carsiche come valli, doline, inghiottitoi o cavità sotterranee.

Le doline di Plutone

Plutone, “declassato” nel 2006 a pianeta nano, è stato osservato da vicino solo in parte nel 2015 dalla sonda New Horizons che ha rivelato interessanti aspetti geologici.

La sua superficie è composta per il 98 % da ghiaccio d’azoto, con tracce di metano e monossido di carbonio poggianti su un mantello di ghiaccio d’H2O che avvolge un nucleo roccioso.

La temperatura media è di 40 °K (-233 °C) e in queste condizioni ambientali il ghiaccio d’H2O è solido e resistente come una roccia terrestre, mentre gli altri tipi di ghiaccio sono più “teneri”.

Il ghiaccio di azoto e quello di monossido di carbonio sono miscibili fra loro, meno rigidi del ghiaccio d’acqua e, proprio come nei ghiacciai della Terra, possono fluire più facilmente con velocità di alcuni centimetri l’anno.

La presenza di ghiaccio di metano contribuisce a rendere meno volatile questa miscela e quindi più rigida. In questo contesto glaciale, sulla superficie di Plutone sono state osservate catene montuose e piane ghiacciate con flussi glaciali costituiti da composti organici.

blima, o perché pozzi molto profondi, che rivelano un substrato di depositi scuri sotto lo strato di ghiaccio superficiale. Nelle regioni del Planum in cui le “placche” di convezione non sono evidenti, i pozzi sono più numerosi. In questi casi essi sembrano allinearsi lungo le direzioni del flusso di ghiaccio e probabilmente rappresentano dei punti di scambio di sostanze volatili tra il “sottosuolo” e l’atmosfera.

I sinkhole della Cometa 67P

Doline nella dolina. La deposizione durante l’inverno di un nuovo strato di ghiaccio secco all’interno di una grande “dolina da sublimazione” crea le condizioni per la formazione di una nuova generazione di “doline” più piccole (NASA/ JPL/University of Arizona).

La Sputnik Planitia è un’estesa piana di ghiaccio di azoto e monossido di carbonio con evidenze di flussi glaciali che si sviluppa dall’emisfero nord fino all’equatore di Plutone nel settore occidentale della Regione di Tombaugh. La sua superficie si suddivide in poligoni irregolari larghi alcune decine di km, spessi 3-4 km e delimitati da depressioni da cui talora emergono blocchi collinari costituiti da ghiaccio di H2O sporco. Questa sorta di zolle ghiacciate si muovono a una velocità di alcuni cm/anno per effetto, forse, della convezione alimentata dal calore interno o da un oceano sepolto che favorisce un costante rimodellamento e ringiovanimento del paesaggio. In questa enorme piana di ghiaccio sono visibili molte depressioni e/o pozzi che si ritiene siano il risultato della sublimazione del ghiaccio di azoto; questi pozzi, del diametro di centinaia di metri per decine di metri di profondità, si concentrano anche lungo i margini delle celle di convezione. Spesso il fondo è scuro, forse per l’accumulo di toline, che si depositano come residuo dal ghiaccio che su-

Forse l’ultimo posto dove ci si sarebbe attesi di osservare forme pseudocarsiche è proprio una cometa. Tuttavia, la missione Rosetta, coordinata dall’ESA per lo studio della cometa 67P, ha aperto nuovi scenari sulla loro distribuzione. Nell’emisfero nord della cometa sono stati individuati 18 “pozzi” dalla forma quasi circolare molto simili a doline da collasso. Hanno un diametro da decine a poche centinaia di metri, profondi fino a 210 m e con il fondo liscio e coperto di polvere. Durante l’avvicinamento al Sole, con il riscaldamento della superficie, alcuni “pozzi” si sono attivati emettendo getti di gas la cui azione contribuisce al loro continuo modellamento. Sulla loro origine ancora diverse sono le teorie al vaglio ma le immagini indicano che si sono formati per collasso del tetto di cavità ipogee la cui genesi non è ancora certa.

Un’ipotesi è che gli ipogei esistessero fin dalla nascita della cometa come conseguenza di collisioni a bassa velocità tra i blocchi primordiali che hanno originato un conglomerato caratterizzato da ampi vuoti o, più verosimilmente, da una diffusa micro-porosità strutturale. Una ipotesi più accreditata prevede la formazione di cavità dall’interno per sublimazione di ghiaccio di CO2 e CO innescata dal calore prodotto dalla transizione di fase da ghiaccio d’H2O amorfo, una forma in cui le molecole d’H2O non sono disposte in modo ordinato, a cristallino.

Diffuso nello spazio interstellare, sulla Terra è molto raro. Una diminuzione di pressione può attivare la transizione di fase esotermica che, insieme a una diminuzione di densità da 1,2 a 0,94 g/cm3, innescherebbe un processo disgregativo subsuperficiale in grado di liberare gas volatili intrappolati, formare una cavità ipogea e frantumare la crosta superficiale. Con la rottura del tetto della cavità, il ghiaccio delle pareti esposte sublima generando getti di gas.

55 Speleologia 76 giugno 2017

Conclusioni

Nelle regioni ghiacciate del Sistema Solare si sviluppano processi geologici su “substrati esotici” che non hanno eguali sulla Terra. L’esplorazione di nuovi mondi ci porterà inesorabilmente a confronto con ambienti molto diversi dal nostro che apriranno la strada verso scenari geologici e geomorfologici finora impensati e mai osservati.

Si amplieranno gli orizzonti della geologia e dei processi geomorfologici e le morfologie su ghiaccio appena illustrate ne rappresentano un esempio eclatante.

Forme, queste, che solo per un fenomeno di convergenza morfologica risultano molto simili a quelle carsiche ma che tali non sono poiché generate da processi principalmente legati alla temperatura su cui possono sovrapporsi processi di suffosione gassosa. Morfologie non generate, quindi, né da processi di dissoluzione né da soluzione ma dalla trasformazione del ghiaccio solido direttamente in gas (sublimazione) per effetto della temperatura.

Per questo motivo alcuni Autori definiscono queste morfologie come termocarsiche estendendo a questi contesti una terminologia adottata per gli ambienti periglaciali terrestri.

Tuttavia, nel caso di Titano ci troviamo di fronte a veri e propri fenomeni di dissoluzione benché il processo interessi una fase liquida e una solida completamente diversa da qualsiasi altro contesto terrestre. Questo è forse l’unico caso tra quelli finora noti che, nonostante l’esoticità delle componenti coinvolte, più si avvicina alle caratteristiche di un’area carsica classica.

Nel caso di Titano, infatti, non si esclude che le piogge di metano e azoto non solo scorrano in superficie ma anche nel sottosuolo all’interno di gallerie naturali.

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• New Horizons NASA’s Mission to Pluto: http://pluto.jhuapl.edu/

• Missione Rosetta: http://www.esa.int/Our_Activities/Space_ Science/Rosetta

Distribuzione delle forme da collasso sulla cometa 67P e dettaglio delle doline della regione di Ma’at in diversi stadi evolutivi (da Vincent et al., 2015). La dolina più giovane (Ma’at_01) è più profonda, ha pareti ripide e può emettere getti di degassazione durante l’avvicinamento al Sole. Col tempo sul fondo si accumulano massi e detriti che si distaccano dalle pareti laterali (Ma’at_02) avviandosi verso una fase senile in cui i bordi delle pareti sono erosi e addolciti e la dolina si riempie di polvere e detriti (Ma’at_03).

56 Speleologia 76 giugno 2017 APPROFONDIMENTI - SISTEMA SOLARE

Creative Commons

Cosa sono e come possono cambiare le creazioni speleologiche Un esempio dal Catasto grotte della regione Lombardia

Gli speleologi hanno la responsabilità di essere depositari di una conoscenza esclusiva che ha ricadute sociali enormi, racchiuse in pochi termini semplici e inequivocabili: l’acqua e i suoi percorsi sotterranei.

In assenza di Leggi regionali (e nazionali) sulla Speleologia, il timore di diffondere i dati catastali senza una ragionevole certezza di vederne riconosciuta la paternità ha, in alcuni casi, reso di fatto impossibile una corretta divulgazione dei dati speleologici con omogeneità in molti territori del nostro Paese. Nella regione Lombardia, la Federazione Speleologica Lombarda (FSLo) negli ultimi quattro anni ha investito molte energie per proporre un cambio di prospettiva, studiando gli strumenti disponibili per dare le minime garanzie ed esporre sul web una parte delle informazioni.

Quest’approccio, dal punto di vista della Federazione, rappresenta una piccola rivoluzione e sicuramente un passo storico nel modo di interagire con tutta la comunità speleologica.

A seguito di un diffuso dibattito interno, la scelta della soluzione poi adottata è ricaduta sull’impiego di una delle Licenze Creative Commons (CC); ma cosa sono e come si applicano?

Queste e altre domande sono state affrontate e approfondite prima di fare il grande passo.

Le licenze Creative Commons

Una prima e immediata definizione delle Licenze Creative Commons vede contrapposto il concetto di Dominio Pubblico, su cui nessuno ha facoltà di rivendicare alcun tipo di diritto, e quello di Copyright che, senza mezzi termini, esprime in maniera inequivocabile che, su una certa opera, “tutti i diritti sono riservati”. Creative Commons si pone esattamente nel mezzo, affermando sinteticamente che “alcuni diritti sono riservati”.

E’ una dichiarazione forte, che ha ricadute straordinarie sulla condivisione e sul riutilizzo della conoscenza altrui; nella diffusione di un’opera, l’autore, mediante le licenze Creative Commons, informa il pubblico in maniera precisa sulle proprie scelte e indica immediatamente quali usi sono inibiti e quali invece sono esplicitamente consentiti, senza che il pubblico, per un eventuale riutilizzo, debba necessariamente chiedere autorizzazione all’autore.

Spetta quindi all’autore dell’opera (o un terzo che ne detiene i diritti, se ad esempio li ha acquisiti dall’autore) decidere con quale forma tutelare i propri diritti sull’opera.

Comunemente, in Italia in particolare, si è portati a pensare che un libro, un brano musicale, un dipinto oppure i dati di una ricerca scientifica, siano esposti al rischio di non veder tutelata la paternità dei diritti sull’opera fintanto che non venga in qualche modo espletata una formalità verso SIAE, il monopolista italiano dei diritti d’autore. Nella realtà la normativa è molto chiara ed esprime inequivocabilmente che l’autore acquisisce il complesso dei diritti sull’opera con la semplice creazione della stessa: “Il titolo originario dell’acquisto del diritto d’autore è costituito dalla creazione dell’opera, quale particolare espressione del lavoro intellettuale”

Quindi tutelare i propri diritti su di un’opera si riconduce a provarne l’esistenza in una certa data, al solo scopo di difendersi dalle pretese di terzi. Questo è possibile farlo in tanti modi differenti, depositandola presso un Ente Pubblico, che è tenuto a protocollare alcune tipologie di documenti, presso SIAE, presso un notaio oppure pubblicando l’opera, all’interno ad esempio di una rivista o di un giornale.

Il Catasto Grotte

Ma come è possibile proteggere nello specifico un Catasto delle Grotte? Com’è possibile che un’associazione amatoriale, quale è ad esempio la Federazione Speleologica Lombarda, possa rivendicare dei diritti d’autore su un insieme di informazioni che in fin dei

APPROFONDIMENTI 57 Speleologia 76 giugno 2017

APPROFONDIMENTI - CREATIVE COMMONS

conti descrivono entità geografiche, come un luogo o una forma del territorio?

Come già anticipato non è possibile rivendicare diritti su un dato di dominio pubblico. Eppure, esulando solo per un attimo dalle grotte, di cui si può dire che siano tutto ma non certo di dominio pubblico, molti soggetti privati vendono licenze d’uso di banche dati coperte da copyright, quali le mappe stradali oppure i toponimi. Strade e luoghi che sono sotto gli occhi di tutti, e di dominio pubblico. Ebbene, una prima giustificazione si trova nel fatto che se nella realizzazione dell’opera ho usato opera di intelletto allora l’opera è tutelata dalla normativa sul diritto d’autore.

La normativa in vigore (Legge 22 aprile 1941, n. 633: Legge a protezione del diritto d’autore e di altri diritti connessi al suo esercizio) all’articolo 1 individua come protette “le opere dell’ingegno di carattere creativo” e “i programmi per elaboratore” (software)’. Ecco che allora il dato ‘grotta’ messo a catasto diventa un qualcosa di più complesso, che ha richiesto il rilevamento di una posizione geografica (l’ingresso), l’interpretazione di una carta, la descrizione di una forma del territorio (la grotta) attraverso una catalogazione strutturata e ragionata, frutto certamente di un lavoro creativo.

Lo stesso articolo aggiunge: “nonché le banche dati che per la scelta o la disposizione del materiale costituiscono una creazione intellettuale dell’autore” specificando nel dettaglio cosa si intende per “banche dati”, intese come “raccolta di opere, dati o altri elementi indipendenti, sistematicamente o metodicamente disposti, mentre la tutela della stessa non si estende al contenuto (il singolo elemento) e lascia impregiudicati i diritti esistenti su tale contenuto”. Si pensi ad esempio alle compilation musicali: i diritti sulla compilation lasciano inalterati i diritti sui singoli brani che la compongono. Dunque, a maggior ragione il Catasto, in quanto collezione di rilevazioni sulle grotte, si configurerebbe come una raccolta, a sua volta opera intellettuale, su cui sono riconosciuti i diritti d’autore.

Nel caso della FSLo, come del resto accade anche in altre realtà regionali, possiamo ragionevolmente affermare che gli speleologi che si sono succeduti per generazioni, hanno ceduto la propria opera (le informazioni rilevate nella singola scheda catastale) al Catasto delle Grotte Lombarde, con la finalità di costituire una raccolta di informazioni, la più completa e rappresentativa, che nel suo insieme acquisisce un maggior valore che non la singola informazione presa singolarmente.

La Direttiva Europea n. 96/9/EC specifica espressamente che le banche dati sono state formalmente inserite tra le categorie di opere dell’ingegno tutelate da diritto d’autore previste dalla normativa comunitaria; tuttavia vengono istituiti nuovi diritti per la tutela delle banche dati prive di carattere creativo e quindi non considerate a pieno titolo opere dell’ingegno. Si parla del cosiddetto “diritto sui generis”, da parte del costitutore, con riferimento all’investimento sostenuto per la realizzazione del database (e non con riferimento all’apporto creativo), diritto che dura 15 anni dalla costituzione della banca dati.

E’ proprio questo il caso delle banche dati su strade e

toponimi, alla base dei sistemi di navigazione satellitari ad esempio, di cui di anno in anno vengono rilasciate nuove versioni “aggiornate”.

In Europa le licenze CC devono confrontarsi con il cosiddetto diritto “sui generis” sulle banche dati, che al posto del diritto d’autore, finisce per proteggere il contenuto delle banche dati e limitarne gli usi. Così le licenze CC 3.0 europee sono caratterizzate dalla completa rinuncia a far valere il diritto sui generis sulle banche dati prive di carattere creativo; resta tutelato il diritto d’autore per quel che riguarda la struttura della banca dati, assieme ad altre caratteristiche “espressive” della stessa, ma è garantito il libero utilizzo dei fatti e delle informazioni contenute nella banca dati. A questo punto sono parse chiare tre considerazioni: che il catasto già potrebbe godere dei diritti d’autore solo per il fatto di essere stato creato; che potrebbe essere per differenti motivi un’opera di intelletto e quindi tutelata dalla normativa sul diritto d’autore e non dal diritto sui generis; e infine che sull’opera potrebbe già essere dimostrabile la paternità in capo alla FSLo, ex ESRL in base ai numerosi documenti o alle pubblicazioni passate. Sarà successivamente un parere di uno studio legale che confermerà a FSLo questa interpretazione della normativa, raccomandando alcune azioni per prudenzialmente tutelare la paternità del dato catastale. Nello spiegare cosa sono, appare egualmente utile chiarire che cosa non è Creative Commons: non è un ente pubblico con compiti istituzionali, non è un ente di gestione di diritti d’autore alternativo a SIAE, non è un servizio di consulenza legale e non è neppure un “movimento”, seppur non si possa negare che, per i suoi scopi e per il suo ambito d’azione, il progetto Creative Commons risulta, sotto vari aspetti, parte di un più ampio movimento culturale definito “movimento per la cultura libera”.

Alcune definizioni risultano importanti per capire le formulazioni delle licenze d’uso.

La licenza d’uso è uno strumento giuridico con il quale il detentore dei diritti sull’opera regolamenta l’utilizzo e la distribuzione della stessa. E’ di fatto lo strumento di diritto privato che, fondandosi sui principi del diritto d’autore, si occupa di chiarire ai fruitori dell’opera cosa possono fare e cosa non possono fare con essa.

La Licenza e la Tutela dell’opera: sono cose differenti: non è la licenza a tutelare l’opera! Ma è compito dei principi e della normativa sul diritto d’autore. L’applicazione di una licenza d’uso infatti nulla ha a che fare con l’acquisizione dei diritti su di essa e tanto meno con l’accertamento e la tutela della paternità: l’autore prima acquisisce i diritti sull’opera e poi decide di regolamentarli attraverso l’applicazione di una licenza. Se un autore regolamenta un’opera su cui non detiene i diritti sta commettendo un illecito.

Il Licenziante e Licenziatario sono le due figure che ruotano attorno alla definizione della licenza d’uso: il primo è l’unico soggetto titolato ad applicare legittimamente una licenza d’uso all’opera. E’ colui che detiene l’intero fascio di diritti d’autore previsti dalla legge; in genere è l’Autore (ma non sempre perché questi può

58 Speleologia 76 giugno 2017

ad esempio aver ceduto/venduto i diritti a terzi…). Il secondo è invece chi vuole ‘riutilizzare’ l’opera e i suoi contenuti.

Perché un autore dovrebbe scegliere di applicare alla propria opera Licenze Standardizzate come le Creative Commons? Escludendo a priori il metodo fai-da-te, non adatto ai non addetti ai lavori, il licenziante può avvalersi (pagando) della prestazione di qualcuno di competente in campo giuridico per la redazione della licenza, oppure può affidarsi a licenze standardizzate messe a disposizione gratuitamente da progetti e organizzazioni non-profit, che hanno affidato a giuristi preparati e a esperti del settore la redazione delle licenze; è questo il caso delle licenze Creative Commons. Queste organizzazioni non diventano in alcun modo una parte in causa, cioè non sono responsabili di ogni singola applicazione delle licenze, non accertano né certificano la paternità del dato in capo all’autore, né si occupano direttamente della consulenza e dell’assistenza legale. Semplicemente il loro compito è quello definire in termini legali un testo che possa essere compreso e interpretato in maniera omogenea nel maggior numero di paesi nel mondo. Ma veniamo alle caratteristiche peculiari: ognuna delle 6 licenze condivide con le altre una serie di caratteristiche comuni, in particolare tutte le licenze richiedono che il licenziatario:

ottenga il permesso dal licenziante per fare una qualsiasi delle cose che ha scelto di limitare. mantenga l’indicazione di diritto d’autore intatta su tutte le copie del suo lavoro, in modo tale che sia sempre chiaramente individuabile chi è il detentore dei diritti e qual è il tipo di licenza da lui scelto. faccia un link alla licenza dalle copie dell’opera. non alteri i termini della licenza, che è una violazione! Ogni licenza, a patto che si rispettino le condizioni sopra esposte, permette che i licenziatari: facciano copie dell’opera con qualsiasi mezzo e su qualsiasi tipo di supporto. distribuiscano l’opera attraverso i più disparati circuiti. comunichino al pubblico, rappresentino, eseguano, recitino o espongano l’opera in pubblico (…). cambino il formato dell’opera.

Quindi, sotto una qualsiasi delle Creative Commons, sono concesse le seguenti libertà:

Sempre: la libertà di riprodurre, distribuire, comunicare al pubblico, esporre in pubblico, rappresentare, eseguire e recitare l’opera.

A discrezione del Licenziante: la libertà di modificare l’opera.

Ed egualmente sono definite le seguenti condizioni

d’uso:

Sempre: ‘Attribuzione’: riconoscere la paternità dell’opera all’autore originario.

A discrezione del Licenziante, ‘non commerciale’: non utilizzo dell’opera per scopi commerciali.

A discrezione del Licenziante, ‘non opere derivate’: non è consentito alterare, trasformare o sviluppare l’opera.

A discrezione del Licenziante, ‘condividi allo stesso modo’: se alteri trasformi o sviluppi l’opera, puoi di-

stribuire l’opera risultante solo per mezzo di una licenza identica a questa.

Dalla combinazione delle libertà concesse e delle condizioni d’uso sopra elencate, scaturiscono le 6 Licenze Creative Commons vere e proprie (nell’immagine qui sotto).

Le 6 licenze Creative Commons (fonte http://www. copyleft-italia.it/images/stories/documenti/aliprandimanualeCC.pdf di Simone Aliprandi)

FSLo, nel dibattito condotto in assemblea, ha scelto di abbracciare lo spirito di Creative Commons seppur nella formulazione che è parsa più cautelativa e restrittiva: CC BY-NC-ND, e cioè Creative Commons - attribuzione, non commerciale, non opere derivate

Usi differenti da quelli consentiti non sono vietati in termini assoluti, ma vincolati a un’espressa richiesta a FSLo, che, in qualità di gestore della banca dati e in rappresentanza degli speleologi dei gruppi Lombardi aderenti, avrà piena libertà di decidere caso per caso. Una volta compreso il senso delle Licenze Creative Commons, quali sono gli step da seguire per applicarle?

1. Assicurarsi che l’opera possa cadere sotto licenza Creative Commons: le licenze Creative Commons si applicano alle opere protette da copyright: libri, scritti, siti web, appunti, blog e ogni altra forma di scritto; fotografie e altre immagini visive; film, videogames e altri documenti video; composizioni musicali, registrazioni sonore e altre opere audio.

2. Assicurarsi di averne i diritti: se siete voi l’autore dell’opera, allora siete probabilmente il titolare del copyright e di conseguenza potete licenziare l’opera come meglio desiderate.

3. Assicurarsi di aver compreso come funzionano le licenze Creative Commons.

4. Pubblicate l’opera esponendo il logo della licenza scelta e link al testo completo della licenza.

E se poi si cambia idea sulla licenza applicata? Le licenze Creative Commons sono in un certo senso ‘irrevocabili’: ciò significa che non potete impedire a qualcuno, il quale abbia ottenuto la vostra opera sotto una licenza Creative Commons, di usare l’opera secondo i termini di quella licenza. Potete smettere di offrire la vostra opera sotto licenza Creative Commons in ogni mo-

59 Speleologia 76 giugno 2017

mento, ma questo non intaccherà i diritti relativi alle copie della vostra opera che sono già in circolazione. Come già anticipato, nel seguire questi step FSLo ha ritenuto utile incaricare un legale per acquisire un parere orientativo sul fatto che il catasto possa essere effettivamente ricadere entro quelle opere creative tutelate dal diritto d’autore, e successivamente ha proceduto a depositare in SIAE una copia dei Databases costituenti il Catasto delle Grotte Lombarde, al fine di tutelare nel modo migliore possibile la paternità del dato catastale in capo agli speleologi lombardi, rappresentati da FSLo.

Il giornalista, scrittore e blogger Cory Doctorow scrisse «il mio problema non è essere copiato, è essere ignorato». Questa ormai celebre frase inquadra in maniera tagliente quello che purtroppo è stato per molti anni il Catasto delle Grotte e il mondo della speleologia in Lombardia, sostanzialmente ignorato. Oggi, forse più che mai, ne capiamo le motivazioni, ma da ormai un anno l’approccio è radicalmente cambiato.

Il progetto ‘Tupaca’ (Tutela del Patrimonio Carsico), realizzato nel biennio 2015-2016 e cofinanziato da un bando di Fondazione Cariplo e raggiungibile online all’indirizzo www.speleolombardia.it/catasto, è stato lo strumento tramite il quale la Speleologia Lombarda ha potuto cambiare la propria mentalità: “condividere”, nella vera accezione della parola, non significa solo far vedere agli altri quello che faccio (in questo lo speleologo medio di oggi è diventato abbastanza abile a divulgare al pubblico con filmati e presentazioni), ma significa scambiare informazioni, conoscenza, favorire e imparare dalla altrui creatività, unire le forze verso un obiettivo comune.

Gli speleologi lombardi hanno oggi finalmente l’opportunità di conoscere il proprio catasto, di studiarlo, di migliorarlo, di correggerlo e aggiornarlo. Tutto qui?

No. Hanno soprattutto il compito di presentarlo, spiegarlo, divulgarlo al pubblico e agli Enti Locali durante serate e manifestazioni pubbliche. Da maggio 2016 a oggi (maggio 2017) le statistiche ci parlano di 5.424 utenti univoci, 133.702 visualizzazioni di pagina, con 13.844 sessioni, ciascuna della durata media di 9 minuti e 40 secondi (è tantissimo!). Gli speleologi hanno la responsabilità di essere depositari di una conoscenza esclusiva che ha ricadute sociali enormi, racchiuse in pochi termini semplici e inequivocabili: l’acqua e i suoi percorsi sotterranei. In Lombardia molti soggetti che hanno partecipato ai convegni organizzati da FSLo se ne stanno accorgendo: Regione Lombardia, i gestori del servizio idrico integrato, i singoli professionisti, in alcuni casi anche Aziende private e multinazionali. Ora sta a FSLo gestire responsabilmente questo patrimonio mettendolo prima di tutto al servizio della collettività e alla tutela dell’ambiente carsico.

Molti dei testi riportati, se non citati espressamente, sono tratti da “Creative Commons: Manuale operativo guida all’uso delle Licenze e degli altri strumenti CC” di Simone Aliprandi, che ringrazio, senza il quale sarebbe stato anzitutto inopportuno riscrivere, ma difficile, se non impossibile, esprimere con tanta chiarezza e proprietà di linguaggio dei concetti appartenenti al mondo della giurisprudenza.

Il manuale è pubblicato al seguente link: http://www.copyleft-italia.it/images/stories/documenti/aliprandi-manualeCC.pdf ed è concesso in licenza Creative Commons attribuzione – non commerciale – condividi allo stesso modo 2.5 Italia, licenza il cui testo integrale è disponibile alla pagina web: http://creativecommons.org/licenses/by-ncsa/2.5/it/ legalcode.

Il progetto “Tupaca” (Tutela del Patrimonio Carsico), realizzato nel biennio 2015-2016 e cofinanziato da un bando di Fondazione Cariplo è stato lo strumento tramite il quale la Speleologia Lombarda ha potuto “condividere” il patrimonio di dati acquisito. Nell’immagine un momento della presentazione dei risultati durante il convegno effettuato al Palamonti di Bergamo nell’autunno del 2016.

60 Speleologia 76 giugno 2017 APPROFONDIMENTI - CREATIVE COMMONS

In Cappadocia la seconda edizione del Congresso Internazionale di Speleologia in Cavità Artificiali HYPOGEA 2017

Facendo seguito alla prima edizione di HYPOGEA 2015, svoltasi a Roma dall’11 al 17 marzo 2015, il Congresso Internazionale di Speleologia in Cavità Artificiali ha visto la sua seconda edizione realizzarsi finalmente in Turchia, nel magnifico scenario della Cappadocia. “Hypogea 2017”, ancora una volta organizzato sotto l’egida della International Union of Speleology e con il patrocinio (tra gli altri) della Società Speleologica Italiana, ha avuto una non facile fase di gestazione, legata inevitabilmente alla instabilità politica degli ultimi mesi. Ciò nonostante, il congresso è stato seguito da oltre 50 studiosi provenienti da 11 nazioni (Bulgaria, Francia, Georgia, Germania, Grecia, Italia, Israele, Russia, Spagna, Turchia e Ucraina) che hanno affrontato una serie di tematiche incentrate sulle cavità artificiali: dal censimento agli aspetti esplorativi, all’esecuzione cartografica, all’utilizzo di nuove tecnologie per l’esplorazione e il rilievo topografico, a ricerche e ri-esplorazioni in opere minerarie sino a pericoli connessi all’instabilità in cavità artificiali.

Dopo lo scenario del 2015, costituito dalla magnificenza della città di Roma, l’evento del 2017 ha avuto come degno teatro gli spettacolari scenari naturali della Cappadocia, una regione nota a tutti per la ricchezza e varietà di cavità artificiali, inserite in contesti

naturali tra i più belli al mondo. L’intero congresso si è tenuto in lingua inglese, al pari di tutte le escursioni, e nella stessa lingua sono stati pubblicati gli atti. Questi ultimi, a cura di Mario Parise, Carla Galeazzi, Roberto Bixio e Ali Yamaç, testimoniano con le quasi 560 pagine del volume, la notevole mole di lavoro svolto, frutto delle relazioni presentate e dei poster esposti al congresso. Particolarmente ricco è stato il programma

delle escursioni, che hanno consentito ai partecipanti al congresso di visitare (o ri-visitare) magici luoghi e siti della Cappadocia: l’Open Air Museum di Goreme, la città sotterranea di Kaymakli, la splendida valle di Soganli con chiese e monasteri bizantini datati dal IX al XIII secolo, Gelveri, il canyon della valle di Ilhara, il magnifico sistema sotterraneo del villaggio di Sivasa, presso Avanos. Una varietà e una ricchezza di ipogei artificiali che raramente si riscontra in altre zone del mondo.

Il congresso ha confermato la necessità e l’utilità di un appuntamento periodico al fine di condividere le esperienze di ricerca e di studio sulle cavità artificiali in campo internazionale, e rafforzato ulteriormente le attività della Commission on Artificial Cavities della International Union of Speleology. L’appuntamento è già stato fissato, di qui a due anni, per la terza edizione di Hypogea 2019, che si svolgerà in Bulgaria.

In alto: panorama tipico del paesaggio della Cappadocia, con sullo sfondo la cima innevata del Monte Erciyes, che raggiunge quasi i 4000 m s.l.m. (Foto Boaz Zissu)

A sinistra: Foto di gruppo dei partecipanti durante una delle escursioni in Cappadocia.

61 Speleologia 76 giugno 2017

Esplorazioni profonde al Gorgazzo Il nuovo racconto dei protagonisti

La sorgente del Gorgazzo, nelle Prealpi Carniche del Friuli Venezia Giulia rappresenta, uno dei principali punti dove vengono a giorno le acque dell’altopiano carsico del Cansiglio. I caratteristici riflessi turchesi della risorgente hanno fatto da cornice nel corso dei decenni a una serie di imprese speleosubacquee di livello internazionale, che hanno spostato il limite esplorativo sempre più in profondità.

Nel 1992 lo speleosub svizzero Jean Jacques Bolanz raggiunse la profondità di -131 m, fermandosi alla partenza di una verticale sommersa in corrispondenza di ambienti di dimensioni limitate.

15 anni dopo, il lecchese Gigi Casati, allievo di Jean Jacques e già suo compagno nelle precedenti esplorazioni e nei lavori di rilievo del Gorgazzo, riprende le esplorazioni. Tre punte, effettuate nel mese di febbraio del 2008, consentono a Casati di raggiungere prima la profondità di -157 m poi di -190 m e infine i -212 m. Questo limite rappresenta ancora oggi la più profonda esplorazione umana raggiunta in una sorgente italiana. Si ricorda che quell’exploit venne già testimoniato da Casati su Speleologia, n. 68 (2013).

Nel gennaio 2017, con la scoperta e la parziale esplorazione di un importante ramo laterale, è stato scritto un altro bel capitolo della storia delle immersioni nel Gorgazzo. A questo proposito Gigi Casati ha accolto la proposta della redazione di farsi intervistare nuovamente, per condividere con i nostri lettori difficoltà, dubbi ed emozioni che l’esplorazione di ambienti tanto profondi e complessi non possono mancare di trasmettere.

Gigi, quando hai pensato che fosse giunto il momento di fare un nuovo tentativo al Gorgazzo?

Il Gorgazzo è presente nei miei pensieri da sempre, e la sfida pure. Organizzo per andarci a gennaio con l’obiettivo di proseguire oltre il mio precedente limite a -212 m. Sono consapevole che le condizioni della schiena potrebbero riservarmi sorprese, come nel 2016, quando un forte dolore mi aveva costretto a rinunciare. Nell’estate seguente

però, a Vrelo Une, ero poi sceso a -250 m e la schiena si era comportata bene. Prima di partire provo qualche immersione a -100 m; tutto fila liscio e sono fiducioso.

Polcenigo, il paese dove sgorga la “mia” sorgente, mi accoglie a braccia aperte; con i ragazzi della mia équipe sistemo il campo base al Parco San Floriano.

Il livello della sorgente è, a causa della siccità, molto basso, quindi addio alle solite immagini dalla super trasparenza dell’acqua…!

Questa, in superficie, mostra piuttosto uno strato giallo fango. Appena sotto invece la visibilità è cristallina, adatta a essere immortalata nelle immagini del documentario che stiamo girando. L’anno precedente la visibilità non era per niente buona, paragonabile al nebbione che si trova in montagna quando il tempo è uggioso. Quest’anno viviamo la gioia che apre lo spirito quando il sole è splendente. Le previsioni meteorologiche sono favorevoli, non siamo in gara con il tempo e possiamo dedicarci serenamente a collocare il filo di Arianna nella parte profonda, a portare le bombole di emergenza alle quote previste e a realizzare le riprese.

Come vi siete organizzati durante le riprese?

Siamo entrati in acqua in tre con un apparecchio reflex professionale gestito da Andrea Mascalcia che non solo è un operatore in gamba, ma anche un ottimo subacqueo. Davide Corengia ed io abbiamo tre action camera montate, a rotazione, o sui propulsori o sul casco. Il terzo giorno le immersioni diventano più impegnative: l’obiettivo è di raggiungere i -145 m dove lasceremo una bombola e uno scooter di emergenza. Davide mi sta dietro; la potenza dei fari illumina totalmente la galleria. A zone ben illuminate si alternano zone più scure e il loro intervallarsi aumenta il magico effetto di profondità. Lo sguardo penetra agevolmente fino a 20, 30 m di distanza, rimbalzando sulle pieghe rocciose, talvolta rugose per i fossili. Questa per Davide è l’immersione più profonda, dopo le precedenti a -100 m; come suo maestro ne sono orgoglioso.

Qual è stato il momento più emozionante? Durante le riprese, già sulla via del ritorno, un’emozione inaspettata mi colpisce. In un angolo, probabilmente spostato dalla corrente, riconosco lo svolgisagola che Jean Jacques Bolanz, mio amico e maestro, aveva utilizzato esattamente 30 anni fa per raggiungere la profondità di -117 m. Lo raccolgo come fosse una preziosa reliquia.

È in quell’occasione che avete scoperto il nuovo ramo?

Stiamo risalendo ma ci fermiamo per dare una sbirciata in una galleria laterale che avevo già notato in altre occasioni ma trascurato. Entro per un breve tratto, vedo che pro-

62 Speleologia 76 giugno 2017 SPELEOLOGIE
Speleologia 76 giugno 2017

mette di proseguire e me la segno in testa. Il giorno seguente sono di nuovo impegnato per preparare le attrezzature per un’altra immersione profonda, mentre lascio che Davide si prenda il gusto di penetrare nella galleria nuova. Scendiamo insieme fino a essa; lui entra a esplorarla, io proseguo verso il fondo. Raggiunti i -130 m ecco che avverto il maledetto formicolio alle gambe aumentare. Il desiderio sconfinato di continuare lascia lentamente spazio alla sacrosanta saggezza della prudenza. A -150 m interrompo la discesa a malincuore. Inizio a calcolare con grande attenzione i tempi di decompressione e la velocità di risalita, fasi critiche per qualsiasi immersione. A -102 m ritrovo

Davide che esce dalla galleria; ci facciamo compagnia per una parte di decompressione e leggo con piacere sulla sua tavoletta che la galleria continua con dimensioni ragguardevoli. Sono tristemente rassegnato alla rinuncia della parte profonda, ma la nuova galleria rappresenta comunque uno “boccone” appetitoso...

E poi…?

Lo stuzzichino viene battezzato “Galleria dell’Ernia” per ovvie ragioni e cedo volentieri l’assaggio a Davide. L’imbocco risale fino a -90 m e continua in orizzontale; sono in tutto 80 nuovi m e Davide può segnare il suo nome al terzo posto tra gli esploratori della sorgente del Gorgazzo per i metri lineari scoperti, dopo Jean Jacques Bolanz e il sottoscritto. Per lui è certamente una grande soddisfazione, ma anche per me di riflesso, perché ho seguito e incoraggiato la sua crescita. Nelle mie spedizioni non ci sono solo persone che esplorano ma principalmente amici, che dedicano le loro vacanze alla semplice collaborazione, dando una mano nel preparare e assistere gli speleosub di punta; lavoro meno gratificante forse, ma che permette di crescere guardando, valutando, facendo proprie le esperienze altrui fino a raggiungere la pura esplorazione. Meditando sulle informazioni di Davide, scendo anch’io per vedere la nuova parte. Visualizzo il percorso che osservo, confrontandolo con la descrizione di Davide. Superato un passaggio basso, si vede la galleria assumere una sezione circolare e risalire decisa dai -104 m a -92 m con un’inclinazione di circa 75° fino a ritornare di nuovo orizzontale. Le dimensioni hanno una larghezza di 5 m e altezza di 2; il fondo è ricoperto di argilla e le pareti, come in tutta la grotta, sono incrostate di fossili di Rudiste. Raggiungendo la sala descritta da Davide, scorgo il passaggio in alto che è veramente angusto e probabil-

mente poco interessante. Al centro della sala c’è una specie d’imbuto dove potrei scendere. Poiché le dimensioni sono limitate, lascio il propulsore a -95 m e vado giù. Il pozzo ha un diametro di poco più di un metro e la mia attrezzatura non è adatta a un ambiente così stretto. Abbassandomi tra fossili e nuvoloni di un’argilla che velocemente si mette in sospensione raggiungo i -115 m. Sotto, la galleria continua in verticale e sembra allargarsi, ma per oggi basta così: ho percorso altri 20 m di nuova galleria e ho verificato le possibilità di prosecuzione in ambienti interessanti la cui profondità è tutta da verificare.

In conclusione quali sono stati i risultati di queste immersioni?

Nonostante il problema fisico che mi ha limitato nella profondità, il bilancio della spedizione è positivo; i 100 m di nuove gallerie portano lo sviluppo totale della sorgente da 603 m a 703 m e una nuova via verso l’ignoto si è aperta.

A me personalmente tocca la commozione di avere causalmente trovato lo svolgisagola di Jean Jacques Bolanz, usato da lui nel 1987. È un tuffo nei ricordi del rapporto speciale fra noi quando, agli inizi della mia carriera da speleosub, scalpitavo impaziente mentre lui saggiamente mi teneva a freno perché - ora lo so - presto e bene non vanno assieme!

Partecipanti

In questa pagina: alcune delle fasi esplorative al Gorgazzo. (Foto Digitalmovie.it )

Nella pagina a fianco: sorgente del Gorgazzo presso Polcenico, parzialmente alimentata dalle acque di infiltrazione del bacino del CansiglioM. Cavallo. (Foto Patrick Deriaz)

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Adriano Ballarin, Alessandro Giobbi, Carlo Venezia, Cristina Rainero, Davide Corengia, Davide Massarenti, Simone Montani. Foto di Francesco Grazioli

Strisciando 2016

Per la prima volta in Abruzzo si è tenuto l’incontro annuale della speleologia italiana

Dal 28 ottobre al 1 novembre 2016, ai piedi della Majella si è svolto - per la prima volta in Abruzzo - l’incontro nazionale di speleologia a cui hanno partecipato ben 2685 iscritti (donne 1081; uomini 1604) e che ha goduto della presenza di 660 residenti del paese. Edizione denominata quest’anno “Strisciando 2016”.

L’evento, organizzato dallo Speleo Club Chieti e dall’A.P.S. Majella 2016 in collaborazione con la Società Speleologica Italiana e con il Comune di Lettomanoppello che ha ospitato la manifestazione, è stato inserito nel programma delle manifestazioni di “Abruzzo Open Day Winter” della Regione Abruzzo ed è stato patrocinato da CAI, CNSAS, SASA, FSA, FSE, AIC e dall’Ente Parco Nazionale della Majella.

I temi dell’incontro sono stati “Speleologia ed esplorazioni in aree protette” e “Quando finisce un’esplorazione?” ossia fin dove si è disposti a spingersi per “strappare” metri al sottosuolo.

Grazie alla collaborazione di amici dei gruppi Gruppo Speleologico CAI Fabriano, Associazione Speleologia Genga San Vittore, GRAIM, Gruppo Grotte e Forre CAI Aquila, Gruppo Escursionistico Speleologico CAI Pesaro e Speleo Club Teramo sono state organizzate varie escursioni: grotte, forre, miniere, trekking tra eremi e tholos e nell’emissario del Fucino, a cui ci sono state 698 iscrizioni.

A causa del terribile sisma del 30 Ottobre che ha coinvolto l’Italia centrale, l’organizzazione si è vista costretta a bloccare molte delle visite in programma, lasciando aperte esclusivamente l’iscrizione ai trekking guidati all’aperto.

La numerosa partecipazione di speleologi e di residenti ha ripagato il lavoro di un lungo anno, trascorso tra il cercare di stabilire rapporti con i vari Enti coinvolti (Comuni, Regione, Parchi Nazionali e Regionali) e creare degli spazi per mostre, proiezioni, camper ecc., che non sarebbero esistiti senza gli interventi di “pulizia e allestimento” messi in atto dai ragazzi dello Speleo Club Chieti.

76 sono state le presentazioni in programma (proiezioni, reportage, libri) oltre a diverse riunioni istituzionali, convegni, workshop, mostre: oltre 80 i progetti realizzati dai ragazzi delle scuole di Lettomanoppello e Roc-

I numeri di “Strisciando 2016”

Totale Iscritti 2685 Iscritti per regione

Donne1081Abruzzo251Molise25

Uomini1604 Basilicata4Piemonte49

Residenti660 Calabria14Puglia167

Per fasce d’età Campania67Sardegna95

31-40 anni654Lazio199Trentino-Alto Adige37

41-50 anni619Liguria78Umbria140

51-60 anni397Lombardia136Veneto119

61-70 anni 153 Marche137dall’estero48

71-99 anni 29

co sono stati festeggiati con un evento organizzato appositamente dal CNSAS.

I due Speleobar allestiti all’ingresso del paese hanno allietato le serate con musiche e balli tra i quattordici stand gastronomici presenti e un’emozionante edizione del Gran Pampel ha fatto il tutto esaurito nella piazza di Lettomanoppello.

camorice nell’ambito del progetto didattico “Strisciando Insieme” (disegni, plastici, temi e poesie).

Mentre i 50 gli anni del Soccorso Speleologi-

Appuntamento a tutti al prossimo raduno!

A Cilipi (Dubraovnik) Incontro nazionale di speleologia in Croazia

dal 17 al 19 novembre 2017

Abbiamo il piacere di invitarvi al raduno annuale di speleologia della Croazia, il quale, per la prima volta, avrà luogo nella regione di Dubrovnik-Neretva, nel paese di Cilipi situato nella valle del Konavle (non lontano dalla città di Dubrovnik). Il raduno si svolgerà nei giorni 17-18-19 novembre 2017.

Pernottamenti

I partecipanti avranno la possibilità di pernottare presso la scuola elementare di Cilipi, situata in prossimità del luogo ove si svolgerà la manifestazione. Si ricorda di premunirsi di saccoapelo e materassino. Esiste inoltre la possibilità di campeggiare in prossimità della scuola o di prenotare anticipatamente presso le strutture

alberghiere presenti in loco. In tal caso, si consiglia di effettuare la prenotazione con congruo anticipo.

Cibo

Tutti i partecipanti avranno un pranzo nella giornata di sabato. Sono presenti inoltre, nelle vicinanze della manifestazione, diversi negozi di alimentari, pizzerie e ristoranti.

Tassa d’iscrizione

50 kune / 7 euro

La preiscrizione può essere effettuata al sito http://skupspeleologa2017.simplesite.com

64 Speleologia 76 giugno 2017 SPELEOLOGIE
Foto archivio GS RibaldoneGenova
0-17 anni336 Emilia Romagna147Sicilia80 18-30 anni432Friuli Venezia Giulia106Toscana112

FinalmenteSpeleo2017 dal 1 al 5 novembre il primo raduno organizzato in Liguria

“FinalmenteSpeleo2017” si svolgerà a Finale Ligure, “capitale dell’outdoor”, tra scogliere che si immergono in acque cristalline e falesie nascoste: per cinque giorni potrete scoprire un territorio ricco di storia e paesaggi indimenticabili.

Vi porteremo negli antri abitati dall’uomo fin dal Paleolitico, lungo sentieri da percorrere a piedi o in mountain-bike, nel profondo della nostra bellissima regione per poi salire verso le stelle, lungo falesie mozzafiato.

Da ovunque arriviate dovrete attraversare gran parte del territorio ligure e noi vi indicheremo alcuni scorci che non potrete perdervi, a pochi minuti dalle strade che dovrete inevitabilmente percorrere per raggiungerci. Potrete in poche ore vedere parchi, aree protette, grotte turistiche, sentieri patrimonio dell’Unesco e fortezze.

Vi racconteremo (ma in realtà sarete voi a raccontarci), attraverso mostre e proiezioni, di posti remoti e dei nuovi limiti raggiunti nelle profondità della terra.

Organizzeremo workshop per imparare i “trucchi” del mestiere e realizzare video e foto da professionisti e potremo sperimentare le più moderne tecniche di rilievo.

E c’è una novità: quest’anno anche i più piccoli avranno il loro raduno! Potranno andare in grotta e fare laboratori sul mondo ipogeo… ovviamente giocando!

Tutto questo nella cornice del Finalese, tra il suo borgo medioevale, la torre di Varigotti e le vie della Marina.

Una nota particolare ci piace anticiparla: è intenzione dell’organizzazione devolvere gli

utili a quella che consideriamo “l’ambulanza degli speleologi”, cioè al CNSAS. Più saremo, più potremo contribuire ad aiutare i tecnici che 365 giorni all’anno sono pronti a venire in nostro soccorso.

Vi aspettiamo dal 1 al 5 novembre a Finale Ligure!

Comitato Organizzativo

FinalMenteSpeleo2017

In alto: uno scorcio di Finalborgo, caratteristico centro fortificato medioevale, inserito nel circuito dei “borghi più belli d’Italia”, sarà sede del prossimo raduno nazionale di speleologia. (Foto Simone Baglietto)

In basso: Torre di Varigotti, situata pochi chilometri a est di Finalborgo. Parte del litorale finalese e il suo entroterra fanno parte del SIC “Finalese - Capo Noli” caratterizzato da variegate formazioni carsiche e tipica vegetazione mediterranea. (Foto Simone Baglietto)

65 Speleologia 76 giugno 2017

I temi del Congresso di Biospeleologia

Etica, tutela e ricerca

tenutosi a Cagliari il 7-9 aprile 2017

Nei giorni 7-9 aprile 2017 si è tenuto a Cagliari, presso la sede del Dipartimento di Biologia Animale dell’Università degli studi di Cagliari, un Congresso di Biospeleologia, organizzato dalla Federazione Speleologica Sarda, l’Assessorato alla Difesa dell’Ambiente della Regione Sardegna, l’Università di Cagliari, l’Università di Sassari e l’associazione Natural Oasis. Lo scopo del congresso è stato quello di aggiornare lo stato attuale delle ricerche biospeleologiche a livello nazionale e internazionale e di capire quali strade possano essere percorse per incrementare le conoscenze sugli aspetti biotici delle grotte, tenendo sempre come primo obiettivo la tutela della biodiversità sotterranea. Questo evento ha favorito l’incontro di diversi ricercatori che svolgono studi in campo biospeleologico, dando modo di condividere i risultati delle ricerche in corso e di creare nuove collaborazioni. Per la giovane Commissione Biospeleologica sarda è stata l’occasione per presentare i progetti svolti e i programmi per il futuro.

In aggiunta al contenuto scientifico dell’evento è stata allestita una mostra fotografica riguardante la fauna cavernicola, con premiazione finale delle cinque immagini più votate dai partecipanti. Tra queste si è aggiudicata il primo posto la foto di Enrico Lana, che ha ritratto la specie Eukoenenia patrizii nella grotta del Bue Marino in Sardegna.

Al Congresso hanno partecipato ottanta iscritti provenienti da tutta Italia e da diversi paesi Europei, tra cui: Germania, Slovenia, Spagna, Svizzera e Grecia. Sono stati presentati trentacinque contributi tra presentazioni orali e poster, con il coinvolgimento complessivo di settantasette ricercatori, e tre le sessioni plenarie, tenute da G. Francesco Ficetola, Tanja Pipan e Fabio Stoch.

Nella tavola rotonda finale dedicata alla conservazione degli ambienti sotterranei, i partecipanti hanno dato vita a un interessante e partecipato dibattito relativo alla legislazione in materia di protezione e conservazione della fauna cavernicola, affrontando argomenti quali le modalità e l’etica dei campionamenti scientifici e le possibili soluzioni per una più efficiente tutela di questi delicati ambienti. La Commissione Biospeleologica sarda ha posto l’accento sulla problematica delle trappole per la fauna utilizzate in

grotta, il cui ritrovamento nelle cavità della Sardegna è sempre più frequente. La Commissione Biospeleologica in accordo con la Federazione Speleologica Sarda ha recentemente preso una propria posizione riguardo all’argomento, decidendo di recuperare sistematicamente le trappole individuate in ogni grotta (salvo precisa segnalazione di eventuali ricerche scientifiche in corso), avendo cura di recuperare il contenuto. Nel caso si ravvisasse la presenza di animali ancora vivi, sarebbe importante provare a liberarli; in alternativa la soluzione condivisa sarebbe quella di conservare il tutto al fine di essere successivamente analizzato da un referente scientifico per la determinazione (se ancora possibile) delle specie rinvenute.

La discussione è stata anche l’occasione per rinnovare l’invito a tutto il mondo speleologico di portare via dalle grotte ogni forma di artifizio o rifiuto, comprese le bottiglie anche di plastica, che spesso si trasformano in pericolose trappole faunistiche. Oltre a questo si sono proposte nuove azioni per la sensibilizzazione del mondo speleologico (e non solo) relativamente alla elevata fragilità degli ecosistemi ipogei e ulteriori azioni di tutela con il sostegno della Regione Autonoma della Sardegna.

Fra l’alternarsi delle presentazioni e dei momenti conviviali c’è stato spazio anche per un’asta sociale, con numerosi oggetti e libri messi a disposizione dagli organizzatori e dai partecipanti. I proventi sono stati dedicati alla ricerca scientifica, in particolare è stato finanziato uno studio sulle proprietà antibat-

teriche delle secrezioni cutanee prodotte dai geotritoni.

Grazie all’alto numero di partecipanti e al contributo degli sponsor è stato possibile avere al termine dei lavori un avanzo economico. I soldi saranno assegnati tramite bando pubblico a progetti di ricerca scientifica; per le modalità di assegnazione il Comitato Organizzatore darà ulteriori informazioni in seguito.

In questa sede ringraziamo particolarmente la Società Speleologica Italiana per il supporto fornito, a dimostrazione della sua attenzione e sensibilità alle problematiche relative allo studio e alla conservazione degli ambienti sotterranei.

Un ringraziamento speciale va al sempre disponibile e autorevole Comitato Scientifico che ha garantito la qualità dei lavori e quindi la buona riuscita del congresso: Achille Casale, Claudia Corti, Enrico Lunghi, Fabio Cianferoni, G. Francesco Ficetola, Giacinta A. Stocchino, Giuseppe Graffiti, Giuseppe Mazza, Marco Casu, Mauro Mucedda, Paolo Agnelli, Raoul Manenti, Renata Manconi, Sebastiano Salvidio e Valerio Sbordoni.

Un ringraziamento doveroso va ai membri della Commissione Biospeleologica sarda che sono stati di grande aiuto nella logistica del congresso. Non per ultimi ringraziamo gli sponsor che hanno creduto nel progetto: Regione Autonoma della Sardegna, Federazione Speleologica Sarda, Società Speleologica Italiana, Elwork, Instrumentl, The Mohamed bin Zayed Species Conservation Fund, Vetreria Durgoni e i supporters Federazione Speleologica Regionale Siciliana, Naturalfoto, Societas Herpetologica Italica e sezione sarda Tilighelta.

Enrico LUNGHI - Natural Oasis Manuela MULARGIA, Roberto COGONI Commissione Biospeleologica F.S.S. Salvatore BUSCHETTU - F.S.S.

I partecipanti al Congresso di Biospeleologia. (Foto Enrico Lana)

66 Speleologia 76 giugno 2017 SPELEOLOGIE

Interventi del Soccorso Speleologico nel 2016

9 gennaio Bus tra le Taere de la vai surde a matina (Lombardia)

Incidenti nel corso del 2016

Terremoto

24 agosto Italia centrale

In seguito al catastrofico terremoto verificatosi in alcune regione dell’Italia centrale, principalmente in Umbria e Marche, sono intervenute varie squadre del Soccorso Alpino e Speleologico. Anche in questa occasione i Tecnici, che hanno operato ininterrottamente per giorni, hanno dimostrato la loro grande professionalità ed esperienza. Oltre a queste attività non va dimenticato il lavoro che viene svolto nell’ambito delle varie Zone per aggiornare i Tecnici sull’operato delle varie Commissioni; risulta inoltre importantissimo l’apporto degli stessi nelle lezioni di prevenzione e soccorso che si svolgono nei diversi Corsi di Speleologia che annualmente si tengono in tutta Italia.

Ricerche esterne

16 gennaio Miniere di Perticara

(Emilia Romagna)

Lo speleologo O. L., 54 anni, risultava disperso da alcuni giorni

nella zona vicina alle miniere di Perticara, (Novafeltria) abbandonate da decenni. Allertata la 12° Zona e il SAER, iniziavano le ricerche che si concludevano col ritrovamento del cadavere. L’esame dei Carabinieri appurava che si era trattato di un suicidio.

3 ottobre Zone del Modenese (Emilia Romagna)

La 12° Zona era coinvolta nella ricerca di una persona dispersa in ambiente ostile in cui sono presenti cavità, vari anfratti e sottoroccia; il disperso veniva ritrovato in stato confusionale in una borgata poco distante dal luogo delle ricerche.

Ritardi

24 febbraio

Grotta del Partigiano (Emilia Romagna)

Una squadra in esplorazione nelle nuove diramazioni risultava piuttosto in ritardo, era allertata la 12° Zona che si portava all’ingresso della cavità; nel frattempo i ritardatari uscivano senza problemi.

8 agosto Grotta dei Guardiani (Lazio)

Una squadra di 3 persone risultava in forte ritardo, era allertata la 5° Zona che prontamente si portava alla grotta dove trovava i ritardatari in uscita senza problemi.

Interventi in grotta

6 gennaio Bus de l’Orca (Trentino Alto Adige)

Lo speleologo A.R., 59 anni, stava visitando la cavità con 4 amici e, dopo aver superato il tratto orizzontale di circa 250 metri, è scivolato a causa del fango, cadendo da una altezza di circa 2 metri e mezzo e battendo la schiena. Era soccorso dai compagni, Tecnici del Soccorso Speleologico, mentre uno usciva per allertare la 6° Zona.

Sul posto giungevano una decina di Tecnici col medico e, dopo aver raggiunto l’infortunato, provvedevano a imbarellarlo e recuperarlo sino all’esterno dove un elicottero lo trasportava all’Ospedale S. Chiara.

La speleologa E.C. era colpita da una scarica di sassi mentre scendeva un pozzo alla profondità di 150 metri; i compagni provvedevano ad allertare la 9° Zona che inviava una squadra di Tecnici col medico che, raggiunta la giovane infortunata, le praticavano le cura del caso. Quindi seguiva l’imbarellamento e il trasporto che è proseguito per tutta la notte sino alle ore 7.40 quando la squadra è uscita dalla cavità.

L’infortunata veniva poi trasportata in ospedale.

16 gennaio Grotta del Partigiano (Emilia Romagna)

Durante una esplorazione con altri compagni, la speleologa G.G., anni 34, era colpita da una lama di gesso staccatasi improvvisamente.

Subito soccorsa dai compagni, questi si sono resi conto che la ferita era piuttosto seria, anche in relazione alla morfologia della grotta. Era allertata la 12° Zona che coinvolgeva nelle operazioni anche altre Delegazioni e un medico.

L’infortunata si trovava a circa 20 metri dall’ingresso, ma la tortuosità del meandro rendeva problematico il recupero, per cui veniva richiesto anche l’intervento della squadra disostruzioni. Intervenivano 40 Tecnici di 4 Zone, fondamentale la presenza del medico che provvedeva a

67 Speleologia 76 giugno 2017 SPELEOLOGIE
© Rolex Awards - Stefan Walter © Rolex AwardsStefan Walter A cura di Lelo PAVANELLO - Commissione Comunicazione Documentazione

stabilizzare la giovane prima di predisporre il trasporto in quanto non era utilizzabile la barella a causa delle strettoie.

Il recupero è durato 8 ore e, una volta all’esterno, l’infortunata è stata trasportata all’Ospedale Maggiore di Bologna, dove veniva riscontrato un trauma toracico con frattura multipla di costole e pneumatorace.

2 febbraio Grotta del Partigiano (Emilia Romagna)

M.S., 38 anni, assieme ad altri 2 speleologi continuava l’esplorazione di questa grotta e, mentre risaliva un tratto verticale, un masso staccatosi dalla parete lo investiva bloccandogli il braccio destro.

L’incomoda posizione rischiava di provocare la frattura dell’arto ma il compagno che si trovava sotto di lui riusciva a puntellarlo e sostenerlo, riuscendo a farlo sollevare quel tanto per liberare il braccio.

Così si riprendeva e autonomamente ritornava all’esterno.

13 febbraio

Grotta 87 VG (Friuli Venezia Giulia)

Durante i lavori per allargare un passaggio a circa -150 m, P.G., 78 anni, veniva colpito da un masso alla tibia sinistra, che gli procurava un grosso ematoma lacerocontuso. Usciva autonomamente dalla grotta.

21 febbraio Cavità a Sella Nevea (Friuli Venezia Giulia)

Una ragazzina di 9 anni si trova va nei pressi della stazione d’arrivo della vecchia funivia, quando scivolava sul ghiaccio e cadeva in una cavità semicoperta dalla neve. Subito allertata la 2° Zona che si trovava in zona per una esercitazione col medico, scendevano 2 Tecnici che imbragavano la giovane e la recuperavano. Era trasportata all’Ospedale di Tolmezzo per un controllo.

25 aprile Grotta Rolfo (Sardegna)

D.M., 40 anni, si infortunava scivolando e, nella caduta, batteva la schiena. Allertata la 8° Zona che interveniva con 25 Tecnici. Dopo aver raggiunto l’infortunata, la squadra provvedeva a imbarellarla. Iniziava quindi il recupero e dopo 10 ore l’infortunata era all’esterno.

30 aprile

Gravina di Statte (Puglia)

A.C., 25 anni, stava arrampicando nella falesia della Gravina quando il distacco di un masso lo investiva facendolo cadere per alcuni metri. Subito allertata la 7° Zona, interveniva con 12 Tecnici che, raggiunto il ferito, lo imbarellavano. Il recupero, complesso a causa del rischio di ulteriori crolli, si concludeva per il meglio. Il giovane era trasportato all’Ospedale di Taranto per le cure necessarie.

24 luglio Fovea Maledetta (Friuli Venezia Giulia)

4 speleologi scendevano nella cavità con l’intento di esplorare una diramazione piuttosto stretta. Durante la risalita, A.D. non riusciva più a ripercorrere lo stretto passaggio situato a circa cento metri di profondità. Mentre 2 compagni cercavano di aiutarlo, un terzo usciva per allertare la 2° Zona. Alle ore 21,00 entravano 6 Tecnici con un sanitario, raggiungevano il bloccato e verificavano le sue condizioni, veniva poi imbragato e iniziava il recupero, che si concludeva senza particolari problemi.

1 agosto Cul di Bove (Campania)

Nel corso di una vista alla grotta, un ragazzo scivolava e cadeva da circa un metro e mezzo, battendo violentemente la schiena. Mentre si allertava la 14° Zona i compagni del giovane, tra cui un Tecnico, iniziavano il recupero. L’infortunato presentava solo varie contusioni.

5 agosto

Grotta 3 livelli (Sicilia)

Un cicloturista austriaco entrava nella cavità e, dopo averne percorso il tratto orizzontale, precipitava nel salto successivo, decedendo sul colpo. Il recupero è stato effettuato dai Tecnici della 10° Zona.

INCIDENTI SPELEOLOGICI 2016

19 agosto Grotta Scaletta (Campania)

Una squadra di 3 subacquei era in forte ritardo. Era allertato il Soccorso Speleologico che interveniva con Tecnici subacquei che effettuavano varie immersioni in collaborazione coi Vigili del Fuoco. Dopo vari tentativi, riuscivano a individuare i corpi senza vita che saranno poi recuperati.

4 settembre Grotta Bardiseolo (Liguria)

Uno speleologo stava risalendo e, alla profondità di circa 50 metri, avvertiva dolori a un ginocchio che gli impedivano di proseguire. Veniva così allertata la 13° Zona che interveniva e, dopo aver medicato l’infortunato, effettuava il recupero e il trasporto all’ospedale.

2 ottobre

Grotta di Padriciano (Friuli Venezia Giulia)

G.M., 53 anni, nel corso di una esercitazione della Scuola, si trovava alla profondità di -80 metri quando veniva colpito alla testa da un grosso sasso che gli faceva perdere conoscenza. Immediatamente allertata la 2° Zona che interveniva col medico il quale, dopo aver verificato le condizioni del ferito, ne coordinava il recupero. Dopo un paio d’ore il ferito era all’esterno.

datacavitàregionemomentocoinvoltitipologiacausaconseg.sessoetànazione

6 GenBus de l’OrcaTrentino Alto Adigeavanzamento1cadutascivolatagraviM59Italia

9 GenBus tra le Taere…Lombardiaavanzamento1traumacaduta sassograviFnnItalia

16 GenGrotta PartigianoEmilia Romagnaavanzamento1traumacaduta sassograviF34Italia

2 FebGrotta PartigianoEmilia Romagnaavanzamento1traumacaduta sassolieviM38Italia

18 FebGrotta 87 VGFriuli Venezia Giuliaavanzamento1traumacaduta sassolieviM78Italia

21 FebCavità senza nomeFriuli Venezia Giuliaesterno1cadutascivolatalieviF9Italia

25 AprGrotta RolfoSardegnaavanzamento1cadutascivolatalieviF40Italia

30 AprGravina StattePugliaesterno1cadutacaduta sassograviM25Italia

24 LugFovea MaledettaFriuli Venezia Giuliarisalita1bloccomedico/sanitarialieviMnnItalia

1 AgoCul di BoveCampaniaavanzamento1cadutascivolatalieviMnnItalia

5 AgoGrotta 3 livelliSiciliaavanzamento1cadutascivolatamorteMnnAustria

4 SetGrotta di BarbiseoloLiguriarisalita1bloccomedico/sanitarialieviMnnItalia

2 OttGrotta PadricianoFriuli Venezia Giuliaavanzamento1traumacaduta sassograviM53Italia

68 Speleologia 76 giugno 2017
SPELEOLOGIE

SPELEOSCIENZA IN ITALIA 2016

Èla quarta volta che usciamo con la rubrica di Speleoscienza, focalizzata sui risultati delle ricerche scientifiche svolte in aree carsiche e/o grotte d’Italia e pubblicate nel corso del 2016. Come sempre, l’elenco bibliografico è consultabile per esteso su Speleologia in Rete, e comprende oltre cinquanta lavori pubblicati su riviste e/o libri scientifici delle più importanti case editrici internazionali. Non sono inseriti lavori pubblicati su congressi, o altre forme di pubblicazione non censite dalle maggiori banche dati scientifiche internazionali. Come al solito i file pdf full text si trovano su richiesta al Centro Italiano di Documentazione Speleologica “F. Anelli” di Bologna biblioteca.speleologia@unibo.it

In collaborazione con: Cinzia Banzato, Andrea Borsato, Claudia Cherubini, Stefano Furlani, Leonardo

SINTESI BIBLIOGRAFICA COMMENTATA 2016

Geomorfologia-speleogenesi (1-13)

Come spesso accade negli ultimi anni, molti studi geomorfologici in aree carsiche sono relativi alle doline di crollo (sinkholes) e al loro potenziale impatto sugli insediamenti umani. Uno di questi studi riguarda, nel Lazio, l’ampia area dei travertini termogenici di Tivoli (Billi et al.), ove spesso queste morfologie sono mascherate da attività estrattive e coperture antropogeniche (1). Un’altra indagine invece descrive le doline in territorio di San Basile (Castrovillari), in Calabria (Iovine et al.) (2), mentre Margiotta et al. descrivono i sinkholes a Nociglia (Puglia, Salento) (3). In Campania Scotto di Santolo et al. descrivono il rischio di crollo legato alle cave sotterranee nell’area metropolitana di Napoli (4).

Diversi lavori riguardano i rilevamenti geomorfologici e geologici di aree carsiche, pubblicate come carte e mappe a varia scala. È il caso della carta morfo-neotettonica della parte orientale del Golfo di Trieste (Biolchi et al.) (5), del Carso Classico (Jurkovšek et al.) (6) e di quella della Val d’Agri (Basilicata) (Giano) (7) mentre, ancora in Friuli Venezia Giulia, nella Val Rosandra Furlani et al. forniscono un quadro evolutivo quaternario (8). Nel loro studio Carbone et al. descrivono gli speleotemi della Miniera di Libiola (Liguria), definendoli “minothems”, cioè concrezioni che crescono in ambiente sotterraneo artificiale (9).

L’Italia è il paese a più alta concentrazione di grotte sulfuree e lo studio di De Waele et al. mette a confronto le morfologie di queste grotte tra Sicilia, una grotta in Francia e due in Austria (10). Uno dei sistemi carsici sulfurei più studiati nel mondo è certamente quello di Frasassi (Marche). Harouaka et al. riportano i cambiamenti nel contenuto isotopico d’ossigeno nei gessi precipitati per azione dell’acido solforico in ambiente calcareo, utilizzando i microorganismi presenti nelle

acque della Grotta di Frasassi (11); Zerkle et al. invece riportano i dati relativi agli isotopi stabili dello zolfo nelle acque di Frasassi (12), con importanti dati riguardo ai meccanismi speleogenetici in questo ambiente sulfureo. Sorgenti sulfuree attive in ambiente carsico costiero esistono a Santa Cesarea Terme e la geochimica dei fluidi è stata studiata da Santaloia et al. (13)

Idrogeologia (14-18)

L’uso delle risorse idriche in aree carsiche è estremamente delicato e spesso le opere messe in essere dall’uomo hanno più conseguenze negative rispetto alle problematiche che cercano di risolvere. Un caso emblematico è quello di Delle Rose e Fidelibus in Puglia (14)

Tracciamenti idrogeologici utilizzando sia fluoresceina, ma anche DNA, sono stati eseguiti nelle aree carsiche e fratturate degli Appennini centrali da Aquilante et al. (15).

Petrič & Kogovšek invece riportano una serie di tracciamenti effettuati nel Carso Classico, nel sistema che fa capo alle sorgenti del Timavo (16) in Friuli Venezia Giulia Bovolin et

a cura di Jo DE WAELE e Michele SIVELLI

al., dal canto loro, utilizzano il monitoraggio idrodinamico del Bussento per cercare di capire il comportamento del sistema carsico, in parte inesplorato (17). L’idrogeochimica delle acque nell’acquifero carbonatico del Monte Verzegnis ha invece consentito di capire meglio il comportamento idrodinamico di quest’area della Prealpi Carniche (Friuli Venezia Giulia) (Calligaris et al.) (18)

Geofisica (19-20)

Alla Grotta Gigante (Friuli Venezia Giulia) sono state fatte prove di gravimetria sia da aereo che da elicottero e droni per vedere se si riusciva a vedere il vuoto con questo metodo geofisico (Braitenberg et al.) (19)

Ancora in Friuli Venezia Giulia un altro studio interessante, che coinvolge anche indagini con il Ground Penetrating Radar, ha riguardato due grotte con ghiaccio interno nelle Alpi Carniche (Colucci et al.) (20).

Studi paleoclimatici (21-25)

Il sistema carsico del Corchia in Toscana continua a dare soddisfazioni in campo paleoclimatico, grazie ad alcuni studi su stalagmiti. Bajo et al. (21) documentano le variazioni in

69 Speleologia 76 giugno 2017
www.speleologiassi.it/76-speleoscienza VAI ALLA BIBLIOGRAFIA
Latella, Paolo Marcia, Marco Menichetti, Mario Parise, Emma Petrella, Leonardo Piccini, Laura Sanna, Francesco Sauro, Paola Tognini, Marco Vattano, Giovanni Zanchetta, Luca Zini. Foto Michele Sivelli Foto S-Team

età radiometrica lungo le stesse bande di accrescimento in una stalagmite apparentemente perfetta, ma in cui piccoli pori e imperfezioni, visibili solo al microscopio, hanno portato alla perdita di Uranio, causando quindi un aumento dell’età misurata. Sempre in Toscana, nella Tana che Urla ulteriori studi sui flowstones portano a raffinare le ricostruzioni paleoclimatiche del passaggio dal penultimo glaciale e l’ultimo interglaciale (Regattieri et al.) (22) e nella Grotta Renella un flowstone fa vedere molto bene l’evento di peggioramento climatico dell’Olocene medio avvenuto circa 4200 anni fa (Zanchetta et al.) (23) Altri problemi legati alle ricostruzioni paleoclimatiche basate su speleotemi derivano dalla chimica delle acque di infiltrazione che varia con l’altitudine, come dimostra lo studio di Borsato et al. (24) su 11 grotte del Trentino-Alto Adige. Nella stessa regione le acque di percolazione portano anche altre molecole che vengono incorporate nella calcite: un esempio è dato dagli esteri fosfatici, studiati da Phillips et al. nella Grotta Coel Zelà (25)

Archeologia e paleontologia (26-37)

Le grotte e le aree carsiche in generale sono eccezionali siti di preservazione di fauna fossile, incluso l’uomo (Sala). Un review paper riporta alcuni dei casi più eclatanti (Grotta del Romito in Calabria, Rivoli Veronese (Veneto), vari siti nel Salento e nel Gargano in Puglia) (26)

Uno studio multidisciplinare, utilizzando diverse tecniche sia di campo sia di laboratorio, ha consentito a Bernardini et al. (27) di distinguere ceramiche di provenienza diversa trovate in tre grotte archeologiche del carso

triestino (Friuli Venezia Giulia). La provenienza delle ocre rosse, utilizzate in varie località archeologiche dei Monti Lessini (Veneto), è stata indagata da Cavallo et al. (28)

In Calabria, nella Grotta della Monaca, sono stati studiati gli utensili utilizzati sia per estrarre il minerale sia per lavorarlo (Breglia et al.) (29)

Nella Grotta di Ciota Ciara (Vercelli) sul Monte Fenera (Piemonte) studi paleontologici hanno messo in luce una fauna di clima caldo dell’ultimo interglaciale (Berto et al.) (30) che include orsi speleo e lupi, le cui ossa mostrano tracce di macellazione da parte dell’Uomo di Neanderthal (Buccheri et al.) (31). Un lupo fossile dello stadio isotopico 3 è stato anche trovato nella Grotta Mora Cavroso (Simbruini, Lazio) e le sue misure confrontato con altri lupi Pleistocenici e il lupo attuale (Gatta et al.) (32). Nella stessa grotta l’occupazione umana è stata attestata dal Tardo Paleolitico fino ai giorni nostri, facendo di questo luogo uno dei pochi posti frequentati dall’uomo nel suo peregrinare dal Tirreno all’Adriatico (Rolfo et al.) (33)

Nella Grotta Paglicci (Gargano, Puglia) numerose ossa in un sito paleolitico hanno permesso di capire di essere di fronte a una tana di iena maculata (Crezzini et al.) (34). I pollini ritrovati nelle coproliti di tane di iena del tardo Pleistocene in Lazio e in Puglia hanno consentito di ricostruire l’ambiente in cui questo animale cacciava (Gatta et al.) (35). In Sardegna un cervo gigante fossile è stato trovato in una grotta a Sadali, consentendo di aggiungere un altro importante tassello nella comprensione dell’evoluzione di questi animali dal Pliocene al Pleistocene superiore (Melis et al.) (36)

Di ben più piccole dimensioni sono i lagomorfi trovati nelle terre rosse del Gargano, studiati dal punto di vista morfometrico da Moncunill-Solé et al. (37).

Microbiologia (38-41)

La microbiologia è sempre più frequentemente studiata in grotte e in ambienti artificiali sotterranei, con risultati interessanti e innovativi (Jones et al.) (38) Cennamo et al. (39) hanno studiato i biofilm che crescono sui dipinti in due chiese rupestri in Campania. La microbiologia è particolarmente importante nel capire i processi speleogenetici in grotte sulfuree, come quella di Frasassi e di Rio Garrafo (Marche) (Jones et al.) (40)

La mappatura genetica di lampenflora in un acquario a Frasassi (Marche) ha consentito di verificare la presenza di un batterio sulfureo verde abile nel compiere fotosintesi in condizioni anossiche (Mansor & Macalady) (41)

Biologia e Biospeleologia (42-44) Ormai è evidente che nel Mar Mediterraneo si stanno introducendo numerose specie “esotiche” a causa sia delle numerose connessioni artificiali che dei cambiamenti climatici. L’effetto ambientale di queste specie non è ancora ben compreso e lo studio di Gerovasileiou et al. riporta osservazioni da varie grotte marine italiane (Bergeggi, Lampedusa, Ustica, Bue Marino, Palinuro, Siracusa, Catania, Alghero) (42). Un altro particolare studio riguarda gli ossidi di manganese e ferro che precipitano per intervento di microorganismi nelle concrezioni biocostruite di grotte marine, sia attive che Pleistoceniche in Sicilia (Siracusa e Custonaci) (Guido et al.) (43). Infine è da segnalare un lavoro sulla qualità biologica delle acque che sgorgano dalle più famose delle sorgenti carsiche della Sardegna, Su Gologone (Lai et al.) (44)

70 Speleologia 76 giugno 2017 VIAGGIO IN BIBLIOTECA - SPELEOSCIENZA 2016
Foto Victor Ferrer Rico Foto Lidia De Vido Eukoenenia patrizii. (Foto Enrico Lana)

Geofisica (19-20)

Archeologia e paleontologia (26-37)

(26) Calabria, Veneto, Puglia – fauna fossile (Sala)

(27) Friuli Venezia Giulia – studio multidisciplinare (Bernardini et al.)

(28) Veneto – ocre rosse Monti Lessini (Cavallo et al.)

(29) Calabria – Grotta della Monaca (Breglia et al.)

(30) Piemonte – fauna di Grotta di Ciota Ciara (Berto et al.)

(31) Piemonte – Neanderthal di Ciota Ciara (Buccheri et al.)

(32) Lazio – Grotta Mora Cavroso lupo fossile (Gatta et al.)

(33) Lazio – Grotta Mora Cavroso uomo preistorico (Rolfo et al.)

(34) Puglia – paleolitico di Grotta Paglicci (Crezzini et al.) (33)

(35) Lazio – Pleistocene tane di iena (Gatta et al.)

(36) Sardegna – cervo gigante a Sadali (Melis et al.)

(37) Puglia – lagomorfi del Gargano (Moncunill-Solé et al.)

Microbiologia (38-41)

(38) Italia – studi in grotte e ambienti artificiali (Jones et al.)

(39) Campania – biofilm su dipinti rupestri (Cennamo et al.)

(40) Marche – microbiologia di Frasassi e Rio Garrafo (Jones et al.)

(41) Marche – lampenflora a Frasassi (Mansor & Macalady)

Biologia e Biospeleologia (42-44)

(42) Italia – fauna grotte marine di Ustica e altre aree (Gerovasileiou et al.)

(43) Sicilia – bioconcrezioni Custonaci (Guido et al.)

(44) Sardegna – biologia delle acque di Su Gologone (Lai et al.) dell’Auso

Geomorfologia-speleogenesi (1-13)

(1) Lazio – travertini di Tivoli (Billi et al.)

(2) Calabria – doline di San Basile (Iovine et al.)

(3) Puglia – sinkholes a Nociglia (Margiotta et al.)

(4) Campania – Napoli cave sotterranee (Scotto di Santolo et al.)

(5) Friuli Venezia Giulia – carta neotettonica Golfo di Trieste (Biolchi et al.)

(6) Friuli Venezia Giulia – carta neotettonica Carso Classico (Jurkovšek et al.)

(7) Basilicata – carta neotettonica Val d’Agri (Giano)

(8) Friuli Venezia Giulia – Quaternario Val Rosandra (Furlani et al.)

(9) Liguria – speleotemi Miniera di Libiola (Carbone et al.)

(10) Sicilia – grotte sulfuree (De Waele et al.)

(11) Marche – sulfurei di Frasassi (Harouaka et al.),

(12) Marche – sulfurei di Frasassi (Zerkle et al.)

(13) Puglia – sorgenti a Santa Cesarea Terme (Santaloia et al.)

Idrogeologia (14-18)

(14) Puglia – impatto antropico (Delle Rose e Fidelibus)

(15) Umbria-Marche – tracciamento acquiferi (Aquilante et al.)

(16) Friuli Venezia Giulia – tracciamento Timavo (Petrič & Kogovšek)

(17) Campania – monitoraggio del Bussento (Bovolin et al.)

(18) Friuli Venezia Giulia – idrodinamica Monte Verzegnis (Calligaris et al.)

(19) Friuli Venezia Giulia – Grotta Gigante gravimetria (Braitenberg et al.)

(20) Friuli Venezia Giulia – Ground Penetrating Radar sulle Alpi Carniche (Colucci et al.)

Studi paleoclimatici (21-25)

(21) Toscana – paleoclima Corchia (Bajo et al.)

(22) Toscana – flowstones Tana che Urla (Regattieri et al.)

(23) Toscana – flowstones grotta Renella (Zanchetta et al.)

(24) Trentino-Alto Adige – chimica delle acque (Borsato et al.)

(25) Trentino-Alto Adige – speleotemi Grotta Coel Zelà (Phillips et al.)

71 Speleologia 76 giugno 2017
26 0200 km
43
44 28 24, 25 18 20 42 40 11, 12, 41 1 14 34 39 17 42 10 36 42 29 26 2 4 7 26 35 3 13 37 32, 33 35 15 23 21 22 9 30, 31 8 5, 6 16 19 27 38

Como & Dintorni

2016-2017

Come suggerisce il titolo, “Como & dintorni” è una rivista dedicata alla cultura, alla conoscenza e alla valorizzazione del territorio della provincia di Como e delle aree limitrofe. Ricca di iconografia e con una stampa molto curata, questa pubblicazione ha una cadenza mensile e viene impaginata da una redazione costituita in parte da professionisti e in parte da volontari. Dopo aver saltuariamente ospitato nel corso degli anni alcuni contributi di vari autori sulle grotte e il carsismo dell’area comasca, dall’inizio del 2016 la rivista ha inserito nell’indice una rubrica fissa di speleologia che viene regolarmente curata da un referente di Speleo Club Erba. Sui numeri usciti in edicola nel corso del 2016 e 2017 sono quindi stati trattati i temi delle ricerche speleologiche nelle più importanti aree carsiche del Comasco (Pian del Tivano e Valle Bova), ma anche nelle provincie di Lecco e Varese (Grigne, Campo dei Fiori ecc.). Sono stati inoltre evidenziati appuntamenti e iniziative legate al mondo speleo, e presentati progetti in corso o in dirittura d’arrivo. Anche se si tratta di un’iniziativa geograficamente “localizzata”, è significativo notare come l’attenzione per il territorio e/o per attività di nicchia ad esso legate –quale è ad esempio la speleologia – si stia sempre più diffondendo anche nel più vasto pubblico, regalando così agli speleologi locali una maggior visibilità e potenziali opportunità. (LA)

Labirinti – bollettino del Gruppo Grotte

CAI Novara

n. 34 (2015)

Un numero monografico dedicato alle miniere del Vergante e Val d’Agogna (Piemonte nordorientale). Con la descrizione e i rilievi di 24 strutture minerarie dell’area. Elenco descrittivo dei vari minerali presenti e fauna reperita nelle gallerie di scavo, prevalentemente “troglofili”.

Esposta sinteticamente l’attività del Gruppo nel 2014. (MS)

Mondo Sotterraneo – Circolo Idrologico Speleologico Friulano

n. 1/2 (aprile - ottobre 2015)

Viene documentata una bella novità: la Grotta Sara (Fr 4740), reperita nella zona di Monteprato (Alpi Giulie) durante le attività di verifica catastale. Al momento la cavità, piuttosto complessa, su più livelli e con grandi ambienti, sviluppa quasi 1,7 km per un dislivello negativo di 165 metri. Gli esploratori ipotizzano che la sorgente possa essere il Fontanate di Torlano. Tutt’altro che concluse le esplorazioni. Il CSIF, in collaborazione con il Comune di Nimis e l’Istituto Magliani di Udine, ha avviato un programma di monitoraggio sulla dinamica dei flussi idrici del complesso carsico Vigant-Pre Oreak con l’o-

biettivo di definire le relazioni tra gli afflussi meteorici esterni e il deflusso idrico interno la grotta, inserendoli nel contesto idrologico dell’area. Nel contributo, oltre a un inquadramento geologico e idrologico, sono esposti i dati restituiti dal data logger posizionato al livello del sifone terminale della Grotte Pre Oreak: temperatura, analisi pluviometrica e dati piezometrici. Il numero ospita inoltre il ricordo di tre figure del CSIF recentemente scomparse: Mario Bussani, Paolo Ippoliti e Bruno Pani (MS)

Mondo Sotterraneo – Circolo Idrologico Speleologico Friulano

n. 1/2 (aprile - ottobre 2016)

Per ciò che concerne le novità esplorative, appare qui un articolo con la descrizione della grotta “Gleseute” presso Chialminis (Bernadia, Prealpi Giulie) di cui avevamo dato notizia anche sul numero 74 di Speleologia (pagine 8-9). È ricordata, a 100 anni dalla sua morte, la grande figura di Giovanni Battista De Gasperi, speleologo friulano, morto giovanissimo durante la Grande Guerra, che esplorò e documentò aree carsiche e grotte in tutta Italia.

Figura decisamente meno speleologica ma ben più “ingombrante” invece quella di Michele Gortani, che qui è ricordato con un affresco di cinquanta pagine, per i cinquant’anni dalla sua morte. Per i cultori della nostra storia speleologica, non ci sono grosse novità, per gli altri invece è un invito alla lettura. Anche il CSIF non poteva non dedicare alcune pagine a Mario Gherbaz. E un ricordo a Francesco Gregoretti, anch’esso recentemente scomparso. (MS)

Progressione – Commissione Grotte E. Boegan, Trieste n. 63 (2016)

Ogni volta che ci si trova Progressione in mano c’è sempre una sorta di imbarazzo. Recensirne tutti i contributi è impossibile; un peccato perché tutti, di solito, avrebbero dignità di menzione. Ma, se la vita stessa è un arbitrio, figuriamoci allora decidere sul numero 63.

Innanzitutto un’informazione tecnica: il Coordinatore della redazione ci informa che Progressione è divenuto un organo a se stante e non più un supplemento di Atti e Memorie, quindi con una propria autonomia giuridica ed editoriale. All’atto pratico il 63 appare senza soluzione di continuità con il passato. Detto ciò, nella sintesi del numero va detto che, come sempre, si dà ampio spazio iniziale alle attività nel Carso classico in regione (Grotta 87 VG, Grotta Vittoria, Condotta di Bottazzo, Monte Cocusso e aggiornamenti catastali). Qui, di particolarissimo interesse, è il contributo riguardante la famosa grotta delle Torri di Slivia, al centro di una annosa diatriba fra alcuni dei proprietari del terreno in cui si apre la cavità e il mondo associazionistico. È un articolo emblematico, perché chiarisce molti di quegli aspetti cui spesso gli speleologi hanno le idee confuse: chi è il proprietario di una grotta? Pos-

VIAGGIO IN BIBLIOTECA 72 Speleologia 76 giugno 2017

so o no accedervi? Quali doveri abbiamo e quali sono gli, eventuali, “diritti”? Caso e vicende qui esposte sono illuminanti. Poi tante cronache esplorative e aggiornamenti descrittivi sulle nuove scoperte in Canin: Abisso Anubi, un – 600, Grotta dei Capelli, Politrauma, Rotule spezzate, JET 1, Abisso Airon e altre cavità sul Pala Cedar e Pic Majot. Ne approfittiamo per permetterci un appunto alla redazione: più enfasi, quando possibile, ai rilievi… ah! la presbiopia! Dall’estero, in Slovenia, la Davorjevo Brezno continua a regalare sorprese, ora con l’esplorazione del Marco Aurelio, un nuovo ramo nelle zone più remote della bella grotta slovena. Nello stesso sistema carsico della Davorjevo Brezno si dà anche conto dell’avvio di un articolato studio idrogeologico in collaborazione con il gruppo sloveno Jamarsko

Drustvo Hrpelje – Kozina. Sempre sul lato sloveno la descrizione di un cavità piuttosto particolare che scorre al contatto fra calcari e formazione marnoso arenacea, la Jama Maja, situata nella valle cieca di Gozzana nel gruppo collinare Castellaro-Cocusso.

Ancora consuete le spedizioni sulle Alpi Albanesi, oramai seconda (o terza?) casa della CGEB. Si parte con due, che si rivelano buchetti, ma in posti impestati, sul massiccio dell’Hekurave. Più fortunati invece gli esiti sul massiccio Nikaj – Merturi dove si è esplorata la Shpella e Kole Geges (o Antro di Polifemore) cavità di bassa quota (510 m slm) di 1050 metri di sviluppo e 228 di profondità. Una breve cronaca dell’ultima spedizione 2016 aggiorna sulle esplorazioni alla Perr e Boshit divenuta 2370 metri di sviluppo e – 215 m di profondità. Sulla spedizione Atacama 2015 (Cile) si rinvia all’articolo apparso su Speleologia n. 72.

Per gli appassionati di tecnica un articolo è dedicato ai suggerimenti pratici da utilizzare nel caso di attacchi con l’impiego di resine, indicati soprattutto nelle grotte molto frequentate (classiche, corsi, ecc..).

Si ricordano infine gli amici scomparsi e, in particolare, non poteva mancare una lunga dedica allo sfortunato Marietto Gherbaz. I ricordi di Fabio Venchi e Giulio Cappa gli fanno compagnia. (MS)

Ipogea. Cronache speleologiche –Gruppo Speleologico Faentino

2016

Benché progetto editoriale periodico ancora in nuce, l’Ipogea faentina riappare dopo molti anni di assenza. Si presenta ora corredata da un sottotitolo che presagisce a fatti narrati, come quelli proposti in questo primo nuovo numero. Cronache che hanno l’ambizione di divenire appuntamento annuale, realizzate anche in stretta sinergia con il Parco della Vena del Gesso romagnola. In questa occasione il Gruppo romagnolo non poteva che ripresentarsi attraverso alcuni momenti importanti della sua storia. In particolare è ricordato affettuosamente, grazie anche ad alcuni suoi scritti inediti, Antonio Lusa, un amico scomparso ormai quasi quarant’ani fa. Una cascata di ricordi tra Fighiera, Marguareis, Sardegna e ovviamente la Vena del Gesso. Ma c’è anche attualità. Come la riscoperta di una vecchia grotta nella formazione marnoso

arenacea, la Buca delle Fate del Passo del Muraglione, cavità tettonica molto articolata che, con i sui 512 metri di sviluppo, dovrebbe essere la più estesa della nostra penisola in questa litologia. Nuove ricerche con obiettivi speleo-archeologici ampliano la conoscenza sull’eremo ipogeo di Sant’Angelo di Prefoglio (Macerata). Infine viene dato un ampio resoconto delle spedizioni Curraj 2014 e 2015 sulle Alpi Albanesi con inquadramento geologico e descrizione di Shpella Markt ed altre cavità esplorate. Auguri per Ipogea 2017 dunque! (MS)

Sottoterra – rivista del GSB-USB n. 143 (luglio-dicembre 2016)

Vedi recensione “Il progetto Gypsum” a pag. 77.

Speleologia del Lazio – Federazione

Speleologica del Lazio n. 8 (dicembre 2015)

Monografia che ospita i contributi del sesto Convegno della Federazione Speleologica del Lazio. 130 pagine con articoli riguardanti gran parte degli ambiti multidisciplinari della speleologia, peraltro anche liberamente scaricabili in PDF dal sito della Federazione. Nuovi dati catastali, esplorazioni e descrizioni sono forniti per le aree carsiche dei Monti Aurunci e del Massiccio del Cervati (Campania) e sulle grotte di Cittàreale (Rieti), Grotta del Pretaro e Gasperone (Soratte) e Pandora (Formia). Particolarmente rilevante lo spazio offerto dai temi archeologici e d’interesse storico-culturale, testimoniato da alcuni contributi sulle grotte del Monte Arcano, Poggio Nativo, Mora di Cavorso a Jenne e in varie altre località dell’Appennino Centrale. Un paio di contributi sulla biologia sotterranea e l’idrogeologia completano la rassegna di questo importate appuntamento. (MS)

Speleologia Emiliana – Federazione Speleologica regionale dell’Emilia Romagna

n. 7 (2016)

Nuovo comitato di redazione per il settimo volume della rivista che, sostanzialmente, prosegue in continuità stilistica ed editoriale con i precedenti fascicoli.

Dopo la rassegna annuale d’attività a cura dei gruppi della regione, si succedono moltissimi contributi che sottolineano la vivace attività della Federazione (scuole, convegni, progetti, mostre e attività multidisciplinari).

Da segnalare come, sempre più, aumenti in regione l’interesse per la biologia sotterranea, soprattutto in quella cavità così dette minori dell’Appenino pedemontano, ove occorre segnalare le nuove indagini in Val Bratica, sull’Appennino parmense. Zona, quest’ultima, proposta anche come nuova area carsica regionale in quanto, recentemente, sono state documentate quattordici nuove cavità, con sviluppi medi di

73 Speleologia 76 giugno 2017

RECENSIONI

30 metri, aprentesi quasi esclusivamente in ambienti tettonici del Macigno. Un interessante documento descrive le caratteristiche idrogeologiche delle più importanti sorgenti carsiche dell’Emilia Romagna: Fonti di Poiano (RE), Sistema carsico dell’Acquafredda (BO), traforo Rio Stella-Rio Basino (RA), Sistema di Onferno (RN) e Grotte di Labante (BO), quest’ultima la sola a non aprirsi nei gessi, ma nelle calcareniti bioclastiche. Uno spazio di rilievo meritano i fenomeni carsici delle province di Piacenza e Parma, territori sempre tenuti un po’ in secondo piano ma dove, negli anni ’50 del secolo scorso, fu molto attivo uno storico sodalizio della regione, il Gruppo Grotte “Pellegrino Strobel” di Parma. Il contributo fa qui un sintetico punto della situazione su alcuni aspetti carso-speleologici delle due province. Un rinnovato interesse esplorativo e sulle ricerche attorno alla Grotta di Onferno dà lo spunto per un esauriente contributo sulle vicende storiche che ruotano attorno questa cavità romagnola, turisticizzata, e facente parte della Riserva naturale orientata omonima. Da segnalare un singolare contributo sulla scrittrice Grazia Deledda che ambientò una sua novella minore (La casa del Rinoceronte) sui gessi di Borgo Rivola. (MS)

Talp - Federazione Speleologica Toscana n. 53 (dicembre 2016)

Si apre con la cronaca di una esplorazione che ha consentito la giunzione fra la Buca di Golem e la Buca del Rocciolo (sviluppo totale 710 metri), cavità di bassa quota che fanno capo al bacino della grotta sorgente di Renara, sul versante mare della Alpi Apuane. L’occasione per riaggiornare dati catastali dà l’opportunità di rievocare l’esplorazione di altre due cavità apuane del versante mare, anch’esse congiunte, ma già alcuni anni or sono: la Buca dell’Acquafredda e la Buca della Frana. Sempre attività di catasto portano a rilevare con metodi 3D

e a descrivere la Grotta Maona, situata in provincia di Pistoia. Modesta cavità per sviluppo ma molto nota in Toscana poiché fu una delle prime ad essere turisticizzata assieme alla vicina Grotta Giusti di Monsummano Terme. Dal bacino minerario di Campiglia Marittima si descrive la piccola grotta di miniera Buca del Serpente Seguono tre contributi di alto tenore scientifico che, pur nelle loro diversità disciplinari, hanno come denominatore comune le variazioni climatiche o paleoclimatiche. Il primo concerne uno studio teso a capire i motivi della degradazione delle pareti del Bottino di Fonte Gaia di Siena, ipogeo artificiale turistico di grande interesse storico per la città. Il progetto di ricerca mira a capire quali possano essere i mezzi più idonei per la futura conservazione del manufatto.

Il secondo riguarda uno scavo paleontologico nella Grotta dei Santi del Monte Argentario, dove sono stati rinvenuti numerosissimi resti di micromammiferi del Pleistocene medio. Il terzo tratta di uno studio che, attraverso l’impiego di più strumenti di precisione (termometri, anemometri a ultrasuoni e barometri), cerca di comprendere le dinamiche dei flussi micrometeorologici che circolano nel complesso del Monte Corchia; in questo caso sono stati monitorati gli ingressi della Buca del Serpente e della Buca di Eolo. Come ricordato da tutti gli autori, i dati raccolti da queste ricerche rappresentano solo una parte di un vasto mosaico ancora da comprendere e definire. Da segnalare infine un’esperienza (che sarebbe da emulare su scala nazionale) riguardante la collaborazione fra speleologi toscani e la Casa Circondariale di Massa Marittima. Successivamente alla donazione di alcune pubblicazioni speleologiche alla biblioteca del carcere è poi seguita una serie di belle attività a sfondo sociale. Alla rivista è infine allegato un Cd con immagini storiche, cronologia e didascalie, tratte dal volume sull’Antro del Corchia, curato da Franco Utili. (MS)

Scrivere di grotte

Giuliano Villa è stato un personaggio straordinario della speleologia piemontese e non solo. Di professione era un medico, con interessi che spaziavano in svariati ambiti; è più facile dire di cosa Giuliano Villa non si interessasse. Come medico-speleologo si è distinto in vari interventi di soccorso in grotta tra cui è rimasto memorabile quello del salvataggio di Patrik Roussillon nell’abisso Cappa, condotto in modo impeccabile in una situazione di estrema difficoltà, ma con il pieno successo delle operazioni di recupero. A questa attività professionale, svolta con un livello di capacità sportiva veramente eccezionale, univa anche doti di fotografo, bibliofilo, storiografo e vasti interessi nel campo dell’archeologia e della paleontologia. La moglie Franca, con la collaborazione di amici e colleghi, ha curato la pubblicazione di una documentazione sulle grotte del Piemonte e della Valle d’Aosta, che Villa aveva raccolto nel corso di mezzo secolo di ricerche bibliografiche. Questo volume è una storia della speleologia piemontese, paragonabile ai lavori di Trevor Shaw sulle zone del Carso classico. L’esame delle fonti è stata condotta con una pignoleria attentissima e la grama volta che non è riuscito a rintracciare l’opera originale, lo precisa con molto rammarico.Inutile dire che la pubblicazione è stata realizzata in modo ineccepibile, il che rende questo volume una presenza ineludibile in ogni libreria di uno speleologo attento al passato.

Arrigo A.

Scrivere di grotte. Un percorso storico per il Piemonte e la Valle d’Aosta tra scritti e leggende lungo 400 anni / Giuliano Villa. Gruppo Speleologico Piemontese –CAI-UGET, Club Alpino Italiano – Sez. UGET, Torino, 2017, pp. 240.

74 Speleologia 76 giugno 2017 VIAGGIO IN BIBLIOTECA

Karst Geosites

La collana di Speleologia Iblea, periodico del CIRS di Ragusa (Centro Ibleo di Ricerche Speleo-Idrogeologiche) si arricchisce di un importante volume che racchiude alcuni dei lavori presentati, due anni prima, al Simposio Internazionale sui Geositi Carsici tenutosi a Favignana nelle isole Egadi dal 30 Maggio al 2 Giugno del 2014. Il Simposio ha visto la partecipazione di una cinquantina studiosi e ricercatori che hanno presentato una trentina di contributi che spaziavano dalla speleogenesi alla minerogenesi carsica, dalla paleontologia alla descrizione di ipogei artificiali, dalla conservazione alle proposte di valorizzazione turistica. Di questi, purtroppo, solamente 14 (di cui ben 12 relativi alla Sicilia, uno su Malta e uno sulla Libia) sono stati poi consegnati in forma definitiva e appaiono quindi nel volume degli atti. Tra i lavori di maggior interesse, a parere dello scrivente, ci sono quelli sulla descrizione della dolina di

In un pozzo di scienza

Questo volume, edito come numero speciale della rivista Geologia Insubrica, è la stampa degli Atti del seminario “In un pozzo di scienza”, tenutosi a Milano il 3 maggio 2016 a distanza di un anno dalla scomparsa del professor Alfredo Bini, speleologo, geologo, scienziato che, in quasi 50 anni di studio sul campo, è diventato una vera e propria figura di riferimento della carsologia e della speleologia lombarda e nazionale. Le relazioni, che nel corso dell’iniziativa sono state seguite da più di 250 partecipanti, sono firmate oltre che da illustri colleghi italiani, anche da famosi esperti stranieri; solo per fare degli esempi citiamo Yves Quinif dal Belgio, Richard Maire e

Maqluba a Malta, sulla grotta solfurea dell’Acqua Mintina (Caltanisetta), sui resti fossili della grotta Makari (Trapani) e sulle strutture ipogee artificiali dei Monti Peloritani (Messina). Splendida la veste editoriale, da sempre caratteristica peculiare di Speleologia Iblea, che fornisce anche una ricca documentazione iconografica tutta a colore. Unica lieve pecca la presenza di un certo numero di errori di stampa che comunque non inficia il valore scientifico dell’opera. Il volume, pur essendo totalmente in inglese, per i suoi interessi multidisciplinari sempre però riferiti al carsismo e alle grotte, merita sicuramente di essere inserito nelle biblioteche di tutti i gruppi speleologici.

Karst Geosites: Proceedings of the 4th International Symposium on the karst evolution of the South Mediterranean area / edited by R. Ruggieri, 2016. Speleologia Iblea, vol. 16, pp. 144.

Philippe Audra dalla Francia. I contributi sono organizzati in quattro sezioni tematiche che richiamano i principali campi di interesse di Alfredo Bini: “Carsismo e speleogenesi”, “Glaciazioni e geomorfologia”, “Geologia del Quaternario” e “Divulgazione e didattica”. Le tematiche trattate spaziano dal Catasto Lombardo, di cui Bini al momento della scomparsa era ancora attivissimo curatore, al rilievo topografico, all’osservazione scientifica delle grotte per ricostruire l’evoluzione geologica e climatica del territorio alla divulgazione scientifica a cui Bini si era sempre dedicato con serate, workshop, lezioni in aula e sul campo. I contributi più originali

Progetto Tu.Pa.Ca.

Questa pubblicazione, che espone in modo dettagliato ed esaustivo il quadro aggiornato delle conoscenze sul patrimonio carsico in Lombardia, rappresenta l’ “atto finale” del Progetto Tu.Pa.Ca., un ambizioso lavoro collettivo – coordinato dalla Federazione Speleologica Lombarda (www.speleolombardia.it) – di sviluppo del Catasto lombardo con la realizzazione, tra le altre cose, di un database strutturato sul modello ligure. Il volume, di quasi 450 pagine, è stato realizzato con la collaborazione di 59 autori che, a vario titolo, hanno fornito testi, fotografie, immagini, elaborazioni cartografiche e hanno aiutato con consigli e riletture critiche. Il testo è fondamentalmente diviso in due sezioni. La prima è incentrata sulla descrizione della struttura, dell’organizzazione e del funzionamento del Catasto lombardo di cui viene puntualmente ricostruita la storia della nascita e dell’evoluzione fino ai giorni nostri. La presentazione generale dei fenomeni carsici lombardi e della loro distribuzione sul territorio introduce il lettore alla seconda sezione del volume, in cui vengono dettagliatamente descritte le principali aree carsiche suddivise per provincia di appar-

tuttavia sono quelli che delineano le idee e i modelli che sono stati proposti da Bini stesso nel corso della sua carriera; oggi molte di queste “piccole rivoluzioni”, che al momento della loro elaborazione suonavano “contro il senso comune”, sono entrate a far parte del più diffuso modo di intendere la speleogenesi e i processi carsici.

In un pozzo di scienza. Atti del seminario sugli studi e le ricerche di Alfredo Bini. Milano 3 maggio 2016. Geologia Insubrica, Rivista di Scienze della Terra, vol. 12, n. 1 (2016), pp. 238, ISSN 1420-9500, € 27,50

tenenza. Gli argomenti che vengono sviluppati spaziano dall’inquadramento geografico a cenni di geologia, dall’idrogeologia alle morfologie carsiche superficiali, dalla distribuzione delle cavità alle caratteristiche dell’endocarso, dalle problematiche ambientali, alle potenzialità esplorative, dai ritrovamenti archeopaleontologici ai gruppi speleologici di riferimento. In poche parole il volume rappresenta il più completo e ambizioso lavoro di sintesi del quadro speleologico lombardo che sia mai stato realizzato fino ad ora. Riuscire a raccogliere, ordinare e presentare in modo omogeneo e accattivante la gran mole di dati è stato possibile solo grazie alla determinazione e alla ferma volontà di Andrea Ferrario e Paola Tognini, i due curatori del volume. Davvero complimenti!

75 Speleologia 76 giugno 2017
Il Catasto Speleologico Lombardo (Progetto Tu.Pa.Ca.) / a cura di Andrea Ferrario & Paola Tognini. Stampa Grafiche Valsecchi snc, Erba (CO), 2016, pp. 447.

66 anni di speleologia spagnola

Quando un bibliotecario si trova tra le mani un repertorio di questo genere, si riappacifica col mondo e benedice l’autore che l’ha realizzato.

Lloret i Prieto, per la quarta volta impegnato in questa impresa, ha censito e recensito tutte le riviste periodiche di speleologia pubblicate in Spagna.

Dal 1950, anno di stampa del primo periodico, a tutto il 2015 se ne contano 228, per un totale di 1963 fascicoli stampati. Un lavoro immane e preziosissimo poiché, oltre a esporre praticamente tutte le copertine dei 1963 fascicoli, descrive l’evoluzione storica di ogni singola testata, vicende spesso affatto chiare non solo in ambito speleo, soprattutto quando una biblioteca è mancante in particolare dei primi numeri di una collezione. Non solo: statistiche, grafici, estesi commenti e analisi, anche a sfondo sociologico, fanno di questo catalogo una vera miniera di informazioni, si tratta in pratica di uno spaccato storico della speleologia del paese iberico. Da cui, fra i tanti dati forniti, si rileva che in Spagna la speleologia si avvia come attività coordinata a livello statale, attraverso sezioni dipendenti della Federación Española de Montaña ma che, fino alla fine degli ani ’70, le esplorazioni più importanti sono state ad appannaggio francese.

Poi, con l’avvio delle sole corde e una maggiore autonomia dei singoli, il numero di grotte superiore ai – 300 metri passa da 12 nel 1972 alle 150 nel 1987. E 20 sono oggi in Spagna i “meno mille” realizzati prevalentemente da gruppi locali. Le Federazioni andalusa e catalana hanno pubblicato il 50% di tutte le riviste uscite nel paese.

Di 228 testate, 41 hanno pubblicato un solo numero, mentre oggi ne rimangono attive una trentina con periodicità molto discontinue, infatti, negli ultimi sette anni (2010-2016), sono solo 41 i fascicoli usciti in totale.

E Internet? A parte le riviste cartacee rese accessibili (55) poco o nulla vi è di strutturato, se non attraverso strumenti quali blog o fb.

Ancora un paio di note che mi paiono interessanti e su cui penso sia importante riflettere. L’autore suggerisce di unire le energie, pubblicando meno e meglio, e invita a mantenere i contributi all’interno di riviste del circuito speleologico, anziché disperderli fra le pagine di periodici di altro genere, pena l’inevitabile perdita di informazioni. Da questa valutazione sono esclusi gli articoli scientifici realizzati in ambito accademico.

Moltissimo ci sarebbe ancora da dire e altrettante analogie potrebbero essere fatte con il nostro Paese.

66 años de boletines y revistas espeleologicas del estado español. 1950-2015 / Jordi Lloret i Prieto. Centro de Documentación de la Espeleologia, Granada, 2016, pp. 175.

Gruta do Frade

Nel 2012 ero stato invitato dal Núcleo de Espeleologia da Costa Azul a visitare una cavità del Sud del Portogallo, che si favoleggiava essere ricca di concrezioni anche molto particolari. Effettivamente la Gruta do Frade, che si apre a livello del mare non lontano dalla città di Sesimbra, nel Sud del Portogallo, è ricchissima di concrezionamento anche molto particolare e assolutamente intatto, tanto che durante la mia breve visita mi ero rammaricato di averla conosciuta solo in tarda età, quando non avevo più la possibilità di studiarla a fondo come meritava. In quell’occasione avevo stimolato gli amici portoghesi ad analizzare e studiare in dettaglio gli speleotemi di quella grotta, dato che alcuni, almeno a mio avviso, erano unici al mondo… Adesso, a 5 anni da quella visita, gli speleologi portoghesi hanno realizzato un poderoso volume, che contiene un catalogo dettagliatissimo delle concrezioni ospitate all’interno della Gruta do Frade. Alcune di queste forme, davvero particolari, le avevo potute osservare direttamente durante la mia visita, ma moltissime altre no… del resto solo 10 ore di permanenza erano chiaramente del tutto insufficienti per poter notare tutte le peculiarità del suo concrezionamento.

Ora, sfogliando questo volume ho potuto colmare questa lacuna. Si tratta infatti di un libro fotografico con oltre mille immagini, ma la cosa straordinaria è che sono tutte, dicasi tutte, di eccezionale qualità.

Mi sento infatti di affermare che, a tutt’oggi, questo è il miglior libro fotografico dedicato agli speleotemi di una sola grotta mai pubblicato al mondo.

Ma non è finita lì. Infatti l’opera è completata da 30 pagine dedicate agli animali cavernicoli, con alcune foto possibilmente ancora più eccezionali e infine da 5 pagine sui reperti archeologici rinvenuti in grotte sempre appartenenti al sistema della Gruta do Frade.

Se la parte fotografica è sicuramente esaustiva, moltissimo resta da fare per definire la genesi e l’evoluzione di molti degli speleotemi più particolari documentati nel libro.

Infatti lo scopo di questo volume non era certo quello di descrivere dettagliatamente i processi di deposizione/corrosione presenti di volta in volta nelle varie parti della grotta, tant’è che il testo scritto è stato sempre tenuto al minimo.

Sono però assolutamente sicuro che chiunque, studioso di speleotemi, avrà per le mani questo volume fotografico, che da oggi è disponibile nella Biblioteca Anelli di Bologna, non potrà fare a meno di cercare di organizzare una spedizione in questa eccezionale grotta per studiarne a lungo e in dettaglio le incredibili concrezioni che ospita.

Sistema do Frade. Classificação dos espeleotemas e contribuções para o conhecimento do carso da Arrábida Ocidental. Núcleo de Espeleologia da Costa Azul, Assoçiãcao des Municipios de Região de Setúbal 2016, pp. 346.

76 Speleologia 76 giugno 2017 RECENSIONI

Gessi e solfi della Romagna orientale

Ha visto la luce la quarta monografia dedicata ai gessi dell’Emilia Romagna e pubblicata nella serie di volumi delle Memorie dell’Istituto Italiano di Speleologia. “Gessi e Solfi della Romagna orientale” prende in esame gli affioramenti estremamente frammentati e discontinui della Formazione gessoso-solfifera posta tra le vallate del Rabbi e del Conca. Si tratta di una vasta area amministrativamente a cavallo tra le province di Forlì-Cesena, Rimini e Pesaro-Urbino e della Repubblica di San Marino. Il poderoso volume, di impostazione multidisciplinare, raccoglie i testi di una cinquantina di autori e presenta i risultati della collaborazione triennale tra speleologi della FSRER, istituti universitari, associazioni locali, ricercatori e singoli studiosi. I contributi sono organizzati in tre sezioni tematiche: si parte dai capitoli dedicati alla presentazione del territorio, dalla geologia alla mineralogia, dalla flora alla fauna.

Gypsum

La parte centrale è interamente dedicata all’opera di ri-esplorazione e documentazione delle miniere sulfuree dell’area, ovvero il lavoro che realmente giustifica la stampa di questa monografia. È necessario sottolineare che oggi, soprattutto con la diffusione dei social, si tende spesso a enfatizzare l’azione ben oltre i suoi oggettivi meriti e sempre più spesso si usano espressioni eclatanti come “ambienti estremi” e “imprese al limite”. Nel caso specifico, queste due espressioni risultano particolarmente azzeccate e prive della connotazione altisonante; la “Squadra Solfi”, costituita appositamente allo scopo di condurre ricerche scientifiche e documentare le ormai dismesse miniere, ha dovuto avventurarsi con attrezzature non concepite allo scopo in ambienti spesso instabili e privi di ossigeno, in situazioni in cui era oggettivamente impossibile eliminare le componenti di pericolo. Ne sono scaturiti una raccolta di dati sul campo senza eguali e una

Dal 2010 al 2016. Sei anni di ricerche scientifiche, monitoraggi ambientali, attività di salvaguardia e azioni divulgative sono stati necessari per portare a termine il Progetto Life 08 NAT/IT/000369 Gypsum, per la tutela e la gestione di habitat e specie animali delle aree gessose dell’Emilia-Romagna.

Un progetto europeo articolato che ha visto come beneficiari finali i Parchi della regione interessati dagli affioramenti evaporitici triassici e messiniani e che ha coinvolto sei diversi Siti Natura 2000 (Gessi Triassici dell’Alta Val di Secchia, SIC dei gessi di Borzano, SIC di Monte Rocca, Capra e Tizzano (Bo), Gessi Bolognesi e Calanchi dell’Abbadessa, Vena del Gesso Romagnola e Onferno (Rn).

Speleologi, studenti, universitari, professionisti e maestranze specializzate dei Parchi, sono stati la “forza lavoro” che ha permesso il compimento di questo ambizioso progetto, il cui rapporto finale è stato ospitato nelle pagine di

Una frontiera da immaginare

Poco, o forse nulla, si è saputo in ambito speleo che nel 2016 era uscita una terza edizione del best seller gobettiano.

Il testo è ovviamente quello dell’editore Dall’Olio del 1976, ma non ha nulla di paragonabile rispetto alla cura editoriale di quella edizione, qui priva di tutta la parte iconografica e delle appendici. Di nuovo ed interessante c’è, come nella seconda edizione (CDA, 2001), la nuova prefa-

documentazione fotografica di primissimo livello che riportano in superficie non soltanto ambienti dismessi da decenni ma, rispolverano abitudini e mestieri che ormai, per lo più, appartengono al passato e gettano nuova luce su un importante capitolo della nostra storia alla base della nostra stessa cultura. Chiude la monografia una serie di contributi dedicati agli affioramenti gessosi e, più in generale, a tematiche gestionali, storiche e culturali. Un lavoro completo sotto tutti gli aspetti, accuratamente progettato e portato a compimento con rara determinazione: davvero complimenti!

Gessi e solfi della Romagna orientale / a cura di Maria Luisa Garberi, Piero Lucci e Stefano Piastra. Memorie dell’Istituto Italiano di Speleologia, serie II vol. XXXI – 2016. Carta Bianca Editore, Faenza (RA), dicembre 2016, pp. 743, ISBN 978-8897550-48-8

un numero speciale di Sottoterra, la rivista dei Gruppi GSB-USB. I capitoli, suddivisi secondo le azioni programmate del progetto, ospitano contributi sintetici ma ben ben strutturati ed estremamente chiari. L’Azione A1 rendiconta i monitoraggi ambientali effettuati su alcuni aspetti vegetazionali, sulla chirotterofauna e sulla geochimica e microbiologia degli acquiferi gessosi. L’Azione B descrive gli iter di acquisizione di importantissime aree, ora divenute - per sempre - patrimonio della collettività.

L’Azione C concerne le azioni di salvaguardia, il ripristino e la cura di alcuni ambienti che necessitavano di maggior valorizzazione. Insomma, ancora una grande prova di sinergia fra istituzioni e speleologia organizzata.

Il progetto Gypsum. Tutela e la gestione di habitat e specie animali associati alle formazioni gessose dell’Emilia-Romagna. Progetto Life 08 NAT/IT/000369 Gypsum. Sottoterra, n. 143, pp. 128.

zione dell’Autore che negli anni non scopriamo cambiare e che sempre è piacevole leggere.

La frontiera è ancora lì che ci aspetta racconta Andrea, anche se l’importante non è cosa si fa, ma come si è.

Una frontiera da immaginare / Andrea Gobetti. Alpine Studio, Lecco, 2016, pp. 280. ISBN 9788899340247.

77 Speleologia 76 giugno 2017

Giulio Cappa: chi era costui? (1932-2016)

Dichiaro, e me ne vanto, di essere il responsabile della carriera speleologica del nostro. Infatti eravamo nella stessa scuola ai tempi del liceo ed essendo io stato indirizzato allo studio degli antri bui, umidi e sotterranei da Claudio Sommaruga (all’epoca mio professore di scienze) non avevo trovato niente di meglio che trascinare Giulio nell’avventura. Avevamo in comune un certo gusto per tutto quanto aveva un risvolto di ignoto e quindi la sua risposta era stata del tutto scontata. Aveva avuto così inizio una carriera speleologica, non accademica, ma di assoluto ottimo livello che sarebbe proseguita per decenni anche se al momento non ce ne rendevamo conto. Poco tempo fa è stato organizzato a Villa Monastero un Simposio Internazionale di Speleologia in ricordo di un altro grande personaggio, Salvatore Dell’Oca, e nella parte più propriamente scientifica era dedicato alle nuove tecnologie nella speleologia. Quindi, tra le altre cose, i rilievi con i laser 3D costituivano un argomento di grande importanza. I risultati di questa strumentazione sono ovviamente neanche immaginabili con la nostra tecnica di bindella, bussola e clinometro. Però quando vediamo i rilievi del nostro Giulio ci rendiamo conto della straordinaria precisione e, soprattutto, dello stile che non

dimenticava mai di mettere in evidenza una fedeltà speciale che consentiva il riconoscimento dei luoghi a chiunque facesse uso di quel rilievo anche se la grotta gli fosse del tutto sconosciuta. Soltanto un altro vecchio e caro amico, Franco Orofino, condivideva questa stessa dote, uniche persone molto al di sopra della media di tanti bravi speleologi, me compreso. Ho già avuto modo di parlare di tante doti, ricordi e spunti di vita in comune che abbiamo condiviso, e potrei andare avanti ancora per molto a rievocarne altri. Qui mi preme di ricordare quanto Giulio ha lasciato a tutti noi nel corso della sua lunga attività. Nel corso della sua vita a Milano e poi a Roma aveva esplorato e studiato grotte sempre con molta attenzione e sempre pronto a cogliere il minimo dettaglio essenziale.

Successivamente era stato attratto dalle cavità artificiali. In questo campo ai soliti aspetti della speleologia “naturale” si aggiungevano aspetti di storia e antiche cronache. E anche qui, ancora una volta, aveva manifestato tutta la sua prontezza e capacità, distinguendosi sempre per una decisa eccellenza. In questo caso, però, il risultato era andato al di là di un contributo puntuale perché con la sua autorevolezza aveva notevolmente contribuito a elevare il rango della speleologia in cavità artificiali da un certo livello di serie B ad una piena dignità.

Gli speleologi tradizionali sono portati a ritenere che nelle cavità artificiali, a causa della mancanza dei processi speleogenetici, si abbia a che fare con oggetti meno interessanti. Nella realtà se vengono a mancare certi aspetti ne compaiono altri e in definitiva tutto quanto rientra nello sviluppo storico del manufatto. Giulio ha contribuito in maniera essenziale a sviluppare proprio questo fatto. Alla sua esperienza di studioso della speleogenesi strictu sensu ha aggiunto una cultura storica di alto livello, sempre mantenendo tutti quegli aspetti accessori ma non meno importanti sulla descrizione e documentazione delle cavità.

Pochi come lui ci hanno lasciato un’eredità così vasta e multiforme: chi l’ha conosciuto non lo dimenticherà e tutti gli altri ne trarranno un gran beneficio.

78 Speleologia 76 giugno 2017 BIOGRAFIE
Arrigo A. CIGNA In alto: Giulio Cappa dopo il 3° sifone a Il Formale (Carpineto Romano). A sinistra: Giulio in una grotta di sprofondamento a Ischia di Castro, visitata tra gli anni 1980-1988.

Mario Maffi

Cuneo 27 settembre 1933 - 1 marzo 2017

Il 1° marzo 2017 è morto a Cuneo Mario Maffi. È stato una colonna portante della speleologia, se non piemontese, sicuramente cuneese. Ha conosciuto la prima grotta nel 1939 all’età di 6 anni quando il padre Eldo, ufficiale dell’Istituto Geografico Militare di Firenze, era di stanza a Postumia per sovraintendere ai lavori di una strada che doveva seguire il percorso della Piuca (Pivka). Per sfuggire alla bora, mamme e bambini si riparavano trascorrendo i pomeriggi nei primi grandi saloni della grotta di Postumia. Mario era il minore del gruppetto di bambini che comprendeva anche il figlio del prof. Franco Anelli, uno dei padri della speleologia italiana.

Nel giugno del 1943 Costanza Bassignano Maffi si trasferì, con i figli e i suoceri, nella cascina di famiglia a pochi chilometri da Cuneo e dopo l’8 settembre la famiglia – di forti princìpi giolittiani e antifascisti – si adoperò per far arrivare notizie dai vertici della Resistenza ai gruppi partigiani organizzati sulle montagne: mamma Costanza nascondeva nella cartella di Mario comunicazioni che la maestra faceva avere ai partigiani della valle Pesio.

Nel 1947 Mario ricevette in regalo per Natale l’iscrizione al CAI, rinnovata per quasi 70 anni. Negli anni Cinquanta – tornato a vivere a Cuneo – iniziò con Guido Peano, Carlo Giletta e Franco Actis (gruppo Specus) a cercare cavità nelle zone limitrofe al capoluogo. Il piccolo gruppo si spostava con le sole biciclette e utilizzava scalette di fattura casalinga, composte da canaponi utilizzati per stendere il bucato intervallati da scalini ricavati da manici di scope dismesse. Durante il servizio militare, come ufficiale di complemento esperto di mine, di speleologia e di fotografia, nell’ottobre 1957 – per conto del ministero della Difesa italiano – Maffi fu impegnato nella prima missione per confermare l’esistenza dell’orrore delle foibe triestine. Visitò e fotografò Monrupino e Basovizza e altre 4 foibe. Nel 2013 l’editore Gaspari di Udine pubblicò “1957: un alpino alla scoperta delle foibe”, una «rivisitazione autobiografica a tutto campo» della missione coperta da segreto militare per 50 anni. L’orrore visto in quelle foibe rimase indelebile ricordo per Mario che si tramutava in commozione a ogni rievocazione della missione; militari, civili, donne, bambini di ogni Nazione o etnia accomunati da un tragico destino in un angolo di mondo che covava le radici di un odio profondo. Nell’aprile 1958, dopo il congedo, Mario fu uno degli artefici della fusione dei due preesistenti gruppi cuneesi – Espero e Specus – e quindi uno dei soci fondatori del Gruppo Speleologico Alpi Marittime.

Con il trasferimento a Torino per lavoro, Maffi iniziò a frequentare anche gli amici del GSP con cui condivise il supporto logistico alla spedizione scientifica del Caudano nel 1961 “700 ore sotto terra”, ma non cessò mai di svolgere attività speleologica con lo GSAM, coinvolgendo moglie e figli in campi (Cilento con la spedizione nella Grava di Vesalo e nella grotta dei Fraulusi nel 1968), spedizioni (dalla Conca delle Carsene al Monregalese e in tutto il cuneese), congressi (nel 1973 a Bossea), celebrazioni (cent’anni del Pis del Pesio nel 2005) e costruzione del rifugio Alberto Morgantini. Con il raggiungimento della pensione, Mario portò nuova linfa alla speleologia cuneese, dedicando molto tempo all’attività divulgativa nelle scuole per conto dell’AGSP.

Oltre alla già citata autobiografia sulle foibe, Maffi ha scritto nel 2010 “L’onore di Bassignano – il maggiore che non volle fucilare gli alpini del val d’Adige”, ricostruzione della Grande Guerra attraverso

gli scritti lasciati dal nonno materno. Ha inoltre visto la bozza del suo terzo volume “Il generale dalla parte dei soldati. Il diario di Carlo Ercole Maffi comandante del 34° e 33° Livorno e della Brigata Re” che sarà in distribuzione nell’autunno 2017, entrambi pubblicati da Gaspari – Udine.

In occasione della festa del cinquantennale del GSAM ricevette l’attestato di socio onorario e, per ricordare un momento bello legato alla speleologia, Mario ha successivamente commentato: «è stato quando mi han consegnato questo [l’attestato di socio onorario], qui mi sono sentito veramente realizzato. Non è stato un capriccio da ragazzo, ho creato qualche cosa che sta continuando e questo è stato per me molto emozionante».

L’AGSP lo ha salutato con un trafiletto che ben si adatta allo spirito curioso che ha animato i suoi 83 anni di vita: Un saluto a Mario Maffi che ci ha lasciati. Buona esplorazione.

Anna Ida MAFFI

In alto: Festa di fine estate e dei 55 anni dello GSAM a Torre Acceglio (CN) settembre 2013. Mario Maffi con il caschetto “storico” del 1954. (Foto Ezechiele Villavecchia)

A sinistra: Mario Maffi all’uscita del pozzo presso Monterosso, Val Grana, 1954. Notare la scala costruita con canaponi e gradini realizzati con manici di scopa e l’elmetto militare su cui è montato un fanale da bicicletta. (Archivio Mario Maffi)

79 Speleologia 76 giugno 2017

5 - 13 ITALY

A GLANCE OF THE DARKNESS

Explorations in Grigna in 2016 and the beginning of 2017 (LOMBARDY)

In Moncodeno karst area, during the last two years cavers from Lombardy region have been exploring the Condotte Freatiche cave, for 500 m of length, and the Parete Sbagliata cave, a 130 m deep shaft. In the Spade (Sword) shaft a new branch reaches -740 m of depth, the cave is still in exploration. In the W le Donne system, at -1260 m of depth a new phreatic level of passages was explored for more than 1.2 km of new branches, the passage ongoing in several directions. The Pozzo del Dito was a -200 m deep cave but now exceeds -508 meters of depth with a huge shaft of 106 meters. A new cave named Pozzo del Bambino (Child shaft), close to the Bogani refuge, was explored down to -230 meters. Finally, in the Lierna karst area the Ragno Gigante (Giant Spider) cave, which consists of a network of little passages with ancient mining activity, was dug and surveyed. Not only Grigna. Explorations in other parts of Lecco province (LOMBARDY)

In the south-east side of the Lecco province there are some interesting karst areas, less explored than the nearby Grigna area. These areas are characterized by conglomerate outcrops and caves of tectonic origin. In the San Martino valley, close to the village of Torre de’ Busi, the Fùren Bass cave, probably a relict spring cave consisting of different phreatic passages, was explored. The cave has been surveyed for 175 meters of length. Near the Erve village, a series of small caves were discovered. Some of these caves seem modified by mining activity in the past.

The Fulmini cave in Monte Campo dei Fiori (VA) (LOMBARDY)

The Fulmini cave was discovered 25 years ago, but only since two years it is giving some satisfaction. In fact, after a long period of hard digging, the cave now reaches -110 meters of depth with two narrow branches. The cave could be the high entrance of the “Alta Valle della Stretta system”, the most important cave in the Mt.Campo dei Fiori karst area, which is 10 km long and -714 meters deep.

The Giongo Valley Project (Bergamo) (LOMBARDY)

Despite its vicinity to the Bergamo town, the little karst area of Giongo valley, was never really investigated. In fact, after one year of new activities, some little previously explored caves were revisited, and the area has become interesting again. The Fontanù, a cave known for 28 meters is now more than 500 meters long. The Prodizza spring was explored for 150 meters, meanwhile the little Giubilea cave, blocked by an owner time ago, now exceeds one km of length. Many other caves are waiting for new attention in this interesting area.

Little caves grow on Baldo mount (VENETO)

Despite his wide extension, in the Mt. Baldo, a karstic massif close to the Garda Lake and Spluga della Preta, caves with relevant importance are not known. Recently, cavers from Verona have discovered the Buco di Costabella, a cave with interesting perspectives. Other little branches have been explored in the Bus delle Taccole and in other caves in this mountain.

“A hole in the water” in Dobra Picka cave (FRIULI VENEZIA GIULIA)

The Dobra Picka cave is part of the Foran del Mus system, which is located in the Mt. Canin massif. Recently, in this cave a new and very wet branch, with several partially flooded passages, was explored. This exploration had the aim to find the connection with the other large cave of the area, the Col delle Erbe system. Unfortunately, in Dobra Picka the exploration is presently stopped by a narrow and windy passage.

The Basilisco cave in Lima Valley (Lucca) (TUSCANY)

After a heavy rainy season, in the Penna di Lucchio area, a new sinkhole has formed. This little cave has been named Basilisco according to the ancient local toponym of the area. News from Pozzo dei Tre Portoni (Majella) (ABRUZZO)

After a long work of digging, in this high altitude cave onthe Majella massif, a new exploration carried out in the cave reached–300 meters. And now? A new dig awaits the cavers, of course!

Cave divers to Auso di Ottati cave (Alburni Mountains) (CAMPANIA)

The Auso di Ottati is an important overflow cave of the Alburni massif. In the years 2015 and 2016 a number of dive explorations, carried out by Luca Pedrali, Nadia Bocchi and the cavers of the AIRES team, brought the length of this cave to 510 meters of length and 62 meters of depth. The attempt to join this cave with the nearby karst spring of Auso did not have success.

Apz of Sant’Angelo. An important and dangerous Calabrian cave (CALABRIA)

The Apz of Sant’Angelo is a sinkhole, located in the Serre Cosentine karst area, that collects the water of a wide blind valley. In the summer 2015, different caving clubs from South Italy carried out a new exploration in this cave, which is characterized by narrow and very wet passages. The cave reaches now 850 meters of length and -26 m of depth.

14 - 15 ABROAD

German-American expedition explores the longest cave of Cambodia (CAMBODIA) An expedition performed by German and American cavers took place in Battambang province. During this research 54 caves and two karstic springs have been explored, for a total of over 7 km of underground passages. The longest surveyed cave is La Ang Khchal, 1,960 meters long, which is now the longest cave of the country.

Guangxi

2017 (CHINA)

In March 2017, the third expedition in the Fengshan County took place, leads by the Souka Team, an association collecting French and Italian cavers. Almost 30 km of new passages have been surveyed and explored. Close to the Jiangzhou town, thanks to new explorations, the Jiangzhoudong system amounts to over 51 km of length, and has now 13 entrances. In the area of the Mouai polje, the team surveyed the Shendong cave for 8791 meters of length and 196 meters of depth. Furthermore, an external search around the areas of Shendong and Luhedong have been discovered 8 new caves, which the most important is the Heidong (2327 m). Along the Qiaoyin river several caves have been explored: Anhedong (2876 m), Longtandong (5576 m), Wanhedong (1827 m), the spring Q1 (1733 m), the sink Q1 (385 m) and Longendong (1060 m). Inside the tiankeng of Nonglé a very huge chamber has been discovered, the Hong Kong – Hai Ting, with a surface of 77.000 m2 In Donglan county 8.5 km of new caves have been surveyed. In the tiankeng of Nonghao a shaft of 360 m has been descended. Finally the connection between Paihongdong and Dagoudong, that now add up 10.6 km of length, has been realized.

REPORTAGE

16 Rana-Pisatela, five year since the junction / Sandro SEDRAN

The Rana-Pisatela system is located in the Mt. Malo karst area (Vicenza). After 30 years of explorations and diggings, in 2012 cavers from the caving clubs of Schio and Malo connected the Pisatela sinkhole with the Rana cave spring, forming a cave system more than 35 kilometers long. Geological and hydrogeological outlines, history of the explorations and perspectives are here presented.

24 The Grande Poiz project and the karst system of Mount Canin / Gianni BENEDETTI, Mila BOTTEGAL, Alessandro MOSETTI, Michele POTLECA, Paola RODARI, Paolo RUCAVINA

Thanks to the cooperation between several groups, speleological researches – still ongoing – have started in 2012 in the Grande Poiz area, situated in the north-west sector of the Mount Canin massif. The main goal of the project is to investigate the possibility of a connection – throughout ancient phreatic passages – between the two main systems (Foran del Muss and Col delle Erbe). Since then several caves have been discovered and explored, all strongly blowing and acting as low entrances. In the L2V abyss (-540 m), the lowest in altitude of the whole massif, a collector has been discovered, draining approximately 1/3 of the Fontanon Goriuda water flow, main resurgence in this massif side. In the Clemente cave, connected to other minor caves of the Grande Poiz (Loch Kozicy, Luganiga, Passime el Canel, Uscita con Vista) a passage has been found, linking the cave to the Seppenhofer abyss, which is part of the Foran del Muss system. The Clemente cave currently measures approximately 5.5 km of development and a depth of 350 m. Another discovered cave, which is not linked with any other cave yet, is the “A Ovest di Paperino” cave, developing mainly upwards, with a length of about 800 m and also still under exploration.

30 Expedition in Macedonia. The karst potential of a land settled since the Mycenaean age / Alberto DI FABIO, Giorgio Antonio MARINELLI, Daniele FERRANTI

The report of a caving journey in Macedonia, in the karst area of Mavrovo National Park (Polog region), is presented. Italian cavers, in collaboration with cavers of the Macedonian Speleological Federation, have searched and explored some caves in that area; one of these is occupied by dozens of remains human bones.

34 Seram. The island of the lost rivers / Andrea BENASSI, Thomas PASQUINI

Great success for the latest expedition organized by a small team of Italian cavers in the Seram island. The north side of this Indonesian island is composed of some important karst outcrops where several subterranean rivers are still unexplored. The expedition carried on the exploration of 10 kilometers of new passages in different caves and underground rivers, among which the most important are: Hanoea sink (2011 meters of length, -149 m), Balubloi sink (962 m length, -49 m) and Sapalewa underground river (3745 m of length, -210 m). Besides this, the expedition team carried out the exploration of a new lateral branch in the Hatu Saka sink, a cave shaft of 400 meters depth, explored by an Australian expedition in the nineties.

PROJECTS

42 Walking on the Carcaraia void / Laura PAOLIERI

The Apuan Alps host most of the deepest caves in Italy. Five of those deeper than 1000 m are concentrated in a narrow area on the northern slope of Mount Tambura, known as Carcaraia. From this particular situation was born the idea of creating a hiking path connecting the entrances of these abysses and other caves belonging to the same karstic systems. The trail, called “CAI 1000”, is equipped with some explanatory panels describing the history of the speleological exploration and the hydrogeological features of the karstic complexes.

45 Which air blows up there? / Gian Domenico CELLA

The aim of this research was the aeriform-dye tracing of some caves located in Campo dei Fiori karst area. Using smelling tracers Beta-pinene and D-limonene the connection between the Mattarelli cave with the Quattro Donne cave has been demonstrated, meanwhile the air of the Schiapparelli cave appears less connected with the Frassino and Emos caves. Anyway, the data of these researches indicates the existence of a karst network wider than the one actually known.

50 PPUR a thirty years wide-ranging project / Leonardo PICCINI

Since 20 years, the association La Venta team has been engaged in speleological and scientific research in the karst area of Mount Saint Paul, Palawan (Philippines) and in particular in the Puerto Princesa Underground River, a 34 km long cave that develops at the sea level and that is extremely rich from the geological and biological point of view. The first navigable part of the subterranean river is yearly visited by more 300,000 visitors, but fortunately the impact on the cave is still limited. Since 2016, La Venta and the Tagbalay Foundation are carrying out a project entitled “Support for Sustainable Eco-Tourism in Puerto Princesa Underground River Area“, which received funding from the Italy-Philippines Debt for Development Swap Program, in order to safeguard the karst area and to promote low-impact touristic activities.

STUDIES

53 Creative Commons. What are these and how can they change the speleological creations / Damiano MONTRASIO

Many caving activities are proper creations, result of intellectual work and imagination. That is especially true for the activities of cave registers, in the realization of cave databases or also for the creation of cave sketches, topographies or photographies. To defend these original works and allow their use, the Creative Commons license seems an appropriate tool because it clarifies how, when and what can be used. This paper explains what are the Creative Commons licenses in general and how the cavers of Lombardy and the regional Speleological Federation have established the rules for the use of the regional cave register.

CAVING & SPELEOLOGY

62 Deep explorations in the Gorgazzo spring / edited by the editorial staff

The Speleo diver Luigi Casati describes the last exploration in the Gorgazzo spring, the deepest underwater cave in Italy with -212 m of depth. A new lateral submerged branch has been explored up to -115 m. The submerged passage goes on, bigger and deeper…

80 Speleologia 76 giugno 2017 SUMMARY

PUBBLICAZIONI DELLA SOCIETÀ SPELEOLOGICA ITALIANA

SPELEOLOGIA

Semestrale della Società Speleologica Italiana

Redazione: Centro Italiano di Documentazione

Speleologica “F. Anelli”

via Zamboni 67 - 40126 Bologna

Tel. e fax 051250049

speleologia@socissi.it

OPERA IPOGEA

Journal of Speleology in Artificial Cavities

Semestrale della Società Speleologica Italiana www.operaipogea.it

Redazione rivista

c/o Sossio Del Prete operaipogea@socissi.it

Via Ferrarecce, 7 - 81100 Caserta

Redazione web

c/o Carla Galeazzi carla.galeazzi3@alice.it

MEMORIE DELL’ISTITUTO

ITALIANO DI SPELEOLOGIA

Rivista aperiodica

Redazione: Paolo Forti, Università di Bologna, Dip. di Scienze Geologico-Ambientali, via Zamboni 67 - 40126 Bologna

Tel. 0512094547

paolo.forti@unibo.it

BULLETIN BIBLIOGRAPHIQUE

SPÉLÉOLOGIQUE

Union Internationale de Spéléologie

Redazione per l’Italia: Centro Italiano di Documentazione Speleologica “F. Anelli”

via Zamboni 67 - 40126 Bologna

Tel. e fax 051250049

biblioteca.speleologia@unibo.it

Quaderni Didattici S.S.I.

1) Geomorfologia e speleogenesi carsica

2) Tecnica speleologica

3) Il rilievo delle grotte

4) Speleologia in cavità artificiali

5) L’impatto dell’uomo sull’ambiente di grotta

6) Geologia per speleologi

7) I depositi chimici delle grotte

8) Il clima delle grotte

9) L’utilizzo del GPS in speleologia

10) Vita nelle grotte

11) Storia della speleologia

12) Gli acquiferi carsici

13) Fotografare il buio

14) SOS in grotta

COLLANA NARRATIVA E POESIA

Nuovi Autori

1) La vetta e il fondo

2) Altre piccole profondità

3) Ipoesie

4) Sulle corde

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