TECNO: L'ELEGANZA DISCRETA DELLA TECNICA

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L’eleganza discreta della tecnica

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Giampiero Bosoni

L’eleganza discreta della tecnica


La prima edizione del presente volume è stata pubblicata in occasione della mostra curata dall’architetto Pier Luigi Cerri “L’eleganza discreta della tecnica”, Palazzo della Triennale di Milano, 12 aprile - 8 maggio 2011

In copertina Osvaldo Borsani, P40, 1956 Poltrona a inclinazioni variabili p. 56 Design Marcello Francone Coordinamento redazionale Vincenza Russo Redazione Anna Albano Impaginazione Paola Ranzini

Referenze fotografiche Anghinelli e Pozzi Aldo Ballo Gianni Berengo Gardin Mario Carrieri Pietro Carrieri Johan Donat Alain Dovifat Ruud Emmerich Foto Edoardo Mari Foto Studio 22 Eugenio Gerli Alastair Hunter Ken Kirkwood Andrea Martiradonna Mauro Masera Paolo Monti Ugo Mulas Tommaso Sartori Roberto Zabban Nessuna parte di questo libro può essere riprodotta o trasmessa in qualsiasi forma o con qualsiasi mezzo elettronico, meccanico o altro senza l’autorizzazione scritta dei proprietari dei diritti e dell’editore © 2011 Tecno spa © 2011 gli autori per i loro testi © 2011 Skira editore, Milano Tutti i diritti riservati Finito di stampare nel mese di marzo 2011 a cura di Skira, Ginevra-Milano Printed in Italy www.skira.net


Si ringraziano per il fondamentale aiuto prestato alla ricerca storica l’Archivio Osvaldo Borsani, Varedo Valeria Borsani Federico Borsani Marco Fantoni Eugenio Gerli Maurizio Romanò Valeria Salvi e inoltre Margherita De Carli Chiara Lecce Gianni Ottolini Simonetta Venosta Nicola Zanardi

Tecno ringrazia Barison Sergio Barletta Mariateresa Bergna Flavio Bergna Luigi Bernocchi Matteo Bezzi Alessandro Bianco Nicola Bisleri Sergio Bonafè Paolo Bonetto Roberto Bonfanti Matteo Borgonovo Roberto Borsani Luigi Brazzo Giuseppe Busnelli Paolo Cappellini Paolo Carimati Silvia Castellini Ilaria Castiglioni Alberto Ciucci Raffaella Colosio Maria Grazia Conrad Marielaure Dall’Ara Davide De Fazio Marco De Ponti Riccardo Di Lucca Santino Emanuele Giovanni Faccioli Gianpiero Ferruzzi Francesco Figini Graziella Figini Paola Fossati Manuela Fraboni Maurizio

Frittoli Sabrina Galetti Alberto Galimberti Barbara Galimberti Paolo Galimberti Raffaella Galli Giuseppina Gallo Carmine Garias Maria Gerotto Mauro Giroldini Simona Gorla Eros Incagnoli Stefano Lazzarin Danilo Liverani Lorenzo Malberti Michele Mallamaci Rosa Mariani Marco Martelli Luca Mastrototaro Marina Mauri Marco Meda Marina Melere Anne Caroline Menci Sabina Modolo Moreno Monieri Luigi Monti Tino Morina Corrado Novati Massimo Pagani Eleonora Parravicini Mario Passignani Flavio Platania Michele Polverino Stefania Pozzoli Roberto Rivolta Mariarosa

Roncaglia Attilio Roscigno Chiara Rossini Egidio Sacchi Marco Salvati Francesco Scieghi Enrico Serra Stefano Smiraglia Fioravante Soldà Claudio Sudati Marino Tagliabue Aldo Tagliabue Silvano Tegon Gabriele Turaccio Alessandro Valaderio Cesare Verziera Valentina Vitale Roberto Zucconi Rickelle e con loro tutte le maestranze, gli impiegati, i dirigenti, agenti e distributori anche del passato che hanno contribuito a tracciare questo percorso.



La storia di unʼazienda è il suo cuore. Lo è nel senso dei valori profondi che la ispirano, ma lo è anche nel senso delle pratiche e delle strategie che lʼhanno costituita e ancora la formano. Il termine inglese core, utilizzato nella nota definizione economica core business, inteso come nucleo centrale della strategia di unʼimpresa, ha origine dal latino cor, cordis, che significa per lʼappunto cuore. In tal senso Tecno è oggi unʼimpresa che vuole riflettere sui suoi valori, e ripartire dal suo core business. È unʼazienda che con la qualità dei suoi prodotti e con lʼinnovativa capacità di comunicare, soprattutto nel punto vendita, è riuscita a dare un grande significato ai valori portanti del design italiano. Sempre aggiornata rispetto agli sviluppi tecnologici, ha saputo mantenersi in un armonico equilibrio tra la qualità del fare e un ricercato valore estetico, coniugando nelle forme dʼuso dei suoi prodotti quel particolare “stile” e “modo” italiano, ora patrimonio di tante aziende del design per la casa. Questo percorso lʼha fatto non solo nei singoli prodotti, ma anche quando si è dedicata con successo alla sfida dei grandi lavori dʼarchitettura dʼinterni, aggiungendo alle proprie storiche caratteristiche anche la capacità organizzativa, diventando un punto di riferimento negli interventi più complessi, sempre con il medesimo taglio di qualità e di classe distintiva.

Tutto questo richiede una voglia di inter-

rogarsi sulla propria storia, sui suoi protagonisti a partire da Osvaldo e Fulgenzio Borsani che lʼhanno fondata, sui valori che hanno guidato in quanto organizzazione di successo, per ripercorrere, magari in maniera inedita, un innovativo percorso di crescita. Cʼè la voglia di mettere di nuovo in circolo tutta lʼenergia che la Tecno ha prodotto nella sua prestigiosa storia: nellʼimpegno tecnologico, nella formazione di team internazionali a guida dei progetti Contract più significativi, per vedere ricrescere le potenzialità generate da una rinnovata e necessariamente diversa crescita. Noi crediamo che la storia di un marchio sia sempre la storia di uomini e in tal senso costituisce un emblematico segno di continuità il fatto che anche in questa nuova avventura il nome dei fondatori, con il loro ultimo discendente, sia ancora parte attiva dellʼimpresa. Per guardare al futuro occorre sapere chi siamo, e per sapere chi siamo occorre specchiarsi nella nostra storia.

Giuliano Mosconi Presidente

Federico Borsani Vicepresidente


Sommario

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L’eleganza discreta della tecnica Il filo rosso del progetto Tecno Giampiero Bosoni

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Anni sessanta Nuove forme per la programmazione industriale

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La qualità del fare tra arte, artigianato e tecnica Le origini: ABV Arredamenti Borsani Varedo circa 1923 Maurizio Romanò

198

Comunicare con il progetto Tecno Giampiero Bosoni

205

Anni settanta Centro Progetti Tecno: il passaggio del testimone

214

Il Centro Progetti Tecno Giampiero Bosoni

226

Osvaldo Borsani, Eugenio Gerli Cupola a Riyadh

234

Angelo Cortesi/G.P.I., Marco Fantoni, Gianfranco Bacchetti, Umberto Orsoni/G14 Immagine coordinata delle agenzie Alitalia nel mondo

238

Herbert Neuman Associates, Glen Gregg Aula universitaria a Yale

241

Anni ottanta Dall’high tech al ritorno al classico

252

Richard Rogers Partnership, Ove Arup & Partners Lloyd’s, The World’s Leading Insurance Market

260

La Collezione ABV Ritornando all’arte con Alviani, Fabbri, Man Ray, Mo, Morellet, Munari, Pomodoro, Ponti, Steele, Veronesi Giampiero Bosoni

264

Prefazione. Arte e progetto Giulio Carlo Argan

32 36

72

88

1953: il progetto Tecno a quattro mani Giampiero Bosoni 1954: la tecnica motore dell’innovazione La nuova collezione Tecno alla X Triennale Giampiero Bosoni Etica ed estetica alle origini del design italiano Incontri: De Carli, Mango, Magistretti, Madini e Sala Giampiero Bosoni Il pensiero progettuale di Osvaldo Borsani L’evoluzione del design Tecno sino alla fine degli anni sessanta Giampiero Bosoni

132

Eugenio Gerli: il progettista “affine” Giampiero Bosoni

156

Tecno vende Tecno Giampiero Bosoni

160

Enrico Mattei e gli uffici ENI L’inizio del percorso “grandi lavori” Giampiero Bosoni


269

Anni novanta Alla ricerca di una nuova identità

315

Il nuovo millennio Verso le sfide del mercato globale

270

Foster Associates Aeroporto di Stansted

316

Norman Foster and Partners Great Court al British Museum

272

Michel Bourquillon, Jean van Pottelsberghe de la Potterie, Guy Maes Parlamento Europeo

318

Jean Nouvel Biblioteca del Museo Nacional Centro de Arte Reina Sofía

284

Rafael Moneo Stazione di Atocha

322

Jean Nouvel Torre Agbar

286

Ricardo Bofill Taller de Arquitectura Aeroporto internazionale El Prat

330 334

Regesto dei prodotti Tecno Bibliografia

292

Jean-Michel Wilmotte Interni del Grand Louvre

294

Jean-Marie Duthilleul, AREP, SNCF Agences des Gares Stazioni ferroviarie per l’alta velocità SNCF

300

Norman Foster and Partners Carré d’Art

308

Jean-François Bodin Bibliothèque publique d’information Centre Georges Pompidou

310

Benthem Crouwel Aeroporto Schiphol


Giampiero Bosoni

L’eleganza discreta della tecnica Il filo rosso del progetto Tecno


Sovraimpressione d’immagini del divano D70 che mostra le diverse possibilità d’utilizzo Sequenza di immagini delle poltroncine P35, P39 e P99 che illustrano l’evoluzione formale e tecnologica cercata da Osvaldo Borsani su un tipo di seduta, 1953-1957

“Il sistema di produzione Standard permette oggi che gli oggetti fabbricati riproducano con minuziosa fedeltà il modello ideato e realizzato da tecnici e da artisti. Inoltre ne consente la diffusione in modo che tutti possono fruire di prodotti che non solo rispondono a una determinata funzione ma, esteticamente controllati, posseggono anche il requisito della perfezione tecnica e della durata. Seguendo questi criteri la ‘Tecno’ presenta i suoi nuovissimi mobili eleganti, razionali e smontabili. [...]”1. In questi chiari concetti, che troviamo all’inizio di una sorta di “manifesto” ideale pubblicato nel primissimo catalogo della produzione Tecno del 1953, si ritrova ben evidenziato quel carattere distintivo che ha accompagnato tutta la storia Tecno, e che noi abbiamo cercato di riassumere nell’espressione “l’eleganza discreta della tecnica”. Però insieme con il binomio apparentemente stridente, ma assai affascinante, di eleganza e tecnica, in quella prima dichiarazione d’intenti vengono svelati anche altri principi chiave del modello Tecno: il saldo e intenso rapporto con la ricerca artistica; l’ideale afflato di democratizzazione del prodotto industriale; il design in quanto risposta a un bisogno non solo strettamente funzionale; la smontabilità, la componibilità, la reversibilità, la mobilità e quindi la polifunzionalità come matrici dell’innesto della tecnica nel processo estetico e tipologico dell’elemento d’arredo in una moderna visione della casa.

Per un nuovo paesaggio domestico “La novità consiste nel concetto che la Tecno ha del mobile e della casa. Non due parti astratte e isolate”, si legge in un catalogo Tecno dei primi anni sessanta, “ma due cose vive che si completano e perfezionano nel momento in cui vengono a diretto contatto. Creando un’unità elementare, da moltiplicare all’infinito, la Tecno ha inventato il mobile componibile, per una casa viva, ricca della personalità di ognuno. [...]”2. In effetti tutto inizia dall’idea di casa, o meglio dall’idea dell’abitare come parte fondamentale della qualità della vita. La ricca e intensa storia, iniziata nel primi anni venti, dell’Atelier di Varedo, in seguito Arredamenti Borsani Varedo (ABV) fondata da Gaetano Borsani3, padre dei gemelli Fulgenzio e Osvaldo fondatori della Tecno, è un laboratorio dove si verifica ogni giorno quell’idea vitale della cultura dell’abitare. Per Osvaldo Borsani progettista, entrato ancora con i pantaloni corti nel laboratorio del padre, questo continuo esercizio sul disegno degli interni e dei suoi elementi d’arredo lo porta a concepire lo spazio e gli oggetti della “casa” come il fulcro, dall’interno verso l’esterno e viceversa, di molti aspetti, anche estesi, della progetto razionale e moderno. In particolare l’esperienza del progetto e realizzazione della Casa minima4, da lui progettata con A. Cairoli e G.B. Varisco per la V Triennale del 1933, è una prima forte dichiarazione di questo indirizzo5. La sua visione, che non appare 11


I modelli P40, L77 e P32 fotografati in “movimento” con sequenze di fermo immagine con effetto stroboscopico. Queste rappresentazioni dinamiche dell’oggetto d’arredo sono una delle espressioni più esplicite del carattere originario del progetto di Borsani per la Tecno

avanguardista nel segno (per quanto non manchino alcuni elementi tipici del mobile moderno quali il tubo metallico), di fatto è innovativa nella modalità in cui sotto traccia propone un arredamento non coordinato e piuttosto libero negli accostamenti dei vari elementi, ciascuno portatore di una propria qualità conclusa: nel suo disegno il mobile singolo diventa autonomo, definito in sé, ma al contempo con una forte capacità “relazionale”. Il singolo elemento d’arredo come oggetto completo Per introdurre questo discorso ci possono venire in aiuto le acute osservazioni che il noto storico dell’architettura Joseph Rykwert ha scritto in un breve testo, pressoché inedito, nel quale rende omaggio alla “filosofia” Tecno di Borsani: “Sto scrivendo questa introduzione seduto su una poltroncina Tecno, che ho comprato quando la mia schiena ha cominciato a darmi qualche problema. Non si può ancora definire antica, tuttavia ha già diversi anni. Ma il mio computer sta su una reliquia: una scrivania, forse unica, progettata da Gordon Russel o da qualche suo allievo. Presumo che Osvaldo Borsani non si sarebbe offeso per tale accostamento. Dopo tutto si è sempre dichiarato nemico del ‘salotto’ completamente progettato, come paradigma per il progettista di mobili o per l’artigiano. E benché si sia assunto la responsabilità di progettare ambienti di lavoro molto grandi, noi dobbiamo ringra-

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ziarlo innanzitutto per essersi impegnato sul singolo elemento di arredo come oggetto completo.”6 Questa nota ci apre uno scenario tutto da ricostruire e indagare che ci porta a rileggere le fondamenta del design del mobile italiano: lo stretto e speciale rapporto che in Italia è esistito tra progetto degli interni in architettura e disegno degli oggetti, che ha portato a una revisione totale del modo di concepire i caratteri del paesaggio domestico. Tra i progenitori di questa strada italiana del design del mobile e della progettazione degli interni troviamo Luigi Caccia Dominioni, Ignazio Gardella, ma per l’approccio anche teorico della questione emerge soprattutto la figura di Franco Albini, lui come gli altri sopra citati, non a caso, particolarmente stimati da Osvaldo Borsani. D’altra parte riecheggiano quanto mai pertinenti, per inquadrare il percorso progettuale tracciato da Borsani, le definizioni date da Ponti agli interni di casa Albini del 1940, “fantasie di precisioni”7, o quella più generale di Tafuri per l’opera di quegli autori definita “la crudele eleganza del design italiano di avanguardia prima della guerra.”8 Da “unità elementari” a “unità complesse” La coerenza di questo principio viene di nuovo dichiarata dai Borsani, non sulle riviste degli addetti ai lavori, ma sui loro cataloghi a cavallo tra gli anni cinquanta e sessanta, come semplici testi per comunicare il senso del design nella loro collezione e oltre. “Per arrivare


alla ‘produzione Tecno’ è necessario fare una premessa”, si legge su un catalogo di quel periodo. “Considerare cioè in modo nuovo l’ambiente, non come un insieme di stanze, ma piuttosto come una certa superficie disponibile entro cui creare, attraverso un gioco di rapporti, bisogni e funzioni, nuove unità di uso. Questa novità non consiste nella scelta di mobili più o meno lucidi invece che opachi; ma nel ‘vedere’ il rapporto nuovo in cui il mobile deve vivere. L’impegno della Tecno è di ‘tipizzare’ mobili ben disegnati. E per ben disegnati la Tecno intende mobili che contengano ‘un’idea’, non siano cioè astratti dal luogo in cui verranno ambientati. Con queste premesse la Tecno è giunta al concetto del mobile ‘ripetibile’ e componibile. Per cui partendo da una ‘unità elementare’, si arriva a comporre ‘unità complesse’ in funzione dell’ambiente disponibile, in modo che, variando le superfici totali disponibili degli ambienti, variano in funzione di esse gli elementi componibili [...]”9. È evidente in questa dichiarazione il tentativo, ideale per non dire utopistico, d’incrociare le caratteristiche del progetto su misura, artigianale, dedicato a un interno specifico con le proprie ragioni di equilibrio armonico (ma beninteso non stilistico), con le possibilità offerte dal design industriale di correlare singoli pezzi componibili , portatori di valori estetici tanto autonomi quanto “relazionali”, in “unità complesse”, che diventano il nuovo concetto “aperto” di paesaggio domestico indagato da Borsani.

La tecnica come strumento dell’innovazione tipologica e della ricerca formale Il programma progettuale concepito da Fulgenzio e Osvaldo Borsani, alle origini dell’avventura Tecno, si muove su tre coordinate che pur lavorando su piani diversi s’incrociano in maniera fondamentale nella definizione della qualità del prodotto: la tecnica intesa come strumento d’innovazione tipologica e formale (il “meccanismo” e la “componibilità” degli elementi quali predicati di una nuova sintassi del linguaggio anche formale del prodotto); l’interpretazione dei nuovi modi d’abitare, e delle trasformazioni dei ritmi e dell’uso degli spazi nei sempre più dinamici stili di vita contemporanei, come fattore d’innovazione tipologica degli elementi d’arredo (“movimento” e “reversibilità d’uso” quali caratteri propri di una nuovo concetto di flessibilità delle funzioni); la forma degli oggetti non come puro dato causale della tecnica e delle funzioni, ma come valore estetico e simbolico coerente con il processo costruttivo e alla praticità d’uso del manufatto, in grado in tal modo di esprimere la forma del proprio tempo (la ricerca artistica contemporanea quale terreno di confronto per cogliere in anticipo lo spirito dei tempi). A questi aspetti programmatici per la definizione di una linea progettuale e produttiva, si accompagnano altre scelte fondative del modello Tecno dal punto di vista della sua immagine e comunicazione: l’adozione di un nome fortemente identitario svincolato dalla tradizione familiare, la concezione di un marchio dal forte im13


La sedia S88 disegnata da Osvaldo Borsani, fotografata con un effetto di “movimento” che illustra la caratteristica di ripiegarsi su sé stessa Justus Kolberg e Centro Progetti Tecno, sedia pieghevole P08, 1991

patto iconico, la “T” costruita dall’armonico rapporto di cerchi ideata da Roberto Mango insieme con Osvaldo Borsani10, e la coraggiosa strategia commerciale di vendere i propri prodotti solo attraverso prestigiosi punti vendita monomarca, secondo quella formula, “solo Tecno vende Tecno”11, posta da Osvaldo Borsani come baluardo a difesa dalle critiche del padre Gaetano sul nascere dell’operazione Tecno. Nasce il progetto Tecno Come abbiamo ricordato nei capitoli di approfondimento che accompagnano lo svolgimento di questa storia nel volume, se il 195312 è la data di fondazione della Tecno, è il 1954, con la presentazione della nuova collezione alla X Triennale di Milano, la data per così dire “ufficiale” della discesa in campo dell’azienda13. Si ricorda che è lo stesso anno in cui viene creato il premio Compasso d’oro, nasce la rivista “Stile Industria” diretta da Alberto Rosselli e viene organizzato sempre nell’ambito della X Triennale il primo Convegno internazionale dell’Industrial Design. In questo clima si spiega come a questo fondamentale passaggio in Triennale si legano anche gli importanti tentativi d’incontrare altri punti di vista progettuali14 (Mango, Magistretti, De Carli, Madini e Sala) nel tentativo di costituire una squadra di progettisti “affini” al programma concepito da Osvaldo Borsani, di fatto l’autentico deus ex machina della visione progettuale, oltre che industriale, con il fratello Fulgenzio, della Tecno. Se questi ten-

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tativi hanno vita breve o brevissima (salvo il caso della poltrona Balestra di De Carli) è perché i Borsani, per la loro forte esperienza del laboratorio ABV, interpretano in quel momento storico il rapporto con il progettista ancora come una figura interna alla “bottega” creativa, per cui l’esclusività e la riservatezza progettuale che loro cercano non coincide con la flessibilità collaborativa che buona parte dei protagonisti (va ricordato, perlopiù architetti) della nascente cultura del design italiano stanno sperimentando nel clima molto vivace, ma anche incerto, dei primi anni cinquanta. Fa eccezione il rapporto stretto e continuativo che dal 1955-1956 si crea con Eugenio Gerli che, come abbiamo approfondito nel capitolo dedicatogli15, si dimostra la personalità giusta per costruire una “affinità” di progetto con Osvaldo Borsani, ma al contempo anche la figura adatta per risolvere molte necessità operative coordinate dallo stesso Fulgenzio Borsani. Il ruolo “aristocratico” della Tecno nella cultura del design italiano Anche il rapporto della Tecno con il contesto culturale del design italiano va visto con il taglio piuttosto riservato e in qualche modo “aristocratico” con cui si muovevano i Borsani già dai tempi dell’ABV dalla metà degli anni venti. Per quanto sempre presenti alle Triennali e con buoni rapporti con molti architetti clienti (attraverso la rinomata azienda di arredamenti ABV), rimaneva tuttavia un evidente distacco di Osval-


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Immagine di uso pubblicitario che propone un soggiorno moderno arredato con una libera disposizione di poltrone P32, fine degli anni cinquanta

do Borsani, in qualità di architetto, dal dibattito “pubblico”, su riviste, scuole o associazioni. Piuttosto è interessante notare come si sia mantenuto sempre più importante il rapporto con il mondo “laterale” degli artisti, conosciuto durante la sua formazione al Liceo artistico di Brera, rispetto alle relazioni con il dibattito dell’architettura razionalista (dalla quale lui è comunque molto influenzato) durante il suo periodo di formazione come architetto al Politecnico di Mila-

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sani, ma bisogna sottolineare che il progetto industriale vede i gemelli Borsani, Fulgenzio e Osvaldo, lavorare in perfetta sintonia: molti ricordano che le rare discussioni che hanno dovuto affrontare venivano chiarite velocemente fra loro a porte chiuse e quando si riaprivano ne uscivano con dei pensieri assolutamente condivisi. Fulgenzio Borsani, formato e laureato agli studi economici, nella sua veste di attento amministratore dell’azienda, a detta di molti testimoni16 che hanno vissuto quel periodo, ha rappresentato in più di un’occasione il timoniere che, in qualità di puntiglioso scrutatore di tutti gli orizzonti della gestione imprenditoriale, ha saputo tenere ferma la barra o correggere la rotta in molti passaggi delicati17.

no. Le scelte di Borsani progettista erano certamente molto condizionate dal mondo artigianale nel quale era nato e già da tempo lavorava, per cui il suo atteggiamento fortemente ispirato dal progetto razionalista si stempera per certi aspetti dentro quell’ambito del gusto altoborghese milanese, spesso “illuminato”, ma anche molto compassato e quasi severo, per non dire tendenzialmente “tradizionalista”, nella sua forma elegante e discreta di autorappresentazione. Potremmo dire che quella di Borsani è un’altra faccia di quella terza via italiana tesa a cercare una linea di continuità tra la qualità di certi valori storici e l’urgente necessità di modernità, che da Portaluppi passa dai BBPR, a Gardella, ad Albini (fra questi si può annoverare, a sé stante, anche Borsani) e sfocia nelle diverse anime del design italiano, tra le quali si riconoscono anche le origini della Tecno.

Il mondo degli uffici prende il comando Tra i più forti segnali di trasformazione che stava vivendo la società italiana con l’inizio del cosiddetto boom economico, sicuramente l’enorme sviluppo del settore terziario, del mondo degli uffici, costituisce un fenomeno di grande rilevanza che i Borsani mettono subito al centro delle loro attenzioni già nel prima collezione portata alla X Triennale del 1954. Ma se in quella fase si trattava ancora di definire una serie di elementi d’arredo più moderni rispetto al vecchio modello di “scrivania di rappresentan-

I gemelli Fulgenzio e Osvaldo Borsani Parlando soprattutto di progetto si cita spesso inevitabilmente l’“architetto” Osvaldo Bor-

za”, per un mondo ancora tradizionale del lavoro di concetto, sarà con l’occasione eccezionale di incontrare un cliente speciale come Enrico Mattei, che la Tecno, incaricata di allestire gli


Un’accurata scatola d’imballaggio, tipica per i prodotti Tecno sino agli anni sessanta, e alcuni prodotti (T47, L50, S29), disegnati da Osvaldo Borsani, fotografati scomposti nei diversi elementi per evidenziarne le caratteristiche di componibilità e di smontabilità

interni dei palazzi per uffici dell’Eni, mette a fuoco il tema portando decisamente delle notevoli innovazioni in questo nascente campo progettuale18. Dalla particolare occasione di allestire

domestico con la dinamicità del mondo del lavoro terziario, per cui occorreva progettare elementi d’arredo tipologicamente, esteticamente e tecnologicamente in grado di trasferirsi agevolmente dall’uno all’altro spazio senza soluzione di continuità. È una fase di grande sviluppo per la Tecno sia industrialmente, sia in termini commerciali.

nel 1957/58 l’edificio ENI disegnato con una originale pianta esagonale da Marcello Nizzoli e Mario Oliveri a San Donato Milanese, prenderà forma uno dei pezzi più innovativi di questo periodo, la scrivania T96 con piano piegato a forma di boomerang. Ma a questa occasione si legano anche lo sviluppo dei grandi tavoli da riunione, delle sedute operative per il lavoro d’ufficio, delle poltrone e dei divani con la funzioni di comode sedute per le aree di attesa, ma pure di letti mobili e pieghevoli per le nuove foresterie. Inoltre questa esperienza del grande progetto speciale per una specifica committenza aprirà un ciclo molto importante per la Tecno, vale a dire la progettazione, chiavi in mano, dei cosiddetti “grandi lavori” d’architettura relativi a interni di aeroporti, stazioni ferroviarie, grandi palazzi per uffici, ospedali, centri congressi, biblioteche, musei e così via19. Con la fine degli anni cinquanta e l’inizio dei sessanta la Tecno si trova divaricata in due direzioni che per un po’ di tempo cercherà di fondere o per lo meno di tenere in stretta relazioni: la produzione di mobili per ufficio e la produzione di elementi d’arredo per la casa. L’assunto, come veniva scritto anche nei catalo-

L’espansione industriale e commerciale degli anni sessanta e settanta Nel 1962 a Varedo viene costruita su progetto di Osvaldo Borsani una fabbrica verticale, una sorta di palazzo di sette piani, nel quale le lavorazioni seguono un ciclo di produzione che si svolge dal basso verso l’alto. Anche la determinatezza a sfondare nei mercati internazionali sarà una prerogativa che vedrà l’azione del Tecno all’avanguardia nel suo settore. Dopo lo spettacolare negozio aperto in via Montenapoleone a Milano nel 1956, si aprono nel giro di pochi anni altri importanti punti vendita nelle vie più prestigiose delle capitali d’Europa. A questa espansione corrisponde sempre il fondamentale contributo progettuale di Osvaldo Borsani, ma un’importante spazio viene riconosciuto anche a Eugenio Gerli che firma da solo molti pezzi interessanti e ne co-firma altri con lo stesso Borsani. Però le dinamiche sociali e culturali della metà degli anni sessanta riaccendono l’interesse della Tecno verso altri

ghi di quegli anni, era che l’abitare moderno avrebbe sempre più fatto coincidere il mondo

possibili contributi progettuali e così si apre una nuova fase di verifiche per accogliere una po17


Scomposizione della poltroncina P24 (Osvaldo Borsani, 1961) nei suoi principali elementi d’assemblaggio

tenziale espansione creativa in grado di portare una rinnovata linfa nella collezione Tecno. Anche in questo caso i contributi, sia pure eccellenti e innovativi di Mario Bellini, Eduardo Vittoria, Robin Day, Albert Leclerc, Gio Ponti, Vittorio Borachia e Carlo Santi, non evolvono in una nuova dimensione programmatica e di rinnovamento del progetto Tecno. D’altra parte alcuni di questi incroci si creano quasi per necessità strategica rispetto altri piani di sviluppo dell’azienda, come per esempio il programma di nuovi centri di vendita (Napoli, Catania, Palermo, Torino), denominati Quadrante20, cogestiti in particolare da Tecno con Cassina (Mario Bellini era in quel momento un giovane designer approdato da poco all’azienda di Meda), o anche la nascita nel 1966 della rivista “Ottagono” ideata come veicolo comunicativo-promozionale da un gruppo di otto aziende tra cui la Tecno. Un caso a sé è la presenza del nome di Robin Day, noto designer inglese, che di fatto non viene incaricato di progettare per la Tecno, ma semplicemente la Tecno sceglie di produrre su licenza il famoso modello di sedia Mk2, con la scocca della seduta in moplen, perché ha bisogno di una nuova sedia operativa più economica e pratica. Questa scelta preannuncia un grande cambiamento che vede la Tecno attenta a non rimanere legata solo al modello degli uffici direzionali, ma di dare una risposta adeguata al mondo sempre più esteso, che qualcuno avrebbe voluto anche più democratizzato, del cosiddetto terziario evolu18

to degli anni settanta. Dopo l’interessante, ma incerto tentativo del sistema di scrivanie metalliche e colorate denominato Compos (1966), arriva nel 1968 la rivoluzione copernicana con il sistema Graphis, che sembra uscito da un’opera di arte programmata: due angolari di lamiera che sorreggono, come un trilite, il piano di lavoro, il tutto di un colore assolutamente inedito nel mondo dell’ufficio: il bianco. Un progetto così assoluto merita una seduta adeguata e nel 1972 nasce la scocca in nylon della serie di sedute operative Modus progettata dal neonato Centro Progetti Tecno. Il Centro Progetti Tecno Facendo un piccolo passo indietro bisogna ricordare che nell’ambito aziendale si inseriscono nella seconda metà degli anni sessanta la figlia, architetto, di Osvaldo Borsani, Valeria Borsani, e l’architetto Marco Fantoni. Dopo qualche apprezzato contributo personale i giovani Fantoni e Borsani (per altro anche marito e moglie) propongono, in pieno clima “partecipativo” della fine anni sessanta, ai gemelli Osvaldo e Fulgenzio, di chiudere il ciclo delle firme personali nell’ambito dei contributi interni all’azienda, e di attivare quello che di fatto è già un Centro Progetti Tecno, il quale viene “ufficialmente” istituito a partire dal 197021. Questa stagione degli anni settanta e ottanta è molto vivace e piena di occasioni di grande successo: dal già citato modello di seduta Modus (Premio SMAU 1973), al Compasso d’oro del 1984


Alcuni dei pannelli che compongono il sistema della libreria E101 Domino, disegnata da Eugenio Gerli, 1965 Montaggio del sistema di scrivanie operative Graphis, progettato da Osvaldo Borsani ed Eugenio Gerli, 1968

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L’attore comico Gino Bramieri pubblicizza alla televisione italiana dei primi anni sessanta la materia plastica Moplen prodotta dalla Montedison; fra i vari prodotti presentati appare anche la sedia operativa Mk2 con la seduta in Moplen, disegnata da Robin Day nel 1962, e prodotta dalla Tecno nel 1966 su licenza della inglese Hille Repertorio di tutte le parti che, diversamente combinate, costituiscono i diversi modelli di sedute della serie Modus, progettata dal Centro Progetti Tecno nel 1972

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per il sistema coordinato di allestimenti per le Agenzie Alitalia nel mondo, dal sistema di sedute per spazi pubblici WS alla collaborazione con molti architetti e designer di fama internazionale. Gli sviluppi industriali di questo periodo coincidono anche con l’apertura di una nuova, più grande sede produttiva a Varedo, che diventa pure la nuova sede amministrativa, dove si trasferisce la sede legale che sino ad allora era sempre stata a Milano. La nascita del Centro Progetti coincide con l’inevitabile scelta di Osvaldo Borsani di delegare quasi totalmente l’attività progettuale, non rinunciando naturalmente al ruolo di supervisore. L’azienda forte di questo affiatato gruppo di lavoro interno decide di riattivare, anche grazie alla sollecitazione molto attiva portata dei “grandi lavori”, delle specifiche e importanti collaborazioni con progettisti esterni. A questa fase corrisponde la fondamentale esperienza costruita insieme a Norman Foster del nuovo sistema per uffici Nomos (vincitore di diversi premi internazionali fra cui il Compasso d’oro nel 1987) che sarà destinato a diventare una nuova icona dell’immagine Tecno nel mondo, e ha rappresentato per più di un decennio un simbolo dell’estetica high-tech a livello internazionale. Si collegano a questo periodo, che arriva fino alla fine degli anni novanta, anche le collaborazioni, molto varie e stimolanti, con altri noti designer e architetti quali Giorgetto Giugiaro, Luca Scacchetti, Justus Kolberg, Gae Aulenti, Yaacov Kaufman, Ricardo Bofill, Jean-Mi-

chel Wilmotte, Richard Rogers, Renzo Piano, Rafael Moneo, Jean Nouvel, Ronald Cecil Sportes, Mario e Claudio Bellini, Jean Marie Duthilleul, Giancarlo Piretti ed Emilio Ambasz, che con la serie di sedute Qualis vince insieme alla Tecno il Compasso d’oro del 1991. In questo frangente è interessante ricordare l’iniziativa proposta da Valeria Borsani, e sostenuta dallo zio Fulgenzio, che nasce per rendere omaggio a Osvaldo Borsani, venuto a mancare nel 1985: si tratta della realizzazione di due importanti raccolte di pezzi, una intitolata Collezione ABV22, nella quale vengono proposti dieci pezzi d’autore firmati da rinomati artisti (un tributo alla grande storia di collaborazione degli artisti con Borsani e la Tecno), e un’altra denominata Collezione Disegno, dove vengono riproposti, come in una selezioni di capolavori, i pezzi più celebri e apprezzati della produzione storica della Tecno. La difficile ridefinizione di un’identità Nel 1992, con la morte di Fulgenzio Borsani, il figlio Paolo, già da qualche anno introdotto in azienda – nella quale aveva conseguito posizioni sempre più importanti nell’organigramma del consiglio d’amministrazione –, prende il posto del padre, come presidente, in quel ruolo di amministratore economico e gestionale del gruppo che aveva contraddistinto quella metà fondamentale della rinomata coppia di gemelli. Valeria Borsani sarà vicepresidente e amministratore delegato dell’azienda sino al 1998,


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Due disegni esplosi delle diverse componenti tecniche che costruiscono un’unità operativa e un tavolo del sistema Nomos progettato da Norman Foster nel 1986

quando decide di uscire dall’azienda sia come amministrazione sia come proprietà. Alla fine degli anni novanta e con l’inizio del nuovo millennio le sfide del mercato globale si fanno molto più complesse e la Tecno, per quanto forte di interessanti commesse nell’ambito dei “grandi lavori” (quello che ormai viene definito “contract design”), si trova spiazzata nel ritrovare nel disegno dei prodotti, ormai quasi esclusivamente dedicati al mondo dell’ufficio, il filo rosso di quella identità che aveva contraddistinto per alcuni decenni lo “stile” Tecno, o per meglio dire il “progetto” Tecno. Un disorientamento che in realtà aveva iniziato a mostrare alcuni segnali già da qualche anno, probabilmente subito dopo il fenomeno del progetto Nomos di Foster, il quale, forse anche per il fatto di essere stato investito di un carattere così fortemente iconico, si è trovato per un po’ di tempo a fare ombra sul resto della produzione Tecno e in qualche modo ha reso un po’ più difficile riprendere il filo del discorso con altri prodotti. Anche il tentativo della Tecno di dialogare con le diverse tendenze progettuali ed estetiche liberate dalla catarsi postmoderna è risultato, per quanto coraggioso, circoscritto in operazioni piuttosto slegate fra loro, che alla fine non sono state in grado di rivitalizzare la matrice storica dell’azienda. A questa moltiplicazione di voci all’interno del catalogo Tecno si è cercato di rispondere negli ultimi anni, prima con una revisione totale della propria immagine, affidando un delicato ri22

tocco sia della corporate identity, sia della collezione storica, al designer Piero Lissoni che, chiamato da Paolo Borsani nella veste di art director, disegna anche la linea di arredi per uffici direzionali Asymmetrical. La proposta di Lissoni interpreta quella radice di “eleganza discreta della tecnica” con un programma molto rigoroso e rarefatto, cercando di recuperare quei valori di purezza formale, cura del dettaglio, razionalità costruttiva, valorizzazione dei materiali ed espressione rappresentativa-simbolica che aveva caratterizzato per molti anni la produzione Tecno. A questa linea di ideale continuità nel segno geometrico e nel recupero dei materiali tradizionali, si è inseguito cercato di affiancare una nuova visione dell’ufficio contemporaneo operativo all’insegna dello componibilità e della variabilità della forma plastica e suadente, che è l’ultimo programma Beta workplace system, disegnato nel 2009 da Pierandrei Associati, recentemente premiato alla nota selezione internazionale del Red Dot Design Award. Verso le nuove sfide del mercato globale La prematura scomparsa di Paolo Borsani nel 2008, al quale segue il giovane figlio Federico, ultimo erede della famiglia Borsani alla guida dell’azienda, ha suggerito l’ingresso con una quota di controllo di Giuliano Mosconi, già amministratore delegato di Poltrona Frau, che ha guidato il processo di ristrutturazione e sviluppo del gruppo con l’aggregazione di note aziende del design del mobile tra le quali Cassina, Cap-


Disegno planimetrico che mostra lo sviluppo cellulare del sistema Beta progettato da Pierandrei Associati nel 2009

pellini e Alias. Questo nuovo gruppo di imprenditori (ancora un lavoro in coppia, dove non manca l’imprimatur del nome Borsani) si è posto il compito, impegnativo ma coinvolgente, di portare la Tecno fuori dalle secche dell’attuale contingenza storica e condurla a navigare ancora con la sua caratteristica “eleganza discreta della tecnica” nei mari più aperti, sulle rotte più sicure e verso i nuovi e migliori porti del mercato globale. Se i tempi, per molti aspetti, sono inevitabilmente cambiati, e con questi anche molte delle prerogative storiche del progetto Tecno, ciò non toglie che, come è sempre stato, nella storia (a saperla leggere) si può riflettere il futuro, e in tal senso questo libro vuole anche essere uno strumento progettuale di tale percorso rigenerativo. Primo catalogo della produzione Tecno, 1953. Catalogo della produzione Tecno, s.d. (databile 1962). 3 Vedi, in questo volume, Maurizio Romanò, La qualità del fare tra arte, artigianato e tecnica, p. 24. 4 Cfr. Fulvio Irace, La “Casa Minima” nel Parco, in Giuliana Gramigna, Fulvio Irace, Osvaldo Borsani, Leonardo De Luca Editori, Roma 1992. 5 Gli arredi per la Casa Minima varranno a Osvaldo il conseguimento del “Diploma Medaglia d’argento” e alla ditta Borsani quello del “Gran Premio”. 1 2

Joseph Rykwert, Introduzione alla pubblicazione Tecno n. 6, 40 anni Tecno, Edizioni Tecno, Varedo 1993. 7 Gio Ponti, La casa dell’architetto Franco Albini, in “Domus”, n. 143, novembre 1939, pp. 28-31. 8 Manfredo Tafuri, Design and Techonological Utopia, in E. Ambasz (a cura di), Italy: The New Domestic Landscape. Achievements and Problems of Italian Design, The Museum of Modern Art, New York 1972, pp. 338-404. 9 Catalogo della produzione Tecno per l’ufficio, s.d. (databile 1962). 10 Vedi il capitolo Comunicare con il progetto Tecno, p. 198. 11 Vedi il capitolo Tecno vende Tecno, p. 156. 12 Vedi il capitolo 1953: il progetto Tecno a quattro mani, p. 32. 13 Vedi il capitolo 1954: la tecnica motore dell’innovazione. La nuova collezione alla X Triennale, p. 36. 14 Vedi il capitolo Etica ed estetica alle origini del design italiano. Incontri: De Carli, Mango, Magistretti, Madini e Sala, p. 72. 15 Vedi il capitolo Eugenio Gerli: il progettista “affine”, p. 132. 16 Osservazioni e memorie raccolte durante alcune interviste fatte a Eugenio Gerli, Valeria Borsani e Marco Fantoni tra dicembre 2010 e febbraio 2011, oltre che in trascrizioni di interviste fatte ad Agenore Fabbri, Roberto Mango e altri conoscenti di Borsani nel 1991 in occasione della Collezione ABV. 17 Cfr. G. Gramigna, F. Irace, op. cit. 18 Vedi il capitolo Enrico Mattei e gli uffici ENI. L’inizio del percorso “grandi lavori”, p. 160. 19 Si vedano le numerose schede di progetti “grandi lavori” presenti nel libro. 20 Nel giro di pochi anni questi negozi verranno per lo più rilevati dalla Tecno e trasformati in punti vendita monomarca. 21 Vedi il capitolo Il Centro Progetti Tecno, p. 214. 22 Vedi il capitolo La Collezione ABV, p. 260. 6

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Maurizio Romanò

La qualitĂ del fare tra arte, artigianato e tecnica Le origini: ABV Arredamenti Borsani Varedo circa 1923

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Evoluzione del marchio ABV. A sinistra, il primo marchio scelto per l’apertura del laboratorio di gaetano Borsani. A destra, marchio realizzato in occasione dell’affidamento della direzione artistica a Gino Maggioni, inizio degli anni venti

Il laboratorio di ebanisteria che Gaetano Borsani (1886-1955) decide di aprire a Varedo poco dopo la fine della prima guerra mondiale si inserisce in un comparto produttivo che in Brianza rappresenta all’epoca una realtà economica già fortemente consolidata1. Alla fine del XVIII

Elemento scultoreo disegnato da Lucio Fontana, in legno e stucco, montato su mensola di produzione ABV progettata da Osvaldo Borsani, particolare di casa G., 1947

secolo la domanda di manodopera specializzata nel settore del legno doveva far fronte alle crescenti richieste di arredi destinati alle lussuose dimore della nobiltà milanese, che aveva eletto il territorio come luogo ideale per la villeggiatura e lo svago. Tradizionalmente legata a una economia prevalentemente agricola, la Brianza seppe in questo periodo sfruttare le opportunità offerte e, nello spazio di due generazioni, si moltiplicarono i laboratori artigiani in grado di realizzare arredi su misura in cui confluiva la capacità professionale di intagliatori, ebanisti, lucidatori, laccatori e tornitori, oltre che quella di maestranze qualificate nel settore della tappezzeria e della realizzazione degli elementi metallici pertinenti la costruzione del mobile. La specializzazione che caratterizzava il comparto del mobile fu inoltre favorita dal diffondersi della moda del mobile neoclassico di gusto “Chippendale”, in cui singoli pezzi progettati e costruiti separatamente venivano successivamente assemblati per la vendita. Alle botteghe artigiane di ebanisteria si affiancarono ben presto officine meccaniche in grado di realizzare i macchinari per la lavorazione del legno. Nella prima metà dell’Ottocento esem-

pi di arredi realizzati in Brianza sono presenti sul mercato parigino. A conferma dell’importanza del settore per l’economia del territorio, nel 1882 viene aperta a Cantù una Scuola d’Arte per l’Arredamento, presto seguita da analoghe iniziative di istruzione professionale2. La partecipazione delle botteghe artigiane brianzole alle varie esposizioni nazionali e internazionali e il riconoscimento del livello qualitativo e innovativo delle proposte presentate confermano come il comparto del mobile rappresenti per il territorio il settore economico di punta. I primi prodotti che escono dalla bottega di Gaetano Borsani, pur caratterizzati da sapienza costruttiva e conoscenza dei materiali, rimangono per un certo periodo legati al concetto di “mobile in stile”, tanto che il primo logo scelto per sintetizzarne l’immagine recita, sotto l’immagine stilizzata di un operaio intento a piallare una tavola, “Fabbrica di mobili in stile e comuni”. Lo “stile”, neorinascimentale, cui si riferisce la dicitura è tra i più richiesti dal mercato. I primi esempi documentati in archivio si configurano come diligenti riproduzioni di tavoli, cassettoni, serventi e in qualche caso interi ambienti ripresi da repertori ben conosciuti e consultati da tutte le realtà produttive coeve. Manca l’impronta personale, l’interpretazione. Si tratta di una fase di avvio necessaria, ben presto superata dalla volontà di sperimentare nuove soluzioni e di allargare gli orizzonti culturali dell’impresa. La svolta coincide con la scelta di affidare, nei primi anni venti, la direzione artistica di 25


A destra: il marchio dell’inizio degli anni trenta; accanto, il marchio definitivo ABV Mobile toilette e sgabello in legno laccato realizzato dall’Atelier di Varedo su progetto di Gino Maggioni, esposto alla Biennale di Monza,1925

quello che nel frattempo ha mutato nome in “Atelier di Varedo” al giovane architetto Gino Maggioni, che per almeno un decennio affiancherà Gaetano Borsani. Più tardi Maggioni, a seguito della concessione nel 1937 di un brevetto industriale di “sistema e relativo dispositivo per curvare a freddo legno compensato”, aprirà con successo una propria fabbrica, “Curvati brevetti Maggioni”, destinata a realizzare importanti forniture per il nuovo Ospedale Maggiore di Milano e gli arredi in lamellare curvato disegnati con Giuseppe Pagano architetto della nuova università Bocconi. Il primo importante appuntamento cui è chiamato a rispondere Maggioni è, nel 1925, la seconda Biennale di Monza, evento culturale di rilievo che in qualche modo testimonia i primi segnali di recepimento delle suggestioni offerte dal nuovo stile internazionale convenzionalmente conosciuto come déco3. La mostra monzese, pensata in un primo tempo per presentare le creazioni degli allievi dell’Istituto Superiore di Industrie Artistiche di Monza, fu ben presto aperta ai contributi artistici e industriali internazionali. In questo periodo si andava imponendo la filosofia del gusto déco, in cui confluiscono molteplici rimandi: dal dinamismo futurista alle geometrie cubiste, dai richiami alla recente stagione liberty al recupero della decorazione come elemento necessario e risorsa poetica4. Nell’ambito dunque di questo importante appuntamento, l’Atelier di Varedo presenta tre 26

ambienti completi, sala da pranzo, cucina, camera da letto, e una serie di mobili singoli progettati da Maggioni. Una sobria laccatura grigio grafite impreziosisce gli arredi, le cui semplici geometrie vengono sottolineate da volute e arabeschi incisi. Nel padiglione piccole sculture, lampade, tappeti, opere d’arte grafica appese alle pareti contribuiscono a creare quella coerenza d’ambiente che rappresenterà anche nell’immediato futuro una delle note caratteristiche della produzione dell’Atelier, soprattutto in occasione di grandi forniture. L’adesione alle poetiche déco si conferma e in certa misura si consolida in occasione della successiva Biennale di Monza, 1927, quando il linguaggio degli arredi presentati assume più chiaramente le caratteristiche impostazioni geometriche e decorative anche nella scelta, ad esempio, dei tessuti che rivestono gli imbottiti. Con la disponibilità sul mercato della radica di noce, l’accostamento di zone chiare e scure, di venature e macchie casuali sarà abilmente sfruttato per ottenere superfici naturalmente “decorate”, spesso alleggerite da scanalature e modanature. Saranno questi arredi a costituire una sorta di primo catalogo di proposte cui attingere in numerose variazioni e declinazioni. Proprio a questi anni risalgono i primi documenti conservato nell’archivio Borsani a Varedo5. L’archivio conserva oggi disegni, schizzi, appunti di progetto, fotografie e altro materiale d’interesse artistico e documentario. I pro-


Stand della Arredamenti Borsani alla Fiera di Milano, fine degli anni trenta Stand dell’Atelier di Varedo alla Fiera di Milano, 1929

getti, in particolare, vengono catalogati secondo una successione numerica che identifica il prodotto e nel contempo il cliente cui la fornitura è destinata. Se la gran parte dei progetti sviluppa le richieste specifiche di singoli committenti, un certo numero di essi, tuttavia, identificati con la dicitura “magazzino”, non sono destinati a una particolare fornitura ma identificano il corpus tipologico base su cui si fonda una sorta di catalogo utile per lo sviluppo di numerose e articolate variazioni rispondenti alle esigenze di una committenza via via più qualificata. Accanto al repertorio dei progetti classificati, una significativa raccolta di rendering ad acquarello destinati a rappresentare con straordinaria resa grafica le proposte da illustrare alla clientela e un cospicuo repertorio fotografico raccontano la relazione con la committenza e l’apertura alle prospettive non solo di un ristretto e raffinato pubblico culturalmente sofisticato, ma anche e forse soprattutto di una borghesia desiderosa di accostarsi alle suggestioni del moderno per gradi progressivi. Numerosissimi modelli e dime utilizzate da provetti intagliatori e decoratori testimoniano l’attenzione con cui venivano consultati e interpretati i repertori disponibili all’epoca. Negli anni immediatamente successivi la produzione dell’Atelier va stilisticamente diversificandosi, sperimentando non solo le varie declinazioni del déco d’impronta francese, ma accostandosi al gusto moderatamente “monu-

mentale” di un certo novecentismo e alle sperimentazioni tardofuturiste testimoniate dal passaggio nei laboratori dell’Atelier di Cesare Androni, che progetta pannelli di rivestimento decorati e realizzati in varie essenze di legni, e di Giandante X, singolare figura di artista, pittore e scultore che realizza, tra l’altro, una serie di piccole sculture stilizzate in acciaio e progetta basi per tavoli a soggetto zoomorfo di forte impatto visivo6. È all’inizio degli anni trenta che Osvaldo Borsani esordisce, ancora studente del Liceo artistico di Milano, cui si era iscritto nel 1925, al fianco del padre nella conduzione dell’Atelier. Non è certo un caso che gli arredi presentati in due sale della quarta Triennale di Monza, nel 1930, inizino a discostarsi dalla precedente produzione. Il linguaggio scelto recepisce infatti le nascenti istanze di un razionalismo ancora agli albori ma già ben definito nella definizione di volumi semplici, lineari, funzionalmente essenziali, progressivamente depurati da superficiali decori. Lungi dall’essere semplici esercitazioni di studente (Osvaldo otterrà la laurea in architettura al Politecnico di Milano nel 1937), i disegni, gli appunti di progetto e soprattutto gli allestimenti di alcuni prestigiosi negozi realizzati nei primi anni trenta, dimostrano come gli elementi peculiari dell’alfabeto razionalista fossero già patrimonio culturale dell’architetto, che sceglie un linguaggio rigoroso in cui, come avverte Edoardo Persico sulla 27


Arredi presentati nel contesto della “Casa minima” progettata da Osvaldo Borsani con Cairoli e Varisco in occasione della V Triennale, Milano, 1933. A destra, mobile di servizio con ante e frontale dei cassetti rivestiti in pergamena; in basso, gli arredi della cucina e il catalogo illustrativo stampato nell’occasione

“Casa Bella”, la “castigatezza di stile” riesce a “evocare, con gusto moderno, immagini di soave classicità”7. La quinta edizione della Triennale (1933), che per la prima volta si tiene al Palazzo dell’Arte di Milano, rappresenta per Osvaldo l’occasione per evidenziare quanto fosse ormai definita la propria autonomia stilistica, destinata a orientare sempre più la vocazione produttiva dell’azienda paterna verso le ragioni del razionalismo8. Orientamento, questo, che risponde non solo a una ideale adesione teorica alle istanze del movimento internazionale, ma anche all’intuizione dei benefici che avrebbe comportato sul piano produttivo e quindi economico nella riorganizzazione dei cicli di lavorazione, nella ricerca sui materiali, nella progettazioni di nuovi macchinari. Risalgono a quegli anni, ad esempio, le prime ricerche sul compensato curvato come alternativa all’uso di legnami di più difficile reperibilità.

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Nell’ambito della “Mostra dell’abitazione”, che mette a confronto le interpretazioni tipologiche del tema di alcuni dei più importanti e originali progettisti del periodo, Borsani presenta, con Cairoli e Varisco, il progetto e la realizzazione di una “Casa minima”9 di chiaro impianto razionalista nella distribuzione degli spazi e nell’articolarsi dei volumi. La casa, pensata come nucleo abitativo ridotto, semplice nella concezione, punta a un’attenta riconsiderazione dei costi e guarda a un’utenza medio-borghese cautamente disposta a considerare i vantaggi di un abitare “comodo e moderno”. Sono tuttavia gli arredi che completano l’abitazione a costituire il maggior motivo d’interesse, tanto che verranno premiati con il “Diploma Medaglia d’argento” assegnato a Osvaldo Borsani e il “Gran premio” alla ditta Borsani. Si tratta di un progetto integrale in cui i singoli arredi pensati per ingresso, cucina, sala da pranzo e soggiorno, zona notte, rappresentano una sorta di repertorio


Interno della “Casa minima” alla V Triennale, 1933. Tavolo con piano in legno e bordatura in legno di palma. La struttura del tavolo e delle sedie sono in tubolare d’acciaio Studio per un professionista progettato da Osvaldo Borsani, metà degli anni trenta

funzionale a cominciare dagli arredi della cucina, essenziale e concentrata. Le vivaci laccature arancio che sottolineano i volumi interni di credenze e contenitori, l’utilizzo di essenze raffinate quali il legno di palma e imbuia, la pergamena che riveste le ante (un materiale, questo, particolarmente complesso da lavorare), tubolari in metallo curvato e cristalli incisi, costituiscono altrettanti elementi di un vocabolario visivo e testimoniano la straordinaria padronanza delle tecniche di lavorazione che le maestranze dell’Atelier hanno raggiunto. Negli anni immediatamente seguenti gli orizzonti della struttura produttiva di Varedo si allargano grazie a commesse sempre più prestigiose. Nel 1932 sorge la nuova fabbrica e contemporaneamente si inaugura il negozio, con studio di progettazione, di via Montenapoleone, a Milano, destinato a divenire ben presto punto d’incontro di artisti, progettisti e di una borghesia colta e raffinata. Ripercorrendo con attenzione l’elenco delle commesse che i registri conservati in archivio riportano, si scopre come la versatilità progettuale di Osvaldo Borsani fosse in grado di spaziare ben al di là delle consuete tipologie. Incontriamo infatti progetti per arredi scolastici, cancelli, tappeti, vetrate, inginocchiatoi, culle, monumenti funerari e arnie per api, portatelefoni e portapipe, oltre a un cospicuo numero di lampade studiate per gli usi più diversi. È evidente in tal senso la volontà del progettista di conformare anche il più piccolo dettaglio di

arredi studiati per singole commesse a un preciso e coerente vocabolario colmando, tra l’altro, la carenza di offerte specifiche nel mercato dell’epoca. Dunque sarà principalmente, se non esclusivamente, all’arredo dei grandi ambienti abitativi e degli studi professionali della borghesia lombarda, di cui conosce perfettamente i rituali di rappresentanza sociale, che l’architetto dedicherà per tutti gli anni trenta e quaranta il proprio impegno. Prendiamo a esempio tipologico un ambiente come l’ingresso della casa che oggi, quando non è scomparso, rappresenta un semplice luogo di transito. Eleganti consoles sormontate da specchiere, articolati attaccapanni e cappelliere, piccole zone d’attesa che introducono alla hall principale risolvono l’ambiente e costituiscono una sorta di biglietto da visita della casa, che annuncia l’articolarsi degli ambienti destinati alla vita sociale della famiglia con gli angoli riservati al gioco e alla conversazione e al consumo dei rituali domestici e privati di cui, forse, il boudoir della signora con le raffinate toilette rappresenta il fulcro di una composta modernità. Ed è proprio la capacità di Borsani di comprendere, interpretare e guidare il gusto di una classe sociale solida e moderatamente aperta alle novità a determinarne lo straordinario successo di mercato. Il vastissimo abaco di proposte che l’Atelier è in grado di offrire ruota attorno a un nucleo di arredi e ambienti tipo da cui discendono variazioni e dinamiche combinazioni di volta 29


Disegni prospettici ad acquarello per studio di scrivania operativa e poltroncina su progetto di Osvaldo Borsani, fine degli anni trenta

in volta adattate ad ambienti e allestimenti integralmente progettati e realizzati secondo i criteri di una consolidata tradizione artigiana di lavorazione del legno e degli altri materiali. La collaborazione con artisti di punta era stata già per il padre una scelta strategica. Osvaldo Borsani ne intensifica il significato. Il rapporto professionale e d’amicizia con Agenore Fabbri, Lucio Fontana, Aligi Sassu, Roberto Crippa, Fausto Melotti, Arnaldo Pomodoro non si limita all’impiego di dipinti e sculture (va ricordata a titolo di esempio una serie di soffitti progettati da Fontana per alcune importanti abitazioni e ambienti pubblici) in occasione di importanti allestimenti: l’architetto chiede agli artisti di intervenire direttamente sul progetto degli arredi. Prendiamo il caso della lunga collaborazione con Lucio Fontana. L’artista realizza una serie di formelle in ceramica che decorano le ante delle eleganti credenze di Borsani, dipinge i piani in vetro di tavoli di servizio, progetta maniglie in bronzo e decorazioni di superfici verticali. Gli arredi cui sono destinati gli interventi di Fontana vengono proposti sul mercati in due versioni. Una, per così dire, “di catalogo”, con maniglie o piani di serie e l’altra in cui il decoro, la ceramica dell’artista rappresentano una sorta di valore aggiunto e di prestigiosa testimonianza della collaborazione tra mondo della progettazione e mondo dell’arte. La produzione non si interrompe nemmeno durante i tragici anni della guerra; l’azienda offre un servizio di ricovero e magazzi30

naggio degli arredi della propria clientela mettendoli al sicuro dai bombardamenti che colpivano Milano. Nel 1940 Osvaldo Borsani progetta a Varedo, per il padre Gaetano, una villa che in seguito sarà l’abitazione del fratello Fulgenzio10. Laureatosi in discipline economiche, egli lo affianca nella conduzione dell’azienda di famiglia e sarà al suo fianco nella grande avventura Tecno. Al pari di altri progetti architettonici, la villa muove da un impianto razionalista; i volumi si articolano in una sequenza rigorosa ed elegante, così come il progetto dell’annesso parco. La scala nell’atrio d’ingresso, realizzata in marmo di Candoglia e cristallo, rappresenta il fulcro ideale attorno a cui si sviluppa il progetto. Sarà nel decennio che segue gli eventi bellici – quando architetti e progettisti, posti di fronte alla necessità di contribuire alla ricostruzione e alla rifondazione morale del paese, di concerto con le più avanzate realtà produttive pongono le basi per la nascita del design italiano in tutte le sue molteplici articolazioni – che Osvaldo Borsani immaginerà il passaggio dalla grande tradizione artigiana al sistema industriale concretizzato con la creazione di una nuova realtà produttiva, programmaticamente denominata Tecno. Orientato alla progettazione e alla produzione industriale di arredi sempre più rivolti alle esigenze del mondo del lavoro e delle relazioni sociali, Borsani immagina una strategia di progetto globale in cui “confluiscono e si armo-


Particolare interno di villa Borsani a Varedo, progetto di Osvaldo Borsani, 1943. Mobile toeletta con superficie prismatica ed elementi di sostegno in vetro fumé, accompagnato da ampio sgabello imbottito con gambe in legno, disegno di Osvaldo Borsani, primi anni quaranta

nizzano la figura del progettista, del costruttore, dell’art director e del distributore”, nella convinzione che “la collaborazione del designer non può essere estemporanea, deve, invece, essere stretta, assidua, duratura. È vivendo nella fabbrica che si risolvono i problemi tecnici insieme con quelli estetici. Il designer deve quindi inserirsi intimamente nella vita della fabbrica, deve ‘digerirsi’ prima il fatto produttivo in tutti i suoi aspetti, deve conoscere la produzione meglio del direttore di fabbrica” e dichiara: “Approfittando delle collaborazioni, degli studi e delle scoperte ultime, Tecno intende seguire una linea precisa che unisce la ricerca funzionale alla ricerca estetica, che usi le materie più adatte vecchie o nuove ottenendo le migliori prestazioni e che offra al mercato degli oggetti belli senza sforzo apparente, utili senza riserve, sani e durevoli…”. Dunque sarà proprio questa precisa visione del ruolo del progettista e del produttore a informare e orientare quello che, nell’evoluzione umana e professionale di Osvaldo Borsani, costituirà il progetto della sua vita.

Cfr. L’industria del mobile in Brianza dalle origini al 1940, tesi di laurea di A. Pellegrini, relatore prof. Franco Della Peruta, Università degli Studi di Milano, Facoltà di Lettere e Filosofia, a.a. 1984/85; Mario Marelli, L’industria del mobile nella Brianza comasca, Como 1965; Lorenzo Carugati, Per una lettura storica dell’artigianato del mobile a Cantù, in Giuseppe Furlanis, Aurelio Porro, Alfio Terraneo (a cura di), Esperienze di design a Cantù, Centro stampa Banco Lariano, Grandate 1986; Fulvio Irace, Officina Varedo, Gaetano Borsani: all’origine dell’industria, in Giuliana Gramigna, Fulvio Irace (a cura di), Osvaldo Borsani, Leonardo De Luca Editori, Roma 1992. 2 Flavio Guenzi, Mario Marelli, L’industria del mobile nella Brianza comasca, Camera di Commercio, Industria e Agricoltura, Como 1965. 3 Anty Pansera (a cura di), 1923-1930 Monza. Verso l’unità delle arti, Silvana Editoriale, Cinisello Balsamo 2004. 4 Irene De Guttry, Paola Maino, Il mobile déco italiano 19201940, Laterza, Roma-Bari 1988. 5 Fulvio Irace, Officina Varedo, cit., in Giuliana Gramigna, Fulvio Irace (a cura di), op. cit. 6 Cfr. Maurizio Scudiero, Il Futurismo e le arti applicate, in Rossana Bossaglia, Alberto Fiz (a cura di), Art Déco in Italia, Silvana Editoriale, Cinisello Balsamo 2003. 7 Edoardo Persico, La città che si rinnova, in “La Casa Bella”, dicembre 1931. Recensione del negozio “La Torinese”, disegnato da Gaetano e Osvaldo Borsani. 8 Cfr. Maria Cristina Tonelli Michail, Il design in Italia 1925/43, Laterza, Roma-Bari 1987; Irene De Guttry, Maria Paola Maino, Il mobile italiano degli anni Quaranta e Cinquanta, Laterza, Roma-Bari 1992. 9 Vedi Casa Minima alla V Triennale, opuscolo realizzato dall’Atelier Gaetano Borsani in occasione dell’esposizione, 1933. 10 Giuliana Gramigna, Fulvio Irace (a cura di), op. cit. 1

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Giampiero Bosoni

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1953: il progetto Tecno a quattro mani


Copertina e pagina iniziale del primo catalogo Tecno, 1953

I gemelli Fulgenzio e Osvaldo Borsani discutono passeggiando nel giardino di casa Borsani a Varedo, anni sessanta

Tutti coloro che hanno vissuto a fianco dei gemelli Borsani riferiscono la storia della nascita della Tecno, avendola sentita dai diretti interessati, non come un idilliaco punto d’incontro e di passaggio dal vecchio laboratorio artigianale ABV alla produzione seriale industriale, ma piuttosto come un difficile scontro tra Osvaldo Borsani, propugnatore del percorso moderno del progetto industriale, e il padre, solido difensore della cultura artigianale, con in mezzo il fratello Fulgenzio, combattuto nel parteggiare tra i due contendenti, ma più propenso a condividere i richiami del padre. Ci volle il carattere determinato di Osvaldo, simile d’altro canto a quello del padre Gaetano, per affrontare i rimbrotti del paterno fondatore dell’ABV, e le sofferte indecisioni del gemello Fulgenzio. D’altra parte a Osvaldo, diplomato al liceo artistico di Brera (dove conobbe numerosi degli artisti da lui sempre accolti e coinvolti in ABV come in Tecno) e laureato in architettura al Politecnico di Milano, spettava il compito di interpretare i mutamenti culturali e progettuali dell’abitare. Mentre al fratello Fulgenzio, formato in studi economici, il destino (ma si direbbe quasi che il padre avesse predisposto già tutto per la sua successione) aveva riservato il ruolo di capitano in seconda, abile calcolatore di rotte, preciso gestore della cambusa, controllore costante della barra del timone. Sempre dai resoconti dei più stretti collaboratori apprendiamo che i due gemelli non si contraddicevano mai pubblicamente; men-

tre in camera caritatis potevano anche esserci accese discussioni, per quanto rare, riaperte le porte della loro stanza ne uscivano sempre con un punto di vista concordato. Tornando allo scontro iniziale, sembra che il punto di maggiore critica portato dal padre al figlio fosse che aprendosi a una produzione industriale avrebbe dovuto sottostare alle imposizioni dei commercianti ma, come approfondiremo nell’articolo sulla storia dell’innovativa gestione commerciale della Tecno, Osvaldo si limitò ad affermare, e poi a fare, che “solo Tecno avrebbe venduto Tecno”. Evidentemente la passione e l’indubbia capacità progettuale e gestionale di Osvaldo nel campo del disegno del mobile convinse il fratello ad accettare la sfida e il padre a lasciargli lo spazio di manovra. La prima mossa di Borsani è quella di costituire subito una collezione, con i pezzi da lui disegnati nei primi anni del dopoguerra, che egli sente come più rappresentativi del percorso industriale che vuole intraprendere. Spicca tra questi la libreria L60 (poi E60), sostenuta da guide verticali a muro (la prima del genere), dalla quale deriverà il fondamentale sistema E22. Questo progetto, ancora in fieri dal punto di vista della collezione, appare già più evocato nella veste grafica e ancor più negli intendimenti esposti, quasi in forma di manifesto, nel testo di presentazione posto alla fine del catalogo stesso. Vale la pena di riportare il testo integralmente, anche nei suoi passaggi apparentemente più commerciali, per cogliere lo spiri33


Tavolo T40, poltroncina P35 e la libreria L60 dal primo catalogo Tecno, 1953

to innovativo dichiarato con grande lucidità dai fratelli Borsani in questa sorta di “messaggio nella bottiglia”. “Il sistema di produzione Standard permette oggi che gli oggetti fabbricati riproducano con minuziosa fedeltà il modello ideato e realizzato da tecnici e da artisti. Inoltre ne consente la diffusione in modo che tutti possono fruire di prodotti che non solo rispondono a una determinata funzione ma, esteticamente controllati, posseggono anche il requisito della perfezione tecnica e della durata. Seguendo questi criteri la ‘Tecno’ presenta i suoi nuovissimi

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mobili eleganti, razionali e smontabili. A conferire loro un requisito veramente importante sta il fatto che ogni fornitore di mobili ‘Tecno’ è provvisto dei vari pezzi intercambiabili, fabbricati in diverse qualità di legno e con tessuti svariati. Questo dà modo all’acquirente, secondo il proprio gusto, la fantasia o la necessità, d’intonare i nuovi mobili ad un determinato ambiente e di ottenere contrasti ed armonie secondo una nota personale, che elimina una noiosa uniformità. I mobili ‘Tecno’ vengono forniti smontati, in imballaggio sigillato, che garantisce il passaggio diretto dalla fabbrica al compratore ed


Poltrona P30, scrittoio T45, poltroncina P35, letto d’angolo L50, armadio A55 dal primo catalogo Tecno, 1953

evita i danni causati dai trasporti, dalla polvere, dalla luce e da ogni agente esterno, durante le giacenze in magazzino. Presso i rivenditori i mobili Tecno non vanno incontro al minimo deterioramento, anche perché occupano uno spazio ridottissimo e possono essere custoditi, in quantità notevoli, nell’imballaggio che permette di sovrapporli in scatole. Del loro valore estetico può dare affidamento il fatto che per ‘Tecno’ hanno creato modelli di semplice e squisita eleganza, architetti e pittori, fra i più esperti, che si sono preoccupati di raggiungere una modernità superiore al mutar del gusto.

GARANZIA: la garanzia dei mobili Tecno, per la perfetta esecuzione e la solidità dei materiali usati è data dal fatto che tutti i mobili Tecno vengono costruiti nello stabilimento e sotto la direzione dell’ufficio tecnico della ditta Arredamenti Borsani di Varedo, già nota e qualificata fra le migliori, da oltre cinquant’anni, nella costruzione del mobile.” Se in quei primi anni cinquanta ancora occorreva porre le basi del design industriale, la Tecno iniziava così a dare il buon esempio con chiari concetti programmatici e al contempo con oggetti dal design esemplare.

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Giampiero Bosoni

1954: la tecnica motore dell’innovazione La nuova collezione Tecno alla X Triennale

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Vista interna della zona studio e vista esterna del “Padiglione per esposizione di mobili di serie” progettato dall’architetto Osvaldo Borsani alla Triennale di Milano, 1954

Nel primo numero della rivista “Ottagono”, del 1966, nata come veicolo comunicativo di otto aziende fra le quali la Tecno, l’apertura scelta dai Borsani per presentare la Tecno è intitolata Un’industria attraverso le Triennali 1. In questo testo i Borsani, e in particolare Osvaldo, vogliono affermare la coerenza di un percorso culturale, oltre che progettuale e produttivo, rivolto a un’idea etica del mercato. Per introdurre la fondamentale presenza della Tecno alla X Triennale di Milano del 1954 vale la pena di rileggere alcuni passi salienti di quel testo. “[...] Per i film ci sono i festival e per i libri i premi letterari, mentre per le opere di teatro sono i palcoscenici a sancirne il successo culturale o mondano. Ma non sempre invece sono la conquista della vetrina di un negozio o il successo commerciale di un prodotto a confermare in modo ufficiale la validità di una forma e la sua riuscita come prodotto industriale. Infatti, in ambienti in cui gli interessi commerciali non sopraffanno la validità espressiva di un prodotto, è chiara e giusta ambizione di ogni ditta qualificata e di ogni vero designer, di portare in Triennale i pezzi più significanti della propria collezione. ‘Presenti in Triennale’, vuol dire essere partecipi e non spettatori delle vicende che evolvono e modificano la vita della società di oggi, per quegli aspetti a cui essa è legata ai fatti delle arti decorative e industriali. La produzione di serie, in genere, ed in modo specifico quella che riguarda gli oggetti, gli arredi e le attrezzature per la casa è ormai un aspetto fondamentale dell’arredamento e

quindi dell’architettura e di tutto quanto la condiziona e la determina. Noi pensiamo che sia giusto ricordare che non sono mai molti coloro che si fanno pionieri lungo strade nuove e che cercare di inserirsi nella realtà in modo consapevole, guardando più il futuro che il presente, è spesso scomodo e faticoso. La Tecno scelse appunto la strada impegnata delle Triennali per il suo incontro ufficiale con il pubblico e per la prima prova d’esame con i giudici severi della Giunta tecnico-esecutiva della rassegna milanese. Uno dei temi fondamentali della Decima Triennale era il rapporto di reciproca collaborazione fra la nascente produzione industriale nel settore degli elementi di arredamento ed il mondo dell’artigianato e dell’arte che fino allora avevano avuto in Italia un dominio pressoché incontrastato. La produzione Tecno fu accolta allora con particolare interesse poiché iniziava la propria esperienza sulla base di una organizzazione industrializzata appoggiandosi però ad una preesistente e feconda attività a carattere artigianale. Era una precisa volontà di dimostrare che con il mutare e l’evolversi dei tempi era necessaria e possibile una parallela evoluzione nella organizzazione e nella strutturazione delle fonti produttive. Il programma della Tecno era appunto quello di organizzare una produzione di serie di pezzi che avessero nel disegno delle nuove premesse di tecniche industriali. Con questi pezzi la Tecno partecipò in Triennale alla rassegna internazionale ‘Mostra del mobile singolo’ e fu inoltre presente con un padiglione pro37


Vista della zona pranzo e, a destra, della zona studiolo nel “Padiglione per esposizione di mobili di serie” ideato da Osvaldo Borsani alla Triennale di Milano, 1954

Libera installazione verticale della libreria L60 nell’“Ambiente arredato con mobili di serie” proposto da Osvaldo Borsani alla X Triennale, 1954

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prio in cui presentava un allestimento basato sull’impiego dei mobili di serie. [...]”. La lunga citazione ci porta a quel momento cruciale in cui la neonata Tecno punta tutto sulla sua “presenza” in Triennale, non solo per esporre dei prodotti, ma soprattutto per mostrare un “modo” di usare, di costruire e di promuovere elementi d’arredo e insieme uno stile di vita. L’operazione strategica decisa a tavolino è quella di essere presenti ovunque è possibile. Rileggendo

sentata al pubblico negli stessi mesi in cui si svolgeva la X Triennale e di proporre soluzioni a uno dei temi fondamentali della X Triennale: il rapporto di reciproca collaborazione tra il mondo dell’arte e il mondo dell’industria. La Tecno è forse la prima organizzazione italiana che con molta concretezza vuole contribuire alla soluzione del problema dell’arredamento secondo lo schema della composizione degli ambienti con mobili prodotti in serie. [...]”2.

il catalogo della X Triennale, i nomi Tecno e Borsani compaiono in diverse aree espositive. “I visitatori della X Triennale di Milano”, scrive Carlo De Carli nel 1955 sulle pagine di “Domus”, “avranno certo osservato come fra gli elementi esposti nella mostra del ‘mobile singolo’ che raccoglieva le soluzioni più significative della produzione internazionale, molti fossero prodotti della ‘Tecno’ di Milano e come nel Palazzo dell’Arte vi fossero divani ‘Tecno’ e nel Parco, addirittura, un padiglione ‘Tecno’. La Giunta tecnico-esecutiva della X Triennale di Milano è stata lieta di sottolineare lo sforzo di una nuova società italiana per la produzione in serie dei mobili e di accogliere il massimo e il più selezionato della sua produzione che ha avuto la fortunata coincidenza di essere pre-

Concorsi, convegni e congressi della Decima Triennale “Concorso nazionale per progetti di sedia e di tavolo ampliabile. Concorso organizzato in collaborazione con la ‘Tecno S.A.’, Milano. (2 aprile 1954, scadenza: 15 giugno 1954)”3. “Nel quarto concorso (progetti di sedia e di tavolo ampliabile) la giuria (on. Ivan Matteo Lombardo, dr. Fulgenzio Borsani, arch. Osvaldo Borsani, arch. Antonio Carminati, arch. Carlo De Carli), secondo quanto stabilito dal bando, ha scelto per l’esecuzione un progetto di tavolo ampliabile degli architetti Francesco Gnecchi, Roma e Giovanna Pericoli, Milano, un progetto di tavolo ampliabile e due progetti di sedia dell’arch. Roberto Mango, Napoli. [...]”4.


Rispetto a questo concorso è interessate riportare la testimonianza di Roberto Mango: “[...] La nostra storia ha inizio con il ‘Concorso nazionale per progetti di sedia e di tavolo amplibile, bandito dalla Triennale con la Tecno S.A., scadenza 15 giugno 1954’. Mi parve subito un’occasione da non mancare: temi interessanti, una produzione sul nascere. Il mio tavolo ampliabile fu scelto per la produzione; era un po’ macchinoso, ma mi divertii a proporlo come provocazione e come mio test personale tendente a mediare il sostrato dell’esperienza americana e la nuova produzione italiana. Incontrai Osvaldo, un uomo vivo e svelto, dalle soluzioni rapide e convincenti: direi in questo senso abbastanza americano. Ci capimmo subito rivedendo il tavolo e semplificandone il movimento. [...]”5. Mostra del mobile singolo Ordinamento: arch. Franco Albini, arch. Franco Berlanda, arch.Luigi Fratino, arch. Enrico Freyrie, arch. Gino Valle, arch. Nani Valle Allestimento: arch. Luigi Fratino, arch. Enrico Freyrie Consulenza: pittore Bruno Casssinari, pittore Emanuele Rambaldi

Fra i numerosi prodotti in mostra ci sono alcuni famosi pezzi disegnati da Charles Eames per la Herman Miller, la poltrona Martingala di Zanuso per Arflex, una sedia di Robin Day per la Hille Forniture (gli stessi designer e azienda con cui prenderà accordi la Tecno per produrre la sedia MK2), la sedia 683 di De Carli per Cassina. In mezzo a questi pezzi sulla pedana 21 viene esposto il divano D70 con la scheda “divano-letto brevettato, con gommapiuma ricoperta di stoffa verde - disegno: arch. Osvaldo Borsani - produzione: ‘Tecno’ (Milano)”. Per cogliere lo spirito e il valore di questa sezione della mostra che ha assegnato al divano D70 il diploma d’onore della Triennale, può essere utile leggere alcune righe della relazione introduttiva scritta dai curatori della mostra: “È opportuno che anche in Italia sia dimostrata la possibilità di una produzione di mobili in serie, oggetti che presi come pezzi singoli e combinati nei più vari modi possibili, diano all’ambiente di una casa la intimità, soddisfino i vincoli funzionali e le aspirazioni estetiche, consentano l’espressione dei più vari caratteri personali. Naturalmente i mobili scelti per questa sezione sono in gran parte prodotti in paesi stranieri, dove per una più avanzata in39


dustrializzazione è già stata raggiunta una produzione continua ed uno ‘standard’ perfezionato. [...] La parte italiana del materiale esposto, invece, è ancora quasi tutta costituita da prototipi, sia perché il necessario dialogo fra progettista e produttore non è stato ancora sviluppato fino in fondo, sia perché particolari contingenze hanno ritardato il raggiungimento di una fase di produzione in massa. [...] Qui il mobile è dunque considerato, e sottoposto all’eAbitazione a cupola geodetica di Fuller nel parco per la X Triennale, allestimento interno progettato da Roberto Mango utilizzando pezzi della nuova collezione Tecno, 1954

same del visitatore, come organismo a sé stante, compiuto in se stesso; e gli accostamenti tra mobili hanno lo scopo di favorire una critica, non di creare una composizione. [...]”6. Ambiente arredato con mobili di serie arch. Osvaldo Borsani All’interno della sezione “Mostra di ambienti”, a fianco della famosa “Abitazione uniambientale” disegnata da Gio Ponti, Antonio Fornaroli, Gian Franco Frattini, Alberto Rosselli, Borsani presenta il suo “ambiente”, che nel catalogo viene così descritto: “I mobili presentati in questo ambiente sono stati eseguiti dalla ‘Tecno S.p.a.’ la quale si dedica a una produzione industriale di alta qualità. Altre produzioni della medesima società sono esposte nel ‘Padi-

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glione per esposizione di mobili di serie’ costruito nel Parco. Con questi elementi, studiati per un ambiente di soggiorno, si è inteso riaffermare la validità del concetto di ‘serie’ non inteso come limitazione di fantasia, ma come libertà di composizione.”7 Padiglione per esposizione di mobili di serie progettista: arch. Osvaldo Borsani Il punto centrale della presenza Tecno alla X Triennale è il suo padiglione nel parco che nel catalogo viene descritto in questo modo: “Nel padiglione sono presentati esemplari di mobili e oggetti di una produzione industrializzata italiana (Soc. ‘Tecno’) che si propone di porre sul mercato italiano ed estero prototipi di qualità in cui si integrino tecnica e forma. ll padiglione a struttura di cemento armato, sopraelevato dal suolo e largamente finestrato, presenta – all’interno – un unico grande ambiente che si articola in tre rami attorno alla cabina centrale destinata all’impianto di condizionamento d’aria (‘Conver-Worthington’). Semplici schermi a mezz’aria determinano la divisione degli spazi: il corridoio di ingresso, il soggiorno, lo studio, la camera da letto.


Dato il carattere di sala di esposizione che si è voluto conservare alI’ambiente, non si tratta di veri locali, ma di spazi in cui sono accolti i mobili secondo le affinità che l’uso determina. Tutti i mobili qui presentati sono stati eseguiti dalla Soc. ‘Tecno’ su progetto dell’arch. O. Borsani, ove non sia altrimenti indicato.”8

mozione del disegno industriale nell’ambiente culturale e produttivo italiano. Con Olga Gueft di ‘Interiors’ ‘inventai’ persino la partecipazione ufficiale USA, riuscendo ad avere da Fuller in anteprima sperimentale le due cupole geodetiche di cartone montate nel Parco. Qui dovrei scrivere un libro! [...]”9

Partecipazione statunitense ordinamento: Olga Gueft, arch. Roberto Mango Abitazione a cupola geodetica Fuller (U.S.A.) allestimento: arch. Roberto Mango Altra partecipazione estemporanea della Tecno, ma molto significativa, è la fornitura di mobili per l’allestimento interno dell’abitazione nella cupola geodetica di Fuller predisposta da Roberto Mango. “ [...] La Decima Triennale di Zanuso e De Carli”, ricorda simpaticamente Roberto Mango, “mi trovò prontissimo ad una pro-

1 Un’industria attraverso le Triennali, in “Ottagono”, n. 1, aprile 1966, pp. 68-75. A fronte del testo, in un’immagine a tutta pagina, si vedono sotto il portico d’ingresso al Palazzo dell’Arte di Muzio il tavolo trasformabile T87 e i letti componibili L75. 2 Carlo De Carli, I mobili Tecno, in “Domus”, n. 303, febbraio 1955, pp. 41-45. 3 Agnoldomenico Pica (a cura di), Catalogo X Triennale Arti e tecniche oggi nel mondo, Milano 1954, pp. 27-28. 4 Ibidem. 5 Testo tratto da una lettera scritta l’8 ottobre 1990, da Roberto Mango a Giuliana Gramigna. Archivio Borsani, Varedo. 6 Agnoldomenico Pica, op. cit., pp. 91-92. 7 Agnoldomenico Pica, op. cit., p. 114. 8 Agnoldomenico Pica, op. cit., p. 419. 9 Roberto Mango, lettera. cit.

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Osvaldo Borsani L60 (dal 1957 circa denominata E60) Libreria pensile Progettazione e prima serie 1946 Produzione 1953

Fa parte della prima collezione di elementi scelti da Osvaldo Borsani per il “Padiglione per esposizione di mobili in serie” da lui progettato e realizzato alla X Triennale come specifico spazio espositivo della neonata Tecno. Ideata e prodotta nel 1946 per l’ABV (compare già in diverse pagine pubblicitarie dell’ABV pubblicate su “Domus” nei primi anni cinquanta), viene da molti considerata la prima libreria pensile con un sistema di guide fissate a parete. A partire da questo modello Borsani svilupperà pochi anni dopo il più articolato sistema di libreria-espositore E22 (1950), che di fatto manderà in pensione la L60. In seguito, anche per distinguerla dalla sigla dei letti, “L”, la libreria L60 sarà classificata storicamente come E60. L’oggetto compare nel primo catalogo Tecno del 1953, con il seguente commento: “Questa libreria è stata studiata per le più svariate destinazioni. Di linea elegante, di struttura semplicissima e leggera, di facile applicazione su qualsiasi parete, a elementi singoli o affiancati.

Dà la possibilità di sistemare anche grandi biblioteche in modo semplice ed economico. Si compone di due guide portanti in alluminio indurito ed anodizzato da fissare alla parete in quattro punti. Normalmente vengono fornite 3 mensole di 25 cm e una mensola di 30 cm spostabili in altezza lungo le guide metalliche; è possibile aggiungere altre mensole sino ad un massimo di otto. La libreria viene eseguita nei materiali indicati nel nostro listino e consegnata completamente smontata in imballo originale sigillato.” Nel successivo catalogo dopo la X Triennale, si legge anche che “le due guide metalliche sono in alluminio anodizzato oro” e “le mensole vengono eseguite: a) completamente in legno naturale compreso i supporti laterali. b) in legno naturale con supporti laterali in legno compensato rivestiti in materiale plastico. c) con piano in legno naturale e supporti laterali in materiale plastico stampato colore avorio. Sulle guide possono essere applicate altre parti come: cassetti, mobiletto a bar, ecc.”

Particolare laterale delle mensole agganciate alle guide metalliche verticali Disegno di sezione delle mensole agganciate alle guide verticali

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Versione della libreria E60 con contenitore richiudibile

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Osvaldo Borsani

La sedia S80 aperta nella sua funzione, e particolarmente compatta e sottile nella versione chiusa

S80 Sedia pieghevole Progetto 1949 Produzione 1953

Progettata e realizzata nei primi esemplari ancora come ABV, questa sedia è, per la scelta tipologica pieghevole e la chiarezza di segno, una delle dichiarazioni d’intenti più forti di Osvaldo Borsani verso la nascita di una nuova collezione che coniuga eleganza e tecnica. Si collega inoltre molto chiaramente al dibattito progettuale emerso alla mostra Rima del 1946, in pieno clima di ricostruzione postbellica, dove la quasi totalità dei progettisti coinvolti (I. Gardella, V. Magistretti,

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A. e P.G. Castiglioni, V. Latis, E. Gentili, C. De Carli e altri) si interessano all’idea di mobili pieghevoli, smontabili e scomponibili secondo l’assunto rogersiano “praticità, economicità e buon gusto”. Questa sedia viene presentata con tre foto su “Domus” (n. 303, febbraio 1955) nell’articolo I mobili Tecno scritto da Carlo De Carli per presentare i diversi elementi che arredano il “Padiglione per esposizione di mobili in serie” appositamente disegnato da Borsani e fatto

realizzare dalla neonata Tecno all’esterno della X Triennale. Nella didascalia si legge “seggiola pieghevole in olmo, con sedile in gomma piuma rivestita in materia plastica: accompagnata da una custodia plastica per riporla quando è smontata.”


Osvaldo Borsani T90 Tavolo scrittoio Progetto e produzione 1954

Disegno dello scrittoio T90 nella versione con sostegno a traliccio in legno di pero Documento di brevetto per modello d’utilità n. 58561, del 23 maggio 1956

Questa idea di scrittoio con il piano sagomato in compensato curvato con tre cassetti viene presentata alla X Triennale nel “Padiglione per esposizione di mobili in serie” in due versioni: una con la struttura di sostegno in legno e l’altra in metallo. La prima viene descritta nel catalogo della mostra come “scrittoio di legno di pero”, e nei disegni preparatori di Borsani per l’allestimento del padiglione compare come “tav. scrittoio 6 gambe pero”. Di questa versione sono interessanti i sostegni in legno di pero costruiti

come una sorta di leggero traliccio autoportante a pianta triangolare con tre montanti a sezione cilindrica. L’altra versione, che non viene indicata nel disegno preparatorio di Borsani, adotta come sostegno una minima struttura portante in ferro vetrificato, smontabile, con due soli montanti, arretrati rispetto al piano di lavoro, e saldati in basso a due razze d’appoggio a terra, di lunghezza e inclinazione diversa. Successivamente nel primo catalogo Tecno, dopo la X Triennale, rimarrà in produzione

la sola versione con struttura in ferro. Di fatto questo modello diventerà la base (incrociandosi con alcune caratteristiche del tavolo T43) della successiva serie di scrivanie direzionali (T93, T95, T96). Per la coerenza e sintesi formale, questo modello viene segnalato alla X Triennale con il Diploma d’onore insieme al divano D70. Nel 1955 viene depositato dalla Tecno Mobili e Forniture per Arredamento s.p.a. come modello ornamentale all’Ufficio Brevetti (rilascio 23/05/1956, n. 58561).

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Osvaldo Borsani T1, T2 Tavolini di servizio Progetto 1949-1950 Produzione 1991

I tavolini T1 e T2 vengono proposti come prodotti di serie nella collezione ABV curata da Valeria Borsani nel 1991. Questi due tavolini di servizio, disegnati da Osvaldo Borsani tra il 1949 e il 1950, spesso da lui utilizzati negli interni di quegli anni, ma mai entrati ufficialmente nei cataloghi Tecno, vengono riproposti nel 1991 come omaggio a Borsani (1911-1985) da poco scomparso. T1, alto 45 centimetri, ha una struttura in acciaio cromato, con il caratteristico pallino a mezz’asta, e in cima un piano color argento. T2, alto 62 centimetri, ha il piano laccato lucido nero, su una struttura in acciaio verniciato nero e base in metallo colore bianco.

Riedizione dei tavolini T1 e T2 per la Collezione ABV, 1991

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Immagine di repertorio di tavolini realizzati dalla Arredamenti Bersani Varedo su disegno di Osvaldo Borsani alla fine degli anni quaranta. In alto a sinistra si vedono i tavolini T1 e T2, dietro a un tavolino con supporto scultoreo del piano in cristallo su disegno di Lucio Fontana


Osvaldo Borsani L51 Letto con bracciolo di servizio Progetto e produzione 1951-1954

Sul nascere della Tecno Borsani sperimenta anche sul tema del letto le sue attenzioni per i concetti di mobilità, componibilità e trasformabilità. Il modello L51, rimasto praticamente un prototipo, presenta una struttura mista: massello di mogano per la cornice-telaio che contiene la rete molleggiata, tubi di ferro per i montanti e il braccio articolato, fogli di compensato curvato per la testiera. Particolarmente interessante appare la soluzione di piano di servizio mobile, in compensato curvato, fissato su un braccio con cerniere, a sua volta imperniato in una apposita sporgenza del telaio in mogano di sostegno della rete. Questo letto viene esposto alla X Triennale nel “Padiglione per esposizione di mobili in serie” finanziato dalla neonata Tecno, e pubblicato dalla rivista “Domus”, n. 303, febbraio 1955, nell’articolo di Carlo De Carli I mobili Tecno.

Struttura in tubi di ferro, piano in legno massello e alzate in compensato curvato del letto L51 Particolare del braccio di servizio mobile

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Osvaldo Borsani P71, D71 Poltrona e divano smontabili Produzione e progetto1954

La poltrona viene presentata per la prima volta alla X Triennale nel “Padiglione per esposizione di mobili in serie”, finanziato dalla neonata Tecno, e appositamente progettato da Osvaldo Borsani per presentare la prima collezione. Nel catalogo della mostra una breve descrizione la definisce “poltroncina di legno imbottita ricoperta di stoffa gialla”. Nel primo catalogo, 1955-1956, della collezione Tecno viene presentata anche la versione divano ed entrambi vengono così descritti nella scheda: “completamente imbottiti in gomma piuma, con intelaiatura in legno, con braccioli e piedini in legno modellato e lucidato. La copertura viene normalmente eseguita con tessuto di lana

antitarmica a vari colori. La completa smontabilità permette la spedizione in piccolo collo ed i vari pezzi possono essere con estrema facilità rimontati dallo stesso acquirente. Questa particolarità permette anche al rivenditore di consegnare il pezzo in perfetto ordine nell’imballo originale”. Caratteristica della poltrona P71 è la minima sezione tutta imbottita del volume seduta-schienale staccata da terra grazie a due elementi (piede e piede-bracciolo) sagomati in modo da ridurre al minimo la presenza della struttura portante. Per riduzione di materia e fluidità del segno, la P71 può definirsi l’evoluzione stilizzata del modello P30, presentato nel primo catalogo, il quale derivava

a sua volta da alcuni modelli disegnati da Borsani già alla fine degli anni trenta per arredamenti su misura. Anche la descrizione da catalogo (1953-1954) del modello P30 può essere utile per capirne le analogie: “In questa poltrona la sagoma del sedile e quella dello schienale sono state studiate in modo da consentire la distensione completa del corpo, con l’opportuna distribuzione della resistenza al peso nei vari punti. […] Il bracciale e la parte portante in legno lucidato riducono al minimo l’usura del tessuto di rivestimento”. Anche la P30 era imbottita in gommapiuma, smontabile e fornita in imballo sigillato.

Vista di tre quarti posteriore della poltrona P71

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Vista di tre quarti frontale del divano D71 Osvaldo Borsani, figurino con proiezioni ortogonali della poltrona P71 Pagina di appunti relativi al divano D71 dal “libro mastro� del reparto tappezzeria, fine degli anni cinquanta

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Osvaldo Borsani P/D 72A, P/D 72B, P72C Poltrone e divani smontabili Progetto 1954 Produzione 1955

Viste laterali e di tre quarti del divano D72A, versione “smontata compatta” e versione “smontata esplosa” della poltrona P72A

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Il tema principale di questi modelli è quello del fianco-bracciolo risolto con un foglio di compensato curvato. Anche in questo caso il riferimento alle sperimentazioni degli Eames sull’impiego dei compensati curvati è evidente. Si ricorda comunque che un modello di poltroncina smontabile con fianchi in compensato avio (piegato, ma non curvato) era già stata disegnata dall’amico di Osvaldo Carlo De Carli nel 1949 per la produzione Anelli e Saita. A ben vedere il modello 72 è anche l’evoluzione tecnologica del modello P71, del quale rimane la stessa sezione dell’elemento imbottito, mentre vengono sostituiti le gambe in legno modellate con una struttura in tubo di ferro e i braccioli sono riportati nei fianchi in compensato curvato. La serie d’imbottiti 72

si differenzia per i diversi trattamenti dei fianchi-braccioli: nella poltrona e nel divano 72A “i braccioli sono eseguiti in legno compensato curvato e nervato, imbottiti in gomma piuma e rivestiti con materiale plastico in colori diversi; nel solo caso della P72 B “i braccioli sono eseguiti in legno di compensato curvato e nervato, imbottiti in gomma piuma e rivestiti in tessuto di lana come il sedile e lo schienale”; la versione P/D72 C mostra i braccioli sempre in compensato nervato e curvato, ma lasciato a vista e placcato in vari legni. Anche in questo caso la completa smontabilità permette la spedizione in una scatola ridotta e sigillata, suggerendo che i vari pezzi possono essere con estrema facilità rimontati dallo stesso acquirente.


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Osvaldo Borsani D70 Divano ad ali mobili Progetto e produzione 1954

Il divano D70 sancisce in modo emblematico il nuovo corso della neonata Tecno. Il giunto meccanico è messo bene in vista, e questa scelta di Borsani esprime come fosse un manifesto progettuale la volontà di disegnare e produrre elementi d’arredo originali e autonomi nella forma, tecnologici e industriali nella produzione. Si racconta che l’idea di un divano con il piano della seduta e quello dello schienale mobili sia nata come risposta alla precisa domanda progettuale postagli da un cliente (nell’ambito dei lavori su misura dell’ABV) per l’arredo di una villa sul lago: il quale gli aveva chiesto di avere un divano che gli permettesse di godere comodamente della vista verso il lago, ma anche di poter essere utilizzato con la seduta rivolta verso la zona soggiorno. Purtroppo, nel vastissimo archivio dei progetti ABV, non conoscendo il nome del cliente e la data precisa della realizzazione, non si è ancora riusciti a ritrovare la cartella dei disegni di questo prototipo. Il D70 è presentato come “divano-letto brevettato, con gommapiuma ricoperto di stoffa verde” nella “Mostra del mobile singolo” (ordinata da F. Albini, F. Berlanda, L. Fratino, E. Freyrie, G. e N. Valle) alla X Triennale del 1954, dove viene premiato con la medaglia d’oro. È interessante l’ampia e appassionata descrizione utilizzata nei primi cataloghi commerciali: “Modello brevettato in tutti gli stati. Presentato alla X Triennale di Milano dove ha avuto un grande successo di critica e di pubblico. La sua struttura

Disegno di brevetto, Patent Office U.S.A., n. 2.771.124, 20 novembre 1956

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in telaio di ferro e nastri cord elastici, con schienale e sedile in gomma piuma, è non solamente bella per l’armonia della forma e della statica, ma estremamente comoda per l’adattabilità delle sue parti soffici alla persona. Una leva con dente di arresto che si inserisce ad una piatta graduata, agevolmente manovrabile per mezzo di una manopola, rende possibile qualsiasi inclinazione dello schienale rispetto al sedile fino a congiungerli e rovesciarne l’uso e la fronte, facendo sedile lo schienale, schienale il sedile, o a distenderli l’uno accanto all’altro così da farne un letto. La copertura che si indossa al divano come una veste chiudendola con una lampo può essere cambiata e permettere così di variare la nota di colore in un ambiente. Bello, comodo, assolutamente nuovo, sognare su questo divano è un incanto, dormire su questo letto è un sogno. La copertura viene normalmente confezionata con tessuto di lana antitarmica in nove colori. Può anche essere eseguita con altri tessuti a scelta dati dall’acquirente. La stessa può essere applicata e intercambiata con estrema facilità in modo da permettere l’eventuale lavatura e la sostituzione con altra di diverso tessuto e colore. La struttura portante è in ferro con finitura in ottone.” Il 14 settembre 1954 viene richiesto il brevetto industriale in Italia; il 10 gennaio 1955 viene fatta la domanda di brevetto industriale al Patent Office U.S.A. per un “Diwan with independently adjustable back and seat”, che viene accolta il 20 novembre 1956 con il n. 2.771.124.


Reparto tappezzeria in fabbrica a Varedo, dove vengono rivestiti i piani di seduta del divano D70 Sequenza d’immagini che mostrano le diverse disposizioni ottenibili con il movimento dei piani di seduta Disegno a matita con proiezioni ortogonali del divano D70, 1954

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Il divano D70 nella prima versione originale Bambini giocano a loro agio sull’adattabile divano D70

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Disegno riassuntivo, per la riedizione anni novanta, degli elementi che compongono la costruzione del divano D70 Particolare laterale della piastra graduata che regola il movimento dei piani di seduta. Ultima edizione attualmente in produzione

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Osvaldo Borsani

Vista del reparto tappezzeria in fabbrica a Varedo, mentre vengono rivestite le sedute e gli schienali della poltrona P40

P40

Disegno di brevetto per modello d’utilità, n. 58486, 16 maggio 1956

Poltrona a inclinazioni variabili

La poltrona P40 scomposta nei diversi pezzi che la compongono

Progetto e produzione 1956

Primi disegni tecnico-costruttivi della poltrona P40, 1956

Dopo il successo del divano D70 alla X Triennale del 1954, Borsani lavora sull’idea del giunto meccanico per realizzare una poltrona con diversi movimenti in grado di corrispondere a diverse posizioni, soprattutto a uso relax, come a voler sviluppare tecnologicamente le potenzialità di alcune note chaises longues proposte dai più celebri architetti del Movimento Moderno. In un servizio di due pagine su “Domus” (n. 331, 1957) che la presenta con il titolo Una nuova poltrona, si fa appunto presente che mentre “la ‘poltrona da riposo’ è di notevole ingombro e ha un uso solo, questa poltrona – disegnata da O. Borsani per la Tecno, e prodotta in serie – è una poltrona d’ingombro normale, che può assumere la posizione della poltrona da riposo, in tutta una serie di gradazioni, con un sistema molto agevole d’inclinazione.” La prima esposizione ufficiale avviene alla XI Triennale del 1957, nel settore “Rassegna di elementi singoli d’arredamento” all’interno della “Mostra internazionale

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dell’abitazione”. Nel catalogo della mostra viene descritta come “poltrona a sdraio composta da un piedistallo di metallo che sostiene il sedile e lo schienale imperniati in modo da consentire tutte le inclinazioni; un elemento ribaltabile sotto il sedile completa il piano di appoggio, oltre un appoggia-piedi sfilabile, di metallo; braccioli di acciaio e gomma, finiture d’ottone e ferro nero. Imbottitura di gomma piuma ‘Pirelli Sapsa’ ricoperta da tessuto di lana blu, supporti di nastro-cord elastico e molle spirali; disegno dell’arch. Osvaldo Borsani, esecuzione ‘Tecno’, Milano.” Nel primo catalogo commerciale del prodotto si trova un’interessante presentazione a firma del noto scrittore e giornalista Orio Vergani, che così la descrive: “La P40 è una poltrona veloce, essenziale, elementare come la prima addizione: uno più uno, due. Figlia della ‘sdraia’, ha corretto tutti i difetti di sua madre, della sua vecchia madre di tela e legno, di vimini o di giunco. Ha eliminato i vizi della solennità e della

presunzione delle sue antenate. Si piega in se stessa come un ventaglio. Accoglie con amabilità carezzevole l’Amica, e con comodità anche l’Amico più ingombrante. Può sparire per cancellare subito dalla casa il segno di una momentanea pigrizia. Offre la sua curva alla navigazione dei sogni, alle delizie e al ristoro del rilassamento. Per uno scrittore è la culla delle buone idee.” Nel primo catalogo si trova anche una più specifica descrizione tecnica, dove si apprende che “La struttura interna è realizzata in lamiera stampata con speciali nervature che ne rendono l’insieme di assoluta solidità ed indeformabilità unita ad una relativa leggerezza. Il comfort, oltre che dalla forma, è dato dalla imbottitura in gomma piuma, con supporti di nastro cord elastico e molle spirali. La copertura che si indossa alla poltrona come una veste, chiudendola con cerniere lampo, può essere sostituita e permettere così di variare, a piacimento, colori e tessuti.”

Sganciando uno dei braccioli e con un particolare innesto è possibile unire più poltrone a formare un divano. La P40 è stata brevettata in molti paesi del mondo sia per le sue caratteristiche tecnologicoindustriali, sia come modello d’utilità e ornamentale. In Italia sul modello d’utilità (n. 58486 del 16/05/1956) viene descritta come “Poltrona-divano a due elementi (sedile e schienale) ad inclinazione regolabile indipendentemente l’uno dall’altro, con braccioli deformabili elasticamente ed indeformabili” , mentre il modello ornamentale (n. 58545, del 16/05/1956) la descrive come “Poltrona presentante i piedini d’appoggio a ‘V’ rovesciata. Schienale curvo, braccioli arcuati e con prolungamento al sedile, per il sostegno delle gambe pressoché triangolare.” La P40, forse ancor più del D70, è divenuta il manifesto ideologico del programma Tecno voluto dai Borsani, ed è ancora oggi il pezzo più conosciuto e apprezzato presente nel catalogo Tecno.


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Foto d’epoca che descrivono le fasi di movimento e di rivestimento della poltrona P40

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Nei primi cataloghi una modella mostra la possibilità di acquistare diversi rivestimenti con cui “vestire” la poltrona P40

Due poltrone P40, una “vestita” e l’altra senza rivestimenti e imbottiture, dove si mostrano i nastri elastici che sostituiscono le molle

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Tre poltrone P40 collegate con apposito innesto laterale per formare divani con piani mobili La poltrona P40 nella prima versione, con il poggiatesta non ancora separato e allungabile rispetto allo schienale

Modella in atteggiamento informale seduta sulla poltrona P40 usata al contrario, con la seduta e il poggiapiedi interpretati come schienale e tavolino La poltrona P 40 nella versione, pressochĂŠ invariata, attualmente in produzione

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Osvaldo Borsani A57 Armadio componibile e smontabile Progetto 1956 Produzione 1957

Il modello A57 segue al primo armadio, A55, proposto nel catalogo Tecno nel 1953. Ma mentre l’A55 era ancora un armadio tradizionale, per quanto semplice e smontabile, l’A57 è il primo sistema componibile di contenitori estendibile e adattabile alle diverse altezze interne della casa. Come si legge nella presentazione da un catalogo commerciale della fine degli anni cinquanta: “Armadio componibile, completamente smontabile. Due sportelli, tre cassetti e quattro ripiani per ogni elemento, interno in mogano, esterno laccato opaco nei colori: bianco, avorio, grigio o in legno di olmo, mogano o teak. Cerniera invisibile brevettata, pomolo con serratura speciale inserita, supporti per cassetti e per ripiani in plastica con spine metalliche per lo spostamento ogni 5 cm, chiusura ad altezza variabile in relazione all’altezza dei locali.” L’armadio sarà successivamente attrezzato con letto semplice o doppio ribaltabile a scomparsa. Modello depositato e brevettato.

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Versione normale dell’armadio A57 e particolare della cerniera a scomparsa brevettata Combinazione dell’armadiatura a tutta altezza con diverse misure di ante e variazione di impiallacciature Elementi smontati e compattati per il trasporto dell’armadio A57


Letto a scomparsa inserito nel sistema di armadio componibile A57 L’armadio A57 a tutta altezza con i pannelli delle ante diversamente impiallacciati

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Osvaldo Borsani P35, P38, P39 Poltroncine casa e ufficio Progetto e produzione 1953, 1954, 1955-1956

Nel giro pochi anni Borsani fa evolvere tecnologicamente la tipologia della poltroncina, che da elemento di arredo domestico diventa un elemento sempre più dedicato al mondo dell’ufficio. I principi di forma e di postura rimangono pressoché invariati, ma i temi della leggerezza, della praticità e della mobilità prendono il sopravvento. Così le imbottiture dei braccioli della P35, già rivestita in tessuti plastici, nelle P38 e P39 diventano componenti applicate in materiale plastico stampato, e così le gambe in legno svitabili della P35 e ancora della P38, diventano nella P39 una struttura

portante girevole in ferro con quattro gambe fissate a un perno centrale. Anche il tema del bicolore (parte esterna rigida in materiale plastico e parte interna morbida in tessuto) dei modelli P38 e P39 accompagna l’evoluzione di questi modelli verso il modello P99, decisamente più aggiornato formalmente e tecnologicamente, ma sostanzialmente simile nella definizione tipologica. Nel 1955 viene depositato dalla Tecno Mobili e Forniture per Arredamento s.p.a. come modello ornamentale all’Ufficio Brevetti (rilascio 23/05/1955, n. 54415).

Dall’alto: quattro passaggi evolutivi della poltroncina P35; in basso al centro il modello P38, a destra la P39

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Osvaldo Borsani P99 a/b Poltroncina girevole Progetto e produzione 1957

Questa poltroncina è l’ultimo stadio evolutivo della trasformazione della poltroncina P35, ancora di fattura tradizionale proveniente dalla produzione ABV, che nelle continue messe a punto tecniche e formali dei modelli P38 e P39 si realizza, infine, come sintetico prodotto industriale in questo modello P99. La struttura metallica è smaltata nero opaco o nichelata. L’imbottitura è in gommapiuma, può avere coperture intercambiabili in tessuto, in “plastico elastico” (come nel catalogo dell’epoca veniva denominato il foglio vinilico finta-pelle), o in pelle. Viene realizzata in due modelli: con braccioli (mod. a), oppure senza braccioli (mod. b).

Vista laterale della poltroncina P99 mod. a e versione senza braccioli mod. b

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Osvaldo Borsani T44 Tavolino con struttura in ferro e piano in compensato formato Progetto e produzione 1957-1958

Si tratta di uno dei pezzi disegnati da Osvaldo Borsani più ispirati all’esempio di Charles Eames, in quegli anni certamente uno dei principali punti di riferimento per la nascita della Tecno. Sul catalogo (1955-1956), dopo la X Triennale, viene descritto come “tavolino rotondo con piano in compensato a forte spessore curvato, basamento in ferro vetrificato, smontabile. Viene eseguito in due misure: Ø 48 e Ø 58 e nelle varie altezze da 40 e 60 cm. Il piano viene finito nei vari legni, come da listino.”

Foto e disegno di studio del tavolino T44

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Osvaldo Borsani T47 Tavolini Progetto e produzione 1954-1955

Questi tavolini in due versioni, quadrata e rettangolare, ripropongono il tema del momento, il compensato pressato e curvato alla Eames, abbinato all’idea di un montaggio a secco delle gambe, realizzate in legno e avvitate. Il piano del tavolino quadrato più piccolo (70 x 70 cm) ha tutti e quattro i lati leggermente ricurvi, mentre il tavolino rettangolare (100 x 65 cm) ha ricurvi solo i lati più corti. Le gambe di legno lucidato nero presentano una caratteristica forma a fuso con l’asimmetrica rastremazione verso i due estremi. Interessante l’attacco sotto il piano, che si presenta con un raccordo-capitello apparentemente a “ventosa”. Il piano viene rifinito nei vari legni e generalmente si presenta con l’impiallacciatura in palissandro zebrano.

Disegno di studio del tavolino T47 Il tavolino T47 nella versione con il piano quadrato, in quella con il piano rettangolare con due soli lati ricurvi e il tavolino visto da sotto con gli attacchi dove si avvitano le gambe a fuso in evidenza

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Osvaldo Borsani T49 Tavolo scrittoio Progetto e produzione 1954

Si tratta della prima proposta Tecno per un tavolo d’ufficio direzionale. Anche in questo caso è interessante osservare che Borsani riprende alcune linee già studiate per una scrivania in legno su misura disegnata nei primi anni quaranta con l’ABV, stilizzata in questo modello con una secca e più “moderna” struttura in tubo di ferro. Viene presentato con la denominazione “scrittoio di mogano chiaro e metallo” alla X Triennale nel “Padiglione per esposizione di mobili in serie”, finanziato dalla neonata Tecno. Come per tutti i prodotti Tecno presentati nella prima collezione dopo la X Triennale, se ne sottolinea la facile smontabilità per la spedizione in apposite casse di dimensioni ridotte. Nel 1955 viene depositato dalla Tecno Mobili e Forniture per Arredamento s.p.a. come modello ornamentale all’Ufficio Brevetti (rilascio 23/05/1956, n. 58556) con la seguente descrizione: “Tavolo-scrittoio a piano rettangolare a gambe di appoggio formate ciascuna da due spezzate cilindriche divaricate verso l’esterno del tavolo.”

Viste di tre quarti frontale e dall’alto della scrivania T49, dove si nota l’effetto dinamico dato dalle spezzate divaricate della struttura metallica

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Osvaldo Borsani T43 Tavolo per soggiorno Progetto e produzione 1955-1956

Compare nel primo catalogo che riporta il nuovo marchio Tecno (1955-1956), con la descrizione “Tavolo rettangolare per soggiorno e pranzo, piano in legno satinato con basamento in ferro vetrificato nero, completamente smontabile, viene eseguito nelle varie qualità di legno, come da listino.” Per la sezione variabile del piano sembra riprendere alcune caratteristiche del tavolo T42 di De Carli, ma per la struttura portante metallica si mette molto più in relazione con lo scrittoio T90, dove però in questo caso i due montanti sono disposti al centro sull’interasse longitudinale. Di fatto questo modello diventerà

la base (incrociandosi con alcune caratteristiche dello scrittoio T90) della successiva serie di scrivanie direzionali (T93, T95, T96, T160) e soprattutto dei vari tavoli di riunione (T58). Nel 1955 viene depositato dalla Tecno Mobili e Forniture per Arredamento s.p.a. come modello ornamentale all’Ufficio Brevetti (rilascio 23/05/1956, n. 58554) con la seguente descrizione: “Tavolo a due colonne di sostegno del piano di appoggio cilindriche collegate inferiormente da una traversa longitudinale e munite di bracci disposti radialmente a ‘V’ raccordati all’estremità libera a guisa di piedini d’appoggio.”

Documento di brevetto del modello d’utilità e ornamentale del tavolo T43, n. 58554, 23 maggio 1956

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Osvaldo Borsani T93, T94, T95 Tavolo operativo, tavolo per dattilografia, tavolo direzionale Progetto e produzione 1954 (T93, T94), 1956 (T95)

La scrivania direzionale T95 con piano rettangolare, eseguita in noce o palissandro, è la gemmazione di un nuovo tipo di scrivania per dirigenti derivato dall’evoluzione della scrivania operativa T90. Può dirsi la fase matura di tale sviluppo e di fatto sancisce l’ingresso della Tecno nel settore del mobile per ufficio. La sua particolarità è quella delle cassettiere girevoli intercambiabili fissate con un giunto a cerniera sulle colonne metalliche del basamento, cromato o smaltato nero, del tavolo. In effetti, se la precedente scrivania operativa T93 non è altro che la T90 con un blocco cassetti fissato sotto il piano del tavolo in corrispondenza di uno dei sostegni a colonna metallici, l’importante passaggio evolutivo nella T95 è dovuto allo sganciarsi di questo blocco con la possibilità di muoversi come una lancetta d’orologio intorno alle colonne portanti. Lavorando ancora su questo modello Borsani metterà a punto, in occasione del grande lavoro per il palazzo ENI

a San Donato Milanese, l’innovativa, in termini tipologici e formali, scrivania T96 con il piano angolato a boomerang. Un significativo dettaglio della prima versione della T95 è l’appoggio a terra della cassettiera più lunga a sbalzo, che viene realizzato con una sottile piatta di metallo piegata a formare una “V” stretta. In seguito tale sostegno sarà realizzato sempre con la stessa piatta piegata, ma con la disposizione dei piani paralleli verticali, a formare una sorta di pilastrino vuoto. Nel successivo modello T96 questo dettaglio sarà sostituito da una colonnina metallica cilindrica. Questi modelli di scrivanie direzionali furono realizzati su misura in diversi materiali e dimensioni. A questa storia appartiene anche il piccolo tavolo T94, che nasce come complemento dedicato all’allora fondamentale funzione del servizio dattilografia, che implicava uno specifico lavoro di segreteria alla macchina per scrivere.

Disegno tecnico-costruttivo della scrivania T95 Serie di tavoli operativi T93

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Prima e seconda versione della scrivania T95

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Giampiero Bosoni

Etica ed estetica alle origini del design italiano Incontri: De Carli, Mango, Magistretti, Madini e Sala

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Roberto Mango, poltrona conica, 1954

Dalla sua fondazione, e per molto tempo, il rapporto della Tecno con i designer esterni è stato mantenuto in spazi molto circoscritti. Solo il caso di Eugenio Gerli, come vedremo, è riuscito a inquadrarsi con una certa coerenza dentro il metodo di lavoro istruito da Osvaldo Borsani in Tecno. In effetti, alla base di questa limitata apertura alle collaborazioni esterne troviamo innanzitutto la figura deus ex machina di Osvaldo Borsani, che nell’azienda è “l’architetto” per eccellenza, il progettista primus inter pares del grande progetto Tecno. Un ruolo che, va ricordato, aveva acquisito sul campo già dai primi anni trenta lavorando a fianco del padre nella Arredamenti Borsani Varedo. Questo metodo di lavoro, classicamente inteso come quello della bottega artistico-artigianale, si era trasferito in Tecno nella forma del gruppo di lavoro intero, una sorta di Ufficio Stile, come era diffuso d’altra parte anche nelle realtà industriali del Nord Europa o statunitensi, secondo un concetto moderno a cui guardavano i Borsani con la loro azienda. Questa scelta di Borsani non aveva come scopo la pura affermazione di un ruolo dirigistico e centrale; la questione di fondo era sostanzialmente quella di vedere il progetto come il risultato di un continuo confronto con la “cultura del fare” depositata nei laboratori dell’azienda: una sorta di scrigno di esperienze e “segreti” del buon costruire, che bisognava tutelare con una certa accortezza, per cui era necessaria una riservatezza che non poteva collimare con il viavai di designer ester-

ni. Tuttavia, agli inizi della Tecno, i Borsani sentivano che nel mondo del progetto moderno a cui loro volevano appartenere (quello delle Triennali, per intenderci), si stava muovendo intorno alla nascente cultura del design un gruppo di architetti e artisti molto interessanti, ad alcuni dei quali, peraltro, i Borsani erano già molto legati in qualità di esperti fornitori della loro arte di costruttori di arredi su misura. Diventò così, giocoforza, importante provare a tessere qualche intreccio per verificare se fosse possibile costruire un gruppo di progettisti affini al progetto Tecno. Non esistono documenti certi per ricostruire la storia di questi incontri, ma si possono immaginare alcuni possibili intrecci nell’ambito di quella cerchia, all’epoca assai circoscritta, di architetti, perlopiù milanesi, interessati a sperimentare nuove occasioni di progetto nel disegno del mobile orientato alla produzione in serie. Le Triennali sono state certamente il punto d’incrocio principale, ma anche le numerose frequentazioni derivate dalla lunga esperienza di fornitori di alta qualità nel settore degli arredamenti, insieme con quelle di Osvaldo, studente prima alla Scuola d’Arte di Brera e in seguito alla facoltà d’architettura al Politecnico, sono da ritenersi dei fili rossi importanti per ricostruire queste relazioni. L’incontro con Vico Magistretti Vico Magistretti aveva iniziato a farsi notare alla mostra “RIMA” del 1946, con le sue proposte di arredi smontabili, pieghevoli, componibili, eser73


cizi di “re-design” ante litteram, sempre ben equilibrati nelle linee e dai dettagli curati, che vengono pubblicati anche sulla rivista “Domus”. Vico era figlio di un noto architetto milanese, Piergiulio Magistretti; appena dopo la guerra era stato coinvolto agli inizi dell’avventura Azucena messa in piedi da Caccia Dominioni, Corradi Dell’Acqua e Gardella: ricordiamo che Caccia era anche un grande amico dei Borsani. Queste cose insieme possono spiegare un certo interesse di Borsani a incontrarsi progettualmente con Magistretti. Il contatto avviene intorno a una originale ipotesi di tavolo tondo allungabile, che viene realizzato come prototipo, ma alla fine, per alcuni problemi dimensionali, si decise di non portarlo alla produzione1. L’incontro con Carlo De Carli Compagno d’università di Osvaldo Borsani, De Carli si laurea in architettura nel 1934, e inizia a farsi conoscere nel 1940 collaborando con la VII Triennale, dove presenta insieme al socio Renato Angeli un’interessante proposta razionale e dinamica di “scrivania a due posti per il dirigente di un’industria tessile”. Una soluzione che non deve essere passata inosservata agli occhi di Borsani, tenendo anche conto che Giovanni Muzio, sulla base di questa proposta di De Carli-Angeli, aveva chiesto loro di progettare gli interni degli uffici direzionali del suo “Palazzo dei Giornali” (1942) a Milano. Una conferma dei numerosi intrecci che si creano tra Borsani e De Carli la si può leggere nell’Archivio Borsani-Tecno a Varedo, dove si trovano foto e disegni di alcune realizzazioni fatte dall’ABV su disegno di De Carli, come la libreria Mascheroni semplificata per la produzione in serie, in legno massello e compensato curvato, e un tavolo-scri74

vania presentati alla IX Triennale del 1951. Sicuramente queste esperienze e un certo comune intendere il rapporto tra disegno contemporaneo e qualità del lavoro artigianale suggeriranno l’opportunità di più incontri tra De Carli e la nascita della Tecno2. L’incontro con Roberto Mango Per quanto riguarda l’architetto Roberto Mango3, l’unico non milanese, bensì napoletano, dall’interessante esperienza internazionale, riguardo all’incontro con i Borsani e la Tecno vale la pena di leggere la sua diretta testimonianza. “Ho conosciuto Osvaldo Borsani nel ’54”, ricorda Mango, “un anno per me intenso e, per molti versi, stimolante. Dopo i tre trascorsi in America: Princeton, M.I.T., Boston, Gropius, Fuller. Poi New York: Nivola, Le Corbusier (abitavo nella sua monocamera nel Village), Giurgola e altri. Poi ancora, dirigendo la rivista ‘Interiors’: Eames, Nelson, Girard, Knoll e tanti altri. Lavoravo con Raymond Loewy e vivevo nel MoMA e nei musei di Manhattan. Molte esperienze sulla struttura generale del design e delle sue modalità all’interno della realtà industriale, da cui la ricerca tecnologica per la formulazione di fondate proposte sperimentali. [...] Questa breve premessa per farti capire come, da questo background, la Triennale, la Decima di Zanuso e De Carli, mi trovò prontissimo ad una promozione del disegno industriale nell’ambiente culturale e produttivo italiano. [...] Tornando ad Osvaldo, la nostra storia ha inizio con il ‘Concorso Nazionale per progetti di sedia e di tavolo ampliabile, bandito dalla Triennale con la Tecno s.a., scadenza 15 giugno 1954’. Mi parve subito un’occasione da non mancare, temi interessanti, una produzione sul nascere. Il


mio tavolo ampliabile4 fu scelto per la produzione; era un po’ macchinoso, mi divertii a proporlo come provocazione e come mio test personale tendente a mediare il sostrato dell’esperienza americana e la nuova produzione italiana. Incontrai Osvaldo, un uomo vivo e svelto, dalle soluzioni rapide e convincenti, direi, in questo senso, abbastanza americano. Ci capimmo subito rivedendo il tavolo e semplificandone il movimento. Incontrammo Carlo De Carli nel fervore della Triennale, tutto un po’ in fretta ma con molta grinta ed entusiasmo: parlammo molto della nuova Tecno. Carlo porta nelle discussioni un prezioso senso della sua misura; mi pareva convinto solo in parte e questo lo capivo ammirando i suoi eleganti disegni. Osvaldo voleva una produzione ‘nuova’ che, dalle precedenti esperienze della ‘Borsani’, affrontasse i problemi industriali per una serie di pezzi singoli, prototipi originali, ‘tecnicamente’ appropriati anche per funzioni particolari , funzioni ‘più’, assicurate da un buon uso della meccanica. [...] Dopo il lancio della Tecno nella XT (fu esposta in produzione anche la mia poltrona a cono versione legno), parve logico proseguire la mia collaborazione con lo stabilimento di Varedo per sperimentare nuovi sistemi, muovendo non da una forma, ma da una struttura meccanica da poter divenire forma. Lavorammo su una sediolina leggera (che poi di-

venne la S88), poi volli verificare alcuni giunti metallici da poter inserire nei laminati pressati come chiavi di alta precisione.”5 Va inoltre ricordato che Mango è l’ideatore, e insieme a Osvaldo Borsani l’estensore, del marchio “T” della Tecno6. L’incontro con Giorgio Madini Moretti ed Emilia Sala Madini e Sala ebbero l’opportunità di cimentarsi, neolaureati, in un progetto di sedia smontabile per la neonata Tecno. Questa occasione derivò probabilmente dalla dimostrata capacità di fare ricerche innovative su tipologia, forma e tecnologia, come era stato nel caso del giradischi “mobile”, Cucaracha, disegnato da Moretti, ancora studente nel 1954-1955, per la Musical di Milano. 1 Vedi la scheda “Vico Magistretti, Sending 1, tavolo ampliabile, 1951-1954”, p. 76. 2 Vedi le schede con Carlo De Carli designer, “S33, sedia smontabile, 1957”, p. 84; “P36 Balestra, poltrona con struttura metallica molleggiata, 1957”, p. 86. 3 Cfr. Ermanno Guida, Roberto Mango, progetti, realizzazioni, ricerche, Electa Napoli, Napoli 2006. 4 Vedi le schede di Roberto Mango “Poltrona conica e poltrona con due fogli di compensato, 1954”, p. 80; Tavolo ampliabile T48, 1954”, p. 79. 5 Testo tratto da una lettera scritta l’8 ottobre 1990, da Roberto Mango a Giuliana Gramigna. Archivio Borsani, Varedo. 6 Vedi il capitolo Comunicare con il progetto Tecno, p. 198. 7 Vedi la scheda “Giorgio Madini Moretti ed Emilia Sala, S29, sedia smontabile, 1957”, p. 78.

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Vico Magistretti Sending 1 Tavolo ampliabile Progettazione 1951 Prototipo 1953-1954

Nell’archivio Magistretti viene classificato alla data 1951 come inizio progettazione. Presentato come prodotto Tecno al primo Compasso d’oro del 1954, vi viene segnalato. È presentato nel giugno 1955 su “Domus”, n. 307, in una pagina con il titolo Tavolo ampliabile disegnato da Vico Magistretti, ma non compare alcun riferimento alla Tecno. “Questo tavolo”, si legge nel breve testo d’accompagnamento, “è stato studiato in modo da poter consentire l’aumento da quattro a sei ed a otto posti senza ricorrere agli allungamenti separati, ingombrati e poco pratici. L’ampliamento è stato risolto con due elementi ripiegabili secondo uno schema classico dei tavoli pieghevoli inglesi sette-ottocento. Qui però anche a tavolo chiuso le ali ripiegate non sono d’ingombro alcuno a chi siede.”

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Nel 1955 viene depositato dalla Tecno Mobili e Forniture per Arredamento s.p.a. come modello ornamentale all’Ufficio Brevetti (rilascio 20/06/1956, n. 58934) con la seguente descrizione: “Tavolo presentante il basamento a croce, colonna di sostegno del piano di appoggio a sezione quadrata con scanalature sui lati, piano di appoggio circolare a due elementi pressoché a quarto di luna articolati al detto piano per l’ampliamento dello stesso in forma oblunga.” Salvo qualche prototipo, il tavolo non arrivò mai alla produzione in serie, a causa della sua altezza che doveva essere prevista un po’ più alta dello standard, datosi la misura necessaria per il posizionamento in verticale dell’ala di prolunga quando non utilizzata. Non è mai comparso nei cataloghi commerciali Tecno.


Immagini del tavolo Sending 1 e relativi disegni schematici in pianta, che mostrano le diverse soluzioni di allungamento

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Giorgio Madini Moretti, Emilia Sala

Vista laterale della sedia S29, la stessa smontata e compattata per il trasporto

S29 Sedia smontabile Progetto e produzione 1957

Probabilmente dopo Cucaracha, l’apprezzato “mobiletto giradischi da soggiorno” con piano in compensato di faggio disegnato dal giovanissimo (non ancora laureato) Madini Moretti nel 1954-1955 per la Musical di Milano, i Borsani entrano in contatto con Madini e l’altrettanto giovane socia Emilia Sala, per una collaborazione intorno all’idea di una sedia pratica, smontabile ed economica. La sedia si compone di due fogli di compensato curvato

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che accolgono due cuscini piatti in gommapiuma rivestiti di stoffa; gambe e struttura di sostegno sono risolte con quattro tubi di ferro piegati a “C”, fissati ai piani per mezzo di viti e bulloni. Questo modello sarà utilizzato per la prima volta nell’allestimento della “Mostra internazionale di Architettura Moderna” progettata da E. Carboni, M. Grisotti e A. Pica, alla XI Triennale del 1957. Non compare nei cataloghi commerciali del periodo.


Roberto Mango T48 Tavolo ampliabile Progetto e produzione 1954

Si ritiene che si tratti del “progetto di tavolo ampliabile dell’arch. Mango, Napoli” scelto per essere eseguito secondo quanto stabilito dal bando del “Concorso nazionale per progetti di sedia e di tavolo ampliabile” (2 aprile 1954, scadenza 15 giugno 1954) organizzato dalla X Triennale, in collaborazione con la “Tecno S.A.” Il piano è in compensato rifinito in legno di paduca rosso; le

piastre di collegamento del basamento sono in ferro verniciato nero; le gambe in legno nero. Nel 1955 viene depositato dalla Tecno Mobili e Forniture per Arredamento s.p.a. come modello ornamentale all’Ufficio Brevetti (rilascio 23/05/1956, n. 58562) con la seguente descrizione: “Tavolo a piano di appoggio ampliabile scorrevole

e ripiegabile, sostenuto da gambe a profilo rastremato verso il basso e disposte divaricate.” Questo tavolo fu utilizzato nell’allestimento curato da Roberto Mango per l’“Abitazione a cupola geodetica Füller (U.S.A.)” della partecipazione statunitense alla X Triennale 1954.

Il tavolo T48 nelle posizioni normale e allungata

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Roberto Mango Poltrona conica e poltrona con due fogli di compensato Progetto e prototipi 1954

La poltrona conica con la seduta in tre fogli di compensato curvato su struttura in tondino metallico

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Si ritiene che si tratti dei “due progetti di sedia dell’arch. Mango, Napoli” scelti per essere eseguiti secondo quanto stabilito dal bando del “Concorso nazionale per progetti di sedia e di tavolo ampliabile” (2 aprile 1954, scadenza 15 giugno 1954) organizzato dalla X Triennale, in collaborazione con la “Tecno S.A.” Una poltroncina si presenta con la seduta caratterizzata da un invaso conico costituito da tre spicchi triangolari di compensato curvato giuntati fra loro da tre “bottoni” metallici, poggiante su una struttura a tre gambe in tondino di ferro verniciato nero. Di questo modello è stata realizzata anche

una versione con la struttura portante in legno, dove le gambe sono a sezione cilindrica e collegate da traverse. L’altra poltroncina utilizza sempre una struttura a tre gambe in tondino di ferro verniciato nero, ma la seduta è costituita da due fogli a semicerchio di compensato curvato fissati alla struttura per mezzo di graffe metalliche che li mantengono anche fisicamente separati. Queste sedute furono utilizzate nell’allestimento curato da Roberto Mango per l’“Abitazione a cupola geodetica Fuller (U.S.A.)” della partecipazione statunitense alla X Triennale 1954.


Vista dall’alto della poltrona conica La poltrona conica nelle versioni con struttura di sostegno in tondino metallico e in una versione sperimentale in legno Prototipo di poltrona con seduta costituita da due fogli di compensato

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Carlo De Carli T42 Tavolo poligonale Progetto 1950 Produzione 1954

Il tavolo presenta una soluzione molto interessante per la costruzione strutturale, di conseguenza anche formale, del piano in compensato multistrato. Sul primo catalogo Tecno (1955-1956), dopo la X Triennale, viene descritto come “tavolo da pranzo a forma poligonale in compensati pressati e modellati,

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gambe in legno lucidato nero avvitate al piano del tavolo. Lo stesso viene eseguito nei vari legni come da listino per la parte del piano d’appoggio.” Nell’articolo I mobili Tecno scritto da De Carli, su “Domus” (n. 303, febbraio 1955), viene presentato un modello con piano di paduca rosso e gambe nere in mogano avvitate.

Il tavolo T42, visto da sotto, mostra il disegno ottenuto dalla lavorazione del compensato multistrato sfaccettato con quattro piramidi ribassate per formare i punti di attacco delle gambe Carlo De Carli, disegni preparatori del tavolo T42, 1950


Vista laterale e dall’alto del tavolo T42, dalla caratteristica forma poligonale sul perimetro, ma anche sotto il piano

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Carlo De Carli S33 Sedia smontabile Progetto originale 1946-1947 Progetto e produzione Tecno 1956-1957

Carlo De Carli, disegno tecnico di studio 1:1 della sedia S33. Sul disegno De Carli annota la storia di questo progetto sino alla realizzazione insieme a Borsani per la Tecno La sedia S33 fotografata smontata in tutti i suoi vari pezzi

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Sedia smontabile con struttura portante in pressofusione di alluminio, piani in compensato formato, traversa in tubo di ferro, realizzata come prototipo dall’artigiano Gino Anelli, per la mostra “Forme e colori per la casa d’oggi” (Como, villa Olmo, 1956). Nel 1957 viene presentata come “sedia a struttura metallica, sedile e schienale di legno compensato di paduka curvato; disegno dell’arch. Carlo De Carli, esecuzione ‘Tecno’, Milano”, nella sezione “Catalogo-rassegna di elementi singoli d’arredamento” della “Mostra internazionale dell’abitazione” alla XI Triennale di Milano. Un modello di sedia molto simile Carlo De Carli l’aveva già disegnato nel 1946-1947 e realizzato un prototipo con gli artigiani Anelli, Saita e Scarpini. Carlo De Carli spiega questo percorso progettuale in una veloce e spiritosa nota a margine (probabilmente fatta

successivamente come promemoria storico) di un disegno 1:1 per lo studio del fianco della sedia: “1 Le annotazioni, così come stanno, vengono ancora da mie riflessioni sul primo prototipo, di cui inviai i disegni in America a Cicago (scritto dall’italiano, io, che non volava [qui compare il disegno di un rigo musicale con note come per dire che si tratta dei versi di una canzone, n.d.a.] non voleva emigrar) e richiesto da Girard organizzatore americano. Il prototipo era stato fatto dal bravissimo Gino Anelli, morto, come capita, il quale mi fece il negozio FRANZI. 2 Primi studi della Poltrona ‘immaginata’ da C. De Carli e ridisegnata da C. De Carli con Osvaldo Borsani: firmato da Carlo De Carli”. Sulla tavola compare in basso a destra la data ‘57, che non si capisce se corrisponde alla nota scritta, o alla stesura del disegno stesso.


Due viste della sedia smontabile S33 disegnata da Carlo De Carli

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Carlo De Carli P36 (denominata Balestra) Poltrona con struttura metallica molleggiata Progetto e produzione 1957

Nella sue prime apparizioni sui cataloghi Tecno, a cavallo tra la fine degli anni cinquanta e primi sessanta, si legge che “questa poltrona sfrutta l’elasticità della struttura metallica per molleggiare il sedile e lo schienale. L’imbottitura è in gommapiuma, la ricopertura può essere in tessuto plastico elastico o in pelle”. La sua forma curvilinea è una novità nella collezione Tecno, ma si giustifica con la sua idea di struttura smontabile, composta di fasce in metallo che lavorano come una “balestra” in tensione. Dal punto di vista formale si tratta di una ricerca più nelle corde di Carlo De Carli, che nello stesso anno disegna una poltroncina in massello di frassino curvato, con

linee costruttive analoghe alla P36, in occasione della seconda “Mostra selettiva del mobile di Cantù”. Lo studio di queste strutture fluide coincide storicamente con la breve stagione di tendenza detta del “neoliberty”, espressa in quel periodo da un gruppo di giovani redattori della rivista “Casabella” molto coinvolti dal dibattito aperto dal direttore Ernesto N. Rogers sul tema “progetto e memoriapreesistenza”. Ma De Carli, pur riconoscendo il suo interesse per l’art nouveau, si dichiarò contrario a quella tendenza critico-culturale sostenendo: “Niente ‘neo’; il Liberty è il Liberty, noi siamo noi.” Nel 1960 la P36 riceve il Gran premio alla XII Triennale di Milano.

Viste laterali e di tre quarti della poltrona P36, detta Balestra

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La riedizione del 1991 per la Collezione Disegno

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Giampiero Bosoni

Il pensiero progettuale di Osvaldo Borsani L’evoluzione del design Tecno sino alla fine degli anni sessanta


Osvaldo Borsani, poltrona P32, 1956 Osvaldo Borsani, movimento del tavolo T41, 1958

“Considerando il sistema di collaborazione per la creazione dei modelli nelle moderne industrie di mobili, si constata spesso il formarsi ed il generalizzarsi di ‘équipes’ di architetti a fianco degli organismi tecnici. Non è questo il caso della Tecno, dove Osvaldo Borsani riunisce in sé la fase progettistica e realizzativa, l’attività di ricerca e di organizzazione dell’industria: una eccezione questa che ci conferma come siano molte e complesse le vie attraverso le quali è possibile raggiungere una forza ed una unità nella produzione.” Così si concludeva l’articolo d’apertura del servizio1 di sei pagine dedicato al caso “Tecno”, all’interno di un ciclo intitolato “Il mobile in serie”, pubblicato nel 1958 sulla rivista di riferimento per la cultura del design italiano di quegli anni, la puntuale e raffinata “Stile Industria” diretta da Alberto Rosselli. Nello stesso articolo è anche riportato tra virgolette il pensiero di Borsani riguardo alla sua concezione del design del mobile, chiaramente espressa anche con l’occhio dell’imprenditore: “Approfittando delle collaborazioni, degli studi e delle scoperte ultime, la Tecno tende a seguire una linea precisa che unisca la ricerca funzionale alla ricerca estetica, che usi le materie più adatte vecchie e nuove, ottenendone le migliori prestazioni e che offra al mercato degli oggetti belli senza sforzo apparente, utili senza riserve, sani e durevoli. Tutto questo richiede uno studio accurato e paziente del prototipo, per avere una produzione costante, equilibrata, intercambiabile; oc-

corre eliminare quei modelli, che alla prova del collaudo dimostrano di non avere in sé, forma a parte, una funzionalità precisa e non danno quindi garanzie per una produzione di serie. È necessario insomma che il prodotto contenga un’idea e risponda a un bisogno.” Anche l’editoriale di quel numero di “Stile Industria”, scritto dal direttore Rosselli e intitolato I limiti del disegno industriale, richiama, senza citarla direttamente, l’importanza del percorso tracciato dalla Tecno: “[...] In questo numero è il mobile di serie che interviene come argomento nuovo per ‘Stile Industria’. La categoria a cui appartiene l’industria del mobile per le sue origini artigianali viene spesso esclusa dal fenomeno dell’industrial design, aspetto più recente di disegno per la produzione industriale. In realtà negli ultimi dieci anni questa stessa categoria ha subito in molti casi un’evoluzione che ci è parso utile documentare iniziando un’analisi che si ricollega alle manifestazioni più ortodosse del disegno industriale. È falso d’altra parte pensare al disegno industriale in funzione solo di alcune categorie, credere che questa attività creativa si aggiunga a quelle tradizionali senza essere profondamente collegata ad essa. [...]”. Questo percorso, dalla tradizione artigianale alla produzione industriale, accompagnato da una consapevole evoluzione del progetto in una visione contemporanea, è il filo rosso su cui costruisce la propria esperienza di designer e insieme imprenditore Osvaldo Borsani. 89


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Provini fotografici di una sequenza che ritrae Osvaldo Borsani seduto sul divano D70 mentre muove il meccanismo della sedia S88, fine degli anni cinquanta

Il citato binomio, “idea originale” e “risposta al bisogno”, sono parti dello stesso discorso che Borsani imprenditore tratta con molto rispetto e consapevolezza, ma questo s’incrocia anche con la sensibilità di Borsani progettista, il quale, pur nella sua concretezza, sente il bisogno come architetto-designer di ricercare un’idea innovativa delle forme d’uso e delle forme narrative dell’oggetto per la casa, in grado di suggerire nuove dimensioni dell’abitare che vadano oltre i bisogni generalmente acquisiti. Borsani è uno di quegli architetti-designer italiani che a partire dai primi anni cinquanta porranno le basi di quella via italiana del design che ha fatto scuola nel mondo, fondando la propria ricerca su un carattere che percepisce in anticipo quanto ha scritto Giulio Carlo Argan proprio introducendo i progetti fatti dagli artisti coinvolti dalla Tecno: “La tipologia e l’iconologia dell’arredo non esistono più, i mobili si modellano sull’animata realtà fisica e psichica, intellettuale e sociale di chi ci sta.”2 Un’altra rara testimonianza diretta di Osvaldo Borsani progettista ci ripropone questo suo particolare punto di vista riflettendo sul valore della parola “design”: “Quando noi usavamo il vocabolo ‘design’”, dichiarerà Borsani nel 1973, “lo facevamo con rispetto profondo, perché si nominava un nuovo modo di pensare e di costruire: era una parola che

usavamo solo noi, gli addetti ai lavori, mentre tentavamo, muovendoci in un contesto sordo e difficile, di spiegare, introdurre, divulgare i metodi della progettazione applicata all’industria. Oggi non utilizziamo più questo vocabolo, talmente è volgarizzato, talmente è usato a proposito e a sproposito, che siamo in sospetto. Noi non siamo fatti per lavorare nel capito e nell’acquisito, cerchiamo nuovi modi, e perciò per nominare nuove cose occorrono nuovi vocaboli.”3 In questo quadro, che ricostruisce il profilo culturale e ideologico del senso progettuale di Osvaldo Borsani, si comprendono meglio le diverse ricerche che incrociano segni ortogonali con morbide curve e raffinate smussature, materiali preziosi della tradizione artigianale integrati con concrete parti meccaniche, quasi esaltate nella loro pura forma tecnica, il buon senso delle corrette proporzioni coniugato all’indefinibile misura della fluidità del movimento e dell’“animata realtà fisica e psichica, intellettuale e sociale” di chi usa e fa proprio l’oggetto dell’abitare. Il mobile di serie: Tecno - Italia, in “Stile Industria”, n. 16, Editoriale Domus, aprile 1958. 2 Giulio Carlo Argan, Prefazione, in Collezione ABV, edizioni Tecno, Varedo 1991. 3 Dal testo L’impegno di una tecnologia responsabile, compreso nel servizio Tecno - espressione di cultura tecnologica, in “Ottagono”, n. 30, settembre 1973. 1

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Osvaldo Borsani E22 Sistema coordinato di elementi componibili per librerie e armadiature Progetto e produzione 1957 ampliato sino agli anni settanta

Dall’incrocio delle possibilità offerte e ricercate dalla libreria componibile su guide metalliche L60 (poi E60) e dal sistema di armadiature componibili A57, prende avvio il sistema E22, che avrà un continuo sviluppo negli anni. Un programma che viene ben espresso in un catalogo del primo periodo, dove si presentano insieme l’A57 e l’E22 e si legge: “La casa: un mondo ordinato, confortevole, con una disposizione sempre suscettibile di modifiche e adatta ad essere trasformata con facilità. Dentro la casa l’intimità è creata dal gusto di ognuno. Un

mobile vivo che si crea con la sua funzione: questa è la premessa del ‘sistema Tecno’ per la casa.” Proposto come sistema coordinato adatto per arredare sia la casa sia l’ufficio, si compone di elementi (mensole, mobiletti e tavoli) combinabili in differenti soluzioni eseguite in noce o palissandro, che si applicano mediante scorrevoli su apposite guide di alluminio naturale, anodizzato, nero o bronzo opportunamente profilate. Le guide possono essere applicate alla parete oppure su montanti verticali con pressori da terra a soffitto offrendo

una soluzione alternativa per la divisione provvisoria di ambienti. Si può creare una parete di fondo inserendo, tra guida e guida, pannelli in legno di noce, di palissandro oppure laccati, o ancora rivestiti in stoffa. Negli anni il sistema è stato integrato con diversi elementi, in particolare si è sviluppato il tema di vetrine componibili che nel tempo ha dato vita a un’autonoma serie, “VE/Polifilo” (primi anni settanta), composta di contenitori accostabili e sovrapponibili in legno, con profili in alluminio e antine in vetro.

Disegno tecnico-costruttivo del montante del sistema E22 Vista della sezione laterale della libreria E22 montata a libera installazione

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Versione a parete del sistema E22 con mensole e contenitori chiusi con ante piene e vetrate, intorno alla fine degli anni cinquanta Alcuni schemi delle infinite varianti compositive del sistema E22

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Osvaldo Borsani T46 Tavolo quadrato ingrandibile Progetto e produzione 1956

Tavolo da pranzo quadrato, ingrandibile con movimento rotatorio del piano sul perno. La struttura metallica è verniciata di nero.

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Raffigurazione del movimento del piano del tavolo T46 per il suo raddoppiamento


Il tavolo T46 visto da sotto e in tre fasi dello sviluppo dimensionale del piano

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Osvaldo Borsani P32, D32 Poltrona girevole molleggiata e divano Progetto e produzione1956

Rispetto ai modelli innovativi proposti in quegli anni per la tipologia poltrona-divano, con fusti in metallo, nastri elastici e gommapiuma, la P32 presenta una particolare novità nella combinazione di movimenti della seduta. Nei cataloghi viene presentata come “poltrona girevole, con ritorno automatico, struttura in metallo, schienale e molleggiatura regolabile, imbottitura in gommapiuma, copertura intercambiabile in vasta gamma di colori.” Nelle pubblicità si evidenzia che “la libertà di movimento rotatorio la rende adatta per conversazione, riposo e televisione”, inoltre è “adatta per ufficio e per abitazione. Il ritorno automatico della poltrona alla posizione voluta serve per mantenere in ordine un ambiente appena le persone sedute si sono alzate.”

In una pagina di presentazione su “Domus” (Nuova poltrona per la serie, n. 342, maggio 1958) si apprende che la P32 ha una “struttura in ferro verniciato nero opaco, girevole su un perno centrale, lo schienale ha la molleggiatura regolabile. [...] La copertura è applicata con fodere intercambiabili chiuse da cerniere lampo.” Dall’elegante forma ben proporzionata, sostenuta da leggere gambe in tondino metallico, deriverà anche il più statico divano D32. Nel 1958 la Tecno S.p.A. presenta la domanda di modello d’utilità e ornamentale per una “poltrona girevole, con schienale a inclinazione regolabile a molla imperniato sul davanti”, che viene rilasciata il 5 gennaio 1959 con il n. 70941.

Vista frontale del divano D32 Documento del brevetto per modello d’utilità della poltrona P32, n. 70941, 5 gennaio 1959

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Sequenza di scatti fotografici da utilizzarsi per una pagina pubblicitaria: una modella seduta sulla poltrona P32, fine degli anni cinquanta In basso a destra, l’immagine evidenzia il movimento rotatorio con ritorno della poltrona P32. Parti smontate della poltrona P32 senza imbottiture e con le fasce elastiche a vista

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Osvaldo Borsani

Elementi smontati del tavolino T61a con piano quadrato in marmo bianco

T61 a/b/c/d/e; T62

Vista d’insieme dei tavolini T61 a, b, c, e

Serie di tavolini e comodino Progetto e produzione 1957

L’essenzialità delle forme corrispondente alla chiarezza del sistema costruttivo fanno di questa serie di tavolini una delle sintesi più alte della ricerca di Borsani per un’eleganza del prodotto industriale nel disegno del mobile moderno. Le gambe in sottili bande di lamiera piegata e rastremata (con la punta piegata come appoggio) si fissano meccanicamente a un telaio metallico sul quale poggiano i piani con diverse forme e materiali. Un dettaglio importante è che in corrispondenza dell’angolo rientrante della sezione in lamiera della gambe,

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si disegnano sugli angoli dei piani ortogonali, un ritaglio come nella soluzione costruttiva detta “quarto buono”. Anche nei tavolini tondi si hanno lungo il bordo questi ritagli. Le diverse tipologie si distinguono nei modelli: a. con piano quadrato. Eseguito in legno, laminato plastico nero o marmo; b. con piano rettangolare. Eseguito in legno o marmo; c. con piano rotondo. Eseguito in legno o marmo; d. con piano rotondo e tre cassetti. Eseguito in legno o marmo; e. serie di tre tavolini sovrapponibili con piano rotondo in legno. Da questa idea nasce anche il comodino T62.


Il tavolino basso T61d con piano rotondo in marmo e tre cassetti

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Osvaldo Borsani T41 Tavolo regolabile in altezza Progetto 1957 Produzione 1958

Tavolo con basamento metallico a colonna centrale, verniciato color nero, e quattro razze d’appoggio a terra. È stata realizzata anche una versione con cinque razze d’appoggio. Il piano rotondo in legno veniva proposto in tre varianti di diametro, 105, 110 e 120 centimetri. Grazie a un meccanismo nascosto si poteva regolare l’altezza del piano da 52 a 76 centimetri. Per alzare o abbassare il piano è sufficiente agire sulla leva sottostante.

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Esisteva anche una versione del T41 fisso, uguale, ma senza possibilità di variazione dell’altezza. Il sistema di montaggio molto semplice del tavolo ne consentiva la vendita smontato e imballato. Interessante la composizione a turbina del disegno delle impiallacciature sul piano, generato da un piccolo disco di legno nero intarsiato al centro. Nel 1957 viene depositato come modello d’utilità e ornamentale all’Ufficio Brevetti (rilascio 20 marzo 1958, n. 71435).

Disegno tecnico-costruttivo della sezione che mostra il meccanismo che consente di regolare in altezza il tavolo T41, 1957 Documento di brevetto del modello d’utilità e ornamentale per il tavolo T41, n. 71435, 20 marzo1958 Due viste zenitali del tavolo T41, dove si nota il disegno dell’impiallacciatura del piano, che mostra un disco nero intarsiato al centro e quattro fogli triangolari tangenti al dischetto centrale


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Osvaldo Borsani T91 Tavolino con giradischi incorporato Progetto e produzione 1957

Vista dall’alto e disegno con proiezioni ortogonali del tavolino con giradischi T91 Brevetto di modello d’utilità del tavolino con giradischi T91, n. 66031, 13 gennaio 1958

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Con la descrizione di “Tavolino con giradischi incorporato ricoperto da un cristallo mobile trasparente”, nel 1957 viene depositato come modello ornamentale dalla Tecno S.p.A. all’Ufficio Brevetti (rilascio 13/01/1958, n. 66031). L’idea di inserire con semplicità ed eleganza la tecnologia più avanzata nello spazio domestico trova in questo progetto un’esperienza emblematica, per quanto destinata a rimanere solo un prototipo. Un modello con il piano ovale in mogano e un’apertura circolare chiusa da vetro scorrevole con un giradischi e due altoparlanti all’interno viene esposto nell’“Alloggio Italiano” allestito da M. Comolli, E. Gellner, A. Magnani, G.C. Malchiodi, R. Mango, M. Terzaghi, all’XI Triennale del 1957.


Osvaldo Borsani LT8 Apparecchio d’illuminazione a luce diffusa Progetto e produzione 1954

Presente nell’arredamento scelto da Osvaldo Borsani per il “Padiglione per esposizione di mobili in serie” da lui progettato e realizzato alla X Triennale del 1954 come specifico spazio espositivo della neonata Tecno. Il modello, in quegli anni molto innovativo nell’ambito italiano, è probabilmente ispirato alla lampada a luce diffusa su montante verticale a tutt’altezza, disegnata da Gilbert Rohde nei primi anni quaranta, e pubblicato sul libro L’illuminazione della casa curato da Luigi Claudio Clerici per l’Editoriale Domus nel 1946. Il tipo di apparecchio disegnato da Borsani utilizza un tubo al neon, per cui dispone di un evidente trasformatore sulla parte inferiore. Nel 1957 il disegno di questo apparecchio d’illuminazione viene depositato dalla Tecno S.p.A. come modello ornamentale e d’utilità all’Ufficio Brevetti (rilascio 11/09/1957, n. 64737) con la seguente descrizione “Dispositivo d’illuminazione a tubi fluorescenti su supporto-diffusore orientabile intorno ad un asse longitudinale. Osvaldo Borsani”. Diverse viste della lampada LT8 e schizzo di Osvaldo Borsani che mostra il sistema di montaggio Dal documento di brevetto, particolare della lampada LT8 in prossimità del punto d’appoggio

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Osvaldo Borsani S88 Sedia pieghevole Progetto 1956 Produzione 1957

Sedia completamente pieghevole con struttura metallica in colore nero opaco. Tutte le parti ruotano intorno a un unico giunto-cerniera. Sedile e schienale sono in compensato curvato nobilitato in noce, palissandro, teak, e a richiesta possono essere forniti di ricoperture in tessuto. Osvaldo Borsani, sempre attento alle mutate esigenze dell’abitare moderno, dove il tema del pieghevole era uno più ripresi dalle nuove generazioni di progettisti presenti alla

Vista laterale della sedia pieghevole S88 e nella soluzione completamente ripiegata Pagina pubblicitaria Tecno dedicata alla sedia S88, fine anni degli anni cinquanta

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mostra “RIMA” (1946) e alle Triennali del dopoguerra, offre una sua sintetica proposta con questa sedia che, piegata, occupa un minimo spazio. Viene presentata, insieme alla poltrona P40 e al letto L77 (quasi a formare un manifesto della sua idea di eleganza meccanica), alla XI Triennale di Milano del 1957 nella sezione “Catalogo-rassegna di elementi singoli d’arredo” della “Mostra internazionale dell’abitazione.”


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Osvaldo Borsani C7 Carrello portavivande Progetto e produzione 1960

Si tratta dell’unico elemento d’arredo disegnato da Borsani dove non vengono utilizzati materiali di qualità e tradizione artigianale, come il legno o il tessuto. Il tavolino di servizio viene interpretato in questo caso con una semplicità quasi brutalista, ma al contempo leggera e amichevole. L’utilizzo della struttura in filo metallico con rotelle, verniciata nero opaco, e i piani in lamiera piegata, verniciata in vari colori, suggeriscono gli evidenti riferimenti in quegli anni ai pratici e industriali modelli di alcune aziende svizzere e olandesi oltre a quello fondamentale degli Eames in America.

Viste del carrello portavivande C7

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Osvaldo Borsani AT15 Appendiabiti a pannello girevole Progetto e produzione 1961

Questo appendiabiti è costituito da un pannello girevole rivestito, sia all’interno sia all’esterno, in panno. È fissato al muro mediante supporti, con funzione di cerniera, in metallo verniciato nero. L’idea di una parete mobile che fa come scomparire, in una sorta di intercapedine, gli abiti appesi, e si mostra con un pannello astratto che rimane sospeso per aria, ci presenta un Borsani interessato a una visione innovativa degli spazi domestici sempre più aperti, dinamici e reversibili.

Ambientazione dell’appendiabiti AT15 utilizzato e sequenza di immagini che mostrano le due facciate del pannello mobile e la vista di lato della grande cerniera che lo tiene staccato dal muro

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Osvaldo Borsani AT16 Appendiabiti con palo centrale Progetto e produzione 1961

Viste dell’appendiabiti AT16 ambientato. Si distinguono le diverse essenze di legno degli elementi sferici a cui appendere, e le diverse colorazioni della parte centrale del palo di sostegno

Si tratta di un appendiabiti girevole a piantana centrale: lo stelo ha una struttura in alluminio verniciato e una porzione centrale rivestita in materiale plastico o in cuoio, gli appoggi sferici sono in diverse essenze di legno, l’altezza è regolabile da 290 a 320 centimetri, ciò che rende adattabile questo oggetto a diverse tipologie di appartamento. Dell’appendiabiti sono state realizzate alcune versioni speciali da inserire in alcuni spazi per la collettività come uffici o ristoranti. Alcuni disegni ci raccontano anche di uno studio preliminare per una versione con gli appoggi reclinabili.

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Osvaldo Borsani P24 e T67 Poltrona e sistema componibile Progetto e produzione 1961

Poltrona con struttura metallica a cuscini mobili, al sedile e allo schienale. Borsani la pensa per la possibilità di svariatissime composizioni per numero di posti a sedere mediante l’accostamento e il bloccaggio di due o più elementi, in modo dai formare divani normali o angolati. Uno speciale tavolo, T67, può essere inserito fra i vari elementi per avere in tal modo un piano

di appoggio intermedio o nell’angolo. I braccioli relativi, da avvitare ai singoli elementi o agli estremi di questi accostati, sono rifiniti con la parte modellata in legno di teak o palissandro. La parte metallica è verniciata a fuoco in colore grigio scuro o bronzo e le fodere dei cuscini sono facilmente intercambiabili in una vasta gamma di tessuti e colori.

Composizione di poltrone P24 con diversi colori del rivestimento, in una soluzione ad angolo intorno al tavolino T67 Copertina della scheda originale di presentazione della poltrona P24, dove si mostra il suo profilo e le sagome dei braccioli in legno modellati

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Dal catalogo originale della poltrona P24, le diverse soluzioni che venivano proposte per le possibili combinazioni con il tavolino di servizio T67 Vista laterale della poltrona P24 e del tavolino T67

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Osvaldo Borsani SE 1-2-3 Mobili accostabili Progetto e produzione 1962

Serie di mobili accostabili studiati per la casa e per l’ufficio. Mediante le possibili combinazioni di elementi a cassetti (SE1), a sportelli (SE2) o ad antine scorrevoli (SE3) vengono favoriti gli usi piÚ diversi con soluzioni originali. Eseguiti nelle diverse essenze, possono avere il piano d’appoggio corredato da lastre di finitura in alluminio anodizzato

Combinazione ambientata di due moduli della cassettiera SE1

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in vari colori. I supporti in alluminio pressofuso, collegati da barre di acciaio, sono verniciati a fuoco color nero, altrimenti bronzati o trattati ad alluminio naturale. I mobili SE1 e SE2 non possono essere utilizzati singolarmente, ma uniti tra loro o con l’elemento SE3, avendo essi soltanto un piede centrale.


I diversi moduli del sistema di contenitori SE, con anta il modulo SE2, con cassetti SE1, e la combinazione del modulo doppio SE3 con ante scorrevoli collegato ai moduli SE1 e SE2

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Osvaldo Borsani M6, M7, M59, M124, M150 Mensole Progetto e produzione 1961-1966

Il tema del piano-mensola, isolato e leggero, accostato al muro sarà per Borsani un elemento di servizio costante nella sua visione d’insieme dello spazio domestico. A partire dai primi modelli del 1961 (M6 a/b con piano rettangolare in diverse essenze con sagomatura alle estremità , M7 a/b con piano ovale in diverse

Ambientazione della mensola M7, 1961

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essenze, M59 a/b/c/d/e/f/g con piano in legno a forma rettangolare) con diverse possibilità di lunghezza, passando dal modello M124 del 1962, si arriva alla mensola M150 del 1966. In genere due supporti metallici verniciati in nero ne rendono semplice l’applicazione.


Ambientazione della mensola M59, 1961 Ambientazione della mensola M6, 1961

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Osvaldo Borsani P31 Poltroncina Progetto e produzione 1963

Probabilmente l’omaggio più esplicito alla Eames chair, molto ammirata da Borsani, come tutto il lavoro della coppia di designer americani. La P31, nelle due versioni a quattro e tre gambe (quest’ultima certamente la più originale, rimasta più a lungo nel catalogo), porta a ogni modo in evidenza il forte carattere Borsani-Tecno, nella scelta statica e formale di realizzare

Viste della sedia P31 a tre gambe, anche smontata, con i piani rivestiti da foderine imbottite

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delle gambe binate, date dall’accostamento di elementi a portale di sottili tubi metallici. Per i piani di seduta erano previste delle eventuali foderine imbottite, in una vasta gamma di tessuti e colori. La struttura poteva essere in ferro verniciato nero o nichelato opaco. I piani potevano essere impiallacciati con diverse essenze. La sedia P31 è stata rieditata nella Collezione Disegno nel 1991.


La sedia P31 nella versione rieditata della Collezione Disegno, 1991

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Osvaldo Borsani L77 Letto relax alzabile e snodabile Progetto 1956 Produzione 1957

Questo particolare letto snodabile nasce insieme a una serie di arredi disegnati appositamente per la foresteria dell’edificio ENI di San Donato Milanese. È presentato come prodotto Tecno, insieme alla poltrona P40 e alla sedia S88 (quasi a formare un manifesto dell’estetica meccanica secondo Borsani), alla XI Triennale di Milano del 1957 nella sezione “Catalogo-rassegna di elementi singoli d’arredo” della “Mostra internazionale dell’abitazione.” Nel catalogo della Triennale viene descritto come “Letto a una piazza a struttura di metallo, snodata

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mediante comando semplice e rapido su due lati: parti del telaio sono rivestite di stoffa lanata grigia. Il materasso di gommapiuma ‘Pirelli-Sapsa’ poggia su un traliccio formato da tante strisce elastiche di tessilastic.” Nello stesso anno viene pubblicato su “Domus” (n. 337, dicembre 1957), dove si racconta che “alla linea nuova e perfettamente equilibrata, questo letto unisce qualità tecniche di pratica e completa utilizzazione: snodato, mediante comando semplice e rapido su due lati (il letto può essere

accoppiato) assume le posizioni più adatte al riposo e alla lettura. Il movimento permette di portarlo nella migliore posizione per eseguire la pulizia del pavimento. Inoltre è possibile portare il piano del letto a tutte le altezze necessarie o desiderate, da un minimo di 40 cm. a un massimo di 70 cm. da terra. Può essere considerato, oltre che una forma nuova nel campo del disegno industriale, un’importante innovazione nella gamma d’uso del letto e nel suo inserimento perfetto in ogni tipo di arredamento. Lo completa un

materasso di Gommapiuma appositamente studiato.” Nel 1957 il disegno di questo letto viene depositato da Osvaldo Borsani come modello ornamentale e d’utilità all’Ufficio Brevetti (rilascio 20/05/1958, n. 68126) con la seguente descrizione: “Letto a sezioni trasversali multiple orientabili a sbalzo su cavalletto di sostegno ad altezza regolabile, in cui ciascuna sezione presenta profilo laterale trapezoidale a vertici dolcemente raccordati, piastra di cerniera pentagonale e gambe del cavalletto di sostegno tubolari.”


Immagine con effetto stroboscopico di movimento del letto L77 e documento di brevetto d’utilità e ornamentale n. 68126, rilasciato il 20 maggio 1958 Sequenza d’immagini per dimostrare le diverse possibilità d’uso del letto L77

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Osvaldo Borsani P/D/PA110, Canada, T110 Poltrona-panchetto, divano e tavolo basso Progetto 1964-1965 Produzione 1965-1966

Presentata come “l’ampia poltrona dalla linea snella”, la P110, più nota come Canada, nasce da alcuni primi schizzi abbozzati da Valeria Borsani e Marco Fantoni, ancora giovani studenti universitari. Osvaldo Borsani, che vede questi disegni, invita i due giovani a sviluppare questa idea, ma dopo alcuni incerti tentativi

prende in mano lui il progetto e lo rielabora totalmente, instillandovi un suo particolare carattere. La Canada è una poltrona costituita da due fiancate in compensato curvato, collegate da due traverse di legno massello modellato, sulla quale la parte soffice composta dalla copertura, dall’imbottitura in schiume

poliuretaniche e dal supporto sono fusi in un unico elemento essenziale intercambiabile a mezzo di grossi bottoni in legno a pressione che si agganciano alla struttura (nelle essenze noce, palissandro o legno laccato bianco, rosso, nero). Completamente smontabile, trova posto in un imballo

di minime dimensioni. A questo sistema di imbottiti è stato abbinato un tavolo basso, T110, con un supporto in compensato nobilitato noce, palissandro o laccato nero, e con il piano in marmo bianco.

Vista laterale della poltrona P110 con il relativo panchetto PA110 Elementi smontati e la sola struttura in legno tinta di bianco della poltrona P110 Il tavolino T110a Vista dal retro della poltrona P110, ambientata con la libreria componibile E101 disegnata da Eugenio Gerli, e in primo piano il prototipo di lampada da terra disegnata da Kugo Toru

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Osvaldo Borsani P103 Poltrona girevole e oscillante Progetto 1964 Produzione 1965

La poltrona P103 vista di lato, con pouf, e di fronte Disegno tecnico della base in alluminio anodizzato

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Questa poltrona ripropone in maniera aggiornata, dal punto di vista tecnologico e formale, le funzioni del modello P32 con i suoi caratteristici movimenti di oscillazione e rotazione sull’asse verticale del sostegno. La struttura è in legno, l’imbottitura in gommapiuma,

il rivestimento in cuoio o tessuto. Dotata di un poggiatesta regolabile in altezza, la base di appoggio a terra è un disco a vassoio in alluminio anodizzato, naturale o smaltato, la cui forma facilita lo spostamento della poltrona stessa.


Osvaldo Borsani, Eugenio Gerli L79 Letto matrimoniale Progetto e produzione 1963

Letto con struttura in metallo, i cui montanti sono realizzati con due barre accoppiate legate alla sommitĂ per saldatura da un anello realizzato con lo stesso profilo di barra. Verso terra le due barre si aprono a mezzo cerchio per ospitare una pallina di metallo che funge da rotella.

L’aspetto meccanico di questo letto è sottolineato anche dagli elementi di fissaggio sporgenti sui fianchi dei montanti. Il disegno di questo pezzo si direbbe un omaggio a Luigi Caccia Dominioni, di cui Borsani era grande amico ed estimatore.

Vista ambientata del letto L79 con struttura metallica a vista

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Osvaldo Borsani L75 Letti sovrapponibili Progetto e produzione 1962

Il progetto di questi letti sovrapponibili vede quello superiore, fisso, alto da terra 40 centimetri, funzionare anche da normale divano, mentre all’occorrenza quello sottostante, scorrendo su sfere in legno, può essere portato all’altezza del precedente mediante testate ribaltabili, creando così due letti gemelli. Probabilmente per l’ideazione di questo sistema di letti sovrapponibili Osvaldo Borsani, che era un grande appassionato della cultura dei paesi del Nordeuropa e in particolare dell’Olanda, trae ispirazione dall’esempio di letti sovrapponibili disegnati da Thea Leonhard, pubblicati su “Domus”, n. 281, nell’aprile 1953. Alla XIII Triennale del 1964 viene premiato con il diploma “Medaglia d’oro”.

Disegno tecnico-costruttivo dei letti sovrapponibili L75 Sequenza d’immagini che mostrano le diverse posizioni dei letti sovrapponibili L75

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Osvaldo Borsani, Eugenio Gerli T68 Tavolini con elementi variabili Progetto e produzione 1963

Le diverse combinazioni di elementi che possono comporre il piano dei tavolini T68

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Tavolino rettangolare a elementi variabili, con possibilità di combinazioni del piano in settori di marmo, legno, cristallo ed elementi decorativi. Questa soluzione di elementi variabili, se da una parte interpreta con grande eleganza il tema in quegli anni molto dibattuto

dell’arte programmata, a livello sia artistico sia del progetto, dall’altra si può dire che anticipa alcune successive ricerche interessate alla possibilità di produrre oggetti modificabili a proprio piacimento dall’utente, il quale inizia a voler “partecipare” alla costruzione formale dei propri oggetti d’uso.


Osvaldo Borsani L150, T150, M150, PA150 Letto matrimoniale, tavolino, mensola e panca Progetto e produzione 1966

Letto semplice e doppio finito in pelle o tessuto, caratterizzato da una cinghia che lo fascia orizzontalmente, la quale, fissata con borchie in acciaio cromato, si presenta in alcuni punti leggermente sporgente, prestandosi a diventare una comoda maniglia utile per lo spostamento dei vari elementi. Si abbinano al letto, con lo stesso

coordinato di materiali e disegno, la panca PA150, la mensola M150 e il tavolino-comodino circolare T150. Ăˆ interessante osservare la coincidente analogia del tema della cinghia che si ritrova nella serie di imbottiti Le Mura (1967), che comprendeva anche il letto, disegnata nello stesso periodo da Mario Bellini per Cassina.

Ambientazione della combinazione letto matrimoniale L150, tavolino T150, panca PA150 in primo piano, mensola M150

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Osvaldo Borsani, Eugenio Gerli T69A, T69 B, T102A, T102B Tavoli da pranzo Progetto e produzione 1963, 1964 (T102)

Segno caratteristico di questo tipo di tavolo è la struttura portante costituita dall’incastro incrociato di due uguali elementi in acciaio nichelato (più tardi in alluminio pressofuso, acciaio inossidabile od ottone bronzato) con la parte interna smaltata in nero opaco, stampati con la forma di due semicerchi tangenti fra loro. La forma delle piatte curvate risulta irrigidita da una lama che da zero, in corrispondenza dei piani d’appoggio, sporge progressivamente sino al maggior spessore in corrispondenza del punto centrale di tangenza dei semicerchi e d’incastro degli elementi. L’effetto potrebbe sembrare quella di due travi IPE, a doppia “T”, incrociate che si aprono a fiore. Da una parte si può leggere un chiaro omaggio alla poetica della tecnica della trave a doppia “T”, sapientemente usata da Mies van der Rohe nei suoi grattacieli, ma anche l’eleganza flessuosa della struttura in piatte metalliche incrociate della poltrona Barcelona (1929) sempre di Mies. È però interessante anche osservare come in questo disegno si possa

leggere pure la stilizzazione in una componente seriale in metallo stampato industrialmente, di alcune “volute” di tavoli in legno con sostegni centrali, disegnati da Osvaldo Borsani per la ABV già nei primi anni quaranta. Il modello T69B è leggermente più basso (h. 64 cm, rispetto al T69A con h. 73 cm), con tre diametri diversi (120, 130, 140 cm, come il modello T69A), mentre il T102 ha un piano ovale di 200 x 120 cm, e due sostegni d’appoggio che ripropongono la struttura del T69A, senza due metà di appoggio a terra dei semicerchi che la costruiscono. Anche del modello 102A viene fatta la versione più bassa T102B. I piani sono generalmente in marmo, ma possono essere stati realizzati anche in cristallo, legno laccato, oppure legno naturale palissandro, india rigato, palissandro rio, teak e altre essenze. Tutte le varianti di questo modello sono state brevettate. Nel 1970 vengono studiate anche delle prolunghe per il modello T69A.

L’elemento singolo in fusione di metallo e due elementi incrociati che fungono da struttura di sostegno del tavolo T69

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Disegno tecnico-costruttivo per lo stampo del singolo elemento che compone la struttura di sostegno del tavolo T69 Viste del tavolo T69A e del tavolo T102A, piĂš lungo con la struttura di sostegno realizzata con i singoli pezzi di fusione messi paralleli e non incrociati

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Osvaldo Borsani, Eugenio Gerli T87 Tavolo con altezza variabile Progetto e produzione 1964

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Questo tavolo può essere posto a due differenti altezze: 40 centimetri in versione tavolino basso, 70 centimetri adatto come tavolo da gioco. La variazione dell’altezza avviene per mezzo di una gamba in legno massello, che non utilizzata si piega sotto il tavolo, e messa in piede si sovrappone e ingloba

una gamba più corta in metallo, integrata con il giunto d’angolo al quale si collega come una lama disposta a 45°. La parte centrale del piano è formata da un disco rivestito in panno su una facciata e in tessuto plastico colorato sull’altra.

Il tavolo T87 nella versione tenuta bassa e un’immagine che svela il gioco della gamba che, da nascosta sotto il piano, si dispone per aumentare l’altezza del tavolo

Il progettista Eugenio Gerli mostra la possibilità di ruotare la parte centrale del piano con diversi trattamenti di superficie. Nella foto si notano gli inserti delle gambe corte in metallo, “accolte” dentro le gambe più lunghe in legno


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Giampiero Bosoni

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Eugenio Gerli: il progettista “affine�


Vista dal retro della poltrona P121, disegnata da Eugenio Gerli con il figlio Enrico Gerli, 1965

Nei primi anni della Tecno la ricerca di collaboratori esterni da parte dei Borsani mirava non tanto a trovare delle personalità le cui qualità tendessero a una spiccata autonomia progettuale, ma piuttosto a individuare delle figure di qualità affini al modello Tecno. Questo voleva dire affinare notevolmente la ricerca per incontrare un progettista giovane, ma già abbastanza esperto, con provate capacità di ricerca e innovazione nel disegno del mobile, disposto a inserirsi all’interno di un programma già ben definito in un rapporto di collaborazione esclusivo: di contro per tale progettista si sarebbero aperte delle grandi opportunità di progettazione industriale e di architettura degli interni. A questo ruolo di progettista dalle “affinità elettive” aderì per più di trent’anni di collaborazione stretta con la Tecno l’architetto Eugenio Gerli. A conferma di questa affinità si possono leggere le poche righe scritte da Gerli qualche anno fa, quando gli venne chiesto di contribuire a un tributo in memoria di Osvaldo Borsani in occasione del quale inviò alla famiglia una lettera con un breve testo che Valeria Borsani ritiene uno dei più fedeli ritratti del padre “architetto”: “I concetti di Osvaldo, le sue idee, li ricordo attraverso i suoi disegni. Il suo pensiero trovava immediata concretezza nel tratto facile e sicuro, piacevole per la chiarezza e la sintesi. Un disegno che, anche se semplicemente tratteggiato, conteneva indicazioni precise e le premesse per un importante sviluppo e realizzazione”1.

Eugenio Gerli si laurea in architettura nel 1949, dopo il biennio in ingegneria. Tra le sue prime realizzazioni si annovera anche un importante “interno” a Milano: il cinema Ambasciatori (1954), in pieno centro città. L’interesse per il design del mobile, molto sentito dai giovani architetti del primo dopoguerra, coinvolge anche Gerli, che si dimostra molto attratto dalla sperimentazione con i nuovi materiali. Proprio nella X Triennale di Milano del 1954, quella dell’exploit Tecno, nella stessa sezione “Mostra del mobile singolo”, dove è in esposizione il divano D70 di Osvaldo Borsani (insieme a molti pezzi che diventeranno famosi di Wegner, Albini, Bill, Ponti, Eames, Zanuso, Rosselli, Mango, Prouvé, Asti, Monti, Viganò, Day, Parisi, Nelson, Coray e altri), compaiono ben quattro sedute disegnate da Gerli per la produzione “Forma”: poltroncina di legno con sedile formato da strisce di cuoio, due poltroncine con quattro gambe di metallo, ricoperte di panno (feltro irrigidito, n.d.a.) arancione e viola; poltrona tutta di legno (disegnata con Mario Cristiani)2. Tenendo conto che nel catalogo della Triennale, tra le dodici immagini dedicate a quella mostra che presentava centottantuno elementi d’arredo, i pezzi di Gerli comparivano in primo piano in ben due foto, si capisce che le sue proposte avevano qualcosa di molto interessante, che non deve essere sfuggito all’occhio attento di Osvaldo Borsani. Inoltre la sorella dei gemelli Borsani, Bianca, era molto amica della moglie di Gerli, e anche questo è stato un 133


utile fattore d’incontro. Comunque è bastato un primo scambio di vedute informale in Triennale, e poi su in fabbrica a Varedo, per intendersi al volo su un possibile rapporto di collaborazione. Primo incarico: seguire i lavori per la realizzazione del negozio Tecno su via Montenapoleone a Milano. Da quel momento il rapporto di fiducia diventa, via via, sempre più stretto, tanto che i Borsani, quando decidono di affrontare un progetto delicato che richiede coordinamento e viaggi fuori sede, concludono spesso la discussione dicendo: “Be’, allora chiama il Gerli”. L’attività di Gerli alla Tecno si divide tra molti lavori di architettura (l’allestimento di numerosi negozi Tecno aperti in giro per il mondo e qualche lavoro speciale di fornitura per interni di grandi dimensioni) e il disegno dei prodotti che nascono a tavolino discutendo con Osvaldo Borsani. Un modo di lavorare diretto, veloce, ma anche puntiglioso, preciso, quasi maniacale. “La ‘cosa’ andava fatta al meglio”, ricorda Gerli, “le ‘cose’ andavano sempre fatte al massimo... in queste cose Borsani era un perfezionista, bisognava farle sempre meglio. ‘Guardiamo ancora ...’, diceva spesso ... e questo suo spirito lo trasmetteva anche ai clienti.”3 Gerli e Borsani firmano insieme molti prodotti di successo, fra i quali il celebre sistema per uffici Graphis. Il modo in cui si definisce la paternità del progetto lo racconta lo stesso Gerli: “Tutti i mobili [che sono stati realizzati alla fine degli anni cinquanta e negli anni sessanta, n.d.a.] sono stati progettati insieme, io davo una mano a lui e lui dava una mano a me; ma avevamo stabilito che per ogni prodotto si indicasse la paternità. In alcuni casi è stato difficile sta-

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bilirla. Molti sono firmati insieme, perché è ovvio, ma certe cose più semplici le firmava uno piuttosto che l’altro... Io ho messo questo, tu hai messo quell’altro, però quella che contava era l’idea iniziale, era un po’ quella che veniva riconosciuta come paternità.”4 Questo rapporto solido, di fiducia, esclusivo per quanto riguarda il design di prodotto, ma libero rispetto all’attività professionale di architetto, è stato l’unica soluzione di continuità collaborativa durante tutta la storia Tecno sino alla fondazione nel 1970 del Centro Progetti Tecno. “Da più di 35 anni”, ha scritto Gerli per testimoniare il suo rapporto con la Tecno, “quasi regolarmente ogni martedì e ogni venerdì, lasciando il mio studio a Milano, ho fatto parte del tessuto, della trama di Tecno: soprattutto come progettista, ma anche come consulente e amico, interessandomi della ricerca sui materiali ai contatti dei clienti esterni più difficili – anche se dall’altra parte del mondo. Che cos’è Tecno? Una realtà in continuo divenire, costruita su un’idea stimolante e ambiziosa, cresciuta in un clima di rigore appassionante e di fiducia nei propri mezzi e nelle proprie idee.”5

1 Lettera inviata da Gerli a Valeria Borsani, s.d. (circa 19911992). Archivio storico Borsani-Tecno, Varedo. Agnoldomenico Pica (a cura di), Catalogo X Triennale - Arti e tecniche oggi nel mondo, Milano 1954, pp. 95, 100, LIV, LV. 3 Vedi Intervista a Eugenio Gerli, primi anni novanta, in occasione della Collezione Disegno, Archivio storico BorsaniTecno, Varedo; Conversazione tra Giampiero Bosoni ed Eugenio Gerli nel dicembre 2010. 4 Ibidem. 5 Eugenio Gerli, Martedì e Venerdì, in Centro Progetti Tecno (a cura di), 40 anni Tecno, liber amicorum, Edizioni Tecno, Varedo s.d. (1993-1994). 2


Eugenio Gerli S3 Sedia smontabile Progetto1953-1954 Produzione 1957

È il primo pezzo disegnato da Gerli prodotto dalla Tecno. Questo modello deriva una serie di studi sviluppati nel 1951 con Mario Cristiani, rimasti allo stadio di prototipo, nelle versioni in feltro sagomato e compensato. Altri pezzi in feltro, disegnati da Gerli in questo periodo, saranno realizzati nel 1953 dalla azienda Forma e presentati alla X Triennale del 1954, poco distante dal divano D70. La S3 viene pubblicata su “Domus” (n. 351, febbraio 1959) nell’articolo Una nuova sedia come “sedia da pranzo composta di quattro pezzi in compensato curvato con unioni ad incastro e quattro viti. Ha tre gambe, ma è molto stabile, e per la sua forma è particolarmente adatta al tavolo circolare. Prodotta in vari legni e colori, è smontabile e di facile imballo.”

La sedia smontabile S3 da diversi punti di vista e, in alto a destra, smontata

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Eugenio Gerli P28 Poltroncina Progetto e produzione 1958

Poltrona con struttura in legno di wengé o lucidato nero con cuscino al sedile. Lo schienale e il sedile sono imbottiti in gommapiuma e possono essere ricoperti in tessuto, in plastico elastico e in pelle. Nel 1991 è riproposta nella Collezione Disegno in versione legno verniciato nero, e imbottiture rivestite in pelle nera. Nella scheda di presentazione compare un commento probabilmente suggerito dallo stesso Gerli: “Il cerchio è la cifra espressiva della P28: in parte come scelta di geometria, e quindi di rigore formale; in parte come memoria di sedute, solenni o domestiche, presenti nella memoria collettiva del mobile.”

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Disegno con proiezioni ortogonali e viste della poltroncina P28


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Eugenio Gerli, Mario Cristiani T92 Tavolo ampliabile a farfalla Progetto 1956 Realizzazione 1960

Tavolo ingrandibile con piano a spicchi in legno di noce o palissandro, oppure in legno laccato bianco (successivamente al poliestere). Struttura metallica di sostegno verniciata nero opaco o nichelata. Sulla struttura è impostato un piano quadrato dal quale si aprono quattro spicchi superiori incernierati al piano quadrato sottostante, raddoppiandone le dimensioni. Prima di ruotare le quattro ali del piano occorre ruotare la superficie del tavolo sull’apposito perno centrale collocato al centro

della struttura metallica. Il meccanismo e la trasformabilità ne fanno un classico prodotto Tecno. Il progetto nasce nel 1956 con la partecipazione di Gerli e Cristiani al Concorso nazionale indetto dalla Formica insieme a “Domus”, per “Mobili colorati in laminato plastico” (pubblicato su “Domus”, n. 336, novembre 1957). Tra i premiati compaiono anche Gerli e Cristiani con un prototipo di “tavolo a farfalla”, molto simile al T92, eseguito da Bruno Vivarelli (Milano).

Disegno di studio per le proporzioni del tavolo T92 Nella sequenza, il movimento d’apertura e di allargamento del piano

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Eugenio Gerli T97 Tavolo a coulisse Progetto e produzione 1963

Tavolo quadrato ingrandibile a coulisse. La struttura è in ferro e le gambe sono in legno. Il disegno della gamba è coordinato con le sedute S81, S82 e S83.

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Il tavolo T97 con il piano allungato e fotografato a fianco del tavolo T46


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Eugenio Gerli S81, S82, S83 Sedie smontabili Progetto e produzione 1962

Serie di sedie smontabili, grazie a una struttura in alluminio pressofuso di sostegno alla seduta color nero opaco, alla quale si collegano le gambe anteriori e i montanti posteriori in noce o palissandro. La S81 e la S82 hanno il sedile e lo schienale imbottito in gommapiuma e rivestito in tessuto o pelle. La S82 è la versione con lo schienale alto. Esiste anche una versione, non entrata in produzione, a tre gambe

e con la seduta e lo schienale a forma tonda. La S83 ha una struttura simile, ma è anche impilabile e la seduta e lo schienale sono realizzati in compensato curvato di teak, ma anche nobilitato noce, palissandro o laccato. Le gambe sono in legno lucidato nero. Della sedia S83 è stata fatta una riedizione nella Collezione Disegno del 1991.

Prototipo di sedia a tre gambe e piano tondo della serie S81 Composizione di sedie S81 e S82

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Vista di tre quarti della sedia S83

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Eugenio Gerli P/D73 Sir Poltrona e divano Progetto e produzione 1966

Poltrona e divano di grande conforto, da rivestire in cuoio o stoffe pregiate. La struttura portante è in legno modellato, l’imbottitura in gomma. Il divano è realizzato con elementi doppi o tripli che permettono soluzioni anche importanti con l’accostamento degli elementi base. I braccioli, staccabili, possono essere inseriti alle estremità. Il disegno della Sir, chiaramente ispirato a modelli tradizionali dell’imbottito, lo vede in quegli anni inserirsi nel cosiddetto dibattito intorno alla tendenza “neoliberty” espressa dal gruppo

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di giovani redattori della rivista “Casabella”. Interessante in tal senso la presentazione che ne viene fatta sulla rivista “Ottagono” (n. 6, 1967) nell’articolo Soggiorno con la ‘Sir’: “[...] Desideriamo segnalare questa nuova poltrona perché pur avendo tecnologicamente tutti i requisiti che un arredo moderno deve avere (di resistenza, comodità, praticità) ha tuttavia un carattere abbastanza tradizionale, intendo per tradizione quanto è caro alle nostre abitudini e necessario allo svolgersi della nostra vita di ogni giorno [...]”.

Diverse viste della poltrona e del divano P73 e D73


Eugenio Gerli “Servomuto” con vassoi girevoli Progetto e prototipo 1963

Nelle immagini, la grande versatilità d’uso del “servomuto” con vassoi girevoli

Questo interessante “servomuto” con vassoi girevoli viene prodotto solo in alcuni prototipi; l’azienda decide di non portarlo in produzione, poiché era stato anticipato per poco da un altro prodotto molto simile, proposto sul mercato da aziende concorrenti. Comunque nel 1964 compare con un’intera pagina sul libro L’arredamento moderno (edito da Hoepli) di Roberto Aloi con la didascalia “Tavolino per lavoro: struttura metallica laccata nera, i piani girevoli sono in metallo con rivestimento interno in panno rosso e grigio. Eugenio Gerli, architetto - Prod. Tecno”.

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Eugenio Gerli E101Domino Libreria componibile Progetto e produzione 1965

Originale composizione cartesiana del sistema componibile E101 Particolare del sistema d’incastro dei pannelli componibili del sistema E101 Domino

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Sistema composto da cinque elementi base costituiti da pannelli della stessa larghezza, ma con diverse lunghezze, caratterizzati da profondi tagli trasversali che consentono di incrociare i pannelli per formare delle strutture portanti. Questo sistema permette innumerevoli combinazioni tipologiche (librerie, contenitori, mobili bassi, divisori, mobili centrali), ma anche un’inconsueta varietà di composizioni formali. Nella sua semplicità è molto curato nei dettagli: appositi tasselli, per chiudere i tagli non utilizzati permettono di arricchire il disegno architettonico dell’oggetto costruito, fresature sul bordo a vista dei pannelli (su un lato di testa e sull’altro due fresate a fianco del bordo) rifiniscono in maniera quasi invisibile l’oggetto. Le varie componenti sono realizzate in noce o palissandro oppure laccate in bianco, rosso e nero, e offrono la possibilità,

alternandosi tra loro, di arricchire e variare le combinazioni. Nell’articolo Composizione per libreria (“Ottagono”, n. 5, 1967) si legge: “Pur nascendo dal concetto di una semplice scaffalatura, la libreria Domino ha qualcosa che ricorda certi intelligenti giochi orientali a incastro. Infatti è costituita da una serie di elementi componibili ad intersezione, senza viti, e può variare in dimensioni e in aspetto secondo gli elementi che in questo libero montaggio si vorranno di volta in volta usare. La libertà che è lasciata ad ognuno di acquistare sì il mobile di serie, ma di attuare ugualmente una propria scelta differenziata, è possibile non solo nella composizione estemporanea dei pezzi e nella scelta dei materiali, ma anche nell’accostamento dei colori, uguali o mescolati fra loro, con i quali si può comporre la libreria ottenuta con gli elementi laccati”.


Interessante composizione asimmetrica e articolata della libreria E101 Modelli di studio per verificare diverse soluzioni compositive

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Eugenio Gerli B106 Jamaica Mobiletto portabottiglie su rotelle Progetto e produzione 1966

Un “guscio di noce� che contiene bottiglie e bicchieri per un comodo servizio, spostabile, grazie a rotelle, in ogni angolo della casa. Aperto diviene un pratico doppio piano di appoggio. Realizzato in legni pregiati oppure laccato a colori vivaci. I piani di appoggio e di servizio sono in laminato plastico grigio e marrone.

Diverse finiture del portabottiglie Jamaica in versione aperta e chiusa

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Eugenio Gerli Margherita Poltroncina in poliestere Progetto e produzione 1969

Ideata da Gerli in occasione di un progetto d’interni per un negozio d’abbigliamento, di nome Margherita, in centro a Milano, realizzato dalla Tecno. Si tratta di una delle prime sperimentazioni dell’azienda con i materiali plastici utilizzati per parti significative della struttura. La poltroncina è realizzata in poliestere rinforzato, con la scocca in resina formata da un pezzo solo che costituisce l’elemento avvolgente e portante. A questo è fissato un cuscino per mezzo di un anello circolare metallico.

Fronte e fianco della poltroncina Margherita con struttura in poliestere rinforzato

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Eugenio Gerli PS142, P142, D142 A/B Clamis P104, D104 Jacqueline Poltroncine, poltrone e divani su rotelle Progetto e produzione 1966-1969

Poltrona P142, senza imbottitura al sedile e con la struttura costruttiva a vista, e divano D142

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Si può parlare di una famiglia d’imbottiti che si sviluppa a partire dalla poltroncina su rotelle PS142 (1966) dotata di struttura in acciaio e alluminio (in seguito nylon), con imbottiture stampate in schiuma poliuretanica. Da questo modello derivano direttamente la versione poltrona, P142, e divano a due e tre posti, D142 A/B Clamis (1969), i quali vengono prodotti anche nella versione con piedini in acciaio. Questa serie di sedute imbottite nasce dall’idea di rispondere alla domanda espressa in maniera latente dalle trasformazioni degli spazi domestici che si registra

in Italia a partire da metà degli anni sessanta, dove lo spazio soggiorno, l’angolo pranzo e la zona relax hanno iniziato a fondersi in un’unica area plurifunzionale. La risposta progettuale parte dalle seguenti caratteristiche: tavolo molto più basso del tradizionale, come nel caso del T69B alto 64 centimetri, e poltroncine che sostituiscono le sedie. Per omogeneità e continuità di design la serie si è arricchita anche di poltrone e divani di dimensioni diverse, 80 x 68 cm la poltrona, 140 x 68 cm il divano a due posti e 200 x 68 cm il divano a tre posti; più stretta

la poltroncina: 70 x 68 cm di altezza e 63 cm di profondità. Il 20 luglio 1970 questi modelli vengono depositati al Patent Office U.S.A. che rilascia la patente d’invenzione tecnico-industriale per quattordici anni il 18 luglio 1972 con il n. 224.285. Dal modello PS142 si sviluppa, per gemmazione e con una propria autonomia, anche la serie d’imbottiti su rotelle P104 e D104 (1968), denominata Jacqueline, con una forma più compatta e tradizionale e caratterizzata dai cuscini degli schienali, trapuntati con due bottoni.


Poltrone e poltroncina della serie 142, da cui si evidenzia la cura del disegno a partire dall’originale sistema costruttivo composto di tre elementi

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Eugenio Gerli L108 Holland T128 Revolver Letto e contenitore basso rotondo Progetto e produzione 1967 (letto),1969-1970 (contenitore)

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Letto semplice o doppio realizzato in legno massiccio di noce, palissandro o laccato bianco. Elastico portante in acciaio smaltato. Si abbina al letto, in funzione di comodino, un tavolino contenitore basso rotondo con rotelle, piani interni girevoli, eseguito in fibra di vetro.


Contenitore rotondo in fibra di vetro su rotelle T128 Revolver. Si veda la notevole analogia con il televisore Volans 3, disegnato da Mario Bellini e prodotto da Brionvega nel 1969

Vista d’insieme del letto L108 Holland con il contenitore basso T128 Revolver, in funzione di comodino

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Eugenio Gerli L1, L2, L3 Vasi e portaombrelli Progetto e produzione fine anni sessanta - primi anni settanta

Tipiche ambientazioni giovanili anni sessanta dei vasi L1, L2, L3

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In piena atmosfera “pop”, a cavallo degli anni sessanta-settanta, Eugenio Gerli, coinvolto come molti designer da quella che verrà definita l’“utopia della plastica”, disegna una serie di vasi stampati in materiale plastico pensati come complementi d’arredo totalmente autonomi rispetto alla produzione corrente della Tecno. I tre modelli

hanno dimensioni abbastanza grandi per essere anche utilizzati, nel caso del tipo L3, come tavoli bassi. Da un punto di vista formale sono interessanti le evidenti analogie con le contemporanee ricerche di altri designer, fra i quali Ettore Sottsass, Sergio Asti e Gae Aulenti.


Eugenio Gerli, Enrico Gerli P121 Poltrona con schienale reclinabile Progetto e produzione 1965

Il tipo di poltrona disegnata in questo modo dai Gerli propone un’idea di leggerezza e semplicitĂ che cerca di superare il modello classico della seduta corposa e tutta imbottita. Tre fogli leggermente imbottiti si accostano per formare una struttura apparentemente provvisoria. Lo schienale oscillante, insieme con le alette libere dei braccioli, dĂ a questa seduta un particolare dinamismo. La struttura è metallica, con imbottitura in schiume poliuretaniche e rivestimento in tessuto o pelle. Vista laterale con effetto di movimento dello schienale e vista dal retro della poltrona P121

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Giampiero Bosoni

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Tecno vende Tecno


Vista notturna delle zone espositive a multipiano del negozio Tecno in via Montenapoleone a Milano, 1956 Interno del primo negozio di via Montenapoleone a Milano, dove si notano le porzioni di pavimento in cristallo trasparente che mostrano i prodotti anche da sotto

Uno degli assi portanti del progetto Tecno è stato senza dubbio il sistema commerciale basato su prestigiosi punti vendita monomarca. Questa scelta, assai coraggiosa, negli anni cinquanta e sessanta, si lega a una visione unitaria e coerente del rapporto diretto dell’azienda con i suoi clienti. Molti collaboratori1 di Osvaldo Borsani ricordano di lui, oltre alla sua precisione ed eleganza nel disegno e all’accuratezza nel seguire l’esecuzione di un prodotto, anche la capacità disinvolta e coinvolgente nel trattare direttamente con il cliente la definizione di un progetto d’interni. Dal padre Gaetano i fratelli Borsani, e in particolare Osvaldo, apprendono fra le altre cose questa necessaria natura di abili venditori e di accorti gestori del rapporto con il mercato, oltre che di sapienti artigiani. Non a caso anche la puntuale e importante presenza dell’ABV a tutte le Triennali, a partire dalla seconda del 1925, è indice dell’attenzione riservata dai Borsani al rapporto con il mercato e quindi con il pubblico. A ulteriore conferma di questo approccio molto attento alla clientela, si ricorda che Gaetano Borsani decise già nel 1932 di aprire un negozio monomarca, con annesso ufficio di progettazione, a Milano, prima in una galleria su via Mazzini, accanto al Duomo, e poco dopo, attorno al 1936, trasferito nella più visibile via Montenapoleone, all’epoca non ancora la via della moda ma, cosa forse più importante, in mezzo ai palazzi dell’aristocrazia e dell’alta borghesia milanese.

Una tale cura del rapporto con il cliente non poteva non costituire una questione delicata da trattare, quando Osvaldo Borsani iniziò a introdurre in casa la sua idea di portare la produzione dell’ABV verso la meccanizzazione del prodotto e la sua costruzione in serie, vale dire rivolgendosi a un pubblico molto più ampio e per certi versi generico, se non anonimo. In effetti, sembra che Gaetano Borsani, più che preoccuparsi della qualità del prodotto, si sia scagliato contro questa idea soprattutto prospettando a Osvaldo, e al più titubante Fulgenzio, quella che per lui era la peggiore minaccia: “Con questo sistema diventerete schiavi dei venditori, dovrete fare quello che vogliono i negozianti!”. Ma a questa grave minaccia Osvaldo rispose con un’affermazione che fu il proposito su cui per molto tempo si fondò buona parte della fortuna della Tecno: “No, non sarà così: perché solo Tecno venderà Tecno!”. Questa risposta liberatoria funzionò come un credo e uno slogan che ha portato per alcuni decenni la Tecno a distribuire bandierine sulle principali città d’Europa per segnare la presenza dei propri importanti showroom. La prima sede ufficiale è del 1956 e non poteva che essere a Milano, in via Montenapoleone. Si tratta di un intero edificio ristrutturato, con una nuova facciata, progettato da Osvaldo Borsani, coadiuvato da Eugenio Gerli. “La tendenza informatrice della progettazione”, si legge in una sorta di relazione di progetto pubblicata da Roberto Aloi, “è stata quella di collegare i volumi 157


Particolari delle sedi commerciali Tecno a Bruxelles e a Colonia, che testimoniano le numerose sedi monomarca aperte fino agli anni ottanta nel mondo

dei tre piani del negozio, dividendoli per arrivare a uno spazio più fluido e più ampio: dalla strada è infatti possibile vedere le aree di vendita e di esposizione di ogni parte di ciascun piano attraverso le solette trasparenti, costituite da travi di sostegno in lamiera piegata smaltata a fuoco in grigio scuro e lastre piane di cristallo temperato sulle quali appoggiano i mobili e gli oggetti.”2 Un dettaglio non da poco: il parapetto a lamelle verticali variabili, che incornicia tutto il secondo piano, viene realizzato su disegno di Lucio Fontana. Il fascino e la forza d’immagine di questo negozio è ben descritta da Giulio Castelli, fondatore e per quasi cinquant’anni amministratore delegato della Kartell, quando pochi anni fa ha usato queste parole per introdurre il ruolo della Tecno nella storia del design italiano: “Negli anni cinquanta tutti guardavano il negozio Arredamenti Borsani in via Montenapoleone a Milano come qualcosa di irraggiungibile. Per chi si occupava di mobili, l’idea di avere un punto vendita in quel luogo faceva un certo effetto, ma i fratelli Borsani, Osvaldo e Fulgenzio, erano gli aristocratici dell’arredamento, la loro scelta d’avanguardia era coerente con il loro mercato e il loro modo di essere: decisamente snob. Una coerenza che con158

tinuò anche quando aprirono, sempre in via Montenapoleone, il negozio Tecno: ben due poli – arredamento e ufficio – nella via della moda, una delle più belle di Milano.”3 Dopo Milano ci furono Roma e Parigi prima del 1970, poi seguirono Amsterdam, Atene, Barcellona, Bologna, Bruxelles, Buenos Aires, Catania, Düsseldorf, Firenze, Ginevra, Genova, Londra, Madrid, Melbourne, Monaco, Napoli, San Sebastian, Torino, Valencia, Vienna. Nel 1973, sulle pagine di “Ottagono”, si trova, all’interno di un grande servizio dedicato alla Tecno, un capitolo intitolato Il negozio: un discorso con il pubblico, dove viene riassunta la filosofia del punto vendita Tecno: “Negli show-room di Milano, Genova, Roma, Torino e Napoli, in quelli di Parigi, Amsterdam, in tutti gli altri punti vendita in Italia e all’estero, la Tecno esprime nel modo più completo i criteri che sono alla base del suo progettare, vendere ed accompagnare la produzione con un servizio accurato di assistenza. È proprio il momento della vendita del prodotto a rappresentare per la Tecno, un’occasione per instaurare un certo tipo di rapporto col cliente, basato sulla massima collaborazione, sullo scambio di idee e sulla volontà di creare un’intesa reciproca.


Interno di uno dei caselli neoclassici di Porta Garibaldi (già Porta Comasina) a Milano, ristrutturati nel 2006 per diventare la nuova sede commerciale Tecno a Milano

Questo rapporto, è facile ritrovarlo in luoghi lontani tra loro geograficamente, ma dove un pubblico diverso, esigenze e culture diverse, vengono interpretate dalla Tecno, sulla base di un rapporto dinamico e aperto [...]”4. Con i grandi mutamenti del sistema globale delle merci e le varie vicissitudini dell’azienda dopo la scomparsa dei fondatori, questa grande catena di negozi monomarca oggi è stata notevolmente ridotta (attualmente sono Milano, Roma, Firenze, Bologna, Parigi, Londra, Buenos Aires) e la sede milanese non è più in via Montenapoleone, ma in due preziosi edifici neoclassici, i caselli di Porta Garibaldi (1826), in prossimità di un’area della città soggetta a grandi tra-

sformazioni, che caso vuole, per la sua attuale e ancor più prossima vocazione commerciale, è stata denominata la Città della Moda.

1 Osservazioni e memorie raccolte durante alcune interviste fatte a Eugenio Gerli, Valeria Borsani e Marco Fantoni tra il dicembre 2010 e il febbraio 2011, oltre che in trascrizioni di interviste fatte ad Agenore Fabbri, Roberto Mango e altri conoscenti di Borsani nel 1991 in occasione della Collezione ABV. 2 Negozio Tecno a Milano, in Roberto Aloi, Mercati e negozi, Ulrico Hoepli Editore, Milano 1959, pp. 297-300. 3 Giulio Castelli, Tecno, in Giulio Castelli, Paola Antonelli, Francesca Picchi (a cura di), La fabbrica del design. Conversazioni con i protagonisti del design italiano, Skira, Milano 2007, p. 85. 4 Pier Carlo Santini (a cura di), Tecno, espressione di cultura tecnologica, in “Ottagono” n. 30, settembre 1973.

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Giampiero Bosoni

Enrico Mattei e gli uffici ENI

L’inizio del percorso “grandi lavori”

Palazzo ENI a San Donato Milanese, progetto di Marcello Nizzoli e Mario Oliveri, 1956-1958

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Una caratteristica del progetto Tecno, che sicuramente si ricollega alle origini dell’atelier ABV, è la realizzazione, insieme al progetto del prodotto di serie, aspetto fondante della Tecno, anche di alcuni progetti “speciali”, o potremmo meglio dire “su misura”, che alla Tecno ancora oggi vengono classificati come “grandi lavori”. Fondamentale differenza rispetto alla storia ABV è che mentre prima i progetti “su misura” in genere riguardavano interni di piccole o medie dimensioni, per lo più domestici (case o al più uffici d’alto livello), nel caso Tecno l’interesse si sposta via via verso edifici di grandi dimensioni, d’uso collettivo, con complessi problemi tecnologici, quali aeroporti, stazioni, ospedali e palazzi per uffici. Il caso che da avvio a questa importante storia si concretizza quasi per coincidenza, grazie alle ampie vedute e alla determinazione di una personalità centrale ed emblematica dell’Italia postbellica, Enrico Mattei. Il nome di Mattei significa, appena dopo l’ultima guerra e nei primi anni cinquanta, il rilancio economico del Paese con l’ENI, l’Ente Nazionale Idrocarburi, del quale è l’ideatore e il presidente. Dopo un brillante programma di trivellazione per il gas metano in alta Italia, Mattei riesce a conquistare importanti contratti di licenza per lo sfruttamento del petrolio nordafricano, “soffiandoli” addirittura al monopolio delle cosiddette “sette sorelle” americane. Si racconta che un giorno, mentre si trovava

a Milano negli uffici dell’avvocato Balestrini, storico cliente dell’ABV, Mattei notò la qualità del disegno e della fattura dei mobili di quell’ufficio sobrio ed elegante, e si informò per conoscerne gli autori. Le personalità forti dei Borsani e di Mattei si incontrarono subito sul piano della concretezza, dello spirito d’iniziativa e del senso del primato nel proprio campo. Come primo incarico furono assegnati alla Tecno la ristrutturazione e l’arredo degli uffici in via Tevere a Roma, ma la prima vera commessa “grandi lavori” è l’allestimento e l’arredamento interno del nuovo palazzo ENI a San Donato Milanese, posto a suggello di quella cittadella voluta da Mattei e denominata Metanopoli. Progettisti dell’edificio sono Marcello Nizzoli e Mario Oliveri, il primo già fondamentale collaboratore per il design dei prodotti e per l’architettura dell’Olivetti, industria celebre per il suo innovativo ruolo di servizio nel campo degli uffici e punto di riferimento per la cultura dell’industrial design a livello internazionale. Il tema degli uffici, in chiave moderna, è nell’Italia di quel periodo un terreno nuovo da coltivare, e il progetto Tecno aveva già iniziato dal catalogo del 1954-1955 a puntare la propria attenzione sulle caratteristiche “tecniche” ed efficienti di questo settore in grande evoluzione. L’edificio disegnato da Nizzoli e Oliveri ha una pianta giocata sulla combinazione di esagoni che si sviluppano organicamente


Interno di un ufficio direzionale dove si notano la scrivania T96, che nasce appositamente per il Palazzo ENI di San Donato Milanese, e le poltroncine P99. L’arredo, interamente curato da Osvaldo Borsani, si completa con la scelta di una elegante lampada Arteluce disegnata da Gino Sarfatti

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e generano spazi interni tanto interessanti quanto inconsueti. La scelta progettuale di Borsani è quella di non forzare quel sistema con elementi precostituiti difficilmente integrabili, ma piuttosto di cercare di interpretare quelle forme sghembe con diversi elementi mobili, dinamici, alcuni dei quali disegnati a partire da quel principio generativo, quindi più organici al sistema impostato da Nizzoli e Oliveri. “Molteplici sono infatti le soluzioni formali e tecnologiche”, ha osservato Giuliana Gramigna, “con cui Borsani risponde a un progetto caratterizzato da soluzioni avanzate e insolite: dalla creazione della scrivania T96, a forma di boomerang, forma che parve la migliore per locali a pianta esagonale, inserita successivamente nel catalogo aziendale, alla realizzazione di armadiature-parete collocate tra uffici e corridoi dove le decorazioni lignee riprendevano i motivi che caratterizzavano la struttura esterna dell’edificio.”1 L’esperienza progettuale e produttiva con Enrico Mattei e l’ENI è per la Tecno un trampolino di lancio fondamentale per affrontare altri progetti speciali: “grandi lavori” dove mettere al servizio del cliente quella particolare combinazione di design tecnologico, tipologico e formale che insieme alla radicata “qualità del fare” sarà una costante del progetto Tecno. E questa storia dei “grandi lavori” riprende subito dopo il caso ENI con altri progetti generati sempre dal dinamismo di Enrico Mattei e dei Borsani, che li porterà poco dopo in Medio Oriente per arredare le case dei nuovi soci di Mattei, ma questo è un altro pezzo della storia. 1 Giuliana Gramigna, Borsani, Enrico Mattei e gli uffici ENI, in Giuliana Gramigna, Fulvio Irace (a cura di), Osvaldo Borsani, Leonardo De Luca Editori, Roma 1992.

Disegno di Osvaldo Borsani e interno realizzato di una zona della foresteria del Palazzo ENI, per la quale viene appositamente progettato il letto snodabile L77

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Sala riunioni nel Palazzo ENI. Al centro, il tavolo T58 e intorno le poltroncine P99 Disegno di Osvaldo Borsani di un ufficio direzionale con zona riunioni, dove si riconoscono il divano D70, le poltrone P32, le poltroncine P20, il tavolo T98 e il tavolo riunioni T58

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Ufficio direzionale nel Palazzo ENI, dove si riconoscono in primo piano le poltrone P32 e una versione bassa del tavolino T44; sul fondo, il tavolo T58 Disegno di Osvaldo Borsani raffigurante un salottino d’ufficio con le poltrone P32 e il tavolino T44

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Vista di una zona relax con bar all’interno del Palazzo ENI, dove si riconoscono le poltrone P32

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Osvaldo Borsani P27 Poltroncina per sala conferenze Progetto e produzione 1958

Con questa poltroncina la Tecno, che guarda con attenzione agli sviluppi internazionali e nazionali del mondo ufficio, inizia a declinare il tema della seduta per gli spazi del terziario nelle numerose specifiche funzioni che si stanno configurando, in questo caso delle aree per incontri pubblici e conferenze. La P27 è impilabile e può essere fornita a richiesta di tavoletta portanotes in laminato plastico da bloccare indifferentemente su uno dei braccioli. La struttura è in acciaio nichelato opaco; l’imbottitura è in gommapiuma, rivestibile in tessuto, in “plastico elastico” (come nel catalogo dell’epoca era denominato il foglio vinilico finta-pelle), o in pelle, in tutti i casi in genere di colore nero.

Vista di tre quarti della poltroncina P27 dotata di pianetto di servizio

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Osvaldo Borsani P37 Poltroncina per ufficio Progetto e produzione 1958

Questa poltroncina con schienale in compensato curvato, completamente imbottita, si collega alla serie P20, ma a un livello più operativo, e si pone anch’essa in alternativa, poi in sostituzione, della serie P35/P38/P39/P99. L’imbottitura è in gommapiuma, rivestibile in tessuto, in “plastico elastico” (come nel catalogo dell’epoca veniva denominato il foglio vinilico finta-pelle), o in pelle, in tutti i casi in genere di colore nero. Le gambe sono in acciaio smaltato nero opaco o nichelato.

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Osvaldo Borsani

Serie di poltrone per ufficio P20 con diverse soluzioni della struttura d’appoggio

P20 a/b/c/d

Versione della poltrona per ufficio P20 con sostegno centrale e quattro razze su rotelle

Poltroncine per ufficio Progetto 1958 Produzione 1959-1962

La serie di poltroncine P20 nasce, dopo lo sviluppo dei tavoli direzionali, T95/T96, e dei tavoli per riunioni T58, come specifica seduta studiata per l’ufficio, sostituendosi via via alla serie P35/P38/P39/P99. La prima versione, chiaramente dedicata alla funzione direzionale, viene presentata come “poltroncina girevole per scrittoio con rotelle e con molleggio, o semplicemente girevole”. Le diverse strutture portanti metalliche sono smaltate in nero opaco o nichelate opaco. L’imbottitura è in gommapiuma,

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rivestibile in tessuto, in “plastico elastico” (come nel catalogo dell’epoca era denominato il foglio vinilico finta-pelle), o in pelle, in tutti i casi generalmente di colore nero. La serie completa si compone dei modelli: a. con la base girevole a colonna, senza rotelle e senza cuscino; b. con base girevole a colonna con rotelle e cuscino; c. di tipo direzionale con schienale più alto, base girevole a colonna, con rotelle e con cuscino; d. con base a quattro gambe in tubolare metallico, senza cuscino.


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Osvaldo Borsani

Vista laterale della poltrona direzionale P125, con appoggio a quattro razze, imbottitura a capitonné e schienale alto

Serie125 A/B/C/D, T125, Serie126 A/BC/D

Osvaldo Borsani, schizzo di studio per la poltrona P125 con schienale alto

Poltrone, poltroncine, sedie per uffici direzionali

Disegno tecnico-costruttivo della poltrona P125

Progetto e produzione 1966-1976

Serie di poltrone, poltroncine e sedie coordinate tra loro per uffici direzionali e operativi. Le finiture delle basi (nella prima serie del 1966 con quattro razze) e dei braccioli sono in pressofusione di alluminio: naturale, anodizzato o cromato con un processo messo a punto in quegli anni. I rivestimenti delle scocche, in poliestere e fibra di vetro, sono in cuoio naturale o in tessuto, con un disegno in senso verticale dato da sei cuciture. Una versione poltrona grand comfort viene proposta anche con lo schienale imbottito disegnato solo da due bottoni a capitonné. Gli accessori sono snodi, regolatori di altezza, rotelle, tutto quanto possa aumentare il comfort e facilitare la funzionalità dell’ufficio.

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Con lo stesso tipo di sostegno cromato a quattro razze viene realizzata anche una serie di tavolini, T125 (1966), con piano quadrato o rotondo in noce, palissandro o laminato plastico. Nel 1976 la serie viene aggiornata e completata; prende il nome di 126 e si divide in due serie complete (all’inizio con il basamento ancora a quattro razze, in seguito a cinque razze) differenziate solo dal disegno dei rivestimenti: una con lo schienale imbottito fissato da una linea di tre bottoni a capitonné, l’altra con il già collaudato disegno con sei cuciture verticali. Il tema delle cuciture verticali deriva dal disegno delle sedute dell’automobile Citroën DS, della quale Osvaldo Borsani è stato uno dei primi acquirenti italiani.


Alcuni modelli della serie P125 senza rotelle, con le cuciture verticali e la poltrona bassa con due bottoni capitonnĂŠ

Altri modelli della poltrona P125, a quattro razze con rotelle e con le cuciture verticali

Alcuni modelli della serie P125 con l’imbottitura a bottoni capitonnÊ

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Osvaldo Borsani T96 Scrivania direzionale Progetto1956 Produzione 1958

Osvaldo Borsani, disegno di studio ad acquarello del tavolo direzionale T96 Disegno tecnico-costruttivo del tavolo T96

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La scrivania T96, che sviluppa i temi della T90 e del T58, nasce in occasione dell’arredamento coordinato da Osvaldo Borsani per il palazzo ENI di San Donato Milanese. L’originale forma angolata del piano prende spunto dalla pianta esagonale dell’edificio progettato da Marcello Nizzoli con Mario Oliveri e risulta la migliore soluzione per ottimizzare gli spazi. Questa forma meno rigida e più dinamica, in un certo senso coinvolgente, si dimostrerà, grazie

anche alle cassettiere girevoli, un modello innovativo in grado di rispondere a nuove domande del mondo ufficio, per scrivanie direzionali sempre meno di rappresentanza, ma piuttosto pratiche, operative e relazionali. I sostegni con tre razze sono in alluminio pressofuso o in acciaio inossidabile lucido. Il piano in legno di noce o palissandro presenta anche una versione con sottomano in cuoio. Le cassettiere sono girevoli e intercambiabili.


Vista laterale del tavolo T96 con la caratteristica forma del piano piegato a boomerang Il tavolo T96 con la poltroncina P99 e lo stesso scomposto nei suoi vari elementi

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Osvaldo Borsani T58 a/b/c/d/e/f Tavolo meeting a diverse lunghezze Progetto1961 Produzione 1962

Derivato in parte dal tavolo T43 (1955), questa versione piĂš grande a diverse dimensioni, da 250 a 600 centimetri, presenta basamenti a colonna in acciaio cromato, a due altezze. Il piano, esagonale con i lati piĂš corti leggermente smussati, presenta tutti i lati del piano sfaccettati sopra e sotto.

Il tavolo per riunioni T58; intorno, le poltroncine P20 Vista frontale del tavolo per riunioni T58

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Disegno tecnico-costruttivo della struttura portante con razze d’appoggio del tavolo T58 Disegno tecnico riassuntivo delle diverse dimensioni del piano, con i diversi spessori, per il tavolo di riunione T58


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Osvaldo Borsani (attribuito)

Con lo slogan “Il colore nell’ufficio” Tecno presenta nel 1966 una nuovo sistema operativo per il settore terziario realizzato mediante mobili solo metallici con una proposta di colori che all’epoca costituiva una novità. Questa serie di pezzi, che cerca di aggiornarsi rispetto alle nuove richieste del mondo dell’ufficio, anticipa di due anni il sistema Graphis.

Compos Sistema per ufficio Progetto e produzione 1966

Diverse combinazioni del sistema per ufficio Compos

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La struttura è in acciaio cromato, i piani sono in laminato plastico grigio, i blocchi delle cassettiere sono smaltati in cinque colori armoniosi (bianco, marrone neutro, verde, nero, giallo). Nella presentazione sui cataloghi si metteva in evidenza che le “dimensioni esatte permettono l’interscambio dei vari pezzi”.


Osvaldo Borsani T118 Tavolo Progetto e produzione 1967

Tavolo con gambe tubolari in acciaio inox, piano in legno di noce, palissandro oppure laccato poliestere bianco o nero nelle versioni lucido od opaco. Realizzato in versione normale con piano rettangolare e in versione tavolo basso con piano quadrato.

Le due versioni, alta e bassa, del tavolo T118

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Osvaldo Borsani T160, MG160 Scrivania direzionale e mobile di servizio Progetto e produzione 1967

Derivata in parte dal tavolo T43 (1955), questa scrivania direzionale utilizza due sostegni a colonna in alluminio inossidabile lucido con tre razze, disposti sull’interasse longitudinale. Il piano, smussato sugli angoli, è in legno di noce o palissandro, con sottomano in cuoio.

Vi si accompagna il mobile di servizio MG14, composto di tre elementi sempre in legno di noce o palissandro. La mensola superiore è fissata a supporti in acciaio e i contenitori laterali, incernierati su montanti, sono mobili su rotelle.

Vista frontale e disegno tecnico-costruttivo del tavolo T160 Mobile di servizio MG160 e vista frontale ambientata della combinazione del tavolo T160 con il mobile MG160

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Anni sessanta Nuove forme per la programmazione industriale


Edoardo Vittoria E105 Prisma Libreria a prismi componibili Progetto e produzione 1964

Composizione ambientata della libreria a elementi componibili E105 Prisma

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Questo sistema di libreria a giorno nasce per essere utilizzabile in diverse zone della casa, per risolvere tanti problemi occasionali, con l’intenzione di lasciare in mostra, come si leggeva sulla scheda del catalogo commerciale, “cose che fa piacere vedere, toccare, osservare”. Si coglie in questa proposta d’uso la volontà di andare incontro alle nuove dinamiche dell’abitare e alle grandi trasformazioni che si stanno creando negli interni domestici in conseguenza

delle rivoluzioni sociali e culturali di quegli anni. La libreria si costruisce con due elementi (aperti sui due fronti), uno quadrato e l’altro rettangolare, eseguiti in legno colorato a smalto nei colori bianco, rosso e nero, i quali possono essere isolati oppure accostati mediante giunti in alluminio anodizzato nero. La notevole libertà compositiva degli elementi consente un’ampia gamma di combinazioni, come gioco sia costruttivo sia cromatico.


Due composizioni a muro dei moduli del sistema componibile E105 Prisma

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Robin Day Mk2 Sedia impilabile con seduta in Moplen Progetto 1962-1963 Produzione Tecno 1966

Diverse viste con varie soluzioni di sostegno della sedia Mk2 disegnata da Robin Day

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La sedia Mk 2 viene prodotta dalla Tecno su licenza dell’azienda inglese S. Hillie & Co. Ltd., che la produceva su disegno di Robin Day già dal 1963 con il nome Mark II o Polyprop. La Tecno collabora per la diffusione in Italia, Germania e Spagna. La sedia di Robin Day è la prima con la seduta realizzata in un pezzo solo ottenuto a stampo per

iniezione in polipropilene, prodotto dalla Montecatini con il nome commerciale di Moplen. La sua solidità e resistenza sono eccezionali, soprattutto considerando il suo peso, che è di soli tre chili. Questa sedia può essere accatastata con cento pezzi in un metro quadrato fino a raggiungere un’altezza di 2,60 metri. La conchiglia della seduta


in Moplen, accoppiata a una serie di supporti metallici, risolve le più svariate esigenze nella casa, nell’ufficio, nei locali pubblici e all’aperto. Le sedute sono prodotte nei colori antracite, grigio e arancio con finitura opaca. Si può disporre di una vasta gamma di colori per le ricoperture in tessuto. Dopo circa due anni di produzione la Tecno ha messo

sul mercato circa settantamila pezzi, mentre nel mondo intero viene superato il milione di esemplari prodotti. Questo modello apre la strada allo studio di un modello originale Tecno di scocca di seduta stampata in materiale plastico, che sarà la Modus, prodotta nel 1972.

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Mario Bellini Serie1000 Nastro Sistema di contenitori Progetto e produzione 1967

Questo progetto nasce in coincidenza con la fondazione della rivista “Ottagono”, nel 1966, quando si tentò un nuovo rapporto sinergico della Tecno con la rinomata industria del mobile Cassina intorno alla gestione comune di una nuova catena di negozi denominata Quadrante. Mario Bellini, che aveva iniziato a lavorare per Cassina, viene scelto come designer adatto per creare un sistema di contenitori (Tecno) da proporre insieme con una linea d’imbottiti (Cassina). La serie 1000 Nastro si propone come una parete mobile attrezzata: in effetti è possibile considerarla un paravento, un divisorio, una libreria a muro, un mobile tradizionale o un nuovo sistema di contenitori a seconda del contesto in cui vengono impiegati e offre perciò la più ampia disponibilità e flessibilità d’impiego stimolando l’utente a inventare e reinventare lo spazio fisico e funzionale dell’abitazione. “[...] la libera componibilità dei singoli elementi”, affermava Mario Bellini su “Ottagono”, n. 5, 1967, “permette soluzioni diverse, si adatta a molte possibilità che possono nel tempo variare; insegna, insomma, o vorrebbe insegnare come usare le cose, come viverci insieme, come abitare. I singoli pezzi non vogliono essere caratterizzati, ma avranno l’aspetto e la funzione che sarà loro assegnata dall’uso. Non si tratta di una moda o di un capriccio, ma di un modo reale di vivere e di abitare, nel quale questi ‘liberi oggetti’, trovano la ragione della loro attualità”. Gli elementi possono essere collegati in un modo semplice e facilmente smontabile con apposite cinghie in nylon che permettono la rotazione di 360° di ciascun elemento rispetto al contiguo. Elemento contenitore alto a libera installazione costruito con i pannelli del sistema serie 1000 Nastro Blocco basso apribile realizzato con pannelli della Serie 1000

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Ambientazione: in primo piano e sul fondo, alcune composizioni realizzate con i pannelli del sistema Serie 1000. Sulla sinistra, dello stesso autore, la poltrona della serie Le Mura, realizzata nello stesso anno per Cassina

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Valeria Borsani, Alfredo Bonetti P/PA120, D120 A/B/C Poltrona, panchetto e divano Progetto e produzione 1966

Serie di imbottiti dalla forma quadrata e compatta, caratterizzati da un tema di bracciolo a cuscino piegato, che appare quasi in contemporanea in altri celebri modelli di quegli anni.

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Eseguiti in tessuto o pelle, si staccano da terra mediante piedini cromati costituiti da un tubo saldato asimmetricamente su un disco.

Schizzo di studio del risvolto del bracciolo e della rientranza dei piedini Vista frontale del divano D120C in pelle. Si notino i piedini disassati verso l’interno rispetto al disco d’appoggio


Kugo Toru Lampada da terra componibile Progetto e prototipo 1964

Kugo Toru è stato uno dei più importanti progettisti interni all’azienda, prima come stretto collaboratore di Osvaldo Borsani, poi a fianco di Carlo Fantoni nella gestione del Centro Progetti Tecno. Del suo personale lavoro rimane questo prototipo di lampada

da terra costruita secondo un sistema modulare componibile realizzato con fogli di materiale plastico traslucido fissati su una struttura metallica, secondo un procedimento analogo a certe costruzioni “tensegrity” di Buckminster Fuller.

Visione illuminata della lampada da terra componibile disegnata da Kugo Toru

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Gio Ponti Triposto e collezione di mobili su rotelle Progetto e prototipo 1967-1969

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La collaborazione di Gio Ponti con la Tecno inizia sul finire del 1967. La proposta progettuale avanzata da Ponti è quella di un sistema di mobili su rotelle, che lui considera più interessante e con grandi sviluppi futuri rispetto a tutti i sistemi componibili. Le forti personalità di Borsani e Ponti, per quanto i due si stimassero vicendevolmente, sono destinate più a scontrarsi che a incontrarsi, anche perché se in questo caso Ponti è il designer, Borsani è da una parte, con il fratello, il titolare dell’azienda, ma dall’altra è anche l’art director e il designer principale, per non dire quasi unico, della Tecno. Di questa storia si sono trovate nell’Archivio Borsani alcune lettere di Ponti (non si conoscono le risposte di Osvaldo Borsani) che testimoniano dei passaggi cruciali

di questo progetto e della appassionata convinzione di Ponti sulla necessità di questo genere di mobili. Nella prima lettera (5 gennaio 1969), calligrafica e istoriata secondo il più classico stile epistolare di Ponti, facendo riferimento probabilmente al prototipo dell’elemento “Triposto” di quel sistema, ricevuto in omaggio dalla Tecno, Ponti scrive: “Grazie, caro Borsani, dell’omaggio. Io le farò omaggio dei disegni [...]. Ma Lei avendo fatto questo prototipo, ed avendo fatto letto ed armadio perché non li valorizza? Non crede che quella sarà la via di domani? Io sì! Se un giorno ci crederà mi avverta, facciamo subito cose interessanti. E così in plastica! suo GP.” Ma si capisce che in pochi mesi la questione prende una brutta china se in una lettera battuta


a macchina del 30 maggio 1969, Ponti, con tono laconico, fa un chiaro riferimento all’epilogo di quel percorso che vede il suo progetto fuori dal programma produttivo della Tecno: “Caro Borsani”, scrive Ponti, “che Lei possa pensare di non mettere, in anche piccola produzione, il triposto e il letto a rotelle, debbo comprenderlo perché ciò è facoltà Sua. Questo però mi ha deluso, e questo potete comprenderlo anche voi, ma debbo aggiungere che mi sarebbe stato caro se me lo aveste detto subito, perché io avrei avuto la libertà di rivolgermi a qualcun altro. Con care cose suo Gio Ponti.” Ma già alla fine dell’anno 1969 Ponti ritorna alla carica e in occasione di auguri di buon anno nuovo scrive a Borsani un’altra delle sue celebri lettere calligrafiche e istoriate: “Caro

Borsani”, scrive Ponti, “Lei non ha creduto in me e non ha fatto tutta la camera da letto a rotelle che Le avevo disegnato! Perché non la fa per Eurodomus 3 (in maggio a Milano). Legga in Domus 481 del dicembre 69 il mio articolo per Eurodomus 3. La vuol fare? Le faccio questo augurio per il 1970! Gio Ponti”. Si arriva così alla realizzazione di una pre-serie da esporre alla Mostra Eurodomus del 1969, come si legge in una lettera dattiloscritta del 20 gennaio 1970: “Caro Borsani, il dr. Ratto mi dice la Sua intenzione di partecipare vistosamente ad EURODOMUS 3, e ciò mi fa piacere perché è una prova di fiducia. Non so però se, date tutte le richieste, riusciremo a darle tutti i mq. richiesti. [...] Vorrei vederLa, perché se Lei ha presentato già tante volte,

col meritato successo, i suoi mobili candidi d’ufficio [si riferisce al Sistema Graphis presentato nel 1968, n.d.a.], può essere questo il momento per la presentazione di un complesso di mobili ‘movibili’, della cui serie Lei ha già realizzato il triposto e il letto, ed io le avevo anche dato i disegni per armadio e comò. Io credo fermamente in questa concezione libera dell’arredamento della casa, e non ho nessuna fiducia nei blocchi componibili. Il richiamo all’idea che ha ispirato quei primi mobili non è solo per farne degli altri, ma per farne una dimostrazione integrata, completa e suggestivissima del loro impiego, come visione moderna d’ambiente per vivere. Le spiegherò [aggiunto a mano, n.d.a.] [...]”. Non si hanno documenti o testimonianze precise che

ci spieghino il motivo per cui Borsani alla fine decise di non mandare in produzione la collezione di elementi d’arredo disegnati da Ponti, ma è facile immaginare che la proposta di Ponti, per quanto ispirata al tema caro a Borsani della “mobilità”, di fatto esteticamente non coincideva con l’immagine che Borsani aveva della sua creatura Tecno. Nel 1991, scomparsi entrambi i protagonisti di questa storia, Valeria Borsani, curando una nuova collezione di pezzi dedicata alla storia ABV, propone a catalogo il pezzo più interessante del sistema ideato da Ponti, il sedile-scrittoio noto come Triposto.

Due lettere scritte da Gio Ponti a Osvaldo Borsani per perorare la causa a favore della messa in produzione dei “mobili su rotelle” Il “Triposto” in primo piano e gli altri “mobili su rotelle” disegnati da Gio Ponti presentati nello stand Tecno alla mostra “Eurodomus 3” del 1970

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Albert Leclerc Free Sistema di contenitori a cubi componibili Progetto e produzione 1968

Le caratteristiche del sistema Free sono descritte in maniera esaustiva nell’articolo Un cubo per tanti mobili, pubblicato su “Ottagono”, n. 11, del 1968. “Il nuovo pezzo componibile messo in produzione dalla Tecno è stato disegnato da Albert Leclerc, giovane architetto canadese che ha iniziato in questa occasione la sua collaborazione con la Tecno. Leclerc non è nuovo a esperienze nel campo del ‘furniture design’ – avendo al suo attivo numerosi lavori americani, ma questo con la Tecno è il primo incontro con i produttori italiani. Free è un cubo di centimetri 35 x 37 x 35 ricoperto in P.V.C. lavabile nei colori bianco, viola, turchese. Può essere aperto su due fronti o su uno solo, può avere un’antina e diventare mobile bar o armadietto. Può essere chiuso con due lastre di perspex traslucido e diventare una lampada. Con un piano di centimetri 160 x 60 si trasforma in una scrivania,

con l’aggiunta di quattro ruote diventa una cassa mobile per giocattoli, con un cuscino, uno sgabello. Free arriva a destinazione imballato, smontato e pronto per essere incollato. Questo nuovo mobile è nato perché la Tecno, circa un anno fa, ha voluto affiancare alla sua produzione di mobili per la casa e per l’ufficio una serie di arredi che avessero una più immediata rispondenza alle necessità e alla mentalità della generazione nuova. Free è nato perciò tenendo conto del rinnovato costume, tenendo conto delle boutique milanesi alla ‘Carnaby Street’, tenendo conto che anche attraverso un arredo, un giovane ha la possibilità di esprimersi e di rappresentarsi. Pertanto questo contenitore vuole essere semplicemente, accanto a una diversa tradizione della Tecno, un mobile senza pretese che però appartiene al proprio tempo e, a modo suo, l’esprime.”

Particolare montato, elemento base scomposto e scatola d’imballo del sistema di contenitori Free

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Diverse combinazioni del sistema di contenitori Free

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Vittorio Borachia, Carlo Santi MB Bigia Poltrona in poliestere smontabile Progetto e produzione 1968

Tra i primi prodotti Tecno realizzati integralmente in materiale plastico, la poltrona si presenta, prima di essere montata, scomposta in due scatole contenenti due cuscini. I quattro elementi delle scatole, in poliestere rinforzato, assemblati con semplici viti bloccanti, costituiscono il sedile, lo schienale e le due fiancate della poltrona. I cuscini, uguali e indipendenti, possono essere ricoperti in velluto a coste, in fustagno o in tessuto di cotone, con una fodera sfilabile

che ne permette, all’occorrenza, la lavatura. La poltrona può essere attrezzata con vari elementi facoltativi assemblabili alle fiancate o allo schienale. Si tratta di una serie di elementi accessori che possono contenere giornali, o costituirsi in piani d’appoggio o in tasche parzialmente chiudibili. La poltrona può essere montata su quattro ruote, oppure su quattro sfere in gomma quando si desideri una mobilità minore. Era prevista un’ampia gamma di colori disponibili.

La poltrona smontabile MB Bigia in versione chiusa a valigia per il trasporto, aperta in funzione e smontata nei vari elementi

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Marco Fantoni T127 Tavolino per soggiorno Progetto 1970 Produzione 1971

Immagini del sistema di tavolini T127 nella versione chiusa e allungata

Nel 1970 Marco Fantoni (prima di decidere di non firmare più prodotti con il suo nome, ma di coordinare il Centro Progetti Tecno) disegna, con un segno dal forte carattere razionalista di scuola Bauhaus, questo tavolino trasformabile da soggiorno.

Caratterizzato da una certa flessibilità d’uso, il T127 si compone di tre parti estendibili: due più basse e più strette scorrono sotto una leggermente più grande, trasformando così il tavolino da quadrato in rettangolare. La struttura dei tre tavolini

è in tubo quadro di acciaio cromato satinato e i piani sono in marmo nero oppure in legno con finitura al poliestere lucido bianco o nero.

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Marco Fantoni T147 Tavolino per soggiorno Progetto 1970 Produzione 1971

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Con un segno estremamente minimalista che precorre i tempi, Marco Fantoni (prima di decidere di non firmare piĂš prodotti con il suo nome, ma di coordinare il Centro Progetti Tecno) disegna alcuni pezzi fra cui questo tavolino basso di grandi dimensioni, particolarmente adatto per ambienti e spazi di rappresentanza e vasti soggiorni. La sua forma pura, che ricorda opere coeve di Donal Judd e di

Nanda Vigo, è realizzata con un basamento, staccato da terra, in legno laccato al poliestere satinato opaco, finito nella parte superiore con un piano in acciaio inossidabile satinato. Al centro di questo piano si dispone ortogonalmente un cubo in acciaio sul quale poggia un ripiano in cristallo dello spessore di 16 millimetri. Sul basamento trovano posto otto cassetti, distribuiti a due a due sui lati.


Viste di tre quarti e dall’alto del tavolino T147

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Giampiero Bosoni

Comunicare con il progetto Tecno


Disegno tecnico per la costruzione geometrica del marchio Tecno ideato da Roberto Mango con Osvaldo Borsani Schizzo di Osvaldo Borsani per un’idea di stand mobile all’aperto da trasportare con un furgone Alfa Romeo, da realizzarsi in occasione della fiera di Parigi alla fine degli anni cinquanta

Quando Osvaldo Borsani, nei primi anni cinquanta, iniziò a proporre con non poche difficoltà al suo fratello gemello Fulgenzio e a suo padre Gaetano Borsani di fondare una nuova azienda dedicata alla produzione di serie di elementi d’arredo progettati come oggetti tecnici, probabilmente aveva già ben presente la necessità di dare forza a questa idea anche attraverso una nuova comunicazione. L’esperienza che Osvaldo Borsani aveva già sperimentato a metà degli anni trenta nell’azienda paterna, nella quale aveva introdotto molto dello spirito razionalista appreso durante la sua formazione d’architetto, lo aveva visto fra l’altro anche rinnovare la comunicazione della Arredamenti Borsani Varedo, stilizzandone il nome in un semplice acronimo-marchio, ABV e adottando un secco carattere a bastone che andava a sostituire un marchio ancora molto scritto e decorato. Appena dopo la seconda guerra mondiale, in un clima di grande fermento culturale e imprenditoriale per la ricostruzione, si diffondono nel mondo del progetto e delle imprese (soprattutto grazie alle riviste, “Domus” in particolare) alcune proposte innovative e dinamiche di una moderna visione dello spazio domestico, fra le quali spiccava quella degli Eames con i loro rivoluzionari mobili in compensato curvato prodotti dalla Herman Miller. Borsani rimane affascinato da quella produzione e anche dal linguaggio comunicativo dell’azienda americana. Oggetti pratici, smontabili,

mobili e una comunicazione semplice, immediata e dinamica diventano per Osvaldo Borsani i concetti chiave con i quali comporre l’immagine del suo progetto Tecno. Un’importante testimonianza di questa visione in nuce è ben rappresentata dalla grafica del primo catalogo Tecno1, del 1953-1954, nel quale viene proposta una scelta esemplare di pezzi ancora provenienti dalla collezione ABV. Segni distintivi del catalogo sono il marchio, ancora provvisorio con la sola scritta intera (con un gioco “tecnico” di positivo-negativo alternato), e soprattutto l’uso inedito di campiture dalle forme sinuose e stondate, tipiche di Charles Eames graphic designer, sulle copertine di “Arts & Architecture”, nel periodo 1942-1944. Nel 1954, in occasione della strategica presentazione della Tecno alla X Triennale di Milano, compare il celebre marchio con la “T” maiuscola, dalle ampie grazie. Ideatore di questo segno, dalla forte valenza iconica, è Roberto Mango2, giovane architetto napoletano appena tornato dagli Stati Uniti dove, grazie a una borsa di studio del piano Marshall, aveva trascorso tre anni tra Princeton, M.I.T., Boston, Gropius, Fuller, e che aveva lavorato a New York da Raymond Lowey, vissuto a casa dell’artista Nivola, nel monolocale già abitato da Le Corbusier, e fatto l’art director della rivista “Interiors”: insomma la persona giusta per dare uno spirito internazionale al progetto Tecno. “La T nacque così, di getto”, ricorda Roberto Mango in una puntuale ricostruzione storica3, “uno schiz199


Pagina pubblicitaria della poltrona P32, fine degli anni cinquanta

zo in piedi sullo scalone della Triennale del ’54, la Decima. La T, come la A, l’H, la U e la V è una lettera assiale, simmetrica. È anche una costruzione: base, sostegno, copertura. La matrice geometrica mi indusse subito a tradurre graficamente il nuovo spirito della Tecno. Evitarne il rigore delle angolazioni ricorrendo alle curve. Solo la curva poteva dare il senso della tecnica e dell’esattezza industriale, mediate però in una libera espressività. La curva pone l’alea della sua scelta. Quale curva? Quali rapporti? Dall’idea ‘Tecno’, l’idea di elementi uguali, ripetibili, precisi, ma al tempo stesso nuovi e liberi; la matita trovò subito una curva unica da definire a compasso. In alto un grande arco superiore (copertura), un semicerchio, cioè due quarti di cerchio. Poi analogamente due quarti uguali, ma rovesci (base). Totale quattro quarti di dimensioni uguali, due per sorreggere e due per coprire. L’impostazione piacque ad Osvaldo per la chiarezza e l’immediatezza dell’idea costruttiva di due geometrie essenziali, non limitata a pura ricerca grafica. Nello sviluppo dello schizzo, compasso alla mano, le due componenti, nel rapporto del quadrato come prima approssimazione, risultano troppo distanti tra loro. Il quadrato è sempre troppo alto! Così ridussi l’altezza di un quinto rinunziando alla corrispondenza orizzontale dei due cerchi. L. =10, H. =8. L’esilità dell’asse centrale di sostegno tra i due elementi piaceva perché faceva pensare a quel minimo strutturale come il tondino metallico standard degli anni ’50. La costruzione poteva anche essere realizzata strutturalmente in qualsiasi materiale. Il sostegno risultava graficamente inutile, ma ne facilitava la lettura e, comunque, ne dava un senso strutturale più compiuto. Oggi che quella ‘T’ non può essere che TECNO proporrei quasi di eliminarlo. In ultimo scherzando con Osvaldo, gli chiesi una lira per ogni riproduzione! Oggi, ripensando allo spirito di quei giorni, sono molto soddisfatto di aver trovato un segno costruito, nato e cresciuto bene.” Con l’adozione della “T”, ideata da Mango insieme a Borsani, l’immagine Tecno trova la sua chiave di volta. I cataloghi e le pubblicità degli anni cinquanta e primi sessanta sono evidentemente ispirati al segno grafico introdotto dagli Eames,

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a partire dal 1948, nell’immagine Herman Miller, e a ben vedere anche il marchio riflette questa ricercata analogia di forma e struttura. Non dimentichiamo comunque che in quegli anni in Italia si apre una stagione molto vivace e interessante anche del design grafico, che ha sicuramente nel caso Olivetti un modello esemplare e stimolante per qualsiasi ricerca di un concetto moderno di immagine coordinata. Nel periodo a cavallo tra gli anni cinquanta e sessanta, anche se sui cataloghi e sulle pagine pubblicitarie della Tecno non compare mai un nome di designer grafico, si sa che Borsani coinvolge per la comunicazione Enrico Ciuti, fra l’altro il disegnatore dell’immagine introduttiva della X Triennale del 1954. A conferma della dinamicità dello spirito Tecno di quegli anni, è interessante osservare la freschezza dello schizzo, conservato nell’Archivio Borsani a Varedo, dove appare una struttura mobile espositiva (probabilmente per una fiera a Parigi) collegata a un furgone adattato a veicolo pubblicitario con la grande “T” sul fianco. Altra questione che è importante sottolineare è la considerazione che sin dagli inizi la Tecno ha riservato alla qualità comunicativa della parola scritta, curata attentamente dagli stessi fratelli Borsani. In tal senso ricordiamo in particolare il testo, scritto appositamente per una pagina pubblicitaria (1957) della poltrona P40, da uno dei più famosi scrittori-giornalisti dell’epoca, Orio Vergani, i contributi diretti e indiretti del poeta-ingegnere Leonardo Sinisgalli (a lui si deve, fra l’altro, un’affascinante presentazione del sistema Graphis sul primo catalogo del 1969); altri autori si sono aggiunti col tempo, offrendosi gentilmente di descrivere aspetti salienti del progetto Tecno: Natalia Aspesi, Guido Vergani, Giulio Carlo Argan, Pier Carlo Santini, Daniele Baroni e Joseph Rykwert. A questa visione comunicativa a tutto tondo appartiene anche la partecipazione attiva alla fondazione di una delle prime riviste del settore design, interni, architettura sostenuta da un gruppo di aziende, “Ottagono”, che nasce nel 1966 e viene diretta per molti anni da Sergio Mazza con Giuliana Gramigna. Dopo l’esperienza con Enrico Ciuti la comunicazione grafica della Tecno conosce un


Busta con immagine coordinata Tecno, fine degli anni cinquanta Giulio Confalonieri, coordinato grafico per cataloghi e pubblicazioni Tecno, primi anni settanta

breve ma importante periodo di collaborazione, nel biennio 1968-1969, con lo studio Unimark di Bob Noorda e Salvatore Gregorietti, a cui segue, nei primi anni settanta, un intenso lavoro d’impostazione dell’immagine aziendale su progetto di Giulio Confalonieri. Da quest’ultima definizione, che porta il marchio a diventare l’elemento chiave di riconoscibilità della Tecno, i Borsani considerano maturo il processo di consolidamento dell’immagine aziendale e decidono di portare anche questo aspetto della comunicazione all’interno di una nuova organizzazione progettuale coordinata dentro l’azienda. Dal 1972 sarà il neonato Centro Progetti Tecno – già incaricato di tutta la parte progettuale dei prodotti e guidato da Marco Fantoni con Valeria Borsani – a occuparsi attraverso l’équipe interna di communication design, coordinata da Roberto Davoli, della gestione, insieme al gruppo marketing, anche della comunicazione aziendale4. Negli anni settanta, sino ai primi novanta, si sviluppa un significativo impegno della Tecno in operazioni culturali quali le mostre dedicate ad artisti storicamente vicini ai Borsani (fra gli altri Lucio Fontana, Agenore Fabbri, Arnaldo Pomodoro), nelle prestigiose sedi che la Tecno aveva nel frattempo aperto in Europa e nelle Americhe; alcune mostre a tema culturale quali “Torino: dallo scrit-

toio del Presidente” (Torino, 1983); ma anche a curare, nei contenuti e nella grafica, una collana di libri, “Edizioni Tecno”, dedicata all’opera di alcuni dei più significativi protagonisti dell’architettura contemporanea, vicini alla cultura e alla produzione Tecno. Il Centro Progetti Tecno mantiene costante il suo programma di lavoro, sino alla fine degli anni novanta, quando diverse trasformazioni societarie cambiano gli orientamenti strategici dell’azienda. In tempi più recenti, nel 2006, è stato apportato un aggiornamento al marchio, più precisamente al logo posto sotto al marchio, da parte dello studio Lissoni Graph.x (coordinato da Sergio Menichelli, con Tommaso Cavallini, Bessi Karavil, Alberto Cantone) nello stesso periodo in cui il designer Piero Lissoni è stato anche l’art director dell’azienda. Nel 2008 lo studio Graph.x ha curato anche l’immagine coordinata, minimale e rarefatta, dei cataloghi Tecno.

Vedi il capitolo 1953: il progetto Tecno a quattro mani, p. 32. 2 Cfr. Ermanno Guida, Roberto Mango, progetti, realizzazioni, ricerche, Electa Napoli, Napoli 2006. 3 Testo tratto da una lettera scritta l’8 ottobre 1990, da Roberto Mango a Giuliana Gramigna. Archivio Borsani, Varedo. 4 AA.VV., The European Design Prize 1988, European/ECC Design Editions, 1988. 1

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Centro Progetti Tecno (responsabile del communication design Roberto Davoli), pubblicazioni e immagine coordinata della Tecno, dalla metĂ degli anni settanta

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Anni settanta Centro Progetti Tecno: il passaggio del testimone


Osvaldo Borsani, Eugenio Gerli Graphis Sistema per ufficio Progetto 1967 Produzione 1968

Disegno esploso della scrivania Graphis per il brevetto depositato al Patent Office U.S.A. il 20 ottobre 1969, e accordato il 16 maggio 1972 con il n. 3.663.079

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Il sistema Graphis viene presentato nel 1968 alla XIV Triennale di Milano, che ha per titolo “Il grande numero”. Quasi a voler portare una forte dichiarazione d’intenti rispetto al tema dell’esposizione, con questo prodotto “maturo” dal punto di vista seriale la Tecno sancisce il suo definitivo passaggio verso la produzione industriale. La forma assoluta ed elementare di questo sistema, in sintonia con l’arte programmata di quegli anni, offre una lettura coraggiosa, per non dire radicale, dello spirito dei tempi, e non solo rispetto alla rivoluzione nel mondo dell’ufficio. Così Osvaldo Borsani commenterà anni dopo il percorso evolutivo di questo progetto: “Avevamo bisogno di una serie di arredi per uffici che, integrando i modelli che continuiamo anche oggi a produrre e che si rivolgono soprattutto al settore direzionale e di rappresentanza, coprissero tutta l’area dell’ufficio operativo. Cercavamo di determinare una tipologia che fosse in sé poco caratterizzante e quindi adatta secondo i più attuali criteri ad un impiego indifferenziato: dal direttore d’ufficio, all’impiegato, all’usciere.” Questa visione “democratica” dello spazio del lavoro cercata da Borsani viene interpretata da Leonardo Sinisgalli (in un testo per il primo catalogo del prodotto), anche rispetto alle scelte formali apparentemente in antitesi con il momento della “fantasia al potere”, in genere intesa come una grande libertà creativa sino alla ridondanza decorativa. “Sono contento”, scrive Sinisgalli, “che i due autori abbiano rispettato la geometria. Tagli netti, angoli retti, superficie piane. Niente gonfiori, raccordi, bolsaggini. L’idea non viene nascosta, ma scoperta ... Spesso la fantasia deve servire a scarnire non ad accumulare.” Il senso programmatico di questo progetto viene ribadito nell’introduzione del catalogo di presentazione, che poneva una premessa chiara: “L’indagine per la ricerca degli ‘strumenti’ di lavoro

nell’ufficio operativo d’oggi, ha portato allo studio dei ‘sistemi’, cioè al superamento del mobile singolo caratterizzato e predisposto, sostituito da elementi base per combinazioni illimitate e mutevoli nei programmi e nel tempo. Tutto ciò viene richiesto non solo dall’impostazione della stessa architettura degli uffici (pareti mobili, spazi fluidi e fruibili in modo variabile), ma anche dall’organizzazione stessa dei canali di vendita che necessita agilità di composizione, riduzione del magazzinaggio e semplicità nell’approvvigionamento. Si trattava per tanto, in questo caso, di giungere a una normalizzazione di dimensioni e colori.” Il 20 ottobre 1969 Osvaldo Borsani ed Eugenio Gerli (il francese Joseph Motte fu citato come autore per i primi dieci anni per problemi brevettuali), come inventori per la Tecno, fanno richiesta al Patent Office USA del brevetto d’invenzione per un “Modular Elements for Pieces of Furniture and Pieces Furniture Obtained Thereby”, che viene accordato il 16 maggio 1972 con il n. 3,663,079. Il sistema Graphis si realizza con la combinazione di tre elementi base: una “L” portante in lamiera smaltata bianca, una cassettiera e un piano in laminato plastico. Gli angolari portanti a “L” sono in lamiera di acciaio piegata, smaltata al forno, con pattini di appoggio a pavimento in estruso termoplastico e squadrette di assemblaggio in nylon. La cassettiera viene proposta in tre versioni: C1, più alta, senza rotelle, che arriva alla quota inferiore del piano operativo con due classificatori sovrapposti; C2 e C3, più basse, con rotelle, quindi completamente staccate e indipendenti dal piano operativo, la prima con tre cassetti, l’altra con un cassetto e un raccoglitore. La loro struttura è in lamiera d’acciaio con la smaltatura a forno, i cassetti sono montati su cuscinetti a sfera e altre dotazioni sono le serrature a cilindro e le maniglie e le ruote di nylon. Anche per il piano ci sono due proposte: quello intero e il


Vista dall’alto delle componenti del sistema per uffici Graphis Deposito con le componenti del sistema Graphis imballate. Si nota il sistema d’impilaggio degli angolari a “L”

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mezzo, P e M, con struttura in agglomerato ligneo, rivestimento in laminato plastico finitura opaca e bordi in estruso termoplastico. Il collegamento dei supporti con il piano avviene con squadre e viti autofilettanti, operazione che non richiede l’intervento di manodopera specializzata. In principio il concetto di normalizzazione si è orientato, per ridurre la frammentarietà dei pezzi, sul monocolore: il bianco. In seguito il sistema Graphis è stato proposto prima in versione nera e successivamente anche in versione legno. A questo sistema si è presto abbinata una seduta adeguata e altrettanto innovativa, la Modus (1972), che per altro porta con sé la nota di colore mancante. Con il passare degli anni al sistema Graphis sono stati aggregati diversi elementi: contenitori, raccordi, tavoli riunione, schermi, tavoli per sistemi audio-video. Con l’evoluzione del mondo dell’ufficio, dal tipo open space al tipo screen landscape, verrà sviluppato da Valeria Fantoni Borsani con il Centro Progetti Tecno il sistema Graphisbox (1989), costituito da un articolato numero di pannelliparavento integrati. Per rispondere alle sempre più complesse esigenze di facilità del cablaggio delle diverse macchine elettroniche utilizzate nell’ufficio nel 1993, sempre Valeria Borsani con il Centro Progetti, studia la serie Graphis 5 con le scrivanie regolabili in altezza con passo di un centimetro, dotate di vani completamente ispezionabili per raccolta e passaggio cavi all’interno degli angolari di supporto in lamiera. Nel 2005 il sistema, che è ancora uno dei prodotti di punta della Tecno, viene ulteriormente aggiornato da Piero Lissoni insieme al Centro Progetti Tecno, che oltre alla rilettura di alcuni dettagli propongono un’ampia gamma di colori e materiali. Nel 1990 la produzione di angolari Graphis ha già superato il milione di pezzi, che corrisponde a circa trecentomila postazioni di lavoro.

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Diverse soluzioni compositive del sistema per uffici Graphis, dalla semplice scrivania ad angolo con la zona ribassata per la macchina da scrivere all’articolazione piÚ complessa, che comprende anche le armadiature E4

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Diverse viste e vari dettagli delle scrivanie Graphis con relative cassettiere Le versioni con impiallacciatura in legno e in colore nero della scrivania Graphis Combinazioni alternative dell’uso dell’angolare a “L” sotto i piani

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Sequenza in batteria di scrivanie nella versione Graphis 5, 1993

Il sistema Graphis nella versione riaggiornata da Piero Lissoni e il Centro Progetti Tecno nel 2005

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Giampiero Bosoni

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Il Centro Progetti Tecno


L’originario gruppo di lavoro del Centro Progetti Tecno. Da sinistra: Valeria Borsani, Osvaldo Borsani, Eugenio Gerli, Fulgenzio Borsani, Marco Fantoni Storici collaboratori del Centro Progetti Tecno: il designer giapponese Kugo Toru e il responsabile dell’Ufficio tecnico Enrico Regondi

Dal 1970 il lavoro di industrial and communication design alla Tecno viene organizzato con la costituzione del Centro Progetti Tecno (CPT), che ha sempre Osvaldo Borsani come figura di riferimento (almeno sino a circa metà degli anni ottanta), ma di fatto è coordinato dall’architetto Marco Fantoni, a cui si affiancano con diversi ruoli i collaboratori principali della Tecno quali Valeria Borsani, lo “storico” Enrico Regondi, capo per trent’anni dell’ufficio tecnico, già col-

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Da un’intervista a Marco Fantoni e Valeria Borsani, Milano, 8 febbraio 2011. 2 AA.VV., The European Design Prize 1988, European/EEC Design Editions, 1988.

laboratore prima della guerra dell’ABV di Gaetano Borsani, il giapponese “coscienza critica” Kugo Toru, entrato in azienda nel 1963, il vecchio signor Grassi capo della falegnameria, il “manuale d’immagine vivente” Roberto Davoli, responsabile della comunicazione, e a metà strada l’“esterno”, ma storico compagno di strada di Borsani, Eugenio Gerli. Ricorda Marco Fantoni che quando, alla fine degli anni sessanta, iniziò a lavorare nel gruppo di progetto della Tecno, presto si convinse che dopo l’esperienza iniziale di Osvaldo Borsani non avesse più senso firmare personalmente progetti lavorando all’interno dell’azienda, e propose quindi di presentare tutti i progetti nati all’interno della Tecno come il risultato di un lavoro di gruppo. All’inizio, riguardo a questa idea di progetto collettivo, ci furono discussioni con l’architetto Borsani, che tuttavia presto si convinse che in effetti quello che lui e suo fratello avevano sempre cercato di realizzare era proprio un’unità progettuale e comunicativa dalla forte identità, e il gruppo che

si era formato era appunto il risultato di quel 1

lungo lavoro . Non esisteva una precisa definizione spaziale e culturale di questo CPT, nel senso che a seconda delle varie esigenze e fasi di lavoro si interpellavano le varie competenze e i vari ruoli. A fianco dell’ufficio di Fantoni, dove si coordinavano tutti progetti legati alla produzione (e non i grandi progetti su misura, che venivano seguiti dall’Ufficio Tecnico coordinato da Regondi), si trovavano gli uffici da una parte di Osvaldo Borsani, dall’altra di Valeria Borsani, e poco distante l’Ufficio Pubblicità, incaricato dei cataloghi e degli allestimenti. La serie di sedute Modus, primo progetto firmato CPT, ottiene un grande successo: si calcola che siano state stampate due milioni e centomila scocche. Sono seguiti altri progetti importanti come la panca WS, la poltroncina imbottita PS/S 148, e fra gli altri, che si trovano elencati nel regesto finale, anche diversi progetti di poltrone per auditorium. Dichiarava Marco Fantoni nel 1988, in occasione dello European Design Prize, che era stato assegnato alla Tecno: “Tecno possiede una propria cultura. È una cultura basata sulla cura della qualità, ed è l’eredità più preziosa che ci hanno lasciato i nostri predecessori. Oggi possiamo contare su un’équipe di collaboratori di grande valore, che credono nell’azienda e in se stessi. Dall’esterno preleviamo soltanto alcune competenze specifiche. Questo è il modo migliore per mantenere la nostra qualità al livello che esigiamo.”2 215


Centro Progetti Tecno

Diversi prototipi di studio delle varie parti che compongono la seduta Modus

Modus, GTS, TM, Modus T Seduta per ufficio e per comunità, tavolo Progetto e produzione 1972, 1973, 1981

“La seduta Modus è nata soprattutto per la necessità di dare alla serie per uffici Graphis, una sedia che potesse risolvere i molti problemi posti di volta in volta dall’uso molteplice di questi stessi arredi. La Modus infatti doveva servire per lavorare a un tavolo (con la struttura fissa o a rotelle) per impieghi in sala d’attesa, nelle mense, in auditorium, oppure per lavorare ascoltando, o prendendo appunti sulla tavoletta scrittoio inseribile nella struttura. Per questo, la ricerca sul modello è stata condotta non tanto per raggiungere il traguardo di una sedia specifica, ma per ottenere una vera e propria sequenza, cioè una unione programmata di varie componenti che si combinano a formare differenti soluzioni. L’elemento base di queste molteplici soluzioni è la scocca, che è stata studiata sia per poter essere stampata a iniezione e pronta per il montaggio, oppure

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da usarsi come supporto di una successiva schiumata di poliuretano integrale. In ultima analisi si è scelta la tecnica dello stampaggio ad iniezione, con il nylon come materia base. Le ragioni di questa scelta stanno nell’esigenza di usare un materiale gradevole al tatto e alla vista, che avesse nel contempo caratteristiche tecnologiche tali da permettere un manufatto di alta qualità. Infatti il nylon abbina ad una elevata resistenza meccanica un minimo grado di elettrostaticità; permette una vasta scelta di colori [6 colori diversi, n.d.a.] che, cosa rara nelle materie plastiche, hanno qui un aspetto di eccezionale lucentezza, e una finitura raffinata quale quella di uno smalto o di una porcellana. Per le scocche trasparenti, invece, si è scelto l’acetato di cellulosa. I supporti richiedevano diverse soluzioni che fossero adatte a trasformare la scocca in una sedia

delle molteplici caratteristiche. Le varianti prevedevano diverse alternative: base centrale fissa, girevole, con ruote, gambe che permettessero l’impilabilità; organizzazione di sedili su panche, inserimento di scrittoio-tavoletta. Soluzioni tutte che, appartenendo alla stessa sequenza fossero coordinate, logiche e giuste nel disegno. Per i fusti si è impiegato l’alluminio pressofuso perché questo è materiale che pur rimanendo schiettamente apparente, presenta tutte le caratteristiche di produzione industriale assolutamente analoghe a quelle della scocca di nylon: cioè possibilità di stampaggio a iniezione con limitati interventi successivi e conseguente facilità di produzione in grande serie. L’elemento di connessione tra la scocca e i differenti tipi di base, con i braccioli e con la tavoletta per appunti è uno solo. Esso

è disegnato in modo tale da contenere tutte le possibilità richieste dalla sequenza. Questo elemento ha un disegno con caratteristiche meccaniche molto marcate e una precisione di esecuzione con tolleranze ridottissime. Anche qui è stato impiegato l’alluminio pressofuso. La Modus è composta complessivamente di 65 pezzi differenti fra i quali 10 stampati in pressofusione e 19 stampati ad iniezione in materie plastiche. La cosa importante è comunque che vedendo la sedia montata, sia essa a base centrale, a quattro gambe, con tavoletta o senza, i 65 pezzi siano dimenticati e resti solo un elemento semplice, logico e gradevole.”

Presentazione di Modus sulla rivista “Ottagono” n. 29, 1972, nell’articolo Progettare per l’industria a cura del Centro Progetti Tecno.


La prima forma sbalzata a martello da un foglio di lamiera della scocca per la seduta Modus Disegni di brevetto della seduta Modus depositati al Patent Office U.S.A. il 22 dicembre 1972 con rilascio il 6 agosto 1974 Disegno tecnico-costruttivo del “ragno” in pressofusione d’alluminio posto a sostegno della scocca del sedile

Il 22 dicembre 1972 viene depositata la domanda di brevetto per “Support for the Seat of a Chair”, a firma Marco Fantoni, al Patent Office U.S.A., che rilascia il brevetto d’invenzione n. 3.827.750 il 6 agosto 1974. Nel 1973 viene studiato uno specifico sviluppo della seduta Modus a uso collettività, dove vengono predisposti dei gruppi a batteria da due, quattro o sei posti, denominati GTS, con un unico sostegno del piano del tavolo. Le scocche Modus sono montate su un supporto mediante bracci snodati, con ritorno a molla, che costituiscono il congegno più interessante del gruppo stesso. Nel 1975 nella serie Modus viene introdotto il supporto a cinque razze, e si affiancano i tavolini della serie TM con basamento in alluminio pressofuso con piastra a disco di 60 centimetri di diametro, verniciata in colore nero. I piani sono realizzati in palissandro o in laminato bianco o nero. All’originaria serie Modus A si aggiunge nel 1982 la serie Modus T, dove la tecnologia del ferro va a sostituire quella dell’alluminio, e il tradizionale “ragno” di supporto pressofuso d’alluminio viene sostituito con due profili a “T” in acciaio piegati e poi saldati ai supporti laterali ricavati dal profondo stampaggio di lamiere precedentemente tranciate. L’intera parte strutturale è verniciata nel colore nero con polveri epossidiche.

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Uscita dallo stampo della scocca in nylon del sedile La sedia Modus, con il sedile in nylon, in mezzo a numerose sedie con il sedile in acetato di cellulosa trasparente

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Versione base della seduta Modus con struttura di sostegno a cinque razze e versione impilabile con quattro gambe in alluminio pressofuso

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La scocca del sedile Modus montato su una struttura ortogonale in legno massello Gruppo tavolo-sedie per collettivitĂ , versione GTS del sistema Modus

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Centro Progetti Tecno Serie 403 (T403, C403, R403) Tavoli e mobili direzionali Progetto e produzione 1975-1976

Ideata come serie di mobili direzionali per ambienti di alto livello, la serie 403 si compone di una scrivania, di un mobile retro-scrittoio e di una cassettiera attrezzabile per eventuali funzioni specifiche quali il terminale di calcolatori elettronici. La forma di questi pezzi è rigorosamente ortogonale, quasi astratta, minimo è anche l’uso

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dei materiali e delle finiture: una svolta rispetto alle precedenti serie di tavoli T95 e T96, con piani angolati a boomerang, oppure sfaccettati. La struttura degli arredi è in legno laccato nero opaco, le parti metalliche sono in acciaio e i piani della scrivania e del mobile da parete sono in cristallo a forte spessore.


Vista di tre quarti e disegno tecnico-costruttivo della scrivania T403 Vista frontale ambientata della scrivania T403; dietro, la cassettiera C403 e il mobile di servizio R403

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Centro Progetti Tecno Libreria 333 di Eugenio Gerli Serie 333, libreria 333 Conrad, T334a/b/c, T335a/b/c Scrivanie, cassettiere, mensole, mobili di servizio, libreria e tavoli riunioni Progetto e produzione 1975-1978

Disegno tecnico del tavolo riunioni T334a Particolare del disegno tecnico della sezione trasversale dell’elemento di sostegno di tutti i tavoli della serie 333

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Dopo il fortunato sviluppo dal 1954 al 1968 della serie di tavoli operativi e direzionali per ufficio generati dal modello T90 (T93/4/5/6/7/8/9 con relativi complementi mobili), arriva nel 1969 il sistema Graphis, di Borsani e Gerli, che cambia radicalmente il modo di concepire il mondo del lavoro terziario, in quegli anni in piena rivoluzione. Con la scelta vincente del modello “democratico” Graphis, soprattutto per il livello operativo, in Tecno si inizia a pensare a una nuova serie di scrivanie e tavoli riunione specificatamente dedicati al livello direzionale. Rispetto alle forme caratterizzanti della precedente serie già citata (piani-scrivania in legno a profili smussati, o curvati a boomerang, con sostegni a piantana metallica con quattro

o cinque razze d’appoggio), la nuova serie 333 si orienta verso un disegno compatto e ortogonale. Soprattutto il nuovo sostegno realizzato in alluminio pressofuso lucido mostra una forma analoga a quella di una piccola trave a doppia “T” che disegna un rettangolo con gli angoli stondati (tranne quelli esterni nella parte superiore di attacco al piano). Una forma, questa, che sembra voler riprendere il tema del sostegno in alluminio dei braccioli della serie di poltroncine per uffici direzionali P125 (1966), a quel momento la più importante seduta direzionale Tecno. Su questa linea prende forma la scrivania T333, che sopra ai già citati sostegni, disposti sui fianchi e uniti da una traversa, presenta un piano in legno di wengé o laccato nero. A questo

modello si collegano poi diversi complementi: le cassettiere C333a e C333b, la mensola M333 con diverse lunghezze, e un primo mobile retro-scrivania R333, presto sostituito dalla versione con parti mobili MG33. Quest’ultimo mobile compare soprattutto collegato a un modello di scrivania più grande, T333m, con lo stesso sostegno disposto ai lati, ma raddoppiato. Anche i tavoli di riunione, con diverse misure, T334a/b/c e T335a/b/c, sono prodotti nella stessa essenza. Il primo è composto da tre pezzi assemblati con inserti in acciaio e doppi supporti in alluminio pressofuso come sostegno, il secondo, sempre con gli stessi doppi sostegni, ha il piano in un pezzo solo. Da questi modelli sono poi derivati alcuni tavoli con dimensioni eccezionali,


per sale conferenze o consigli d’amministrazione, intorno ai quali possono trovare posto fino a oltre cinquanta persone. A questa serie è stata abbinata la libreria 333 Conrad, composta di pezzi autonomi che offrono complessivamente sei differenti soluzioni. Il disegno originale di questo modello è di Eugenio Gerli che l’aveva concepito, qualche anno prima, appositamente per il suo studio. Il tema compositivo è quello della stratificazione (ripiano, libri, ripiano), dove appaiono soprattutto gli elementi di suddivisione orizzontale. Appaiono quindi in evidenza i ripiani stondati, in legno a forte spessore, grazie alla trasparenza delle vetrine realizzate con ante di cristallo, senza telaio, che girano su tre lati, fronte e fianchi.

Viste ambientate del tavolo riunioni T334a, del tavolo riunioni T335a e una serie di scrivanie T333 con poltroncine P125

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Osvaldo Borsani Eugenio Gerli

Cupola a Riyadh

Arabia Saudita, 1978

Sulla copertura terrazzata di una villa da poco costruita in un quartiere residenziale di Riyadh era stata richiesta la costruzione di una sala da the, di un soggiorno e di una sala per ricevimenti, creando un ambiente rispondente il più possibile alle tradizioni sociali dei Sauditi. Queste funzioni sono state unificate sotto una copertura, suddividendo e differenziando gli spazi solamente con una particolare disposizione dei divani e dell’architettura dell’interno. Si è proposta una forma circolare, una cupola costituita da “lamelle” orizzontali degradanti che avessero la funzione di ridurre l’incidenza diretta dei raggi di sole; e ciò per creare una zona d’ombra sulle vetrate continue realizzate con un vetro camera con la “parete” esterna dorata per la protezione solare. [...] Le “lamelle” degradanti, completate all’esterno con strisce in alluminio anodizzato color oro (allo scopo di sottolineare la dimensione orizzontale dell’edificio e di snellire gli spessori), sono collegate da tre “meridiani” portanti – poggianti a loro volta sulla struttura sottostante in cemento armato; gli altri tre “meridiani”, assolutamente uguali d’aspetto ai primi, ma non portanti, sono usati solamente come controventature per assorbire gli sforzi di taglio. Questi sei “meridiani”, portanti e non, sono cavi e servono anche come canali di condizionamento, convogliando l’aria trattata

Modellino di studio e alcune fasi di costruzione della cupola con elementi prefabbricati a Riyadh

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alle bocchette lineari per lambire i vetri, con lo stesso principio usato nelle automobili. [...] Tutta la struttura è stata interamente prefabbricata in Italia in lamiera di acciaio con sezioni tubolari verniciate color sabbia, per richiamare la tinta del deserto, successivamente smontata e spedita. Ogni elemento sia della cupola che gli arredi è stato poi rimontato sul posto da tecnici italiani. L’arredamento dell’unico volume interno riprende il tema circolare creando una serie di spazi confluenti, uniformati da una moquette verde scuro e da separazioni a strisce di ottone. I ripiani sono laccati al poliestere lucido mentre i cuscini in seta cruda seguono il tema di colori più libero, richiamante le tinte dei costumi arabi. [...] L’arredamento, completato da un bar e da un impianto stereofonico è stato interamente realizzato dalla Tecno, usando come elementi di serie solamente le poltrone “Clamis” scelte per la loro forma curvilinea. [...] L’ambiente creato risulta suddiviso in una serie di spazi differenziati e concatenati tra loro, ma uniti in un unico volume interpretando le necessità della riunione comune del “majless” (il salone orientale).

Relazione di progetto scritta da Osvaldo Borsani ed Eugenio Gerli, pubblicata sull’house organ “Tecno” del 1979


Alcune viste esterne e dell’interno della cupola arredato su misura, con l’unico elemento di serie riconoscibile dove si vedono anche le poltroncine Clamis della serie142

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Centro Progetti Tecno T407 Tavolo riunioni Progetto e produzione 1974

Particolare della parte retrostante della gamba del tavolo T407, che piegata in basso verso l’interno viene rinforzata con un’aletta Immagine ambientata del tavolo T407

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Marco Fantoni, all’epoca tra i responsabili del Centro Ricerche Tecno, ricorda che questo tavolo è nato da alcuni ragionamenti condotti con il designer giapponese Kogu Toru, interno al Centro Progetti. L’elemento caratteristico della gamba piegata in basso verso l’interno si deve tuttavia all’intuizione di Osvaldo Borsani, che suggerì questa elegante piega per rendere meno ingombrante la presenza delle gambe angolari a filo esterno del tavolo. Secondo Fantoni questo è probabilmente l’ultimo prodotto seguito nella sua fase progettuale e produttiva dallo stesso Borsani.


Centro Progetti Tecno PS/S 148 Poltroncina e sedia su rotelle Progetto e produzione 1980

Dopo la serie di sedute S/PS142 disegnate da Eugenio Gerli nel 1966 (ancora oggi in produzione), la Tecno propone, a distanza di quattordici anni, un’altra serie di poltroncine imbottite dalle forme squadrate, concepita sullo stesso principio di pannelli imbottiti assemblati ortogonalmente. La semplicità e le corrette proporzioni di questo modello gli hanno consentito di essere regolarmente in produzione da più di trent’anni. La struttura metallica è integrata a un’imbottitura stampata in schiume poliuretaniche che formano dei pannelli rivestiti in tessuto o pelle.

Particolare delle cuciture del rivestimento in pelle sul retro della poltroncina S148 Viste di tre quarti di due poltroncine PS148

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Centro Progetti Tecno T210 Serie di tavoli meeting Progetto e produzione 1975

Questa serie di tavoli è composta da modelli prodotti in tre altezze e in altrettante dimensioni di piano; la sua caratterizzazione è posta prevalentemente nel tema strutturale d’angolo della gamba, ricavata da un elemento strutturale per eccellenza, cioè una putrella in acciaio (trave IPN) avente dimensioni di 100 x 50 x 4 millimetri. Gli interventi successivi di piegatura, sabbiatura e brunitura, rendono questo

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manufatto ancor più essenziale e maggiormente valorizzano. L’appoggio al pavimento avviene tramite una fusione in bronzo, la cui impronta è ricavata dalla sezione della putrella piegata. I piani sono finiti con laccatura al poliestere, lucida nel riquadro centrale e satinata nelle quattro fasce di bordo. Nella volontà dei progettisti una chiara incisione e la differenza di finitura indicano percettivamente il confine tra

piano d’uso e piano di servizio. In alternativa questi tavoli sono realizzati anche con un piano in granito. La pulizia del disegno e la cura del dettaglio fa sì che questa serie di tavoli possa essere proposta con una notevole flessibilità d’uso, che li vede adatti tanto in una situazione domestica di pranzo-soggiorno quanto in una situazione di ufficio di rappresentanza.


Particolare dell’attacco al piano della gamba realizzata con una putrella in acciaio IPN piegata Immagine ambientata di un tavolo T210 con alcune poltroncine PS148 Disegno che illustra il tipo di putrella in acciaio IPN e le piegature a cui viene sottoposto per realizzare le gambe del tavolo T210

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Centro Progetti Tecno WS, WSp, WS2 Sistema di sedili e panche Progetto e produzione 1981-1983

Alcune viste e disegni di sezione di pianta del sistema di sedute WS. Si nota la variabile sistemazione del tondino di ferro nello sviluppo orizzontale della seduta

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Waiting System è un sistema di sedili su barra studiato per i luoghi d’attesa, in particolare per risolvere il tema della seduta in spazi vissuti e usati da molte persone (aeroporti, parchi, hall, metropolitane e così via). Come si legge nella presentazione sui cataloghi: “Su ogni altra considerazione si sono privilegiati nel progetto criteri di robustezza, igienicità, pulizia e comfort.” La seduta ha il modulo di 60 centimetri ed è in rete di acciaio armonico, decapato, fosfato e verniciato a polveri epossidiche

in colore bianco o nero. Il basamento è di serizzo a piano sega. I tavoli sono in lastre di serizzo dello spessore di 3 centimetri, segati, frullonati e spigolati. Sono previsti come optional imbottiture a strisce longitudinali e braccioli. Nello studio di questo sistema si è cercato di assolvere i problemi pratici che il tema imponeva non solo per l’uso in spazi collettivi chiusi, ma anche nell’arredo urbano. Il tipo WS2 ha la struttura portante in acciaio verniciato nero.


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Angelo Cortesi/G.P.I., Marco Fantoni, Gianfranco Facchetti, Umberto Orsoni/G14

Immagine coordinata delle agenzie Alitalia nel mondo

Prima sede tipo a Londra, Gran Bretagna, 1982-1983

Nel contesto di una strategia aziendale tesa a rilanciare il made in Italy, attraverso la capacità interpretativa e conseguente realizzazione del gusto e dello stile italiano, nel 1982 l’Alitalia invita alcune qualificate aziende italiane a concorrere con un progetto d’idee per rinnovare l’immagine e gli spazi delle proprie agenzie nel mondo. La Tecno, che si avvale per la progettazione dello Studio Cortesi e dello Studio G14, viene prescelta per la realizzazione della nuova agenzia di Londra, in Piccadilly. “Partendo dalla constatazione che un progetto tipo per agenzia passeggeri debba adattarsi alle più svariate caratteristiche fisiche di spazi disomogenei fra loro”, si legge nella relazione di progetto, “abbiamo ritenuto di proporre una soluzione che, attraverso una scelta progettuale, realizzi, in un insieme

equilibrato delle varie finiture, un ambiente che sia omogeneo tanto in rapporto ai diversi contesti socio-economici di partenza, quanto secondo una programmata complessità di interventi che l’Azienda intenda gestire nelle varie sedi di agenzia”. Studiati caratteri formali, funzionali e tecnologici concorrono a definire il design degli “oggetti” che arredano gli ambienti omogenei delle varie agenzie nel mondo. Tali “oggetti” variamente accostabili in un insieme fortemente caratterizzato assumono un valore fortemente significante al fine di produrre, promuovere e pubblicizzare i servizi della committente compagnia di bandiera. Gli elementi comprendono: il portale tecnologico quale segno per la definizione virtuale dello spazio operativo connesso

all’erogazione dei servizi; il banco attrezzato, le grandi colonne cilindriche attrezzate, le sedute della serie WS, gli espositori, il planisfero e il portale d’ingresso in lamiera porcellanata nera. Il soffitto proposto è trattato con una controsoffittatura in doghe di alluminio naturale a sezione aperta, nella quale può essere accolta una serie di funzioni esistenti di volta in volta diverse. Le pareti sono proposte con un rivestimento di pannelli in cristallo smaltato. Il pavimento delle agenzie è previsto in moquette di colore verde che propone sulla texture l’immagine coordinata Alitalia disegnata da Walter Landor. L’intero progetto per le agenzie Alitalia nel mondo viene premiato con il Compasso d’oro alla XIII edizione del 1984.

Vista esterna e viste interne dell’agenzia Alitalia a Londra, 1983

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Vista esterna e viste interne dell’agenzia Alitalia a Milano, 1984

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Herbert Neuman Associates Glen Gregg

Aula universitaria a Yale

New Haven, Connecticut, Stati Uniti, 1974

Il progetto, dedicato al rinnovamento e alla ristrutturazione di una delle principali aule storiche della prestigiosa università americana, doveva prevedere una organizzazione più razionale dello spazio, una maggiore facilità di manutenzione, nel rispetto naturalmente delle strutture originali dell’edificio, costruito nel 1928. Nel disegno dell’arredo, che i progettisti hanno predisposto per l’organizzazione

dell’aula, sono state inserite come sedili le sedute della serie Modus, qui opportunamente montate per le specifiche esigenze. Questa prestigiosa realizzazione, per quanto piccola, ha rappresentato uno dei primi esempi della grande duttilità d’impiego delle sedute Modus, che saranno via via dotate, per le diverse applicazioni, di una vasta serie di attrezzature accessorie.

Vista esterna del palazzo storico nel campus universitario di Yale e viste interne dell’aula a emiciclo dove vengono utilizzate le sedute Modus

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Anni ottanta Dall’high tech al ritorno al classico


Norman Foster and Partners Nomos System Sistema per uffici Progetto1984 Produzione 1986

Modulo della navicella spaziale americana LEM, con la caratteristica struttura a ragno, poggiata sul suolo lunare, 1969 Norman Foster, Centro Renault a Swindon, Gran Bretagna, 1980-1982. Per gli uffici di questa sede furono appositamente disegnati dei tavoli operativi con le caratteristiche che poi sono state riprese nel sistema Nomos

Marco Fantoni, all’epoca responsabile del Centro Progetti Tecno, racconta che il sistema Nomos nasce per coincidenza nel 1983 durante una sua visita allo studio di Foster per presentargli la Tecno come possibile partner nella realizzazione degli interni del grattacielo della Hongkong and Shanghai Bank che Foster stava realizzando in quel periodo. Proposta di collaborazione che, purtroppo, non andò a buon fine. In quell’occasione Fantoni nota nello studio un tipo di tavoli mai visti, realizzati in strutture tubolari conformate in una maniera simile a quella di certe navicelle spaziali, come la LEM del celebre allunaggio. Chiedendo informazioni su quei pezzi, scopre che sono stati disegnati da Foster nel 1980 per essere utilizzati in pochi esemplari nell’edificio che aveva appena realizzato per la Renault a Swindon (1980-1982). Soddisfatto del risultato, Foster aveva deciso di farne realizzare qualche esemplare in più anche per il suo studio. Durante

quell’incontro Fantoni propose immediatamente a Foster di realizzare industrialmente quel sistema di elementi dalla Tecno: “Quei tavoli li possiamo fare noi.” Così parte il progetto, che durò circa due anni, per trasformare il disegno ancora schematico, e per certi aspetti artigianale, dei tavoli presenti nello studio di Foster, in un complesso e articolato sistema per uffici prodotto industrialmente. Il 13 marzo 1987 viene depositato a nome Paolo Borsani il brevetto al Patent Office U.S.A., il quale, dopo le solite minuziose verifiche, rilascia la documentazione di brevetto il 20 febbraio 1990 con i numeri 306.101 e 306.109. La filosofia progettuale di questo sistema parte da alcuni principi basilari: dal punto di vista tipologico il fatto di riconoscere che le relazioni spaziali possibili fra la superficie di un piano d’appoggio e quella del suolo genera tutte le possibili tipologie d’uso, che indistintamente riguardano sia il mondo della casa sia quello del lavoro – bisogna

perciò trascendere i concetti chiusi di casa e lavoro; dal punto di vista morfologico il fatto di intendere la struttura semplicemente come uno scheletro, non tanto tradizionalmente architettonico quanto piuttosto zoomorfico, che tiene insieme un organismo di elementi mobili e diversamente combinabili; dal punto di vista tecnologico il fatto di ritenere necessario di offrire un sistema di elementi per costruire a secco una ampia gamma di composizioni smontabili e modificabili. La messa a punto di questo prodotto ha richiesto diverse specifiche risoluzioni industriali che qui sarebbe troppo lungo elencare, ma volentieri si rimanda al lungo e dettagliato articolo Sistema “Nomos” pubblicato su “Domus”, n. 679, gennaio 1987. Nel 2000 viene fatta una tiratura firmata e limitata di duemila tavoli nei colori giallo, rosso, blu e bianco.

Disegno di brevetto del tavolo Nomos depositato al Patent Office U.S.A. il 13 marzo1987, accettato il 20 febbraio 1990 con i nn. 306.101 e 360.109

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Il primo modello del sistema Nomos fotografato in fabbrica; intorno Norman Foster (a sinistra) con il gruppo di lavoro del Centro Progetti Tecno, fra i quali si riconosce Marco Fantoni (ultimo a destra) Disegno di brevetto del portacavi componibile e snodabile depositato al Patent Office U.S.A. e rilasciato il 20 giugno1989 con il n. 4.840.023 Schizzi di Norman Foster per lo studio di alcune parti del tavolo del sistema Nomos Disegni tecnico-costruttivi di alcuni parti (giunti e costole) del sistema Nomos

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Norman Foster, schizzi e disegni vari che descrivono le diverse caratteristiche funzionali da lui individuate per l’ideazione del sistema Nomos

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Vista laterale del sistema operativo Nomos costruito a piĂš livelli e schizzo di Norman Foster che sintetizza le caratteristiche di questo principio organizzativo dello spazio di lavoro La vista da sotto mette in evidenza la costruzione della struttura del tavolo base Nomos con il piano in cristallo

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Diverse composizioni di unitĂ operative del sistema Nomos corredate dalle sedute Modus

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UnitĂ operative del sistema Nomos ambientate in un scenografico ambiente storico

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Tavolo con struttura colorata della serie a tiratura limitata prodotta nel 2000 Composizione di tavoli del sistema Nomos in una recente proposta presentata nel catalogo Tecno 2008


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Giorgetto Giugiaro P55 Serie di poltrone per ufficio Progetto1983 Produzione 1984

Serie di poltrone girevoli, oscillanti, regolabili in altezza, con schienale flessibile. La scocca e il basamento a cinque razze sono realizzati in alluminio verniciato, l’imbottitura è in schiume poliuretaniche. Queste poltrone sono dotate di un sofisticato sistema di regolazione in altezza e di inclinazione dello schienale controllato da una pompa a gas, brevettato al Patent Office U.S.A. con richiesta

Disegno di brevetto al Patent Office U.S.A., modello in legno e prototipo delle parti strutturali e meccaniche della poltrona per ufficio P55

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del 31/12/1984, rilasciato il 17/03/1987 con il n. 4.650.248. La sua estetica è caratterizzata da un taglio verticale sulla parte alta dello schienale e dalla scelta decisa nell’impiego del colore, che si estende su tutti i materiali e componenti con l’idea di stimolare gli ambienti del lavoro terziario che ancora in quel periodo si mostravano prevalentemente ancorati a tonalità neutre.


Vista di tre quarti e viste frontali di alcuni modelli della poltrona per ufficio P55

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Richard Rogers Partnership, Ove Arup & Partners

Lloyd’s, The World’s Leading Insurance Market

Londra, Gran Bretagna, 1986

Modello della sede dei Lloyd’s di Londra progettata da Richard Rogers

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I Lloyd’s rappresentano il centro del mercato internazionale delle assicurazioni e sono, dopo la Banca d’Inghilterra, l’istituzione più prestigiosa della City londinese. Le origini dei Lloyd’s risalgono al XVII secolo, quando le attività di assicurazione contro i rischi si svolgevano nei caffé della City. Oggi i Lloyd’s costituiscono il cuore del mondo delle assicurazioni, ma operano ancora secondo le pratiche tradizionali della “piazza del mercato”: una società di sottoscrittori costituiti in consorzi che hanno il loro “box” nel mercato dei Lloyd’s, “The Room”. Se per Richard Rogers, progettista di questa nuova sede dei Lloyd’s, l’esperienza precedente del celebre Beaubourg di Parigi, da lui disegnato insieme a Renzo Piano nel 1977, era stata quello di pensare a un centro culturale popolare, nel caso della concezione della nuova sede dei Lloyd’s il riferimento a cui ha guardato è quello di un club inglese alla fine del XX secolo. Gli aspetti più caratteristici dell’edificio sono il grande atrio, simbolo della “piazza del mercato”, e la sua immagine esterna, enfatizzata dalle sei torri che disegnano con il loro profilo frammentato un tratto importante dello skyline londinese. Dopo diversi trasferimenti e ampliamenti delle sedi storiche, i Lloyd’s indicono nei primi anni ottanta un concorso a inviti nell’ambito del quale si chiede a sei architetti di illustrare, più

che una soluzione architettonica finale, il loro approccio teorico e gestionale al problema specifico. La Richard Rogers Partnership vince il concorso presentando una strategia imperniata su alcune richieste chiave contenute nel briefing del committente: in primo luogo far fronte alle esigenze del mercato del XXI secolo con un unico salone tre volte più grande della “Room” preesistente; in secondo luogo definire per la “sottoscrizione dei rischi” uno spazio flessibile, capace di espandersi e contrarsi secondo le future tendenze del mercato; terzo punto, prevedere l’eventuale realizzazione di uffici di alto prestigio destinati alla locazione in quelle zone che, in qualsiasi momento della vita dell’edificio, si rivelassero superflue rispetto alle esigenze di spazio; per finire, creare un edificio di qualità che, oltre a recare un contributo all’ambiente urbano londinese, confermasse la posizione centrale dei Lloyd’s nel campo assicurativo mondiale. Per quanto riguarda gli arredi, realizzati dalla Tecno su disegno dello studio Rogers, si tratta di un sistema standardizzato messo a punto appositamente per i Lloyd’s che consente la realizzazione di “box” di dimensioni diverse: le componenti sono articolate su una struttura modulare ed è possibile modificare nel tempo la pianta e l’estensione di ogni “box”.


Vista interna della celebre zona della “Lutine bellâ€?, la campana che dava l’avviso degli eventi buoni e cattivi, e vista di un piano di uffici attrezzato con il sistema di unitĂ operative, molto adattabili a diversi utilizzatori, disegnato da Richard Rogers

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Sezione di un piano tipo dove si vede come l’unità operativa della postazione di lavoro si integra con i sistemi tecnologici dell’edificio Vista d’insieme e dettagli dell’unità operativa per le zone di lavoro dei vari operatori assicurativi

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Luca Scacchetti Ianus Sistema per ufficio direzionale Progetto1987 Produzione 1988

Come si legge nel libro Luca Scacchetti per Tecno: Ianus (edizioni Tecno, Varedo 1989), dove si riporta il pensiero progettuale del progettista: “Da un certo punto di vista, Ianus è una sfida tra la cultura ‘razionalista’ di Tecno e la memoria formale di secoli di architettura europea. [...] Il passato di Ianus non è il mobile classico, nonostante gli elementi architettonici con cui si esprime. È più giusto intravedere suggestioni di razionalismo nordico (alla Asplund); e comunque memoria di forme

ineliminabili dall’immaginario dell’architettura.” Ianus si presenta quindi come una collezione per l’arredo dell’ufficio direzionale composta da scrivanie, cassettiere, tavoli e contenitori, ricca e ricercata nel dettaglio, esaltata dal design classico e dall’uso del legno massello lavorato artigianalmente. Caratterizzano la collezione i piani sempre incassati in cornici di massello, eseguiti in legno naturale o laccato nero opaco, ma anche pelle o Alcantara. Le strutture in massello, nel caso

delle scrivanie, sono in mogano oppure laccate nero opaco. La serie permette di trovare al suo interno sia soluzioni per il posto individuale, con basi aperte o pannellate, sia numerose proposte per il meeting, a partire dalle piccole riunioni fino alle grandi sale di rappresentanza. Tutte le soluzioni, spesso personalizzate in misura e finitura su indicazione del progettista, sono contraddistinte dal caratteristico bordo in massello sagomato. Le finiture, rese da Tecno trasversali a tutte le collezioni

per garantire sempre più l’integrabilità d’uso di tutti i diversi prodotti nel layout, spaziano dall’essenza di tinto noce canaletto al mogano, dal teak al rovere tinto chiaro o grafite, liberamente combinabili con le laccature opache, bianco e grigio piombo, e con la pelle utilizzata per inserti e sottomano. Tra gli accessori troviamo i mobili di servizio laterali e l’elettrificazione al piano. I contenitori abbinati riprendono la stessa caratteristica lavorazione.

Luca Scacchetti, particolare di disegno a tecnica mista raffigurante un dettaglio del sistema per uffici Ianus, che reca sul fondo riferimenti architettonici Composizione di alcuni elementi del sistema per ufficio direzionale Ianus

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Accostamento della scrivania con struttura aperta e un mobile contenitore basso, dove si riconosce il tema architettonico e la modanatura che caratterizza l’intero sistema

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Diverse combinazioni di elementi d’arredo del sistema per uffici direzionale Ianus Suggestiva immagine del grande tavolo riunioni del sistema Ianus nell’affascinante cornice della Sala dei Giganti dipinta da Giulio Romano dentro Palazzo Te, a Mantova

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Giampiero Bosoni

La Collezione ABV Ritornando all’arte con Alviani, Fabbri, Man Ray, Mo, Morellet, Munari, Pomodoro, Ponti, Steele, Veronesi

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Gio Ponti, panca attrezzata su rotelle Triposto, 1967, Collezione ABV, 1991 Agenore Fabbri, seduta Nastro di gala, Collezione ABV, 1991

Il rapporto stretto e continuo con gli artisti è sempre stato un carattere distintivo della storia, prima della Arredamenti Borsani Varedo di Gaetano Borsani, e poi ancora di Osvaldo e Fulgenzio Borsani nel periodo della Tecno. Già sul nascere dell’ABV si ricordano le collaborazioni di alcuni artisti futuristi quali Cesare Andreoni e Giandante X, ma sarà soprattutto alla metà degli anni trenta, con l’incontro tra le personalità poliedriche e versatili dell’architetto Osvaldo Borsani e dell’artista Lucio Fontana, che si crea un sodalizio dalle molte opportunità creative ed esplorative nel rapporto tra arte e progetto degli elementi d’arredo e degli interni in generale1. Il percorso formativo di Osvaldo Borsani è sicuramente una traccia per comprendere queste affinità elettive: prima il diploma nel 1929 al liceo artistico di Brera, poi la laurea in architettura, nel 1936, al Politecnico di Milano, sono dei passaggi dove è facile immaginare le occasioni di incontro e di confronto con le più interessanti avanguardie artistiche presenti a Milano in quegli anni. D’altra parte le occasioni progettuali offerte dall’ABV (dove Osvaldo impara il mestiere dal padre), chiamata a dare forma agli interni delle case dell’alta borghesia milanese, si prestano perfettamente per introdurre un originale contributo della ricerca artistica. Oltre a Fontana, partecipe ideatore di tanti interni dove la sua maestria trasforma pareti, pavimenti e soffitti in veri e propri “concetti spaziali”, i Borsani stringono rapporti di amicizia e collaborazione con autori qua-

li i “chiaristi” Adriano Spilimbergo e Angelo Del Bon, e poi Agenore Fabbri, Arnaldo Pomodoro, Fausto Melotti, Aligi Sassu, e ancora Gianni Dova, Roberto Crippa. Luogo d’elezione per molti di questi incontri è la cittadina ligure Albissola, già nota dalla metà degli anni trenta come capitale della ceramica frequentata dagli artisti del secondo futurismo. È una coincidenza interessante che nel 1954 ad Albissola vengano organizzati i famosi “Incontri Internazionali della Ceramica”, riproposti anche alla X Triennale di Milano del 1954, la stessa della mirata presentazione “ufficiale” della Tecno. Per celebrare degnamente questa lunga e appassionante storia di scambi culturali interni al percorso della Tecno, nel 1991 Valeria Borsani, figlia di Osvaldo e architetto già da tempo impegnata all’interno dell’azienda, in qualità di responsabile con il marito Marco Fantoni del Centro Progetti Tecno, propone di realizzare una collezione di oggetti rappresentativi di questo percorso. L’intenzione naturalmente è anche quella di rendere omaggio alla figura di Osvaldo Borsani, scomparso pochi anni prima, nel 1985. Il gemello Fulgenzio, l’“economista” del progetto Tecno, ancora presente nell’attività aziendale (ci lascerà nel 1995), è un grande sostenitore di questo progetto, pur consapevole del difficile riscontro commerciale dell’operazione. Nasce così, con la direzione artistica di Teresa Pomodoro e Fausta Squatrini, la raccolta “Collezione ABV”, in cui vengono coinvolti nove artisti: alcuni di questi sono collaboratori “sto261


François e Frédéric Morellet, tavolo Détabilisation n. 1, Collezione ABV, 1991 Jeffrey Steele, paravento Orlando, 1960, Collezione ABV, 1991 Getulio Alviani, tavolo piccolo 1/2/3/4/5, Collezione ABV, 1991

rici” dei Borsani (quelli ancora viventi) quali Agenore Fabbri e Arnaldo Pomodoro, altri sono artisti vicini, con esperienze più recenti, al mondo Tecno, quali Getulio Alviani e Carlo Mo, altri ancora sono rappresentativi delle “avanguardie storiche”, quali Man Ray e Luigi Veronesi; a questi si affiancano delle interessanti presenze straniere, come Jeffrey Steele e François con Frédéric Morellet, mentre ultimo personaggio a sé stante, ma significativo in questo consesso, è Gio Ponti, con quel famoso pezzo “Triposto” pensato nel 1967 per la Tecno, ma rimasto allo stadio di prototipo. Come scrive Valeria Borsani nella presentazione della collezione: “Tecno ha chiesto la collaborazione di artisti – pittori e scultori – per progettare dei mobili. Non sculture sulle quali ci si possa ‘anche’ sedere o appoggiare. Non multipli d’arte. Mobili in senso pieno: forme studiate appositamente per una funzione; oggetti che vivono grazie alle tecniche di produzione industriale.” Parallelamente a questa raccolta sarà creata anche una raccolta denominata “Disegno ABV”, nella quale viene riproposta una selezione di pezzi storici del design di Borsani, De Carli, Gerli, del Centro Progetti Tecno, a cui si aggiungeranno l’anno successivo altri pezzi nuo-

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vi, a tiratura limitata, disegnati da Bruno Munari (lo specchio Guardaunpò), Norman Sabiha Foster (il tavolo Aksa), Gae Aulenti (contenitore Totem Casa e poltroncina Tlinkit), Luca Scacchetti (contenitori San Carlo A e B) e Justus Kolberg (sedia pieghevole P08). La scelta di utilizzare il marchio ABV, oltre che per un omaggio a quel laboratorio che era sempre rimasto nel cuore progettuale dei Borsani, si deve anche al fatto che era ancora attivo il negozio ABV in via Montenapoleone a Milano (chiuderà nel 1995), al quale si collegava una certa attività di arredamenti su misura. Per la presentazione della “Collezione ABV” degli artisti fu realizzato un catalogo (edizioni Tecno) ricco di immagini, testi e interviste agli stessi artisti. Fra i contributi critici che accompagnano questa collezione, si segnala quello del grande storico dell’arte Giulio Carlo Argan, il quale scrive per l’occasione un interessante saggio sul rapporto tra arte e progetto, che abbiamo scelto di riproporre qui integralmente.

Giuliana Gramigna, Fulvio Irace (a cura di), Osvaldo Borsani, Leonardo De Luca Editori, Roma 1992. 1


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Giulio Carlo Argan

Prefazione1 Arte e progetto

Sedie, tavole, paraventi non sono architettura in scala ridotta, forse lo erano un tempo, quando la casa era un’istituzione intermedia tra Stato e persona, autorità della legge e patria potestà. Oggi fortunatamente non è che un sito dove si abita; le sue leggi strutturali dell’arredo non sono più le coordinate del pavimento e delle pareti. La tipologia e l’iconologia dell’arredo non esistono più, i mobili si modellano sull’animata realtà fisica e psichica, intellettuale e sociale di chi ci sta. Economicamente l’arredo è una categoria di prodotti industriali che tendono a uniformarsi: la serialità totale sarebbe la conformità generale dei modi di vita, la privazione di ogni libertà dell’individuo e del gruppo. L’uniformità del costume è senza dubbio una delle cause della crisi dell’arte, della sua prevista scomparsa dal sistema della civiltà presente e futura. Ci sono ancora, e non è detto che non prevalgano, forze contrarie per cui la persistente presenza dell’arte è un forte appoggio al tentativo di arginare l’assolutismo della società dei consumi superflui e coatti. Non si propongono ritorni e recuperi, si pone il problema in termini chiari: il valore è remora al consumo, dunque il massimo di consumo, a cui si tende, significa l’annientamento del concetto di valore. Nel formalismo logico di questo agghiacciante discorso l’arte moderna, nel suo complesso, è ben più che un’alternativa tecnica all’automazione industriale: è un modo di esperienza che, identificando i momenti 264

una volta separati della percezione e dell’intelletto, dà un senso nuovo e un ritmo più rapido e intenso alla vita. Perciò non gli architetti soltanto ma tutti gli artisti, in quanto tecnici dell’immagine, sono coinvolti in un’azione che in sostanza è diretta a impedire che l’immaginazione cessi di essere una facoltà intellettiva. Vi sono motivi per pensare che oggi, nel campo del design, pittori e scultori possano rappresentare una punta avanzata rispetto agli stessi architetti perché i loro interessi sono più mirati alla visualità che alla strutturalità dell’immagine. Ancora nel recente passato il lavoro formativo dei pittori e degli scultori era essenzialmente inventivo, quello degli architetti, progettuale. Tra i due termini non c’è antinomia: l’invenzione è più legata all’immaginazione e la progettazione più legata alla strutturalità, ma l’invenzione che non trapassa in progetto è utopia e il progetto che non ha dietro una invenzione decade a calcolo. Tutta la storia del design dimostra la compresenza di invenzione e progettualità, sia pure con incidenza maggiore o minore dell’una o dell’altra. Ancora oggi la radice immaginativa-visuale del design non soltanto è vitale, ma concorre a preservare la progettazione da un’indesiderabile assimilazione alla meccanica tecnica della produzione seriale. Quando, più di cinquant’anni fa, apparvero i primi mobili di lucido tubo metallico disegnati da Breuer non soltanto mi colpì la novità 264


Getulio Alviani, tavolo grande 1/2/3/4/5 e schizzo di studio, Collezione ABV, 1991 Luigi Veronesi, scrittoio Costruzione, 1935, Collezione ABV, 1991

dell’invenzione, ma l’implicita e come connaturata animazione, non senza ironia, di quelle figure domestiche filiformi e quasi immateriali, che si disegnavano nello spazio senza riempirlo, sfuggivano alle leggi dell’equilibrio e della simmetria, erano agili come serpenti e, quando non servivano più, rientravano l’una nell’altra. Si disse che l’archetipo era la bicicletta Adler, e c’era del vero: prima l’archetipo della media era il trono regale e non è così strano che nel circolo del Bauhaus, in piena repubblica di Weimar, un ciclista fosse più simpatico di un sovrano. Ma la vera matrice di quell’invenzione progettuale era nella grafica lineare di Klee e nella coloratissima coreografia dei balletti meccanici di Schlemmer. Fu dunque un coraggioso appello alla pittura che aprì una nuova strada del design; non tanto perché la pittura, anche non figurativa, fosse ancora in qualche modo congiunta alla naturalità della figura umana, ma per la inesausta vena d’ironia che c’era nei disegni di Klee come nei balletti di Schlemmer. È del nostro tempo demitizzare la casa, spogliarla d’ogni solennità ancestrale: non meraviglia che l’arredo moderno abbia, più o meno marcata, una componente ironica sottilmente dissacrante. L’invenzione artistica non è la trovata bizzarra, ha un suo metodo, che si è formato nel corso dell’arte moderna. Guardando indietro, alla prima metà del secolo, per due vie ben distinte l’arte si è con-

cretamente inserita nel sistema della produzione e del consumo: con la progettazione di oggetti seriali e con la pubblicità. Nel primo filone predominava la progettabilità, nel secondo la visualità. Inutile citare i tanti architetti e gli artisti visuali che, da Behrens e Gropius in poi, hanno fatto disegno industriale e gli artisti visuali che, partendo da Toulouse e Forain, hanno fatto pubblicità. Basterà ricordare che, se la pubblicità degli artisti ha contribuito a instaurare il consumo dell’oggetto attraverso l’immagine, il cui consumo è più rapido e istintivo, le esigenze della pubblicità hanno contribuito a impegnare la pittura nella ricerca di una visualità più intensa, dotata di una gran forza di percussione, che stimolava un comportamento prensile e vorace, e al di fuori di ogni ragione logica o pratica, immediato ed inconscio. Al di là della finalità commerciale, si sono venute formando direzioni di ricerca visuale tutte più o meno miranti a creare effetti percettivi che si qualificavano come immediatamente intellettivi. Non è senza significato il fatto che le correnti di ricerca cinetica e visuale sono in vari modi connesse con gli studi di psicologia della visione e con le ricerche sul pensiero immaginativo (Arnheim). È noto che la cultura dei consumi è fondata sulla informazione e comunicazione d’immagine: mirando a travolgere il logico equilibrio di bisogno e consumo, il sistema stimola la circolazione e il consumo delle immagini riducendo il consumo dell’oggetto a effetto secondario del 265


Man Ray, poltrona Armchair e disegni di studio dell’autore, 1930-1941, Collezione ABV 1991

consumo di immagini. Ma sorge, a questo punto, il problema del valore che il consumismo tende ad annientare e che, in tutta la sua storia, l’arte ha mirato a realizzare come standard di tutto un sistema di valori, precisamente i valori estetici. Non è teoricamente certo che una cultura dei consumi non possa in futuro postulare valori che non siano in contraddizione col suo attuale sistema; sta di fatto che, da parte di taluni artisti, v’è un chiaro intento di superare la contraddizione recuperando il valore estetico all’interno dell’attuale sistema di produzioneconsumo. Mi limiterò a cercare di vedere la finalità comune di parecchi indirizzi di ricerca diversamente caratterizzati. Poiché la serialità della produzione industriale è teoricamente illimitata, è certamente possibile stabilire costi. e prezzi, apparentemente impossibile definire valori oggettuali. Ciò che mi pare comune agli artisti, anche molto differenti tra loro, che dalla pittura e dalla scultura giungono al design, non è tanto un’invenzione d’immagine quanto la ricerca di una qualità al di là della tipologia e iconologia della produzione industriale di serie, o di standard. Da quella tipologia e iconologia non avrebbero potuto estraniarsi senza uscire dal sistema, che invece intendono correggere dall’interno. E come? Ritrovando al di là dell’immagine una possibilità di ricerca qualitativa così nelle materie come nel disegno e nella lavorazione. Mutare 266

radicalmente il fattore linguistico avrebbe significato revocare ogni possibilità di comunicazione visiva: è sfatata l’utopia del Bauhaus di educare la gente mediante i mobili di casa o d’ufficio. Semmai la ricerca di una qualità dell’oggetto al di là della sua immagine è una sorta di rieducazione, di recupero di un fare inventivo, che fu proprio dell’arte e come tale pareva perduto per sempre. Dal sistema economico e tecnologico che ha creato, il mondo moderno è affascinato e impaurito: potrebbe inutilizzare l’intelletto, destituire la morale, revocare in tutti i campi ogni libertà di scelta. Non immotivatamente si teme il meccanismo della serialità che, per quantificare, dequalifica. Quantità e qualità erano termini opposti, ma correlati; una volta annullato l’equilibrio di bisogno e consumo cade il rapporto logico di causa ed effetto, e per produrre un plus di consumo si annienta quel plus di valore oltre il bisogno che in tutta la storia del mondo fu l’arte. Non ci sarà più naturale passaggio dal singolo al molteplice: con la serialità universale cade ogni gerarchia di valori, ciascuna unità della serie sarà ad un tempo una e infinita, archetipo e copia. La serialità è incompatibile con l’autenticità dell’oggetto come del soggetto. L’arte è istituzionalmente autenticità pura: facendo e fruendo arte il mondo ha istituito e conservato l’idea e il valore dell’autentico


Arnaldo Pomodoro, letto Triclinio, Collezione ABV, 1991 Carlo Mo, seduta africana Chip, Collezione ABV, 1991

come condizione dell’essere. Gli artisti non sono angeli né demiurghi, vivono la vita del loro tempo, non mirano certo a fermare o rallentare il divenire del mondo, non si presumono benefattori e salvatori dell’umanità: semplicemente ricusano il consumo come fine, dunque propongono al di là di esso un nuovo valore dell’essere, del fare, dell’usare. Attraverso la ricreazione intellettuale dell’oggetto seriale ricreano l’individualità del soggetto: fruire oggetti rilavorati dall’arte significa riproporre il valore della comunicazione intersoggettiva, che la serialità della produzione industriale tende a eliminare. Il designer artista non comunica altro che il proprio essere artista, la propria attitudine a inventare e inventarsi, e così riporta l’invenzione ad un progettare che altrimenti potrebbe ridursi a mero calcolo. Modestamente gli artisti non vogliono comunicare un proprio genio ispirato, ma un proprio autentico modo di essere e fare. Non generano, rigenerano il mondo, gli oggetti che disegnano, rimangono realtà economiche, prodotti, merci. Ma tutti sanno che il produrre e il consumare sono atti economici come il comprare e il vendere, dunque fruire un oggetto fatto dall’arte è un atto artistico come il fare arte. L’oggetto seriale reinventato dall’ar-

tista sollecita una critica e un giudizio che liberano l’utente dall’obbligo del consumo obbligato, irriflessivo, idiota. Che cosa mai, se non l’arte, fabbrica cose che possono essere consumate senza essere distrutte? I designer-artisti e gli artisti-designers sono oggi i soli custodi della qualità in un mondo che va quantificandosi: la qualità di un oggetto reinventato dall’arte trapassa nell’utente, lo rigenera, gli dona una capacità inventiva. Tende proprio a questo la ricerca d’esatto matematico portata avanti dalla parte migliore degli artisti moderni, che così vogliono riscattare il calcolo all’invenzione. L’artista che fa cose che servono a vivere non è né vuole essere un pedagogo. Il rischio della scolastica c’è anche nella progettazione industriale, e c’è chi ci casca, ma sbaglia: non si progetta senza far critica dell’esistente, e non c’è critica senza una componente ironica. I designers-artisti ironizzano il design obbediente alle leggi del consumo sempre e comunque: ha l’ironia nella sua storia, quella di Klee, di Duchamp, di Man Ray, di Magritte.

Tratto da Teresa Pomodoro, Fausta Squatrini, Collezione ABV, Edizioni Tecno, Varedo 1991.

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Anni novanta Alla ricerca di una nuova identitĂ


Foster Associates

Aeroporto di Stansted

Londra, Gran Bretagna, 1990

Destinato a diventare uno dei grandi scali londinesi, l’aeroporto di Stansted, come terminal vero e proprio, è facile da comprendere: la sua semplicità nel montaggio, nell’idea di spazio, nel flusso delle persone è la sua ragione d’essere. Facile da estendere orizzontalmente, da modificare e da gestire, il terminal nasce con un programma di strutture indipendenti che, oltre a consentire quella dimensione assoluta e magica di trasparenza a 360 gradi, si propone un modello organizzativo che si oppone a quel processo di crescita interna, casuale e anarchica, cui gli aeroporti sono regolarmente sottoposti. Foster detta una netta separazione tra la struttura dell’aeroporto e quanto serve al suo funzionamento. A Stansted la macroscala

Vista esterna dell’aeroporto di Stansted e immagini interne che mostrano in primo piano la seduta WS con imbottiture

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degli alberi strutturali e la microscala dei moduli dei check in non nascono dalla stessa matrice progettuale ma ne condividono le finalità. Ciò dimostra il legame d’intenti che nel terminal lega il grande al piccolo; Foster progetta dunque ciò che sta sopra e ciò che sta sotto. Ambedue hanno una loro linea d’orizzonte chiara e inequivocabile dalla quale nasce un sobrio ordine, quasi un passaggio. Gli spazi di passaggio per il pubblico e quelli interni più privati sono calibrati tra loro attraverso la segnaletica, che riprende quella gialla-nera degli aeroporti milanesi. Per il nuovo aeroporto nell’area londinese Norman Foster ha scelto le sedute per attesa WS, convalidando le caratteristiche di comfort, sicurezza e igiene di questo prodotto Tecno presente in molti aeroporti europei.


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Michel Bourquillon, Jean van Pottelsberghe de la Potterie, Guy Maes

Parlamento Europeo

Bruxelles, Belgio, 1992

Per la sala dell’emiciclo nella sede di Bruxelles del Parlamento Europeo, capace di 750 posti, sia il palco della presidenza sia i banchi dei deputati sono disegnati ad hoc. Sulla base del progetto architettonico Tecno ha sviluppato il progetto tecnico e ha prodotto gli elementi d’arredo, oltre a fornire le poltrone Qualis disegnate da Emilio Ambasz. Per la zona studio e consultazione documenti sono stati utilizzati i tavoli del sistema Nomos appositamente adattati.

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Vista d’insieme dell’aula del Parlamento Europeo e particolare di una serie di banchi realizzati dalla Tecno e dotati di sedia Qualis Zona studio e consultazione documenti realizzata su tavoli della serie Nomos


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Yaacov Kaufman S22 Sedia pieghevole Progetto1987 Produzione 1991

Su progetto del designer israeliano di origine polacca Yaacov Kaufman viene messa a punto una sedia multifunzionale pieghevole con sedile e schienale imbottito rivestito di tessuto. La struttura è in acciaio verniciato; un particolare sistema di perni

e guide permette l’inclinazione all’indietro dello schienale e il tilt in avanti del sedile. La sedia è dotata anche di un sistema di braccioli accessorio per comporre file di sedute con numerazione posti/fila e tavoletta.

La sedia pieghevole S22 presentata nelle sue possibilità di affiancamento per sale riunioni e come pezzo singolo

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Justus Kolberg, Centro Progetti Tecno P08

Diverse viste della sedia pieghevole P08 che ne mostrano la perfetta componibilitĂ in sequenza e la particolare sottigliezza

Sedia pieghevole Progetto e produzione 1991

Avvalendosi della collaborazione del giovane designer tedesco Justus Kolberg, dopo molti anni si ripropone alla Tecno una sedia pieghevole per sale conferenze. La struttura è costituita da piatte

in acciaio verniciate nero lucido o trattate acciaio inox satinato. Il sedile e lo schienale sono in nylon. Ăˆ possibile stoccare con un gancio a muro sei sedie alla volta.

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Emilio Ambasz Qualis Serie di poltrone e poltroncine per ufficio Progetto 1990 Produzione 1991

Il design delle sedute della serie Qualis è caratterizzato dal rivestimento della scocca, di taglio, per così dire, “sartoriale”. Nel disegnare questa collezione di poltrone e poltroncine per l’ufficio, Emilio Ambasz cerca di sintetizzare due concetti opposti che lo stesso progettista definisce “familiarità” ed “eccezionalità”. L’elemento di seduta, secondo Ambasz, è qualcosa da riconoscere, di cui riappropriarsi ogni giorno, perciò una presenza confortante, confortevole e familiare. Però, nello stesso tempo, secondo Ambasz si ha a che fare con un oggetto da cui ci si lascia

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affascinare: quindi elegante, seducente, che rende straordinario l’ordinario. Due elementi caratterizzano il comfort della serie di sedute Qualis: i sottili cuscini d’imbottitura della scocca, che formano un soffietto lungo l’intero profilo laterale della seduta, tenuto insieme da “punti sartoriali” che mettono in risalto la qualità della finitura, e il meccanismo di articolazione dello schienale, brevettato per l’elevata prestazione in una più semplice realizzazione rispetto a modelli correnti, e quindi meglio integrato nel design della poltrona. La collezione si sviluppa in

dimensioni e in dotazioni diverse per soddisfare le tre categorie in cui generalmente si organizza il lavoro d’ufficio: operativa, manageriale, direzionale. La base a cinque razze viene fornita in acciaio ricoperta da carter in polipropilene o in pressofusione di alluminio lucidata. La base singola a cavalletto, con piedini o pattino, è fornita in profilo di acciaio verniciato. Il modello base è fornito anche su barra, adeguato ai luoghi d’attesa, di spettacolo, d’insegnamento. La serie di sedute Qualis è stata premiata con il Compasso d’oro 1991.


Diverse possibilitĂ di vestizione della poltroncina Qualis

Diversi modelli della serie di poltrone e poltroncine per ufficio Qualis

Emilio Ambasz, disegno della poltroncina Qualis

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Gae Aulenti Kum, Tlinkit, Totem Collezione di arredi per ufficio direzionale, poltroncina e contenitore multifunzionale Progetto e produzione 1991 (Tlinkit, Totem), 1993 (Kum)

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Collezione per l’arredo dell’ufficio composta da scrivanie, tavoli, cassettiere e contenitori. La serie Kum permette un’interpretazione rigorosa dell’ufficio senza rinunciare alla semplicità, allo scopo di ricercata rappresentatività del luogo decisionale. Una proposta articolata che, senza mai perdere la matrice del progetto originario, spazia dalla scrivania ai tavoli riunione sino alle realizzazioni su disegno. Le scrivanie e i tavoli per riunioni hanno piani in legno o cristallo sostenuti da particolari elementi pieni in lamiera verniciata, con o senza

predisposizione per i cablaggi, dai quali si staccano due colonnine per l’appoggio dei piani. Caratterizzano la collezione i piani di ridotto spessore. Nella prima collezione le finiture delle scrivanie sono il legno naturale, il laccato nero opaco, il cristallo verniciato verde o aubergine (colore attentamente ricercato da Gae Aulenti) o trasparente. Per i tavoli riunione è previsto anche il rivestimento in pelle; per i piani di servizio è prevista anche la finitura in laminato a forte spessore. Le basi sono sempre costituite da elementi portanti in lamiera verniciata nei colori

verde, aubergine, verde-grigio, antracite o nero, con particolari cromati, attrezzabili all’interno con gruppo prese universali. A questo sistema si accompagnano anche alcuni contenitori alti e bassi in legno, attrezzati con cassetti, vani a giorno o ante in legno o cristallo. Alla collezione si affiancano felicemente anche la poltroncina Tlinkit, con struttura in rattan rivestita in tessuto di canna d’India naturale, e il contenitore multifunzionale di servizio Totem, già proposto nella Collezione ABV del 1991, disegnati sempre da Gae Aulenti.


Ambientazioni con scrivania, tavolo e contenitore su rotelle della serie Kum

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Elementi della serie Kum accoppiati con le poltroncine Tlinkit

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Il contenitore su rotelle Totem con la poltroncina Tlinkit


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Norman Foster and Partners

Diverse immagini che mettono in evidenza il disegno sfaccettato della poltroncina Kite, ispirata alle geometrie dell’aquilone

Kite Serie di sedute operative Progetto e produzione 1998

La seduta Kite (in italiano, aquilone) è composta da un telaio in alluminio (risultato di un’avanzata ingegnerizzazione messa a punto con il Centro Progetti Tecno) sul quale vengono applicate imbottiture ergonomiche rivestite in una vasta gamma di tessuti e di pelli. Da questa

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combinazione di materiali e colori emerge la possibilità di modulare il carattere e l’apparenza della seduta. L’aspetto più caratterizzante – lo scudo di lamiera piegata della scocca esterna – evoca, per l’appunto, la forma dell’aquilone. La struttura in alluminio poggia su una base a

cinque razze in lamiera piegata e saldata, verniciata in colore grigio metallizzato, come pure il carter del sedile. Lo scudo di rivestimento esterno è realizzato in lamiera piegata, e solo questa parte può essere verniciata nei colori grigio metallizzato, bianco, nero, rosso, verde, giallo, blu.


Norman Sabhia Foster Limited

Il tavolo Aksa nelle versioni con piano in cristallo e piano in legno

Aksa Tavolo Progetto e produzione 1992

Nato come modello di tavolo disegnato appositamente per un cliente giapponese, in seguito si è ritenuto interessante inserirlo nella collezione a tiratura limitata ABV, per poterlo riproporre anche a fianco della collezione Nomos, giocando sulle peculiari caratteristiche di affinità e di contrasto. La grande struttura cilindrica è in acciaio trattato a cera e il piano viene proposto in cristallo o legno.

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Rafael Moneo

Stazione di Atocha

Madrid, Spagna, 1992

Il grande spazio pubblico sotto la volta in ferro della ex stazione ottocentesca Glorieta de Carlos V, a Madrid, e alcuni degli spazi dove sono state impiegate le sedute della serie RS

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La stazione di Rafael Moneo non è solo una efficiente e moderna stazione ferroviaria; è soprattutto un polo urbano, una microcittà, o, come dicono gli addetti ai lavori, un nodo intermodale che si integra e interagisce con il tessuto metropolitano. La rinnovata stazione ferroviaria di Atocha a Madrid è stata spesso definita da Moneo, “Operación Atocha”, per connotare la complessità di un intervento che ha richiesto scelte globali e soluzioni coordinate a livello tecnologico, architettonico e urbanistico. Il programma di questa operazione strategica ha richiesto il restauro e il recupero della stazione ottocentesca della Glorieta de Carlos V, e il suo ampliamento nell’area ferroviaria occupata dai binari, come fulcro di rigenerazione di tutta la zona limitrofa della città. Bisogna tener presente che ad Atocha coesistono la stazione dell’alta velocità (treni a lunga percorrenza), quella dei treni locali e la stazione metropolitana. L’“Operazione Atocha”, come nodo intermodale, ruota quindi intorno alla risoluzione di quelli che i progettisti chiamano gli “spazi di transito”, che consistono nei percorsi di collegamento tra i servizi e il sistema dei trasporti, e cioè

nelle relazioni spaziali tra il terminal internazionale, la stazione dei pendolari, la metropolitana, la struttura ottocentesca e la piazza ribassata che collega poi l’intero complesso al resto della città. Il progetto dell’intero sistema ferroviario è determinato dalle scelte di recupero della Glorieta, a cui viene tolta la funzione di “snodo ferroviario” per trasformarla in “nodo urbano”, cioè in spazio preposto allo scambio sociale, simbolo del passaggio della stazione da luogo monofunzionale, fruito solo da chi viaggia, a luogo di interazione sociale aperto a tutti i cittadini. Così il grande spazio che ospitava i binari, coperto in ferro e vetro secondo la tradizione ingegneristica ottocentesca, si trasforma in una grande serra alla Paxton, dove altissime piante tropicali formano un esotico giardino su cui si affacciano ristoranti, bar caffetterie e negozi, creando un effetto di piazza coperta che prosegue nella piazza urbana esterna: la città entra nella stazione, che diviene continuità urbana della città. Per accogliere questi flussi di viaggiatori e abitanti della città sono state adottate come sedute collettive diversi modelli della serie RS.


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Ricardo Bofill Taller de Arquitectura

Aeroporto internazionale El Prat

Barcellona, Spagna, 1991

Esterno e interno dell’aeroporto El Prat di Barcellona Alcune viste sulle sedute, realizzate dalla Tecno, disegnate da Bofill per l’aeroporto El Prat

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All’inizio degli anni novanta Barcellona si è dotata di un nuovo grande aeroporto adeguato sia al forte rilancio turistico della città sia all’importante incremento di traffico. Ricardo Bofill ha disegnato un edificio che si estende in lunghezza per un chilometro, con quattro moli triangolari protesi verso la pista. La spina dorsale del progetto è un percorso pedonale in quota, sul quale transitano i passeggeri in direzione sia terra sia aria.

Allestito con negozi e chioschi commerciali, si configura linearmente come le famose ramblas di Barcellona. La semplicità della sua struttura elimina la necessità di complicate segnaletiche. Tecno è stato il main contractor per l’architettura degli interni, realizzando tutti gli elementi d’arredo disegnati da Bofill. A partire da questa specifica esperienza sono stati studiali alcuni elementi da proporre nel catalogo.


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Ricardo Bofill

In seguito alla stretta e proficua collaborazione avvenuta tra l’architetto Bofill e la Tecno in occasione del progetto d’interni per l’aeroporto di Barcellona, si è cercato di proseguire tale esperienza mettendo a punto alcuni pezzi ideati per l’aeroporto e anche altri spunti progettuali. Da questa ricerca si sono concretizzati due diversi percorsi: una proposta della panca dell’aeroporto Prat, realizzata con le basi della struttura in marmo rosso, e i piani di seduta in grandi travi di legno massello; e un programma di sedute e tavoli in struttura metallica e parti in legno, rimasto allo stadio di prototipo.

PRAT, RB Panca e poltroncina Progetto e prototipi 1992

Prototipo della poltroncina RB Panca PRAT nella versione con basamenti in marmo rosso e tavole di legno anch’esso di colore rossiccio

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Justus Kolberg Kora Sistema di sedute per la collettività Progetto e produzione 1998

Diverse tipologie del sistema di sedute per collettività Kora

Kora è un sistema di sedute “polifunzionali” versatile ed economico, espressamente nato per far fronte alle esigenze degli ambienti a uso collettivo, dall’attesa alle sale congressi e meeting fino all’ufficio. Le sedute impilabili sono costituite da comode scocche formalmente caratterizzate dalle scanalature ottenute dallo stampo dello schienale. Le componenti plastiche sono realizzate in poliammide ignifugo tinto in massa nei colori grigio antracite o bianco, che soddisfa i requisiti imposti, da quel periodo in avanti, di antibattericità e antistaticità. Le strutture sono realizzate in tubolare di acciaio curvato, con finitura in cromato o verniciato in colore grigio metallizzato e poggiano su piedini snodati autolivellanti in materiale

plastico di colore nero. Le imbottiture, complete o parziali per il sedile o lo schienale su tutti i modelli Kora, sono opzionali e realizzate in tessuto ignifugo in diversi colori. Nella versione a quattro gambe (sia con sia senza braccioli aggiuntivi dotati di copribracciolo in materiale plastico nero) mantiene le caratteristiche di impilabilità e aggregabilità in file mediante allineatori in materiale plastico di colore nero applicati a scatto sulle gambe. La numerazione dei posti è invece posta sul retro dei singoli schienali in un’apposita sede stampata. Anche la versione con tavoletta di scrittura ribaltabile, disponibile sia nella versione più tradizionale in laminato a forte spessore (solo ribaltabile) sia in quella essenziale e high tech in

pressofusione di alluminio verniciato in colore nero (dotata di caduta antipanico), consentono l’impilabilità delle sedute. Il trasporto delle sedute impilate avviene su appositi carrelli dotati di ruote e realizzati in tubolare di ferro verniciato in colore grigio. A completare la proposta (ufficio, home office, piccole riunioni), esiste anche una versione a cinque razze dotata di ruote e regolabile in altezza, disponibile nelle versioni con e senza braccioli. Le versioni su barra, disponibili nel solo colore di struttura grigio metallizzato e con lunghezze da due fino a otto posti in poliammide bianco o antracite, sono disponibili in varie versioni a seconda degli ambienti di utilizzo.

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Jean-Michel Wilmotte Pour le Louvre, Todo Modo Serie di sedute e tavoli, divano a schienale mobile Progetti e produzione 1993

Sedia e serie completa del coordinato di elementi d’arredo Pour le Louvre

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La Tecno, che dal 1968 è presente a Parigi con un proprio negozio monomarca in boulevard St. Germain, ha l’occasione nel 1993 di portare il proprio contributo progettuale e industriale al lavoro dell’architetto Jean-Michel Wilmotte, incaricato di curare gli interni della “Pyramide” disegnata da Ieoh Ming Pei per il nuovo ingresso del Grand Louvre. Nasce così la sedia Grand Louvre, accolta subito negli spazi di ristoro del museo, che segna l’avvio della riflessione su una serie più estesa di oggetti che sfocia nella collezione di mobili Pour le Louvre. Questi pezzi sono il risultato di “un rigoroso processo di semplificazione del

disegno che attraverso soluzioni formali simmetriche ed equilibrate esprime una nozione di classicità” (“Ottagono”, n. 95, 1990, p. 172). Dalla sedia disegnata per il nuovo allestimento del Louvre, Wilmotte sviluppa un’intera collezione di sedute, tavoli, piani d’appoggio, in legno, cuoio, ardesia e cristallo, caratterizzati dal colore nero costante (salvo una versione limitata in legno naturale) e da un giunto in acciaio lucido, che lega le varie componenti, come una “L” a vista nella soluzione giuntobidimensionale, ma che si sviluppa anche in taluni casi nella versione giunto-tridimensionale sui tre assi cartesiani. A questa collezione si aggiunge un pezzo

d’eccezione, anch’esso utilizzato nell’ambito del Grand Louvre, una sorta di “ottomana” con lo schienale mobile, denominata Todo Modo. Lo schienale di questa poltrona componibile, tramite un movimento rotatorio, si può disporre ai due estremi della seduta. Realizzata in legno e metallo, con parti metalliche a vista color canna di fucile, ha l’imbottitura in schiuma poliuretanica rivestita in tessuto o in pelle. Todo Modo è componibile in varie configurazioni per creare divani di diverse forme ed è dotata di piani di servizio: tramite una struttura di fissaggio si collega alla poltrona un tavolino, in legno o rivestito in pelle.


Vista laterale e vista di tre quarti frontale con estensione a dormeuse, del sistema d’imbottiti Todo Modo

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Jean-Michel Wilmotte

Interni del Grand Louvre

Parigi, Francia, 1993

Jean-Michel Wilmotte, architetto, urbanista, designer, è oggi noto, a livello internazionale, come uno dei più esperti architetti d’interni di spazi museali. Questa sua rinomata qualità progettuale si può far risalire al suo celebre lavoro con Ieoh Ming Pei per il Grand Louvre dove, sotto l’iconica “Pyramide”, Wilmotte ha ideato un sistema allestitivo in cui si

Vista esterna della “Pyramide” di Ieoh Ming Pei; all’interno, le sedute WS Grande sala espositiva del Grand Louvre arredata con i divani Todo Modo utilizzati come sedute di sosta

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inseriscono alcuni elementi d’arredo realizzati dalla Tecno: dalle sedute collettive WS nella hall d’ingresso sotto la Piramide, ad alcuni pezzi disegnati da Wilmotte appositamente per l’occasione, come il sistema d’arredo Pour le Louvre ideato per la zona ristorante, e il sistema d’imbottiti Todo Modo concepito per le zone di sosta nelle sale espositive.


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Jean-Marie Duthilleul, AREP, SNCF Agences des Gares

Stazioni ferroviarie per l’alta velocità SNCF

Francia, 1999-2011

Diversi modelli della seduta RS per diverse ambientazioni nelle stazioni ferroviarie per l’alta velocità di Aix-en-Provence e Avignone

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Dopo un’importante esperienza nel Dipartimento dei Lavori Pubblici francese, Jean-Marie Duthilleul viene chiamato nel 1986 dai dirigenti della SNCF (Ferrovie francesi) a ristrutturare e dirigere l’Atelier d’Architettura delle stazioni. Inizia così una strategia progettuale che getta le basi teoriche di un concetto di grandi stazioni contemporanee, pensate come nuovi pezzi di territorio nel quadro di un innovativo approccio a scala urbana e architettonica. Nel 1997 Duthilleul crea con Étienne Tricaud la società di consulenza multidisciplinare

AREP, controllata di SNCF, specializzata nella progettazione e realizzazione di spazi dedicati al trasporto e al movimento di persone. Nell’ambito delle prime realizzazioni della lunga serie di nuove stazioni per i TGV, dal 1999 si prende ad adottare nelle stazioni il sistema di sedute RS, progettate dallo stesso Duthilleul. Per gli ambienti di particolare interesse (sale d’attesa Eurostar) la serie RS viene arricchita di una versione in cuoio, e sulle reti TGV Méditerranée si sono aggiunti elementi di servizio complementari: tavolette, tavoli e apparecchi d’illuminazione.


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Ronald Cecil Sportes RCS Sedia impilabile per ambienti comunitari esterni e interni Progetto e produzione 1994

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Progettata originariamente per i ristoranti delle stazioni ferroviarie francesi, RCS è stata semplificata e razionalizzata per un utilizzo piÚ generale: ambienti di ristorazione e tempo libero, spazi per spettacolo, per sosta e conversazione. Questa sedia impilabile

è completamente eseguita in alluminio goffrato fine, anodizzato o verniciato nei colori grigio o nero. A scelta può essere dotata di braccioli in fusione di alluminio e di rivestimento in cuoio dei braccioli e/o dei sedili.


Diverse colorazioni della sedia impilabile RCS

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Crinion Associates Compas System Sistema operativo per uffici Progetto e produzione 1995

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Progettato dallo studio canadese diretto da Jonathan Crinion, il sistema operativo per uffici Compas introduce alcune questioni di economicità e sostenibilità del prodotto industriale. Il sistema è molto articolato ed è composto da strutture di base, piani di lavoro, cassettiere, contenitori, schermi divisori elettrificati, pannelli e accessori. La struttura di base è in acciaio, con regolazione dell’altezza, composta da gambe a cavalletto e gambe singole, verniciate a polvere nei colori

grigio ardesia, grigio chiaro e sabbia, con finitura goffrato fine. I piani di lavoro sono realizzati con materiali a basso contenuto di formaldeide: o in MDF verniciato, finitura texturizzata extra fine; o in melaminico, finitura opaca con bordi in ABS. I piani di lavoro hanno varie forme ergonomiche, rettangolari e sagomate per la realizzazione di configurazioni articolate e flessibili. La notevole articolazione degli elementi si incrocia con un’estesa cartella colori.


Diverse soluzioni compositive del sistema operativo per uffici Compas System

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Norman Foster and Partners

Carré d’Art

Nîmes, Francia, 1993

Il Carré d’Art è un importante centro culturale che contiene un museo d’arte contemporanea, una biblioteca-mediateca con circa 400.000 volumi e altri servizi tra cui un cinema al livello seminterrato. La costruzione è in vetro, acciaio e cemento, e sorge di fronte al tempio della Maison Carrée, edificio romano del I secolo a.C. L’architettura riprende la stessa serialità del tempio classico che gli è di fronte, attraverso la creazione di un pronao e l’utilizzo di linee rette. L’edificio è strutturato su nove piani, Norman Foster, schizzo di studio della volumetria dell’edificio Carré d’Art Vista frontale della struttura leggera del Carré d’Art a confronto con la possente Maison Carrée di epoca romana. A fianco, la costruzione trilitica del tavolo base della serie Tabula

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di cui cinque sono interrati. La sfida progettuale era quella di mettere in relazione il nuovo al vecchio, ma al tempo stesso di creare un edificio che rappresentasse la sua immagine contemporanea senza compromessi linguistici. Nel 1992 Norman e Sabiha Foster hanno disegnato gli arredi della biblioteca e degli uffici. Da questa specifica esperienza nasce la serie di mobili Tabula, che comprende una serie di tavoli e scrivanie attrezzabili con diversi accessori, e un tipo di panca d’attesa.


Varie viste interne con le poltroncine e il tavolo per la sala lettura della biblioteca

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Mario e Dario Bellini Extra Dry Sistema mobili per ufficio Progetto1996 Produzione 1998

Alla fine degli anni novanta Mario e Dario Bellini portano alla Tecno un sistema con una grande flessibilità di usi che rispondono alle più dinamiche e varie richieste del mondo dell’ufficio, liberato da molti schemi vincolanti del passato. Con Extra Dry è offerta al progettista una vasta scelta di soluzioni da adattare alle esigenze del progetto. A partire dai muretti, modulari in larghezza e altezza, a cui sospendere i piani di lavoro con diversi livelli di privacy, fino alle soluzioni free standing, atte a soddisfare i bisogni individuali o collettivi, con le lunghe configurazioni in desk sharing. Soluzioni permesse da una struttura sottopiano in alluminio a cui si fissano staffe, puntoni e gambe, anch’esse in alluminio naturale o verniciate in colore bianco o grigio piombo. Nel free standing questo permette soluzioni a struttura condivisa, riducendo il numero dei supporti o, ad esempio, l’aggancio di pannelli e screen divisori, mentre, nelle soluzioni di postazioni sospese sui muretti, contribuisce

all’eliminazione totale delle basi. I piani di lavoro, rettangolari o sagomati, soddisfano il gusto individuale senza penalizzare la funzionalità o dimenticare l’economicità del progetto; così, accanto alle finiture in melaminico bianco, grigio light, grigio piombo, rovere chiaro, rovere grafite, si trovano le più eleganti finiture laccate con bordo smussato in colore bianco, grigio light e grigio piombo o, per i soli piani scrivania, le essenze di legno in collezione. Muretti e basi riprendono i colori e i materiali, in accostamento o contrasto a seconda del gusto individuale. Numerosi gli accessori a corredo, dai pannelli divisori in cristallo a quelli fonoassorbenti in tessuto, dall’elettrificazione alle vaschette portacarte, dagli ordinatori per i CD fino all’illuminazione individuale. Basic, linea trasversale di contenitori e cassettiere, introduce con il colore, se necessario, un ulteriore tocco di fantasia che va oltre la necessaria funzionalità e sobrietà che contraddistingue la collezione.

Disegni che illustrano le diverse componenti e possibilità di combinazioni del sistema Extra Dry

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Alcuni particolari che mostrano la flessibilitĂ nella combinazione dei diversi elementi

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Particolari per consentire le continue modifiche del passaggio dei cavi e varie soluzioni di elementi via via aggiunti negli anni Alcune combinazioni proposte negli ultimi cataloghi

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Jean-Marie Duthilleul, SNCF Agences des Gares RS Sistema di sedute su barra per spazi collettivi Progetto1997 Produzione 1998

Sistema di sedute individuali aggregabili e componibili su barra, per creare panche su barra da due a cinque posti. Le scocche, le basi mobili, i connettori e i braccioli sono realizzati in alluminio pressofuso; ogni elemento uscito dalla pressofusione viene sbavato, molato in corrispondenza di irregolarità superficiali e filettato, ove previsto, per l’inserimento di filetti riportati in acciaio. Ogni pezzo è successivamente sottoposto ai trattamenti di sabbiatura o microbiliatura di tipo fine e di cromatura. La verniciatura è di tipo a polvere poliestere con finitura superficiale, o di tipo alluminio microbiliato fine con caratteristiche di alta resistenza agli atti vandalici. Per il solo bracciolo è prevista

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la lucidatura a specchio nella parte superiore a contatto con l’avambraccio; particolare cura viene adottata per garantire una linea di netta separazione tra la parte lucidata a specchio e la parte verniciata a polvere. La barra estrusa che funge da struttura, così come le basi fisse, è sottoposta a trattamento superficiale di cromatura e finita con verniciatura a polvere poliestere di tipo alluminio microbiliato fine con caratteristiche di alta resistenza agli atti vandalici. Tavolini in cristallo verniciato in tre diversi colori e successivamente sabbiati o in laminato colore nero a forte spessore, come anche imbottiture opzionali in vari tessuti e distanziatori “back to back”,

completano la versatile proposta che, proprio per la libertà offerta dal progetto e per il successo conseguito fin dalle prime fasi di lancio del prodotto, è in continua e rapida evoluzione. Questi trattamenti contribuiscono a rendere il sistema robusto, resistente e flessibile per diversi impieghi sia per interni sia, nelle versioni interamente in alluminio e nella variante alluminio e legno, in esterni. Se ne propone anche una versione a panchina continua con doghe in legno, reinterpretazione del più classico dei modelli di questo genere. RS trova la sua naturale collocazione in tutte le grandi aree di attesa a partire dalle stazioni ferroviarie, da cui ha tratto origine il progetto iniziale con AREP, uno

degli studi internazionali di progettazione più specializzati nel settore e SNCF, l’ente per le ferrovie francesi. La versatilità del prodotto e la declinazione in soluzioni di diversa immagine a seconda dell’importanza e delle dimensioni delle architetture oltre all’affidabilità del produttore, fondamentale sui grandi numeri e parte essenziale negli accordi quadro, ne hanno decretato il successo e la rapida diffusione anche in altri spazi. Ad esempio nelle grandi aree di attesa aeroportuali come Schiphol ad Amsterdam o, ancora, nell’arredo urbano, come nelle aree di interscambio delle linee di metropolitana o nelle stazioni di superficie viarie e tranviarie.


Diverse soluzioni tipologiche (panca continua, sedute singole con o senza schienale, a doghe o piani continui) e vari materiali per il sistema di sedute su barra per spazi collettivi RS

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Jean-François Bodin

Bibliothèque publique d’information Centre Georges Pompidou

Parigi, Francia, 2000

Dall’anno della sua inaugurazione, il 1977, il Centre Pompidou progettato da Renzo Piano e Richard Rogers riscuote un enorme successo di pubblico, il quale, vivendolo molto intensamente, ne usura con una velocità maggiore del previsto gli spazi espositivi e di fruizione dei diversi servizi. n conseguenza di questo stress funzionale alla fine degli anni novanta il Centre Pompidou viene chiuso per circa un anno Vista dall’esterno del Centre Georges Pompidou e immagini dell’interno della biblioteca

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per essere riaperto nel 2000, con nuovi allestimenti interni. A questa fase di ristrutturazione e di riallestimento del Centre Pompidou partecipa anche Jean-François Bodin, che progetta la nuova Bibliothèque publique d’information, una tra le maggiori biblioteche al mondo specializzate nelle arti visive, per la quale la Tecno realizza dei tavoli di lettura disegnati su misura dallo stesso architetto Bodin.


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Benthem Crouwel

Aeroporto Schiphol

Amsterdam, Olanda, 2001

L’aeroporto di Schiphol, ad Amsterdam, è il più grande aeroporto olandese e uno dei principali d’Europa: nel 2009 è risultato il quattordicesimo al mondo per numero di passeggeri. Nato nel 1920, ha avuto diverse trasformazioni e ampliamenti. Dal 1990 l’architetto Benthem Crouwel inizia la costruzione di un nuovo master plan aeroportuale, che porta al raddoppio della stazione con la costruzione del Terminal 3. Negli anni sessanta l’aeroporto di Schiphol si

Vista esterna dell’aeroporto Shiphol di Amsterdam e dettagli interni dedicati alla presenza delle sedute su barra RS

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era già distinto per la qualità dei suoi interni, disegnati dall’architetto-designer olandese, di origine cino-indonesiana, Kho Liang Ie (1927-1975), molto apprezzato in quegli anni anche da Ettore Sottsass. Nel corso della continua evoluzione dei diversi terminal, nel 2001 per le aree di attesa viene adottato il sistema di sedute RS, che in seguito sarà utilizzato anche per le fermate della navetta di collegamento tra i terminal.


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Giancarlo Piretti Noria Serie di sedute per ufficio Progetto1999 Produzione 2000

Giancarlo Piretti, disegno esplicativo dei diversi aspetti tecnici e formali della poltroncina Noria Varie posizioni di diversi modelli della poltroncina per uffici Noria

La famiglia di sedute Noria si basa sull’impiego di un unico chassis, che si può personalizzare con schienali e/o basi diverse, per corrispondere alle principali categorie di sedute per ufficio: task chair, managerial e executive. Il telaio della scocca, in tecnopolimero plastico colorato nero, appare alla vista sia nel bordo perimetrale della task chair (nella versione managerial ed executive il rivestimento è totale)

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sia nella parte alta dello schienale. Nella parte inferiore dello schienale è invece alloggiato un carter intercambiabile, colorato o rivestito in tessuto, a chiusura del meccanismo di regolazione lombare. All’interno l’imbottitura è parziale, rivestita in tessuto e collocata nella zona lombosacrale, dove agisce anche il supporto regolabile. La versione executive è dotata di un poggiatesta aggiuntivo integrato

nello schienale. Nelle diverse versioni a cinque razze il basamento è realizzato in tecnopolimero plastico, nelle finiture colore nero, mentre il fusto, protetto da un carter telescopico, è realizzato in materiale plastico coordinato. È previsto un bracciolo aggiuntivo a “L” rovesciata, in poliuretano integrale autopellante per la task chair o imbottito e rivestito per le versioni managerial ed

executive. Tutte le sedute sono girevoli, si possono regolare in altezza in nove posizioni e in larghezza in tre posizioni, con la possibilità di traslazione verso l’interno della parte terminale anteriore. Giancarlo Piretti ha progettato Noria per rispondere largamente e con anticipo alle normative europee EN1353, proponendo uno standard avanzato di classe A.


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Il nuovo millennio Verso le sfide del mercato globale


Norman Foster and Partners

Great Court al British Museum

Londra, Gran Bretagna, 2003

Vista interna della Great Court coperta I diversi elementi d’arredo ideati da Norman Foster per allestire la Great Court al British Museum

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La grande corte nel cuore del British Museum viene interpretata dagli architetti come uno degli “spazi perduti” di Londra; da ciò la sua rifunzionalizzazione, perché sia restituito con nuove opportunità sia al museo sia alla città. Con il trasferimento della British Library, nel marzo 1998, Foster and Partners hanno avuto la possibilità di ricreare il cortile del museo, il cuore dell’edificio, da cui si accede a tutte le sezioni. Il ruolo della Great Court travalica i confini del museo. Si tratta di un importante spazio cittadino e sociale, destinato tanto ai cittadini quanto ai visitatori. La grandiosa Round Reading Room, con la sua cupola, più grande di quella di Saint Paul, è stata aperta al pubblico per la prima volta. Questo ambiente ospita una nuova biblioteca pubblica dedicata alle culture del mondo, basata sulla tecnologie più moderne. La più importante scelta progettuale è stata quella di coprire la Great Court, che con l’aggiunta del tetto di vetro ondulato che riveste un’area di 6100 metri quadri, è diventata la più grande corte coperta d’Europa.

Il progetto ha previsto una vasta gamma di nuove strutture, per cui lo spazio pubblico è stato aumentato del 40%. Questo aspetto è stato fondamentale, dovendo fare i conti con l’affluenza in continua crescita di uno dei musei più affollati del mondo. Nuove gallerie e spazi espositivi, auditori, sale didattiche e aule studio, negozi, bar e ristoranti hanno conferito al museo una nuova qualità programmatica; si dovevano infatti soddisfare le esigenze di un programma didattico in espansione, insieme con il pubblico, che chiedeva spazi multifunzionali. In questo quadro la Tecno è stata incaricata di realizzare tutti gli arredi disegnati appositamente dalla Foster and Partners, che in alcune zone hanno riproposto i tavoli della serie Tabula già impiegati nel Carré d’Art a Nîmes. La Great Court è una piazza culturale aperta a tutti, situata lungo il percorso pedonale che conduce dalla British Library a nord a Covent Garden a sud. Tutto il complesso, aperto al pubblico dal mattino presto a tarda sera, è diventato una nuova importante attrazione per Londra.


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Jean Nouvel

Biblioteca del Museo Nacional Centro de Arte Reina Sofía

Madrid, Spagna, 2005

Vista esterna del Centro de Arte Reina Sofía e immagini interne della biblioteca attrezzata con i tavoli del sistema Nomos

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Il Museo Nacional Centro de Arte Reina Sofía rappresenta uno dei poli fondamentali del patrimonio artistico spagnolo e, per l’importanza delle opere ivi raccolte, costituisce un punto di riferimento per la cultura internazionale. Per la necessità di ampliare gli spazi espositivi e inserire nuove attrezzature di supporto, nel 2005 è stato inaugurato, dopo quattro anni di lavoro, un ampliamento ideato dall’architetto Jean Nouvel. Tale struttura accoglie alcune nuove gallerie per mostre temporanee, due sale per esposizioni permanenti, un auditorium, due sale congressi, una biblioteca disposta su tre livelli, una caffetteria e un ristorante. Tutte queste funzioni sono raccolte in tre edifici sormontati da un’ampia copertura lineare color ciliegia, tagliata con ampi fori per illuminare lo spettacolare atrio d’ingresso. La luce, in tale corpo aggiuntivo, ha un’importanza fondamentale. L’obiettivo è stato, sin dall’inizio, quello di far coesistere il nuovo con l’esistente. L’ampliamento della struttura museale, costato 92 milioni di euro, ha consentito una crescita degli spazi espositivi pari al 60%, per una superficie

totale di circa 84.000 metri quadrati. Ognuna delle funzioni è sistemata intorno a una piazza centrale, creando un nucleo di importante aggregazione urbana. La biblioteca, che si trova a sud, ha un’altezza di 14 metri e uno sviluppo su diversi livelli che si articolano nella parte antistante l’edificio ottocentesco. L’accesso del pubblico è possibile dalla corte interna, sovrastata dall’enorme copertura di connessione con la preesistenza storica. Sul soffitto, un sistema d’illuminazione composto di particolari lampadari, enormi cupole di vetro sospese e grandi vetrate schermate, diffonde nell’ambiente una luce zenitale. La Tecno è stata incaricata di allestire la sala di lettura e gli uffici direzionali del Centro de Arte Reina Sofía, con l’installazione dei tavoli del sistema Nomos in floorpan nero e basi cromate. Questo intervento di Nouvel a Madrid rappresenta un importante tentativo d’integrare il museo con la vita quotidiana della città, ottenendo così quel ruolo di coordinatore di elementi attivi e propulsori fondamentali per la vita metropolitana.


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Piero Lissoni Cento, Asymmetrical Sistema di contenitori e tavoli direzionali Progetto e produzione 2005, 2006

Alcune soluzioni compositive del sistema di contenitori Cento Composizione della scrivania del sistema Asymmetrical Tavolo ovale di riunioni con sostegno asimmetrico

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Quando diventa art director dell’azienda, a metà del primo decennio del XXI secolo, Piero Lissoni imposta una nuova immagine della Tecno, basata su un’idea più contemporanea della tecnica celata in forme pure, minimali, tenute in un equilibrio preciso e rarefatto. Il sistema Asymmetrical è costituito da grandi tavoli da riunione modulari, in cui le sagome asimmetriche dei piani si sposano al rigore geometrico e alla pulizia formale dei solidi di supporto, con rimandi alla pittura moderna e alle recenti esperienze nel campo architettonico. Con questi elementi si compongono ampie postazioni di lavoro (al tempo stesso piani meeting e scrivanie), in cui tutto è a portata di mano, con soluzioni formali ricercate (dal piano di

lavoro sospeso a sbalzo ai contenitori affiancati di varia tipologia e dimensione fino ai vani segreti di servizio, incassati) unite alla purezza dei volumi e ai giochi di luce. I Solenoidi sono tavolini dai piani irregolari di varie dimensioni e altezze utilizzabili come elementi di servizio. Da questa visione di Lissoni prende corpo anche il progetto, da lungo tempo inseguito, di contenitori Cento: un’unica linea trasversale a tutte le collezioni executive Tecno. Una soluzione originale e semplice, che diventa filo conduttore dei diversi ambienti. In Cento il rigore del design è esaltato dall’apparente assenza di elementi fortemente caratterizzanti. Tra le proposte a listino: dalle ante a battente,

alle ante scorrevoli ai cassetti fino alle soluzioni di parete attrezzata; il tutto coniugato in quattro altezze modulabili e combinabili, come il nome stesso rivela. La proposta prevede inoltre l’impiego di teche in cristallo fumé o acidato, accessori che bilanciano la composizione formale personalizzandola, che trovano liberamente posto sul top dei contenitori più bassi o sulle mensole delle grandi pareti attrezzate, dove fungono da contraltare della grande anta scorrevole sagomata a “L”. Vista la funzione dei contenitori, le finiture sono le stesse adottate per le altre collezioni di Tecno con cui il prodotto vive, sia a parete sia a centro stanza come divisorio.


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Jean Nouvel

Torre Agbar

Barcellona, Spagna, 1999-2005

Questa non è una torre Questa non è una torre, un grattacielo nel senso americano del termine: si tratta di un’emergenza unica nel mezzo di una città piuttosto tranquilla. Ma non una verticale slanciata e nervosa come le frecce o le torri che punteggiano le città orizzontali. No, è piuttosto una massa fluida che ha perforato il suolo, un geyser a pressione costante e misurata. La superficie dell’edificio evoca l’acqua: liscia, continua ma anche vibrante e trasparente perché la materia si legge in profondità colorata e incerta, luminosa e sfumata. Questa architettura proviene

dalla terra, ma non ha il peso della pietra. Anche se potrebbe essere una lontana eco di antiche ossessioni formali catalane portate dai misteri del vento provenienti dal Montserrat. Le incertezze della materia e della luce fanno vibrare il campanile di Agbar nello skyline di Barcellona. Lontano miraggio di giorno come di notte. Precisa pietra miliare dell’ingresso della nuova diagonale dopo la piazza Las Glorias. L’oggetto singolare diventa un nuovo simbolo della metropoli internazionale. Jean Nouvel

Vista esterna e due diverse piante della torre Agbar di Jean Nouvel a Barcellona Alcune viste interne che mostrano il sistema di contenitori integrati come una pelle al sistema di facciata con un ordine variabile di aperture

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Pierandrei associati (Alessandro Maria Pierandrei, Francesco Maria Pierandrei, Stefano Anfossi) Beta unopuntozero Sistema operativo per uffici 2009

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Come si legge nel catalogo del prodotto: “Nato dopo una ricerca etnografica sull’ambiente di lavoro dal design di Pierandrei Associati e dalle competenze tecnologiche di Tecno, beta è il sistema operativo specificatamente pensato per rispondere alle esigenze dell’ufficio creativo e per dare nuova forma allo spazio, adattarsi ai comportamenti delle persone ed evolvere nel tempo. L’ufficio creativo rappresenta l’attualità degli spazi di lavoro. Riducendo le mansioni ripetitive e concentrando l’attenzione sulla condivisione delle esperienze, oggi gli uffici sono agorà contemporanee, dove stili di lavoro diversi si sovrappongono e dove il benessere della persona si trasforma in performance lavorativa. [...] Ispirato alle logiche evolutive della natura, beta risponde a queste

esigenze, e tramite una serie di elementi – fluidi e flessibili – facilita la riconfigurazione e il rinnovamento degli spazi di lavoro. Più che un semplice sistema, è un vero e proprio ambiente con una logica di crescita non lineare, che genera gli spazi senza limitarsi a riempirli. [...] Il sistema beta unisce tecnologia avanzata e materiali riciclabili (compresi gli imballaggi) con una logica naturale che consente al sistema di evolversi nel tempo. [...] Il sistema si compone di tre famiglie di elementi che sono: piani di lavoro (desk), i contenitori (backbone) e gli accessori. La logica di composizione di questi componenti è volta alla configurazione personalizzata degli spazi ed alla massima fruizione anche da parte di persone con handicap. La struttura modulare di base,

chiamata backbone, come un albero genera crescita e nutre le postazioni di lavoro. Il backbone agendo da infrastruttura consente lo sviluppo di beta svincolandolo dai limiti dimensionali dell’edificio e con le sue molteplici funzioni di contenimento, di piano di appoggio e/o seduta, di supporto strutturale per i piani di lavoro e divisione e modellazione degli spazi di lavoro, costituisce l’elemento strutturale e caratterizzante del sistema operativo. La superficie esterna del contenitore in policarbonato e ABS (pelle, schienali e frontali di cassetti, telai o ante) viene realizzata in un solo colore, disponibile nelle due versioni bianco opaco o verde beta. Il contenitore è costituito da una base strutturale in acciaio con una percentuale di materiale riciclato


superiore al 60% e differenti tipologie di materiali plastici. Un altro elemento essenziale di beta è la postazione di lavoro, ripensata specificatamente per l’ufficio creativo, ridefinendo una scrivania le cui dimensioni sono le stesse di quando si utilizzavano i grandi monitor CRT. Oggi, con l’utilizzo dei portatili, parte della superficie è sottoutilizzata e quindi è stata rimodellata sulle nuove esigenze delle persone che lavorano. [...] Il piano di lavoro è poggiante su una struttura metallica portante, e viene usato indifferentemente con i contenitori backbone o con le basi metalliche indipendenti; la struttura è composta da elementi in alluminio o acciaio, verniciati in colore bianco. La struttura portante metallica realizzata in allumino pressofuso, contenente mediamente una percentuale

di materiale riciclato superiore al 30%, elementi di collegamento in acciaio con una percentuale di materiale riciclato superiore al 60%; piano di lavoro prodotto con pannelli di particelle di legno riciclato al 100%, con una classe E1 di emissione della formaldeide e certificati FSC. Attorno al backbone e alle scrivanie, il panorama di beta è definito da accessori che vanno dagli elementi a supporto della sfera personale agli strumenti disegnati per aiutare le performance lavorative nell’ufficio. Il sistema beta prevede un sistema di elettrificazione integrato nella struttura stessa del prodotto: orizzontale e verticale attraverso la struttura del backbone.” beta unopuntozero è stato premiato con il Red Dot Design Award 2010, Essen.

Disegno diagrammatico che illustra l’aggregazione organica degli elementi del sistema Beta Prime composizioni basilari degli elementi Trasporto delle leggere strutture dei contenitori con una base strutturale in acciaio rivestita con stampi in policarbonato e ABS Schema di un’unità operativa organicamente aperta a diverse linee di continuità spaziale Schematica descrizione delle diverse possibilità di cablaggio nascoste nei corpi che compongono il sistema Beta

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Varie e articolate combinazioni degli elementi del sistema Beta per organizzare liberamente gli spazi

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UnitĂ operative correlate a cellula e disposizioni aperte a soluzioni piĂš eterogenee

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Regesto dei prodotti Tecno

produzione

progetto

designer

modello

tipologia

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Osvaldo Borsani Osvaldo Borsani Osvaldo Borsani Osvaldo Borsani Osvaldo Borsani Osvaldo Borsani Osvaldo Borsani Osvaldo Borsani Carlo De Carli Vico Magistretti Osvaldo Borsani Osvaldo Borsani Osvaldo Borsani Osvaldo Borsani Osvaldo Borsani Osvaldo Borsani Osvaldo Borsani Osvaldo Borsani Osvaldo Borsani Osvaldo Borsani Roberto Mango Roberto Mango Osvaldo Borsani Osvaldo Borsani Osvaldo Borsani Osvaldo Borsani Osvaldo Borsani Osvaldo Borsani Osvaldo Borsani Carlo De Carli Eugenio Gerli Osvaldo Borsani Osvaldo Borsani Osvaldo Borsani Osvaldo Borsani Giorgio Madini, Carlo De Carli Osvaldo Borsani Osvaldo Borsani Osvaldo Borsani Osvaldo Borsani Osvaldo Borsani Osvaldo Borsani Osvaldo Borsani Osvaldo Borsani Osvaldo Borsani Eugenio Gerli Osvaldo Borsani M. Cristiani, E. Gerli Osvaldo Borsani Osvaldo Borsani Osvaldo Borsani Osvaldo Borsani Osvaldo Borsani Osvaldo Borsani Osvaldo Borsani Osvaldo Borsani Osvaldo Borsani Osvaldo Borsani Osvaldo Borsani

S80 L60 (E60) P30 P35 L50 T45 A55 L51 T42 Sending 1 T90 P/D71 D70 P38 T47 T49 T93 LT8 P34 T94 T48 poltrona conica P/D72 T60 T43 T95 P40 T46 P/D32 S33 S3 A57 S88 L77 P99 S29 P36 Balestra T61 T62 T91 T40 T96 T41 E22 T44 P37 P28 P20 T92 C7 AT15 AT16 P24 T67 M6 M7 M59 T98 T58 M124

sedia pieghevole, libreria pensile, poltrona poltroncina, letto d’angolo scrittoio armadio letto con braccio di servizio, tavolo poligonale tavolo ampliabile tavolo scrittoio poltrona, divano divano ad ali mobili poltroncina tavolini smontabili scrivania scrivania operativa lampada verticale sedia tavolo per dattilografia tavolo ampliabile poltrona in foglio di compensato poltrona, divano scrittoio in compensato curvato tavolo soggiorno scrivania direzionale poltrona a inclinazioni variabili tavolo ingrandibile poltrona girevole e divano sedia smontabile, sedia smontabile in compensato armadio componibile sedia pieghevole letto relax snodabile poltroncina girevole sedia smontabile Emilia Sala poltrona serie di tavolini tavolino con cassetti tavolino con giradischi tavolo scrivania direzionale tavolo regolabile in altezza libreria pensile componibile tavolino con struttura di ferro poltroncina poltroncina serie poltrone per ufficio tavolo ampliabile a farfalla carrello portavivande appendiabiti a pannello appendiabiti con palo poltrona tavolino per P24 mensola mensola mensola scrivania direzionale tavolo meeting mensola

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p. 47 p. 82 p. 76 p. 45 p. 48 p. 52 p. 67 p. 68 p. 70 p. 103

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Eugenio Gerli Osvaldo Borsani Osvaldo Borsani Osvaldo Borsani Eugenio Gerli Eugenio Gerli Osvaldo Borsani O. Borsani, E. Gerli O. Borsani, E. Gerli O. Borsani, E. Gerli O. Borsani, E. Gerli O. Borsani, E. Gerli Edoardo Vittoria Osvaldo Borsani Osvaldo Borsani Eugenio Gerli E. Gerli, Enrico Gerli Eugenio Gerli Robin Day Osvaldo Borsani Osvaldo Borsani V. Borsani, A. Bonetti Osvaldo Borsani Eugenio Gerli Eugenio Gerli O. Borsani (attribuito) Mario Bellini Osvaldo Borsani Eugenio Gerli Osvaldo Borsani Osvaldo Borsani Osvaldo Borsani Osvaldo Borsani O. Borsani, E. Gerli Albert Leclerc V. Borachia, C. Santi Eugenio Gerli Giuseppe Pestalozza Eugenio Gerli Eugenio Gerli Eugenio Gerli Eugenio Gerli Marco Fantoni Marco Fantoni Marco Fantoni Osvaldo Borsani Centro Progetti Tecno Centro Progetti Tecno Centro Progetti Tecno Centro Progetti Tecno Centro Progetti Tecno P. Deganello, G. Corretti Osvaldo Borsani Centro Progetti Tecno Eugenio Gerli Centro Progetti Tecno Centro Progetti Tecno Centro Progetti Tecno Centro Progetti Tecno Centro Progetti Tecno

S81, S82, S83 L75 SE 1/2/3 P31 T97 Servomuto L78 L79 T68 T69 T102 T87 E105 Prisma P103 P/D/PA 110 E101 Domino P121 P/D73 Sir Mk2 (licenza Hille) T110 P125 P/D120 L/T/M/PA150 B106 Jamaica P/PS/D142 Compos serie 1000 Nastro LR57 L108 T160 MG14 T118 T125 Graphis Free MB Bigia Margherita E1/2/3 P/D104 Jacqueline Clamis A/B L1-L2-L3 T128 T127 T147 serie 207 T118Q Ca151 Modus GTS serie 233 T407 Archizoom (da MarcatrĂŠ) L171 serie 333 E333 C403 MG33 R403 T113 T114

sedie smontabili letti sovrapponibili mobili accostabili, poltroncina tavolo a coulisse servomuto con vassoi girevoli letto letto tavolini con elementi variabili tavolo tondo da pranzo tavolo ovale da pranzo tavolo con altezza variabile libreria componibile poltrona girevole poltrona, panchetta, divano libreria componibile poltrona con schienale inclinabile poltrona, divano serie di sedie con sedile in Moplen tavolino serie di poltrone per ufficio poltrona, divano letto, tavolino, mensola e panca contenitore poltrona, poltroncina, divano sistema operativo per uffici sistema componibile per contenitori letto in armadio letto scrivania direzionale mobile di servizio a T160 tavolo tavolino abbinato a P125 sistema operativo per uffici sistema componibile poltrona scomponibile poltroncina poliestere contenitori poltrona, divano poltrona vasi tavolo girevole sistema di tavolini tavolo basso sistema di imbottiti tavolo contenitore sistema di sedute sedute per la collettivitĂ sistema di imbottiti tavolo riunioni sedia letto scrivania direzionale e contenitori libreria e contenitori cassettiera contenitore contenitore/consolle tavolino tavolino

p. 142 p. 124 p. 112 p. 116 p. 140 p. 145 p. 123 p. 126 p. 128 p. 128 p. 130 p. 182 p. 122 p. 120 p. 146 p. 155 p. 144 p. 184 p. 120 p. 170 p. 188 p. 127 p. 148 p. 150 p. 176 p. 186 p. 152

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Centro Progetti Tecno Centro Progetti Tecno Centro Progetti Tecno Centro Progetti Tecno Osvaldo Borsani Osvaldo Borsani Centro Progetti Tecno Centro Progetti Tecno Centro Progetti Tecno E. Gerli, Enrico Gerli Osvaldo Borsani Centro Progetti Tecno Centro Progetti Tecno Centro Progetti Tecno Centro Progetti Tecno Centro Progetti Tecno Centro Progetti Tecno Centro Progetti Tecno Giorgetto Giugiaro J. Kastholm, P. Fabricius E. Gerli, G. Gerli con Centro Progetti Tecno N. Foster and Partners N. Foster and Partners E. Gerli e G. Gerli con Centro Progetti Tecno Luca Scacchetti V. Borsani con Centro Progetti Tecno Centro Progetti Tecno Franco Perrotti Man Ray Luigi Veronesi Osvaldo Borsani Jeffrey Steele Carlo Mo Gio Ponti Getulio Alviani Getulio Alviani Agenore Fabbri F. e F. Morellet Bruno Munari Arnaldo Pomodoro N. Sabiha Foster Justus Kolberg con Centro Progetti Tecno Emilio Ambasz Yaacov Kaufman Gae Aulenti Gae Aulenti Ricardo Bofill Ricardo Bofill Luca Scacchetti Gae Aulenti Centro Progetti Tecno F. Faggioni con Centro Progetti Tecno V. Borsani con Centro Progetti Tecno Centro Progetti Tecno Jean-Michel Wilmotte Jean-Michel Wilmotte Ronald Cecil Sportes Emilio Ambasz Emilio Ambasz Centro Progetti Tecno

T210 T33X (334-335) TC TM P126 VE serie 403 serie 230 serie 201 serie 225 Ab-Ac1-Ac2-Pm S/PS148 ModusT P767 WS M210 P757 P/D44 P55 KT/P11-12-13 P131 Nomos System Tabula Aries E, M, O Ianus GraphisBox P/T03 T04 Armchair Costruzione T1, T2 Orlando Chip Triposto 1/2/3/4/5 1/2/3/4/5 Nastro di gala Détabnilisation n.1 Guardaunpo‘ Triclinio Aksa P08 Qualis S22 Tlinkit Totem PRAT RB San Carlo a/b Kum Agence 2000 Caridesk Graphis5 LS Pour le Louvre Todo Modo RCS Qualis dattilo Qualis Couture CAT

tavolo meeting tavoli meeting direzionale tavolo chiudibile (serie Graphis) tavolo (serie Graphis) serie di poltrone per ufficio libreria con vetrine scrivania direzionale, contenitori serie di imbottiti serie di imbottiti serie di imbottiti posaceneri sedia, poltroncina sedia poltrona auditorium sistema di panca mensola poltrona auditorium poltrona, divano poltroncina ufficio serie di sedute sedia sistema operativo e tavoli sistema di tavoli sedute per ufficio sistema ufficio direzionale sistema operativo uffici sedia collettività e tavolo tavolo poltrona scrivania tavolini paravento sedia divano-panca tavolo tavolino sedia-panca tavolo specchio letto tavolo sedia pieghevole serie di poltrone ufficio sedia pieghevole poltroncina contenitore su rotelle panca seduta e tavolo armadio e contenitore basso arredi uffici direzionali sistema coordinato per banche sistema coordinato per banche Sistema operativo ufficio panca sedia, panca, tavoli divano a schienale mobile sedia sedia panca contenitore

p. 230 p. 224

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1996 1996 1996 1996 1997 1998 1998 2000 1999 2002 2002 2003 2005 2004 2005 2008 2009 2008

Centro Progetti Tecno Centro Progetti Tecno Crinion Associates Mario e Dario Bellini N. Foster and Partners Justus Kolberg SNCF Agence de Gares Jean-Marie Duthilleul N. Foster and Partners Giancarlo Piretti CLS architetti con Centro Progetti Tecno Centro Progetti Tecno Centro Progetti Tecno Centro Progetti Tecno Piero Lissoni Piero Lissoni Centro Progetti Tecno Centro Progetti Tecno Pierandrei associati

P77 Wallbox Compas Extra Dry Kite Kora e Kolt RS Nomos 2000 Noria Cleis S133 A148 Basic Cento Asymmetrical C40 Box Beta

poltrona auditorium pareti/armadi sistema operativo per uffici sistema operativo per uffici sedia per ufficio sedia, tavolo sistema sedute su barra tavolo numerato 2000 pz serie sedute per ufficio contenitore sedia poltrona auditorium contenitore contenitori sistema direzionale per ufficio contenitore contenitore sistema operativo per ufficio

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