Storia dell'Unione femminile nazionale (1899-2012)

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Unione femminile nazionale mostra storica 1

Milano, 1899 Nasce l’Unione femminile


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Un manipolo di donne nuove

Anna Fraentzel Celli, Ersilia Majno Bronzini, Elisa Boschetti, Pellegrina Pirani

Quando nasce l’Unione femminile, a Milano nel 1899, la donna italiana vive all’interno di una famiglia tradizionale, soggetta al marito o al padre e, se lavoratrice, sfruttata e senza diritti. A firmare il primo manifesto programmatico dell’Unione sono Jole Bersellini Bellini, Ada Negri Garlanda, Ersilia Majno Bronzini, Antonietta Pisa Rizzi, Silvia Pojaghi Taccani, Carolina Ponzio, Nina Rignano Sullam, Elly Carus, Irma Melany Scodnik, Nina Ottolenghi Levi, Adele Riva. Bice Cammeo, Ersilia Majno Bronzini, Antonietta Pisa Rizzi

Alcune fanno parte della borghesia milanese, colta, laica e progressista, altre sono militanti o simpatizzanti del Partito Socialista. Tra i promotori anche il pittore Giuseppe Mentessi, il cultore di diritto internazionale Gaetano Meale e il banchiere Alberto Vonwiller, vedovo di Edvige Gessner, forse tra le prime ideatrici del progetto.

Entro i primi due anni dalla sua fondazione si iscrivono all’Unione femminile oltre 250 donne a titolo individuale e varie associazioni. Nel 1905 l’Unione femminile diventa nazionale e assume la forma di società cooperativa. Ada Negri, Ersilia Majno Bronzini, Jole Bellini Bersellini

Edvige Gessner Vonwiller


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Una casa a Milano per l’Unione

L’Unione sorge con l’intento di raccogliere in un’unica sede le organizzazioni femminili già presenti sulla scena milanese. Il progetto di una casa dell’Unione femminile è realizzato nel 1910. Grazie all’impegno per la raccolta di fondi è possibile reperire la copertura finanziaria necessaria ad aprire un mutuo per acquistare e ristrutturare lo stabile in corso di Porta Nuova, allora al civico 20, adatto per gli scopi dell’Unione e le sue numerose attività.

Progetto di facciata e del salone della sede dell’Unione (1910 - 11, Archivio Storico Civico - Biblioteca Trivulziana, Fondo Ornato Fabbriche, © Comune di Milano)

Periodico “Unione femminile” (1910, n. 4)

Il progetto di riadattamento del caseggiato contiene la descrizione dettagliata delle opere da svolgere: “La detta casa è attualmente in cattive condizioni di igiene essendo senza fognatura con latrine aprentisi nei locali di abitazione, con locali tutti impegnati, con pavimenti in cotto assai assorbenti. Il riordino della casa consiste essenzialmente nell’elevare il muro di corte sopra la linea di fabbrica e potersi ricavare il corridoio longitudinale di completo disimpegno di tutti i locali. In testa al corridoio da un lato (destra) si riordinano le latrine esistenti, dall’altro lato si ricava un cavedio per arieggiare le nuove latrine. […] […] La fronte sarà ornata in modo semplice ma decoroso come risulta da disegno allegato, lasciandone intatto l’attuale organismo. […] Per l’Unione femminile Nazionale la Presidente Bianca Arbib”. Nel 1911 viene presentato anche il progetto per la costruzione di un “Salone delle conferenze”, in cui si specifica che: Il salone “costrutto su una parte dell’area del cortile sarà in muratura con tetto a grandi camere d’aria e direttamente coperto da un tetto semipiano. Le aperture grandi e frequenti, oltre ad illuminare la sala, possono essere di grande vantaggio per lo sfollamento della stessa, e quindi per la sicurezza di funzionamento in caso di incendi.” Corso di Porta Nuova nel tratto finale, visto poco oltre piazza Sant’Angelo. La prima arcata a sinistra è l’ultima porzione dell’edificio piermariniano della Manifattura Tabacchi (Archivio Gusmeroli, cartolina, anni Venti).

Nel 1924 si procede ad un ulteriore sviluppo con l’aggiunta di un piano sopra il Salone già esistente, che più avanti sarà denominato Teatro: “Il fabbricato sarà di civile abitazione, e dovrà sorgere nell’interno della casa di Corso di Porta Nuova 20, in parte sopra un salone per spettacoli già ivi esistente, e in parte sopra area oggi occupata da una vecchia costruzione che deve essere previamente demolita. La facciata del nuovo fabbricato si uniformerà a quella dell’attuale casa verso corte.” Oltre al Circolo dell’Unione femminile, al teatro, alla biblioteca, la casa dell’Unione accoglie l’Associazione generale di mutuo soccorso delle operaie in Milano, il Comitato contro la tratta delle schiave bianche, l’amministrazione dell’Asilo Mariuccia, la Società Fraterna con il Ricreatorio per “le piscinine”, la Scuola di disegno professionale per le piccole lavoratrici, il Comitato pro infanzia, l’Ufficio di collocamento delle domestiche, l’amministrazione degli Uffici indicazioni e assistenza, la Società per la difesa igienica della prima infanzia, il Patronato dei minorenni condannati condizionalmente e il Dormitoriopensione femminile. “L’Opera dell’Unione femminile nazionale per la protezione e l’assistenza alla maternità e all’infanzia. Estratto di relazioni” (1926)


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La rinascita dalle macerie

Nel 1939 un decreto trasmesso dal Prefetto della Provincia di Milano impone lo scioglimento dell’Unione e la liquidazione di tutti i suoi beni, compreso ovviamente lo stabile di Corso di Porta Nuova. Negli anni successivi le consigliere riusciranno tuttavia a non cedere la sede e infine a vincere il ricorso intentato contro la confisca, conservando la proprietà. Nell’agosto del 1943 lo stabile, che si trovava in prossimità della Manifattura Tabacchi, viene gravemente danneggiato dai bombardamenti. In particolare è demolita l’ala sud, che sarà interamente ricostruita.

La casa dopo i bombardamenti del 1943

Il risanamento è completato solo nel 1950 e, di nuovo, con notevole impegno finanziario. Nei decenni seguenti si succedono notevoli e continui interventi di consolidamento delle parti comuni e dei locali. Il più recente progetto di ristrutturazione è realizzato nella seconda metà degli anni Novanta, con il recupero di nuovi spazi e la sistemazione del salone.

Lavori di ristrutturazione negli anni Novanta

Il cortile nei colori delle stagioni

La sala del Consiglio

Sala delle colonne


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Alla conquista dei diritti civili

L’Unione opera per la formazione della cittadina e insieme per l’affermazione di un modello nuovo di famiglia e di società. Per raggiungere questo scopo anche gli istituti giuridici devono essere cambiati. Uno di questi è l’autorizzazione maritale. La norma, residuo del Codice civile napoleonico e fatta propria dal Codice Pisanelli del 1865, nega personalità giuridica alle donne sposate e vieta loro di donare, alienare, ipotecare, acquistare senza il consenso scritto del marito.

L’istituto è abolito nel 1919 con le “Disposizioni relative alla capacità giuridica della donna”: la legge Sacchi, che apre inoltre alle donne l’accesso alle attività professionali e agli impieghi pubblici.

Disegno di legge (1917)

“Voce Nuova” (1919, n. 13)

“Unione femminile” (1901, n. 3 - 4, estratto)

La campagna per il divorzio è un altro dei cavalli di battaglia delle unioniste di primo Novecento, che contribuiscono alla proposta di legge per il riconoscimento e la legittimazione dei figli nati fuori dal matrimonio.

“Unione femminile” (1901, n. 3 - 4 - 5 - 6 estratti)


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I primi due congressi nazionali

Nel primo decennio del Novecento il movimento delle donne è molto vivace. Al primo Congresso nazionale delle donne italiane partecipano circa mille donne, un numero impressionante per l’epoca. L’evento si tiene a Roma dal 23 al 30 aprile 1908 e costituisce un momento di visibilità pubblica senza precedenti. Per la prima volta le donne italiane si incontrano per discutere la “questione femminile”, cioè la subordinazione delle donne in famiglia e nella società. Vi sono rappresentate tutte le anime del movimento delle donne del primo Novecento (suffragiste, socialiste, cattoliche), che però non riusciranno a trovare una sintesi. I due temi del divorzio e dell’insegnamento della religione nella scuola pubblica, infatti, sono motivo di contrapposizione e divisione. Tra il 23 e il 28 maggio del 1908 l’Unione femminile organizza a Milano il Primo congresso nazionale di attività pratica femminile, cui intervengono anche attiviste cattoliche di spicco.

In tale ambito viene sostenuta la campagna per l’introduzione del divorzio, già avviata sul periodico “Unione femminile”, ed è confermata la mozione votata a maggioranza nel Congresso di Roma che nega l’opportunità dell’insegnamento della religione nella scuola pubblica.

“La Donna” (1908, n. 81)

Spilla del primo Congresso nazionale delle donne italiane


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Diventare cittadine d’Italia

Il programma dell’Unione propone fin dalle origini l’idea di uomini e donne come “due forze non eguali ma equivalenti, con diritto e dovere di esplicarsi favorevolmente a vantaggio comune”. Si tratta di un diritto-dovere che deve necessariamente attuarsi anche sul piano della rappresentanza politica. Nel 1904 il deputato socialista Mirabelli presenta un disegno di legge sul voto femminile, mentre è in corso un’inchiesta dell’Unione femminile, pubblicata nel 1905 sull’omonima rivista con il titolo “Il voto alla donna?”. Con l’invio di 500 questionari a personalità della cultura e della politica si chiede se si debba riconoscere il diritto di voto amministrativo e politico alle donne, e per quali ragioni. Delle 140 risposte (53 uomini e 87 donne) la maggioranza si esprime favorevolmente. Nel 1905 l’Unione stende una petizione firmata da 10.000 donne in cui si chiede “per la donna il riconoscimento del diritto di voto amministrativo e politico e l’eleggibilità”. Nel 1906 contribuisce a fondare la sezione lombarda del Comitato nazionale pro suffragio, che nel 1910 presenta un manifesto comune a tutti i gruppi femministi.

1905

Nel 1923 la legge Acerbo garantisce anche il voto amministrativo ad alcune categorie di donne. Ma la legge decade con la fine della legislatura e con l’avvento del regime fascista per le donne finisce anche il sogno del diritto al voto. Risposta di Rina Faccio (Sibilla Aleramo) al questionario per l’inchiesta “Il voto alla donna?”

“Domenica del Corriere”, disegno di Achille Beltrame (4 novembre 1906)

14 - 21 dicembre 1919


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Diventare cittadine del mondo

L’attivismo suffragista dell’Unione si inserisce nel grande movimento che interessa tutti i Paesi occidentali ed alcune aree dell’Asia e dell’Africa. La prima guerra mondiale interrompe drammaticamente i legami internazionali tessuti con pazienza dalle molte organizzazioni femminili dalla fine dell’Ottocento in poi e riconfermati nei grandi congressi di Londra, Parigi, Berlino, Roma, Toronto, Amsterdam e Budapest.

Cartolina (anni Dieci ca., collezione privata)

Cartolina del Comitato lombardo pro suffragio (1911 ca.)

Con il primo dopoguerra il diritto di voto alle donne viene riconosciuto in alcuni Paesi. La Repubblica tedesca, quella austriaca, i Paesi Bassi, gli Stati Uniti e la Gran Bretagna introducono il principio del suffragio femminile, pur prevedendone, in alcuni casi, un’applicazione graduale.

Per le francesi e le italiane, nonostante le vive aspettative ed alcuni tentativi parlamentari falliti, si conferma l’esclusione dalla cittadinanza.

1907


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Le lotte per i diritti sociali: lavoro e maternità

L’Unione sostiene che a parità di lavoro svolto deve corrispondere pari salario, chiedendo anche forme di protezione da parte dello Stato per la maternità delle lavoratrici.

La legge sul lavoro delle donne e dei fanciulli approvata nel 1902 non accontenta l’Unione, perché le operaie sono obbligate a stare a casa dopo il parto senza alcuna forma di retribuzione e con il rischio di perdere il lavoro.

L’Unione si impegna così per l’istituzione delle Casse di maternità. Fondate sul principio di mutualità, esse danno sostegno economico alle lavoratrici madri nel periodo precedente e successivo al parto. La prima Cassa di maternità milanese è istituita nel 1905, con il contributo della Società Umanitaria. L’Unione ne apre altre due nel 1919 e nel 1925. Oltre all’impegno sui diritti civili e politici, l’Unione agisce per la tutela delle lavoratrici attraverso

la formazione di ispettrici di fabbrica che facciano rispettare la legge approvata nel 1902.

1902 Modulo per la “Inchiesta sulle lavanderie” utilizzato dalle ispettrici di fabbrica formate dall’Unione.

La lavanderia 1. Località: Mandamento Via Entro o fuori la vecchia e la nuova cinta daziaria. Distanza dalla stazione terminale del tram. _____________________________ 2. La casa in cui trovasi la lavanderia è antica o recente; è costruita appositamente per lavanderia o adattata 3. Dove si lava: se al fosso quanto è distante se nell’abitato in luogo chiuso o aperto se all’aperto come è riparato dalle intemperie. ______________________________ Se in luogo chiuso a che piano si trova: sotto il livello stradale o a pianterreno. Da quali vani ha luce: porta, finestra, intercapedine. Recipienti nei quali si lava: mastelli, vasche, ecc. 4. La bucateria si trova nello stesso locale dove si lava o altrove? Se altrove descrivere come per la lavanderia: ______________________________ 5. Natura del selciato ______________________________ L’acqua scorre o stagna in terra? Respirabilità dell’aria, umidità, vapore: ______________________________ Sistema d’illuminazione: ______________________________ Ampiezza del locale ______________________________ 6. Quanti operai lavorano nello stesso locale: ______________________________ “Unione femminile” (1902, n. 3 - 4)

7. Sistema di riscaldamento: legna, carbone, motrici a vapore, ecc.

L’Ufficio di collocamento per il personale femminile di servizio è istituito dall’Unione femminile nel 1905 e funzionerà fino al 1938. È rivolto alle domestiche, alle cuoche, alle cameriere e a tutto il personale d’albergo. Nel 1906 all’Ufficio di collocamento è affiancato un dormitorio-pensione con lo scopo di accogliere le ragazze appena arrivate in città per cercare lavoro come domestiche, prima che siano intercettate dal mercato della prostituzione. L’Ufficio si occupa anche della tutela dei diritti e in particolare delle minorenni impiegate a servizio.


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No allo sfruttamento, sì all’istruzione

L’Unione propone diverse iniziative per l’istruzione delle bambine e contrasta lo sfruttamento del lavoro minorile. Nel 1902 sostiene lo sciopero delle “piscinine”, bambine dai 9 ai 13 anni che per pochi centesimi al giorno lavorano nelle sartorie e modisterie, sia come apprendiste che nella consegna a domicilio di pacchi molto pesanti. Per loro sono istituiti il ricreatorio festivo La Fraterna e la Scuola di disegno professionale diretta dal pittore Giuseppe Mentessi, che successivamente accolgono anche donne adulte. Entrambe le istituzioni diventano autonome nel 1911. È notevole l’impegno dell’Unione sul fronte dell’istruzione professionale femminile e il riconoscimento del ruolo delle donne nel mondo del lavoro, studiato attraverso analisi e inchieste.

“La piscinina”, opuscolo a stampa a cura dell’Unione femminile con estratto della poesia di Giovanni Porro-Schiaffinati

Imparaticcio

“Il Secolo XX” (1905, n. 1)

Scuola di disegno della Fraterna, società di mutuo soccorso fra le “piscinine”

1901


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Il mestiere più antico del mondo?

Per contrastare il mercato sessuale di donne adulte e minorenni è costituita nel 1901 la sezione milanese del Comitato contro la tratta delle bianche, in collegamento con la sezione di Roma e con ‘l’International bureau for the suppression of traffic in women and children’, con sede a Londra. A promuoverlo sono Ersilia Majno, Nina Rignano Sullam con altre personalità tra cui Alessandrina Ravizza, il sindaco di Milano Ettore Ponti e il medico Camillo Broglio. Aderiscono al comitato più di 100 persone. Le esponenti dell’Unione criticano la linea interclassista e di sola denuncia del Comitato nazionale e internazionale. 1912

Ersilia Bronzini Majno e Bambina Arioli Venegoni nella sede del Comitato contro la tratta delle bianche

1919

Mentre lavora in stretto contatto con la pubblica autorità per intercettare il bisogno di assistenza, il Comitato denuncia le cause sociali della prostituzione attraverso analisi e inchieste. “La prostituzione è una estrema conseguenza dell’oppressione sociale e sessuale subita dalle donne”. Così scrive Ersilia Majno al marito Luigi, aggiungendo che “bisognerebbe poter raggruppare tutti i mezzi e le volontà per cambiare radicalmente le forme economiche, i metodi di istruzione e i concetti di morale e i diritti sui quali la società si basa”.

1881

1902

L’Unione femminile, coerentemente, sostiene anche la necessità dell’educazione sessuale per entrambi i sessi.


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L’Asilo Mariuccia

L’Asilo Mariuccia è fondato nel 1902 da un gruppo di dirigenti dell’Unione femminile che avevano aderito al Comitato contro la tratta delle bianche per accogliere ragazze avviate alla prostituzione, o per aver subito violenze o abusi sessuali, o con vissuti tali da compromettere lo sviluppo di un’esistenza normale. L’Asilo porta il nome di una delle figlie dei coniugi Majno, morta di difterite a tredici anni. Ersilia Majno lo dirige dall’anno successivo dedicandovi impegno assiduo e appassionato fino al 1933, anno della sua scomparsa.

Opuscolo (1914)

Tra il 1902 e 1935 l’Asilo ospita 1134 tra bambine e giovani donne (anche bambini, inviati nel primo dopoguerra dall’Ufficio indicazioni e assistenza in supporto a madri povere). L’intento delle fondatrici è di dare alle Mariuccine la possibilità di trascorrere un periodo della loro esistenza in un ambiente familiare dove acquisire gli strumenti per diventare brave madri di famiglia e oneste lavoratrici.

Le giovani traviate avrebbero dovuto essere “addestrate all’emancipazione” attraverso la valorizzazione di competenze femminili tradizionali e la formazione professionale adatta al lavoro extra-domestico, in una visione laica dell’assistenza.

Gruppo di Mariuccine (1905 - 1910 ca.)

Veduta dell’Asilo Mariuccia, dalla via Michelangelo Buonarroti ad ampliamento compiuto)

Il lavoro è proposto come veicolo di dignità ed emancipazione. Il progetto pedagogico si scontra, tuttavia, con il carattere di molte ricoverate, già forgiato da esperienze durissime. Per quanto avanzato, infatti, il programma educativo diventa complesso nella sua fase di applicazione.

Cartolina (1913)


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Pioniere nei servizi sociali

L’Ufficio indicazioni e assistenza, fondato nel 1900 e inserito già nel programma fondativo del 1899, è una delle prime iniziative dell’Unione ed è pensato come modello di coordinamento pubblico dell’assistenza cittadina. I suoi scopi sono molteplici: dare indicazioni sugli enti di assistenza e aiutare i bisognosi nel disbrigo delle pratiche per ottenere sussidi; raccogliere dati e studiare le cause e i rimedi della povertà; preparare le donne all’attività sociale; formare delegate esperte allo scopo di ricoprire cariche di consigliere nelle Opere pie cittadine; seguire l’iter delle pratiche per verificarne l’esito.

È l’origine del segretariato sociale. L’informazione, considerata centrale già nel progetto fondativo, è intesa come elemento costitutivo della cittadinanza sociale prima che politica. Le unioniste infatti vogliono trasmettere il senso del diritto a ricevere assistenza dalle istituzioni senza doversi affidare alla beneficenza pubblica o privata. Al primo impegno dell’Unione si aggiungono poi la collaborazione con la Società Umanitaria e quella con il Comune. Dal 1904 si aprono altre sedi in diversi quartieri. L’Ufficio segna un’azione incisiva nella lotta contro la tubercolosi ed è preso a modello per iniziative analoghe in altre città, come Firenze, Livorno, Cagliari, Catania. Nel corso degli anni l’Ufficio si articolerà in altre importanti istituzioni: • la Pensione dormitorio per domestiche (ed impiegate) in attesa di collocamento e sistemazione; • Il Convitto-scuola per domestiche che ospitava gratuitamente per tre mesi giovani domestiche per avere un’istruzione professionale; • la Scuola di cucina ed economia domestica; • un Ricreatorio festivo per dare una cultura generale alle giovani domestiche; • l’opera di un’assistente sociale assunta per le pratiche di assistenza alle domestiche e alla sorveglianza delle minorenni; • il Comitato pro-vedove (1934).

La “Relazione sul lavoro degli Uffici Indicazione e Assistenza 1910” documenta con questa tabella la capacità di rispondere con successo ai bisogni della popolazione più povera. Inchiesta dell’Ufficio indicazioni e assistenza su 100 madri vedove (1934)

Nel 1938 l’Ufficio indicazioni e assistenza assiste 2863 persone, come risulta dal ricorso intentato nel ‘40 dalle socie dell’Unione contro la confisca dello stabile di corso di Porta Nuova. È l’ultimo anno di attività. Poi l’intervento del regime interrompe questa importante opera di utilità sociale.

Ufficio indicazioni


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L’assistenza materna e infantile

Nella società urbana di inizio Novecento i neonati sono abbandonati, i bambini trascurati o costretti a lavorare, i ragazzi lasciati a se stessi e poi giudicati come adulti. Per agevolare lo studio e l’impegno a favore dei minori l’Unione femminile crea la Pro infanzia.

È inoltre in primo piano nella campagna per l’introduzione di un sistema penale differenziato per i minori. Anche sulla riforma dell’istruzione l’Unione spende molte energie, mirando alla “scuola integrale”, ossia completa di tutti i servizi di supporto che rendano possibile il rispetto dell’obbligo scolastico anche per le famiglie meno agiate. In collaborazione con il Comune l’Unione apre servizi per l’assistenza alla maternità: i Consultori per lattanti, gli Ispettorati baliatici, il Centro di salute, le cucine materne, i corsi di puericultura e psicologia. Sono due le sezioni della Cassa di maternità aperte dall’Unione, nel 1919 e nel 1925. Alcune attività di assistenza alla maternità passeranno all’Opera nazionale maternità e infanzia (ONMI). L’Unione è inoltre tra gli enti chiamati alla gestione del Centro di salute materna e infantile di Milano.


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Un periodico per l’Unione

Il periodico “Unione femminile” nasce nel 1901 come spazio di informazione e di approfondimento. A cadenza mensile, il giornale è in continuità con le campagne e le iniziative sostenute dall’Unione femminile sul terreno dei diritti ed è inoltre uno spazio di elaborazione teorica delle attività pratiche dell’Unione. L’“Unione femminile” propone inchieste sulla condizione delle lavoratrici, analisi, recensioni di libri e studi, poesie, notizie sulle attività del femminismo in Italia e all’estero, informazioni di carattere giuridico, insomma tutto ciò che possa contribuire “alla diffusione dell’idea”.

Nello stesso periodo in cui è fondato il periodico, nascono una trentina di testate di diverso indirizzo specificamente rivolte alle donne. Alla stampa è attribuito un ruolo importante sia di discussione che di collegamento fra gruppi e singole lettrici. Tra tutte le pubblicazioni nate ai primi del Novecento quella dell’Unione è rivolta a “tutte le donne cui sta a cuore il miglioramento economico e sociale della loro classe”, in modo particolare alle lavoratrici: operaie, impiegate, maestre. In pratica, però, ad apprezzarlo sono in prevalenza donne di cultura medio-alta che hanno già preso coscienza e uomini attenti ai processi di modernizzazione.

Nel 1905 le pubblicazioni si interrompono bruscamente. Alle difficoltà economiche, presenti fin dalla fondazione, si unisce infatti la morte di Carlotta, la figlia appena ventenne di Luigi Majno e di Ersilia, direttrice. Dal 1908 al 1912 il periodico sarà proposto come bollettino trimestrale delle attività dell’Unione. Il bollettino “Unione femminile” viene rilanciato infine tra il 1917 e il 1918. La spinta nazionalista che pesa anche all’interno del gruppo dirigente dell’Unione femminile si rispecchia in questa breve seconda vita del periodico, il cui ultimo numero, nell’agosto del 1918, celebra la nascita del Fascio femminile non senza determinare perplessità da parte di alcune consigliere.


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Spazi di cultura e di aggregazione

Nel manifesto programmatico l’Unione femminile si pone l’obiettivo di “una Sede decorosa, una Biblioteca in comune, una Sala di lettura con giornali e riviste; Conferenze, Corsi di lezioni, Trattenimenti”. Il vasto repertorio di volantini e inviti ancora conservati nell’archivio storico testimonia lo sviluppo del programma. L’Unione si propone, dunque, come agenzia culturale con iniziative volte a suscitare l’interesse delle donne sui problemi della società d’inizio secolo e al fine di coinvolgerle successivamente nelle attività pratiche dell’Unione. Allo scopo sono formate commissioni tra le socie che manifestano la volontà di un impegno diretto. Il teatro diviene la sede di un’intensa attività di dibattito e di socializzazione. Il circolo dell’Unione femminile organizza conferenze su temi chiave dell’attività dell’Unione (diritti civili, sociali e politici, pedagogia e igiene) con uno sguardo al movimento delle donne in Europa.

Il teatro dell’Unione dopo la prima guerra mondiale

L’esperienza del circolo si interrompe entro la prima guerra mondiale, ma non l’impegno dell’Unione sul versante culturale. Negli anni Venti il teatro è ampliato e munito d’impianto cinematografico. Si proiettano documentari sull’assistenza all’infanzia e contro l’alcoolismo. Nel ‘26 il teatro è affidato alla compagnia di Ettore Berti ed Emilia Varini, una coppia di attori importanti nel panorama italiano che collabora anche con Eleonora Duse e propone un programma di autori moderni.

Nel 1900 si inaugura la sede dell’Unione in via S. Tommaso 6 con la conferenza di Ada Negri su Elizabeth Barrett Browning, poetessa e promotrice in Inghilterra del Movimento per la difesa del fanciullo. L’interesse per il movimento suffragista europeo è continuativo. Nel 1913, nella nuova sede, Adele Pankhurst tiene una conferenza su “La storia del movimento suffragista militante in Inghilterra”.


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La biblioteca e la sala di lettura

Fin dalla sua apertura nella prima sede di via San Tommaso, l’Unione offre alle socie una sala di lettura e la biblioteca. Una commissione specifica si occupa del suo funzionamento, degli acquisti e degli abbonamenti. I libri acquisiti sono puntualmente indicati nel periodico dell’Unione femminile e riguardano i temi consueti dell’Unione: il filone sociale, quello pedagogico, la condizione della donna. Molta attenzione è riservata alle riviste estere. Nel 1926, in pieno regime, la biblioteca è curata da Bianca Ceva, insegnante e antifascista, sorella di Umberto Ceva, dirigente di Giustizia e Libertà morto suicida in carcere. Sotto la sua guida, la biblioteca sottoscrive abbonamenti a riviste italiane e francesi e organizza conferenze su vari autori.

Sala di lettura, biblioteca Unione femminile

L’Unione femminile comunica attraverso il bollettino le riviste e le novità in biblioteca (1908, n. 1)


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L’Unione cresce...

Roma, Udine, Livorno, Torino, Catania, Breno, Rovereto, Cagliari, Macomer: sono le sezioni dell’Unione femminile aperte in altre città italiane. Ogni sezione ripropone gli obiettivi indicati nel programma fondativo dell’Unione, declinandoli secondo i bisogni locali e la sensibilità delle attiviste. Tutte le sezioni chiudono entro il 1938. Segnaliamo qui le sezioni attive più a lungo e con maggiore intensità. La prima sezione esterna dell’Unione femminile apre a Roma nel 1903. Tra i nomi del comitato troviamo quello della celebre scrittrice Sibilla Aleramo e di Anna Celli, figura di spicco nella storia dell’assistenza sanitaria. L’istruzione è il campo d’azione della sezione romana, che nel 1904 costituisce una scuola estiva femminile ed avvia scuole serali e festive per i contadini dell’Agro romano, con grande risonanza sulla stampa nazionale. Il periodico “Unione femminile” aveva già denunciato con gli articoli di Anna Celli le disastrose condizioni sanitarie e la totale mancanza di servizi sociali delle campagne romane. Una realtà disumana cui le Unioniste rispondono con l’offerta di istruzione primaria contro l’analfabetismo e come veicolo per acquisire coscienza dei propri diritti. L’attività della sezione romana è documentata fino al 1931. A Firenze è fondato un Ufficio indicazioni e assistenza, operativo dal 1904 grazie all’impegno di Bice Cammeo, la più giovane attivista dell’Unione femminile di Milano. L’Ufficio ricalca il modello milanese, con l’obiettivo di “ricercare i mezzi migliori per sollevare l’indigente dallo stato di miseria, anziché prolungarvelo con soccorsi insufficienti, mettere il misero al grado di adempiere al proprio dovere, anziché sottrarvelo con troppo facili aiuti”. Nel 1907, a soli 3 anni dall’apertura, sono documentati 13.017 ricorrenti ed evase 169 domande di lavoro.

La capanna-scuola a Carchitti

La sezione di Torino, fondata nel 1905, è una delle più attive e longeve. Avvia da subito un Ufficio indicazioni e assistenza e si concentra soprattutto sulle scuole operaie serali femminili, inaugurate nel 1909.

Oltre a preparare le allieve al conseguimento della licenza elementare, le scuole serali offrono una serie di conferenze su malattie professionali, igiene, economia domestica, legislazione sul lavoro. Nel corso degli anni la sezione torinese istituisce: l’Ufficio di collocamento per le domestiche, il Consultorio per lattanti, l’Associazione insegnanti private e impiegate civili e di commercio, il Comitato contro la tratta delle bianche, l’Associazione fra le studentesse universitarie. Queste attività sono documentate fino al 1938 con numerose relazioni a stampa. A Livorno la sezione è istituita nel 1910 con lo scopo di aprire un Ufficio indicazioni e assistenza. Nei primi 45 giorni si registrano 380 domande, a segnalare il bisogno di coordinare la pubblica assistenza.

Come accade nelle altre sezioni, accanto al diritto all’assistenza le Unioniste livornesi lavorano anche per il diritto all’istruzione. Organizzano “convegni educativi festivi” per le operaie e “letture istruttive” con “le fanciulle del popolo” dai 12 ai 15 anni, accompagnandole con una “biblioteca circolante”. I convegni festivi si svolgono con una prima ora di lezione tenuta da esperti, nella seconda ora ginnastica. L’attività della sezione è documentata fino al 1923. L’impegno nell’educazione e nell’assistenza all’infanzia è la cifra caratteristica della sezione di Breno, in provincia di Brescia. Aperta nel 1911, agisce in coordinamento con il Patronato scolastico, fonda una colonia marina per i bambini poveri e propone corsi di economia domestica. La sua attività è documentata fino al 1928.


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…le sezioni in altre città

La sezione di Catania sorge nel 1908 come organizzazione dell’assistenza ai terremotati. Le attiviste dell’Unione femminile organizzano i soccorsi più urgenti, lezioni per i bambini che non possono andare a scuola e, in seguito, reinserimento nel lavoro per coloro che lo hanno perso. La colonia marina per i bambini di Catania anemici e scrofolosi è la più innovativa e interessante delle iniziative della sezione catanese, che nel 1909 apre un ambulatorio medico-chirurgico per assistere i bambini anche dopo il periodo della colonia (662 assistiti nel primo anno). Con gli anni l’ambulatorio si arricchisce di un reparto ginecologico e di uno odontoiatrico.

Colonia marina catanese

L’opera dell’Unione catanese si avvale del contributo di Michele Crimi, educatore e pedagogista siciliano che sul giornale “Unione femminile” pubblica i primi articoli di denuncia sullo sfruttamento dei fanciulli in Sicilia. La sezione di Catania documenta le proprie attività fino al 1938. Oltre all’ambulatorio dispensario pediatrico pretubercolare, funziona una scuola pratica di avviamento al lavoro, con laboratori di taglio e cucito per biancheria e sartoria, corsi di disegno applicato al lavoro, corsi di pittura e laboratorio modisteria. La scuola intende sottrarre le giovanette allo sfruttamento delle maestre private, offrendo quanto necessario alla loro formazione culturale. Nel primo dopo-guerra e negli anni Venti sono attive anche la Casa materna pro-vedove per i figli dei militari orfani di madre, il giardino d’infanzia, l’Ufficio di assistenza pro vedove ed orfani con assistenza medica, le scuole festive per adulte analfabete. Nel 1912 l’Unione girgentina per l’elevazione economica, intellettuale e morale della donna delibera di unirsi alla Unione femminile nazionale, di cui condivide le finalità. Anche a Girgenti, che è il nome antico di Agrigento, le attiviste si rivolgono alle donne del popolo. Il laboratorio di sartoria offre a ragazze tra i 12 e i 15 anni lezioni di taglio, cucito e ricamo. Il programma della scuola festiva, che accoglie donne di tutte le età, prevede l’insegnamento della scrittura e della lettura, norme d’igiene, economia domestica, educazione dei bambini. È fondata nel 1915 la sezione di Macomer, in provincia di Nuoro. Come l’Unione femminile milanese, anche qui si organizzano attività di supporto ai soldati e alle loro famiglie. Chiusa l’emergenza della guerra l’attività di questa sezione, documentata fino al 1922, è caratterizzata dall’assistenza alle vedove, alle madri indigenti, agli orfani.

Sezione di Cagliari, “relazione morale 1920 - 21”

Nel 1915 apre anche la sezione di Cagliari. Si costituisce “con bell’impeto patriottico” per venire in aiuto ai combattenti e alle famiglie. Pellicce, sacchi a pelo, panciotti foderati, calzettoni di lana per congelamento decine di migliaia di scalda-rancio sono inviati ai commissari militari che ne fanno richiesta. Nei laboratori di biancheria, che producono anche vestiti e scarpe per i bambini, trovano lavoro 2000 operaie. Nel 1921 le unioniste di Cagliari segnalano la difficoltà a mettere in atto un programma che vada oltre l’emergenza assistenziale e realizzi “la preparazione spirituale della donna perché consciamente eserciti la sua funzione politica” come richiesto dalla sede centrale di Milano. La sezione avvia un corso di taglio per abiti femminili e una biblioteca circolante a domicilio. L’attività è documentata fino al 1924. Nel 1919 si costituisce una sezione a Rovereto (Trento). Proprio in quell’anno l’Unione milanese si mobilita per fornire aiuti (indumenti e alimenti) alle provincie “redente”, cioè liberate dal dominio austriaco e provate dalla guerra appena conclusa. L’attività principale della sezione è il laboratorio di biancheria a manodopera femminile. Le fondatrici vogliono creare intorno alle operaie, tutte socie lavoratrici, un ambiente favorevole alla loro crescita culturale. Predispongono infatti una piccola biblioteca a loro disposizione oltre a orari e spazi in cui possano riunirsi, allo scopo di coinvolgerle nell’attività e nelle decisioni dell’associazione. L’attività della sezione è documentata fino al 1938.


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L’Unione lenisce i mali della guerra

Durante il primo conflitto mondiale l’Unione si impegna a sostenere i soldati e le loro famiglie in patria, mettendo a disposizione le proprie strutture e le proprie capacità organizzative. Nella casa dell’Unione si attivano laboratori di biancheria, di maglieria, per la produzione di maschere antigas, di antiparassitari, di gambali, di scalda-rancio destinati ai combattenti. 400 socie confezionano 10.000 maschere antigas. Quando il comando militare dà la commessa all’Unione per la fornitura di altre 250.000 maschere, l’Unione impiega 105 operaie, tra cui molte mogli di soldati, con un salario superiore a quello dato dagli imprenditori. Anche il laboratorio di biancheria dà lavoro a centinaia di donne: 500 operaie sono impiegate nella confezione di maglie di lana, 196 nella produzione di indumenti militari; 500 nei laboratori istituiti con il Comune per la confezione di biancheria, 123 in quello di maglieria a macchina. Nel 1915 l’Ufficio indicazioni e assistenza dell’Unione collabora con il Comune, partecipando alle commissioni mandamentali di beneficenza a sostegno alle famiglie dei richiamati. Con i padri in guerra e le madri al lavoro, chi si prende cura dei neonati? Nel 1915, sulla spinta dell’Ufficio indicazioni e assistenza, l’Unione apre nella propria sede la Casa materna per accogliere bambini “lattanti e slattati” da 1 a 6 mesi. Con l’ausilio di vigilatrici d’infanzia volontarie ne accoglie 276, con una presenza di 25.805 giornate. L’Unione collabora inoltre con il Comitato di soccorso pro-disoccupati del Comune nella raccolta di fondi, di indumenti, stoffe e generi alimentari da mandare ai soldati, insieme a opuscoli di morale e igiene sessuale per i combattenti e pubblicazioni come “L’Almanacco del soldato”.

Lo scalda-rancio è un impasto di carta e stracci imbevuto di paraffina o cera che, acceso, è utilizzato dai soldati per riscaldare il rancio. Durante il conflitto, l’Unione produce e invia al fronte 5 milioni di scalda-rancio.

Centinaia di lettere dal fronte testimoniano l’apprezzamento dei soldati per questo lavoro di cura. Cartolina del Comitato pro-disoccupati, disegno di Giuseppe Mentessi


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L’Unione tra interventismo e pacifismo

La prima guerra mondiale divide gli italiani tra interventisti e neutralisti. Il nazionalismo si impone gradualmente all’internazionalismo e al pacifismo che hanno caratterizzato la fase precedente del movimento delle donne. Nel 1916, a Roma, si costituisce la Lega delle seminatrici di coraggio, per iniziativa di Sofia Bisi Albini, allo scopo di inviare messaggi patriottici e di sostegno ai soldati in guerra e si schiera contro chi, sul fronte interno, è contrario alla guerra. Nel 1917, dopo la sconfitta di Caporetto con l’avanzata del nemico nel territorio italiano, l’Unione femminile lancia un appello contro il disfattismo, firmato da molte associazioni ed enti milanesi. Il 27 dicembre indice un comizio presso il Palazzo della Borsa a cui aderiscono le associazioni femminili milanesi. Tra le intervenute dell’Unione, la presidente Clara Ferri Benetti e Ada Negri.

È approvato un ordine del giorno, pubblicato dall’Unione nel numero unico “La Riscossa” e distribuito nelle trincee e nel paese. Vi si chiede di sopprimere i giornali disfattisti, espellere gli invasori dall’Italia, tenere uno stile di vita austero. La casa dell’Unione ospita convegni settimanali di donne trentine profughe e su invito del Comune di Milano collabora con il Comitato profughi. Dopo la guerra l’Unione pubblica il settimanale “Voce nuova” (maggio 1919 - febbraio 1920) il cui programma, finalizzato anche a “tener vivo l’amore e il concetto di patria inteso come conservazione e sviluppo di particolari caratteri etnici della nazione”, non trova consenso tra molte socie. Tra loro Ersilia Bronzini Majno, in quanto per lei pacifismo, lotta di classe, emancipazione e solidarietà femminile vanno congiunti.


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Cucine popolari e ristoranti economici

Nel 1917 l’Unione femminile partecipa su invito del Comune di Milano alla fondazione della Cooperativa per cucine popolari e ristoranti economici a prezzi modici. Le Cucine nascono presso fabbriche, come la Manifattura Tabacchi e lo stabilimento Pirelli (in funzione ancora nel ‘20), e nei quartieri popolari: per esempio, in Porta Lodovica, dove la Cucina è ampliata dopo la guerra con impianti di lavanderia, un deposito e un laboratorio di biancheria; in via Farini, dove è chiusa dopo la guerra. Le cucine sono frequentate da operaie occupate nell’industria di guerra e tutta la manodopera è femminile. I ristoranti, aperti in zone centrali, in spazi ampi e decorosi, con un servizio esclusivamente femminile, sono molto frequentati dalla piccola borghesia, colpita economicamente dalla guerra. Nel 1920 si amplieranno il ristorante di Porta Venezia e quello di via Dante, con un’affluenza giornaliera di 2500 persone per un pasto di 3 lire. Dagli anni Venti la Cooperativa prende il nome di ABC Cooperativa per ristoranti a prezzi fissi: le tre lettere dell’alfabeto caratterizzano i diversi menù proposti nei ristoranti, dal più costoso e al più economico.

Ristorante ABC, via Merlo n. 1

Nel 1931 la Cooperativa indice un concorso per una “illustrazione della città di Milano”, per “presentare al turista italiano e straniero la città nei multiformi aspetti della sua vita attuale”. Ne viene tratto un opuscolo da offrire ai turisti in visita a Milano in cui è descritto un itinerario cittadino con partenza dalle sedi dei ristoranti dell’ABC. Dopo la guerra, il 23 agosto del 1946, quando la casa dell’Unione è inagibile perché bombardata, la Cooperativa ristoratori ABC di via Verdi 2 ospita l’assemblea di riapertura dell’Unione per l’elezione del consiglio di amministrazione, e lo farà fino al 1950, anno in cui riapre la casa di corso di Porta Nuova “rinata dalle macerie”. In questi anni i ristoranti ABC registrano una crescita di affluenza, al punto che, nel 1952, si acquistano nuovi locali in via Merlo dove sarà aperto un nuovo ristorante ABC. Nel decennio successivo la città cambia volto, riempiendosi di tavole calde, fast food e ristoranti. Nel 1973 si chiude l’ultimo ristorante ABC e la Cooperativa confluisce nell’Unione femminile nazionale, che ne conserva l’archivio.


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Gli anni del fascismo e la scure del regime

Tra il 1926 e il 1927 entrano in vigore le “leggi fascistissime”, con l’istituzione, tra l’altro, dell’Opera per la vigilanza e la repressione dell’antifascismo (OVRA) e del Tribunale speciale, la sospensione dei diritti sanciti nello Statuto albertino. Tra gli anni Venti e gli anni Trenta, insieme al processo di fascistizzazione dello Stato, le attività di assistenza all’infanzia e alla maternità dell’Unione sono gradualmente incorporate nel piano d’intervento dell’Opera nazionale maternità infanzia (ONMI) e nel 1926 l’Unione accetta di federarsi all’Ente nazionale della cooperazione (ENC). Queste collaborazioni forzate permettono all’Unione femminile di sopravvivere all’immediata chiusura, come già accaduto a diverse associazioni femminili, e di attuare forme di resistenza al fascismo sia nel perseguire gli obiettivi statutari sia nel rendere possibile un confronto culturale aperto.

Il 31 marzo 1946 è presentato un ricorso al Ministero dell’industria e del commercio e degli Interni per la revoca del decreto di scioglimento.

L’Unione è ancora tollerata dal regime, tanto che nel 1931 aderisce alla “Petizione per il disarmo” , promossa dalla Federazione italiana dell’Alleanza internazionale per il suffragio e i diritti civili e politici delle donne, la cui presidente è Ada Sacchi Simonetta. Il prefetto di Milano, sollecitato dal ministro degli Interni, invita le dirigenti dell’Unione ad astenersi da questa iniziativa. Ma tutte le sezioni dell’Unione continuano a raccogliere le sottoscrizioni insieme con la Società per la pace. La petizione è comunque presentata a Ginevra nel 1932, in occasione della Conferenza della donna.

Poco dopo, un decreto trasmesso dal prefetto della Provincia di Milano impone lo scioglimento dell’Unione femminile nazionale, sostenendo che l’opera assistenziale dell’associazione deve essere demandata esclusivamente ad enti e ad uffici pubblici, ma in realtà perché antifascista. Anche i beni patrimoniali dell’Unione devono essere devoluti all’Ente comunale di assistenza di Milano. L’Unione fa subito ricorso appellandosi al Ministero dell’Interno.

Il 1938, con l’emanazione delle leggi razziali, segna la svolta decisiva. Tra le socie dell’Unione femminile nazionale vi sono donne ebree, tra le quali due delle consigliere in carica. Nina Rignano Sullam e Graziella Sonnino si sono già dimesse quando il consiglio di amministrazione riceve l’ordine di presentare l’elenco delle consigliere ebree alla fiduciaria provinciale dei Fasci femminili di Milano.

Con decreto 26 marzo 1942, il Ministero delle corporazioni decreta lo scioglimento del consiglio di amministrazione e la nomina di commissari ministeriali. Infine il Ministero nomina un liquidatore. I commissari, entrambi convinti dell’ingiustizia del decreto, riescono per più di tre anni a conservare il patrimonio residuo. L’Unione femminile riesce, dunque, a mantenere la proprietà della casa.


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La ricostruzione

Il 28 maggio 1946 viene emesso il decreto di revoca dei decreti relativi allo scioglimento dell’Unione e il 23 agosto 1946 è convocata l’assemblea delle socie. Soltanto il 16 dicembre del 1950 la casa di Porta Nuova, “rinata dalle macerie”, può essere aperta. All’inaugurazione è presente anche il sindaco di Milano. Nell’immediato dopoguerra le unioniste si concentrano sulla preparazione politica delle donne, la difesa del lavoro e l’attuazione dei diritti ottenuti con la Costituzione, puntando “alla formazione di personalità femminili sempre più adatte alle esigenze della vita individuale e collettiva”. L’Unione subito inizia la sua attività politica e culturale e, alle elezioni del 1946 (per il referendum e l’Assemblea Costituente) e a quelle politiche del 1948, invia un appello alle donne “perché sentano in questo momento l’alto dovere di esercitare il diritto di voto che hanno conseguito”. L’Unione femminile non dà indicazioni di voto ma sostiene che le donne non possano astenersi dal votare in un momento in cui è in gioco l’avvenire delle loro famiglie, dell’Italia e dell’umanità nuova e distribuisce, durante la campagna elettorale per le elezioni politiche, i volantini di Unità socialista. Il dibattito politico e culturale si esprime attraverso la manifestazione quindicinale di incontri, curata da Sofia Garzanti Ravasi, dal titolo “Il giornale parlato Voce Nuova” (tra le relatrici Marta Abba sull’arte di Pirandello, Enrica Pischel sulla Cina). L’Unione riprende anche la sua attività sociale collaborando con l’Ente comunale assistenza. © Archivio Federico Patellani - Regione Lombardia / Museo di Fotografia Contemporanea

Dal primo settembre 1948 è aperto un servizio gratuito di segretariato sociale in collegamento con la Scuola di assistenza sociale, con l’intento di dare “appoggio sindacale assicurativo”, sanitario, civile ed amministrativo nel disbrigo di pratiche.


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Educare alla cittadinanza

Negli anni Cinquanta l’Unione punta sulla formazione delle cittadine e dei cittadini della giovane Repubblica italiana. Per sostenere l’istruzione femminile bandisce con l’Università degli Studi di Milano, per l’anno accademico 1949 - 50, un premio di studio a favore di studentesse universitarie in disagiate condizioni economiche.

Dal 1963 al 1970, con il provveditore agli studi di Milano, bandisce 20 - 35 borse di studio per bambine promosse alla terza classe di scuola media. In questa direzione va l’iniziativa di un ciclo di conversazioni su “L’educazione del fanciullo”, avviata nel 1953. Nello stesso anno è istituito il Circolo dei genitori e degli educatori “per soccorrere - col consiglio e l’aiuto di specialisti particolarmente competenti - le famiglie preoccupate per le difficoltà che oggi presenta l’educazione dei giovani”.

L’immagine è tratta dal dossier “La stampa femminile in Italia” a cura dell’Unione donne italiane, numero monografico del periodico “Posta della settimana” (1969, n.14)

Il Circolo dei genitori si avvale di un gruppo interdisciplinare di docenti e si ispira ad ideali democratici. Benché sia partecipato soprattutto da donne, si rivolge a madri e padri per evidenziare la responsabilità di entrambi i genitori. Nel 1956 il Circolo dei genitori si costituisce come Scuola dei genitori, associazione autonoma con un proprio statuto, ospitata e finanziata dall’Unione, cui rimane legata fino al 1968. Gli anni della contestazione studentesca trovano l’Unione aperta al dibattito sul rinnovamento della scuola: nel 1968 collabora con il Comitato per la riforma della scuola e con il Movimento di cooperazione educativa; accoglie nel 1970 l’Opera nazionale Montessori, diretta da Sofia Garzanti Ravasi, e nel 1971 la scuola a indirizzo pedagogico steineriano.


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Lotte per antichi e nuovi diritti

Nella seconda metà del Novecento l’Unione si impegna perché i diritti sanciti dalla Costituzione vengano realizzati. Nel 1957 partecipa al Comitato di associazioni femminili per la parità di retribuzione e nel 1961 contribuisce ad un importante convegno sui licenziamenti a causa di matrimonio. Nel 1962 aderisce al movimento delle Associazioni femminili a favore della legge Vizzini per una modifica del diritto di famiglia (patria potestà, residenza, ecc.). Dal 1967 l’Unione è tra i promotori del Centro per la riforma del diritto di famiglia, un laboratorio teorico e politico per l’approvazione del nuovo diritto di famiglia, a cui collabora Luisa Mattioli Peroni, poi presidente dell’Unione. Rappresentata in seguito da Matilde Finzi Bassani, l’Unione partecipa ai lavori per la riforma del diritto di famiglia nelle varie commissioni: rapporti personali tra i coniugi, tutela dei figli, assistenza all’infanzia abbandonata, procedimenti in materia familiare. La propaganda per il divorzio è in continuità con le campagne di primo Novecento. Nel 1974 l’Unione sostiene il NO al Referendum in cui si chiede di abrogare la legge n. 898 del 1970, “Disciplina dei casi di scioglimento del matrimonio”, con la quale era stato introdotto in Italia l’istituto del divorzio. Con volantini, pubblicazioni e conferenze l’Unione illustra la legge Fortuna - Baslini (dal nome dei due relatori); fa anche incidere un disco con due “cantate” contro l’abrogazione della legge. “Movimento di liberazione della donna”, Roma (anni Settanta)

“Unione italiana centri educazione matrimoniale prematrimoniale. Notiziario trimestrale” (1978, n. 2)

Varata nel 1975, la legge n. 151 sulla riforma del diritto di famiglia garantisce finalmente la legittimità dei figli nati fuori dal matrimonio, e altre importanti tutele. Giunge, così, a compimento una battaglia iniziata dalle fondatrici dell’Unione quasi un secolo prima. In linea con le rivendicazioni d’inizio secolo è anche la scelta di ospitare uno dei primi consultori laici. Il Centro educazione matrimoniale e prematrimoniale (CEMP), che dal 1966 al 1972 ha la sua sede presso l’Unione, offre tra l’altro consulenza per la contraccezione. Questa iniziativa è in sintonia con le prime lotte del movimento delle donne contro l’art. 553 del fascista Codice Rocco (1930) che vieta l’uso e la diffusione dei contraccettivi in nome della difesa della razza. Questo divieto è abolito solo nel 1971. L’Unione femminile, pur non avendo contatti diretti con la nuova ondata del femminismo, partecipa attivamente ad una delle campagne più importanti per l’autodeterminazione delle donne, quella sull’aborto. Bisognerà aspettare il maggio del 1978 per ottenere la legge 194 che depenalizza e regolamenta l’aborto.


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Trasmettere la memoria per trasformare il presente

La volontà di conservare e organizzare la memoria scritta del movimento delle donne, frutto dei movimenti del decennio precedente, porta alla nascita in tutta Italia dei Centri di documentazione delle donne. L’Unione si inserisce in questa nuova fase con iniziative proprie. Nel 1988 avvia l’ordinamento del proprio archivio storico, fonte importante per la storia delle donne in Italia e in Europa, e dà nuovo impulso alla biblioteca con la schedatura e l’ordinamento dei testi e l’acquisto o la raccolta nuovi titoli. È vivace anche l’attività sul piano delle proposte culturali, con una serie di convegni organizzati nella casa dell’Unione, sia in proprio che in collaborazione con altre associazioni. La storia delle donne è il filo conduttore dei corsi organizzati tra il 1982 e il 1984 dall’Unione e dal gruppo Esistere come donna e coordinati da Rachele Farina nell’ambito dell’iniziativa del Comune “Milano per voi”. Nel 1983 l’Unione partecipa al Convegno per la mostra “Esistere come donna”, con una relazione tenuta da Luisa Mattioli su “L’associazionismo femminile come stimolo all’emancipazione della donna”.

Copertina del catalogo della mostra “Esistere come donna”, Palazzo Reale, sala delle Cariatidi Milano, 1983

“Corriere della Sera” (21 ottobre 1985)

“Corriere della Sera” (21 novembre 1986)

“l’Unità” (9 novembre 1985)

È in questo periodo che si comincia a parlare di pari opportunità. L’Unione femminile organizza nel 1987 un incontro informativo sul Piano di azione nazionale, cui partecipa Alma Cappiello, coordinatrice della Commissione nazionale per la realizzazione della parità tra uomo e donna, insediata nel 1984 presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri. L’Unione collabora con altre associazioni: • la Consulta femminile interassociativa, che nel 1988 pubblica, con il contributo dell’Unione, l’opuscolo “Sesso e violenza” • la Consulta femminile regionale, di cui è Presidente Nuccia Turba, socia dell’Unione, formata da rappresentanti dei movimenti femminili dei partiti, dei Sindacati e di nove associazioni femminili • il Consiglio nazionale delle donne italiane (CNDI). Alcuni titoli dei convegni organizzati nel decennio degli anni Ottanta La Condizione femminile e l’associazionismo milanese dall’inizio del secolo ad oggi, Consultorio pubblico a Milano, Rapporti tra organi giurisdizionali e organi amministrativi a sostegno della persona e della famiglia, La condizione della donna dal Medioevo al Seicento, La dama, l’orfana, la prostituta e la strega nella Milano del Seicento, La poesia al femminile tra impegno ed esistenzialità, Mary Wollstonecraft e la nascita della letteratura femminile in Inghilterra, Esistere come pittrice nel Lombardo-Veneto tra Cinquecento e Ottocento, La condizione della donna latinoamericana.

“Corriere della sera” (23 febbraio 1987)


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Cura e impegno sociale

Mentre si esprime sul piano culturale, l’Unione femminile mantiene attivo l’impegno sul versante sociale. L’Unione continua a sostenere il Centro per la riforma del diritto di famiglia, con cui organizza convegni sulle problematiche dei minori e dei servizi alla persona, anche in collaborazione con il Centro educazione matrimoniale e prematrimoniale (CEMP). Dal 1987 al 1993 si apre lo Sportello pensioni, che offre gratuitamente la consulenza di quattro esperti. Lo Sportello ha grande successo, con la frequenza di centinaia di persone aiutate per tutto l’iter procedurale di richiesta della pensione.

Nel 1988 pubblica l’opuscolo “Donna e problema droga”, a cura di Anna Maria Crespi, con la collaborazione di Anna Del Bo Boffino (giornalista e consigliera dell’Unione), Enzo Gori e don Gino Rigoldi. Il provveditore agli Studi lo invia a tutte le scuole superiori di Milano e provincia con una lettera di accompagnamento.

Sempre nel 1988 l’Unione ospita l’Associazione malati di alzheimer e i gruppi di auto-mutuo aiuto dei familiari delle persone colpite da questa malattia. L’iniziativa, un’esperienza pionieristica che risponde in modo efficace a un bisogno rimasto fino ad allora senza ascolto, è promossa da Rosa Bernocchi Nisi, consigliera dell’Unione ed ex direttrice delle scuole specializzate della Scuola superiore di servizio sociale (UNSAS) e dell’Umanitaria. Dopo il terremoto in Friuli, l’Unione femminile dona al Comune di Tarcento un pre-fabbricato con biblioteca per farne un luogo di ritrovo e di attività aperto ai giovani.

“Corriere della Sera” (aprile 1983)


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Riguardarsi negli anni Novanta

Sensibile alle questioni dibattute dal neo-femminismo, nel 1991 l’Unione, con la presidenza di Luisa Mattioli Peroni, accoglie nella sua sede il Centro di studi storici sul movimento di liberazione della donna in Italia (poi Fondazione Elvira Badaracco) e, nel 1992, l’Associazione per una Libera università delle donne. Sollecita confronti con la neonata Società italiana delle storiche (SIS) con un ciclo di incontri sulla storia delle donne nel Novecento e promuove borse di studio per la partecipazione di studenti meritevoli alla Scuola estiva di storia delle donne, organizzata a Pontignano dalla SIS. Prosegue inoltre nel riordino dell’archivio storico con criteri archivistici. Con la presidenza di Annarita Buttafuoco (1993 -1999), storica del movimento politico delle donne, l’Unione si muove anche sul piano della ricerca storica promuovendo seminari nazionali e internazionali, da sola o con altri enti. Nel 1994 dà vita all’associazione Archivi riuniti delle donne, allo scopo di raccogliere e riordinare fondi archivistici personali di donne impegnate nella politica, nell’arte e nella letteratura. Nel 1994 avvia GopherDonna, curato da Susanna Giaccai, il primo spazio italiano in internet dedicato alle risorse storiche sulle donne, che diventa in seguito il sito www.storiadelledonne.it. L’Unione promuove la ricerca storicoculturale di giovani studiose, in collaborazione con le università, e sostiene l’aggiornamento delle insegnanti.

Luigi Majno e Annarita Buttafuoco

“Corriere della Sera” (22 febbraio 1996)

Ad Arezzo, in occasione del cinquantenario del voto alle donne, l’Unione contribuisce ad organizzare l’importante mostra iconografica e documentaria “Cittadine. Il voto alle donne in due secoli di discussioni. Immagini, racconti, biografie”, in collaborazione con diversi enti tra cui l’Università degli studi di Siena.

Copertina del catalogo della mostra “Riguardarsi” (1997)

Nel 1996, nel salone dell’Unione è allestita la mostra “Riguardarsi. Manifesti del Movimento Femminista italiano anni 1970 -1990”, a cura di Emma Baeri, in collaborazione con la Fondazione Elvira Badaracco, Archivi riuniti delle donne, Centro culturale delle donne Mara Meoni. La mostra è accompagnata da incontri e discussioni sul femminismo.

La senatrice Giglia Tedesco e le costituenti Teresa Mattei e Nadia Spano al convegno “Costituzione e cittadinanza femminile”

L’importanza data all’intreccio fra storia di genere e cittadinanza femminile si manifesta in altre occasioni importanti, come il seminario internazionale “Donne guerra Resistenza nell’Italia occupata”. Organizzato nel 1995 in collaborazione con la Società italiana delle storiche e l’Istituto nazionale per la storia del movimento di liberazione in Italia, è il primo convegno dedicato in modo specifico al ruolo femminile nella Resistenza. Nella stessa direzione va il convegno del 1997 “Costituzione e cittadinanza femminile”, cui sono invitate alcune rappresentanti dell’Assemblea Costituente. Nel 1999 cade il Centenario dell’Unione femminile. In questa occasione si inaugura un ciclo di conferenze che si concluderanno nel 2000.

Preparativi per i festeggiamenti del centenario dell’Unione (dicembre 1999)


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Perché il futuro sia memoria, non destino

La casa dell’Unione è ancora oggi un luogo di cittadinanza attiva. Forte della sua tradizione, l’Unione femminile contribuisce a diffondere una cultura sociale che valorizza l’esperienza delle donne. Nel salone grande e in quello più piccolo recuperato dalla più recente ristrutturazione si tengono convegni, dibattiti, concerti e serate di prosa. Lo Sportello famiglia offre consulenza legale gratuita in materia di diritto di famiglia. All’inizio del nuovo millennio l’Unione femminile torna ad occuparsi in modo specifico di formazione.

I cicli di conferenze “Genitori e insegnanti” offrono approfondimenti multidisciplinari sui temi dell’educazione e del rapporto con le nuove generazioni. La rete “A scuola di diritti” coinvolge studenti e docenti di scuole medie e superiori. Entrambe le iniziative sono realizzate in collaborazione con il Centro Filippo Buonarroti.

La biblioteca, che vanta ormai più di un secolo di vita, è oggi in rete con il Sistema bibliotecario nazionale e offre, insieme al servizio di consulenza alla ricerca, un repertorio di monografie e riviste specializzate in storia e condizione femminile oltre a titoli di carattere pedagogico e storico-politico.

Prosegue il recupero e riordino di fondi archivistici preziosi per la storia delle donne e di genere. I nostri archivi sono dichiarati di notevole interesse storico dalla Soprintendenza archivistica per la Lombardia.

Mostra storica dell’Unione femminile nazionale a cura di Unione femminile nazionale - Milano © Unione femminile nazionale, 2013 Redazione e progetto grafico Studio Origoni e Steiner con Lorenza Perego Roberta Cesani e Tiziana Moltoni Crediti fotografici Archivio Gusmeroli Fondazione Corriere della Sera - Archivio storico © Archivio Federico Patellani - Regione Lombardia /  Museo di Fotografia Contemporanea Archivio Storico Civico e Biblioteca Trivulziana © Comune di Milano - tutti i diritti di legge riservati L’Unione femminile nazionale si dichiara disponibile a regolare eventuali spettanze derivanti dall’utilizzo di immagini per le quali non è stato possibile reperire la fonte. Unione femminile nazionale agrees to settle any amounts due arising from the use of images for which it was not possible to determine the source.

Stampa Off. Graf. La Commerciale snc - Milano


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