Disincanto - Recensione

La nuova creatura di Matt Groening arriva su Netflix

Disincanto - la recensione


Con dieci episodi in esclusiva su Netflix, Matt Groening ha dato alla luce una serie tutta nuova, anche se bastano pochi secondi per riconoscere lo stile del creatore di Simpson e Futurama.
Disincanto, questo il titolo, racconta le storie e storielle di un regno fantasy dove la principessa non solo non ha nessuna intenzione di sposarsi, ma potrebbe gareggiare tranquillamente con Homer Simpson in una gara all’ultima Duff.

Alcolizzata, scansafatiche, sostanzialmente figlia del Caos, Bean è la cosa più viva e movimentata all'interno del regno, e anche la più pericolosa. Intorno a lei ruota un cast composto dalla famiglia reale, comparse più o meno fisse e un demone e un elfo, coppia che si divide il classico ruolo degli angioletti buoni e cattivi appollaiati sulla spalla.

Nonostante il pacchetto completo faccia esattamente quello che ci si aspetta (qualche risata e normale, sano, intrattenimento senza secondi fini), Disincanto trasmette una strana sensazione, come quando – tipo nelle illusioni ottiche – il cervello sa di essere di fronte a qualcosa di sbagliato ma non capisce bene cosa.

Nel caso della nuova creatura di Groening, oltre ad una ovvia prevedibilità data dallo stile comico ormai presente da più di trent'anni, il problema potrebbe essere identificato nei tempi: quei secondi alla fine delle battute, quelle animazioni di troppo, o quelle brevissime scene senza dialogo, e a volte senza nemmeno colonna sonora, che di primo acchito offrono la sensazione di un progetto non completo al 100%.

A livello di contenuti, inoltre, non sembra offrire la stessa originalità di Futurama che usava la scusa del futuro per dar vita a qualsiasi stranezza, o le trame di causa e conseguenza dei Simpson, che partivano da un episodio insignificante per approdare a quanto di più lontano ci si potrebbe aspettare.

In alcuni frangenti, inoltre, soprattutto verso le puntate finali, la comicità cambia leggermente, diventa più cruda e paradossale, tanto che in un paio di occasioni non ho potuto fare a meno di pensare alle battutine contenute nelle descrizioni delle carte da Munchkin. Quasi che Disincanto sia la trasposizione animata del gioco di carte di Steve Jackson.

Infine, fra gli aspetti che lasciano un po’ con l’amaro in bocca, vi è anche quello tecnico. Certe animazioni, certi sfondi e certi disegni non sono all'altezza delle creature più famose dell'autore. Saranno discorsi di budget e anche esperienza – dubito Netflix possa godere dei servigi del team di Fox usato per i Simpson – ma vi sono dei momenti in cui, ad eccezione dei protagonisti principali, il resto è davvero disegnato male.

Nell'insieme Disincanto offre una decina di episodi godibili ma che non lasceranno il segno, visto anche che Netflix in quanto ad animazione ha delle offerte artisticamente molto più valide e rilevanti.
Forse l’unico aspetto su cui potrebbe puntare questa nuova aggiunta al catalogo è la sua leggerezza, che priva gli spettatori dei momenti di Rick & Morty o delle paranoie depressive di Bojack Horseman. Purtroppo il prezzo da pagare è un generale piattume artistico.

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