The Callisto Protocol - Recensione

Si aprono finalmente le porte del carcere di Black Iron per Jacob Lee, il problema è che qualcosa vuole uscire.

The Callisto Protocol - La recensione

LA RECENSIONE IN BREVE

  • Un gioco graficamente notevole, ma che presenta diversi problemi nel comparto audio legati al doppiaggio e al missaggio.
  • Il gameplay, facile da assimilare e padroneggiare, non riesce a offrire sempre un'esperienza fluida e appagante a causa di una gestione poco rifinita dell’arsenale e dell’inventario.
  • Striking Distance ha creato un'ambientazione affascinante, che però pecca di personalità in termini di atmosfera e che poteva essere sfruttata meglio. Anche la trama, per quanto onesta, è piuttosto prevedibile.

Nel XXIV secolo l’umanità ha lasciato la culla terreste per colonizzare lo spazio, arrivando fino alle lune di Giove (che in termini astronomici è pur sempre come essere sullo zerbino di casa, ma tant'è). Europa, Ganimede e Callisto, nonostante la loro superficie micidiale, ospitano degli insediamenti umani e il tutto è amministrato dalla United Jupiter Company. Le colonie sono collegate fra loro da voli civili e commerciali, ed è proprio su uno di questi che facciamo la conoscenza di Jacob Lee, corriere spaziale e protagonista di The Callisto Protocol.

A bordo della nave la tensione è palpabile. Sia perché dallo schermo acceso in cabina di pilotaggio arriva il resoconto di un attacco terroristico biologico avvenuto su Europa - che Jacob e il suo co-pilota hanno appena lasciato - sia perché la nave è diretta verso il famigerato carcere di Black Iron, costruito su Callisto, la luna morta di Giove. Come se non bastasse, di lì a poco i due compagni di viaggio scoprono di essere stati abbordati da alcuni membri dell’organizzazione terroristica responsabile dell’attacco su Europa e ben presto la situazione precipita… così come la nave, che si schianta sui ghiacci di Callisto.

Quando Jacob riprende conoscenza, le forze di sicurezza di Black Iron sono già arrivate sul luogo dello schianto e, dopo aver catturato tutti i presenti, li trasferiscono all’interno del carcere. Nonostante la sua estraneità ai fatti di Europa (in fondo la sua nave è stata abbordata illegalmente), Jacob viene trasformato in un ospite di Black Iron e gli viene data, suo malgrado, una singola assai poco accogliente. Non è finita qui, però. Jacob Lee sembra davvero perseguitato dalla sfortuna: nemmeno il tempo di prendere confidenza con gli angusti spazi della sua cella che all’interno della prigione scoppia una sommossa, che ben presto si rivela essere un’epidemia i cui sintomi corrispondono a convulsioni, nausea, mal di testa… mutazioni e cannibalismo. Resosi conto che non basta una mascherina FFP2, Jacob decide che è meglio tagliare la corda il prima possibile.

Welcome to the Hotel Callisto

Fin dal suo annuncio durante l'edizione 2020 dei The Game Awards, The Callisto Protocol ha saputo attirare l’attenzione del pubblico per diversi motivi. In primo luogo, di certo, per il fatto di essere una proposta completamente nuova nel panorama dei giochi horror fantascientifici; in secondo luogo quello di essere sviluppato da un nuovo team capitanato dal papà di Dead Space, Glen Schofield. A onor del vero le somiglianze con la celebrata serie di Electronics Arts sono parse evidenti fin da subito, tanto da mettere The Callisto Protocol in diretta concorrenza con l’annunciato remake del primo Dead Space, in arrivo, per un insolito allineamento dei pianeti, fra qualche mese. Avremo modo nei prossimi paragrafi di spendere qualche riga per delle riflessioni in merito a ciò, prima però concentriamoci su quello che ha da offrire l’esordio di Striking Distance.

Quando arriva il momento di scappare da Black Iron il destino di Jacob Lee passa nelle mani del giocatore, che viene subito iniziato ai fondamenti del combattimento corpo a corpo. Nella malaugurata circostanza in cui il giocatore incroci a distanza ravvicinata una delle creature che infestano la struttura, per prima cosa deve evitare i colpi a lui riservati. Per farlo deve schivare utilizzando la levetta (se si gioca con controller, come nel mio caso) in una danza di destra-sinistra alla quale replicare con un contrattacco nel momento giusto. Si tratta di una meccanica interessante perché rende gli scontri fisici particolarmente serrati e insidiosi, soprattutto quando ci si trova a dover affrontare più di un nemico. In quella circostanza la vittoria è tutt’altro che assicurata e l’unico modo per uscirne tutti interi è quello di muoversi fino a quando non si hanno tutti gli avversari in vista, perché lasciarsene anche solo uno alle spalle porta quasi sicuramente a un brutto epilogo. Va però detto che non ci vuole molto a prendere il ritmo di questa danza letale e che, nonostante ci siano dei nemici più nerboruti capaci di parare alcuni dei colpi menati da Jacob, lo schema rimane invariato per tutta la durata del gioco: destra, sinistra, colpisci. Destra, sinistra, colpisci.

Ovviamente quando arriva l’occasione per rispondere ai colpi, il protagonista non può e non deve contare solamente sui suoi pugni. Fin dalle prime battute, infatti, The Callisto Protocol porge al giocatore un manganello elettrico raccolto da un secondino meno fortunato. Uno strumento di difesa e offesa che rimane utile lungo tutta l’esperienza e che in moltissime occasioni si rivela essere il piano di riserva utile a togliersi da guai causati da un’imboscata ravvicinata e da un sistema di gestione delle bocche da fuoco non proprio rifinito. Nel corso della sua fuga Jacob inciampa - più o meno – in un arsenale considerevole: si parte con una semplice pistola chiamata schioppo e si arriva a mettersi alla cintura fucili a canne mozze, fucili a pompa, mitragliatori e ulteriori pistole. Il tutto si basa su un’idea interessante: essendo realizzate con una stampante 3D, hanno tutte in comune il calcio sul quale, con un sistema a baionetta, si innesta il resto dell’arma. Come detto, l’idea è interessante ma la realizzazione, in termini di esperienza di gioco, soffre di una fastidiosa macchinosità dovuta alla decisione di relegare la scelta dell’arma al tasto destro della croce direzionale e a una serie di animazioni a mio avviso troppo lunghe.

Immaginate di star impugnando lo schioppo, una pistola con danno e gittata nella media, quando di fronte a voi spunta un nemico particolarmente insidioso. Per poter passare al fucile chimico, che è una sorta di canne mozze, dovete premere il D-Pad destro, scorrere fino all’arma scelta, confermare premendo A e poi aspettare che Jacob rimuova l’innesto dello schioppo e inserisca quello del fucile. Capite bene che nel frattempo il nemico non si attiene a un’etichetta da singolar tenzone; la situazione peggiora se l’arma è riposta o se quella innestata è scarica perché il tempo delle animazioni si allunga ulteriormente. Infine, se in tutto questo processo sbagliate il tempismo nella mira, puntando l’arma prima che l’animazione sia completamente finita, il cambio non avviene e bisogna ripetere tutto da capo. La situazione migliora leggermente in una fase avanzata dell'avventura, quando il gioco inserisce un sistema delegato al tasto sinistro della croce direzionale che permette di passare velocemente da un'arma all'altra (in una divisione che potrebbe essere definita pressappoco come armi da impugnare con una mano o con due).

 
È presente anche un attacco furtivo alle spalle, che manda al tappeto i nemici con un colpo solo ma che espone al rischio di trovarsi faccia a faccia con un mutante zannuto in caso si venga scoperti.

Una questione è anche che la maggior parte dei nemici ha il brutto vizio di correre incontro alla propria vittima designata, rendendo ogni scontro a fuoco che si protrae per le lunghe un combattimento corpo a corpo. A meno che... a meno che non utilizziate l’ultimo tassello del kit di sopravvivenza di Jacob: il guanto GRP. Questo utile strumento proietta un campo di forza capace di bloccare, sollevare e attirare il nemico. Una volta catturato è possibile lanciarlo lontano, cercando magari di sfruttare l’ambiente per infilzarlo, spappolarlo o semplicemente farlo volare oltre il ciglio di un baratro. Un sistema molto utile che deve però sottostare al limite di carica energetica mostrato sul collo del protagonista e che può essere ricaricato nel tempo o trovando delle apposite batterie. Sempre sul collo è inoltre mostrata la barra della salute. Quando questa scende si può correre ai ripari iniettandosi un kit medico o raccogliendo piccoli quantitativi di salute lasciati cadere dai nemici sconfitti.

A completare il mosaico del gameplay di The Callisto Protocol ci sono le postazioni Reforge, vale a dire le stampanti 3D con le quali costruire le nuove armi (che vanno sbloccate trovando i relativi schemi), potenziare quelle in possesso o produrre munizioni e kit medici. Il tutto a patto di avere i Crediti Callisto necessari.

La tomba dell’umanità

Ora sapete come si gioca a The Callisto Protocol, ma com’è il gioco? Gli attributi che più mi sono ronzati nella testa sono: problematico, impreciso, noioso, prevedibile e non rifinito. Per addentrarmi nell’analisi di questa descrizione sommaria, vorrei esporre due riflessioni.

 
Il design dei mostri non ha particolari guizzi e sa molto di già visto.

La prima riguarda la sua promessa di essere una delle esperienze più terrificanti di sempre, la nuova generazione del horror. Non ritengo tale promessa mantenuta. The Callisto Protocol non fa paura. Certo, sfrutta il meccanismo degli spaventi (gli ormai abusatissimi jumpscare) ma non riesce quasi mai a creare un’atmosfera di tensione e disagio. Questo perché, e qui l’italiano mi aiuta più dell’inglese, The Callisto Protocol è un gioco dell’orrore, non del terrore. Qualcosa che genera terrore instilla paura in chi vi assiste. Qualcosa che genera orrore non lo fa, si limita al ribrezzo. Un fantasma può essere fonte di terrore. Un corpo mutilato di orrore. Una voce che sussurra nel buio vi fa scappare in preda al terrore. Un leone che sbrana una zebra può causarvi orrore (ribrezzo, disgusto) ma non penso vi porti a cambiare canale e a rimanere svegli la notte. Poi, chiaramente, è tutto parte del grande territorio del soggettivo, ma penso che la differenza sia lampante e chiara.

Ecco: The Callisto Protocol, nel suo voler essere ultra-violento, gore, dedito allo smembramento, dimentica di far paura. Non solo: in breve crea una situazione di saturazione e assuefazione che permette a buona parte dell’esperienza di scivolare addosso allo spettatore come un lavoro qualsiasi. Senza contare che il medesimo livello di violenza è già apparso in Dead Space e, udite udite, in Gears of War. Siamo su quella tacca lì in termini di arti che volano e "squish-squish" di budella.

La mancanza di un elemento terrificante propriamente detto, unito a una trama lineare, largamente scontata e ancorata a certi temi orami abusati e macerati (fatevi un’ipotesi sul perché succede quello che succede all’interno della prigione di Black Iron; al 90% ci prenderete), hanno reso la mia fuga da Callisto noiosa e prevedibile. A tratti persino comica perché la reiterazione di alcuni schemi all’inizio sorprende, diventa frustrante e infine si rende ridicola. Per fare due esempi che poi ci porteranno all’analisi dell'uso di "impreciso" e "non rifinito", fra i nemici del cast ci sono delle larve che si nascondono tra i bauli e gli armadietti, e saltano alla gola del protagonista quando vengono aperti. Un’idea già vista, ma nel caso a voi fosse nuova non preoccupatevi, perché in The Callisto Protocol avrete modo di assaporarla decine e decine di volte. Nella parte finale ho attraversato una sezione di gioco dove su dieci bauli e armadietti, nove contenevano un attacco a sorpresa. Tanto che ero ormai abituato a premere ripetutamente Y (il tasto dedicato al quick-time event per liberarsi dell’aggressore) già durante l’animazione di apertura.

C’è poi un altro nemico, una specie di lungo tentacolo con una testa al termine che si lancia fuori da sacche organiche sparse nel gioco che il team di sviluppo da deciso di collocare esclusivamente dietro gli angoli o in punti ciechi, così da rendere il suo assalto inevitabile. Due meccaniche che di fatto non sono altro che un momento in cui ci si arrende all’idea di dover perdere inevitabilmente un po’ di vita (vita che si recupera praticamente subito con le razioni messe nelle vicinanze, a denuncia del fatto che il team di sviluppo ha costruito tutta la scenetta con dolo). Non è un problema l’idea di per sé, ma il fatto che viene riproposta continuamente. A tal proposito... avete presente quando in un gioco il cammino è interrotto da una strettoia e l’avatar del giocatore è costretto a passarvi strisciando di fianco? Oh beh… in The Callisto Protocol vi sentirete come i protagonisti della celebre canzone delle Bangles (Walk Like an Egyptian). Ho perso il conto di quante volte sono passato fra muri di roccia, scaffali, porte bloccate, muri di roccia, lamiere, muri di roccia... Ho trovato la cosa doppiamente fastidiosa perché in The Callisto Protocol non c’è una mappa e non c’è nemmeno un menu di pausa dove è indicato l’obiettivo corrente. Per cui, se per caso perdete un dialogo o vi dimenticate una battuta detta da uno dei personaggi, vi ritroverete a pensare: e ora cosa devo fare?

Fortunatamente l’avventura creata da Striking Distance è alquanto lineare, a parte per delle deviazioni che portano verso aree della mappa con collezionabili, munizioni extra o qualche potenziamento bonus. Come capire qual è la strada bonus e quella principale così da evitare di procedere troppo oltre e perdere eventuali collezionabili? Con un po’ di intuito e backtracking che ci riporta a muri di roccia, scaffali, porte bloccate, muri di roccia.

The Space Protocol

Era inevitabile, infine, parlare anche dell’elefante nella stanza. D’altronde se un gioco viene promosso come figlio del creatore di Dead Space e si presenta molto simile a Dead Space ritengo lecito fare una riflessione sul rapporto tra The Callisto Protocol e Dead Space. Ora facciamo un gioco, tanto per… Provate a indicare se quello che scrivo compare in The Callisto Protocol o in Dead Space.

Il protagonista non è un militare e arriva al centro dell’azione per caso. L’inventario, dallo spazio limitato diviso in quadri, può essere richiamato da una proiezione frontale che non mette in pausa il gioco e la salute è indicata da una proiezione posteriore. I nemici non vanno a terra se colpiti in testa, ma bisogna colpire un punto debole preciso. Ci sono diverse armi, volendo però si può completare il gioco con una sola. C’è una specie di potere telecinetico che aiuta il protagonista contro i nemici. Sullo sfondo della narrazione si muove una losca multinazionale. Tirando poderosi pestoni ai nemici si infligge il colpo di grazia o ci si assicura che non si rialzino a sorpresa.

Allora? Sono elementi di The Callisto Protocol o di Dead Space? La risposta è a trabocchetto: di tutti e due. Conosciamo già il concetto di reboot, remaster, remake… io vorrei introdurre quello di trasloco. Vale a dire quando gli elementi cardine di un gioco vengono presi e riportati con pochissime variazioni in una nuova IP. Come nel caso di The Callisto Protocol che deve così tanto a Dead Space da poter passare per uno spin-off.

Potreste anche dire che non ha troppo senso confrontare i due titoli fra loro, che ci sono tantissimi altri giochi che si somigliano molto nelle meccaniche, ed è vero, ma è altrettanto vero che nel caso specifico la sensazione predominante è che il creatore di Dead Space, rimasto legato alla sua creatura, abbia voluto riprovarci con qualcosa di nuovo. Il che mi porta a pensare che abbia deciso di riproporre la stessa formula perché non ancora esplorata del tutto, perché c’era la convinzione di poter approfondire il gameplay o mostrare delle variazioni interessanti. Ma questo non avviene e, anzi, in certi frangenti The Callisto Protocol è un passo indietro. Prendiamo il guanto telecinetico. In Dead Space la stasi poteva essere usata per rallentare i nemici, strappare loro gli arti e rilanciarli come fossero giavellotti, però poteva anche essere usata per risolvere dei piccolissimi, semplicissimi enigmi ambientali. La turbina da rallentare per poter passare in mezzo alle pale, la porta impazzita da bloccare, il generatore da attirare verso di sé da un punto irraggiungibile. Tutto questo in The Callisto Protocol non c’è. Il guanto di Jacob Lee si limita a prendere i nemici e lanciarli contro uno dei tanti muri dalle griglie acuminate presenti nell’area. Ho pulito intere stanze senza sparare un colpo o menare un fendente, mi limitavo ad appendere i nemici al muro come fossero orripilanti cappotti.

Anche l’idea del pestone finale, per esempio, in Dead Space serviva per tranciare gli arti e assicurarsi che i nemici non decidessero di tentare un nuovo attacco a sorpresa. In The Callisto Protocol serve per spremere fuori il bottino, con una meccanica che ha anche dell’assurdo perché si attiva a prescindere dalla condizione del corpo appena martoriato. Anche se fate esplodere un nemico in tanti pezzettini, vi basta trovare il più grande e pestarlo per veder cadere a terra dei Crediti o delle munizioni o della salute. Questo, ripeto, a prescindere che il pezzo più grande abbia le dimensioni di un cotechino.

In definitiva, la mia sensazione è che l’affezione per un’idea del 2008 abbia attraversato quasi tre lustri senza passare attraverso un processo di aggiornamento che avrebbe sicuramente dato più sapore al risultato finale.

Ti vedo ma non ti sento

The Callisto Protocol è una solida e appagante esperienza visiva. Graficamente imponente, seppur senza giungere a nuove vette, pecca un po’ di varietà, ma glielo si perdona vista la coerenza estetica e l’ambientazione che non offre enormi spazi di manovra. Il gioco offre la possibilità, su console, di una modalità performance che libera il giocatore dal giogo dei 30 fps al prezzo di qualche dettaglio. Seppur non sia un fissato con questi aspetti, ammetto che ho gradito molto di più giocare con la modalità performance attiva perché la differenza in termini di fluidità e riposo per gli occhi è considerevole. È inoltre presente una modalità fotografica abbastanza versatile e profonda attraverso la quale ottenere scatti più o meno artistici, ed è apprezzabile il fatto che possa essere attivata anche durante i filmati, seppur in quel caso la telecamera rimanga fissa.

L’elemento gore e la distruttibilità delle carni è stato un cavallo di battaglia del marketing e c’è, ma non l’ho trovato tanto diverso da altri esempi più o meno recenti. Anche la supposta violenza, per quanto presente, spinge davvero sull’acceleratore solo quando è Jacob a soccombere. A tal proposito c’era una polemichetta sul fatto che alcune delle animazioni di morte sono riservate ai possessori dell’edizione deluxe. 13 animazioni celate agli occhi di tutti gli altri. Su quante? Con un calcolo spannometrico, considerando due o tre animazioni di morte per ogni nemico e tutte quelle ambientali, direi che siamo fra la trentina e la quarantina. Casomai un mezzo problema è che, finché non si prendono le misure con i nuovi nemici e i boss, si è carne da macello e le animazioni non possono essere saltate, con la conseguenza, personale, di sentire il morso del tedio.

 
Here we go again...

Altra segnalazione che mi sento di fare, per poter dare un fondamento all’etichetta di "non rifinito": i filmati non possono essere saltati e ciò diventa un problema nel momento in cui ci si rende conto che molti checkpoint sono stati posizionati prima di tali scontri. Morendo, o nel fare le prove audio e grafiche, quindi uscendo e rientrando dalla partita più volte, ho dovuto sorbirmi le stesse cut-scene più e più volte. Inoltre, cosa che mi ha lasciato molto perplesso, il sistema di salvataggio manuale non salva la partita nel punto in cui lo si effettua, ma riporta sempre al checkpoint più vicino... rendendo il salvataggio manuale inutile perché a ogni checkpoint c’è quello automatico che, fra l’altro, tiene in memoria ben dieci salvataggi precedenti.

Se graficamente The Callisto Protocol può essere promosso con voti generosi, l’audio, in fase di recensione, ha presentato grossi problemi sulla traccia italiana (il gioco è completamente doppiato in italiano, i menu sono in italiano e pure i cartelli in giro per gli scenari sono in italiano). Faccio prima un distinguo: gli effetti sonori, vale a dire rumori, spari, versi dei nemici e affini, sono molto buoni. I problemi arrivano principalmente con i dialoghi, a causa di un un missaggio del volume completamente sbagliato, con intere conversazioni appena distinguibili dai suoni ambientali, voci che non identificano nel modo corretto la posizione dei personaggi (tizio a tre stanze di distanza la cui voce arriva chiara come si trovasse al nostro fianco), sbalzi di volume all’interno dello stesso dialogo, comunicazioni radio che a volte hanno il filtro da comunicazione radio a volte no. La traccia inglese se la cava meglio, presentando un problema di volumi nella parte iniziale e una mancanza di sincronia - abbastanza leggera - fra i movimenti delle labbra e il sonoro.

Se ci concentriamo invece sulla traccia italiana la situazione peggiora abbastanza. Oltre a una considerevole mancanza di sincronia fra il labiale e il sonoro, ci sono frequenti casi in cui le battute sono state "dimenticate" – il personaggio muove la bocca ma non si sente nulla - mentre altri scambi sono rimasti in inglese. Per fare due esempi che, alla fine, finiscono per fare il giro e strappare una risata: sono acquattato dietro una cassa, sto evitando la ronda di un imponente droide di sicurezza che di tanto in tanto pronuncia frasi del tipo "obiettivo non visibile", "modalità letale attiva", "i trasgressori saranno sottoposti a forza letale" e così via. Il tutto con una voce robotica, gracchiante, inquietante. A un certo punto pronuncia un paio di frasi senza il filtro, con la voce originale del doppiatore, pure abbastanza priva di enfasi. Insomma, il droide di sicurezza fa un paio di annunci da stazione dei treni.

Secondo esempio, il più emblematico: ci sono delle registrazioni sparse nel gioco che approfondiscono la trama. Alcune sono nascoste e svelano dettagli molto interessanti dell’universo narrativo. Una di queste è molto molto importante. Ha un titolo chiarissimo “Il segreto di…” (non riporto per evitare spoiler) e quando la trovo sblocco pure un obiettivo da 50 punti su Xbox. Avvio la registrazione e… nulla. Non c’è la traccia italiana, quindi non sento nulla. Il segreto rimane tale. Infine, per una bella porzione di gioco durante i dialoghi mi è capitato di sentire un forte disturbo statico che, per chi gioca in cuffia come il sottoscritto, costituisce un fastidio piuttosto spiacevole per i timpani. All’inizio pensavo fosse una cosa voluta, una specie di censura legata a una certa deviazione della trama, ma poi si è confermato essere un problema dell’audio.

Dal punto di vista della durata complessiva, in ogni caso, ho completato la mia prima run in poco meno di dodici ore. Chi ha dimestichezza con gli action-TPS non avrà problemi particolari e l'esplorabilità dell'ambiente è alquanto limitata. Diciamo che segue uno schema a Y per il quale ogni area presenta un percorso principale e un altro opzionale che porta a un bottino extra, ma che in breve si rivela essere un vicolo cieco. Ho poi iniziato una seconda run, tutta in inglese. Inutile dire che la progressione, con il senno del poi in tasca, è molto più veloce. Ho avuto così modo di notare che il gioco ha pochissime variabili, tutti gli incontri con i biofagi sono scriptati e piazzati a tavolino, mentre la loro intelligenza artificiale è sostanzialmente nulla: quando vedono il giocatore lo attaccano a testa bassa. Anche nelle poche occasioni in cui ho visto un nemico ritirarsi per scappare nelle condutture e attaccarmi in un secondo momento, con la seconda run ho avuto conferma che si tratta di un'azione scriptata che succede in quel punto preciso e non si ripete casualmente altrove.

Verdetto

Non nascondo di aver concluso la mia esperienza con The Callisto Protocol con l’amaro in bocca. Da grande appassionato di giochi horror, che vede in Dead Space uno dei momenti migliori, riponevo nel progetto l’aspettativa di un erede, sostenuta pure dal nome a capo di tutto. Mi sono trovato di fronte a un gioco graficamente notevole, con una storia onesta seppur banale e con un gameplay che tutto sommato funziona fino a quando ci si confronta con le meccaniche base. Su tutto questo però si sono inseriti dei problemi concettuali e realizzativi che abbassano di molto il risultato finale. Da un’esperienza utente poco rifinita e sostanzialmente vecchiotta, a una traccia audio italiana disastrosa, passando per il mancato elemento terrorizzante, promessa cardine di The Callisto Protocol. Nella mia memoria rimarrà un gioco a cui non posso negare il fatto di essersi lasciato giocare dall’inizio alla fine senza gravi problemi tecnici o strutturali, ma che probabilmente sbiadirà presto nel ricordo perché privo di una personalità forte, di una voglia di distinguersi e dell’elemento fondamentale per il suo genere: l’adrenalina.

In questo articolo

The Callisto Protocol

Striking Distance Studios | 02 Dicembre 2022
  • Piattaforma
  • PS4
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The Callisto Protocol - La recensione

7
Discreto
Un horror che non porta nuovi elementi al genere e soffre di diversi problemi concettuali, seppur non tanto gravi da bocciare l'esperienza nel suo insieme.
The Callisto Protocol
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