La differenza tra responsabilità individuale e responsabilità collettiva

La differenza tra responsabilità individuale e responsabilità collettiva


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Vi siete mai chiesti perché se il dipendente di un’azienda agisce in modo negligente, ad esempio non collauda adeguatamente un giocattolo e questo ferisce dei bambini che lo utilizzano, l’azienda e non solo il collaudatore ne sono responsabili? Oppure perché, se una squadra di calcio perde una partita, si può dire che ha giocato male, anche se alcuni giocatori sono rimasti in panchina?

Oggi vorrei riflettere sul perché non parliamo solo di responsabilità individuale, ma attribuiamo le responsabilità anche a gruppi, aziende, governi, na­zioni, popoli, etc. Quando abbiamo parlato di responsabilità individuale, in un video precedente, abbiamo chiarito che non ci soffermeremo sulla responsabilità “legale”, bensì su quella “morale”, che in quella legale è presupposta, ma si presenta anche in molti casi in cui i nostri comportamenti non sono sottoposti a leggi. La responsabilità morale si presenta ogni volta che compiamo delle azioni che hanno una rilevanza etica.

All’interno di questi casi, quando ad agire non sono solo individui isolati, alla responsabilità individuale si possono aggiungere altri due tipi di responsabilità.

A volte l’uomo agisce in gruppo, eppure le respon­sa­bi­lità dell’azione finale sono riconducibili ai singoli. Ad esempio, una banda di ragazzi imbratta un muro o malmena qualcuno che appartiene ad una banda rivale e le videocamere di sorveglianza permettono di ricostruire chi ha fatto che cosa. Oppure, a un paziente viene somministrato il farmaco sbagliato e nel reparto in cui è ricoverato si cerca di chiarire chi sono coloro che hanno commesso l’errore. In questi casi, se più persone hanno cooperato al risultato finale, si parla di re­spon­sabilità condivisa, che non è altro che la somma di molte re­spon­sabilità in­di­vi­duali. Varie persone hanno collaborato, in modo diversi, a pro­durre un effetto, ma è possibile ricondurre ai singoli l’imputabilità del­l’a­zio­ne.

La responsabilità collettiva, invece, si presenta quando si producono delle azioni di un gruppo che non sono riconducibili ai membri del gruppo, ma vanno attribuite all’in­sieme come tale. Il problema cruciale posto da questo tipo di responsabilità è che solo il singolo, a ben vedere, è sog­getto di azioni, ha delle intenzioni, una volontà, e può es­se­re considerato pa­dro­ne dei suoi atti. Nessuna collettività è un soggetto capace di intendere e volere nello stes­­so senso in cui possiamo attribuire queste caratteristiche agli esseri umani in­di­vi­dua­li, alle persone.

Tuttavia, nel linguaggio comune si è soliti utilizzare espressioni che presuppongono l’esistenza di responsabilità collettive, come la squadra che vince una partita o una nazione che fa scoppiare una guerra. Inol­tre, sia nell’ambito politico, sia nell’ambito profes­sio­nale, si so­stie­ne spesso che una col­let­ti­vi­tà ha causato dei mali e deve riparare ad essi, anche se i membri responsabili dei danni sono morti o non appar­ten­gono più a quella struttura comunitaria.

La responsabilità collettiva. Dunque, riguarda quelle azioni di più persone che i soggetti hanno com­piu­to «come gruppo», e che come individui isolati non avrebbero potuto rea­liz­zare. Essa riguarda alcuni tipi particolari di gruppi: si tratta dei gruppi organizzati, strut­tu­ra­ti. Perché? Perché in essi sono pre­sen­ti dei ruoli di governo ben definiti, delle norme formali scritte e altre informali rico­no­sciute dai membri, così come delle pratiche diffuse e delle azioni comuni pia­nificate, se­con­do procedure di decisione ordinate e strutturate, spesso anche un insieme di valori con­divisi o una cultura comune. Grazie a tutte queste caratteristiche, nei gruppi organizzati è possibile individuare un «soggetto», simile al soggetto individuale, che decide e agisce, dunque che è responsabile di ciò che fa.

Nella responsabilità collettiva, allora sono prioritari tre aspetti:

1.      le con­se­guenze mo­ral­mente rilevanti dell’azione compiuta, so­prat­tutto quelle negative, che sono il fondamento del dovere conseguente di riparare a eventuali danni causati;

2.     la responsabilità verso gli impegni formali presi, tra i quali rientrano i doveri che ogni organizzazione si assume nel momento in cui inizia a svolgere un ruo­lo nella vita sociale (pensiamo ad un ospedale, ad un’in­du­stria per lo smal­ti­mento dei rifiuti, ad una casa editrice), e

3.     la neces­si­tà, da parte di chi compie azioni con rilevanza morale, di rendere conto delle proprie azioni alle autorità costituite e ai diretti interessati.

Se, ad esempio, un ospedale ha fatto controlli superficiali sul sangue destinato alle tra­sfu­sioni, pur senza violare alcuna leg­ge e seguendo le prassi abituali, ma così facendo ha trasmesso l’epatite ad un certo numero di pa­zienti, ha il do­vere morale (oltre che legale) di risarcire le vittime. Tale obbligo permane anche se l’ospedale sco­pre il danno dopo molti anni, e nessuno dei responsabili lavora più in quella strut­tura. Nel momento in cui si rende conto del danno inflitto, l’ospedale si deve assumere la re­­spon­sabilità di riparare. Que­sto esempio mostra la differenza tra il fatto di essere responsabili di un male (lo sono solo coloro che lo hanno compiuto) ed essere riconosciuti re­spon­­sabili di quel male da parte di altri. Tanto un singolo (ad esempio un genitore o un datore di lavoro) quanto un’organizzazione possono assumersi la respon­sa­bi­li­tà di azioni che non hanno causato direttamente: così facendo non diventano col­pe­voli di quelle azio­ni, ma si fanno carico delle con­se­guenze di quelle azioni e del dovere di renderne conto ad altri (ad esempio alla giu­stizia penale e civile, così come alle vittime). Questo particolare tipo di as­sun­zione di responsabilità, in altre parole, non equivale a quello del colpevole che de­ve espiare la propria colpa, ma ha un valore etico come risposta all’obbligo del singolo o dell’istituzione che ha causato un male di riparare ai danni inflitti e di pre­venire mali futuri.

Concludiamo con una precisazione. Parlare di una responsabilità collettiva implica un pericolo, che è quello di sottostimare o addi­rit­tura eliminare ­la respon­sa­bilità individuale. Hannah Arendt, ad e­sempio, afferma che il grido «siamo tutti col­pe­voli» pronunciato dai tedeschi ri­guardo ai cri­mini nazisti ebbe come con­se­guenza quella di di­scolpare coloro che invece erano col­pe­voli, perché «quando tutti sono col­pevoli, nessuno lo è».[i]

In altre parole, se stabilisco che una certa impresa, nazione o un governo, ha compiuto degli atti ignobili, ciò esime i singoli che vi han­no par­te­ci­pa­to da ogni responsabilità? La risposta a questa domanda è eviden­te­mente negativa. Anche se esistono delle respon­sa­bi­lità che chiamiamo collettive, queste non cancel­la­no le responsabilità indi­vi­duali. Pensare che, se tutti sono re­spon­sabili, nessuno è re­spon­sabile, è un errore, ma è anche una tentazione per la men­te umana, perché solleva i singoli dal senso di colpa e dal dovere di rispondere delle ingiustizie compiute. Asse­con­dare tale tentazione, però, conduce alla dere­spon­sabilizzazione, e quindi a quella de­ge­ne­ra­zione etica nella quale ciascuno si comporta da impunito.

Ancora la Arendt fa l’esempio del governo burocratico, da lei indicato come il più tirannico di tutti, proprio perché in esso nessuno sembra avere potere (e quindi deve rispon­dere dei propri atti): in questo tipo di organizzazioni, se vengono compiute azioni ingiuste, non è possibile punire un re­spon­sa­bile. Tale situazione si presenta di frequente nelle strutture della pubblica am­mi­ni­strazione e in generale nelle organizzazioni altamente burocratizzate, nelle quali il singolo può ricevere trat­ta­men­ti iniqui senza avere nessuna possibilità di far valere i propri diritti, proprio per­ché è impossibile in­di­viduare i responsabili delle ingiustizie, negligenze o ina­dem­pien­ze, o perché le pro­ce­dure per ottenere giu­­­stizia sono così lunghe e costose che finiscono per essere im­pra­ticabili. Eb­be­ne, anche nel caso in cui il responsabile non può es­sere punito delle sue colpe, dunque non verrà chia­mato a render conto dei suoi misfatti, egli resta moralmente responsabile di ciò di cui è autore. La responsabilità collettiva, insomma, non sostituisce né elimina quella individuale.

[i] H. Arendt, «Collective Responsibility» (1968), in Responsibility and Judgment, Schocken, New York 2005, p. 147-158. Su questa parte cfr. Anche M. Smiley, Collective Responsibility, Stanford Encyclopedia of Philosophy, 2010.



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