Lo voglio e lo voglio adesso – L’arte di (non saper) aspettare.

The-Time-Traveler-Surreal-art-by-Xetobyte

Mi capita continuamente di trovarmi nella situazione di dover aspettare: un responso, la risoluzione di un problema, una persona.

E quando sono lì, in attesa, con le mani che si infilano dentro le maniche della maglietta (allargandole puntualmente) e con i denti che mi divorano le labbra, vorrei prende il tempo per il collo e dirgli:”brutto stronzo, se non ti decidi a passare in fretta ti rovino!”. Ma nel mondo incantato di unicorni che popola la mia fantasia, è tutto troppo facile rispetto alla complessità della realtà.

E’ quasi un anno ormai che cerco di educare la mia testa a rilassarsi, a prendersela comoda senza farsi prendere dal panico quando mi tocca aspettare. Ma non c’è niente da fare; sembra che il mio cervello sia tarato per i conti alla rovescia.

  • Quando si accorge che mancano 4 minuti al termine della giornata lavorativa, prende quei minuti e li dilata al punto da farli sembrare lunghi un secolo.
  • Se ho litigato con qualcuno, vorrei subito chiarire, già un attimo dopo che la bomba è esplosa, ma porca di quella miseriaccia non posso mai farlo…perché razionalmente so che le persone hanno bisogno di tempo per interiorizzare, riflettere e spesso farsene una ragione. Ne ho bisogno anche io.
  • Quando metto il timer per far cuocere la pasta, non suona mai, neanche se ho messo su la pastina tipo capelli d’angelo che ha il tempo di cottura di 2 min.
  • Quando decido di acquistare qualcosa, mi fiondo a comprarla anche se devo fare 100 km per averla. E magari bastava ordinarla su internet e aspettare un solo giorno in più per ottenere comunque ciò che volevo risparmiando tempo e soldi.
  • Quando mi capita di combinare qualche guaio, il mio cervello mette in atto le peggiori strategie, degne di uno scassinatore seriale, per cercare in qualsiasi modo, lecito o meno, di risolvere il problema e non prendersi le colpe del misfatto. Spesso basterebbe non farsi prendere dall’ansia e fare una ricerca più accurata per rendersi conto che in realtà il problema non sussiste, o quantomeno che non è così grave come avevo immaginato.
  • L’attesa dal dottore mi snerva a tal punto da odiare qualsiasi malanno mi costringa a dirigermi in quella noiosa sala d’aspetto in cui il mio tempo viene risucchiato, sgretolato e sparpagliato sul pavimento come pezzi di un puzzle che non ho neanche la voglia di rimettere insieme.
  • Quando aspetto che il mio ragazzo torni a casa, passato un orario x, vado letteralmente in paranoia: controllo che abbia fatto almeno un accesso recente su WhatsApp, mi ripeto come un mantra che non deve per forza essergli successo qualcosa di terribile se ritarda anche solo dieci minuti e nel contempo mi ripeto “scema, stai calma, stai tranquilla, è tutto a posto”.

Potrei andare avanti per ore con gli esempi, ma a nessuno interesserebbe. Quindi arrivo subito alle conclusioni che ho tirato e che mi convincono abbastanza.

Molto spesso, si tratta solo di una smania latente che ha sete di essere soddisfatta, o più precisamente della bambina che abita la mia pancia golosa e non sa trattenersi dal fare i  capricci, pretendendo di essere accontentata all’istante. Forse perché quando ero piccola non potevo permettermi di essere capricciosa; avrei dato ai miei genitori una gustosa occasione in più per suonarmele di santa ragione. E quindi non chiedevo mai. Tutto quello che arrivava, era come piovuto dal cielo e lo custodivo come il più grande dei tesori. Peccato che spesso questa pioggia miracolosa si manifestasse soltanto il giorno di Natale.

Ma quando non è la bambina che è in me a fare i capricci (sa che con me può permettersi di farli perché, sbagliando, la accontento senza sgridarla mai), molto spesso si tratta della paura delle conseguenze e del dolore che porterebbero con sé. Durante l’interminabile tempo dell’attesa, il mio cervello si lancia in congetture atroci e terribili, che atterrirebbero anche il più feroce degli Unni. Se le conseguenze dovessero essere realmente drammatiche, preferirei saperlo subito e cominciare subito ad elaborare il colpo subìto. E’ la paura dell’ignoto a spaventarmi, la percezione di avere tra le mani qualcosa di sfuggevole e su cui non posso avere il controllo.

Ma spesso il controllo non lo abbiamo neanche su noi stessi, figuriamoci se posso pretendere di averlo sul tempo.

E’ abbastanza avvilente capire certe nozioni nella realtà oggettiva e razionale, e farle a pezzetti in quella subconscia ed emozionale. Vorrei che queste due realtà che mi abitano dentro comunicassero in qualche modo, ma danno più l’impressione di essere due vicine pettegole e zitelle che hanno deciso di non rivolgersi più la parola perché una ha fatto all’altra un dispetto talmente tanti anni fa da non ricordarsi neanche più che cos’era.

Trovo la convivenza con altre persone decisamente molto più semplice di quanto non lo sia quella con me stessa.

 

 

 

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