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Federico Giunti nella storia: “Non ho mai tradito il Grifo, il mio amore è per sempre”. A due anni dalla scomparsa, Alessandro Gaucci ricorda il previdentissimo: “Mi mancano quelle telefonate alle 07 del mattino”. 

Scritto da il 02/02/2022

 

Viaggio in un tempo andato ma mai dimenticato, in una Perugia calcistica che purtroppo non c’è più. Quella di Luciano Gaucci, a due anni dalla sua scomparsa, ma anche di suo figlio Alessandro e di Federico Giunti, ex capitano biancorosso ed artefice di numerosi successi con la maglia del Grifo. 

Luciano Gaucci non c’è più, ma vive nel cuore e nella mente di chi l’ha conosciuto ed amato. Alessandro, suo figlio, ricorda alcuni particolari. 

Devo ancora metabolizzare la sua scomparsa. Qualche volta stento a credere che non ci sia più. Di mio padre mi mancano tante cose, ma soprattutto la sua voce al mattino. Ero solito guardare video di calciatori fino all’alba, ma lui puntualmente alle sette mi telefonava per illustrare i piani di giornata, il suo modo per trasmettermi la sua carica. Faceva pesare il suo essere sempre presente sotto tutti i punti di vista. Era un vincente, non voleva mai perdere e non gli importava dell’avversario che avevamo di fronte. Juventus, Milan o altre, per lui non faceva differenza. Sfido chiunque a dimostrarmi il contrario. 

In collegamento video c’è anche Federico Giunti. 

Il presidente è deceduto nello stesso giorno in cui è mancata mia madre. Una data doppiamente triste, lo ricordo spesso. L’immagine più bella è nella gioia che gli procuravano i tifosi quando incitavano il suo nome e gli chiedevano di saltellare durante i cori a lui dedicati. La felicità fatta persona. 

Tanti i momenti belli vissuti dalla famiglia Gaucci a Perugia, Alessandro ne ricorda due in particolare. 

Lo spareggio di Reggio Emilia contro il Torino dopo una grande rimonta, e la stagione 2000/01, la prima di Serse Cosmi in panchina. Con un budget limitato ci salvammo alla grande spendendo venti volte meno della gestione di  Mazzone nella stagione precedente. Andammo in campo con sei calciatori presi dalla serie C, uno dai Dilettanti, più un coreano e un greco. Oggettivamente credo che quella possa essere annoverata tra le più grandi imprese del calcio italiano. È sempre facile parlare ma nessuno, prima o dopo il Perugia, ha osato così tanto. Pensate a Grosso, Pieri, Liverani, Baiocco, Di Loreto, Bucchi e Materazzi. Quale squadra di serie A al giorno d’oggi pescherebbe così tanto in Lega Pro o in serie D? Nessuna. A memoria d’uomo solo la Juventus fece giocare Torricelli preso dalla Caratese. Anche oggi scovo calciatori e li propongo ai direttori sportivi, tra l’altro miei colleghi, che nicchiano sempre e non osano quasi mai, accampando scuse anche modeste. 

Revival con Giunti che in maglia biancorossa ottenne tre promozioni ed una convocazione in Nazionale, che lo inseriscono ai vertici della storia del club. 

Ho sempre avuto la fortuna di giocare per traguardi ambiziosi. Gaucci scelse gente come Cornacchini, Pagano, Camplone, Dicara e Gelsi, cambiando radicalmente la mentalità. Portò quella vincente. Penso allo spareggio di Foggia e mi vengono ancora oggi i brividi. Fu una grande gioia, poi cancellata dalla vicenda del cavallo venduto all’arbitro Senzacqua. Dopo quella mazzata, Gaucci non si perse d’animo ed allestì una squadra ancora più forte. Ricordo Perugia-Reggina, partita alla quale sono molto legato e in cui segnai due gol. Una vittoria conseguita dopo una settimana di tirate d’orecchie da parte del presidente. Un vanto che mi inorgoglisce è quello di non essere mai finito fuori rosa rispetto magari a qualche calciatore più importante di me, come Cornacchini, a cui sono molto legato, o Pagano. Tanti ritiri, soprattutto nell’anno dello spareggio, ma Gaucci sapeva addolcirli con regali preziosi e cibo di qualità. Ho apprezzato realmente il presidente quando sono andato via, comprendendone la sua grandezza. Prima Parma, poi Milan dove vinsi uno scudetto pur giocando solo sei partite. Portai fortuna, quando giunsi da Parma, il Milan era quinto.

Giunti si riferisce alla stagione 1998/99, il suo Milan campione, il Perugia salvo, tutto nell’ultima giornata di un campionato interminabile. 

L’anno dopo al Milan avevo in spogliatoio Gattuso e Fiori, uno ex Salernitana, l’altro ex Piacenza, che ancora litigavano per quel Piacenza-Salernitana che, di fatto, costò la serie A ai campani. Vierchowod era in campo e siglò il vantaggio emiliano. L’1-2 del Perugia probabilmente consentì anche al Piacenza di mantenere alta la guardia visto che a Perugia la partita era sempre in bilico.

Una domenica che ricorda benissimo anche Alessandro Gaucci.

Come dimenticare! Quella domenica mi arrabbiai tantissimo. Avevamo perso e per nostra fortuna la Salernitana non riuscì a vincere. Era uno degli ultimi anni di Boskov in panchina. Era simpaticissimo ma sul viale del tramonto, aveva qualche difficoltà a ricordare i nomi dei calciatori. Quell’anno ho fatto anche l’allenatore ma ne valse la pena. Boskov, in quanto a simpatia, era ineguagliabile. 

Bei momenti, ma anche cicatrici difficili da dimenticare, come la retrocessione del 1996/97. Anche quella stampata nella memoria di  Gaucci junior. 

Galeone aveva un feeling unico con quella squadra. Col senno di poi, posso affermare che esonerarlo fu un errore, anche se la riprova di come sarebbe finita la stagione con lui in panchina non ce l’avremo mai. Dopo trent’anni di calcio, ho acquisito maggiori consapevolezze per affermare alcune cose, ma all’epoca dire a Scala che stava commettendo degli errori, come quello di schierare Rapaic quinto a sinistra e Gautieri quinto a destra, non era semplice. Due calciatori che oggi, in un 4-3-3 o 4-2-3-1 farebbero ancora la differenza. Portarli via dagli ultimi trenta metri significò ridurne la letalità in zona gol. Rapaic magari era un po’ svogliato negli allenamenti, ma andava comunque stimolato nel modo giusto. Anche Luis Muller, che in Brasile aveva vinto tanto, in allenamento, un po’ come capita ai campioni, tendeva a risparmiarsi. Nel calcio ci sono i giocatori del giovedì e quelli della domenica. I campioni sono tali quando dimostrano di reggere determinate pressioni non in partitella, ed allora alcune cose negli allenamenti bisogna tollerarle. Scala probabilmente non aveva compreso queste dinamiche, anche perché lui veniva da Parma, da una squadra in cui militavano solo campioni. Un altro grande errore fu sostituire Kocic, che stava facendo benissimo e per cui eravamo in trattativa con il Milan, con Bucci, pupillo di Scala. Il migliore allenatore fa rendere al massimo i calciatori per quelle che sono le caratteristiche che possiedono. È giusto avere una propria identità, ma stravolgere in corsa una squadra che, per alcuni aspetti, funzionava bene, significava votarsi completamente all’estremismo. Galeone e Scala erano agli antipodi. Galeone troppo permissivo su alcune cose, Scala rigidissimo per altre. Avremmo forse potuto cambiare Galeone con un allenatore che consentisse alla squadra di continuare ad esprimere le proprie caratteristiche. Comunque va sottolineato che retrocedemmo per la classifica avulsa e perché il Milan perse in casa contro il Cagliari. Se i rossoneri avessero giocato un po’ meglio, sarebbe finita diversamente. 

Giunti , questa è l’occasione per rispondere ai  tifosi che parlano di scarsi impegno. 

Ho scelto sempre di non replicare quelle accuse assurde. Posso solo ribadire che avrei voluto salvare il Perugia ed ho fatto l’impossibile per scendere in campo contro il Piacenza. Indossavo la fascia da capitano, in campo ho sempre dato tutto, rimettendoci anche un perone e le ossa nasali. Pensavo di poter dare il mio contributo anche in quella partita, ma se potessi tornare indietro, non giocherei a Piacenza. Non ero in condizioni fisiche ottimali per essere decisivo come richiedeva la partita dell’anno. Ero stato ricoverato in ospedale e sottoposto ad importanti terapie mediche. Allenatore e compagni mi volevano in campo, facevano affidamento su di me, non me la sentì di tirare indietro la gamba. La retrocessione fu l’epilogo di un finale che probabilmente avrebbe potuto essere solo quello. Troppe cose non andarono bene. Con Galeone avevamo legato molto, a lui devo il mio cambio di ruolo. Da mezzala mi trasformò in regista arretrato davanti alla difesa. In campo avevamo raggiunto buoni risultati e la classifica non era così malvagia da giustificarne l’esonero. I rapporti tra società e allenatore non erano idilliaci e fu fatta una determinata scelta. Giusta o sbagliata? Non possiamo saperlo, nè avremo mai la certezza che con Galeone sarebbe finita diversamente. A fine stagione mossi la prima critica al presidente Gaucci perché io avrei mantenuto Galeone in sella. Devo però spezzare una lancia in favore di Scala, professionista esemplare, ottimo allenatore, ma quella era una squadra poco adatta al suo credo tattico, ed oggi che sono allenatore certe cose le comprendo meglio. So bene che Gautieri, che comunque aveva nelle corde la possibilità di percorrere in lungo e in largo la fascia, era sprecato in quel ruolo, ma la bravura di un allenatore sta nel convincere i calciatori a spingersi oltre determinati ostacoli. Gautieri e Rapaic non erano convinti di occupare quella posizione in campo. Scala fece davvero il massimo, ma i risultati purtroppo non ci diedero ragione. 

Giunti ora spera di aver definitivamente allontanato sospetti basati sul nulla. Merita di essere creduto, la sua carriera è decollata a Perugia, la sua fede per il Grifo non può essere messa in discussione per rumors senza un volto, una firma. Lui invece la faccia ce l’ha sempre messa, anche dando un simpatico buffetto a Luciano Gaucci. 

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