Il migliore dei mondi, quando la gentilezza era contagiosa

Con Il migliore dei mondi, Maccio Capatonda ci trascina in una dissacrante ucronia romantica intrisa di nostalgia e divertimento, dove tutto è analogico e le connessioni molto più reali che virtuali.

Il migliore dei mondi, quando la gentilezza era contagiosa

Era bello quando l'analogico sembrava l'unica tecnologia possibile. Aveva già nel nome un principio di assimilabilità con l'età che più di altre ha rappresentato, quella degli anni '80 e '90: analogia, "qualcosa di simile", qualcosa di paragonabile. Un periodo ricchissimo dal punto di vista delle scoperte tecnologiche che ha infatti spinto all'evoluzione verso il digitale, rendendo con estrema rapidità l'exploit analogico vecchio e sorpassato. Ma è nella sua definizione che si nasconde la bellezza dell'epoca che ha rappresentato, dove era possibile percepire realmente il prossimo, le opportunità, le crisi, le emozioni, senza scomparire dietro uno schermo e rinunciare alla scoperta della vita tra gioia e difficoltà per sentirsi al sicuro nel freddo abbraccio dell'amico digitale.

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Il migliore dei mondi: Maccio Capatonda in un momento del film

Un processo binario e ben tracciato che ha sostituito gli abissali eppure sorprendenti sali e scendi delle onde esistenziali, trasformando irrimediabilmente le dinamiche sociali e relazionali di noi tutti, comprese quelle di Ennio Storto, protagonista de Il migliore dei mondi di Maccio Capatonda. Un antieroe figlio sano della digitalizzazione - tra social network e smart service - che si espone involontariamente a un diverso e più contagioso tipo di viralità: quello della spontaneità e della gentilezza.

Il What If di Maccio

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Il migliore dei mondi: Maccio Capatonda in un'immagine

Marcello Macchia in arte Maccio Capatonda, che insieme a Danilo Carlani ha scritto e diretto il film anche con l'aiuto di Alessio Dogana, ha definito il suo terzo lungometraggio "una distodramedy", in sostanza una commedia drammatica distopica. In realtà c'è molta più commedia - quasi mai non sense - che dramma e la distopia è in verità un'ucronia, dato che l'intreccio fantascientifico ha come presupposto un percorso diverso dalla storia che conosciamo. Ma "va bene lo stesso" (per citare l'amico comico Valerio Lundini), soprattutto perché il what if messo in piedi da Maccio è sensibilmente malinconico al netto della sua spiccata anima comica insieme riflessiva ed esilarante.

L'idea è semplice ma efficace: il millenium bug non era una fesseria, i sistemi digitali sono andati in down, l'economia ne ha sofferto, il mondo si è ripreso ma ha bandito per sempre l'evoluzione digitale e le interconnessioni di rete veloci (massimo a 56k). Quella analogica è l'unica via percorribile e, anzi, è sotto questa certezza che la politica globale si è unita per fare fronte comune contro il problema in un sistema apparentemente più equo. "Il migliore dei mondi possibili", secondo il fratello Alfredo (Pietro Sermonti), "ma con un po' meno di tecnologia". Maccio ci trasporta in una dimensione parallela dove gli smartphone, assistenti vocali, sensori per il parcheggio o Tinder non sono mai esistiti, catapultandoci in un mondo identico al nostro ma privo di tutti quei cambiamenti socio-psicologici relativi alla digitalizzazione e all'evoluzione smart del pianeta.

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Il migliore dei mondi: Martina Gatti in una scena del film

Un what if che si concretizza in una sorta di throwback in un'epoca "vicina" che appare però lontanissima, distante, impossibile da rivivere, se non fosse per la necessità di una comunicazione istantanea sì ma diretta, personale, faccia a faccia, per le piccole e grandi cose. Vi ricordate: "Scusi, sa dirmi come raggiungere la stazione dei treni?", e via di spiegoni impossibili da parte di perfetti sconosciuti e accondiscendenti sì con la testa senza aver capito nulla, per poi passare con nonchalance al prossimo estraneo senza distinzioni d'età (anzi, gli anziani erano più navigati, del territorio, preparati). Si percepiva il gusto della scoperta, l'emozione della sfida o dell'ignoto, anche solo per andare al ristorante. Chi ce lo diceva che "proprio in quel posto lì", la carbonara, era "la più bona de Roma"? Un amico, magari, ma non era certificato e condiviso, non era detto che fosse vero o che più semplicemente fosse per lo meno buona. Era tutto da vivere, rimesso al fallibile intuito personale e non al totalitarismo delle stelline. Ed era più bello perché più spontaneo, più libero, più audace, più coeso che mai in senso umano (al netto delle problematiche sempreverdi).

Il migliore dei mondi, Maccio Capatonda: "Il mio film è una distodramedy"

Vieni, vieni

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Il migliore dei mondi: Maccio Capatonda in una scena del film

Quell'epoca era soprattutto più gentile. Intendiamoci: bullismo, maschilismo, terrorismo, violenza, disparità e tantissime altre criticità odierne esistevano anche allora, sebbene diverse da quelle più moderne, eppure sembrava che l'epoca analogica fosse davvero capace di mettere le persone realmente in connessione, accostandole l'una all'altra senza barriere digitali. Gli anni '90, in particolare, furono eclettici ed elettrizzanti, davvero curiosi sotto svariati punti di vista, e le persone rispecchiavano quell'atmosfera così spavalda e genuina, in positivo o negativo che sia.

Ma c'era internet che scalpitava e la febbre per la rete cresceva di anno in anno sempre di più, con la computerizzazione casalinga di massa oltremodo galoppante. Ne Il migliore dei mondi Maccio frena l'irrecuperabile discesa dell'umanità nell'abisso digitale, un luogo ameno tra conoscenza e perdizione, tra cultura e ignoranza, tra comodità e lassismo, il tutto rimesso alla volontà del singolo. La rivoluzione digitale ha cambiato per sempre il modo di approcciarsi al mondo, mentre l'evoluzione social e smart ne ha intaccato in modo irrecuperabile la percezione. È tutto uno "scroll", una serie di "like", un post dopo l'altro, "hater" dietro gli angoli, "troll", negazionisti, siti poco affidabili, innumerevoli spam, "alexa fai questo", "alexa riproduci quest'altro".

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Il migliore dei mondi: Maccio Capatonda e Pietro Sermonti in una scena del film

Social e strumenti digitali sono diventati loro malgrado l'anticamera sociale dell'ignavia e delle scorciatoie, della sessualizzazione dei contenuti e del predominio dell'estetica e dell'apparenza sull'etica e sulla morale, di frodi e monetizzazione a tutti i costi, e questo nonostante avessero (e hanno tutt'ora) da offrire anche cultura, dialogo, condivisione, meraviglie. Viene da chiedersi chi abbia rovinato chi: la rivoluzione digitale l'uomo o viceversa? Quel che è certo è che Il migliore dei mondi non è certo quello che stiamo vivendo oggigiorno, ma forse non lo era nemmeno in età analogica.

C'era però una tolleranza dell'altro più civile, un modo di approcciarsi ai problemi della vita molto più pratico e immediato, la volontà di superare l'ostacolo, non di aggirarlo, e il desiderio di sentirsi in qualche modo d'aiuto. La viralità era tutta qui: in un contagioso altruismo che, pure se ideale, almeno aveva modo e tempo di palesarsi. Ed è forse questo che Maccio, col suo film, voleva comunicarci: che nonostante tutto, quell'epoca era davvero magica, persino in grado di guarire uno smartphone dipendente come Ennio Storto al grido di "vieni, vieni, vieni" prima del sonoro "sbo!" del pericolo scampato.