Dai Guelfi al Novecento

Tutta la storia di Pratum Novum Cioè Comun Nuovo, dal 1250 a oggi

Tutta la storia di Pratum Novum Cioè Comun Nuovo, dal 1250 a oggi
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Giancamillo Mistrini, nel suo Comun Nuovo - La torre campanaria ha definito come il «certificato di nascita della nostra comunità» un documento datato al 1250 nel quale, per la prima volta, compare il toponimo Pratum novum de Vezanica. Come detto, correva il 1250, e la data riportata sull’atto conservato presso la Biblioteca Maj di Bergamo è quella del 19 maggio. Dunque è appena passato quello che, a detta del Mistrini, è il compleanno del paese. Centro che, stando all’anno proposto dall’autore del libro, ha compiuto ben 768 anni. E quale modo migliore di celebrare un compleanno se non ripercorrere gli eventi storici che hanno attraversato Comun Nuovo nei secoli?

Un prato fertile. Sono stati scelti gli eventi più significativi che, in una maniera o nell’altra, hanno segnato l’identità del paese. Sappiamo molto poco di Comun Nuovo prima del 1250, ma il toponimo, come suggerisce lo storico bergamasco Antonio Tiraboschi, dovrebbe derivare da una zona fertile adibita alle attività agricole. Appunto, un pratum. Anche il Mistrini, nel suo libro, si trova in accordo. La sua spiegazione deriva dalla topografia dei luoghi: ponendo al centro l’abitato comunuovese come riferimento e guardando le principali arterie stradali, si nota che nessuna di esse attraversa il nucleo abitato. Bergamo, Verdello e Urgnano, infatti, sono i tre vertici di un triangolo che le provinciali Bergamina, Francesca e Cremasca vanno a formare. E proprio al centro di questo si trova Comun Nuovo. Da qui Mistrini ha dedotto che l’unico vantaggio del luogo fossero i campi fertili e produttivi, grazie anche alla presenza del rio Morla. Dunque lo sfruttamento di quei pascoli e di quei campi obbligò i pastori e i contadini a insediarsi stabilmente nella zona. Con gli anni, l’insediamento si fece sempre più consistente. Nel 1268, infatti, un atto d’acquisto di terre emesso dal Libero Comune di Bergamo attesta che al Pratum novum si trovavano un fossato e una cerchia muraria. Seppur ormai un centro abitato a tutti gli effetti, Comun Nuovo di allora non fu ancora considerato un borgo a sé stante, ma una proprietà bergamasca a tutti gli effetti.

 

 

Ghibellini al rogo! Sul finire del Duecento la spinta autonomista dei liberi comuni va a spegnersi: questi, lentamente, si trasformano in signorie che daranno poi origine agli stati preunitari. Tuttavia, non si placarono le lotte tra le fazioni dei Guelfi e dei Ghibellini. Gli scontri raggiunsero Comun Nuovo nel Trecento. Il 22 marzo del 1358, come attestato dall’erudito orobico Bortolo Belotti, una compagnia di ventura bruciò Verdello, Verdellino e Comun Nuovo per sedare una rivolta ghibellina sorta nel paese. La torre campanaria, di merlatura ghibellina ovvero a coda di rondine, conferma la fazione di appartenenza dei comunnuovesi. Questi pagarono a caro prezzo il loro schieramento: il 15 marzo del 1380 un contingente guelfo attaccò e bruciò, tra gli altri paesi di pianura, anche Comun Nuovo. Monsignor Giuseppe Rocchetti, nel suo Memorie istoriche della città e della chiesa di Bergamo, conteggiò diciotto morti di quella giornata di scontri.

Attacco alla torre. Arrivati al quindicesimo secolo, si ha uno degli eventi bellici più cruenti: si tratta del celeberrimo rogo della torre. Bergamo era sotto il dominio dei Visconti di Milano. Protagonista di questa storia è il condottiero di ventura Jacopo Del Verme. Dapprima a servizio dei milanesi, si schierò con la Serenissima Repubblica di Venezia. Questo proprio nel 1407, quando mosse verso Bergamo con truppe veneziane, riminesi e mantovane, partendo dal bresciano. Il 15 febbraio di quell’anno, i mercenari entrarono in Comun Nuovo e nei paesi limitrofi. In quella data misero a ferro e fuoco la torre civica, probabilmente per intimidire la popolazione civile e distruggere quella che era considerata un’installazione militare. Ad avere la peggio furono ancora gli indifesi: cinque bambini lì rifugiati persero la vita, soffocati dal fumo. Di lì a vent’anni sarebbero terminati gli scontri più importanti tra Venezia e Milano. Comun Nuovo, insieme alla Bergamasca, passò sotto la dominazione di San Marco nel 1427. Due anni più tardi, nel 1429, si ha il primo documento scritto che attesta il paese come centro a sé stante rispetto alla città. Gli eventi della macro storia, quella fatta di re, imperatori e duchi, battaglie e rivoluzioni, a questo punto abbandonano per un po’ Comun Nuovo. Quello che rimane è la costante attività rurale del borgo, che dalle origini non è mai mutata. Tra il Quattrocento e il Cinquecento è la famiglia Albani ad approfittare delle ricchezze di questa terra e a insediarsi nel paese che, al 1513, contava 580 anime. A loro si deve la costruzione di palazzo Camera, residenza fino al Novecento dei discendenti di quella famiglia.

 

 

I primi a coltivare mais. La vocazione rurale del comune si conferma nel diciassettesimo secolo: da uno scritto della Misericordia Maggiore di Bergamo si evince che Comun Nuovo, nel 1620, è il primo paese della Bergamasca a coltivare il mais. La nuova coltura, importata dalle Americhe, indurrà nel 1632 alcune persone provenienti da Gandino a visitare i campi per vedere la pianta. La coltura prese in effetti piede nel nostro territorio dopo la peste manzoniana del 1630. Nel frattempo, dopo gli Albani furono i conti Benaglio a insediare le loro proprietà in quel di Comun Nuovo. A loro si deve la costruzione dell’attuale sede municipale, palazzo Benaglio, appunto.

La storia torna a bussare. La tranquilla vita contadina degli abitanti, che per quasi tre secoli non subirono eventi di rilievo, venne bruscamente interrotta il 2 settembre del 1705. Il curato di Osio Sotto, Pierino Facchetti, riportò in una lettera indirizzata al conte Estore Martinengo i disagi che le popolazioni della zona, Comun Nuovo inclusa, dovettero subire durante la guerra di successione spagnola. Quel giorno, infatti, truppe francesi e tedesche saccheggiarono il paese, ancora possedimento della Serenissima. Quando questa cadde, nel 1797, il paese seguì le sorti dell’intera provincia. Dopo la breve parentesi napoleonica, infatti, si trovò sotto la dominazione asburgica. Fino al 1859, quando venne liberata, insieme al resto della Bergamasca, dai Cacciatori delle Alpi di Giuseppe Garibaldi.

Garibaldi e Ghislotti. L’Eroe dei due Mondi, inconsapevolmente, incrocerà l’anno successivo le orme di un comunnuovese. Nel 1860, infatti, Giuseppe Ghislotti prenderà parte alla spedizione dei Mille. Nativo di Comun Nuovo, classe 1841, a diciannove anni si arruolò con le Camicie Rosse e partì. Si sa che ritornò dalla spedizione e che si spense in paese esattamente cent’anni fa, nel 1918. Con l’Unità d’Italia, comunque, la popolazione comunnuovese rimase sostanzialmente contadina.

 

 

La battaglia con i tedeschi. Si arriva così al «secolo breve», il Novecento: il fatto saliente di questo periodo è la battaglia che si combatté il 28 aprile del 1945 in piazza Locatelli. Questa, come ricordato alcuni mesi fa su queste pagine, si svolse tra reparti tedeschi in ritirata e una colonna blindata alleata. Nel ventesimo secolo, tuttavia, si registra anche il progressivo spostamento della manodopera comunnuovese dal settore primario all’industria: nascono le officine Pilenga e il birrificio Heinekein, si consolida l’attività dei Moretti. Le ultime trasformazioni sono ormai note, con un paese in forte crescita demografica e proiettato verso le sfide del terzo millennio; ricordiamo per esempio Dario Cambié, ricercatore del paese che collabora con un’azienda farmaceutica tedesca. Tuttavia, «siamo come nani che si innalzano sulle spalle di giganti»; da qui l’importanza di conoscere le proprie origini e il proprio passato. Ringraziando per la preziosa collaborazione Luig i Cattane o, non resta che augurare buon compleanno a Comun Nuovo.

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