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Monteverdi - L'incoronazione di Poppea

by ReadOpera

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1.
PROLOGO 05:17
PROLOGO SCENA UNICA Fortuna, Virtù, Amore FORTUNA Deh, nasconditi, o Virtù, già caduta in povertà, non creduta Deità, Nume ch'è senza tempio, Diva senza devoti, e senza altari, dissipata, disusata, mal gradita, ed in mio paragon sempre avvilita. Già regina, or plebea, che per comprarti gl'alimenti e le vesti i privilegi e i titoli vendesti. Ogni tuo professore, se da me sta diviso, rimane un vacuo nulla destituto da numeri, che mai non rileva alcun conto, sembra un foco dipinto che né scalda, né splende; resta un calor sepolto in penuria di luce. Né alcun de’ tuoi seguaci speri mai di conseguir ricchezze, o gloria alcuna, se protetto non è dalla Fortuna. VIRTÙ Deh sommergiti, mal nata, rea chimera delle genti, fatta Dea dagl’imprudenti. Io son la vera scala, per cui natura ascende al sommo bene. Io son la tramontana, che sola insegno agl’intelletti umani l'arte del navigar verso l'Olimpo. Può dirsi senza adulazione alcuna il puro incorrutibil esser mio termine convertibile con Dio, che ciò non si può dir di te, Fortuna. AMORE Che vi credete, o Dee, divider fra di voi del mondo tutto la signoria, e'l governo, escludendone Amore, Nume, ch'è d'ambi voi tanto maggiore? io le virtudi insegno, io le fortune domo. Questa bambina età vince d'antichità il tempo, e ogn'altro Dio; gemelli siam l'eternitade ed io. Riveritemi, adoratemi, e di vostro sovrano il nome datemi. FORTUNA, VIRTÙ Uman non è, non è celeste core, che contender ardisca con Amore. AMORE Oggi in un sol certame, l'un e l'altra di voi da me abbattuta, dirà, che 'l mondo a' cenni miei si muta.
2.
SCENA 1 OTTONE E pure io torno qui, qual linea al centro, qual foco a sfera e qual ruscello al mare, e se ben luce alcuna non m'appare, ahi, so ben io, che sta il mio Sol qui dentro. Caro tetto amoroso, albergo di mia vita, e del mio bene, il passo e'l core ad inchinarti viene. Apri un balcon, Poppea, col bel viso, in cui son le sorti mie, previeni, anima mia, precorri il die. Sorgi, e disgombra omai, da questo ciel caligini, e tenebre con il beato aprir di tue palpebre. Sogni, portate a’ volo, fate sentir in dolce fantasia questi sospiri alla diletta mia. Ma che veggio, infelice? Non già fantasmi o pur notturne larve, son questi i servi di Nerone; ahi, dunque agl'insensati venti io diffondo i lamenti. Necessito le pietre a deplorarmi. Adoro questi marmi, amoreggio con lagrime un balcone, e in grembo di Poppea dorme Nerone. Ha condotti costoro, per custodir se stesso dalle frodi. O salvezza de' Prencipi infelice, dormon profondamente i suoi custodi. Ahi, perfida Poppea, son queste le promesse, e i giuramenti, ch'accessero il cor mio? Questa è la fede, O Dio! Io son quell'Ottone, che ti seguì, che ti bramò, che ti servì, che t'adorò che per piegarti, e intenerirti il core di lagrime imperlò preghi devoti, m'assicurasti al fine ch'abbracciate averei nel tuo bel seno le mie beatitudini amorose. Io di credula speme il seme sparsi, ma l'aria e'l cielo a' danni miei rivolto temperstò di ruine il mio raccolto.
3.
SCENA 2 Due Soldati PRIMO SOLDATO Chi parla? Chi va lì? Ohimè, ancor non è dì! Sorgono pur dell'Alba i primi rai. Non ho dormito in tutta notte mai. SECONDO SOLDATO Camerata, che fai? Par che parli sognando. Sù, risvegliati tosto, guardiamo il nostro posto. PRIMO SOLDATO Sia maledetto Amor, Poppea, Nerone, e Roma, e la milizia, soddisfar io no posso alla pigrizia un'ora, un giorno solo. SECONDO SOLDATO La nostra Imperatrice stilla se stessa in pianti, e Neron per Poppea la vilipende. L'Armenia si ribella, ed egli non ci pensa. La Pannonia dà all'armi, ei se ne ride, così, per quant'io veggio, l'impero se ne va di male in peggio. PRIMO SOLDATO Dì pur che il Prence nostro ruba a tutti, per donar ad alcuni; l'innocenza va afflitta, e i scellerati stan sempre a man dritta. SECONDO SOLDATO Sol del pedante Seneca si fida. PRIMO SOLDATO Di quel vecchio rapace? SECONDO SOLDATO Di quel volpon sagace. PRIMO SOLDATO Di quel reo cortigiano, che fonda il suo guadagno sul tradire il compagno. SECONDO SOLDATO Di quell’empio architetto, che si fa casa sul sepolcro altrui. PRIMO SOLDATO Non ridire ad alcun quel che diciamo. Nel fidarti va scaltro, se gl'occhi non si fidan l'un dell'altro, e però nel guardar van sempre insieme. PRIMO SOLDATO, SECONDO SOLDATO Impariamo dagl'occhi, a non trattar da sciocchi. PRIMO SOLDATO Ma già s'imbianca l'alba, e vien il dì, taciam, Nerone è qui.
4.
SCENA 3 Poppea, Nerone POPPEA Signor, deh non partire, sostien, che queste braccia ti circondino il collo, come le tue bellezze circondano il cor mio. NERONE Poppea, lascia ch'io parta. POPPEA Non partir, Signor, deh non partire. A pena spunta l'Alba, e tu che sei l'incarnato mio sole, la mia palpabil luce, e l'amoroso dì della mia vita, vuoi sì repente far da me partita? Deh non dir di partir, che di voce sì amara a un solo accento, ahi perir, ahi spirar quest'alma io sento. NERONE La nobiltà de' nascimenti tuoi non permette che Roma sappia che siamo uniti, in sin ch'Ottavia... POPPEA In sin che... in sin che... NERONE In sin ch'Ottavia non riman esclusa... POPPEA Non rimane... NERONE In sin ch'Ottavia non riman esclusa col repudio da me. POPPEA Vanne, vanne, ben mio. NERONE In un sospir, che vien dal profondo del sen, includo un bacio, o cara, ed un addio. Ci rivedrem ben tosto, Idolo mio. POPPEA Signor, sempre mi vedi, anzi mai non mi vedi, perché s'è ver, che nel tuo cor io sia, entro al tuo sen celata, non posso da' tuoi lumi esser mirata. NERONE Adorati miei rai, deh restatevi omai. Rimanti, o mia Poppea, cor, vezzo, e luce mia. POPPEA Deh, non dir di partir, che di voce sì amara a un solo accento, ahi perir, ahi spirar quest'alma sento. NERONE Non temer, tu stai meco a tutte l'ore, splendor negl'occhi, e deità nel core. POPPEA Tornerai? NERONE Se ben io vo' pur teco io sto POPPEA Tornerai? NERONE Il cor dalle tue stelle mai non si disvelle. POPPEA Tornerai? NERONE Io non posso da te viver disgiunto se non si smembra la unità del punto POPPEA Tornerai? NERONE Tornerò. POPPEA Quando? NERONE Ben tosto. POPPEA Me'l prometti? NERONE Te'l giuro. POPPEA E me l'osserverai? NERONE E s'a te non verrò, tu a me verrai. POPPEA Addio, Nerone, addio. NERONE Addio, Poppea, ben mio.
5.
SCENA 4 Poppea, Arnalta POPPEA Speranza, tu mi vai il core accarezzando; Speranza, tu mi vai il genio lusingando, e mi circondi in tanto di regio sì, ma imaginario manto. Se a tue promesse io credo già in capo ho le corone, e già il divo Nerone consorte bramatissimo possiedo. Ma se ricerco il vero regina io son col semplice pensiero. ARNALTA Ahi figlia, voglia il Cielo, che questi abbracciamenti non sian un giorno i precipizi tuoi. POPPEA No, no, non temo, no, di noia alcuna. ARNALTA L'imperatrice Ottavia ha penetrati di Neron gli amori, ond'io pavento, e temo, ch'ogni giorno, ogni punto, sia di tua vita il giorno, il punto estremo. POPPEA Per me guerreggia Amor, e la Fortuna. ARNALTA La prattica coi Regi è perigliosa, l'amor e l'odio non han forza in essi, sono gli affetti lor puri interessi. Se Neron t'ama, è mera cortesia, s'ei t'abbandona, non ten’ puoi dolere. Per minor mal ti converrà tacere. Il Grande spira onor con la presenza. Lascia, mentre la casa empie di vento, riputazione e fumo a pagamento. Perdi l'onor, con dir: "Neron mi gode." Son inutili vizi ambiziosi, mi piaccion più i peccati fruttuosi. Con lui tu non puoi mai trattar del pari, e se le nozze hai per oggetto e fine, mendicando tu vai le tue ruine. Mira, mira Poppea, dove il prato è più ameno e dilettoso, stassi il serpente ascoso. Dei casi le vicende son funeste, La calma è profezia delle tempeste. Ben sei pazza, se credi, che ti possano far contenta e salva un garzon cieco ed una donna calva.
6.
SCENA 5 Ottavia, Nutrice OTTAVIA Disprezzata Regina, del Monarca Romano afflitta moglie, che fo', ove son, che penso? O delle donne miserabil sesso: se la natura e 'l Cielo libere ci produce, il matrimonio c'incatena serve. Se concepiamo l'uomo, o delle donne miserabil sesso: al nostro empio tiran formiam le membra, allattiamo il carnefice crudele, che ci scarna, e ci svena, e siam forzate per indegna sorte a noi medesme partorir la morte. Nerone, empio Nerone, marito, o Dio, marito bestemmiato pur sempre, e maledetto dai cordogli miei, dove, ohimè, dove sei? In braccio di Poppea, tu dimori felice e godi, e intanto il frequente cader de' pianti miei pur va quasi formando un diluvio di specchi, in cui tu miri, dentro alle tue delizie, i miei martiri. Destin, se stai lassù, Giove ascoltami tu. Se per punir Nerone fulmini tu non hai, d'impotenza t'accuso, d'ingustizia t'incolpo. Ahi, trapasso tropp'oltre, e me ne pento, sopprimo, e seppellisco in taciturne angoscie il mio tormento. O Cielo, o ciel, deh l'ira tua s'estingua, non provi i tuoi rigori il fallo mio. Errò la superficie, il fondo è pio, innocente fu il cor, peccò la lingua. NUTRICE Ottavia, o tu dell'universe genti unica Imperatrice. Di tua fida Nutrice, odi gli accenti. Se Neron perso ha l'ingegno di Poppea ne' godimenti, scegli alcun che di te degno d'abbracciarti si contenti. Se l'ingiuria a Neron tanto diletta, abbi piacer tu ancor nel far vendetta. E se pur aspro rimorso dell'onor t'arreca noia, fa riflesso al mio discorso, ch'ogni duol ti sarà gioia. OTTAVIA Così sozzi argomenti non intesi più mai da te, Nutrice! NUTRICE L'infamia sta gl'affronti in sopportarsi, e consiste l'honor nel vendicarsi. Han poi questo vantaggio delle regine gli amorosi errori, se li sa l'idiota, non li crede, se l'astuto li penetra, li tace, e'l peccato taciuto e non creduto sta segreto e sicuro in ogni parte, com'un che parli in mezzo un sordo, e un muto. OTTAVIA No, mia cara Nutrice, la donna assassinata dal marito per adultere brame, resta oltraggiata sì, ma non infame. Per il contrario resta lo sposo inonorato, se il letto marital li vien macchiato. NUTRICE Figlia e Signora mia, tu non intendi della vendetta il principale arcano. L'offesa sopra il volto d'una sola guanciata si vendica col ferro e con la morte. Chi ti punge nel senso, pungilo nell'onore, se bene a dirti il vero, né pur così sarai ben vendicata; nel senso vivo te punge Nerone, e in lui sol pungerai l'opinione. Fa' riflesso al mio discorso. Ch'ogni duol ti sarà gioia. OTTAVIA Se non ci fosse né l'onor, né Dio sarei nume a me stessa, e i falli miei con la mia stessa man castigarei, e però lunge dagli errori divido il cor tra l'innocenza e l'pianto.
7.
SCENA 6 Seneca, Ottavia, Valletto SENECA Ecco la sconsolata donna, assunta all'impero, per patir il servaggio: o gloriosa del mondo Imperatrice, sovra i titoli eccelsi degl'insigni avi tuoi conspicua e grande. La vanità del pianto degl'occhi imperiali è ufficio indegno. Ringrazia la fortuna, che con i colpi suoi ti cresce gl'ornamenti. La cote non percossa non può mandar faville. Tu dal Destin colpita produci a te medesma alti splendori di vigor, di fortezza, glorie maggiori assai, che la bellezza. La vaghezza del volto, i lineamenti, che in apparenza illustre risplendon coloriti e delicati da pochi ladri dì ci son rubati. Ma la virtù costante usa a bravar le stelle, il fato, e'l caso, giammai non vede occaso. OTTAVIA Tu mi vai promettendo balsamo dal veleno, e glorie da tormenti. Scusami, questi son, Seneca mio, vanità speciose studiati artifici, inutili rimedi agl'infelici. VALLETTO Madama, con tua pace, io vo' sfogar la stizza che mi move il filosofo astuto, il Gabba Giove. M'accende pure a sdegno questo miniator di bei concetti. Non posso star al segno, mentr’egli incanta altrui con aurei detti. Queste del suo cervel mere invenzioni, le vende per misteri e son canzoni. S'ei sternuta o sbadiglia presume d'insegnar cose morali, e tanto l'assotiglia, che moverebbe il riso a' miei stivali. Scaltra filosofia dov'ella regna, sempre al contrario fa di quel ch'insegna. Fonda sempre il pedante su l'ignoranza d'altri il suo guadagno, e accorto argomentante non ha Giove per Dio, ma per compagno, e le regole sue di modo intrica, ch'al fin ne anch'egli sa ciò ch'ei si dica. OTTAVIA Neron tenta il ripudio della persona mia per isposar Poppea, si divertisca, se divertir si può sì indegno esempio tu per me prega il popolo e ‘l senato, ch’io mi riduco a porger voti al tempio. VALLETTO Se tu non dai soccorso alla nostra regina, in fede mia, che vuo' accenderti il foco e nella toga, e nella libreria.
8.
SCENA 7 Seneca SENECA Le porpore regali e imperatrici, d'acute spine e triboli conteste, sotto forma di veste sono il martirio a prencipi infelici. Le Corone eminenti servono solo a indiademar tormenti. Delle regie grandezze si veggono le pompe e gli splendori, ma stan sempre invisibili i dolori.
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SCENA 8 Pallade, Seneca PALLADE Seneca, io veggo in ciel infausti rai, che minacciano te d'alte ruine. s'oggi verrà della tua vita il fine, pria da Mercurio avvisi certi avrai. SENECA Venga la morte pur, costante e forte. Vincerò gli accidenti e le paure; dopo il girar delle giornate oscure è di giorno infinito alba la morte.
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SCENA 9 Nerone, Seneca NERONE Son risoluto in somma o Seneca, o Maestro, di rimovere Ottavia dal posto di consorte, e di sposar Poppea. SENECA Signor, nel fondo alla maggior dolcezza spesso giace nascosto il pentimento. Consiglier scellerato è'l sentimento. ch'odia le leggi e la ragion disprezza. NERONE La legge è per chi serve, e se vogl'io, posso abolir l'antica e indur le nove. È partito l'Impero: è il Ciel di Giove, ma del mondo terren lo scettro è mio. SENECA Sregolato voler non è volere, ma, dirò con tua pace, egli è furore. NERONE La ragione è misura rigorosa per chi ubbidisce, non per chi comanda. SENECA Anzi, l'irragionevole comando distrugge l'ubbidienza. NERONE Lascia i discorsi, io voglio a modo mio. SENECA Non irritare il popolo e'l Senato. NERONE Del Senato e del popolo non curo. SENECA Cura almeno te stesso e la tua fama. NERONE Trarrò la lingua a chi vorrà biasmarmi. SENECA Più muti che farai, più parleranno. NERONE Ottavia è infrigidita ed infeconda. SENECA Chi ragione non ha cerca pretesti. NERONE A chi può ciò che vuol ragion non manca. SENECA Manca la sicurezza all'opre ingiuste. NERONE Sarà sempre più giusto il più potente. SENECA Ma chi non sa regnar sempre può meno. NERONE La forza è legge in pace, e spada in guerra, e bisogno non ha della ragione. SENECA La forza accende gli odi e turba il sangue. La ragion regge gl'uomini e gli Dei. NERONE Tu mi forzi allo sdegno; al tuo dispetto, e del popol in onta e del senato, e d'Ottavia, e del Cielo, e dell’abisso, siansi giuste od ingiuste le mie voglie, oggi Poppea sarà mia moglie. SENECA Siano innocenti i regi, o s'aggravino sol di colpe illustri. S'innocenza si perde, perdasi sol per guadagnar i regni, che il peccato commesso per aggrandir l'impero si assolve da se stesso. Ma che una femminella abbia possanza di condurti agli errori, non è colpa di rege e semideo: è un misfatto plebeo. NERONE Levamiti dinnanzi, maestro impertinente filosofo insolente. SENECA Il partito peggior sempre sovrasta, quando la forza alla ragion contrasta.
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SCENA 10 Nerone, Poppea POPPEA Come dolci, Signor, come soavi riuscirono a te la notte andata di questa bocca i baci? NERONE Più cari i più mordaci. POPPEA Di questo seno i pomi? NERONE Mertan le mamme tue più dolci nomi. POPPEA Di queste braccia gli stretti amplessi? NERONE Idolo mio, deh in seno ancor t’avessi. Poppea respiro a pena; Miro le labbra tue, e mirando recupero con gl'occhi quello spirto infiammato, che nel baciarti, o cara, in te diffusi. Non è, non è più in cielo il mio destino, ma sta de labbri tuoi nel bel rubino. POPPEA Signor, le tue parole son sì dolci, ch'io nell'anima mia le ridico a me stessa, e l'interno ridirle necessita al deliquio il core amante. Come parole l’odo, come baci io le godo; son de tuoi cari detti i sensi sì soavi e sì vivaci, che, non contenti di blandir l'udito mi passano al stampar su ‘l cor i baci. NERONE Quell'eccelso diadema ond'io sovrasto degl'uomini, e de regni alle fortune, teco divider voglio, e allor sarò felice quando il titolo avrai d'Imperatrice. Ma che dico, Poppea, troppo picciola è Roma ai merti tuoi, troppo angusta è l'Italia alle tue lodi, e al tuo bel viso è basso paragone l'esser detta consorte di Nerone; ed han questo svantaggio i tuoi begl'occhi, che, trascendendo i naturali esempi, e per modestia non tentando i cieli, non ricevon tributo d'altro onore, che di solo silenzio e di stupore. POPPEA A speranze sublimi il cor innalzo perché tu lo comandi, e la modestia mia riceve forza; ma troppo s'attraversa ed impedisce delle regie promesse il fin sovrano Seneca, il tuo maestro, quello stoico sagace, quel filosofo astuto, che sempre tenta persuader altrui; che il tuo scettro dipende sol da lui. NERONE Quel decrepito pazzo ha tanto ardire? POPPEA Ha tanto ardire! NERONE Olà, vada un di voi a Seneca volando, e imponga a lui, ch'in questo giorno ei mora. Vuo' che da me l'arbitrio mio dipenda, non da concetti e da sofismi altrui. Rinnegherei per poco le potenze dell'alma s'io credessi che servilmente indegne si movessero mai col moto d'altre. Poppea, sta di buon core, oggi vedrai ciò che sa far Amore.
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SCENA 11 Ottone, Poppea, Arnalta OTTONE Ad altri tocca in sorte bere il liquor, e a me guardar il vaso. Aperte stan le porte a Neron, ed Otton fuori è rimaso. Siede egli a mensa a satollar sue brame, in amaro digiun mor'io di fame. POPPEA Chi nasce sfortunato di se stesso si dolga, e non d'altrui. Del tuo penoso stato aspra cagion, Otton, non son, né fui. Il Destin getta i dadi, e i punti attende, l'evento o buono o reo da lui dipende. OTTONE La messe sospirata, dalle speranze mie, da miei desiri, in altra mano è andata, e non consente Amor che più v'aspiri. Neron felice i dolci pomi tocca, e solo il pianto a me bagna la bocca. POPPEA A te le calve tempie, ad altri il crine la Fortuna diede. S'altri i desiri adempie ebbe di te più fortunato piede, la disventura tua non è mia colpa. Te solo, adunque, e 'l tuo Destino incolpa. OTTONE Sperai che quel macigno, bella Poppea, che ti circonda il core, fosse d'amor benigno intenerito a pro del mio dolore. Or del tuo bianco sen la selce dura di mie morte speranze è sepoltura. POPPEA Deh, non più rinfacciarmi, porta, deh porta il martellin in pace, cessa di più tentarmi. Al cenno Imperiale Poppea soggiace. Ammorza il foco omai, tempra gli sdegni. Io lascio te per arrivar ai regni. OTTONE E così l'ambizione sovra ogni vizio tien la monarchia. POPPEA Così, la mia ragione, incolpa i tuoi capricci di pazzia. OTTONE È questo del mio Amor il guiderdone? POPPEA Modestia, olà, non più, son di Nerone. OTTONE Ahi, chi ripone fede in un bel volto, predestina se stesso a reo tormento, fabbrica in aria, e sopra il vacuo fonda, tenta palpare il vento, ed immobili afferma il fumo, e l'onda. ARNALTA Infelice garzone mi move a compassion il miserello. Poppea non ha cervello a non gl'aver pietà. Quand'ero in altra età non volevo gl'amanti in lacrime distrutti. Per compassion gli contentavo tutti.
13.
SCENA 12 Ottone OTTONE Otton, torna in te stesso. Il più imperfetto sesso non ha per sua natura altro d'uman in se, che la figura. Mio cor, torna in te stesso. Costei pensa al comando, e se ci arriva la mia vita è perduta. Ella temendo che risappia Nerone i miei passati Amori, ordirà insidie all'innocenza mia, indurrà colla forza un che m'accusi di lesa maestà, di fellonia. La calunnia, da' grandi favorita, distrugge agl'innocenti onor, e vita. Vo' prevenir costei col ferro, o col veleno. Non mi vuò più nutrir il serpe in seno. A questo, a questo fine dunque arrivar dovea l'amor tuo, perfidissima Poppea.
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SCENA 13 Drusilla, Ottone DRUSILLA Pur sempre di Poppea, or con la lingua or col pensier discorri. OTTONE Discacciato dal cor viene alla lingua, e dalla lingua è consegnato a’ venti il nome di colei ch'infedele tradì gl'affetti miei. DRUSILLA Il tribunal d'Amore talor giustizia fa. Di me non hai pietà altri si ride, Otton, del tuo dolore. OTTONE A te di quanto son, bellissima donzella, or fo libero don. Ad altri mi ritolgo, e solo tuo sarò, Drusilla mia. Perdona, o Dio, perdona il passato scortese mio costume. Benché dell’error mio non mi riprenda, confesso i falli andati. Eccoti l'alma mia pronta all'emenda. Infin ch'io viverò, t'amerà sempre, o bella, quest'alma che ti fu cruda e rubella. Già, già pentita dall'error antico mi ti consacra omai servo, ed amico. DRUSILLA Già l'oblio seppellì gl'andati Amori? È ver, Ottone, è ver, che a questo fido cor il tuo s'unì? OTTONE Drusilla, è ver, sì, sì. DRUSILLA Temo che tu mi dica la bugia. OTTONE No, Drusilla, no... DRUSILLA Otton, non so... OTTONE Teco non può mentir la fede mia. DRUSILLA M'ami adunque? OTTONE Ti bramo. DRUSILLA E come in un momento? OTTONE Amor è foco, e subito s'accende. DRUSILLA Sì subite dolcezze ora gode lieto il mio cor, ma non l'intende. M'ami adunque? OTTONE Ti bramo. Ti dican l'amor mio le tue bellezze. Per te nel cor ho nova forma impressa. I miracoli tuoi credi a te stessa. DRUSILLA Lieta men vado, Otton, resta felice. M'indirizzo a riveder l'Imperatrice. OTTONE Le tempeste del cor tutte tranquilla, d'altri Otton non sarà, che di Drusilla. E pure al mio dispetto, iniquo Amore, Drusilla ho in bocca, ed ho Poppea nel core.
15.
SCENA 1 Seneca, Mercurio SENECA Solitudine amata, eremo della mente, romitaggio a' pensieri, delizie all'inteletto che discorre e contempla l'immagini celesti sotto le forme ignobili e terrene. A te l'anima mia lieta sen viene, e lunge dalla corte, che insolente e superba fa della mia pazienza anotomia. Qui tra le frondi e l'erbe, m'assido in grembo della pace mia. MERCURIO Vero amico del Cielo appunto in questa solitaria chiostra visitarti io volevo. SENECA E quando, e quando mai le visite divine io meritai? MERCURIO La sovrana virtù di cui sei pieno deifica i mortali, e perciò son da te ben meritate le celesti ambasciate. Pallade a te mi manda, e ti annunzia vicina l'ultim'ora di questa frale vita, e'l passaggio all'eterna ed infinita. SENECA O me felice, dunque s'ho vivuto fin’ora degl'uomini la vita, vivrò dopo la morte la vita degli Dei. Nume cortese, oggi il morir m’accenni? Or confermo i miei scritti, autentico i miei studi. L'uscir di vita è una beata sorte, se da bocca divina esce la morte. MERCURIO Lieto dunque t'accingi al celeste viaggio. Al felice passaggio, t'insegnerò la strada che ne conduce allo Stellato Polo. Seneca or colà su io drizzo il mio volo.
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SCENA 2 Liberto, Seneca LIBERTO Il comando tiranno esclude ogni ragione, e tratta solo o violenza, o morte. Io devo riferirlo, e nondimeno relatore innocente mi par esser partecipe del male che a riferire io vado. Seneca, assai m'incresce di trovarti mentre pur ti ricerco. Deh, non mi riguardar con occhio torvo se a te sarò d'infausto annuncio il corvo. SENECA Amico, è già gran tempo, ch'io porto il seno armato contro i colpi del Fato. La notizia del secolo in cui vivo, forastiera non giunge alla mia mente. Se mi arrechi la morte non mi chieder perdono. Rido, mentre mi porti un sì bel dono. LIBERTO Nerone a me comanda. SENECA Non più, t'ho inteso, ed obbedisco or ora. LIBERTO E come intendi prima ch'io m'esprima? SENECA La forma del tuo dir, e la persona ch'a me ti manda, son due contrasegni minacciosi e crudeli. Del mio fatal destino già, già son’indovino. Nerone a me t'invia a imponermi la morte. Ed io sol tanto tempo frappongo ad ubbidirlo quanto basti formar ringraziamenti alla sua cortesia, che mentre vede dimenticato il Ciel de' casi miei, gli faccia sovvenir ch'io vivo ancora, per liberar e l'aria e la natura dal pagar l'ingiustissima angaria de' fiati, e i giorni alla vecchiaia mia. Ma di mia vita il fine non sazierà Nerone. L'alimento d'un vizio all'altro è fame. Il varco ad un eccesso a mille è strada, ed è lassù prefisso, che cento abissi chiami un sol abisso. LIBERTO Signor, indovinasti. Mori, e mori felice, che come vanno i giorni all'impronto del sole a marcarsi di luce, così alle tue scritture verran per prender luce i scritti altrui. I nostri Imperatori diventan dopo morte eterni numi, e trionfante Roma, quando un prencipe perde, acquista un Dio. Ma tu morendo, o Seneca felice, avrai la Deitade. Non l'avrà mai Nerone, ché non s'ammette in Ciel, Nume fellone. SENECA Vanne, vattene omai, e se parli a Nerone avanti sera, ch'io son morto e sepolto gli dirai.
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SCENA 3 Seneca SENECA Amici è giunta l'ora di praticare in fatti quella virtù, che tanto celebrai. Breve angoscia è la morte; un sospir peregrino esce dal core, ov'è stato molt'anni, quasi in ospizio, come forastiero, e se ne vola all'Olimpo, della felicità soggiorno vero. FAMIGLIARI Non morir, Seneca, no. Io per me morir non vuo'. Questa vita è dolce troppo, questo ciel troppo sereno, ogni amaro, ogni veneno finalmente è lieve intoppo. Se mi corco al sonno lieve, mi risveglio in sul mattino, ma un avel di marmo fino, mai non dà quel che riceve. SENECA Supprimete i singulti, rimandate quei pianti dai canali degl'occhi alle fonti dell'anima, o miei cari. Vada quell'acqua omai a lavarvi dai cori dell'incostanza vil le macchie indegne. Altr'essequie ricerca, che un gemito dolente Seneca moriente. Itene tutti, a prepararmi il bagno, ché se la vita corre come il rivo fluente, in un tepido rivo questo sangue innocente io vuo' che vada a imporporarmi del morir la strada.
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SCENA 4 Valletto, Damigella VALLETTO Sento un certo non so che, che mi pizzica e diletta, dimmi tu che cosa egli è, Damigella amorosetta. Se sto teco il cor mi batte, se tu parti, io sto melenso, al tuo sen di vivo latte sempre aspiro e sempre penso. Ti farei, ti direi, ma non so quel ch'io vorrei. DAMIGELLA Astutello, garzoncello, bamboleggia Amor in te. Se divieni amante, a fé, perderai tosto il cervello. Tresca Amor per solazzo coi bambini, ma siete Amor e tu due malandrini. VALLETTO Dunque Amor così comincia? È una cosa molto dolce, io darei per godere il tuo diletto i ciregi, le pere, ed il confetto. Ma se amaro divenisse questo miel che sì mi piace, l'addolciresti tu? Dimmelo, luce mia, dimmelo, di'. DAMIGELLA L’addolcirei sì, sì. VALLETTO Ma come poi faresti? DAMIGELLA Che dunque non lo sai? VALLETTO Nol so, cara, nol so. Dimmi, come si fa. Fa ch'io lo sappia espresso, perché se la superbia si ponesse sul grave del sussiego io sappia raddolcirmi da me stesso. Mi par che per adesso, se mi dirai che m'ami, io mi contenterò. Dimmelo, dunque, o cara, e se vivo mi vuoi, non dir di no. DAMIGELLA T'amo, caro Valletto, e nel mezzo del cor sempre t'avrò. VALLETTO Non vorrei, speme mia, starti nel core, vorrei starti più in su. Non so se sia mia voglia o saggia o sciocca, io vorrei, ch'il mio cor facesse nido nelle fossette belle e delicate, che stan poco discoste alla tua bocca. DAMIGELLA Se ti mordessi poi? Ti lagneresti in pianti tutto un dì. VALLETTO Mordimi quanto sai, mai non mi lagnerò. Morditure sì dolci vorrei sempre goderle, purché baciato io sia da tuoi rubini. Mi mordan pur le perle.
19.
SCENA 5 Nerone, Lucano NERONE Or che Seneca è morto, cantiam, cantiam, Lucano, amorose canzoni in lode d'un bel viso, che di sua mano Amor nel cor, m'ha inciso. LUCANO Cantiam, Signor, cantiamo, NERONE, LUCANO Cantiam, cantiam di quel viso ridente, che spira glorie ed influisce amori. Cantiam, cantiam di quel viso beato, in cui l'Idea di Amor se stessa pose, e seppe su le nevi con nova meraviglia, animar, incarnar la granatiglia. Cantiam di quella bocca a cui l'India e l'Arabia le perle consacrò, donò gli odori. Bocca, ahi destin, che se ragiona o ride, con invisibil arme punge, e all'alma dona felicità mentre l'uccide. Bocca, che se mi porge lasciveggiando il tenero rubino m'inebria il cor di nettare divino. LUCANO Tu vai, Signor, tu vai nell'estasi d'amor deliziando e ti piovon dagl'occhi stille di tenerezza, lagrime di dolcezza. NERONE Idolo mio, celebrarti io vorrei, ma son minute fiaccole, e cadenti, dirimpetto al tuo sole i detti miei. LUCANO O felice Poppea, Signor nelle tue lodi. O felice Nerone in grembo di Poppea. NERONE, LUCANO Di Neron, di Poppea cantiamo i vanti. NERONE Apra le cataratte il Ciel d'Amore. LUCANO E diluvi, ed inondi a tutte l'ore NERONE, LUCANO Felicità sopra gl’amati amanti. NERONE Son rubini amorosi tuoi labbri preziosi, il mio core costante è di caldo diamante, così le tue bellezze ed il mio core di care gemme ha fabbricato Amore. Son rose senza spine le tue guance divine, gigli e ligustri eccede il candor di mia fede, così tra il tuo bel viso ed il mio core la primavera sua divide Amore. Ond'io lieto men vivo or tra gli amanti.
20.
SCENA 6 Ottavia OTTAVIA Eccomi quasi priva dell'Impero e'l consorte, ma, lassa me, non priva del ripudio, e di morte. Martiri, o m'uccidete, o speranze alla fin non m'affliggete. Neron, ben mio, chi mi toglie, oh Dio. Come, come ti perdo, ohimè. Cadde l'affetto tuo, mancò la fé. Poppea crudel, Poppea, cruda Poppea, se lo stato mi togli, se de' miei regni, e d'ogni ben mi spogli non me ne curo, no, prendili in pace, ch'io cedendoli a te, credi, che sono fuor d'ogni strazio rio, priva di lutto. Nulla pretendo, e ti concedo il tutto. Ma non mi niegar, no, il mio sposo gradito. Rendimi, il mio marito. Lasciami questo sol, soffri a ragione. Se mi togli l'imper, dammi Nerone. Speranze, e che chiedete, se disperata son, non m'affliggete. Disumanato cor, barbaro seno; Neron, Poppea tiranni, cagioni de' miei danni, farò che'l ferro giunga a recider lo stame d'un affetto impudico, un petto infame, così fia, che riposi, e non deliri, che vendicata offesa a chi d'oprarla o di trattarla è vaga, disacerba la piaga, mitiga il duol, e fuor d'ingiuria ascosa, rende la cicatrice piu gloriosa. Ma, che parlo? Che tento? Uccidimi, tormento! Laceratemi, o pene! Straziatemi, martiri! Soffocatemi voi, caldi sospiri. Memorie, e che volete? O lasciate i pensieri o m'uccidete.
21.
SCENA 7 Ottone OTTONE I miei subiti sdegni, la politica mia già poco d'ora m'indussero a pensare d'uccidere Poppea? Oh mente maledetta, perché se' tu immortale, ond'io non posso svenarti, e castigarti? Pensai, parlai d'ucciderti, mio bene? il mio genio perverso, rinnegati gl'affetti, ch'un tempo mi donasti, piegò, cadè, proruppe in un pensier sì detestando, e reo? Cambiatemi quest'anima deforme, datemi un'altro spirito meno impuro per pietà vostra, o Dei! Rifiuto un inteletto, che discorre impietadi che pensò sanguinario, ed infernale d'offendere il mio bene, e di svenarlo. Isvieni, tramortisci, scellerata memoria, in ricordarlo. Sprezzami quanto sai, odiami quanto vuoi, voglio esser Clizia al sol de' lumi tuoi. Amerò senza speme al dispetto del Fato, fia mia delizia amarti disperato. Blandirò i miei tormenti, nati dal tuo bel viso, sarò dannato, sì, ma in Paradiso.
22.
SCENA 8 Ottone, Ottavia OTTAVIA Tu che dagli Avi miei avesti le grandezze, se memoria conservi de' benefici avuti, or dammi aita. OTTONE Maestade, che prega è destin che necessita. Son pronto a servirti, o Regina, quando anco bisognasse sacrificare a te la mia rovina. OTTAVIA Voglio che la tua spada scriva gl'obblighi miei, alla tua cortesia, col sangue di Poppea. Vuo' che l'uccida. OTTONE Che uccida chi? OTTAVIA Poppea. OTTONE Che uccida Poppea? OTTAVIA Poppea, Poppea. Perché dunque ricusi quel che già promettesti? OTTONE Io ciò promisi? Urbanità di complimento umìle, modestia di parole costumate, a che pena mortal mi condannate? OTTAVIA Che discorri fra te? OTTONE Discorro il modo più cauto e più sicuro d'una impresa sì grande. O Cielo, o Dei, in questo punto orrendo ritoglietemi i giorni, e i spirti miei. OTTAVIA Che mormori? OTTONE Fo voti alla Fortuna, che mi doni attitudine a servirti. OTTAVIA E perché l'opra tua quanto più presta fia, tanto più cara, precipita gl'indugi. OTTONE Sì tosto ho da morir? OTTAVIA Ma che frequenti soliloqui son questi? Ti protesta l'imperial mio sdegno, che se non vai veloce al maggior segno, pagherai la pigrizia con la testa. OTTONE Se Neron lo saprà? OTTAVIA Cangia vestiti. Abito mulìebre ti ricopra, e con frode opportuna sagace esecutor t'accingi all'opra. OTTONE Dammi tempo, ond'io possa inferocire i sentimenti miei, disumanare il core. OTTAVIA Precipita gl'indugi. OTTONE Dammi tempo, ond'io possa imbarbarir la mano. Assuefar non posso in un momento il genio innamorato nell'arte del carnefice spietato. OTTAVIA Se tu non m'ubbidisci, t'accuserò a Nerone, ch'abbi voluto usarmi violenze inoneste, e farò sì, che ti si stanchi intorno il tormento e la morte in questo giorno. OTTONE Ad ubbidirti, Imperatrice, io vado. Oh Ciel, Oh Dei in questo punto estremo ritoglietemi i giorni e i spirti miei.
23.
SCENA 9 Ottavia OTTAVIA Vattene pure. La vendetta è un cibo, che col sangue inimico si condisce. Della spenta Poppea sul monumento quasi a felice mensa prenderò così nobile alimento. Mora, mora la rea, mora, mora Poppea, già, già la punta del coltel la svena scellerata, scellerata Poppea verrà teco in sepolcro ogni mia pena, risanarà il mio duolo, del tuo sangue odiato un sorso solo. Gioirò vendicata, nascerà il mio seren da la tua morte. E uccisa te, o malnata, non sarà più tiranno il mio consorte! E tornerà giocondo il popolo, il senato e Roma, e' l mondo.
24.
SCENA 10 Drusilla, Valletto, Nutrice DRUSILLA Felice cor mio festeggiami in seno. Dopo i nembi e gl'orror godrò il sereno. Oggi spero che Ottone mi riconfermi il suo promesso amore. Festeggiami nel sen, lieto mio core. VALLETTO Nutrice, quanto pagharesti un giorno d'allegra gioventù com'ha Drusilla? NUTRICE Tutto l'oro del mondo io pagherei. L'invidia del ben d'altri, l'odio di se medesma, la fiachezza dell'alma, l'infirmità del senso, son quattro ingredienti, anzi i quattro elementi di questa miserabile vecchiezza, che canuta e tremante dell'ossa proprie è un cimiterio andante. DRUSILLA Non ti lagnar così, sei fresca ancora. Non è il sol tramontato, se ben passata è la vermiglia aurora. NUTRICE Il giorno femminil trova la sera sua nel mezzo dì. Dal mezzo giorno in là sfiorisce la beltà. Col tempo si fa dolce il frutto acerbo e duro, ma in ore guasto vien quel ch'è maturo. Credetel pure a me, o giovanette fresche in sul mattino. Primavera è l'età ch'Amor con voi si sta. Non lasciate che passi il verd'april o il maggio. Si suda troppo in Luglio a fare il viaggio. VALLETTO Andiam a Ottavia omai, Signora nonna mia. Venerabile antica del buon Caronte idolatrata amica. NUTRICE Ti darò una guanciata, bugiardello insolente, che sì, che sì. VALLETTO Andiam, che in te è passata la mezza notte, non che il mezzo dì.
25.
SCENA 11 Ottone, Drusilla OTTONE Io non so dov'io vada. Il palpitar del core ed il moto del piè non van d'accordo. L'aria che m'entra in seno, quand'io respiro, trova il mio cor sì afflitto, che pietosa ella si cangia in subitaneo pianto. E così, mentr'io peno, l'aria per compassion mi piange in seno. DRUSILLA E dove, Signor mio? OTTONE Te sola io cerco. DRUSILLA Eccomi a’ tuoi piaceri. OTTONE Drusilla, io vo' fidarti un secreto gravissimo; prometti e silenzio, e soccorso? DRUSILLA Ciò che del sangue mio, non che dell'oro, può giovarti e servirti, è già tuo più che mio. Palesami il secreto, che del silenzio poi ti dò l'anima in pegno, e la mia fede. OTTONE Non esser più gelosa di Poppea. Senti, io devo or ora, per terribile comando, immergerle nel sen questo mio brando. Per ricoprir me stesso in misfatto sì enorme io vorrei le tue vesti. Se occultarmi potrò, vivremo poi uniti sempre in dilettosi amori; se morir converrammi, nell'idioma d'un pietoso pianto dimmi esequie, oh Drusilla, se dovrò fuggitivo scampar l'ira mortal di chi comanda, soccorri a mie fortune. DRUSILLA E le vesti e le vene ti darò volentieri. Ma circospetto va, cauto procedi. Nel rimanente, sappi che le fortune, e le richezze mie ti saran tributarie in ogni loco. E proverai Drusilla nobile amante, e tale che mai l'antica età non ebbe eguale. Andiam purch'io mi spoglio, e di mia man travestirti io voglio. Ma vo' saper da te più a dentro e a fondo di così orrenda impresa la cagione. OTTONE Andiam, andianne omai, che con alto stupore il tutto udrai.
26.
SCENA 12 Poppea, Arnalta POPPEA Or che Seneca è morto, Amor, ricorro a te, guida mie spemi in porto, fammi sposa al mio Re. ARNALTA Pur sempre sulle nozze canzoneggiando vai. POPPEA Ad altro, Arnalta mia, non penso mai. ARNALTA Il più inquieto affetto è la pazza ambizione. Ma se arrivi agli scettri e alle corone, non ti scordar di me, tiemmi appresso di te, né ti fidar gia mai di cortigiani, perché in due cose sole Giove è reso impotente: ei non può far che in cielo entri la morte, né che la fede mai si trovi in corte. POPPEA Non dubitar, che meco sarai sempre la stessa, e non fia mai che sia altra che te la secretaria mia. Amor, ricorro a te. Guida mia speme in porto, fammi sposa. Par che'l sonno m'alletti a chiuder gl'occhi alla quiete in grembo. Qui nel giardin, o Arnalta, fammi apprestar del riposare il modo, ch'alla fresc'aria addormentarmi godo. ARNALTA Udiste, ancelle, o là! POPPEA Se mi trasporta il sonno oltre gli spazi usati, a risvegliar mi vieni. Né conceder l'ingresso nel giardino fuorch'a Drusilla o ad altre confidenti. ARNALTA Adagiati, Poppea, quietati, anima mia, sarai ben custodita. Amanti vagheggiate il miracolo novo. È luminoso il dì, sì come suole, e pur vedete, addormentato il sole. Oblivion soave i dolci sentimenti in te, figlia, addormenti. Occhi ladri, occhi belli, aperti, deh, che fate, se chiusi anco rubate? Poppea, rimanti in pace; luci care e gradite, dormite, omai, dormite.
27.
SCENA 13 Amore AMORE Dorme, l'incauta dorme. Ella non sa, ch'or or verrà il punto micidiale. Così l'umanità vive all'oscuro, e quando ha chiusi gl'occhi crede essersi del mal posta in sicuro. O sciocchi e frali, sensi mortali. Mentre cadete in sonnacchioso oblio sul vostro sonno è vigilante Dio. Siete rimasi gioco dei casi, soggetti al rischio, e del periglio prede, se Amor, genio del mondo, non provvede. Dormi, o Poppea, terrena Dea, ti salverà dall'armi altrui rubelle Amor, che move il sole e l'altre stelle. Già s'avvicina la tua ruina; ma non ti nuocerà strano accidente, ch'Amor picciolo è sì, ma onnipotente.
28.
SCENA 14 Ottone, Amore, Poppea, Arnalta OTTONE Eccomi trasformato, non di Otton in Drusilla, ma d'uomo in serpe, al cui veneno, e rabbia non vide il mondo, e non vedrà simìle. Ma che veggio infelice? Tu dormi, anima mia? Chiudesti gl'occhi per non aprirli più? Care pupille, il sonno vi serrò affinché non vediate questi prodigi strani. La vostra morte uscir dalle mie mani. Ohimè, trema il pensiero, il moto langue, e'l cor fuor del suo sito ramingo per le viscere tremanti cerca un cupo recesso per celarsi, o involto in un singulto, ei tenta di scampar fuor di me stesso, per non partecipar d'un tanto eccesso. Ma che tardo? Che bado? Costei m'aborre e sprezza, e ancor io l'amo? Ho promesso ad Ottavia, se mi pento accelero a miei dì funesto il fine. Esca di corte chi vuol esser pio. Colui che ad altro guarda, che all'interesse suo, merta esser cieco. Il fatto resta occulto, la macchiata coscienza si lava finalmente con l'oblio. Poppea, t'uccido, Amor rispetti. Addio. AMORE Forsennato, scellerato, inimico del mio Nume, tanto adunque si presume? Fulminarti dovrei, ma non merti di morire per la mano delli Dei. Illeso va da questi strali acuti, non tolgo al manigoldo i suoi tributi. POPPEA Drusilla, in questo modo, con l'armi ignude in mano, mentre nel mio giardin dormo soletta? ARNALTA Accorrete, accorrete, o servi, o damigelle, in seguire Drusilla, dalli, dalli. Tanto mostro a ferir non sia chi falli.
29.
SCENA 15 Amore AMORE Ho difesa Poppea, vuo' farla in questo giorno Imperatrice.
30.
SCENA 1 Drusilla DRUSILLA O felice Drusilla, o che sper'io. Corre adesso per me l'ora fatale. Perirà, morirà la mia rivale, e Ottone finalmente sarà mio. Se le mie vesti avran servito a ben coprirlo, con vostra pace, o Dei, adorar io vorrò gli arnesi miei.
31.
SCENA 2 Arnalta, Littore, Drusilla ARNALTA Ecco la scellerata che pensando occultarsi, di vesti s'è mutata. LITTORE Fermati, morta sei. DRUSILLA E qual peccato mi conduce a morte? LITTORE Ancor t'infingi, sanguinaria indegna? A Poppea dormiente macchinasti la morte. DRUSILLA Ahi, caro amico, ahi sorte, ahi, mie vesti innocenti. Di me dolermi deggio, e non d'altrui. Credula troppo, e troppo, troppo incauta fui.
32.
SCENA 3 Arnalta, Littore, Drusilla, Nerone ARNALTA Signor, ecco la rea che uccidere tentò la matrona Poppea. Dormiva l’innocente nel suo giardino. Sopraggiunse costei col ferro ignudo. Se non si risvegliava in un momento la tua devota ancella, sopra di lei cadeva il colpo crudo. NERONE Onde tanto ardimento? E chi t'indusse, rubella, al tradimento? DRUSILLA Innocente son io, lo sa la mia coscienza, e lo sa Dio. NERONE Confessa omai, confessa, se t’indusse l'autoritade, o l'oro al gran misfatto. DRUSILLA Innocente son io, lo sa la mia coscienza, e lo sa Dio. NERONE Flagelli, funi e fochi cavino da costei il mandante e i correi. DRUSILLA Misera me, più tosto che un atroce tormento mi faccia dir quel che ridir non voglio sopra me stessa toglio la sentenza mortale, e il monumento. O voi, ch'al mondo vi chiamate amici, specchiatevi ora in me. Questi del vero amico son gli uffici. ARNALTA Che cinguetti, ribalda? LITTORE Che vaneggi, assassina? NERONE Che parli, traditrice? DRUSILLA Mi contrastano in seno, con fiera concorrenza , Amore, e l'innocenza. NERONE Prima ch'aspri tormenti ti facciano sentir il mio disdegno, or persuadi all'ostinato ingegno di confessar gl'orditi tradimenti. DRUSILLA Signor, io fui la rea, che uccidere tentò l'innocente Poppea. Quest'alma e questa mano fur le complici sole. A ciò m'indusse un odio occulto antico. Non cercar più, la verità ti dico. NERONE Conducete costei al carnefice omai. Fate ch'egli ritrovi, con una morte a tempo, qualche lunga, ed asprissima agonia, che inorridisca il fine a questa rea. DRUSILLA Adorato mio bene, amami almen sepolta, e su’l sepolcro mio, mandino gl'occhi tuoi sola una volta dalle fonti del core lagrime di pietà, se non d'amore. Ch'io vado fid'amica e ver'amante tra i manigoldi irati a coprir col mio sangue i tuoi peccati. NERONE Che si tarda, o ministri. Provi, provi costei mille morti oggi mai, mille ruine.
33.
SCENA 4 Nerone, Drusilla, Ottone OTTONE No, no, questa sentenza cada sopra di me, che ne son degno. Siatene testimoni, o Cieli, o Dei, innocente è costei. Quest'alma e questa mano fur i complici soli. Acciò m'indusse un odio occulto e antico. Non cercar più la verità, ti dico. Io con le vesti di Drusilla andai, per ordine di Ottavia Imperatrice, ad attentar la morte di Poppea. Dammi, Signor, con la tua man la morte; Giove, Nemesi, Astrea fulminate il mio capo, che per giusta vendetta il patibolo orrendo a me s'aspetta. E se non vuoi che la tua mano adorni di decoro il mio fine, mentre della tua grazia io resto privo all'infelicità lasciami vivo. Se tu vuoi tormentarmi la mia coscienza ti darà i flagelli. Se a leoni, ed a gl'orsi espor mi vuoi, dammi in preda al pensier delle mie colpe, ch'ei mi divorerà l'ossa e le polpe. NERONE Vivi, ma va ne' più remoti lidi di titoli spogliato e di fortune, e serva a te, mendico e derelitto, di flagello e spelonca il tuo delitto. E tu, ch'ardisti tanto, o nobile matrona, per ricoprir costui d'apportar salutifere bugie, vivi alla fama della mia clemenza, vivi alle glorie della tua fortezza, e sia del sesso tuo nel secol nostro la tua costanza un adorabil mostro. DRUSILLA In esiglio con lui, deh Signor mio, consenti ch'io tragga i dì ridenti. NERONE Vanne, come ti piace. OTTONE Signor, non son punito, anzi beato. La virtù di costei sarà richezza e gloria a' giorni miei. DRUSILLA Ch'io viva e mora teco altro non voglio. Dono alla mia fortuna tutto ciò che mi diede, pur che tu riconosca in cor di donna una costante fede. LITTORE Orsù, finiamla, andate alla malora. NERONE Delibero e risolvo il ripudio d'Ottavia, e con perpetuo esiglio da Roma io la proscrivo. Sia pur condotta al più vicino lido. Le s'appresti in momenti qualche spalmato legno, e sia commessa al bersagliar de' venti. Convengo giustamente risentirmi. Volate ad ubbidirmi.
34.
SCENA 5 Poppea, Nerone POPPEA Signor, oggi rinasco a' primi fiori di questa nova vita. Voglio che sian sospiri che ti facciano fede che rinata per te, languisco e moro, e morendo e vivendo ognor t'adoro. NERONE Non fu, non fu Drusilla, ch'ucciderti tentò. POPPEA Chi fu, chi fu il fellone? NERONE Il nostro amico Ottone. POPPEA Egli, da se? NERONE D'Ottavia fu il pensiero. POPPEA Or hai giusta cagione di passar al ripudio. NERONE Oggi, come promisi, mia sposa tu sarai. POPPEA Sì caro dì veder non spero mai. NERONE Per il Trono di Giove, e per il mio, oggi sarai, ti giuro, di Roma Imperatrice. In parola regal te n'assicuro. POPPEA In parola regal? NERONE In parola regal. POPPEA Idolo del mio cor, giunta è pur l'ora ch'io del mio ben godrò. NERONE, POPPEA Né più s'interporrà noia o dimora. Cor nel seno non ho, me'l rubasti, sì, sì, dal sen me lo rapì, de' tuoi begl'occhi il lucido sereno, per te, mio ben, non ho più core in seno. Stringerò tra le braccia innamorate chi mi trafisse, ohimè, non interrotte avrò l'ore beate, se son perduto/a in te, in te mi cercarò, in te mi trovarò, e tornarò a riperdermi, cor mio, che sempre in te perduto/a esser vogl’io.
35.
SCENA 6 Arnalta ARNALTA Oggi sarà Poppea di Roma Imperatrice. Io che son sua nutrice, ascenderò delle grandezze i gradi. No, no, col volgo io non m'abbasso più. Chi mi diede del tu, or con nova armonia gorgheggierammi il vostra Signoria. Chi m'incontra per strada mi dice fresca donna, e bella ancora, ed io pur sò che sembro delle Sibille il legendario antico. Ma ognun così m'adula, credendo guadagnarmi per interceder grazie da Poppea. Ed io fingendo non capir le frodi, in coppa di bugia bevo le lodi. Io nacqui serva, e morirò matrona. Mal volentier morrò. Se rinascessi un dì, vorrei nascer matrona, e morir serva. Chi lascia le grandezze, piangendo a morte va. Ma chi servendo sta, con più felice sorte, come fin degli stenti ama la morte.
36.
SCENA 7 Ottavia OTTAVIA Addio Roma, addio patria, amici addio. Innocente da voi partir convengo io vado a distillarmi in pianti amari, navigo disperata i sordi mari. L'aria, che d'ora in ora riceverà i miei fiati, li porterà per nome del cor mio a veder, a baciar le patrie mura, ed io, starò solinga, alternando le mosse ai pianti, ai passi, insegnando pietade ai tronchi, e ai sassi. Ahi, sacrilego duolo, tu m'interdici il pianto mentre lascio la patria, né stillar una lacrima poss'io mentre dico ai parenti, e a Roma addio.
37.
SCENA 8 Nerone, Poppea, Consoli, Tribuni, Amore NERONE Ascendi, o mia diletta, della sovrana altezza all'apice sublime. Circondata dalle glorie ch'ambiscono servirti com'ancelle. Acclamata dal mondo, e dalle stelle. Siano del tuo trionfo, tra i più cari trofei, adorata Poppea, gl'affetti miei. POPPEA Il mio genio confuso al non usato lume, quasi perde il costume, Signor, di ringraziarti. Su queste eccelse cime, ove mi collocasti, per venerarti a pieno, io non ho cor che basti. Doveva la natura al sopra più degli eccessivi affetti, un core a parte fabbricar ne' petti. NERONE Per capirti negl'occhi il sol s'impicciolì; per albergarti in seno l'alba dal ciel partì; e per farti sovrana a donne e a Dee, Giove nel tuo bel volto stillò le stelle e consumò l'Idee. POPPEA Dà licenza al mio spirto, ch'esca dall'amoroso labirinto di tante lodi e tante, e che s'umilii a te come conviene, mio Re, mio sposo, mio Signor, mio bene. NERONE Ecco, vengono i consoli e i tribuni per riverirti, o cara. Nel solo rimirarti il popolo e'l senato omai comincia a divenir beato. CONSOLI, TRIBUNI A te, sovrana augusta, con il consenso universal di Roma, indiademiam la chioma. A te l'Asia, a te l'Africa s'atterra. A te l'Europa, e'l mar che cinge e serve questo Imperio felice, ora consacra e dona questa del mondo imperial corona. CORO AMORI Scendiam, compagni alati. Voliam, voliamo ai sposi amati. AMORE Al nostro volo, risplendano assistenti i sommi Divi. AMORI Dall'alto polo si veggian fiammeggiar raggi più vivi. AMORE Se i consoli e i tribuni, Poppea, t'han coronato sovra provincie e regni, or ti corona, Amor, donna felice, come sopra le belle, Imperatrice. O Madre, con tua pace in ciel tu sei Poppea, questa è Venere in terra. VENERE O figlio, io mi compiaccio, di quanto aggrada a te; diasi pur a Poppea il titolo di Dea. NERONE, POPPEA Su, su, Venere ed Amor esalti, lodi l’alma, esalti il cor! Nessun fuga l’aurea face, benché strugga sempre piace. AMORI Or cantiamo giocondi, festeggiamo ridenti in terra e in cielo il gaudio sovrabbondi, e in ogni clima, in ogni regione si senta rimbombar: Poppea e Nerone.
38.
NERONE, POPPEA Pur ti miro, pur ti godo, pur ti stringo, pur t'annodo, più non peno, più non moro, o mia vita, o mio tesoro. Io son tua... Tuo son io... Speme mia, dillo, dì, tu sei pur, l'idol mio, sì, mio ben, sì, mio cor, mia vita, sì.

about

L'INCORONAZIONE DI POPPEA
Opera musicale

Music: Claudio Monteverdi
Libretto: Giovanni Francesco Busanello
First perfonrmance: Venice, 1642
Consulted source: Printed libretto, Venezia, 1656, (reference copy: Biblioteca della musica - Bologna); Manuscript score, 1650 (reference copy: Conservatorio di musica S. Pietro a Majella - Napoli)

Image: Fresco with Mars and Venus as Lovers, from Pompeii, National Archaeological Museum, Naples

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released March 30, 2022

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ReadOpera Berlin, Germany

ReadOpera is the brainchild of Valentina Codognotto, an Italian native speaker, with twenty years’ experience of teaching Italian diction to opera singers.

As well as teaching at the Academy of Music in Berlin and Weimar, Valentina has worked as artistic language coach with international opera singers on CD and radio recordings and at opera productions.
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