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“Essere o non essere”: il significato del monologo di Amleto

Uno dei monologhi più famosi della storia della letteratura. Uno dei più letti, riconosciuti, rappresentati. Ma, per certi versi, anche tra i più criptici, a una prima lettura. Vediamo, dunque, cosa nasconda il celebre dubbio amletico di shakespeariana memoria

Valeria Biotti

Valeria Biotti

SCRITTRICE, GIORNALISTA, SOCIOLOGA

Sono scrittrice, giornalista, sociologa, autrice teatrale, speaker radiofonica, vignettista, mi occupo di Pedagogia Familiare. Di me è stato detto:“È una delle promesse della satira italiana” (Stefano Disegni); “È una scrittrice umoristica davvero divertente” (Stefano Benni).

Amleto: breve sinossi

«Essere, o non essere, questo è il dilemma:
se sia più nobile nella mente soffrire
colpi di fionda e dardi d’oltraggiosa fortuna
o prender armi contro un mare d’affanni
e, opponendosi, por loro fine? Morire, dormire…»

Questo il problema di Amleto: essere o non essere, vivere o morire?
Facciamo un passo indietro e ricostruiamo le annose questioni che hanno portato il principe danese a considerare l’ipotesi della morte.

Shakespeare scrive “The tragedy of Hamlet, Prince of Denmark” tra il 1600 e il 1602. Tra le innumerevoli opere del drammaturgo, viene considerato uno dei suoi masterpieces: capolavori.

foto: IPA

Amleto-1871-Mario Tiberini as Hamlet.

La trama:

A Elsinore, in Danimarca, il defunto re è inquieto. Appare, allora, sotto sembianze di fantasma, ad Amleto, suo figlio, raccontandogli di essere strato ucciso dal fratello Claudio che ora siede – da usurpatore – sul trono, dopo aver sposato la sua vedova: Gertrude.

Amleto promette al padre di vendicarlo; ma, prima, vuole sincerarsi della veridicità del fatto. La certezza lo raggiunge prepotente a seguito di un escamotage. Una compagnia teatrale mette in scena la ricostruzione dell’omicidio del defunto re; Claudio, sconvolto, abbandona la rappresentazione indignato per lo spettacolo.

Dopo essersi recato dalla madre per ottenere spiegazioni, Amleto uccide per errore Polonio – consigliere del nuovo re e padre di Ofelia e Laerte – scambiandolo per Claudio, nascosto dietro a una tenda, al grido di “un topo, un topo!”.

Laerte, tornato in Danimarca appena raggiunto dalla notizia dell’assassinio del padre e considerando Amleto responsabile anche del suicidio della sorella, sfida il principe a duello.
Per essere certo della morte dell’avversario – con la complicità di re Claudio – Laerte cosparge la punta della propria lama con un veleno mortale e avvelena la coppa in cui Amleto berrà in caso, invece, di vittoria.

Il destino, crudele come le casualità della vita, fa sì che sia Gertrude a bere dalla coppa, mentre la spada di Laerte colpisce entrambi i contendenti. Amleto muore; non prima di aver ucciso anche Claudio.

Il senso del monologo

“Essere o non essere”, vivere o morire, si chiede Amleto. E l’interrogativo assume immediatamente una portata esistenziale, universale. Un dubbio paralizzante, che inchioda il protagonista – e ognuno di noi – a domandarsi quale sia la via, tra:

l’attitudine stoica (che gli imporrebbe di piegarsi di fronte ai “colpi di fionda” e ai “dardi d’atroce fortuna”)

la morte (che porrebbe fine alle sofferenze dell’esistenza).

Il monologo è profondamente razionale. “Comparativo”, verrebbe da dire. Le due opzioni sono sul piatto della bilancia e l’uomo si interroga sul proprio essere e agire nel mondo. Ma anche sulla morte e sul “dopo”. Perché porre fine alla propria esistenza con un atto di volontà deliberato non è privo di conseguenze.

Il principe si domanda, dunque, se suicidarsi o meno.

Il dubbio riguarda il male minore tra gli affanni della vita e le eventuali conseguenze negative legate al suicidio, a opera della giustizia divina.

“Morire, dormire. Dormire, forse sognare. Sì, qui è l’ostacolo, perché in quel sonno di morte quali sogni possano venire dopo che ci siamo cavati di dosso questo groviglio mortale deve farci riflettere”.

E, di contro:

“…il paese inesplorato dalla cui frontiera nessun viaggiatore fa ritorno, sconcerta la volontà e ci fa sopportare i mali che abbiamo piuttosto che accorrere verso altri che ci sono ignoti?”

Eccolo il cuore del dubbio amletico. Un dubbio che, nella sostanza, non verrà mai sciolto. Ciò che sembra frenare Amleto infatti dal commettere il gesto più estremo appare la viltà. O forse solo l’ignoto: quel non poter pesare fino in fondo le conseguenze del proprio gesto.

Shakespeare, infatti, affida quello stesso gesto alla follia.

Sarà Ofelia – priva della lucidità della ragione che genera nel principe il dubbio – a scegliere di porre fine alla propria esistenza annegandosi.

L’aspetto sottilmente e forse crudelmente ironico di tale combinazione di scelte risiede nel fatto che il monologo venga interrotto proprio dalla donna. Ofelia sta recitando le proprie preghiere ed è a lei che Amleto si rivolge implorandola di pregare anche per lui.

Il dubbio si chiude senza soluzione, ma con una richiesta (accorata quanto una preghiera): quella per cui sia l’onnisciente a indicargli la strada; o, ancor meglio, a scegliere per lui.

Importante P.S.

Nel caso siate tentati di recitare il celebre monologo impugnando il teschio di Yorick, posatelo. L’immagine che ci è stata consegnata nel tempo è “un falso storico”. Qui siamo al terzo atto, scena uno; il teschio verrà rinvenuto da Amleto parecchie parole più tardi.