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IL LINGUAGGIO FIGURATO

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Presentazione sul tema: "IL LINGUAGGIO FIGURATO"— Transcript della presentazione:

1 IL LINGUAGGIO FIGURATO
La lingua è una rete di parole che si richiamano l’una dall’altra, talvolta le parole possono creare campi semantici o semplici parole chiavi. Il campo semantico: è un insieme di parole i cui significati sono riconducibili a un unico argomento. La parola chiave: comprende la parola attorno a cui ruota un campo semantico. Le figure retoriche: In un testo poetico il significato si esprime anche grazie all’uso delle figure retoriche, sono espressioni che implicano uno scarto della lingua comune e attribuiscono alle parole un significato diverso da quello denotativo. Si distinguono figure retoriche: Di significato, che riguardano il trasferimento e il cambiamento del senso delle parole. D’ordine, che coinvolgono la disposizione delle parole nella frase. Di suono, che interessano gli effetti determinanti dalla ripetizione di fenomeni, sillabe e parole. Le figure retoriche di significato. Le figure retoriche di significato comportano un trasferimento di senso da un’espressione a un’altra.

2 LE FIGURE RETORICHE DI SIGNIFICATO.
Le figure retoriche di significato comportano un trasferimento di senso da un’espressione a un’altra. Qui sono esaminate le figure retoriche di significato più frequentemente usate in poesia: La similitudine, stabilisce un collegamento esplicito tra due elementi, con l’uso di avverbi di paragone (così, come) La metafora, consiste nella sostituzione di una parola con un’altra in base a un rapporto di somiglianza fra i rispettivi significati. Es. Non ho voglia di tuffarmi in un gomitolo di strade. L’analogia, si basa sullo stesso procedimento della metafora, cioè consiste anch’essa nella sostituzione di una parola con un’altra in base a un rapporto di somiglianza fra i rispettivi significati. Es. Le mani del pastore erano un vetro levigato da fioca febbre. La metonimia, consiste nella sostituzione di una parola con un’altra in base a precise relazioni qualitative che prendono in considerazione. l’effetto per la causa es. ma negli orecchi mi percosse un duolo. l’astratto per il contenuto es. tutta vestita a la gioventù del loco lascia le case e per le vie si espande. il contenente per il contenuto es. e il suo nido è nell’ombra che attende. Il simbolo per l’oggetto simbolizzato es. e intanto vola il caro tempo giovanil, più caro che la fama e l’allor. la materia per l’oggetto es. ma vedrai seduto su la tua pietra, o fratel mio. l’autore per l’opera es. ma tu non credi… E non mediti Nietzsche.

3 La sineddoche, consiste nella sostituzione di una parola con un’altra in base a un rapporto di quantità che prende in considerazione. la parte per il tutto es. le sole vere pupille, sebbene tanto offuscate erano le tue. il singolare per il plurale es. onde on tacque le tue limpide nubi e le tue fronde l’inclito verso di colui che l’acque. il genere per le specie es. e quando ti corteggian liete le nubi estive e i zeffiri sereni. La sinestesia, consiste nell’accostamento di due termini che si riferiscono a campi sensoriali diversi (tatto, udito, vista, olfatto). Es. Quanto, marine, queste fredde luci parlano a chi straziato vi fuggiva. La personificazione consiste nel considerare oggetti o concetti astratti come persone, talvolta rivolgendosi loro e facendoli agire o parlare: Es. La terra, con la sua faccia madida di sudore, apre assonnati occhi d’acqua alla notte che sbianca. L’iperbole esprime un concetto esagerando per eccesso. Es. Ho sceso, dandoti il braccio, almeno un milione di scale L’antitesi consiste nell’accostamento di due termini o concetti di senso opposto. Spesso si accompagna a una struttura simmetrica della frase che accentua la contrapposizione. Es. Pace non trovo e non ho da far guerra e temo e spero, e ardo e sono un ghiaccio L’ossimoro consiste nell’accostamento di due parole dal significato opposto che sembrano contraddirsi a vicenda: Es. bianca bianca nel tacito tumulto una casa apparì sparì d’un tratto.

4 Le figure retoriche d’ordine
Le figure retoriche d’ordine riguardano la disposizione delle parole nella frase o la loro ripetizione. Anafora: ripetizione di una o più parole all’inizio di versi successivi. Il contrario è l’epifora. Esempio: Per me si va nella città dolente, per me si va nell’eterno dolore, per me si va tra la perduta gente (Dante). Epifora: ripetizione di una o più parole alla fine di versi successivi. Il contrario è l’anafora. Esempio: E mi dicono, Dormi! Mi cantano, Dormi! Sussurrano Dormi! bisbigliano, Dormi! (Giovanni Pascoli)  Anàstrofe: inversione di due parole rispetto all’ordine consueto. Esempio: Bene non seppi, fuori del prodigio che schiude la divina Provvidenza (E. Montale) Antitesi: accostamento all’interno della stessa frase di termini o concetti di senso opposto. Esempio: Anche così è stato breve il nostro lungo viaggio (E. Montale)

5 Asindeto: accostare parole senza l’uso di congiunzione.
Esempio: facce volpine stupide beate (Camillo Sbarbaro) Chiasmo: consiste nella disposizione incrociata di due parole o di due gruppi di parole di una frase. Ha la funzione di mettere in evidenza gruppi di parole attirando l’attenzione su di esse. Esempio: Odi greggi belar, muggire armenti (G. Leopardi) (greggi/armenti – belar/muggire)  Climax: successione di parole o frasi in ordine di progressiva intensità (climax ascendente) o di attenuazione (climax discendente). Esempio: La terra ansante, livida, in tumulto; il cielo ingombro, tacito, disfatto (G. Pascoli) Ellissi: soppressione di una o più parole che possono essere sottintese (spesso il verbo). Esempio: Siepi di melograno, fratte di tamerice, il palpito lontano, d’una trebbiatrice, l’angelus argentino… (G. Pascoli) Ipallage: attribuzione a un termine di qualcosa (di solito una qualificazione) che logicamente spetterebbe a un altro termine vicino Esempio: Il contadino ribatte le porche con sua marra paziente (G. Pascoli) (Paziente è da riferire al contadino)

6 Iperbato: rovesciamento dell’ordine sintattico della frase
Iperbato: rovesciamento dell’ordine sintattico della frase. Esempio: Siede con le vicine su la scala a filar la vecchierella (Giacomo Leopardi) (La vecchierella siede con le vicine sulla scala a filare) Iterazione: ripetizione di una o più parole. Esempio: E dirmi sentia: Vieni! Vieni! e fu molta la dolcezza! molta (G. Pascoli) Polisindeto: coordinazione caratterizzata dalla ripetizione della medesima congiunzione. Esempio: e mi sovvien l’eterno, e le morte stagioni, e la presente e viva, e il suon di lei (G. Leopardi)

7 LA METRICA La metrica è la disciplina che si occupa degli elementi strutturali di un testo poetico: il verso, gli accenti, la rima, le figure di suono… L’unita metrica fondamentale è il verso, caratterizzato da un numero di sillabe e da un ritmo,

8 Il computo sillabico Il conteggio delle sillabe che compongono un verso è chiamato computo sillabico e differisce per alcune caratteristiche dal calcolo delle sillabe grammaticali. Una parola è: Piana se ha l’accento tonico sella penultima sillaba (lu-sin-ga) Sdrucciola se ha l’accento sulla terzultima (cel-lu-la,ac-ce-de-re) Tronca se ha l’accento sull’ultima (caff-fè,cit-tà)

9 Se è piano, si contano tutte le sillabe.
Se è sdrucciola, si conta una sillaba in meno. Se è tronco, si conta una sillaba in più. Nel computo sillabico si sommano le sillabe di tutte le parole del verso fino alla sillaba che segue l’ultimo accento.

10 LE FIGURE METRICHE Un’altra differenza tra il computo sillabico e il calcolo delle sillabe grammaticali si deve alla presenza delle cosiddette figure metriche: La sinalefe consiste nella fusione di due sillabe in una sola quando due parole contigue rispettivamente finiscono e cominciano per vocale. Es. tor-na az-zur-ro il-se-re-no e-tor-nan-l’om-bre. La sineresi permette la fusione di due vocali interne alla stessa parola (un dittongo), anche se per la grammatica sono in due sillabe distinte. Es. e-fug-gia-no e-pa-rea-no un-cor-teo-ne-ro. La dialefe è la figura metrica contraria alla sinalefe e consiste nella separazione in sillabe divise di due vocali appartenenti alla fine e al’inizio di due parole contigue. Es. co-min-ciò-a-crol-lar-si-mor-mo-ran-do. La dieresi, infine, è la figura metrica contraria alla sineresi e permette di mantenere distinte due vocali interne alla stessa parola, anche se per la grammatica sono in una stessa sillaba; è indicata da due punti posti sopra la prima vocale. Es. la-ba-cia-con-im-per-tu-o-sa-bra-ma.

11 1 Oltre al numero delle sillabe l’altra importante caratteristica del verso è il ritmo, cioè il suo andamento musicale, determinato soprattutto dal suo accento ritmico o ictus che marca con una maggiore intensità solo poche sillabe. 2 Nella pronuncia delle parole del verso, infatti, la voce s’intensifica in corrispondenza di alcune sillabe ed è meno forte su altre: 3 Es. Nel mezzo del cammìn di nostra vìta mi ritrovài per una selva oscùra. Nei versi parisillabi (cioè con un numero pari di sillabe) gli ictus cadono sempre sulle stesse sillabe, cioè sono fissi. Per questo il ritmo dei versi parisillabi è regolare e cadenzato e la poesia sembra una marcia o una cantilena. Nei versi imparisillabi (cioè con un numero dispari di sillabe) gli ictus non cadono sempre sulle stesse sillabe, cioè sono mobili, con effetti ritmici anche molto differenti. IL RITMO E L’ICTUS Il ritmo

12 CESURE ED ENJAMBEMENT Il ritmo è determinato talvolta, oltre che dall’ictus, anche dalla presenza di una cesura, cioè una pausa che spezza un verso lungo in due unità più piccole, dette emistichi. Talvolta la cesura spesso coincide con una pausa sintattica, indicata dalla punteggiatura. Ha funzioni di volta in volta diverse, per esempio consente di: Rallentare e distendere il ritmo Mettere in risalto una parola chiave Potenziare il significato della parola che lo procede e/o che la segue Se la pausa di fine verso divide un gruppo sintattico intimamente unito si ha un enjambement. Es. La pianola degli inferi da sé aceellera i registri, sale nelle sfere del gelo. Ma sedendo e mirando, indeterminati spazi di là e da quella, e sovrumani silenzi, e profondissima quiete.

13 LA RIMA La rima è l’identità di suono tra due versi, a partire dalla loro ultima vocale tonica: N-astro : alab-astro (rima piana) Rid-icolo : art-icolo (rima sdrucciola) Schemi rimici (tipi di rima) Baciata Un verso rima con quello successivo. Schema metrico AABB « Una donna s'alza e canta La segue il vento e l'incanta E sulla terra la stende E il sogno vero la prende » Alternata Il primo verso rima con il terzo, e il secondo con il quarto. Schema metrico ABAB, CDCD « Lo stagno risplende. Si tace la rana. Ma guizza un bagliore d'acceso smeraldo, di brace azzurra: il martin pescatore... E non sono triste. Ma sono stupito se guardo il giardino... stupito di che? non mi sono sentito mai tanto bambino... »

14 Incrociata Il primo verso rima con il quarto, il secondo con il terzo. Schema metrico ABBA, CDDC « Non pianger più. Torna il diletto figlio a la tua casa. È stanco di mentire. Vieni; usciamo. Tempo di rifiorire. Troppo sei bianca: il volto è quasi un giglio. Vieni; usciamo. Il giardino abbandonato serba ancora per noi qualche sentiero. Ti dirò come sia dolce il mistero che vela certe cose del passato. » Incatenata Il primo verso rima con il terzo della prima terzina, il secondo con il primo della seconda terzina, il secondo di questa rima con il primo della terza terzina, e così via. Il più alto esito di tale schema di rime è la Divina Commedia, interamente strutturata in questo modo. Questo è anche detto terza rima. Schema metrico ABA, BCB, CDC. « Amor, ch'al cor gentil ratto s'apprende, prese costui de la bella persona che mi fu tolta; e'l modo ancor m'offende. Amor, ch'a nullo amato amar perdona, mi prese del costui piacer sì forte, che, come vedi, ancor non m'abbandona. Amor condusse noi ad una morte. Caina attende chi a vita ci spense. Queste parole da lor ci fuor porte. »

15 Ripetuta o replicata Il primo verso rima con il quarto, il secondo con il quinto e il terzo con il sesto. Schema metrico ABC, ABC « Ma ben veggio or sì come al popol tutto favola fui gran tempo, onde sovente di me medesmo meco mi vergogno; et del mio vaneggiar vergogna è 'l frutto, e 'l pentersi, e 'l conoscer chiaramente che quanto piace al mondo è breve sogno. » Invertita o simmetrica Il primo verso rima con il sesto, il secondo con il quinto e il terzo con il quarto. Schema metrico ABC, CBA: « Mostrasi sì piacente a chi la mira, che dà per li occhi una dolcezza al core, che 'ntender no la può chi no la prova: e par che de la sua labbia si mova un spirito soave pien d'amore, che va dicendo a l'anima: Sospira. »

16 Particolarità tra le rime
Per ottenere particolari effetti, oltre alle rime a fine verso, possono essere adottate la rimalmezzo, la rima interna e la rima ipermetra. Ipermetra o eccedente: una delle due parole è considerata senza la sillaba finale. « Ah l'uomo che se ne va sicuro, agli altri ed a se stesso amico, e l'ombra sua non cura che la canicola stampa sopra uno scalcinato muro! » Interna: lega parole che si trovano a metà o all'interno del verso. « Così mia sorte ria mi calca e sbassa E mi mette in manette ed in soppressa, Ch'io scrivo al banco, e vivo con la messa, Né vesto lana ispana, o felpa bassa. »

17 Rimalmezzo: benché vengano spesso confuse, la rimalmezzo è qualcosa di più della semplice rima interna; è una rima di tipo metrico, che divide il verso in due semiversi, in due emistichi « Immune fruga in fretta arraffa Splendido cromo e un lampo è ruga Cupido riso a dire uomo » Povera: quando c'è identità di rime esclusivamente composte da vocali. Es. mio / Dio. « Erano i capei d'oro a l'aura sparsi che 'n mille dolci nodi gli avolgea, e 'l vago lume oltra misura ardea di quei begli occhi, ch'or ne son sì scarsi; »

18 VERSI SCIOLTI E VERSI LIBERI
La poesia italiana del Novecento raramente segue uno schema preciso di rime, anzi spesso le rime mancano del tutto; il numero delle sillabe, inoltre, cambia facilmente da un verso all’altro. Si parla quindi di versi sciolti e versi liberi. Il verso sciolto, è un verso, quasi sempre endecasillabo, caratterizzato dall'assenza di rima. La sua comparsa avviene in epoca rinascimentale grazie agli autori italiani che lo ripresero dalla tradizione classica latina e greca. Nella metrica del Cinquecento viene inteso come un verso che non ha gli accenti "legati", come in Minturno dove un endecasillabo che ha l'accento sulla quarta non viene accompagnato dall'accento sulla sesta o sull'ottava. Attualmente e in generale si può considerare un endecasillabo non rimato. l verso libero, (da non confondere con il verso sciolto), è un verso che non rispetta per precisa scelta dell'autore né schemi né forme metriche tradizionali. Essi si chiamano 'liberi' perché non si basano su un numero fisso di sillabe e si possono applicare a diverse realtà metriche. Questo tipo di verso, che viene così a non possedere una costante identità metrica, si ritrova nella poesia delle origini, nei laudari del Duecento o nella poesia del Novecento. È un pregiudizio molto diffuso che il versoliberismo sia da identificare con l'unica vera (e pura) poesia in àmbito contemporaneo, e che le cosiddette "forme chiuse" siano da rigettare in quanto portatrici di un effetto eccessivamente retorico. Alcuni studiosi, in particolare Pier Vincenzo Mengaldo, sostengono che non si possa parlare di verso libero, ma che si debba piuttosto parlare di metrica libera o poesia libera, sottolineando come sia necessario considerare un'opera lirica completa, e non solo il verso singolo, per poter valutare correttamente la sua appartenenza alla categoria della poesia libera. Questo vale specialmente per quanto riguarda la poesia novecentesca.

19 LE FIGURE RETORICHE DI SUONO
Le figure retoriche di suono potenziano il significato del testo poetico attraverso l’uso e la ripetizione di fenomeni, sillabe o intere parole. Qui sono esaminate le figure retoriche di suono più frequentemente usate in poesia. Le figure foniche sono: •Allitterazione: ripetizione degli stessi suoni all'inizio o all'interno di più parole[1]. Veni, vidi, vidi. (Gaio Giulio Cesare) •Assonanza: mette in relazione parole in cui le sillabe che vengono dopo l'accento tonico hanno le stesse vocali ma consonanti diverse. Giunto a quel passo il giovinetto Alcide, che fa capo al camin di nostra vita, trovò dubbio e sospeso infra due guide una via, che’ due strade era partita. Facile e piana la sinistra ei vide, di delizie e piacer tutta fiorita; l’altra vestìa l’ispide balze alpine di duri sassi e di pungenti spine. (Giovan Battista Marino, L'Adone, Canto secondo, prima stanza)

20 Paronomasia: accostamento di parole molto simili dal punto di vista del suono.
La luce si fa avara-amara l’anima. L’onomatopea: è una parola formata a imitazione di un suono naturale, o una semplice trascrizione di un verso o di un rumore Veniva una voce dai capi: Chiù. Consonanza: al contrario dell'assonanza, mette in relazione parole che, a partire dalla sillaba accentata hanno le stesse consonanti ma non le stesse vocali.

21 LA STROFA Nella letteratura e nella metrica, la strofa (o strofe) è un gruppo di versi, di numero e di tipo fisso o variabile che vengono organizzati secondo uno schema, in genere ritmico, seguito da una pausa. È nota anche con il nome di stanza, termine preferito per le canzoni. Per poter definire i vari tipi di strofe occorre prendere in considerazione sia la successione delle rime che il numero dei versi. Le forme più frequenti sono il distico, la terzina, la quartina, la sestina, l'ottava. Più rare le strofe pentastiche ed eptastiche, rispettivamente di cinque e sette versi. Il distico, formato da una strofa composta di due versi in genere uguali metricamente, è a rima baciata (AA). Al valente segnore A di cui non so migliore A La terzina, che ha di solito la rima incatenata (ABA BCB) e rappresenta il metro caratteristico della poesia didascalica e della poesia allegorica a cui appartiene anche la Divina Commedia di Dante Alighieri, è formata da una strofa di tre versi. Nella terzina vengono usati più frequentemente gli endecasillabi dove il primo verso rima con il terzo e nella successione delle terzine il secondo verso rima con il primo della terzina che segue.

22 La quartina, per lo più a rima alternata (ABAB) o incrociata (ABBA) è una strofa composta da quattro versi che, come la terzina, può vivere autonomamente. Si possono cioè avere componimenti di sole quartine come nel caso della poesia Diana di Mario Luzi che è composta da quattro quartine che seguono lo schema ABAB/CDED/FGFG/HILI. I versi che compongono la quartina di solito sono dello stesso metro e si hanno così quartine composte di 4 endecasillabi o di 4 settenari. La sestina, che ha i primi quattro versi a rima alternata (ABAB) e gli altri due a rima baciata (CC), è un genere metrico composto da sei versi. L’ottava, di 8 versi.

23 GRAZIE. Antonio Cotone 2L


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