Dalla comunicazione non verbale all’espressione del disagio

1.-comunicare

Comunicare rimanda al termine latino “communis”, dove CUM indica lo stare insieme e MUNIS lo svolgimento di un’attività. Il tutto rimanda ad una visione della condivisione e della comunione. La comunicazione ha catturato da sempre  un notevole interesse da parte di numerosi studiosi fino a diventare, dalla seconda metà del Novecento, argomento di discussione di molte discipline come matematica, sociologia, linguistica, psicologia. Un aspetto sul quale si concorda, è che la comunicazione è parte integrante dell’essere umano. E’ un’attività altamente sociale oltre che relazionale perché si ha l’inclusione di una o più persone, condizione fondamentale e indispensabile affinché si attivi la comunicazione. La comunicazione è anche un’attività cognitiva e collegata all’azione, in quanto connessa con il pensiero e i processi mentali superiori, come le conoscenze e le emozioni, resi noti in uno scambio comunicativo, esplicitando ad altri ciò che si pensa.

Si parla di comunicazione come processo di interazione, dove non è possibile stabilire con precisione l’evento che viene prima e quello che viene dopo, e non è nemmeno possibile stabilire l’inizio e la fine, ma ogni messaggio o comportamento è al contempo causa  ed effetto di altri messaggi o comportamenti.

Famosi sono gli assiomi della comunicazione di Watzlawick e collabratori (1967) secondo i quali è impossibile non comunicare, in quanto anche il silenzio, il non comunicare, è al contempo una forma di comunicazione; uno scambio comunicativo non solo trasmette l’informazione ma impone l’assunzione di un comportamento, in quanto l’informazione contenuta in un messaggio assume valori diversi  a seconda del tipo di relazione che si instaura tra gli interlocutori; in uno scambio comunicativo, è importante che ci sia l’alternanza tra trasmissione del messaggio e feedback, in modo tale che non venga mai a mancare il rapporto causa-effetto tra gli interlocutori; gli esseri umani comunicano sia con il linguaggio numerico, o verbale, sia con quello analogico, o non verbale e, infine, si hanno interazioni simmetriche, quando vi è un equilibrio tra i parlanti, come ad esempio persone che si riconoscono sullo stesso piano (amici, colleghi) e interazioni complementari quando gli interlocutori assumono due posizioni diverse, in genere una di dominanza o supremazia.

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Per comunicare, come è stato detto in precedenza, vengono utilizzati entrambi i codici linguistici, verbali e non verbali. Con l’espressione comunicazione non verbale, si fa riferimento a tutti quegli atti comunicativi, che trasmettono un messaggio senza l’utilizzo del linguaggio verbale. E’ capace di esprimere stati d’animo, emozioni, atteggiamenti … in sostanza viene chiamato in causa il linguaggio del corpo: i segnali vocali non verbali, le espressioni facciali, il contatto visivo, il contatto corporeo, la postura, l’orientamento del corpo, i gesti e la distanza tra gli interlocutori.

La gestualità è considerata espressione della personalità: in conseguenza di ciò, essendo il linguaggio corporeo associato ai pensieri, un pensiero negativo porterà alla nascita di emozioni negative che andranno a loro volta ad innescare una reazione fisica che si esprimerà in un comportamento. Immobile o in moto, il corpo rappresenta una vera e propria sorgente di segnali e fonte di comunicazione e imparare a riconoscerli diviene un importante strumento di conoscenza. Il linguaggio del corpo risulta facilmente decifrabile nei bambini, perché assumono movimenti semplici e puliti, non avendo ancora sviluppato le difese adulte. Nonostante questo, però, ci sono determinate parti del corpo che con il passare del tempo si mantengono inalterate e non subiscono l’influenza del controllo: ad esempio quando una persona è felice presenterà sempre la stessa reazione, ovvero la dilatazione delle pupille. L’importanza dello star bene nel proprio corpo e con il proprio corpo è una condizione essenziale per conoscere e conoscersi, fare, agire e  pensare. Il corpo diviene lo strumento ottimale per numerosi linguaggi e codici espressivi il cui scopo è comunicare, basta guardare alla danza, alla pittura e a tutte quelle forme comunicative in cui è richiesto il suo utilizzo nella sua massima forma creativa.

Con la psicomotricità l’accento viene posto sull’importanza che l’azione esercita sul pensiero e viceversa. Dunque, tale disciplina ha come oggetto d’interesse l’unione mente-corpo, considerate nella loro unità e interezza, senza mai considerare solo una delle due componenti. A partire dalla comunicazione non verbale è possibile esprimere diverse forme di disagio e comunicarle appunto attraverso il corpo, un corpo che parla. Come affermava Jean Le Boulch (2008), l’esigenza di esprimersi, “di raccontarsi all’altro”, è una fra le più importanti per l’essere umano. La sua negazione è fonte di malessere, angoscia, nevrosi e può perfino condurre a disturbi più gravi del comportamento. Il soggetto con inibizione psicomotoria, si presenta come “senza corpo, quando il corpo è apparente, in realtà è una caricatura, o si manifesta attraverso comportamenti stereotipati e ripetitivi.” (Simonetta, 2014) Il bambino inibito può ad ogni modo coltivare desideri che fa fatica a comunicare, o possono presentarsi come nascosti, difficilmente portati alla luce e realizzati per paure, timori e ansie che possono derivare da una particolare relazione che si è instaurata tra il bambino e i caregiver. Questo, può presentarsi, ad esempio, come conseguenza di iperprotezione o aspettative inadeguate da parte dei genitori, tali da portare il bambino stesso a costruirsi false immagini di sè o false aspettative. In questo caso, una delle conseguenze è il disturbo di separazione-individuazione che viene ostacolato: il bambino si identifica in pieno nella madre o comunque nella figura di riferimento, e non trova nessun interesse per il mondo esterno, si identifica completamente con l’adulto e con il suo mondo oggettuale, impedendo la formazione di oggetti interni. In conseguenza di questo blocco alla separazione-individuazione, il bambino in seguito presenterà anche difficoltà a disegnare se stesso. Il neuropsichiatra Roberto Carlo Russo (1986; 2000), ha parlato di Sindromi da scarso Sè, che nascono in tutte quelle situazioni dove l’iperprotezione genitoriale ha portato nel bambino l’insorgenza di atteggiamenti di ritiro e sfiducia in se stesso, limitando progressivamente l’autonomia, soprattutto sul piano motorio, l’esplorazione, generando anche dipendenza, eccessiva sensibilità e timore nei confronti del nuovo e non conosciuto. Limitandosi nell’attività e nel gioco, non ha potuto sperimentare nè le frustrazioni nè le gratificazioni che questo comporta, caratterizzanti il normale processo di crescita e confronto con gli altri.

Comunicazione-2-Imc-1140x1140A fronte di ciò, uno degli interventi che sempre più spesso viene suggerito, risulta essere la terapia psicomotoria, quel complesso di tecniche che mira a ricostruire i percorsi carenti, presentati nelle diverse fasi dello sviluppo, e che possono essere fonte di espressione di un disagio. In questo caso, si porrà come obiettivo da parte del bambino la scoperta del piacere del movimento e del mondo circostante, del nuovo e l’affermazione di Sè. Sarà necessario agire di pari passo anche con il supporto genitoriale al fine di favorire l’autonomia mancante, la responsabilità e il controllo delle emozioni.

Dott.ssa Teresa Marrone

Bibliografia

Le Boulch, J. (1995). trad. it. Movimento e sviluppo della persona. (2008). Roma: Edizioni Associazione Musicalificio Grande Blu.

Russo, R.C. (1986). La diagnosi in psicomotricità. Milano: Casa Editrice Ambrosiana (CEA).

Russo, R.C. (2000). Diagnosi e terapia psicomotoria. Milano: Casa Editrice Ambrosiana (CEA). 

Simonetta, E. (2014). Esame del movimento. L’approccio psicomotorio neurofunzionale. Milano: Franco Angeli.

Watzlawick, P., Beavin, J., e Jackson, D.P. (1967). Trad.it. La pragmatica della comunicazione umana. (1971). Milano: Astrolabio Editore.

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