Società, Banca e Impresa

S.r.l.: può integrare giusta causa di esclusione la cessazione del rapporto di lavoro del socio

Secondo la Corte di Appello di Torino, con la sentenza del 30 giugno 2021, lo statuto di una s.r.l. può legittimamente prevedere l’esclusione di un socio quando venga meno il rapporto con la società dal quale dipende la partecipazione sociale e determinare il valore del rimborso in base a criteri diversi dal valore di mercato della quota.

Orientamenti giurisprudenziali

Conformi:

Trib. Bologna 6 febbraio 2020

Trib. Bologna 11 aprile 2017

Trib. Milano 22 dicembre 2014

Cass. 12 febbraio 2010 n. 3345

Difformi:

Trib. Milano 24 maggio 2007

Trib. Lucca 11 gennaio 2005

La recente pronuncia della Corte d’Appello di Torino trae origine dall’azione, promossa dai soci di minoranza di una s.r.l., volta ad ottenere la declaratoria di nullità della clausola statutaria in base alla quale la cessazione dell’attività lavorativa prestata dal socio per le società controllate o collegate determina l’obbligo per il socio di alienare la propria quota agli altri soci, al valore del patrimonio netto corrispondente e non al valore di mercato.

Il Tribunale di Torino aveva rigettato le domande degli attori, ritenendo che detta clausola non sia affetta da nullità, siccome prevedente un’ipotesi di esclusione del socio per giusta causa, in ragione del fatto che le quote sociali erano state nella specie attribuite ai soci di minoranza proprio in ragione del rapporto di lavoro intercorrente con la società, la cui cessazione può quindi integrare una giusta causa di esclusione statutaria. Il Giudice di primo grado aveva poi precisato che le norme in materia di esclusione del socio dalla s.r.l. non vietano che lo statuto stabilisca criteri diversi da quelli legati al valore di mercato per determinare il valore di liquidazione della partecipazione.

La sentenza in commento conferma la decisione del Tribunale, compiendo un interessante excursus sui principi regolatori della materia.

Occorre ricordare che l'esclusione del socio di società a responsabilità limitata è una novità introdotta dalla riforma del diritto societario del 2003: l'art. 2473 bis c.c. consente ora di inserire nello statuto della s.r.l. cause di esclusione convenzionali, in ossequio allo spirito di favor verso l'autonomia statutaria nelle società a responsabilità limitata. Si tratta di cause di esclusione diverse dalla specifica causa legale di esclusione prevista dall’art. 2466 c.c. (mora del socio), che si verifica quando il socio sia inadempiente nei confronti della società all’obbligo di eseguire i conferimenti dovuti alla s.r.l. L’art. 2473 bis c.c. stabilisce peraltro limiti all’autonomia statutaria nella previsione di cause di esclusione convenzionali: tali cause devono infatti essere specifiche ed i motivi di esclusione devono essere sorretti da una “giusta causa”.

La norma dianzi citata ha quindi introdotto anche per le s.r.l. la possibilità che lo statuto preveda la facoltà dei soci di escludere uno di essi, subordinandola tuttavia alla specifica predeterminazione di fattispecie tipizzate di giusta causa, allo scopo di evitare che la decisione possa essere strumentalizzata dalla maggioranza. I cennati limiti alle cause di esclusione convenzionale rispondono all’esigenza di circoscrivere l’applicazione del grave strumento dell’esclusione solo ad ipotesi specifiche e ben delineate, in modo che ciascun socio possa conformare la propria condotta evitando di incorrere nei casi previsti dalla clausola statutaria. Il requisito della “giusta causa” serve ad evitare l’inserimento nello statuto di ipotesi di esclusione vessatorie nei confronti dei soci, mentre il requisito della specificità impedisce la formulazione di clausole denotate da eccessiva genericità, che sconfinano in ipotesi del tutto arbitrarie.

La nozione di “giusta causa” ricomprende anche eventi diversi dall'inadempimento, ma attinenti alla persona del socio, che siano potenzialmente in grado di influire negativamente sull'attuazione dell'interesse sociale o sulla possibilità per il socio di collaborare proficuamente all'attività comune. Nella società a responsabilità limitata l'esistenza di un vincolo fiduciario tra i soci può derivare da una specifica articolazione dell'atto costitutivo nel quale sia contemplata espressamente la sussistenza di una serie di obblighi connessi allo status di socio, ulteriori rispetto all'obbligo di esecuzione del conferimento pattuito in seno all'atto costitutivo o sottoscritto in sede di aumento del capitale sociale. Le cause di esclusione possono anche essere non oggettive ed avere riguardo alle situazioni personali del socio: ogni risvolto negativo sulla sua persona deve essere raffrontato con la previsione astratta e convenzionale dell'ipotesi di esclusione statutariamente prevista.

L'esigenza di specificità impone di ricavare direttamente dalla formulazione della clausola statutaria di esclusione quali siano le fattispecie di inadempimento che possono essere validamente poste a base della decisione di esclusione. La giurisprudenza ha, ad esempio, ritenuto lecita la clausola di esclusione del socio che non partecipi, senza giustificato motivo, alla decisione dei soci di approvazione del bilancio, allorché il medesimo sia in possesso di una quota che impedisce all'assemblea di raggiungere i quorum deliberativi previsti dalla legge, o che con la sua condotta renda impossibile il funzionamento dell'assemblea. Al contrario, non dovrebbero ritenersi valide clausole che prevedano l'esclusione del socio che abbia commesso gravi inadempienze che impediscano il raggiungimento dello scopo sociale o che abbiano inciso negativamente sulla situazione della società rendendone meno agevole il perseguimento del fine, non potendo l'individuazione dei comportamenti sanzionati essere effettuata a posteriori.

La clausola di esclusione può essere prevista nell'atto costitutivo o introdotta successivamente mediante una sua modificazione, deliberata a norma dell'art. 2479 bis c.c., e dunque, salva diversa disposizione dell'atto costitutivo, con il voto favorevole dei soci che rappresentino almeno la metà del capitale sociale. E ciò, non soltanto nel caso in cui la clausola introduca la sanzione dell'esclusione con riguardo ad un comportamento comunque inibito dall'atto costitutivo, ma anche quando l'illiceità del comportamento sia sancita, espressamente o implicitamente, proprio dall'introduzione della clausola di esclusione. L'esigenza di conoscibilità, che giustifica la prescrizione di specificità, impone peraltro che, se la clausola di esclusione è introdotta mediante una modificazione dell'atto costitutivo, essa possa essere utilizzata per sanzionare soltanto la condotta posta in essere dopo l'introduzione della clausola.

La Corte d’Appello di Torino – dopo avere precisato che, nel caso di specie, si era in presenza non di un’esclusione del socio in senso tecnico (non essendovi una deliberazione assembleare) ma di un’obbligazione di vendere la quota qualificabile come obbligo di recesso, cui si applicano comunque, per analogia, gli artt. 2473 e 2473 bis c.c. – riconosce l’esistenza di una giusta causa di esclusione nel venir meno dell’attività lavorativa del socio quale dirigente della società, dipendendo proprio da tale rapporto l’acquisto della partecipazione sociale. La sentenza ricorda che può costituire giusta causa di esclusione dalla s.r.l. la perdita di requisiti soggettivi o altri eventi riguardanti la persona del socio o, ancora, altre circostanze che intacchino l’efficienza organizzativa della posizione sociale del socio escludendo. Nella fattispecie, la cessazione del rapporto di lavoro del socio ha comportato il venir meno della finalità perseguita tramite l’attribuzione della partecipazione, vale a dire la fidelizzazione e la motivazione soggettiva dei dirigenti della società: tale interesse sociale viene ritenuto meritevole di tutela attraverso l’introduzione di cause statutarie di esclusione.

Al socio escluso per effetto della clausola statutaria è attribuito il diritto di ottenere il rimborso della partecipazione in proporzione del patrimonio sociale, valutato in base al suo valore di mercato al momento della decisione di esclusione. La commisurazione al valore di mercato è riferita al patrimonio sociale, e non alla partecipazione in sè, in quanto il legislatore ha avuto ben presente l'inesistenza di un mercato delle partecipazioni non rappresentate da azioni e che non costituiscono, per definizione, oggetto di investimento. Oggetto della valutazione sarà dunque il patrimonio sociale, ed il valore della partecipazione si ricaverà, in linea di massima, sulla base del rapporto tra la quota posseduta ed il valore dell'intero. E’ controverso se la regola che inibisce il peggioramento dei criteri legali di liquidazione sia applicabile anche ai casi di esclusione convenzionale, come sostenuto da una parte della dottrina e della giurisprudenza sulla base del fatto che il principio di tutela del singolo nei confronti del gruppo, sul quale è fondata la tesi dell'inderogabilità delle disposizioni in materia di recesso, trova applicazione nel caso di espropriazione forzosa della partecipazione, attuata dunque contro la volontà del socio.

I Giudici torinesi hanno seguito il diverso orientamento che ammette la derogabilità da parte dello statuto societario dell’art. 2473 bis c.c. nella parte in cui prevede che il rimborso delle quote avvenga in base al valore di mercato: l’utilizzo di criteri peggiorativi sarebbe consentito proprio in relazione alle cause convenzionali di esclusione e di recesso. Secondo tale orientamento, lo statuto della s.r.l. può prevedere che il controvalore della quota sia determinato secondo criteri stabiliti dallo statuto stesso, sulla base del bilancio e dell’avviamento della società. E’ stata quindi ritenuta legittima dalla Corte d’Appello la previsione statutaria secondo cui il prezzo della quota deve essere ricavato dalla percentuale del valore del patrimonio netto corrispondente, risultante dall’ultimo bilancio di esercizio approvato.

Riferimenti normativi

Art. 2473 bis c.c.

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