Società, Banca e Impresa

La clausola di esclusione del socio di s.r.l. è nulla se generica

La clausola di esclusione del socio di s.r.l. che si limiti a riprodurre le previsioni di cui all’art. 2286 c.c. in tema di società di persone è affetta da nullità, dovendo essere specificati nella clausola stessa i presupposti della sua operatività ed in particolare da quali gravi inadempimenti agli obblighi sociali si possa far discendere l'esclusione del socio. Così si è espresso il Tribunale di Napoli con la sentenza del 23 marzo 2022.

Orientamenti giurisprudenziali

Conformi:

Trib. Napoli 8 febbraio 2020

Trib. Milano 13 giugno 2016

Trib. Milano 3 luglio 2014

Trib. Milano 28 febbraio 2014

Trib. Milano 7 novembre 2013

Difformi:

Non si rinvengono precedenti in termini

Il Tribunale di Napoli – chiamato a pronunciarsi sulla legittimità dell’esclusione di un socio da una società a responsabilità limitata in forza delle previsioni contenute in una clausola statutaria – analizza i principi normativi e giurisprudenziali in ordine alla validità delle clausole statutarie introduttive di cause di esclusione ulteriori rispetto a quelle previste dalla legge.

L'art. 2473 bis c.c., introdotto dalla novella del diritto societario, consente di inserire nello statuto delle s.r.l. cause di esclusione convenzionali: il legislatore ha concesso all'autonomia statutaria ampi spazi di intervento, in ossequio al principio di centralità della persona del socio, rimettendo allo statuto il compito di delineare le ipotesi convenzionali di esclusione. La c.d. esclusione convenzionale non deve essere peraltro confusa con la specifica causa legale di esclusione della c.d. mora del socio, disciplinata espressamente dall’art. 2466 c.c., che si verifica allorché il socio sia inadempiente nei confronti della società all’obbligo di eseguire i conferimenti dovuti alla società stessa.

Secondo l’art. 2473 bis c.c., l’introduzione di cause statutarie di esclusione richiede l’indicazione specifica delle ragioni dell’esclusione: i motivi di esclusione devono inoltre essere sorretti da una “giusta causa”. La previsione statutaria di esclusione non può essere poi riferita al singolo socio, ma deve riguardare una regola organizzativa suscettibile di applicazione nei confronti di tutti i soci o di quei soci che si trovino nella situazione descritta nella clausola.

Il legislatore, mediando consapevolmente fra la natura capitalistica del contratto costitutivo di s.r.l. e la possibilità per le parti di accentuarne, nell’autonomia statutaria, il sostrato personale, ha introdotto anche nelle s.r.l. la possibilità che l'atto costitutivo preveda la facoltà dei soci di escludere uno di essi, ma la ha appunto subordinata non - come nelle società personali - alla mera constatazione di gravi inadempienze alle obbligazioni che derivano dalla legge o dal contratto sociale (art. 2286 c.c.) ed al conseguente venir meno dell'intuitus personae che connota la disciplina delle società non capitalistiche, bensì alla specifica predeterminazione di fattispecie tipizzate di giusta causa. La ratio della norma riguardante le s.r.l risponde all’esigenza di circoscrivere l’applicazione del grave strumento dell’esclusione solo ad ipotesi precise e ben delineate, affinché il socio possa regolare la sua condotta e non incorrere nei casi previsti dalla clausola statutaria. Mentre nelle società di persone per l’esclusione del socio è sufficiente che ricorra una delle ipotesi previste dalla legge, nella società a responsabilità in presenza di una situazione riconducibile in astratto ad una giusta causa di esclusione, l’exit del socio, su impulso della società, è legittimo solo se espressamente e specificamente previsto nello statuto.

Nella società a responsabilità limitata, non basta pertanto il venir meno dell’affectio societatis, per risolvere il vincolo sociale limitatamente ad un socio con una delibera assembleare adottata dalla maggioranza, ma occorre una apposita previsione statutaria che lo consenta.

Con riferimento in particolare al limite rappresentato dalla specificità, è stato osservato dalla dottrina che la necessità di tale requisito riposerebbe nella volontà del legislatore di tutelare il socio, da un lato, e la compagine sociale, dall’altro lato, e, infine, i creditori sociali. Il socio ha, infatti, un indubbio interesse a conoscere ex ante le cause di esclusione, che debbono essere il più circostanziate possibile al fine di permettere al socio stesso di valutarne la legittimità, onde evitare, tra l’altro, che si creino abusi della maggioranza.

I soci non esclusi, d’altro canto, hanno interesse alla conservazione dei rapporti con il socio escludendo e ad evitare l’eventuale liquidazione della quota del socio uscente. I creditori sociali, infine, grazie alla specificità della clausola di esclusione e mediante la consultazione del Registro delle Imprese, possono essere informati in modo preciso di tutti gli ostacoli che si frappongono alla loro garanzia patrimoniale.

Ove non sussistessero limiti legislativi al ricorso all’esclusione del socio, l’istituto potrebbe inoltre rappresentare lo strumento per aggirare la disciplina della riduzione c.d. reale del capitale sociale: pur vietando l’art. 2473 bis c.c. di procedere al rimborso del socio escluso mediante la riduzione del capitale sociale, il rimborso stesso potrebbe avvenire mediante l’utilizzo di riserve disponibili, così pregiudicando i creditori sociali qualora la delibera di esclusione avvenisse con l’utilizzo di dette riserve.

Quanto alla “giusta causa”, secondo l’orientamento prevalente la stessa non deve essere valutata genericamente in base al comune ed oggettivo apprezzamento, bensì in base alla specifica caratterizzazione voluta dai soci, che possono trovare nella previsione di clausole di esclusione ad hoc uno strumento flessibile per valorizzare tali esigenze. Le cause di esclusione devono comunque attenere al vincolo sociale e ad un possibile pregiudizio dell’attività sociale che possa verificarsi a seguito delle ipotesi previste. Le cause di esclusione possono comprendere sia comportamenti dei soci in violazione degli obblighi contrattualmente assunti verso la società sia comportamenti estranei al rapporto societario, come quelli attinenti ad eventuali modifiche dello stato personale dei soci.

La giurisprudenza, sulla scorta di tali principi, ha quindi ritenuto illegittime clausole statutarie che prevedevano l’esclusione del socio gravemente inadempiente alle obbligazioni che derivano dalla legge e dallo statuto sociale, in quanto genericamente riferite all’art. 2286 c.c. in materia di società di persone, ovvero del socio che svolge attività in concorrenza con la società, se generica e non in considerazione di situazioni pregresse e reali, del socio inadempiente agli obblighi sociali di correttezza e buona fede o che in qualsiasi modo rechi discredito alla società o leda il rapporto di fiducia con gli altri soci, o, ancora, del socio responsabile di comportamenti che compromettono il corretto funzionamento della società. Per contro, sono state ritenute legittime le clausole che individuano quale giusta causa di esclusione il compimento di gravi irregolarità da parte del socio amministratore, purchè specificamente indicate, e particolari condizioni personali del socio (inabilitazione, interdizione, raggiungimento di una determinata età, perdita di particolari qualifiche personali o patrimoniali, impossibilità incolpevole di continuare a svolgere determinate mansioni all’interno della società, fallimento del socio). 

Quanto al requisito della specificità, richiesto, come detto, dal legislatore per inibire scelte statutarie che affidino la decisione sulla permanenza di un socio all’interno della compagine sociale all’arbitrio della maggioranza, lo stesso viene ritenuto non osservato dalla giurisprudenza allorchè la clausola di esclusione sia formulata in modo così generico da lasciare ampio spazio alla discrezionalità interpretativa, ad esempio prevedendo l’esclusione per inadempimento o per una non meglio specificata giusta causa, o, ancora, per “condotta riprovevole”.

Il Tribunale di Napoli, nella pronuncia in commento, analizza il disposto dell’art. 2473 bis c.c., ricordando che, con tale norma, il legislatore ha concesso all'autonomia statutaria un ampio spazio di intervento, ma con due ordini di limiti: le cause di esclusione convenzionali devono essere specifiche ed i motivi di esclusione devono essere sorretti da una “giusta causa”. Secondo i Giudici partenopei, in ossequio al requisito della specificità, è necessario che la clausola disciplini specificamente gli aspetti procedurali ricollegati alla sua operatività, quali le modalità di assunzione della delibera di esclusione, l’organo competente ad assumerla, le maggioranze necessarie, la comunicazione della delibera al socio escluso, l’eventuale ricorso a strumenti di conciliazione preventiva e il termine entro il quale il socio escluso possa fare opposizione. La clausola statutaria deve poi identificare nell’ipotesi di esclusione del socio un grave inadempimento agli obblighi sociali specificamente descritti nella medesima. In base a tali presupposti, non è poi consentito procedere ad una interpretazione correttiva o analogica di una clausola lacunosa.

La pronuncia sottolinea poi le differenze tra la disciplina dettata per l’esclusione del socio dalle società di persone e quella prevista per le s.r.l., rilevando che, mentre la prima ricollega la possibilità di esclusione alla mera constatazione di gravi inadempienze alle obbligazioni che derivano dalla legge o dal contratto sociale, che fanno venir meno il rapporto fiduciario che connota la disciplina delle società non capitalistiche, la disciplina in tema di s.r.l risponde, invece, all’esigenza di circoscrivere l’applicazione dello strumento dell’esclusione soltanto in ipotesi specifiche, in modo che il socio possa regolare la sua condotta e non incorrere nei casi previsti dalla clausola statutaria.

I giudici napoletani evidenziano che, secondo la giurisprudenza e la dottrina prevalenti, la "giusta causa” di esclusione consiste in ciò che, in concreto, intralcia l'esecuzione secondo buona fede del contratto societario e impedisce il conseguimento dello scopo di lucro: le cause di esclusione, non arbitrarie e non generiche, possono essere non solo oggettive (e cioè riguardare un inadempimento), ma anche soggettive, rientrandovi le situazioni personali del socio. L'organo chiamato a decidere sull'esclusione del socio deve verificare l'idoneità della situazione attuale del socio ad apportare un detrimento alla società nonché all'attività da quest'ultima posta in essere, su un piano concreto.

Nel caso di specie, la pronuncia ha quindi correttamente ravvisato la nullità, per mancanza di specificità, della clausola di esclusione contenuta nello statuto della società a responsabilità limitata che si limitava a riprodurre la previsione di cui all'art. 2286, comma 1, c.c, (secondo cui "l'esclusione di un socio può aver luogo per gravi inadempienze delle obbligazioni che derivano dal contratto sociale"), non emergendo dallo statuto con chiarezza e precisione a quali obbligazioni sociali o, comunque, a quali comportamenti del socio dovesse correlarsi la possibilità di esclusione.

Riferimenti normativi:

Art. 2286 c.c.

Art. 2473 bis c.c.

 

Copyright © - Riproduzione riservata

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