IP, IT e Data protection

Si può registrare una riunione di lavoro e conservarne il supporto?

Per il Tribunale di Venezia se il lavoratore lo fa per scopi estranei alla propria difesa viola il GDPR (sentenza 2 dicembre 2021, n. 2286)

registrazione audioÈ lecito registrare una riunione di lavoro e conservare i relativi supporti per poi cederli ad alcuni colleghi in vista di un (loro) contenzioso con il datore di lavoro?

A giudizio del Tribunale di Venezia, sezione II civile, sentenza 2 dicembre 2021, n. 2286 (testo in calce), stando alle norme dettate in materia di protezione dei dati personali, certamente no. Non è lecito.

La registrazione aveva avuto ad oggetto una riunione di lavoro tenutasi nel novembre 2016 per la risoluzione di alcune difficoltà organizzative interne all'azienda. Essa era stata eseguita di nascosto, mediante un dispositivo sistemato in una tasca dei pantaloni o dell'impermeabile, da un lavoratore - il signor Beta - che al momento non poteva vantare esigenze neppure pre-difensive nei confronti del datore. La registrazione, in ogni caso, era stata conservata e poi messa a disposizione di alcuni colleghi che non avevano preso parte alla riunione e che, a distanza di due anni, l'avrebbero prodotta nelle rispettive cause di lavoro contro l'azienda.

Richiamando una pronuncia della Suprema Corte (Cass., sez. lav., sentenza n. 12534/2019), il giudice investito della controversia rammenta in particolare che la registrazione, per essere considerata lecita, deve essere eseguita "per tutelare la propria posizione all'interno dell'azienda" nonché "per precostituirsi un mezzo di prova" e a patto che sia "pertinente alla tesi difensiva e non eccedente le sue finalità". Il trattamento di dati personali per finalità di accertamento e/o esercizio di un diritto (anche in una fase pre-contenziosa) “è espressione del legittimo interesse del titolare del trattamento e, pertanto, in caso di insussistenza di detto interesse, il trattamento deve ritenersi illecito per mancanza di una delle sue basi giuridiche (art. 6, comma 1, lett. f) del Reg. UE 2016/679)”.

Ed ancora:

“ogni qualvolta il titolare del trattamento opponga all'interessato lo svolgimento di attività difensive a giustificazione di un dato trattamento di dati personali, quest'ultimo deve in ogni caso dimostrare la sussistenza di un contesto litigioso e/o la parvenza di un pregiudizio subito che lo avrebbero in ipotesi portato ad intraprendere trattamenti di dati personali riguardanti l'interessato, e ciò al preteso fine di chiedere la tutela i propri diritti (anche in una fase di pre – contenzioso)”.

Requisiti tutti non rintracciabili, per quanto sopra riferito, nella fattispecie.

In tal modo sono stati violati, secondo il giudice, i principi dettati dall'art. 5 del Regolamento UE 2016/679, a mente del quale "i dati personali sono: (...) b) raccolti per finalità determinate, esplicite e legittime, e successivamente trattati in un modo che non sia incompatibile con tali finalità; un ulteriore trattamento dei dati personali a fini di archiviazione nel pubblico interesse, di ricerca scientifica o storica o a fini statistici non è, conformemente all'articolo 89, paragrafo 1, considerato incompatibile con le finalità iniziali ("limitazione della finalità")".

La condotta posta in essere, desumibile dai documenti depositati, si era collocata al di fuori del perimetro di liceità del trattamento, “sia per quanto riguarda la mancanza di una propria esigenza difensiva, sia con riferimento al difetto della pertinenza, sul piano temporale, dei tempi di conservazione dei dati a quanto strettamente necessario alla propria difesa”.

Le domande attoree sono dunque fondate e vanno accolte. Il giudice, accertata l'illiceità dei trattamenti posti in essere, ordina in particolare ai convenuti la cancellazione e/o distruzione dei file audio contenenti la registrazione della riunione, commina le sanzioni pecuniarie ai sensi degli artt. 58.2, lett. i), e art. 83, del Regolamento UE n. 2016/679 e condanna i resistenti in solido a rimborsare ai ricorrenti, parimenti in solido, le spese processuali.

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La portata dell'esenzione domestica e il ruolo fondamentale dell'art. 5

Un primo elemento di interesse della sentenza è dovuto alla valutazione giudiziale circa la collocazione del trattamento eseguito (registrazione audio della riunione) al di fuori del recinto di applicazione della c.d. 'esenzione domestica'. Per il giudice adito “l'esenzione di cui all'art. 2, comma 2, lett. c) precitato, potrebbe (e dovrebbe) trovare applicazione unicamente per attività attinenti alla sfera strettamente ed esclusivamente privata e familiare (e/o, per l'appunto, domestica)”. E la persona che inizialmente poteva dirsi (in quanto lavoratore) soltanto un interessato, raccogliendo e trattando dati personali, come dire, 'in proprio' e nell'ambito di una attività che oltrepassa quella sfera privata e familiare, inavvertitamente si trasforma in un titolare e in ogni caso è tenuta a rispettare le disposizioni sul trattamento dei dati. È questo il concetto che, nemmeno tanto tra le righe, la sentenza ci consegna.

Non si tratta di un concetto banale, né – con riferimento alla fattispecie concreta - così lampante e/o pacifico.

Quanto al resto, la vicenda è emblematica di un tempo in cui la disponibilità praticamente illimitata di dispositivi atti a registrare le conversazioni fa presumere – per lo più a torto – che qualunque operazione del genere e qualsiasi successivo suo utilizzo siano leciti e corretti. Sul punto si può  osservare come l'effettiva portata, e quindi i confini, dell'esenzione disciplinata dall'art. 2.2, lett. c), non siano – come per lo più accade - esattamente ed inequivocabilmente fissati, ragion per cui sono/saranno (anche) le decisioni della autorità di controllo e/o dei giudici a fornire elementi utili alla sempre più puntuale definizione.

Dell'importanza di tale processo non può dubitarsi: non v'è chi non veda come il rischio connesso al ricorso e all'utilizzo massivi di certi trattamenti di dati nel dispregio dei criteri di lealtà e buona fede sia idoneo ad innescare dinamiche perverse nelle interazioni sociali, approcci disinvolti e spregiudicati, un clima di crescente sfiducia tra gli individui. Ed è anche evidente come - oltre o prima che su prescrizioni di legge, pronunce dei giudici e provvedimenti del Garante - una diffusa corretta impostazione dei rapporti interpersonali resti ancorata al livello di consapevolezza e cultura, di rispetto e buon senso di ciascun consociato.

Un secondo spunto di riflessione (che la pronuncia in esame suscita quasi imperiosamente) riguarda l'importanza 'architravica' (sia concesso il neologismo) dell'art. 5 nel palinsesto della normativa 'data protection'. Disposizione che non solo enumera, mette in fila i principi generali cui tutti i trattamenti di dati personali debbono essere informati, non solo esplicita criteri giuridici ed immediatamente prescrittivi (come dimostra la fattispecie) ma anche ed al contempo procura i pilastri logico-concettuali idonei a sorreggere, indirizzare l'interprete nella faticosa ricerca delle decisioni da assumere nelle varie ed incerte situazioni che la vita/realtà ordinariamente propone.

TRIBUNALE VENEZIA, SENTENZA N. 2286/2021 >> SCARICA IL TESTO PDF

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