venerdì 5 aprile 2024
La scelta della Baviera di mettere al bando i segni che generano confusione nei testi, la normativa dell'Università di Trento di declinare i nomi tutti al femminile: la parola agli esperti
Asterischi, schwa e chiocciole: i rischi di un italiano improbabile

Imagoeconomica

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Rendono i testi incomprensibili, generando confusione: è il motivo per cui la Baviera, dal primo aprile, ha messo al bando l’uso dell’asterisco (“das Sternchen”, la stellina, come lo chiamano a quelle latitudini): il divieto riguarderà scuole, università e istituzioni. Insieme allo schwa, l’asterisco viene sostituito alla vocale finale delle parole per adottare un linguaggio più inclusivo (si vorrebbe) nei confronti delle donne – discriminate dall’uso del maschile sovraesteso – e di chi non si sente rappresentato né dal maschile né dal femminile. Nel segno della parità di genere e di un’inclusività portata all’estremo è la decisione dell’Università di Trento di adottare il femminile sovraesteso, declinando sempre e comunque ogni carica, compito e ruolo al femminile nel nuovo regolamento di Ateneo. Che la lingua cambi è un fatto assodato, come avvenga il cambiamento un po’ meno. Sulla questione, Avvenire dà la parola alla linguista Valeria Della Valle e al rettore dell’Ateneo trentino, Flavio Deflorian.

Tra uomini e donne, persino la parità linguistica è ancora lontana: da decenni gli specialisti della materia discutono di come si possano sanare le due principali dissimmetrie grammaticali che sfavoriscono il sesso femminile: sono il maschile sovraesteso (il plurale che comprende anche le donne, seppur nascondendole) e l’uso del genere grammaticale maschile per i termini che indicano ruoli ricoperti da donne. E si fanno avanti anche le istanze di chi non si sente rappresentato né dal maschile né dal femminile. Da quando la discussione è tracimata dall’ambito specialistico ai social, coinvolgendo una platea con poca o nessuna competenza, sono state proposte diverse soluzioni (?) estemporanee, presunta garanzia di inclusività: dall’asterico allo schwa (si legge scvà e si indica con una “e” rovesciata), passando per la @ e la X usate al posto della desinenza grammaticale.


La linguista Della Valle: «I glifi proposti sono
impronunciabili. Invece di essere inclusivi
escludono dalla comprensione
i non alfabetizzati»


«La lingua è in continua evoluzione ma difficilmente accoglie cambiamenti che non abbiano una giustificazione e non rappresentino un’esigenza dei parlanti. La spinta in base alla quale si propone l’uso dell’asterisco o dello schwa ha ragioni che vanno capite e considerate con rispetto ma la soluzione proposta è inattuabile»: impossibile dire che Valeria Della Valle non sia aperta alle novità; fa parte del gruppo “Incipit” dell’Accademia della Crusca, che propone sostituzioni italiane di forestierismi usati in documenti istituzionali italiani e diffusi dalla stampa, ed è direttrice del Dizionario Treccani, il primo – grazie a Della Valle e al co-direttore Giuseppe Patota – a non presentare le voci privilegiando il genere maschile, ma scegliendo di lemmatizzare aggettivi e nomi al femminile e al maschile. «L’asterisco – prosegue Della Valle spiegando gli aspetti di inattuabilità delle soluzioni proposte – non può essere usato come vocale finale che nasconde il genere perché rende incompresibile anche la declinazione singolare o plurale. Salta l’accordo grammaticale, indispensabile per riconoscere i rapporti logici tra parole». Insomma, la coesione del testo va a farsi friggere. «Usare l’asterisco nei testi giuridici, nelle sentenze o nelle comunicazioni pubbliche provocherebbe dubbi, incomprensioni e fraintendimenti», chiarisce la linguista. I simboli presentano oggettivi problemi di lettura: la loro introduzione repentina causerebbe gravi difficoltà a una larga fetta della popolazione, gli anziani per esempio o i dislessici. «Una scelta che vorrebbe essere inclusiva finirebbe, al contrario, per essere discriminante nei confronti di coloro che hanno una scarsa alfabetizzazione. In Italia molti cittadini non hanno dimestichezza con l’italiano, un asterisco come finale di parole li metterebbe a disagio, confondendoli. Altro discorso per lo schwa  – precisa Della Valle – un suono presente in molte lingue e anche in alcuni dialetti meridionali italiani, nel napoletano per esempio, in cui la vocale finale di molte parole non viene pronunciata».

Sarebbe quindi assurdo allinearsi nella mancata pronuncia per non ridurre i generi al solo maschile o femminile o per evitare il maschile sovraesteso. «Impossibile anche emettere un suono indistinto, otterremmo parole incomprensibili. Ma la comprensibilità reciproca tra parlanti è il presupposto principale di una lingua, e uno strumento fondamentale per la democrazia, per far sentire la propria voce, partecipare alle decisioni».

«Femminile per tutti non offende nessuno»

«Se all’inizio ci pareva soltanto una buona idea, oggi dico che, invece, è stata una scelta necessaria per smascherare il maschilismo che ancora permea la nostra società». Non aveva «nessun intento rivoluzionario», l’Università di Trento varando, la scorsa settimana, il Regolamento di Ateneo al “femminile sovraesteso”. Ma il rettore, Flavio Deflorian, è stato ugualmente destinatario di una moltitudine di messaggi mai vista. Alcuni di stima e sostegno, altri - non pochi - invece di aperta critica, anche infarciti di insulti e minacce. Che hanno rafforzato in lui la convinzione dell’«opportunità» di una scelta decisamente controcorrente. Perché non si era mai visto, finora, in un atto pubblico, declinare soltanto al femminile «termini che si riferiscono a tutte le persone», sia uomini che donne.

«Un po’ me l’aspettavo – confessa il rettore Deflorian –. Certo, gli insulti non fanno mai piacere, ma sono sintomo della strada che ancora dobbiamo fare per arrivare a una vera parità tra uomini e donne».
Che non si raggiunge semplicemente utilizzando il femminile sovraesteso in un Regolamento di Ateneo, ma è comunque un passo coerente con la policy adottata dall’Università trentina fin dal 2017, con l’adozione del vademecum Per un uso del linguaggio rispettoso delle differenze. «Il vero passo in avanti sarà compiuto quando le donne avranno le stesse opportunità di carriera degli uomini», sottolinea il Rettore. Che ricorda i “numeri” da migliorare anche in casa propria. «Nella nostra Università – aggiunge Deflorian – è donna soltanto il 30% dei professori ordinari. Un po’ meglio va con i professori associati e i ricercatori, ma è indubbio che dobbiamo lavorare sodo. Certo, un Regolamento al femminile non basta, ma le due cose non si escludono. Del resto, la lingua evolve ed è giusto che, dopo aver utilizzato un milione di volte il maschile non marcato, si possa, per una volta, impiegare il femminile sovraesteso, senza per questo che qualcuno si senta offeso».


Il rettore dell'Università di Trento Flavio Deflorian: «Se all’inizio la decisione di declinare al femminile ci pareva soltanto una buona idea, oggi dico che, invece, è stata una scelta necessaria per smascherare il maschilismo che ancora permea la nostra società»

Se, invece, ha scritto il Rettore sul sito dell’Università, «pensiamo che il genere maschile valga di più, sia più “generale” e possa includere anche quello femminile, ma non valga il contrario, lo si dica chiaramente. È una posizione politica chiara. Ma di posizione politica si tratta, non di grammatica, buon senso o altro».

Del resto , nessuno, almeno all’Università di Trento, conferma il Rettore, ha mai pensato di mettere in discussione «l’identità sessuale» delle persone e nessun uomo, all’Università di Trento, sarà «obbligato a indossare la gonna», come è stato scritto in uno dei tantissimi messaggi arrivati in questi giorni sul tavolo del professor Deflorian. Che ha anche ricevuto messaggi di stima, soprattutto - ma c’era da aspettarselo - da donne. «In tante mi hanno fatto i complimenti, perché non si aspettavano che una proposta del genere arrivasse da un uomo», racconta il Rettore. Che tiene, in ogni caso, a rimarcare il fatto che si tratta di una scelta dell’intera comunità universitaria. Il nuovo Regolamento è stato, infatti, approvato all’unanimità dalla Consulta di Ateneo, dal Senato Accademico e dal Consiglio di amministrazione. Un segnale di compattezza, che «non vuole ammiccare al politicamente corretto, che sa più di galateo che di sostanza», taglia corto Deflorian. Che si lancia in una previsione: «Tra dieci anni non farà più notizia, perché in tanti avranno seguito il nostro esempio. La parità fra i generi e fra tutte le persone è il futuro della nostra società».

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