venerdì 22 dicembre 2023
Nella città dei cantieri, 1.700 bengalesi sono impiegati in vari settori e 7mila risiedono in città. I parroci: siamo chiamati a vivere insieme. I musulmani non sono invasori né nemici.
I cantieri navali di Fincantieri a Monfalcone

I cantieri navali di Fincantieri a Monfalcone - Dall'archivio

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«Vogliamo ribadire, se qualcuno non lo ha ancora capito, che noi siamo dei cittadini a tutti gli effetti. Cittadini di Monfalcone, anche se immigrati». Lo vanno ripetendo da giorni i responsabili dei due Centri adibiti alla preghiera dagli islamici chiusi da un mese, con ordinanza del Comune, per motivi di sicurezza, nella cittadina in provincia di Gorizia: non erano autorizzati ad ospitare attività di così ampia partecipazione. Anche oggi, infatti, la preghiera del venerdì non si terrà in via Duca d’Aosta e in via don Fanin. La comunità islamica della città dei cantieri, soprattutto bengalese, ha chiamato a raccolta i concittadini, domani mattina, lungo le vie del centro per sollecitare il rispetto del diritto alla libertà religiosa, la riapertura dei luoghi di preghiera, lo stop alle presunte “discriminazioni” nei confronti dei musulmani provenienti dal Bangladesh.

Il caso dei luoghi di culto

Il primo appoggio è arrivato da parte de “La Sinistra” di Monfalcone, che nel passato ha governato la città, oggi in mano alla Lega del sindaco Anna Maria Cisint. Gli esponenti di sinistra ricordano come «la Costituzione preveda il diritto di culto per ogni persona, in forma associata e in pubblico». « Il rispetto delle norme vigenti – ha subito replicato il sindaco - è presupposto dei principi democratici e di convivenza civile a cui tutti sono chiamati ad attenersi». «Quello di via Duca D’Aosta – ha controreplicato Bou Konate dell’associazione “Darus Salaam”, già impegnato nelle amministrazioni di sinistra - è un centro che è stato comprato con il sudore dei fratelli di fede mussulmana. La sede è attiva dal 2003». Di nuovo Cisint: «La garanzia della libertà di culto e quella religiosa sono fuori discussione. Il tema che richiamiamo è quello della legalità. Abbiamo rilevato degli abusi edilizi, le verifiche tecniche sono state puntuali nel rispetto del piano regolatore». Quanto alla protesta in agenda l’antivigilia di Natale, per Cisint si tratta di «una provocazione gravissima, un atto di arroganza che non va nella giusta direzione, né mira all’integrazione vera». I toni non potrebbero essere più duri. Però hanno cercato di smorzarli le stesse parrocchie.

L'oratorio aperto

Don Flavio Zanetti ha messo a disposizione gli spazi esterni dell’oratorio, quando una delegazione dei due centri glieli ha chiesti. È in oratorio, d’altra parte, che si tengono alcuni appuntamenti culturali e di festa più significativi per la comunità del Bangladesh. Ma della sua disponibilità gli imam non hanno poi approfittato perché – si sono detti – è giusto che noi islamici rivendichiamo spazi di preghiera tutti nostri, tanto più che questi ambienti li abbiamo pagati. «Se il problema di questi locali di raduno è il sovraffollamento di alcuni, è bene che questo venga impedito per la sicurezza delle persone che vi accedono – hanno ammesso, a tempo debito, i due parroci, Don Flavio e don Paolo Zuttion -. Certo che queste persone hanno il diritto di pregare, siamo noi cattolici quelli che nel mondo sostengono la libertà religiosa, ovunque... Anzi, auspichiamo che anche le altre confessioni religiose possano pregare in luoghi consoni, rispettando le norme del nostro Paese, come facciamo noi». Quanto poi all’accusa, che attraversa anche taluni ambienti di Monfalcone, che le moschee siano covi di fanatici integralisti, gli stessi sacerdoti rispondono saggiamente che «se ve ne fossero, pensiamo che i veri musulmani sarebbero così saggi da emarginare e segnalare questi individui pericolosi per tutti, innanzi tutto per loro. E poi abbiamo piena fiducia nelle forze dell’ordine, che operano con discrezione e competenza per la sicurezza di tutti».

I rapporti con i musulmani

Non ha ragione di esistere, secondo i parroci, neppure la «paura dell’islamizzazione» di cui si sente talvolta parlare a Monfalcone. «Conoscerci aiuta a capirci, per evitare di trasmettere paure inutili. Siamo chiamati a vivere insieme, in pace, sereni. Nessuno può islamizzarmi se io sono autenticamente un cristiano cattolico, che vivo, professo e testimonio serenamente la mia fede ». E, in ogni caso, «non sappiamo se questa società si islamizzerà ma certamente si sta scristianizzando: e questo non perché persone di fedi diverse sono venute qui, ma perché troppi battezzati non vivono e praticano la propria fede». Insomma, rassicurano don Flavio e don Paolo, «i musulmani non sono i nostri invasori né i nostri nemici, ma nostri fratelli che sono venuti qui chiamati dal lavoro che altri non facevano: che ci piaccia o no, la stragrande maggioranza è presente nel nostro Paese nel rispetto delle vigenti leggi italiane ». I numeri aiutano bene, in questo senso, a capire. Monfalcone, conosciuta come la città della Fincantieri per la presenza dei cantieri navali, ha più di 30mila abitanti. In 7 anni c’è stato un aumento di 2 mila persone e la quota degli immigrati supera il 30%. Sono circa 9.500, di cui 7.000 residenti, i bengalesi: 1.700 lavorano in questa città e questo genera una serie di problematiche che coinvolgono tutti gli ambiti, da quello sanitario a quello del welfare, dalle scuole alle residenze, alla sicurezza e soprattutto al lavoro, come è stato rilevato in un dibattito in Regione nei giorni scorsi. Quasi nessuno di questi immigrati fa parte del popolo dei migranti arrivati dal mare con i barconi o via terra attraverso la rotta balcanica.

A Monfalcone operai al lavoro su una nave da crociera

A Monfalcone operai al lavoro su una nave da crociera - Ansa

Com’è cambiato il lavoro

« È difficile riuscire a capire cosa voglia dire Fincantieri per Monfalcone - ha cercato di spiegare l’altro giorno il sindaco Cisint in Regione - se non si contestualizza il sito. Quando ci lavoravano mio papà e mio nonno, esistevano orari rigidi e i Cosulich (storica famiglia di armatori presente in città, ndr) avevano anticipato il concetto di responsabilità sociale d’impresa, pensando prima di tutto ai lavoratori con case, scuole, campo sportivo e strade. Intorno a questo luogo dove si lavorava e si viveva, nascevano le relazioni sociali e le opportunità per i figli. Intorno al 2005, tuttavia, è cambiato tutto. Si è scelto di delocalizzare al contrario, con un’inversione del sistema produttivo, importando manodopera e decidendo che non fosse più necessario l’operaio diretto (oggi ce ne sono 1.700, ma solo 750 lavorano sulle navi). Ecco perché è necessario un cambiamento». Quest’anno, finalmente, la Fincantieri ha ripreso ad assumere. « Ma fino a poco tempo fa – ha spiegato sempre Cisint - la scelta era quella di non procedere più alla sostituzione della manodopera, utilizzando appalti e subappalti. Il nostro obiettivo logico è quello della riduzione del subappalto, dopo scelte che hanno provocato un dumping giuridico e salariale. Se non si risolve il problema del sistema produttivo, non può arrivare un miglioramento reale ». Questo, dunque, è il clima sociale che viene vissuto in città. Con tutta una serie di dinamiche che s’intrecciano. La comunità musulmana stessa è attraversata da differenziazioni. Quella del Bangladesh si articola in sensibilità territoriali e culturali diverse, se non contrapposte. « Le contrapposizioni sono ciò che meno serve» ammettono i parroci.

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