sabato 28 luglio 2018
Il 28 luglio 2013 il cardinale moriva nella sua Ravenna, città di cui a lungo era stato vescovo. Aveva appena compiuto i 99 anni. La lunga vita di un testimone
Ersilio Tonini (Foto Ansa)

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Sono passati cinque anni da quel 28 luglio 2013 in cui il cardinale Ersilio Tonini moriva nella sua Ravenna, città di cui a lungo era stato vescovo. Aveva appena compiuto i 99 anni. La lunga vita di un grande testimone.

Era nato il 20 luglio 1914 in una cascina di Centovera di San Giorgio Piacentino, figlio di salariati agricoli. Suo padre, Cesare, capobifolco, è tra i fanti mandati sul Piave, nel maggio 1915. La madre, Celestina, trasmette ai figli una fede profonda in una terra come quella emiliana, in quegli anni visceralmente “rossa”.

Questa madre torna costantemente nei ricordi di Tonini, anche nell’ultima vecchiaia, sempre vicina e presente, come un’ombra buona. Come una radice profonda. A chi gli chiedeva dove avesse imparato lo sguardo colmo di misericordia che aveva sugli uomini, il cardinale rispondeva: «Mia madre, il suo sguardo. Bisogna aver provato quell’amore radicale della vita, per comprendere che le tue mani, i tuoi occhi sono un bene che devi custodire».

In Seminario a 11 anni, ordinato nel 1937, dopo la guerra a lungo parroco a Salsomaggiore. Nominato vescovo da Paolo VI nel 1969, prima di Macerata e Tolentino, poi dal 1975 di Ravenna. Lo stesso Paolo VI, conoscendo la sua antica passione per il giornalismo, nel 1978 lo sceglie come presidente della Nei, la società editrice di Avvenire. Con il nostro quotidiano collaborerà intensamente. Negli anni ’90 Enzo Biagi lo invita alla trasmissione “I dieci comandamenti”: diventa un volto noto e caro al pubblico televisivo. Giovanni Paolo II lo crea cardinale nel 1994. Volendo cercare di riassumere in poche righe la lunga vita di Ersilio Tonini occorre citare queste date. Che sono poco, però, a fronte della vivezza del ricordo che chi lo ha conosciuto conserva di lui.
Piccolo di statura, magrissimo, la croce cardinalizia che sembrava più grande sul petto esile. Dietro gli occhiali, occhi chiari e acuti, ma buoni. Uomo coltissimo, profondo conoscitore della filosofia, innamorato di Platone e di Kant. Capace, a novant’anni, di lunghe citazioni in greco o in tedesco.

Fine teologo, ogni mattina però voleva sulla sua scrivania Bild Zeitung, Le Monde e il Corriere. La sua passione per gli uomini lo portava a chinarsi sulle cronache dei giornali, a cogliere i segni della storia che avanza. (Fu tra i primi, tra l’altro, già alla fine degli anni ’80, a cogliere la portata della questione della procreazione assistita, della sfida etica che comportava).

La sua, di storia, coincideva con il Novecento. Aveva una formidabile memoria, e ricordava episodi degli anni Trenta come fossero accaduti ieri. Impressionava l’interlocutore, perché pareva di avere davanti la voce di un secolo: quando era nato lui, il papa era Pio X, e in Italia c’era il governo Salandra. Era già sacerdote, tre anni prima della Seconda guerra mondiale. E come sapeva raccontare. Di quel soldato tedesco, per esempio, che si era confessato con lui, morente, e gli aveva messo nelle mani l’ultima lettera di una figlia bambina. Così che il giovane prete aveva capito che anche il nemico è un uomo, che è possibile abbracciarlo. Ma non una comprensione teorica: qualcosa, invece, di scritto nella carne.

Quando Tonini invitava a cena qualcuno, l’invitato sapeva che il menu sarebbe stato penitenziale - minestrina e insalata, sempre - ma che i racconti del cardinale lo avrebbero trascinato lontano. Sempre partendo da quel tempo remoto dell’Emilia anni Venti, degli anarchici, degli scioperi che lasciavano morire il bestiame nelle stalle - e, incombente, il fascismo. Eppure, con tutto ciò che nella sua vita aveva attraversato, Tonini aveva una fede assoluta nell’uomo, nella sua libertà: certo che era libertà di scegliere, alla fine, il bene. Anni e anni in confessionale a Salsomaggiore, anche tre o quattro ore al giorno a ascoltare peccati, non lo avevano distolto da questa certezza. Né dalla pratica della carità, intensa negli anni di Ravenna: assistenza ai tossicomani, agli anziani, ai malati ricevono forte impulso da Tonini.

Lucido fino a pochi mesi dalla morte, a chi lo interrogava su come avvertiva l’avvicinarsi di quel giorno rispondeva: «Oltre la morte, sarà bellissimo. Perché vedremo finalmente la nostra storia, tutta intera. Voglio dire: vedremo la storia di ciascuno di noi, dal suo vero principio, dall’istante in cui Dio ci ha concepito nei suoi pensieri. Perché ciascuno è stato pensato, progettato dall’inizio del tempo. È una prospettiva sterminata. È posare gli occhi sull’orizzonte infinito per cui sono stati fatti. Sarà, l’abbraccio di Cristo, una felicità ineguagliabile».

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