mercoledì 8 novembre 2023
La mobilitazione di una rete di associazioni per la vita in tutta Italia per promuovere attorno a un progetto di legge di iniziativa popolare una nuova coscienza su un tema diventato tabù culturale
L'immagine della campagna per la raccolta di firme

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È presto per stilare un bilancio della raccolta di firme sulla proposta di legge di iniziativa popolare «Un cuore che batte» lanciata da una rete di una cinquantina di associazioni e realtà territoriali impegnate nella promozione della vita umana (tra le più note, Pro Vita & Famiglia, Verità e vita, Ora et labora in difesa della vita, CitizenGo, Generazione Voglio Vivere). Ma quel che i promotori possono già dire, all’indomani della chiusura dei termini per le 50mila firme prescritte, è che si è raggiunto l’obiettivo prioritario: sensibilizzare le persone incontrate e aprire un confronto su un tema purtroppo diventato un tabù del dibattito pubblico come l’aborto. Nessuno si nasconde che l’eventuale percorso parlamentare sarebbe assai problematico, ma al network associativo che ha messo in campo i suoi volontari in tutta Italia premeva far incontrare la realtà della vita nel grembo materno attraverso l’idea al centro del progetto di legge. La proposta, depositata in Cassazione il 16 maggio, vuole infatti introdurre nell’articolo 14 della 194 il comma 1-bis: «Il medico che effettua la visita che precede l’interruzione volontaria di gravidanza ai sensi della presente legge è obbligato a far vedere, tramite esami strumentali, alla donna intenzionata ad abortire, il nascituro che porta nel grembo e a farle ascoltare il battito cardiaco dello stesso». «Il battito del cuore – spiega Jacopo Coghe, leader di Pro Vita – restituisce al bambino quell’umanità che gli è stata sottratta dalla legge e dalla mentalità che la difende». Un approccio che ha convinto molte persone, tra loro anche i vescovi di Terni, Lecce, Mileto, Sanremo e Vibo.
Ma quale risultato può conseguire in termini culturali un’iniziativa come questa?«Può rimettere al centro del dibattito culturale l’aborto ed entrambi i soggetti coinvolti – risponde Maria Rachele Ruiu, del direttivo di Pro Vita –: le mamme che meritano un counselling onesto su cosa sia l’aborto e aiuti concreti quando sono in difficoltà, e soprattutto il troppo dimenticato figlio, quel piccolo essere umano nel grembo della mamma che è innegabilmente vivo e uno di noi. È violento, nel 2023, all’epoca delle ecografie raccontare che quello è un grumo di cellule». Una proposta di legge così congegnata mette radicalmente in discussione la 194: portarla avanti serve ad «aprire un dibattito franco sull’aborto – prosegue Ruiu –. Oggi sembra quasi che aborto e nascita, morte e vita, siano scelte equivalenti. Non possiamo arrenderci a un mondo che abbandona le donne all’aborto, alle sue conseguenze fisiche e psicologiche, e indica loro i figli come un problema da eliminare. Una donna oggi è aiutata solo ad abortire, ed è vergognoso. Nessuna condizione personale può essere motivo di discriminazione, né può determinare il valore di un essere umano». Raccogliere firme in banchetti per strada, sedi associative e Comuni (cui erano stati inviati documentazione e moduli), è servito a «riconoscere che ciascuno di noi, sin dal primo istante dopo il concepimento, con la nostra unicità irripetibile, corredati da un Dna straordinariamente inedito, diverso da quello di mamma e papà, abbiamo iniziato un viaggio con uno sviluppo continuo e prodigioso che ci ha portati fino a qui», oltre che ad «affiancare le mamme per sostenerle anche nelle difficoltà e nelle paure di questo misterioso viaggio che è la vita».

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