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Ascolta Israele: la magia dello Shemà Israèl

Nell’anelito di sicurezza la spiritualità e l’occulto si ripresentano come suggestive alternative da esplorare
/ 02/05/2022
Sarah Parenzo

Le parole ebraiche «Ascolta Israele» segnano l’apertura dello Shemà, la dichiarazione di fede ebraica per eccellenza. Composta da tre passi biblici, i primi due tratti dal Libro del Deuteronomio (6: 5-9; 11: 13 21) e il terzo dal Libro dei Numeri (15: 37-41), la preghiera si è preservata nel corso di duemila anni. Era infatti già in uso al tempo del servizio dei sacerdoti nel Santuario e ancora oggi nel prontuario fa parte integrante delle preghiere del mattino e della sera e tradizionalmente costituisce il primo testo religioso insegnato ai bambini e recitato a memoria.

Se i versetti biblici in origine vengono interpretati come un’affermazione della natura di Dio e definiscono la Sua relazione con il popolo di Israele con Lui, nel corso dei secoli sono divenuti espressione inequivocabile della fede monoteista.

Interessante è anche la connotazione ibrida della Shemà quale preghiera che segna momenti di transizione tra stati e tempi diversi implicanti anche una dose di pericolo. Esso si recita infatti prima di coricarsi, quindi nel passaggio tra il giorno e la notte, tra la veglia e il sonno, e persino al momento della morte, in memoria del brano talmudico sulla morte di rabbi ’Akiva, ucciso dai romani nella rivolta di Bar Kochvà. Per la stessa ragione esso si recita durante la cerimonia della circoncisione che segna l’ingresso nella congregazione.

Brani dello Shemà si trovano anche nelle pergamene contenute nelle mezuzòt affisse agli stipiti delle porte, altro spazio liminale che simboleggia il passaggio tra il dentro e il fuori.

Benché le mezuzòt, come i tefillìn, i filatteri che pure ne contengono i brani, sono strumenti rituali collegati all’osservanza dei precetti, entrambi richiamano vagamente il concetto di amuleti protettivi. Ciò non stupisce, dal momento che dall’antichità al medioevo e sino ai giorni nostri, la preghiera dello Shemà ha mantenuto una presenza costante nei contesti magici. In particolare esso si trova incorporato in amuleti, gioielli e formulari da indossare o appendere in casa, concepiti a scopo di protezione.

Il desiderio di indagare l’utilizzo di questa preghiera nella magia ebraica è sorto a Nancy Benovitz all’interno di una mostra che ha curato al Museo d’Israele di Gerusalemme con l’intento di esplorare i sottili confini tra magia e religione attraverso le parole di una delle più importanti preghiere della liturgia ebraica. A dare il la è stato anche il ritrovamento di un bracciale d’argento in una collezione di antichità ricevuta in donazione dal Museo nel 2010. Per lo stupore di Benovitz, dietro alle lettere in greco antico incise sul bracciale, di un genere solitamente in uso presso i cristiani, si nascondeva proprio lo Shemà.

Dall’antichità ai giorni nostri, comunità ebraiche di tutto il mondo hanno infatti sfruttato il potere dello Shemà occultandolo in scatoline sotto forma di pergamene arrotolate, incidendolo sui gioielli o simboli visibili, integrandolo in formulari e compendi esoterici, nella speranza di ottenere salute, prole, benessere e sicurezza.

Più in particolare Nancy Benovitz ha esplorato la complessa, e tuttavia intima, relazione tra religione e magia, due ambiti che Gideon Bohak (Università di Tel Aviv), già curatore a Parigi nel 2015 della mostra Magia. Angeli e demoni nella tradizione ebraica, ha definito come «gemelli siamesi».

Yuval Harari (Università di Ben Gurion del Negev) a sua volta li definisce come un caso di «somiglianza familiare», così come i membri di una famiglia condividono determinate caratteristiche, altrettanto vale per alcuni fenomeni magici e religiosi.

Se Freud, ribadendo concetti già esposti in Totem e tabù, aveva definito la magia come «la prima arma nella lotta contro le forze del mondo circostante, prima precorritrice della tecnica dei giorni nostri» (Introduzione alla psicoanalisi – 35esima lezione), alcuni dei suoi successori, a partire da Jung, si sono accostati alle pratiche magiche con maggiori curiosità e indulgenza.

Nel suo Passi sulla via iniziatica, lo psicoanalista e parapsicologo Emilio Servadio (1904-1986), nel dilagare dell’interesse per la magia scorse «una massiccia reazione ai duri obblighi e allo spietato materialismo da cui molti, nella fase attuale della cultura, specialmente occidentale, si sentono oppressi». Se attribuiva agli appassionati aspirazioni spirituali per un certo verso legittime, Servadio li ammoniva tuttavia dall’occultismo spicciolo a buon mercato, invitandoli piuttosto ad adottare «disciplina, fervore, intelligenza e desiderio non di evasione, bensì di rigoroso ritrovamento di grandi verità smarrite o dimenticate».

Personalmente proporrei di accostarci a tale umano bisogno di protezione armati di una buona dose di empatia nei confronti di noi stessi e di chi ci sta accanto. Prima ancora di addentrarci negli ambiti della fede e della magia possiamo interpretare il testo dello Shemà come una sorta di incoraggiamento alla vita, un invito con la garanzia di ricompensa.