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Lì dove sono rimasti solo i bachi da seta: in Sicilia un borgo fantasma tutto da scoprire

Il borgo medievale Sicaminò, una piccola frazione appartenente al comune di Gualtieri di Sicaminò in provincia di Messina, è l’ennesima vittima dell’abbandono

  • 23 febbraio 2020

Il borgo dei bachi da seta di Sicaminò (foto di Cristiano La Mantia)

In una parola, disabitato: si tratta del borgo di Sicaminò, una piccola frazione appartenente al poco distante comune di Gualtieri di Sicaminò, in provincia di Messina, anche conosciuto come l’antico borgo dei bachi da seta.

In un territorio che si trova a metà strada tra i monti Peloritani e la costa tirrenica che si affaccia sul golfo di Milazzo, il piccolo borgo medievale di Sicaminò è l’ennesima vittima dell’indifferenza umana e dell’abbandono di un immenso patrimonio siciliano ormai dimenticato.

Il nome del Comune, Gualtieri Sicaminò, deriva dalla combinazione tra il nome del feudatario Gualtiero Gavarretta, cui appartenne nel XIII secolo, e la preponderante presenza degli alberi di gelso, che in greco si chiamano proprio Sicaminos, anticamente utilizzati per l’allevamento dei bachi da seta che garantivano la produzione del tessuto tipica della zona.

Tutto tace tra le viuzze di questa frazione desolata, un altro luogo in cui a seguito del grande spopolamento urbano iniziato con la riforma agraria degli anni ’50 la natura da spettacolo riappropriandosi di tutto ciò che, a suo tempo, si vide sottratto dall’uomo.

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Un divano maltrattato dal tempo e una poltrona sventrata dall’incuria, al suo fianco, sono gli unici "figli" di un crudele abbandono, che sono rimasti ancora lì, dentro una stanza vuota, con l’atteggiamento un po' illuso di chi si aspetta che, prima o poi, qualcuno vada a riprenderli.

Distante non più di 100 metri dal piccolo borgo disabitato c'è il comune Gualtieri di Sicaminò, che conta invece 1.700 abitanti circa: il paese è diviso in due dal torrente Gualtieri che scorre all’interno del centro abitato sotto una serie di ponti fra cui è impossibile non notare il "Ponte vecchio", bene architettonico di indubbio valore artistico; c’è poi la Chiesa di San Nicola di Sicaminò.

Salendo ancora più su, fino a 290 metri sul livello del mare, si trova una vera attrazione naturalistica: le cascate del Cataolo, una famosa meta di appassionati trekker, biker e canyoning, che facevano parte del "Parco delle Cascate", una struttura d’accoglienza organizzata per le escursioni che è andata però distrutta in seguito ad una frana e ad oggi mai ripristinata.

Ad esplorare la quasi deserta frazione di Sicaminò, dal gusto tra il gotico e l’incantato, è stato il fotografo siciliano Cristiano La Mantia, che fa parte del collettivo fotografico Liotrum Urbex (ne abbiamo già parlato qui), che racconta così la sua esperienza che si è avventurato tra le varie case e casette sparse della piccola frazione, mendo di una decina delle quali ancora abitate.

«Passeggiando per le vie del paese è come vivere un ritorno al passato, percepibile anche attraverso il silenzio che regna nel luogo – dice Cristiano. Anche se tutto è rimasto fermo ad anni addietro, si nota che alcune case del paese sono ancora oggi abitate, che se io non ho incontrato nessuno, eccezion fatta per una coppia di vecchietti che mi hanno invitato a pranzare a casa loro, proprio accanto al Palazzo Padronale».

Diversamente da altre ghost town siciliane, che sono totalmente deserte, nel borgo Sicaminò vivono ancora un paio di anime che tramandano ai passanti la storia del borgo.

La leggenda che avvolge questo luogo desolato riguarda la figura del duca Giuseppe Avarna, ultimo discendente della famiglia Avarna, morto nel 1999 in seguito ad un incendio che distrusse il suo appartamento e l’intera biblioteca di famiglia.

Si narra che il duca, divorziato e poi risposato in seconde nozze, fosse avvezzo a suonare le campane del suo castello ogni qual volta, durante il giorno o nella notte, giaceva con la seconda moglie Tava Daez, una hostess della Pan Am, più giovane di lui di circa 40 anni, per far dispetto alla prima amata che ancora viveva in un'altra ala del castello.

Da quel giorno, il suono di quelle campane venne ribattezzato come il suono della "campana dell’amore".

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