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Penne nere

Gli alpini di Bergamo compiono 100 anni: sempre sul fronte della solidarietà

La Sezione di Bergamo taglia il traguardo dei cento anni. Marco Cimmino, storico e alpino, ripercorre la storia della sezione bergamasca delle penne nere

Il diciotto settembre compiamo cento anni: non io personalmente, sia chiaro, noi alpini bergamaschi. Verrebbe da dire: come vola il tempo! Sembra ieri che giravamo per i monti con le fasce mollettiere e la mantellina grigioverde ed eccoci qua: cablati, griffati e un tantino meno esuberanti in fatto di malghe e sentieri.

La guerra era terminata da qualche mese: sulle pietraie e sotto la neve il gigantesco massacro aveva seminato ossa e rottami, che ancora si offrivano al pellegrino, in tutto il loro macabro orrore. I reduci avevano cominciato a riunirsi tra loro, per raccontarsi storie già sentite mille volte e per bere un boccale insieme. Erano storie talmente terribili che, forse, chi non ci fosse passato le avrebbe trovate inverosimili: anche per questo si percepì l’urgenza di cerare un sodalizio, tra i sopravvissuti, che ricordasse, prima di tutto, i sacrificati.

Nacque l’Associazione Nazionale Alpini, a Milano, in birreria: e non poteva essere altrimenti. Era l’8 luglio del 1919. Noi Bergamaschi, si sa, siamo un po’ lenti: abbiamo il passo pesante e, prima di fare una cosa, ci ponziamo su per benino. Così, ci abbiamo messo più di due anni, per organizzarci e fondare il nostro sodalizio, nel 1921. Primo presidente fu un uomo piccolo, facondo e coraggioso: Ubaldo Riva, il “vecio can degli alpini”. Fu lui che, qualche settimana dopo, pronunciò il discorso funebre nella chiesa delle Grazie, davanti alle quattro bare dei fratelli Calvi: quella cerimonia fu, per Bergamo, la celebrazione, dolorosa e liberatoria, del gigantesco lutto collettivo. Nacque allora la Sezione di Bergamo dell’ANA e, da allora, ha sempre svolto un ruolo attivo e importante nella vita della nostra provincia: tra momenti bui e momenti luminosi.

Perfino nei periodi grigi, quelli in cui la vita sembra ristagnare, gli alpini si sono distinti, rimboccandosi le maniche e mettendosi, come sempre, a disposizione. Certo, col trascorrere del tempo, molte cose sono cambiate: i reduci del 1921 sono invecchiati e, poi, come diciamo noi, sono andati avanti. Altri giovani hanno preso il loro posto e sono arrivati i reduci di un’altra guerra, ancora più terribile. Anche loro hanno avuto figli e nipoti e, in molti, hanno raggiunto i “veci” nel Paradiso di Cantore. Alla fine, siamo venuti noi: figli del benessere e della pace. Alpini un po’ di pastafrolla, almeno all’apparenza: gente ben pasciuta, che non sa cosa vogliano dire la fame e il freddo. Se non fosse per quei mesi di caserma e di marce. Ecco, quello ci ha fatti degni di far parte di questa famiglia bellissima e che incute un tantino di soggezione, con tutti i suoi eroi, con tutti quei montagnini che sembravano scavati nel granito picchiettato dell’Adamello. Solo questo ci ha permesso di raccogliere il loro testimone: e cerchiamo di dimostrarcene degni.

Lo facciamo con il motto coniato da Nardo Caprioli, forse il più noto e amato Presidente della nostra Sezione: “Onorare i morti aiutando i vivi”. Ecco, questo, oggi, siamo noialtri bipedi pennuti: gente affratellata dalla naja e da quella penna nera che portiamo sul cappello. Gente che cerca di combattere una guerra pacifica e utile in nome della solidarietà, della comunità, dell’aiuto a chi sta peggio di noi. Per questo, l’Ana è così attiva e presente in attività di volontariato, protezione civile, mobilitazione sociale, al fianco di tante pubbliche amministrazioni. Naturalmente, la sospensione del servizio militare rappresenta una nuvola scura sul futuro della nostra associazione, ma siamo abituati a non mollare: così, magari un po’ ottimisticamente, vi diamo appuntamento al prossimo centenario. Può essere che lo festeggeremo su Marte: basta che, sul casco spaziale, ci sia un punto a cui attaccare la nappina…

*Marco Cimmino, storico e alpino

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