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Bergamo segreta

L’abbazia di San Paolo d’Argon: centro di pace sulle colline della Val Cavallina

All'interno del suo chiostro è ancora oggi possibile respirare lo spirito benedettino che spinse Giselberto, membro della famiglia dei conti di Bergamo, a donare un proprio appezzamento al convento di San Pietro a Cluny

Il tempo non sembra esser mai trascorso all’interno dell’abbazia di San Paolo d’Argon.

All’interno del suo chiostro è ancora oggi possibile respirare lo spirito benedettino che spinse Giselberto, membro della famiglia dei conti di Bergamo, a donare un proprio appezzamento al convento di San Pietro a Cluny.

La stipula dell’accordo, avvenuta il 19 maggio 1079, rappresenta quindi un passaggio chiave per la storia della struttura la quale sarebbe sorta negli anni successivi come testimoniato già da un documento del 1092.

Dopo secoli trascorsi fra lavoro e preghiere (come previsto dall’ordine fondato da San Benedetto da Norcia), la vita del monastero si accese verso la metà del Quattrocento quando Papa Paolo II decise di affidarlo in commenda a Giovanni Battista Colleoni, nipote del celebre condottiero Bartolomeo.

Rimasto nelle sue mani per circa due decenni, quest’ultimo decise di rinunciare al beneficio nel 1496 offrendo l’edificio alla Congregazione di Santa Giustina di Padova, denominata pochi anni dopo “Cassinese”.

Questo passaggio di proprietà si rivelò particolarmente fiorente per lo stabile che, complice la volontà degli abati di ammodernare e ampliare gli spazi, portò nel 1512 alla realizzazione del chiostro piccolo.

Abbazia San Paolo d’argon

 

Progettato da Pietro Isabello, è delimitato da diciotto colonne corinzie in marmo rosa di Zandobbio raccordate da archi a tutto sesto e cornici in laterizi per un perimetro complessivo di undici metri per diciassette.

La mano dell’architetto orobico è visibile anche nel chiostro maggiore risalente al 1536 e circondato in questo caso da trentadue pilastri in marmo bianco di Zandobbio uniti l’uno con l’altro da archi a sesto ribassato e da quattro “mascheroni” dediti a raccogliere l’acqua piovana.

Se nel caso del cortile più piccolo non è più possibile osservare l’antica fonte (oggi inserita nei giardini di una villa seicentesca di Città Alta), al centro del loggiato maggiore è possibile notare la presenza di un pozzo in marmo.

Ulteriori interventi vennero attuati a cavallo fra il XVI e il XVII secolo quando, sotto il controllo dell’abate Gregorio da Mantova, venne fatto erigere un nuovo refettorio contraddistinto dalla volta affrescata nel 1624 dal veronese Gianbattista Lorenzetti.

Riprendendo la vicende che interessarono il personaggio biblico di Ester, l’autore veneto presentò alcuni dei principali passaggi della vita di corte seguendo così l’obiettivo proposto dai committenti.

Risalente al Seicento è anche la Sala del Capitolo, un tempo addobbata dal “Cristo e l’adultera” di Enea Salmeggia e successivamente utilizzata come cappella per le funzioni religiose. Danneggiata dall’incuria e dalle devastazioni compiute in seguito alla soppressione napoleonica, essa venne affrescata nel 1946 dal pittore Ferdinando Mozio Compagnoni.

L’arrivo in Italia di Napoleone Bonaparte segnò l’esistenza dell’abbazia di San Paolo d’Argon che, su ordine del condottiero corso, il 6 giugno 1797 venne soppressa e i suoi beni incamerati dall’Ospedale di Bergamo.

Trasformata in una casa colonica, la struttura ritrovò il proprio splendore a partire dal 1935 quando la stessa venne acquistata dai coniugi Giovanni e Luigina Prometti i quali provvidero a donarla al vescovo di Bergamo Adriano Bernareggi e a porre le basi per l’ingresso del Patronato San Vincenzo.
Gestito da don Bepo Vavassori, lo stabile divenne a partire dal 1978 un centro di spiritualità consentendo così a tutti di rivivere quel clima di pace che l’ha rizzata per secoli.

Fonti

Mario Sigismondi; San Paolo D’Argon e il suo monastero, 1079-1979; 1979

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