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Alla scoperta delle grandi macchine a spalla Patrimonio Unesco

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Le “grandi macchine a spalla” sono una tradizione radicata del Belpaese, ma quanti sanno cosa sono? Il nome è rivelatore fino a un certo punto.

La parola “macchina” fa riferimento a un’antica accezione popolare, che indica una struttura in legno riccamente decorata, ornata di simboli sacri e condotta in processione durante le feste religiose. Dunque, non un qualche tipo di congegno meccanico, bensì un “baldacchino” addobbato in modo sontuoso e di dimensioni imponenti – talvolta monumentali – sorretto da “portatori”.

Tali strutture hanno forme che spaziano da impalcature, a torri, fino a veri e propri “carri trionfali”, ma l’uso è sempre votivo e collegato alla tradizione cristiana. Benché non sia da escludere che l’origine sia più antica e abbia a che fare con remoti rituali pagani.

Le macchine vengono utilizzate in feste religiose ed eventi sacri e in Italia sono presenti un po’ ovunque. Ma quattro hanno una storia e un valore particolarmente importanti e dal 2013 fanno parte del Patrimonio Culturale Immateriali dell’Umanità UNESCO.

Le strutture e le celebrazioni riconosciute e tutelate dall’Organizzazione delle Nazioni Unite sono quelle di Viterbo, Nola, Palmi e Sassari e costituiscono la Rete delle Grandi Macchine a Spalla Italiane.

La Macchina di Santa Rosa (Viterbo)

L’origine della Macchina di Santa Rosa è incerta, ma la tradizione è nata per commemorare la traslazione delle spoglie della patrona di Viterbo dalla Chiesa di S. Maria in Poggio al Santuario a lei dedicato. Dunque, dopo il 1258. Per la prima processione è stata utilizzata una statua della santa su un baldacchino, poi la portantina con il simulacro – il “fercolo” – è cresciuta fino a diventare un gigantesco carro trionfale.

La versione attuale della macchina risponde a requisiti codificati. È alta “28 metri sopra la spalla” dei portatori (per un massimo di 30 metri complessivi), è illuminata da luci elettriche e a fiamma viva e viene cambiata tramite bando ogni cinque anni (ma alcune sono state utilizzate per più tempo). L’imponente struttura viene assemblata – “nascosta” da teli e impalcature – presso Porta Romana ed è qui che ha inizio il viaggio per le strade di Viterbo.

A trasportare la macchina a spalla sono più di cento “facchini”, vestiti di bianco e di rosso a simboleggiare la purezza di Santa Rosa e la tonaca dei cardinali che hanno traslato le sue spoglie. I facchini sono divisi per categorie in funzione del posto che occupano e del compito che svolgono – acquisiti in un “cursus honorum” – e prima di partire ricevono la benedizione “in articulo mortis”. Il sacramento viene dato a chi si trova “in pericolo di vita” ed evoca la fatica e il rischio che affrontano i portatori per muovere la macchina.

La processione – che si svolge la sera del 3 settembre – copre un percorso di poco più di un chilometro ed è scandita da cinque fermate. Il punto di arrivo è il Santuario di Santa Rosa, dove l’imponente struttura viene lasciata esposta per alcuni giorni prima di essere ritirata.

La Festa dei Gigli (Nola)

La Festa dei Gigli fa riferimento alla conquista di Nola da parte del Re dei Goti, Alarico, e al sacrificio fatto dal vescovo della città, San Paolino, per liberare i propri concittadini. La leggenda narra che il religioso abbia venduto ogni bene per riscattare bambini, uomini e donne. Ma le ricchezze raccolte, se pure ingenti, non sono bastate a liberare tutti e così, alla fine, Paolino ha offerto sé stesso come prigioniero.

Il santo è diventato il giardiniere di Alarico, che dopo alcuni anni ha deciso di lasciarlo andare per via di certi “strani sogni”. Paolino è tornato in patria e i nolani lo hanno accolto con una marea di gigli e scortato al palazzo vescovile con una processione guidata dai gonfaloni delle varie corporazioni. Da quell’evento ha preso forma la Festa dei Gigli, che viene celebrata il 22 giugno (se è un giorno feriale, la domenica seguente).

La manifestazione è una “processione danzante”, animata da otto “gigli” monumentali e da una “barca”, che rappresenta il mezzo con il quale San Paolino è tornato a Nola. I gigli sono torri piramidali di legno alte 25 metri e decorate con elementi storici, religiosi e d’attualità in cartapesta, stucco e altri materiali e vengono trasportate dai “cullatori”. Questi ultimi, in tutto, sono 128 e nel loro insieme formano la “paranza”.

I gigli e la barca rappresentano ciascuno una della antiche corporazioni delle arti e dei mestieri, mentre la processione non è che il culmine di un complesso cerimoniale che dura un anno intero. Il rituale inizia a mezzanotte del 22 giugno con l’assegnazione dei gigli a (nuovi) maestri di festa e si conclude con la “svestizione” e l’abbattimento della “borda”, l’impalcatura che sorregge i grandi simulacri.

La Varia di Palmi (Palmi)

La Varia di Palmi è legata all’epidemia di peste che ha colpito Messina nel 1575. I messinesi hanno ricevuto un grande aiuto dai palmesi e in segno di riconoscenza hanno deciso di donare loro uno dei tre (presunti) capelli della Madonna custoditi in Duomo. La preziosa reliquia sarebbe arrivata in città nell’anno 42, insieme a una missiva scritta dalla Vergine, in cui la Madre di Cristo dava a Messina la propria benedizione e protezione. O almeno, così vuole la tradizione.

Per certo, il dono è stato accolto con grande partecipazione dagli abitanti di Palmi, che da quel momento hanno iniziato a venerare la Madonna della “Sacra Lettera”. In onore della Vergine sono stati costruite edicole e cappelle e l’ultima domenica di agosto è stata istituita una processione con un monumentale carro sacro, la “varia” o “vara”.

La macchina di Palmi è un’imponente struttura che rappresenta l’universo e l’assunzione in cielo della Vergine ed è peculiare perché i vari personaggi sono dei figuranti in carne e ossa. Sul carro  – un cono rovesciato alto 16 metri, portato a spalla da duecento “'mbuttaturi” – si alternano i dodici apostoli e schiere di angioletti. In cima siede la Madonna o ”Animella” e poco sotto trova posto il “Padreterno”.

Il cerimoniale inizia il 16 agosto con “a calata d’u Cippu”, il basamento in legno su cui viene innalzata la varia, poi prevede vari rituali, fino alla processione dell’ultima domenica del mese, il “giorno della scasata”.

La Faradda de li Candareri (Sassari)

La Faradda di li Candareri – letteralmente, la “Discesa dei Candelieri” – è una processione religiosa danzata, che si tiene la sera del 14 di agosto per celebrare l’Assunzione di Maria. La tradizione la fa risalire al tardo medioevo e la collega a un voto fatto alla Vergine dagli abitanti di Sassari per avere salvato la città dalla peste del 1652. Ma perché si chiama così?

La “discesa” è un tracciato che parte dall’Oratorio del Rosario, percorre tutto il centrale corso Vittorio Emanuele, esce dal perimetro della mura trecentesche e termina alla Chiesa di Santa Maria de Betlem. I “candelieri” sono grandi ceri simbolici in legno, addobbati ciascuno con l’effigie del santo patrono o della Madonna e i simboli delle tredici antiche corporazioni delle arti e dei mestieri della città (i “Gremi”).

La tradizione combina questi due elementi in una suggestiva processione, in cui otto portatori per ogni delegazione dei Gremi “scendono” con i “candareri” lungo il percorso, compiendo una vera e propria danza. Il “ballo” delle grosse strutture richiede una grande abilità e un considerevole sforzo fisico da parte degli uomini che le sorreggono, ma più il candeliere è “baddarinu” e più l’annata sarà buona.

La faradda prevede diversi momenti simbolici e religiosi e si conclude intorno a mezzanotte, con l’ingresso dei partecipanti – secondo un ordine prestabilito – nella Chiesa di Santa Maria de Betlem. Qui viene data una benedizione che scioglie l’antico voto fatto dai sassaresi alla Madonna e “libera” la città e i suoi abitanti fino all’anno successivo.

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