San Vitaliano tra storia e leggende a Catanzaro

Tanti i racconti tramandati fino ai giorni nostri, testimonianza del grande legame tra il Santo e la città


Fede, tradizione, storia, racconti e leggende s’intrecciano intorno alla figura di San Vitaliano Vescovo di Capua, il Santo patrono della città di Catanzaro. Sentimenti ed emozioni accompagnano i suoi fedeli che, nonostante la modernità dei tempi, si rinnovano ogni anno in occasione della sua festa, testimoniando un grande attaccamento al Santo di Capua cui sono attribuiti miracoli che, nel corso dei secoli, hanno alimentato la fede dei cittadini che, ancora oggi, vivono con intensità i festeggiamenti religiosi in suo onore. Ma non solo, perché racconti e aneddoti tramandati fino ai giorni nostri, alcuni forse poco conosciuti, rendono ancora più intimo e prezioso il legame con questo Santo a cui Catanzaro deve molto.

Al Vescovo di Capua, è attribuito il miracolo secondo il quale il capoluogo rimase immune dalla peste che colpi nel 1656 l’intera Calabria, come si legge nel libro di Silvestro Bressi, “Iconografia e religiosità popolare dei Catanzaresi”, un uomo proveniente da Girifalco e uno da Borgia, entrambi affetti da peste, non solo non contagiarono i catanzaresi ma, arrivati in città, guarirono. Ma l’intercessione miracolosa di San Vitaliano non si esaurisce qui: “Si gridò al miracolo quando i soldati del Centelles, usciti dal castello, incendiarono il circostante rione. Il vento ne favorì la propagazione e il fuoco minacciò l’intera Città – scrive Bressi – Ma, secondo quanto trascritto dagli storici, il Protettore fece cambiare la direzione del vento e salvò l’abitato e la popolazione. Bruciò soltanto la contrada Paradiso, oggi Case Arse.” E la sua intercessione fu più volte invocata anche in occasione del verificarsi di terremoti che, guarda caso, se pur di notevole entità non procurarono molti danni alla popolazione.

Oltre ai miracoli, sono curiose leggende intorno al Santo a legarsi al capoluogo, “una narra che la città è dominata dal libeccio, dal ponente e qualche volta anche dalla tramontana per volontà di San Vitaliano – racconta Bressi – lo stesso volle accontentare suo fratello che, non sopportando l’afa catanzarese, si rifiutava di venirlo a trovare.” Ma sono anche simpatici aneddoti a colorare il legame tra il Santo di Capua e i suoi fedeli, tra questi uno è legato al Suo busto d’argento privo di braccia, pare infatti che, come scrive Bressi, Vitaliano, il calzolaio del rione del Carmine che al posto della “erre” pronunciava la “elle”, si rivolse per diversi giorni al Protettore al quale era devoto per ricevere una grazia: “San Bitalianu meu, fammi ma mangiu, ma vivu, ma dolmu e non ma faticu mai!” “Un giorno il sacrestano, stufo di sentire quella noiosa tiritera, nascosto dietro una colonna, gli risposte con voce ferma e solenne  quasi fosse stato San Vitaliano in persona a parlare : “Talianè, si voi ma mangi e ma vivi e ma dolmi, hai ma fhatichi!” Il Calzolaio sorpreso perché il Santo gli aveva parlato con un linguaggio identico a quello degli abitanti del Carmine replicò che alla statua erano stati tagliate le braccia perché  un tantino “dispettosa”.

Simpatiche caricature di curiosi personaggi della città e vecchie storie della tradizione che fanno capire quanto sia forte il legame tra i cittadini e il suo Santo Patrono e quanto i catanzaresi lo sentano un Santo a loro molto vicino. Quella di San Vitaliano è sì una festa della tradizione popolare ma è anche un momento di fede intima, di ricordi del passato che contribuiscono a rafforzare l’identità di una città da sempre considerata di arte, fede e tradizione.

Maria Teresa Rotundo