Un pane, un tipo di pasta ed un gelato ricordano la principessa Mafalda, morta nel campo di Buchenwald ad appena 42 anni
Secondogenita di re Vittorio Emanuele III ed Elena di Montenegro, la principessa Mafalda Maria Elisabetta Anna Romana di Savoia, langravia d’Assia, muore tragicamente, in un campo di concentramento nazista bombardato dagli alleati angloamericani, dopo un anno di prigionia, una grande lezione di coraggio e di umiltà.
La sua dolorosa vicenda umana illumina il succedersi di eventi nello storico scenario della seconda guerra mondiale innescando un interessante scambio d’opinioni non sempre
incontrovertibili sulla dinastia dei Savoia.
La regina Elena, donna generosa e forte, apprese alla radio, molti mesi dopo, che la figlia era morta sotto le bombe, a Buchenwald.
Era una donna molto magra e molto piccola, pesava solo 50 chili, da bambina aveva avuto il tifo ed era nata con problemi alle gambe.
La principessa Mafalda conobbe il futuro marito, il principe tedesco Filippo d’ Assia, all’ Opera di Roma, dove si incontrarono per la prima volta, lei nel palco reale in alto, lui in platea.
Il gioco degli sguardi e dei sorrisi li aveva uniti, ma la religione li divideva. Lei era cattolica, mentre lui luterano, ed il re Vittorio Emanuele III in principio fu contrario, ma lei, intanto, per amore aveva imparato il tedesco ed alla fine, il padre acconsentì alle nozze che si celebrarono
Racconigi, il 23 settembre 1925 regalando alla sposa la residenza romana di villa Polissena, un casale ai Parioli dove hanno poi abitato gli Assia e dove oggi risiede Mafalda junior con la sua famiglia.
Filippo e Mafalda ebbero quattro figli: Otto, Enrico, Maurizio ed Elisabetta. Filippo, ufficiale dell’esercito prussiano, in principio aveva creduto in Hitler ed era entrato nelle SS. come tanti, in Germania, dopo l’ umiliazione della Prima guerra mondiale, cercavano una riscossa.
La principessa durante la prima guerra mondiale, con le sorelle, seguì la madre nelle sue frequenti visite ai soldati e agli ospedali, venendo così coinvolta nelle attività materne di conforto e cura alle truppe.
Nell’ estate del 1943, dopo la destituzione del Duce e la fuga dei regnanti Vittorio Emanuele ed Elena verso Brindisi, l’esercito resta senza ordini.
L’ Italia è nel caos. Mafalda di Savoia, alla fine di agosto, era partita per Sofia.
Andava ad assistere la sorella Giovanna, il cui marito, re Boris di Bulgaria, era in coma, con tutta probabilità avvelenato da Hitler per non essersi schierato con lui.
Boris si era ripreso, ma poi dopo tre giorni morì. Il suo corpo fu poi disperso, oggi se ne conserva soltanto il cuore nel monastero di Rila, e Boris III è anche l’unico sovrano bulgaro ad essere morto e sepolto in patria. Il fratello Cirillo, nominato reggente, fu linciato. La Regina Giovanna ed i suoi figli dovevano essere giustiziati dai comunisti, ma era ancora troppo vicino l’eccidio della famiglia dello zar e per questo furono risparmiati. Successivamente partirono per Istanbul in treno e riuscirono a salvarsi.
La firma della resa dell’Italia agli anglo-americani e il suo successivo annuncio l’8 settembre la colsero fuori dal suolo natio. Hitler voleva arrestare il Re Vittorio Emanuele III, la Regina e il principe ereditario, si sottrassero alla cattura trovando rifugio ad Ortona e poi, via mare, a Brindisi. Mafalda volle a tutti i costi ritornare a Roma per riabbracciare
i figli. I piccoli Savoia-Assia erano ben nascosti in Vaticano sotto la protezione del cardinal Montini, il futuro Paolo VI. Fu catturata con l’inganno dai nazisti di Kesselring e fu arrestata il 22 settembre 1943 a Villa Wolkonski sede dell’ambasciata tedesca.
La principessa possedeva solo i vestiti che indossava al momento dell’arresto. Le sue richieste di abiti e biancheria furono sempre negate. Le fu proibito anche di scrivere ed il suo nome venne cambiato con quello di MadameA Abeba.
Fu rinchiusa in una baracca riservata a prigionieri particolari che non lavoravano e ricevevano il vitto delle SS che era poco migliore di quello che ricevevano i prigionieri comuni, soggiornò insieme al socialdemocratico tedesco ed ex ministro Brenschiel e sua moglie nonché una dama di compagnia.
La principessa ebbe occasione di conoscere un prigioniero italiano, il sardo Leonardo Bovini, addetto allo scavo di una trincea antiaerea all’interno del recinto della baracca dove era prigioniera, e fu da lui che si ebbe la notizia della sua presenza al Campo.
Il 24 agosto del 1944 Buchenwald venne bombardata dagli alleati anglo-americani. Mafalda rimase ferita gravemente: il braccio sinistro ustionato fino all’osso e una vasta bruciatura sulla guancia. Venne trasportata nella camera di tolleranza del Campo trasformata
provvisoriamente in lazzaretto.
Fu operata in ritardo dal medico capo delle SS perché non avesse contatti con i prigionieri e con metodi inadeguati alla circostanza. Non venne soccorsa adeguatamente e dopo quattro giorni d’agonia in preda alla cancrena moriva, a soli 42 anni.
Il dottor Fausto Pecorari, radiologo internato a Buchenwald dichiarò che la principessa era stata intenzionalmente operata in ritardo e l’intervento era il risultato di un assassinio sanitario avvenuto per mano di Gerhard Schiedlausky come era già avvenuto per altri casi, soprattutto quando si trattava di eliminare “personalità di riguardo”.
La sua salma, grazie al padre boemo Joseph Tyl, monaco cattolico dell’ordine degli Agostiniani Premostratensi, non venne cremata, ma fu messa in una cassa di legno, sepolta sotto la dicitura: 262 eine unbekannte Frau (donna sconosciuta). Trascorsero alcuni mesi e sette marinai di Gaeta, reduci dai lager nazisti, venuti a conoscenza che la loro compagna di campo di
concentramento era morta, in un gesto di umana pietà verso la sua sfortunata vicenda, vollero recarsi nel cimitero di Weimar e, individuata la tomba, per onorare la memoria della sfortunata principessa apposero: una croce intagliata nel legno di faggio (Buchenwald significa, appunto, bosco di faggi) ed una lapide di marmo che reca l’epigrafe: “A Mafalda di Savoia i marinai della città di Gaeta…”
La croce e la lapide venne commissionata ad artigiani tedeschi, che furono compensati con forme di pane, visto che i loro “fornitori” non vollero, in cambio, gli ormai inutili marchi tedeschi.
Quel segno di un affetto che superava anche i tragici inizi di un doloroso fine guerra e fine delle stragi naziste, ci sono ancora oggi, perché hanno seguito la salma che la Famiglia d’Assia ha deposto nel cimitero del borgo di Cronberg.
All’esterno della neoclassica Villa Polissena, nella via oggi intitolata a Mafalda di Savoia, è collocato un piccolo altare composto da un rilievo della Vergine con il bambino (di cui la principessa era molto devota) e da un busto della principessa, sul piedistallo del quale sono incise queste parole: «Alla memoria di Mafalda di Savoia, principessa d’Assia, nata a Roma il 19 novembre 1902, morta da martire a Buchenwald il 28 agosto 1944». Mafalda di Savoia riposa oggi nel piccolo cimitero degli Assia nel castello di Kronberg in Taunus a Francoforte-Höchst, frazione di Francoforte sul Meno.
Più di centocinquanta vie, piazze, giardini pubblici sono intitolati a lei, esiste il comune di Mafalda che porta il suo nome in provincia di Campobasso, cippi e monumenti eretti in suo onore, diverse scuole italiane e club dedicati alla sua memoria, le richieste di intitolazioni topografiche proseguono dal nord al sud d’Italia.
Ma esistono anche 3 eccellenze della nostra gastronomia italiana che prendono il suo nome: Le Mafalde (pasta Campania), la Mafalda (pane Sicilia) la Mafalda (dolce Salento- Puglia).
Le Mafalde, sono un tipo di pasta tipico della Campania, un tempo erano dette “Fettuccelle Ricche” o Manfredi. Successivamente furono dedicate alla memoria della principessa Mafalda di Savoia e ribattezzate Reginette o “Mafaldine”. Si prestano ad essere condite con vari sughi di carne, vengono condite con la ricotta precedentemente stemperata nel ragù napoletano, ed entrano spesso nella composizione della pasta mischiata.
La Mafalda è un pane tipico siciliano, che ha origini nell’area palermitana. Caratterizzato da semola di grano duro e semi di sesamo, può assumere diverse forme, è un pane morbido, dalla crosta dorata e croccante, ed è uno dei prodotti da forno della gastronomia palermitana più venduti.
Viene realizzato con metodi tradizionali, ma si pensa che le sue origini siano arabe, dato l’impiego della ‘giuggiulena’ (semi di sesamo), questo tipo di pane, è particolarmente profumato, ed è caratterizzato da due ingredienti fondamentali: farina di semola e semi
di sesamo, questi ultimi sono un ingrediente importante della cucina araba, e la cucina siciliana è legata a questa da molti piatti; con i semi di sesamo viene infatti realizzata ad esempio la cubbàita, un dolce molto semplice a base di farina 00, farina di mandorle, zucchero, cannella e lievito, il cui impasto viene spesso aromatizzato anche con semi di anice e zafferano, altro ingrediente di origini arabe. Con questo termine vengono chiamate anche le rocce di arenaria locale; ad esempio quelle che formano la catena dei monti Iblei, per la loro facilità nello sfaldarsi, nel ridursi appunto nella forma di piccoli ciottoli, quasi come semi di sesamo.
Il pane palermitano, presenta poi un’altra caratteristica fondamentale: la sua forma. Viene infatti spesso foggiato dando una curiosa forma a S, che dovrebbe formare ‘gli occhi
di Santa Lucia’. Allo stesso modo, quando la parte superiore del panetto viene tagliato in due punti prima della cottura, va a formare ‘la Corona’; nei punti incisi infatti, il pane si andrà ad aprire grazie al calore del forno, fino a disporsi con una forma a ventaglio.
Ma con molta probabilità sembra che questo pane sia stato in realtà realizzato nell’Ottocento, e che un maestro panificatore catanese l’abbia dedicato, nei primi del Novecento, a Mafalda di Savoia.
Con il nome di Mafalda, viene realizzato a Galatina, nel Salento, un gelato artigianale (a base di cioccolato) che si presenta in porzioni a forma di “a mezza luna” e’ composto da un tronchetto in uno stampo rettangolare, congelato e poi tagliato a fette.
Fu Antonio Matteo nel 1955 che lo realizzo’, il tronchetto di gelato fu poi ricoperto di mandorle tostate, private della buccia e, a fette spesse due centimetri, confezionato in carta.
La scelta del nome è presto spiegata: Antonio, per recarsi al lavoro, percorreva sempre due strade, che ancora esistono. La prima era dedicata alla principessa Jolanda, l’altra alla principessa Mafalda.
Su quest’ultima cadde la sua preferenza raccogliendo anche consensi di pubblico e, anno dopo anno, gli valse innumerevoli riconoscimenti, non ultimo, l’entrata trionfale nei Pat (Prodotti Agroalimentari Tradizionali), cioè le tipicità territoriali tutelate dal ministero delle Politiche agricole e dalla Comunità Europea. La Gazzetta Ufficiale ne riporta la registrazione in data 5 giugno 2009.