«Ti lascia perseguitato, scosso e devastato in modo schiacciante, come solo i migliori film sono in grado di fare». Così la critica cinematografico Tomris Laffly ha descritto La figlia oscura esordio alla regia di Maggie Gyllenhaal, tratto dal romanzo breve di Elena Ferrante e disponibile (per il momento solo in inglese) su Netflix (ma presto in arrivo in Italia, anche se ancora non c'è una data certa). Demoni del passato, traumi indicibili e desideri repressi emergono a sorpresa nei dettagli più semplici: una ciotola di frutta marcia, una cicala entrata in camera da letto, una bambola macchiata di inchiostro. L'angoscia più profonda è quella che ti assale quando tutto intorno è quiete e bellezza: una spiaggia su un'isola greca dove puoi rilassarti e goderti il rumore del mare. È in questo angolo di quiete apparente che due donne si incontrano e si riconoscono come l'una lo specchio dell'altra, in un legame quasi erotico e tendenzialmente ossessivo. Sono arrivate le prime recensioni e La figlia oscura si preannuncia, per usare le parole dell'Hollywood Reporter, «un must-see».

la figlia oscura, recensione del film tratto dal romanzo di elena ferrantepinterest
Courtesy Photo Pie Films
Dakota Johnson interpreta Nina ne La Figli Oscura

«Adattato da Gyllenhaal dall'omonimo romanzo di Elena Ferrante del 2006», scrive Jeannette Catsoulis per il New York Times, «La figlia oscura è un thriller psicologico sofisticato e dalla trama elusiva. Goccia dopo goccia, un vago senso di minaccia si accumula mentre Leda (Olivia Colman) è attratta da Nina (Dakota Johnson), l'infelice madre di una bambina irritabile». Leda Caruso, è una professoressa di letteratura comparata di 48 anni, ha due figlie ventenni ed è in Grecia per concedersi una vacanza. Nina è una giovane madre, gioca tutto il giorno con sua figlia e nell'ambiente asfittico della sua famiglia chiassosa sogna di essere come Leda, una donna colta, intelligente, raffinata ed emancipata. Leda e Nina sono entrambe madri, ma in modo molto diverso: una delle due ha scelto di sottomettersi a un ruolo che pure la schiaccia lasciandola orfana di se stessa, l'altra, in passato, vi si è sottratta solo per scoprire che è una parte di lei da cui non può sfuggire. «Eppure», prosegue Catsoulis, «solo una lettura superficiale de La figlia oscura lo descriverebbe come una meditazione sui doppi strattoni di bambini e carriera. È, invece, un'esplorazione oscura e profondamente inquietante di qualcosa di molto più crudo, e persino radicale: l'idea che la maternità possa depredare il sé in modi irreparabili».

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Courtesy Photo Pie Films
Jessie Buckley interpreta Leda nei flashback

The Lost Daughter (titolo originale) come sottolinea il The Guardian, tocca il non detto più temuto: non tanto la cattiva madre, la madre-mostro, ma la madre benintenzionata che scopre la bugia che le è stata trasmessa. «La posta in gioco de La figlia oscura sembra così pesante, l'esperienza visiva così inquietante e trasgressiva, perché il mito che i ricordi di Leda svelano abilmente - che la maternità arriverà alle donne in modo naturale, che darà qualcosa senza togliere qualcosa di irreparabile e prezioso - è così profondamente intessuto nella nostra cultura da essere quasi invisibile».

Il film, infatti, come fa notare anche il New Yorker, «incentra il dramma dell'attuale e ingombrante solitudine di Leda sugli stress della sua vita di giovane madre e sul suo salto nell'indipendenza separandosi dalle sue figlie». La giovane Leda (interpretata da Jessie Buckley nei numerosi flashback) per quanto si sforzi non riesce a far coincidere il suo essere donna e il suo essere madre, il tentativo stesso sembra a tratti una violenza e così sceglie di andarsene. «Leda incarna un tipo di donna i cui bisogni sono raramente affrontati nei film mainstream americani. Possiamo non amarla, ma non ci è mai permesso insultarla». È una donna che vorrebbe essere in grado di fare da madre a se stessa e agli altri, ma in qualche modo rimane imprigionata nel ruolo di figlia.

«Ancora oggi», si legge nella recensione di Variety, le donne sono giudicate severamente dalla società per aver agito in modo egoistico, per aver messo la loro carriera prima dei loro figli, il piacere prima dei partner. Quando gli adulti regalano bambole alle bambine, è con il presupposto che diventeranno madri responsabili. Il condizionamento inizia presto, ma non sempre si attacca. Questo simbolismo non si perde in Ferrante, né si perde nella traduzione di Gyllenhaal».

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