Un cyborg, secondo la filosofa femminista Donna Haraway è «una creatura della realtà sociale così come una creatura della finzione». Difficile trovare una definizione migliore degli "avatar magici" che, nelle ultime settimane, stanno invadendo i nostri feed Instagram e TikTok. Sono il prodotto di Lensa A.I. un'app diventata virale, in grado di generare, a partire dai nostri selfie, ritratti simili a quelli di artisti e illustratori professionisti. In realtà, alla base, c'è un modello di intelligenza artificiale. Funziona così: è sufficiente caricare alcuni autoscatti per vederli rielaborati in immagini completamente nuove, personaggi che ci somigliano ma che, allo stesso tempo, non hanno nulla di reale e richiamano diversi stili artistici. L'app ha raggiunto il primo posto in classifica nella categoria "Foto e video" dell'App Store iOS all'inizio di questo mese e ha alimentato diverse polemiche. La principale riguarda il copyright degli artisti a cui l'intelligenza artificiale si "ispira" per le propria creazioni, ma c'è molto altro.

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Lensa A.I., per creare le nuove immagini, attinge a dataset enormi di immagini recuperate dal mare magnum del web. Il punto è che, in quelle immagini, c'è parte del nostro Dna sociale. Per questo gli avatar, come molti utenti hanno notato, assumono spesso elementi misogini, razzisti o abilisti. Persone con disabilità sono state rappresentate come abili, persone grasse come magre e molte donne hanno ottenuto avatar ipersessualizzati. «Sono solo io o queste app di AI perpetuano la misoginia?» ha twittato l'attivista femminista Brandee Barker. Lo stesso ha notato Megan Fox su Instagram postando i disegni prodotti per lei da Lensa e chiedendosi perché rappresentassero tutte donne mezze nude. Il Guardian ha provato a fare una verifica: ha caricato sull'app foto di autrici e attiviste femministe famose da Betty Friedan a Shirley Chisholm. Il risultato comprende seni rifatti, scollature provocanti e canoni di bellezza standardiddazti e occidentali.

Wired racconta che, anche caricando foto di bambine (l'app chiede di inserire solo immagini di persone maggiorenni), si ottengono ritratti sessualmente espliciti e piuttosto inquietanti. Tutto questo apre a importanti questioni sulla privacy, sul consenso all'uso delle immagini altrui e su come l'intelligenza artificiale perpetui, senza più limiti, gli stessi bias di cui l'abbiamo nutrita, sfuggendo dal nostro controllo. Guardando negli occhi i nostri avatar magici, cloni tanto fantastici quanto disturbanti, torna quello che scriveva Haraway: il legame tra uomo e macchine è arrivato al punto che non possiamo più dire dove finiamo noi e inizia la tecnologia.