Salmo 145. Il Dio ebraico-cristiano non vuole dei sudditi, ma dei figli. E offre libertà

Noi abbiamo tale entusiasmo nell’annuncio del Signore come un tesoro che non si può né perdere, né tenere nascosto?

Salmo 145. Il Dio ebraico-cristiano non vuole dei sudditi, ma dei figli. E offre libertà

Il salmo 145 è importante nella tradizione ebraica perché fa parte delle tre preghiere che ogni fedele recita ogni giorno. È significativo che esso sia pensato come una preghiera giornaliera perché questo presuppone che la lode non sia la conseguenza di un particolare beneficio ricevuto nell’arco del giorno, ma sia piuttosto una disposizione d’animo gratuita, potremmo dire una dichiarazione d’amore che è di per sé un afflato spontaneo. In tal senso sono emblematici i primi versi: “O Dio, mio re, voglio esaltarti e benedire il tuo nome in eterno e per sempre. Ti voglio benedire ogni giorno, lodare il tuo nome in eterno e per sempre. Grande è il Signore e degno di ogni lode; senza fine è la sua grandezza” (vv. 1-3) Non viene esplicitato il motivo della lode, ma espresso con termini diversi il desiderio di esaltare il Signore per il suo stesso nome, ovvero per la sua stessa identità e poi il verso successivo amplifica l’inno nello spazio e nel tempo: “Una generazione narra all’altra le tue opere, annuncia le tue imprese”. Dunque, questo Dio non è è un benefattore da accaparrarsi e tenere segreto perché non elargisca anche ad altri i suoi doni. La fede nel Dio di Israele si sostanzia nella trasmissione di una memoria di riconoscenza. La dimensione della narrazione è sostanziale nella fede ebraica e del resto, se non fosse così, anche noi cristiani non potremmo credere che, al tempo stabilito, quel Dio, narrato di generazione in generazione, si potesse raccontare pienamente attraverso la Parola definitiva che è Gesù. Anche in altri versi successivi c’è il desiderio di farsi raccontatori della relazione viva con Dio: “le tue meraviglie voglio meditare” (v. 5) “Parlino della tua terribile potenza, anch’io voglio raccontare la tua grandezza” (v. 6). “Diffondano il ricordo della tua bontà immensa, acclamino la tua giustizia.” (v. 7). Noi abbiamo tale entusiasmo nell’annuncio del Signore come un tesoro che non si può né perdere, né tenere nascosto? Perché siamo diventati così tiepidi? Forse se non sappiamo cantare le meraviglie del Signore non è perché egli non continui a compierle, o perché le difficoltà siano sempre maggiori delle soddisfazioni, ma perché non conosciamo abbastanza bene chi sia questo Padre nei cieli che tanto dovremmo ammirare. Non ci stiamo fidando pienamente di lui perché è come se ad un certo punto avessimo piantato lì di leggere un libro (la Bibbia è il libro per eccellenza) e avessimo detto a chi ci raccontava la sua storia che avremmo finito di ascoltare un’altra volta e poi non lo abbiamo fatto più. Magari anche con chi ci ha preceduto nella fede siamo stati diffidenti, non abbiamo scommesso su quella proposta, o lo abbiamo fatto un po’ per inerzia e ora come possiamo invitare alla fede in modo attraente i nostri figli? Come quei genitori che piazzano i bambini nelle prime panche delle chiese per la Messa domenicale, vicino ai catechisti e poi se ne vanno… Se quello delle famiglie è un canale comunicativo otturato per far fare ai ragazzi esperienza di Gesù, la responsabilità delle comunità parrocchiali diventa davvero onerosa perché, per quanto sia infinita la fantasia dello Spirito Santo, dobbiamo riconoscere che nessun messaggio corre più veloce che attraverso le connessioni dei nuclei famigliari. Proseguendo nella lettura del salmo ci accorgiamo che la lode a Dio si concretizza descrivendo i suoi tratti e i suoi gesti. “Misericordioso e pietoso è il Signore, lento all’ira e grande nell’amore. Buono è il Signore verso tutti” (vv. 8-9). “Il Signore sostiene quelli che vacillano e rialza chiunque è caduto” (v. 14). Il salmista percepisce quanto l’opera di Dio si compia esclusivamente per amore, senza tornaconto e quanto vi sia un’inversione proporzionale fra la grandezza del Signore e la sua predilezione per chi è più piccolo. “Gli occhi di tutti a te sono rivolti in attesa e tu dai loro il cibo a tempo opportuno. Tu apri la tua mano e sazi il desiderio di ogni vivente” (vv. 15-16). La stessa sussistenza non può darsi per scontata e sicuramente Gesù aveva in cuore queste parole riferendosi al pane quotidiano del “Padre Nostro”. Nel prosieguo della preghiera è come se l’orante prendesse consapevolezza che il Dio a cui si sta rivolgendo è diverso da tutti gli altri “idoli” che pretendono qualcosa da noi e ci privano della nostra libertà, rendendoci da essi dipendenti. Il Dio ebraico-cristiano non vuole dei sudditi, ma dei figli e offre libertà, riconosce il bene che riusciamo a compiere e nella prova “è vicino a chiunque lo invoca, a quanti lo invocano con sincerità. Appaga il desiderio di quelli che lo temono, ascolta il loro grido e li salva” (vv. 18-19).

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Fonte: Sir