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Catalanesca, vitigno secolare ecco il nettare del Vesuvio

  21 Ottobre 2016

Dalle pendici del Monte Somma alle tavole di tutto il mondo, il vino imbottigliato dalle Cantine Olivella ha ottenuto la certificazione IGP nel 2011 grazie al contributo dell’azienda vinicola di Sant’Anastasia.

Alle Cantine Olivella dobbiamo molto circa la storia di un vino che è diventato il fiore all’occhiello del Vesuvio! 

Tutti lo amano, e il suo nome si sta facendo sempre più fama: parliamo del Catalanesca, o per meglio dire, del Katà! 

Dietro questo nome conciso si nasconde una storia che inizia 2000 anni fa e che rappresenta una delle più interessanti pagine della storia vitivinicola italiana, recuperata ai giorni nostri grazie all’impegno di un’azienda vinicola di Sant’Anastasia. Katà, appunto, è il nome del vino Catalanesca imbottigliato dalle Cantine Olivella.

Ma questo è solo l’ultimo passaggio, in ordine di tempo, di un affascinante racconto che Domenico Ceriello, uno dei tre soci dell’azienda insieme ad Andrea Cozzolino e Ciro Giordano, racconta con dovizia di particolari e con entusiasmo.

Tutto nasce sulle pendici del Somma Vesuvio, l’originaria montagna dalla quale, dopo l’eruzione del 79 d.C., si stacca un secondo cono vulcanico, il Vesuvio, che va ad affiancare il vero cratere originario: il Monte Somma. Ed è proprio quest’ultimo la sede privilegiata delle produzioni vitivinicole, con il suo terreno esposto a nord molto più antico e più ricco di sali minerali e sostanze organiche, rispetto a quello del Vesuvio.

Bisogna fare un altro salto di alcuni secoli per continuare a percorrere le tappe della storia del Catalanesca. Siamo nel XV secolo e Alfonso V d’Aragona, divenuto re di Napoli, si innamora di una giovane donna del vesuviano, Lucrezia d’Alagno, alla quale donerà proprio una barbatella di Catalanesca. Gli aragonesi impiantano così questa particolare coltivazione, a bacca bianca con acino grande, dura di pelle e zuccherina nella polpa – qualità che le permettono di essere conservata fino a Natale –, che attecchisce molto bene sui terreni del Monte Somma e che riesce a sopravvivere persino alla terribile epidemia di fillossera, un insetto che nel 1700 distrusse la maggior parte dei vitigni europei.

Un altro balzo temporale ci porta invece negli anni’90 del XX secolo, quando il prof. Luigi Moio, illustre enologo, viene incaricato di condurre uno studio sulla Catalanesca. Insieme a Michele Manzo riesce a dimostrare che quest’uva ha tutte le attitudini per essere vinificata per uso commerciale. Nessun imprenditore però accolse questo risultato.

A questo punto, fondamentale è stata l’azione dei tre soci di Cantine Olivella che nel 2006 hanno traghettato la Catalanesca dalla categoria di uva da tavola a quella di uva da vino, realizzando la prima vinificazione di “Katà”, il cui nome non si riconduce solo alla vite che lo genera ma è un richiamo al vocabolo che in giapponese significa “modello” e in greco “sotto”. Katà è a tutti gli effetti un “modello di virtù sotto il Monte Somma”.

Ma solo nel 2011 la caparbietà di Cantine Olivella è stata premiata con l’approvazione di un disciplinare di produzione che certifica che la Catalanesca può essere vinificata e imbottigliata come IGP Catalanesca del monte Somma.
Un vino campano di cui viene fatta richiesta da tutte le parti del mondo, tanto da suscitare l’attenzione dei cugini spagnoli che hanno palesato, in più di un’occasione, l’interesse verso la Catalanesca, quantomeno perché in questa coltivazione è racchiusa anche parte della loro storia.
Per il momento, il Catalanesca resta un’eccellenza tutta campana. Ma chissà che in futuro non si scopra l’esistenza di altri terreni adatti alla coltivazione dell’uva omonima, irresistibile per la sua storia e per il suo sapore.

Qui, il sito delle cantine: www.cantineolivella.com/

> di Giulia Savignano

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