Basta sentirla nominare e un brivido corre lungo la schiena: solitudine è una parola che spaventa sempre di più. Troppo spesso definita "un male" sempre più moderno - legato alla pandemia, all'abuso di tecnologia (che dovrebbe connetterci col mondo e invece ci isola da chi ci sta realmente intorno) e al diffondersi delle nuove famiglie composte da un solo individuo - è qualcosa da cui cerchiamo di fuggire come se fosse un male oscuro senza un possibile risvolto positivo. Così, mentre la FOMO (fear of missing out, alias: paura di perderci qualcosa) impazza dal momento in cui i social hanno iniziato a esporci alla (fake) perfetta vita degli altri, mentre condividiamo ogni istante della nostra giornata in attesa di like e commenti - alias segni di apprezzamento di cui ci nutriamo - c'è invece chi rema contro corrente e diventa nuovo eremita. Il New York Times racconta di alcuni di loro, a partire da Paul Fredette e Karen Karper Fredette, coppia che - dallo scoppio della pandemia di Covid 19 - ha deciso di cambiare vita riducendo le interazioni con i vicini e l'ambiente esterno.

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Anthony Tran su unsplash
La pandemia si è rivelata la situazione ideale per persone con poca o nessuna esperienza di spiritualità e solitudine.

Facilitati nell'isolamento perché vivono in una casa sul pendio di una montagna circondata da centinaia di ettari di bosco selvaggio, i Fredette sono tra coloro che hanno scelto una "vita orientata alla solitudine" - alias: sono eremiti che vivono di silenzio, preghiera e semplicità in una zona in cui il centro abitato più vicino conta 600 abitanti. Certo, il loro passato semplifica le cose visto che lui è un ex prete cattolico di 71 anni e lei, 78 anni, ha trascorso 30 anni in un monastero... La loro attività principale è sempre stata quella di fornire consulenza spirituale ai nuovi wannabe eremiti in cerca di solitudine, ma anche a chi si è trovato forzatamente solo per via delle restrizioni legate alla pandemia. Gestiscono addirittura un sito web, scrivono libri e spediscono un bollettino trimestrale, svelando tutti i segreti di una solitudine desiderata e cercata a ogni costo, oppure capitata senza alcuna possibilità di rimediare e da imparare ad abbracciare per sopravvivere. Dopo aver assistito a un aumento delle visualizzazioni sul sito in tempi di pandemia, i Fredettes hanno iniziato a creare video su YouTube che incoraggiano, danno supporto, forniscono suggerimenti concreti. "Molte persone soffriranno e se sai che puoi fare qualcosa per alleviare un po' di quel dolore, beh, fallo", ha confessato la signora Fredette al NY Times.

Così, oltre a diventare micro-influencer dell'eremitaggio e aiutare anche chi non ha scelto l'isolamento - ma ci si è trovato incastrato, i due stanno lavorando per dire adieu allo stereotipo dell'eremita barbuto, trasandato, pericoloso e un po' fuori di testa o del guru sacro e intoccabile. Incoraggiano gli spettatori a prendere nota della propria rabbia, dei sentimenti negativi di cui sono invasi, li aiutano a gestire la disperazione e raccontano dal loro punto di vista cosa significa una vita così fuori dagli schemi. Così, la definizione di eremita si apre ai semplici amanti della solitudine, solitari e contemplativi, non appartenenti solo a lontane tradizioni religiose, ma vivi e presenti nel caotico mondo di oggi, tra le periferie e le città.

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Come vive un eremita contemporaneo

Ben lontano dalle isolate grotte e dalle impervie vette di montagna tipiche dell'immaginario comune, l'eremita contemporaneo è quello alla ricerca di lavori che richiedono poca interazione umana - lunga vita allo smart working! - e riempie il tempo libero con pratiche spirituali come lo yoga e la meditazione. Generalmente cerca di evitare l'interazione sociale anche online, non ama leggere le notizie e utilizza il telefono solo negli orari stabiliti. Secondo il NY Times, l'eremita contemporaneo tipo generalmente vive in case modeste e cerca di spostarsi solo quando strettamente necessario. Non è un recluso, né un misantropo, ma più semplicemente qualcuno che ha deciso di chiudersi nella sua spiritualità (di qualsiasi genere e tipo). Attention, please: niente a che fare con le religioni canoniche, tanto che - come svelano i Fredette - molti nuovi eremiti sono "ex" religiosi o non si sono mai sentiti affiliati ad alcuna chiesa. "Non siamo separati da ciò che ci circonda", chiarisce la signora Fredette, ma ben inseriti in una società che desiderano di vivere a modo loro.

La solitudine è una scelta adatta a tutti?

La domanda sorge spontanea: la solitudine è una scelta sostenibile per tutti? È una (vera e propria) svolta che tutti possiamo abbracciare? I due coniugi esperti se lo chiedono continuamente e la comunità fatica a trovare una risposta univoca. Heidi Haverkamp, seguace dei Fredette e autrice di un libro a riguardo, si definisce una solitaria part-time e spiega: "Ci sono persone che trovano nella musica o nell'esercizio fisico ciò che io trovo nella solitudine. Sono solo modi diversi di accedere al trascendente". Per molti, la solitudine è un mezzo "Per avvicinarsi e per immergersi in ciò che è più grande di noi". La maggior parte dei nuovi eremiti crede che tutti noi, nessuno escluso, possiamo trarre beneficio da alcuni precetti fondamentali come il praticare l'austerità in un mondo che va a pezzi a causa del consumismo, essere radicati sul posto, impegnarsi in un programma quotidiano con priorità alla meditazione o/e alla preghiera - il tutto per vincere lo stress della vita quotidiana, ritrovare noi stessi e fare un bagno negli old but gold "valori autentici". Secondo i Fredette, tutti possiamo dare un senso all'isolamento che stiamo vivendo, indipendentemente dal nostro tipo di personalità, da ciò in cui crediamo e dalle circostanze della vita.

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hannah busing su unsplash
La solitudine porta con sé un insegnamento importantissimo: una volta che iniziamo a parlare con noi stessi, a conoscerci senza distrazioni, allora ci rendiamo conto che non siamo soli.

E sì, la pandemia si è rivelata la situazione ideale per persone con poca o nessuna esperienza di spiritualità e solitudine: all'inizio è stato difficile per tutti, una lotta quotidiana con le sensazioni di impotenza e rabbia, ma c'è chi ha trovato conforto negli insegnamenti del Buddismo Zen, chi ha scoperto la meditazione, chi la preghiera e chi il pregio di un tempo passato da solo con se stesso. Karthik Kotturu, un ragazzo di 27 indiano, ha scritto al NY Times: "La pandemia mi ha fatto capire quanto avessi paura di stare solo", poi ha scoperto l'idea Zen del distacco dal mondo che lo ha aiutato a cambiare la sua prospettiva. "Una volta che ho iniziato a vedere ciò che avevo già, il mio desiderio di cercare qualcosa all'esterno ha cominciato a diminuire". Altri ancora hanno scoperto un amore per la solitudine mai immaginato prima, ritrovando una routine lenta e concentrata che ha ridotto lo stress ai minimi termini.

Ciò che la solitudine ci insegna

Long story short, la solitudine porta con sé un insegnamento importantissimo: una volta che iniziamo a parlare con noi stessi, a conoscerci senza distrazioni, allora ci rendiamo conto che non siamo soli. Con la respirazione, la meditazione, una routine lenta e controllata, trasformiamo l'isolamento ansiogeno in solitudine che nutre - corpo e spirito. Certo, all'inizio non è semplice: "Quando siamo soli, tutte le paure, le preoccupazioni e le ansie emergono perché non possiamo distrarci, ma il miglior modo che abbiamo di stare con noi stessi, abbracciare ciò che siamo e accettare ogni lato positivo e negativo è quello di respirare", ha aggiunto suor Elizabeth Wagner, un'eremita canonica che vive nella sua "cella" nel Maine centrale. Insomma, la vera svolta potrebbe proprio essere la comprensione che il nostro "io più profondo" è sempre accanto noi - quindi non siamo mai davvero soli e abbandonati anche nei momenti più bui.

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