Quando abbiamo fame mangiamo, quando abbiamo sonno dormiamo: e quando ci sentiamo soli ignoriamo sistematicamente questo segnale. Il Surgeoun General degli Stati Uniti è il massimo funzionario della sanità pubblica made in USA e qualche mese fa ha dichiarato la presenza di un’epidemia di solitudine oltreoceano. Se ne parla il Surgeon generale è perché si tratta di questioni urgenti di salute pubblica che necessitano un intervento di natura politica. Reddito, scolarità e sesso non sembrano essere influenti rispetto alla condizione di solitudine che invece è trasversale, ma le certezze si fermano qui, perché il fenomeno è più complesso di quel che sembra.

Più ricerche segnalano da tempo come la solitudine faccia più male di altre abitudini che da decenni biasimiamo come fumare o trascurare la propria salute o l’alimentazione. Ne abbiamo parlato qui a proposito del legame tra socialità e longevità perché il tema è urgente: chi ha una bassa connessione sociale ha il doppio delle probabilità di morire entro il periodo di osservazione rispetto ha chi ha relazione profonde e supportive su cui contare.

Il legame tra isolamento e salute è mediato da una serie di comportamenti, emozioni e pensieri che differenziano chi è ben socializzato e chi invece no. Un esempio? Se mi sento solo tendo a mettere in atto comportamenti dannosi, ad esempio bere di più. Sentirsi soli non significa in automatico essere isolati o trascorrere effettivamente troppo tempo lontano dagli altri. Ma il report del Surgeoun General non va tanto per il sottile: a preoccupare sarebbero sia la solitudine sia l’isolamento sociale. Per chi ne soffre, ci sarebbe un rischio più elevato di malattie cardiache, ansia, depressione e demenza, ma anche malattie infettive.

Le persone non solo sono sole però: non si fidano più degli altri, hanno meno amici, si frequentano meno. La solitudine è così nociva perché in grado di influenzare il benessere mentale: in particolare avvicinandoci ad ansia e depressione, sebbene il rapporto tra depressione, ansia e solitudine sia tutto fuorché lineare. Ci si isola a causa della propria ansia sociale? Ci si deprime perché ci si sente soli? O è la depressione con i suoi sentimenti di autosvalutazione e anedonia a privarci dei momenti insieme e ad allontanarci dagli altri? Insomma, non capire cosa arrivi prima e dopo la solitudine complica le cose, a cui si aggiunge la connaturata ambivalenza dello stare soli.

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Tizian Voss/ Ascent/TFA//Getty Images

Per tutti coloro che vedono nella solitudine anche una possibilità, ricordiamo che Nardone, psicologo con alle spalle trent’anni di attività terapeutica a proposito di solitudine ci ricorda che “non è neppure detto che scegliere volontariamente la solitudine o il suo opposto determini con certezza effetti positivi, perché intenzionalità stessa può essere il prodotto di altre problematiche e non una scelta consapevole; e anche se lo fosse, non è detto che gli esiti siano quelli considerati”. Ma come siamo arrivati qui? E quali sono le cause della disconnessione sociale in corso? Questa non è un’epidemia di solitudine recente, ma questo non toglie nulla alla sua gravità.

Le cause che ci portano a vivere slegati da relazioni profonde e supportive sono complesse, circolari e sistemiche e toccano più livelli (collettivo, culturale, comunitario, abitativo, familiare, di coppia, individuale..) e anche in questo caso la pandemia ha solo accelerato qualcosa di già presente. I modi con cui ci siamo disconnessi dalle relazioni profonde si sprecano quindi: viviamo di più da soli, ci lasciamo di più, abitiamo in contesti dove scompaiono anche rapporti di vicinato e in spazi sempre più ridotti dove comunque non potremmo accogliere nessuno, i gruppi di riferimento religiosi e comunitari sono in declino, il lavoro precario non permette relazioni lavorative di lunga durata, comunichiamo prevalentemente a distanza.. e così via. Eppure i legami profondi e duraturi non sono mai stati così essenziali all’equilibrio mentale delle persone.

Le donne sembrano patire di più la solitudine ma anche sanno riconoscerla di più negli altri. Ma tutti, ci siamo illusi che i mezzi tecnologici sostituissero l’incontro vis a vis: incomprensibilmente consideriamo le chat un degno surrogato di rapporti interpersonali oramai ridotti all’osso, dove poi ci sorprendiamo di parlare senza mai dire a nessuno come ci sentiamo davvero. Ci stiamo accorgendo che non c’è sostituto ai vecchi rapporti costruiti con fatica? Possiamo finalmente dire di sentirci soli senza sentirci dei perdenti? L’appello del Surgeon general non prevede lo stanziamento di fondi, ma perlomeno l’augurio è che sia il primo passo verso una condizione esistenziale condivisa che merita attenzione e interventi.

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