"L’onore lo perde chi le fa certe cose, non chi le subisce", questa frase di Franca Viola è del 1966, anno in cui è diventata famosa in tutta Italia. Dopo essere stata rapita e violentata da Filippo Melodia, Viola si è opposta al matrimonio riparatore voluto dalla famiglia di lui chiedendo che si mettesse fine a una pratica patriarcale che costringeva le donne a sposare e a convivere con i loro carnefici per salvare l'onore e il buon nome della famiglia. Eppure ci sono voluti anni di dibattiti prima che il suo gesto coraggioso portasse all'abolizione dell'articolo 544 che di fatto assolveva gli stupratori qualora sposassero le loro vittime. Era il 198, solo quarant'anni fa, ma nel mondo questa pratica è ancora diffusa.

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Mondadori Portfolio//Getty Images
Franca Viola parla con la polizia nel 1966

L'impronta patriarcale del Codice Penale Italiano prima del 1981 era indiscutibile: non solo il matrimonio riparatore, ai tempi di Franca Viola era legalizzato anche il cosiddetto "delitto d'onore". Un uomo che sorprendesse una donna della famiglia a intrattenere una relazione "disonorevole" poteva ucciderla (assieme all'amante) senza incorrere in alcuna punizione. La donna come proprietà dell'uomo, la famiglia come "regno" del padre padrone, la volontà femminile completamente annullata: era questa la situazione di default. Non è passato molto tempo da allora e, infatti, i retaggi di questo modo di concepire la donna li vediamo ancora oggi, anche nelle aule dei tribunali: le domande scomode ("Com'eri vestita?", "Perché hai bevuto?", "Perché non ti sei opposta?"), la paura di "rovinare la vita" ai giovani uomini che "commettono uno sbaglio", l'idea che ci sia una vergogna intrinseca nel corpo femminile e che sia quindi compito della donna farsi carico di "sanare" il disonore con il silenzio. Sono tutti schemi figli della stessa mentalità.

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Ma se in Italia stiamo ancora lavorando sull'eredità del matrimonio riparatore, questa pratica è ancora legale in 20 Paesi. A dirlo è il rapporto annuale dell'UNFPA sullo stato della popolazione mondiale pubblicato lo scorso aprile. Il Kuwait consente ancora al carnefice di sposare legalmente la sua vittima con il permesso del suo tutore, in Russia, se l'autore ha compiuto 18 anni e ha commesso uno stupro con una minore di 16 anni, è esente da punizione se sposa la vittima, in Thailandia, il matrimonio riparatore si ha se l'autore ha più di 18 anni e la vittima ha più di 15 anni, se ha "consentito" alla violenza e se il tribunale concede l'unione tra i due. “La negazione dei diritti non può essere protetta dalla legge", ha dichiarato al Guardian la dottoressa Natalia Kanem, direttrice esecutiva del Fondo delle Nazioni Unite per la popolazione (UNFPA), che ha pubblicato il rapporto, "Le leggi 'sposa il tuo stupratore' spostano il fardello della colpa sulla vittima e cercano di sanare una situazione che è criminale".

Dima Dabbous, la cui ricerca è citata nel rapporto dell'UNFPA ha spiegato che è “molto difficile cambiare queste leggi ma non è impossibile”. In Marocco, ad esempio, il matrimonio riparatore è stato abolito dopo il caso di una giovane donna che si è suicidata per essere stata costretta a sposare il suo stupratore. Giordania, Palestina, Libano e Tunisia hanno poi seguito l'esempio. Secondo Dabbous, leggi del genere riflettono una cultura “che non pensa che le donne debbano avere autonomia fisica ma che siano proprietà della famiglia. È un approccio tribale e antiquato alla sessualità e all'onore mescolati insieme”. Sono idee radicate nella nostra società che solo tramite l'istruzione e un graduale cambio culturale possiamo sperare di sradicare. "L’onore lo perde chi le fa certe cose, non chi le subisce": vale oggi come allora e per tutte le donne che ancora sono costrette a vivere tutto questo.

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