La foto è di quelle che ha fatto la storia: Aldo Moro sequestrato dalle Brigate Rosse, sotto il loro stemma e con lo sguardo provato dalla prigionia. È il 1978, il Paese è scosso dal rapimento di uno dei politici più importanti della Prima Repubblica, ci sono posti di blocco per le strade e i giornali si chiedono se diramare o meno i comunicati delle BR. In tv va in onda uno spot-tormentone della Marzotto, in cui li protagonista, stravolto da imprevisti e sfortune, recita alla camera: "Scusate, solitamente vesto Marzotto", a giustificare il proprio aspetto trasandato. Loro fanno una cosa semplice: mettono un balloon accanto all'allora leader della DC. "Scusate, solitamente vesto Marzotto", dice adesso Moro. E vanno in edicola.

Per capire dopo quarant'anni la portata rivoluzionaria dell'ironia - dissacrante, cattiva, coraggiosa - de Il male bisogna almeno contestualizzare: gli Anni di piombo, il Compromesso storico, il post '77 e un'epoca di fermento artistico unico. Qui in mezzo, dalle pagine de Il quaderno del sale e con il francese Le canard enchaîné come musa, nacque nel 1978 la più importante e contro-culturale rivista satirica italiana, fondata da Pino Zac e diretta da Vincino fino alla chiusura, avvenuta nel 1982. Nel mirino, oltre ai politici, tutti i fenomeni di costume dell’epoca, dai cantautori intoccabili come pure, per esempio, Papa Wojtyła e l’ayatollah Khomeyni. Un'esperienza visionaria nel linguaggio, "anarchica", underground e in grado di imporsi come fenomeno di costume in un Paese che aveva scoperto la tv a colori da giusto un paio d'anni. E di cui, oggi, una mostra allo spazio WeGil di Roma aperta fino al 6 gennaio 2020 raccoglie la produzione.

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Sono i reperti, quindi, di un'avventura ai limiti della legalità, firmata da un collettivo in stato di grazie che, per sua stessa ammissione, c'entrava poco col giornalismo e molto con l'arte visiva, il disegno, la comicità surreale - c'erano nomi come Andrea Pazienza, Jacopo Fo e Angelo Pasquini per dire. Le copie della rivista erano opere da smontare e rimontare, gioielli di design che parodiavano i quotidiani nazionali negli strilloni, con inserti pieni di fotomontaggi, collage e caricature volgari eppure argute. E poi, soprattutto, c'erano i "falsi" - che segnano l'ala sinistra di questa Gli anni del male 1978-1982. Quando la satira è diventata realtà - grazie ai quali il giornale si impose nella memoria collettiva vendendo fino a 140mila copie.

Facciamo un esempio: si prende l'apertura del Corriere dello sport e, in un momento in cui l'Italia rosicava per l'uscita della Nazionale dai Mondiali del 1978, ci si scrive che la competizione è stata "annullata", colpendo allo stomaco gli istinti dei lettori. Come fosse una versione "pirata" dell'originale: e Il male, già dal nome, questo rappresentava. Anche se lo scherzo mediaticamente più rilevante, considerando il lancio di una terribile "Terza guerra mondiale", rimane quello architettato con la complicità di Ugo Tognazzi: grafica come Paese sera, Il giorno e La stampa, strillone in copertina: "Ugo Tognazzi è il capo delle BR". All'epoca, la caccia degli investigatori al presunto mandante del terrorismo rosso aveva messo in tensione gli italiani, e la rivista la risolse con un colpo basso. Sbatti il mostro in prima pagina, insomma. O forse no.

"Rivendico il diritto alla cazzata!", dirà il comico - che si era anche prestato a tutta una serie di scatti al momento dell'arresto-fake - a margine. E infatti Il male era provocatorio e irritante non perché non tenesse riguardi per nessuna delle "maschere" politiche dell'epoca, da Andreotti agli stessi Moro, Craxi e Berlinguer ridotti a cariatidi (tranne Pertini: una mascotte <3), ma per quello spirito di cazzeggio che trasudava a ogni sfoglio, rifiutando qualsiasi incombenza sociale che pure si potrebbe attribuire alla satira. Insomma: il disimpegno nell'impegno, l'arte nel giornalismo, la cattiveria in un'Italia imbarazzata. La formula vincente passò da queste direttrici.

Ma l'epopea di Zac & co. trovò espressione anche in performance altrettanto folli, qui documentate con reperti dell’epoca e contributi multimediali. Fra festival improvvisati (come Miseria'81, in "contrapposizione all'edonismo Reaganiano") e soluzioni freak, fece scalpore soprattutto una trovata: un busto in marmo - ovviamente satirico - con l'effige di Giulio Andreotti, posizionato all'interno di Villa Borghese. La banda lo presentò al pubblico nel 1979 con tanto di discorso celebrativo di Roberto Benigni, e pochi minuti dopo fu sequestrato dalle autorità competenti, che cercarono di portarlo via ignorando che fosse di marmo vero, quindi pesantissimo. E sì: a Gli anni del Male si può vedere anche la statua, di solito custodita nel giardino di Vincino.

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Oltre al materiale originale (vignette, installazioni, copertine: tutto nella seconda ala della mostra), un'altra sorpresa - magari non filologicamente fedele, ma sicuramente curiosa - è la ricostruzione fisica della redazione. Si tratta di una stanza isolata dal resto dell'esposizione, con un tavolo al centro e sopra macchine da scrivere, bozzetti, giornali, ma anche pezzi di pizza smangiucchiati, briciole, scarabocchi, appunti, poster. E, in sottofondo, una radio "sintonizzata" su quel periodo: Il cucciolo Alfredo di Lucio Dalla, Boys don't cry dei Cure e notiziari che raccontano le "scorribande culturali" della rivista e relative denunce. Evidentemente doveva essere questol'ambiente di lavoro in cui i Nostri facevano a pezzi gli Anni di piombo. Ribadisco: è una semplice trovata di colore, questa, ma non stona nel contesto.

Comunque, tornando un attimo al 1978, le segnalazioni e i sequestri a carico furono tanti, così come le sfuriate dei direttori (Tosatti del Corriere dello sport e Scalfari di Repubblica su tutti, entrambi parodiati da Vincino). Ma per i redattori della rivista erano medaglie da appendere al petto: il gioco stava nello spingere l'asticella della (in-)decenza ogni volta più là, scuotere l'opinione pubblica, dare sfogo a una satira cattiva, senza regole. E lasciare il segno. Per questo, i guai giudiziari furono più una logica conseguenza - mai evitata dagli autori stessi, tra l'altro - che un problema vero e proprio.

Poi chiaro: specie per questo estremismo, dopo soli cinque anni - agli sgoccioli dello stragismo e all'imbocco degli Ottanta - la redazione disse basta, funestata da denunce e con la realtà intorno in rapido cambiamento. Ed è vero: Il male fu espressione di quel periodo specifico e, visti i toni, durò persino "troppo" rispetto alle previsioni. Ma oggi, fra un busto di Andreotti e un "Feltrinelli è stato ucciso da Mondadori", quelle gag non hanno perso cattiveria e sagacia, a prova di quanto fossero visionarie, pop. Così, più che trovarsi in un accumulo di reperti storici, mentre si gira per la mostra si ride, e sembra di essere di nuovo nei Settanta. A sfogliarlo davvero, Il male.