Cose che fa Raul Gardini nel 1992:

Il 25 gennaio debutta come armatore nella Louis Vuitton Cup di San Diego. La barca si chiama Moro di Venezia.

Il 30 aprile vince la Louis Vuitton Cup, sconfiggendo in finale New Zealand Challenge.

Il 9 maggio debutta in America's Cup, contro America 3 del miliardario americano Bill Koch. È il primo italiano a riuscirci, ci avevano provato Gianni Agnelli e Maurizio Gucci.

Il 16 maggio perde l'America's Cup, ovviamente è il primo italiano anche in questo.

Cose che fa Raul Gardini nel 1993:

Il 23 giugno scrive una lettera al Sole24Ore. Ricostruisce la sua vicenda imprenditoriale, l'ascesa a presidente del gruppo Ferruzzi del suocero Serafino, l'acquisizione di Montedison, il fallimento nella creazione del polo chimico Enimont. Contiene le espressioni: «sogni di grandezza», «capitale umano», «boom di Borsa» e «Standa». Nella lettera (che si può leggere sul sito della Fondazione Raul Gardini) c'è la storia del capitalismo italiano, delle sue grandezze e delle sue miserie.

san diego   circa may, 1991 il moro di venezia with helmsman paul cayard and owner raul gardini competes in the 1991 international americas cup class iacc world championships circa may, 1991 in san diego, california photo by david madisongetty imagespinterest
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Il 23 luglio, scosso dalla prospettiva di essere arrestato per il caso Enimont («la madre di tutte le tangenti»), si spara un colpo alla tempia nella sua casa di Milano. Era passato poco più di un anno dall'avventura in America's Cup, una delle pagine più gloriose della vela italiana, e ne parliamo ovviamente perché Luna Rossa è tornata lì dove furono Gardini e il Moro: alle porte della gloria.

Ogni rievocazione del Moro parte scrivendo di come gli italiani all'improvviso smisero di parlare solo di calcio e auto e rimasero svegli la notte a guardare la vela su Telemontecarlo, alfabetizzazione istantanea e un po' goffa a uno sport di cui in media capivano pochino. A fine 1991 l'amata nazionale di Vicini era stata eliminata dalle qualificazioni a Euro 92, disfatta cimelio causata da un pareggio a Mosca contro l'URSS in disfacimento. In Formula 1 dominavano la Williams e un inglese coi baffi di nome Nigel Mansell. E così, una notte di gennaio, apparve la barca di Gardini e Montedison. Al timone un californiano, anche lui coi baffi: Paul Cayard. Il Moro supera le eliminatorie, fa fuori francesi e giapponesi in semifinale. In finale c'è New Zealand.

Si gareggia al meglio di nove regate, gli italiani vanno in svantaggio, 3-1 dopo quattro regate, alla quinta il Moro protesta per un'irregolarità nell'imbarcazione avversaria, Gardini convoca una conferenza stampa, va all'attacco, gli danno ragione, il vento cambia in ogni senso, il Moro vincerà 5-3. È un punto alto dello sport italiano, rimane tale anche dopo la sconfitta in finale a maggio, contro un'imbarcazione più veloce, innovativa e ricca.

9 may 1992  raul gardini of italy looks on during race one of the americas cup against the united states mandatory credit stephen dunn  allsportpinterest
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Il Moro di Venezia aveva soprattutto un significato industriale. Raul Gardini in quegli anni era impegnato nelle asprezze della scalata alla chimica italiana. Da controllore di Montedison, stava creando Enimont, un mostro industriale pubblico - privato, joint venture con le attività chimiche di Eni. Aveva bisogno di un simbolo, un prodotto che gli italiani potessero capire. Gli scafi erano in carbonio e non più in alluminio. Nella sfida erano in ballo non solo la sua passione di marinaio di Ravenna per la vela e il mare, ma i nuovi materiali dei nuovi capitalisti che volevano strappare la chimica e l'industria dalle mani pubbliche.

«Questa sfida nasce dalla conoscenza che ho per la vela e per il mare, che mi ha portato ad affrontarla sia dal lato sportivo che da quello tecnologico», dirà. «Con il Moro vogliamo realizzare un progetto-pilota nell’area dei materiali avanzati». La cerimonia di varo a Venezia fu diretta da Franco Zeffirelli, con musiche composte per l'occasione da Ennio Morricone. Era il 1990, mancavano due anni alle regate di San Diego, ma anche a Tangentopoli. Nessuno poteva immaginare che quello era già un tramonto, ma la bottiglia, pare, non si ruppe al primo colpo.

Il Moro fu il The Last Dance degli anni '80 italiani. Erano tempi euforici, i fondi di investimento facevano quintuplicare gli incassi in Borsa, Craxi annunciava il sorpasso del PIL ai danni del Regno Unito, il capitalismo delle aziende familiari subiva la pressione di personaggi spregiudicati e innovativi come Gardini, che Carlo Martelli avrebbe paragonato a Steve Jobs. Gardini, diventato presidente di Ferruzzi dopo la morte del patriarca e suocero Serafino in un incidente aereo, era icona e jedi di quel nuovo capitalismo. Il suo sogno era la chimica verde, la benzina senza piombo, la green economy di quando ancora si poteva fumare sui treni.

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In Tv ammetteva con candore concetti come «Il profumo del profitto per un capitalista è inevitabile». Fare soldi senza pudore, tempi irripetibili. Lo chiamano «pirata del Foro Bonaparte». Acquista Standa, Messaggero e Fondiaria e concepisce il grande progetto del quale il Moro era il totem: creare con Enimont il polo chimico più grande d'Europa, 40% Eni, 40% della sua Montedison, 20% al mercato azionario. Enimont nasce il 15 dicembre 1988, che è anche l'anno di partenza del ciclo che avrebbe portato il Moro a San Diego. Gardini dice: la chimica sono io. Il Moro doveva essere la sua Batmobile. Gli anni della preparazione alle regate sono le stesse della guerra totale con Eni e la politica per il controllo della joint venture industriale Enimont. Aveva creato un mostro, un robot composto di tanti pezzi come quelli dei cartoni che si vedevano in tv in quegli anni. Pensava di poterlo guidare, di avere tutte le leve e i simboli. Invece fu l'epicentro dello scontro tra pubblico e privato che avrebbe messo fine alla prima repubblica.

Gardini ne esce sconfitto. Perde Enimont, poi il suo ruolo in una Ferruzzi sfiancata dalla guerra. A giugno del 1991 aveva già in mano solo il Moro e la sua ricchissima liquidazione. Mancavano solo sei mesi al debutto in Louis Vuitton Cup con «la barca più veloce del mondo», quella che avrebbe ribadito i concetti che la politica italiana aveva bocciato. Per gli incastri della storia, il mondo intorno a Gardini inizia a sfaldarsi nel punto più alto del Moro. A fine gennaio la barca è in acqua a San Diego per la sua cavalcata, il 17 febbraio viene arrestato uno sconosciuto ingegnere di nome Mario Chiesa: è l'inizio di Mani Pulite.

«Amo il vento e tutto quel che porta con sé. Mi piace capire da dove arriva: mi serve in barca, mi serve a caccia e negli affari. Devi essere pronto a cambiare rotta, quando cambia il vento», diceva Gardini. Ma quel vento era troppo forte e brusco. Il 30 aprile 1992 alza la Louis Vuitton Cup e la passa nelle mani di Paul Cayard. Gardini non lo sa, ma sta per entrare nell'ultimo anno della sua vita. Nello tsunami Tangentopoli finisce la maxi tangente Enimont. Uno alla volta, vengono arrestati nemici e alleati di quella guerra. La mattina del suo suicidio, scrive i nomi dei familiari su un foglio e la parola grazie. La sera prima aveva detto a un amico: «Sono appeso a un filo». Di Pietro gli aveva promesso che sarebbe entrato in procura sulle sue gambe ma non che ne sarebbe uscito con i polsi liberi. «Con quel gesto, un po' romantico e un po' alla Gardini vecchia maniera, voleva dire che era lui a decidere della sua vita e delle sue vicende», disse il giornalista Cesare Peruzzi.

Il Moro di Venezia erano in realtà cinque barche: una per i test, una per gli allenamenti e così via. Quella della gloria, e delle regate, dopo la morte di Gardini passò di mano varie volte, per poi arrivare proprio a Bill Koch, il suo armatore duellante nell'America's Cup di maggio che fu capolinea dei sogni. Oggi è esposta davanti al Boston Museum of Fine Arts insieme ad America3, la sua avversaria.