28 febbraio 2014

Un manifesto d’artista scritto con la luce

 
Le installazioni luminose di Maurizio Nannucci non sono semplici citazioni, come è in molta Arte Concettuale americana. Ma cercano di “predisporre l’osservatore in una situazione particolare”. Cioè critica. Le scritte in rosso e in blu che fino ad oggi hanno invaso la galleria Giacomo Guidi di Roma hanno creato un luogo in cui segno e immagine confluivano in un’unica direzione di senso. Che sia questa la specificità dell’Arte Concettuale europea?

di

Maurizio Nannucci, vista della mostra, Galleria Giacomo Guidi, 2014
Le scritte luminose che Maurizio Nannucci utilizza per intervenire in vari contesti architettonici e paesaggistici, non sono facili da descrivere senza farle apparire semplicemente dirette o astrattamente filosofiche. Questo dato di fatto è collegato alla sua capacità di fondere in un unico “dispositivo attivo” sia le ricerche estetiche che quelle cognitive. In occasione della sua prima mostra personale a Roma nella Galleria Giacomo Guidi ha raggiunto questo intento per mezzo di due grandi testi a parete, uno di neon rosso e l’altro blu, la cui collocazione è stata scelta appositamente per provocare nuove relazioni spaziali, mentali e percettive tra il fruitore e lo spazio espositivo. 
La dualità delle luci monocrome che invadono e trasformano le due stanze collegate da una porta centrale e la presenza di concetti profondi ideati dall’artista ed espressi dalle due sequenze di lettere al neon, immerge lo spettatore in una condizione di equilibrio inquieto ma fruttifico tra una sensazione di straniamento e una di estrema razionalità, tra quella fisica e mentale, tra la coscienza dell’istante e del superamento dello stesso. La mostra corrisponde all’obbiettivo dell’artista del non voler esporre delle forme fini a loro stesse, ma di «predisporre una situazione particolare» in cui l’osservatore è stimolato a ri-valutare gli strumenti conoscitivi in suo possesso e a riflettere sui segni di cui è già carico il presente ipotizzandone nuovi contenuti e utilizzi. 
Maurizio Nannucci, ista della mostra, Galleria Giacomo Guidi, 2014
Per questo motivo, fin dagli anni Sessanta, invece di servirsi delle tecniche tradizionali dell’arte, Nannucci ha adottato gli elementi del presente come “il testo, la luce e il colore” eleggendoli a “riferimenti” della sua ricerca con cui analizzare la loro stessa ragion d’essere per andarvi oltre. Questa prospettiva processuale rappresenta il suo contributo maggiore alle ricerche dell’arte concettuale di matrice americana e consiste nel puntare non solo a nominare il reale, ma a suggerire la sua re-invenzione su un piano di confronto collettivo. In questa ottica è finalmente comprensibile appieno la sua attenzione all’impegno civile che in maniera sottile ma determinante caratterizza tutto il suo percorso. Nel caso di quest’ultima mostra ci troviamo di fronte a un passaggio ulteriore visto che i due testi presentati non rientrano nella categoria delle “sentenze” nate per sovvertire la comunicazione commerciale di tipo urbano, di cui fa parte ad esempio la scritta di neon rosso, “All art has been contemporary”, realizzata nel 2005 per dialogare con la facciata dell’Altes Museum di Berlino. Però non possono neanche essere catalogati come degli “statement” legati alla riflessione sul segno, che si fa immagine e viceversa, con cui l’artista punta da sempre a superare l’approccio tautologico, come accade ad esempio con la composizione a parete della scritta in neon blu, “The missing poem is the poem”, del 1969. 
Maurizio Nannucci, vista della mostra, Galleria Giacomo Guidi, 2014
I testi che definiscono la mostra di Roma rientrano nella categoria del manifesto d’artista sull’arte e sulla realtà di cui fa parte. Questa sfumatura è spiegata dal fatto che i contenuti, essendo collocati in un luogo neutro e asettico come quello di una galleria, si possono confrontare esclusivamente con la ragion d’essere della loro presenza, di quella dello spettatore o con i massimi sistemi che ne regolano le differenti interpretazioni. Come dichiara lo stesso Nannucci: «Il testo in blu riguarda la struttura dell’arte e il pensiero sull’arte, mentre quello in rosso i luoghi dell’arte e le nuove geografie in cui l’arte distribuisce il suo pensiero». Le due sequenze di frasi sollevano un’analisi critica della dimensione storica che stiamo vivendo, caratterizzata dai social network, dai text messaging e dalle immagini postate in tempo reale, ma anche dell’aspetto e del valore ontologico dello stesso pensiero analitico. Questi due sistemi di riferimento coabitano in questo ultimo lavoro di Nannucci per affrontare una questione fondamentale sul quale possa o debba essere il compito dell’arte e il ruolo dell’artista. 
Maurizio Nannucci, The Missing Poem is the Poem, 1969. Courtesy Galleria Fumagalli, Bergamo, Galleria Il Ponte Contemporanea, Roma
La sensazione che caratterizza l’esperienza della doppia installazione luminosa – “ART IS NOT INTENDED TO BE TRANSPARENT IN MEANING…” e “EVERY PLACE HOLDS THE POSSIBILITY OF A NEW GEOGRAPHY…” di Maurizio Nannucci è sicuramente quella di una saturazione immateriale, eppur irremovibile. La luce rossa e blu, che emanano i due testi di neon, solidificano l’aria all’interno delle due scatole architettoniche in cui si trovano e creano una densità pulviscolare visiva, allo stesso tempo, simile e diversa. Questa dimensione estetica stride in maniera radicale con la densità di tipo concettuale espressa e introdotta dalle affermazioni scritte in neon. Il confronto tra il livello percettivo e quello semantico, che invade e trasforma l’ambiente architettonico della Galleria Giacomo Guidi, punta a stimolare in chi lo attraversa una nuova coscienza di quel “contesto” e della sua stessa presenza in esso. Nannucci riesce a creare così un luogo in cui il segno e l’immagine risultano essere compresenti. Queste due categorie, nel corso del secolo passato, sono sempre risultate incompatibili a un dialogo propositivo come testimonia anche l’omonimo libro del critico Cesare Brandi. Nell’installazione di Roma l’elemento che riesce a far convivere in un’unica dimensione il significante e il significato è l’impaginato del testo/luce/neon/colore in un rettangolo al centro della parete, che rimanda sia al foglio scritto, che al monocromo di malevichana memoria. 
Maurizio Nannucci, All art has been contemporary, Altes Museum, Berlino 2005
Questo far co-esistere codici interpretativi conflittuali per trovare nuove direzioni di senso è amplificato dal aver collocato le due superfici di luce in modo tale che lo spettatore, al centro della prima sala, sia costretto ad avere una visione simultanea delle due sequenze di parole in maniera che interferiscano (nell’emanazione della luce e della loro lettura) e si completino a vicenda. Nannucci, per ottenere ciò, è intervenuto nello spazio costruendo una nuova parete nella seconda sala modificandone le dimensioni e ottenere così un volume simile a quello della prima. In questo modo l’opera, come afferma l’artista, si completa perché ««i due concetti materializzano un dialogo al pari di una vibrazione sonora che rimanda e amplifica all’infinito la loro intensità». 
Maurizio Nannucci, vista della mostra alla Wiener Secession, 1995
Il paragonare l’effetto di un’installazione visiva ad una correlazione sonora non è un caso per Nannucci, visto che nei suoi lavori è molto importante l’attinenza parola/fonema. Questo rapporto o contrasto paradossale è addirittura la causa scatenante che lo porta a realizzare il suo primo lavoro con il neon del 1967 dal titolo Alfabetofonetico. In quel caso l’alfabeto era visualizzato in un testo di neon non utilizzando le vocali e consonanti codificate in scrittura bensì tradotte nella parola che si forma quando vengono pronunciate. Questi segni poi andavano a formare una linea continua di luce di neon, collocata sulla parete in basso al limite con il suolo, in maniera da evidenziare una relazione fisica non solo con lo spettatore, ma anche con il contenitore architettonico che lo ospitava. Questa esigenza concettuale è da ricondurre sicuramente ai suoi studi di fonologia musicale S2FM del conservatorio di Firenze (1965/1970), ed ai suoi primi esperimenti con il linguaggio nel campo della poesia concreta che lo porteranno ad essere inserito nel 1967 nell’Anthology of concrete poetry di Emmett Williams
Maurizio Nannucci, Who's afraid of red, yellow and blue, 1970
Queste sue prime esperienze hanno influito in maniera determinante sul suo modo di interagire con l’humus culturale di quegli anni costituito dalle riflessioni dello strutturalismo francese, dell’arte concettuale e dal nuovo uso in senso mediatico del concetto della tautologia. Nannucci non reagisce a questo clima culturale limitandosi a un’analisi distaccata delle strutture culturali, ma puntando a farle implodere dall’interno per definire un piano comune di re-invenzione delle stesse. La sua visualizzazione delle regole concettuali con cui è permessa la comunicazione tra i singoli spettatori va di pari passo con la possibilità di trasgredirle. In questo senso la dimensione del linguaggio parlato è un aspetto fondante per lui, poiché tiene conto dell’evoluzione tra significato e significante e del superare la lettura onanistica solitaria a favore di una condivisione collettiva del ruolo del sapere. 
Maurizio Nannucci, Shadow of light_Kasseler Kunstverein, Friedericianum, Kassel, 1993
Questa attitudine rivela una dimensione etica e senso civico da sempre molto presente nel lavoro di Nannucci che travalica anche le categorie, definite negli anni Novanta, di arte relazionale e politica. Per lui non può esistere un’arte politica in senso stretto, perché tutti i gesti lo devono essere e devono avere questa prospettiva effettiva di dialogo con il reale. Per questo motivo, ad esempio, opere come lo statement “Sempre cercando piccole differenze” del 1968, le immagini fotografiche che testimoniano l’azione eseguita dall’artista in prima persona dell’opera del 1973 Scrivere nell’acqua, l’opera audio del 1976 dal titolo Parole realizzata intervistando differenti passanti, o l’edizione dal titolo Creare l’artista creativo del 1977, come l’installazione sonora al giardino di Boboli del 1981, l’ideazione di spazi espositivi non profit a Firenze (dal centro di ricerche estetiche F/uno a Zona non profit art space, dalla casa editrice Exempla a Base / Progetti per l’arte), fino alle molte collaborazioni con i più importanti architetti contemporanei che lo porta a intervenire e modificarne gli spazi architettonici per mezzo di imponenti e significativi testi in neon (a Roma ricordiamo l’intervento nell’atrio del auditorium costruito da Renzo Piano), sono animati dalla stessa esigenza di individuare una riflessione fattiva attorno al ruolo dell’arte e rispetto al futuro possibile a cui punta quella particolare società civile in cui si manifesta e di cui si alimenta. In questo senso è chiaro che Nannucci, che lungo tutto il suo lungo percorso, punta a ridisegnare una nuova figura d’artista che metta in discussione il suo ruolo, come quello stesso dell’arte, aprendo cosi nuove valutazioni di valore sull’idea dell’impegno civile, sulla ri-formulazione del linguaggio/cultura e del dialogo tra lo spazio dell’arte e quello della vita. 

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