Sante e tentatrici: le donne in ombra del Medioevo


FRANCESCO GRECO -
Quando Lazzaro muore, Cristo arriva dopo quattro giorni e le sue sorelle, Marta e Maria, lo rimproverano con un certo astio: “Se fossi stato qui mio fratello non sarebbe morto”. Il tono lascia capire che il profeta e le donne sono complici, protagonisti della Storia, del loro tempo, da pari a pari.

Le donne del Cristo parlano e pensano. Il messia ha capito la loro grande forza escatologica, la vivacità intellettuale, l’energia prometeica delle loro coscienze, di cui una religione nuova ha bisogno per crescere e radicarsi (“la buona novella” ). Resuscita Lazzaro, perdona la Samaritana che attinge l’acqua, fra gi apostoli c’erano anche donne che lo “finanziavano” coi loro beni. Destabilizza in tal modo gli equilibri sociali e culturali. Nulla di nuovo, sia chiaro: con diverse declinazioni semantiche, in chiave più polisemica, nella Polis e nell’Urbe la donna era già protagonista, aveva un ruolo famigliare e sociale più marcato. Nelle classi alte soprattutto, da Semiramide a Elena e Cassandra, etc.

Quand’è che la donna diventa tentatrice, impura, il demonio, il suo corpo una minaccia per lo status quo? Già nella Genesi si “assolve” Adamo e si scarica tutta la responsabilità sulla debolezza della donna che s’è fatta sedurre dal serpente.

E’ San Paolo a codificare poi la misoginia della Chiesa (“La donna impari in silenzio, in piena sottomissione… Ora lei sarà salvata partorendo figli…”). Azzerata l’inclusività del Cristo, donna afasica, priva della parola, ridotta a fattrice. Anche se le donne intorno a Cristo parlano (sua madre in primis). Perché abbia prevalso tale visione è materia per speculazioni da teologi.

E’ la morale introdotta dal Cristianesimo che provoca il corto circuito, la marginalizzazione. Per meglio dire: non la sottomette l’uomo, ma, appunto, la morale in contrasto con le stesse parole del Cristo. Il corpo è negato e insudiciato (l’abate e santo Oddone di Cluny, morto nel 942, arriva a dire che è un “sacco di escrementi”), il piacere sessuale temuto, esorcizzato, colpevolizzato: la donna deve solo assicurare la continuità della specie (“Non lo fo per piacer mio…”).

Un rogo metafisico che dura da secoli, che è stato anche materiale, streghe e dintorni: in fondo, basta creare una narrazione e non se ne esce più. Mille anni dopo, con le Crociate tracimanti, Gregorio VII rafforza il concept paolino (e di Oddone) per altri mille: costringe il clero a vivere in solitudine e castità, perché la donna deve stare lontano dal sacro (e le sacerdotesse nei templi greci e romani?) . L’archetipo è servito. Invece di porsi in termini dialettici, i suddetti scelgono la via più breve: la drammatizzazione del genere, la negazione della sua fascinosa complessità, forse intimiditi.

Perversa e tentatrice, sempre pronta a sciogliere i capelli (quelli biondi sono più seducenti) e assecondare i suoi istinti per peccare: è l’icona della donna che il Medioevo ci restituisce. Come se si potesse costringere a unicum tanta ricchezza. Vero è però che il censo permetteva dei derogare, e infatti nel bel saggio che abbiamo in mano vi è una piccola ma significativa gallery di percorsi diversi, sebbene accidentati: Radegonda da regina a monaca, Matilde di Canossa e la Papessa Giovanna (propaganda), Christine de Pizan e Margherita Dantini.

Ce lo dice Chiara Frugoni, una delle studiose del Medioevo più insigni e autorevoli al mondo (purtroppo mancata da poco, con gran dolore di noi che l’abbiamo amata e adorata) in “Donne medievali” (Sole, indomite, avventurose), il Mulino Editore, Bologna 2022, pp. 404, € 40,00, con una possente rassegna iconografica che rende il volume assolutamente prezioso per le nostre biblioteche, per il bagaglio culturale di figli e nipoti.

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