È il 23 Aprile 1908 quando Rosa Genoni prende parte al Primo Congresso Nazionale delle Donne Italiane e dimostra che mutare il corso della moda è possibile ispirandosi ad una statuetta di terracotta del Terzo secolo a.C. Al tempo Rosa è una donna sulla quarantina con attribuzioni di significativo interesse: sarta, insegnante, socialista e pacifista impegnata nelle questioni femminili. Al Congresso Rosa si presenta avvolta in un abito nero di sua invenzione e realizzazione: si chiama tanagra, e sarà anche grazie ad esso che il suo discorso guadagnerà visibilità. Il nome corrisponde a quello della città di Tanagra, in Beozia, dove a inizio Novecento vennero rinvenute statuette fittili i cui abiti drappeggiati furono notati da Rosa durante una visita al Museo del Louvre. Da qui l’idea del tanagra, un abito nel quale muoversi con libertà. Un abito che, dopo la lunga stagione del corsetto e della crinolina, torna al drappeggio. Un abito, infine, che è parte di un discorso politico.

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Rosa Genoni e la sua storia

Per comprendere a pieno la figura di Rosa Genoni è necessario osservare alcuni elementi biografici di base. Nasce nel 1867 da una famiglia di Sondrio di modeste origini. All’età di dieci anni si trasferisce a Milano, dove inizia a lavorare come “piscinina”, ovvero come operaia tessile nell’hinterland cittadino. In questi anni apprende il francese, la lingua della comunicazione universale nell’Ottocento europeo, frequenta i circoli operai e si avvicina al femminismo. Qualche anno più tardi la ritroviamo a Parigi, allora capitale della manifattura tessile cui l’Italia guardava come modello da imitare. Le Maison della Ville Lumière offrono a Rosa la possibilità di apprendere nuovi metodi di lavorazione dei tessuti e un sistema della moda moderno e strutturato. L’esperienza parigina le fa comprendere quanto la moda sia legata alla storia di una nazione e dei suoi cittadini. Nel 1888 rientra a Milano forte della volontà di restituire al suo paese quanto appreso in Francia. Il programma della Genoni è chiaro: tracciare la via di una moda italiana, indipendente e non suggerita dallo stile parigino.

Un salto temporale ci riporta al 1908, anno cruciale per il progetto di Rosa Genoni sul piano della sua realizzazione pratica. In qualità di delegata della Società Umanitaria di Milano per la sezione Arti Decorative, Rosa tiene una lunga relazione di cui sono fondamentali alcuni passaggi: “In questi tempi in cui sono tanto di moda i congressi femminili e le rivendicazioni femministe, dovrà apparire a primo aspetto alle nostre lettrici cosa frivola e leggera occuparsi di una rivendicazione della moda [...] Le vesti femminili devono innanzitutto plasmarsi e adattarsi alla persona fisica e psichica della donna che le deve indossare. Qui è il segreto dell’arte e la difficoltà della riuscita. Questa è la ragione per cui una veste che rende ridicola una donna ammanta elegantemente e trionfalmente un’altra”. Il primo tema che emerge con chiarezza è l’idea di abito come specchio – e non ostacolo – alla persona. Nel Cinquecento la comparsa del corpetto aveva infatti introdotto una geometria del corpo femminile a forma di doppio triangolo, uno col vertice rivolto verso l’alto e corrispondente al busto, l’altro rivolto verso il basso, e corrispondente alla gonna. Quest’ultima si componeva poi di una dozzina di strati tenuti insieme da una struttura in crinolina e talvolta separati da fogli di giornale per conferire all’abito maggiore ampiezza e una sorta di fruscio al movimento. Quando Rosa indossa il suo tanagra è una delle prime occasioni in cui, dopo secoli di costrizione in questa “morsa” vestimentaria, si pensa ad una struttura priva di questo gusto.

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La Mode Illustrée,1888 COURTESY PHOTO

Il secondo e altrettanto fondamentale punto del discorso di Rosa viene esposto qualche riga più avanti: “Non è frivolo l’argomento [...] perché appunto con questo non occuparci delle frivolezze non si aumenta la ricchezza di un paese, i cui denari vanno a finire al di là delle Alpi. Così le nostre milionarie e ricche borghesi vanno a prodigare centinaia di migliaia di lire in quella nazione che è pur regina di frivolezze. In questo però ha saputo trovare la perenne sorgente di una vera ricchezza che a lei è continuamente versata da tutte le parti del mondo”. Dunque, per Rosa Genoni non ci sono argomenti frivoli, ma solo maniere critiche di affrontarli. Con questo suo discorso, che confluirà infine nel volume Vita Femminile(1908), Rosa immagina un futuro di abiti italiani, realizzati da maestranze italiane sulla base dell’arte italiana. Si tratta di invertire la direzione vettoriale e far riconfluire i denari delle “milionarie e ricche borghesi” in Italia. Il programma verrà appoggiato da attrici e celebrities ante litteram come Lyda Borelli, la baronessa Maria de Lindenberg e la principessa Letizia Bonaparte.

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Bozzetto, Rosa Genoni, 1932

La storia successiva non ha tenuto in grande considerazione Rosa Genoni: socialista e pacifista, durante il fascismo, negli anni a seguire viene riportata ai margini del discorso sulla moda italiana. Eppure nel suo articolo “Un’intervista a Rosa Genoni. Una sarta artista” (Il Piccolo della Sera, 5 dicembre 1906) la giornalista Paola Lombroso aveva affermato con lungimiranza “Ma questo è il Made in Italy!”. Consapevole del fatto che il suo abito, il tanagra, poteva essere parte di un discorso politico, Rosa Genoni aveva infatti dimostrato con anticipo sui tempi che la moda non è solo moda: è cultura, società e pensiero. E Paola Lombroso, letterata di larghe vedute, l’aveva compreso.