La lottizzazione modello seconda Repubblica e postumi, molto diverso e molto peggiore rispetto a quello della precedente prima Repubblica, non è sempre uguale a se stesso ma la differenza dipende dalle circostanze più che da diverse attitudini dei distinti partiti. È certamente vero che l'arrembaggio di questo governo è più vistoso e anche un po' più sgangherato degli ultimi banchetti. Ma in buona parte è perché per la prima volta da molti anni, 14 per l'esattezza, un polo ha vinto le elezioni politiche.

Sembra una banalità ma non lo è: dal governo Monti in poi, cioè dal 2011, in Italia si sono succeduti governi di coalizione più o meno trasversali. Il più coeso è stato il Conte 2, con una maggioranza che riuniva comunque partiti che si erano azzannati fino al giorno prima. Tutte le altre maggioranze erano composte da partiti che non avrebbero potuto in nessun caso presentarsi poi uniti alle elezioni. È evidente che nella lottizzazione Rai, con governi e maggioranze di questo tipo, nessuno poteva essere troppo ingordo. Ma se si fa un paragone tra questo governo e quelli usciti prima del 2011 da vere vittorie elettorali lo scarto non è poi così macroscopico. Al contrario, la situazione ai tempi del Berlusconi dell'editto bulgaro era senza dubbio più grave e preoccupante di quella in cui i conduttori si auto-epurano per evitare possibili e forse pure probabili tensioni con i nuovi vertici dell'azienda.

In parte dunque siamo di fronte al notissimo e sfibrante gioco delle parti per cui chi governa lottizza e chi è all'opposizione denuncia con sdegno aspettando però solo il momento di rendere la pariglia facendo esattamente lo stesso. Però non c'è solo questo e la differenza è quel che ha vera rilevanza politica. L'allarme rosso non suona perché la maggioranza fa quel che tutti si aspettavano che facesse e neppure perché non dispone di professionisti tanto capaci quanto la controparte, per quanto in questa argomentazione qualcosa di vero ci sia. Scatta per la paura che con la comunicazione televisiva in pugno il governo possa “cambiare la narrazione”.

La formula è suggestiva ma andrebbe specificata. Silvio Berlusconi ha inciso più di ogni altro dalla nascita della Repubblica in poi nel forgiare e modificare la mentalità degli italiani e non solo di quelli che lo votavano. Lo ha fatto due volte: la prima preparando l'elettorato al suo arrivo, senza neppure calcolarlo in anticipo, con l'impatto rivoluzionario delle reti Mediaset. Poi, dalla tolda di comando del primo partito italiano, della destra e spesso anche del governo.

Nessuno tuttavia, almeno dopo la grande paura iniziale dopo la sua prima sorprendente vittoria nel 1994, ha mai temuto davvero che potesse “modificare la narrazione storica”. Perché di questo si parla quando si allude al rischio di una narrazione modificata grazie al controllo delle tv: di una subdola e discreta ma inesorabile riscrittura della storia che minerebbe i bastioni della Repubblica e della Costituzione, il loro dna radicalmente antifascista.

Esiste davvero un rischio del genere? Se si pensa a una rivalutazione del regime e di una erosione dei valori democratici certamente no. Nulla autorizza a temere che siano queste le intenzioni della premier mentre, al contrario, molto lascia pensare che il suo intento sia ribadire la natura compiutamente democratica, pur se di destra, del suo partito.

Ma se invece si allude al ruolo storico del Msi e della destra nella costruzione della democrazia la risposta è opposta e suona come un “certamente sì”. Giorgia Meloni ha tutte le intenzioni di inserire il Msi e il suo capo storico Giorgio Almirante nel pantheon della democrazia italiana, con l'alto merito proprio di aver traghettato il neofascismo sulle sponde della democrazia.

Quanto le tv possano aiutarla in questa missione, nell'epoca di Internet, è molto dubbio. Ma che questa sia la sua intenzione di fatto esplicita è invece certo. E forse, con un partito erede del Msi, anzi con una sorta di Rifondazione missina partito di maggioranza relativa, la risposta giusta sarebbe proprio mettere apertamente sul tavolo quella questione e quel nodo irrisolto: che non è il ruolo del fascismo prima della Repubblica ma quello del Movimento Sociale Italiano nella Repubblica.