Saranno stati anche brutti, sporchi e cattivi quelli di sabato scorso a piazza Santi Apostoli. Ma il vero anatema che gli è stato lanciato addosso è che erano “vecchi”: etichettatura imperdonabile e definitiva. Del resto a parte Giuliano Pisapia per evidenti ragioni di ruolo e perché per un aristocratico di sinistra come lui polemizzare con qualcuno è grossier - i suddetti radunati hanno con piacere replicato indirizzando nei confronti del loro nemico numero uno, Matteo Renzi, la scomunica peggiore: la vera sinistra siamo noi, tu sarai pure il nuovo ma sei nient’altro che la vecchia destra rivisitata. Talché la diatriba “Nuovo vs Vecchio”, dopo aver lungamente covato in rancoroso silenzio, è tornata prepotentemente alla ribalta sulla scena politica italiana. Con l’annesso, inevitabile, corollario: meglio l’uno o l’altro? E un secondo sotteso ma decisivo: si vince di più e meglio schierandosi sotto l’una o l’altra bandiera?

Diciamo subito che non si tratta di una primizia. Già negli anni ‘ 80, infatti, Ciriaco De Mita impostò su quello stesso refrain la sua battaglia politica. Finì che nel 1989, al culmine del potere e con il doppio incarico di presidente del Consiglio e segretario della Balena Bianca, il XVIII congresso lo disarcionò a favore del “vecchissimo” Arnaldo Forlani, segretario già nel 1969. «E’ come se Ciriaco si ricandidasse nel 2009», sibilò Sergio Mattarella, all’epoca uno dei leader della sinistra dc. Diciamo allora che è un tipo di dicotomia destinato ciclicamente a ripresentarsi: intanto perchè i vecchi non si fanno mai da parte e i nuovi nell’attesa stagionano, quasi sempre inacidendosi. E poi perchè sono due categorie dell’anima, oltre che dell’esistenza. Infatti normalmente il nuovo è associato al pragmatismo, a chi abbandona miti languorosi e consolanti leggende per aderire alla dura realtà e con ciò mettersi al passo con i tempi. Mentre il vecchio è sentimentalmente legato al sogno, alla cullante certezza del buon tempo andato, arcadica età dorata da rivangare senza rimpianti ma con fiducia e consapevolezza, anche nella versione più terra terra del “si stava meglio quando si stava peggio”.

«Non abbiamo più nulla di nuovo da dire; il nuovo è già tutto prenota- to dai vecchi che vogliono ringiovanire», motteggiava Leo Longanesi: difficile dargli torto. Il problema è che in tempi di confusione come quelli che viviamo, le certezze sfumano e le verità si incurvano come lo spazio di Einstein. Ragion per cui, siamo così sicuri che il nuovo è buono e il vecchio da buttare o magari invece vale il contrario? E ancora: come si fa a distinguere chi è nuovo davvero o chi invece si traveste a seconda dei casi e delle convenienze del momento? Per esempio, è senza dubbio impervio contestare che se il vecchio torna ad avanzare in gran parte è perché il nuovo, o sedicente tale, ha perso smalto e potere di convinzione: se qualcuno in questo riconosce il profilo di Renzi, si accomodi. Alla stessa stregua, il vecchio di adesso è nient’altro che il nuovo di qualche tempo fa: evidentemente non riuscito bene. E se in questo caso quello che si staglia è il profilo di Massimo D’Alema, nessun problema. Certo che a scorrere l’odierna galleria dei volti del potere politico, il nuovisti sono indietro assai. Alla Casa Bianca è arrivato un signore di settantuno anni; e tra i Democratici a competere la nomination a Hillary Clinton c’era il giovanotto di 75 anni, Bernie Sanders. Ok, a Parigi ha vinto il “giovane” Macron; ma poche centinaia di chilometri più a nord hanno duellato la signora May ( di cui si tace l’età per ovvii motivi) e l’ultra sinistro Jeremy Corbin, assai più vicino ai 70 che ai sessanta. Per non parlare delle cose di casa nostra. A calcare la ribalta politica nelle vesti di ritrovato protagonista c’è Silvio Berlusconi, che a settembre compirà 81 anni. Lo danno in piena forma e in grandissimo spolvero. Impossibile definirlo il nuovo ( ma lui gradisce).

Tuttavia il suo competitor giovane è il leghista Matteo Salvini, e questo è esattamente uno di quei casi in cui tanti elettori - non necessariamente solo di centrodestra - pensano che se lui è il nuovo, il vecchio è meglio tenerselo stretto. Ci sarebbero i Cinquestelle, assolutamente nuovissimi. Però pure il loro è un nuovo che se esalta alcuni, tanti altri spaventa. E poi è impossibile dimenticare che il guru che guida il MoVimento e fa da garante risponde al nome di Beppe Grillo, classe 1948, anni 69: «Se si passa l’anno buttando le cose vecchie state attenti perché è una trappola.

Non esistono cose vecchie: esistono cose nuove buttate via», scriveva nel 2006. Chissà se ha cambiato idea.

Insomma se non tutto il vecchio è da gettare via, non tutto il nuovo va accolto a braccia aperte. I confini tra le due categorie, in politica e non solo, molto spesso si intersecano e si trasfondono.

Il conflitto vecchio/ nuovo ha anche una veste generazionale, il che lo rende ancora più urticante e iscrivere in quel genere di scontri che non contemplano il pareggio. Soprattutto nuovo contro vecchio è difficilissimo da coniugare nel campo delle idee. Difendere l’attività lavorativa di un esercito di pantere grigie anche a scapito dei posti di lavoro per i giovani, è un’opzione nuova da esaltare o una vecchia idea di pseudo- privilegio da cancellare? Papa Francesco una risposta l’ha già data: ebbene chi sta con lui sotto quale bandiera milita? E ancora. Insistere sui capilista bloccati cosicché i cittadini hanno meno possibilità di scegliersi i loro parlamentari è parossismo del vecchio o esplosione del nuovo? La flessibilità senza articolo 18 o le unioni civili estese fino ai matrimoni gay in quale metà campo vanno inseriti? E l’eventuale legalizzazione della cannabis? Chi la persegue è un vecchio che vuole restare giovane o un giovane che rifiuta di invecchiare?

So many things, so little time, si potrebbe dire parafrasando gli inglesi. A proposito: la Brexit è il vecchio sciovinismo anglosassone che torna o la nuova frontiera dei Britons che si avvera? In conclusione. Non c’è nulla di più stucchevole del braccio di ferro tra giovani- vecchi e nuovi- anziani. In particolare se tanta agitazione maschera una partita che è antica come il mondo, addirittura primordiale: quella di chi s’azzuffa per accaparrarsi il potere. Nei regimi democratici, quel tipo di conflitto lo risolvono gli elettori. Sarà così anche stavolta.