Cultura e Spettacoli

Il papà del Bagaglino: "Ma non muore la satira, resiste più della politica"

Dopo la chiusura dello storico varietà il regista della compagnia ricorda 46 anni di spettacoli e successi, di primedonne e critiche

Il papà del Bagaglino: 
"Ma non muore la satira, 
resiste più della politica"

Il Bagaglino non c’è più. Come si sente, Pierfrancesco Pingitore?
«Benissimo. Questa decisione, ovviamente, l’ho dovuta subire e accettare. Dopo 46 anni, non ci si può congedare da un periodo storico, che mi ha dato tante soddisfazioni».

Si riferisce alle ballerine, tutte procaci, oppure ad altro? Che so: alla temperie culturale?
«Primedonne e ballerine, per me, vanno benissimo... ma no, non voglio fare un necrologio. Anzi: il 4 ottobre organizzo un appello di congedo in un locale trendyssimo di Via Veneto, l’Elle. Una festacchiona colorata dove ci saranno tutte le mie donne: Valeria Marini, Aida Yespica, Pamela Prati e tutta la compagnia di giro».

Auguri! Ma non sarà che Il Bagaglino chiude perché i politici si sono messi loro, a fare cabaret tutti i giorni?
«Un po’ è vero. L’ultimo spettacolo che abbiamo fatto, al Salone Margherita, è andato benissimo. In linea generale, può essere vero che la satira politica, di questi tempi, è diventata quasi impossibile. Forse in tempo di crisi non c’è tanta voglia di ridere. Io non ho nulla da rimproverarmi».

Comunque, la satira politica pare morta. Non è più aria di ammiccamenti, che fanno simpatia. O no?
«Ma chi ha detto che la satira politica è morta? Della politica si può sempre sorridere. È chiaro che, se vogliamo leggere la chiusura del Bagaglino in chiave contemporanea, potremmo chiederci: ma siamo sicuri che la politica fa ridere? Fa piuttosto piangere, insomma. Però resta un mondo su cui, volendo, sorridere si può».

«Senza Lionello Il Bagaglino finirà», ci ha detto l’anno scorso, quand’è scomparso l’amico e sodale Oreste. È stato profetico...
«Il nostro spettacolo, senza di lui, è diventato un’altra cosa. Avevamo un rapporto tra... neuroni. Io sapevo esattamente che cosa pensava lui e viceversa: ci bastava un’occhiata, uno sguardo. Ci dicevamo tutto con gli occhi e questo è raro. Anzi: unico».

Insieme avete lanciato numerosi artisti: chi vi ha coinvolto di più?
«Gabriella Ferri. Ci ha legato, perché lasciava circolare tra noi un affetto e un entusiasmo particolari, proprio all’inizio della nostra avventura. Erano gli anni Sessanta e non potevi essere tiepido: o di qua, o di là. O amavi, o odiavi. O di destra, o di sinistra».

Ancora si riconosce nell’etichetta di «artista di destra»?
«Ho sempre rifiutato questa etichetta: la satira non è né di destra né di sinistra».

Però è innegabile che, al Salone Margherita, ci fosse un feeling tra i suoi spettacoli e gli uomini di governo, Berlusconi in prima fila.
«Ma no. Forse possono darmi del qualunquista, solo perché la satira, per come la intendo io, deve colpire in qualunque direzione. Non è questione di cosa dici, ma di dove, come e quando la dici. D’altra parte, la critica non ha mai amato Il Bagaglino. Nel 1965, quando debuttai, i critici scrissero che sarei finito entro quindici giorni: si sbagliavano. Come spesso si sbagliano. Basti vedere lo sdoganamento di Totò, o di Franco&Ciccio, snobbati dai radical-chic quando ridere era peccato».

Che fa? Aspetta la riabilitazione?
«Di sicuro non andrò ai giardinetti. Sto preparando una nuova commedia intitolata: Amore e corna ai tempi di Facebook, che debutterà a marzo al Teatro Golden, un teatro bellissimo, a San Giovanni, animato da giovani pieni di talento. Con me ci saranno Pamela Prati, Martufello e Maurizio Mattioli».

Ha lanciato molte belle donne. Ora che tutte si scosciano, avevano ancora senso i balletti della Yespica o gli strip della Marini?
«Un conto è lo spettacolo professionale, un conto è tutta quest’accozzaglia terribile, che si vede in giro. Le mie soubrettes, nessuna esclusa, sono fior di professioniste».

La storia che Jackie Kennedy, di passaggio a Roma, voleva venire al «Bagaglino», ma si sentì dire che non c’era posto, è una bufala?
«È vera al cento per cento. Siamo cresciuti di botto: all’inizio, pensavamo di avere venti persone a serata. Stavamo in un teatro-cantina a Vicolo della Campanella e venivano solo gli aficionados. Gente stufa di Dario Fo. Poi il boom, tra i Sessanta e i Settanta.

La gente usciva, aveva voglia di campare».

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