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Il Napoli in ritiro è l’ennesima decisione vintage di De Laurentiis: un classico quando le cose vanno male

I calciatori sul banco degli imputati. La liturgia della sofferenza piace. Un vecchio rito: da Benitez ad Ancelotti (fu la sua salvezza) a Spalletti

Il Napoli in ritiro è l’ennesima decisione vintage di De Laurentiis: un classico quando le cose vanno male
Db Torino 23/09/2018 - campionato di calcio serie A / Torino-Napoli / foto Daniele Buffa/Image Sport nella foto: Aurelio De Laurentiis

Il Napoli in ritiro. L’ennesima scelta vintage della gestione De Laurentiis (anni settantaquattro). Il copione è sempre lo stesso, pienissimo anni Ottanta: modello pennette alla vodka, o anche i primi cinepanettoni. Quando le cose vanno male, parte il silenzio stampa. E spesso viene doppiato dal ritiro. Che è sempre una decisione punitiva anche se viene presentato come un’occasione per conoscersi meglio. Un Tinder non malizioso. E poi il ritiro è una trovata che piace sempre ai tifosi. Ben si concilia con gli slogan “andate a lavorare”, con l’idea che se proprio si deve perdere è meglio farlo guardando i propri calciatori spezzarsi la schiena. L’unità di misura del populismo è la fatica. Ieri a Torino ci sono stati cori contro i giocatori, non dimentichiamo che l’esonero di Garcia venne accompagnato da uno strano striscione contro i calciatori (mai rivendicato da nessuno): “A pagare è stato l’allenatore ma sia ben chiaro a ogni calciatore. Non vi dà l’impunità aver vinto il tricolore”. E adesso arriva questa scelta. Tutto tranne che imprevedibile.

Un canovaccio trito e ritrito

È un canovaccio trito e ritrito. Uno dei primi ritiri (non il primo) che ricordiamo è quello con Rafa Benitez dopo la sconfitta in Coppa Italia con la Lazio. La sera in cui De Laurentiis scese in sala stampa e parlò di Napoli città rapace con riferimento a Higuain. Fu un colpo di teatro che piacque ai tifosi, non era ancora cominciata la rivalutazione di Rafa che allora era un chiattone incompetente e pure libertario (le aveva tutte!). Il Napoli vinse le successive partite e tutti elogiarono il metodo mazza e panella.

Con Ancelotti sappiamo come finì. Male. Molto male. L’ammutinamento. Lo strano ruolo di Giuntoli. Per essersi opposto alla decisione, qualche settimana dopo don Carlo venne esonerato (fu la grande fortuna del tecnico emiliano che dovrebbe pregare ogni giorno sant’Aurelio). Anche con Gattuso, il suo successore, si andò in ritiro. In quel caso la soluzione era in linea col personaggio: il confronto anche fisico, machista. E dire che “Vacanze di Natale” fu invece un film d’avanguardia in materia Lgbt, se lo sapesse il New York Times. Ma il calcio non ammette deroghe alla cultura imperante testosteronica.

La lite con Spalletti per il ritiro dopo Empoli

Nemmeno Spalletti è sfuggito alla logica del ritiro. Accadde dopo Empoli-Napoli da 0-2 a 3-2, considerata (a torto) la sconfitta che eliminò gli azzurri dalla lotta scudetto. Successe un putiferio. Perché il Napoli pubblicò su Twitter che si trattava di una scelta condivisa da Spalletti. Apriti cielo. Come ha scritto Massimo Ugolini nel suo libro “La notte prima”:

In quel momento non mi sarei voluto trovare nei panni del responsabile della comunicazione del club per nessuna ragione al mondo. Spalletti era furibondo, aveva solo preso atto dell’iniziativa della società, ma certamente non ne era stato il promotore. sarebbe stato un gesto da folli visto che nessun allenatore sano di mente farebbe una cosa del genere senza parlare prima con il capitano e i rappresentanti dello spogliatoio. (…) I danni collaterali avrebbero potuto essere molto più gravi, ma il buon senso e il lavoro di mediazione di Giuntoli fecero rientrare la decisione sul ritiro.

A noi pare l’ennesimo pallone buttato in tribuna. Arma di distrazione di massa. Non lo vorremmo citare il Borgorosso, però anche lì ci fu il ritiro. A noi pare che il punto sia sempre un altro: la mancanza di un’idea del Napoli. Il punto è lì. A livello societario innanzitutto e quindi tecnico-organizzativo. I colpevoli sono i calciatori perché loro vanno in campo? È vero che in campo vanno loro ma è anche vero che in un’azienda confusa non c’è dipendente che si salvi. Sono i presidenti a fare grandi le squadre. Non a caso il Napoli è stato una grande squadra per dieci anni. Da sei mesi non lo è più. Una mutazione preoccupante. È questo l’aspetto da approfondire. Il ritiro ci sembra specchietto per le allodole. Purtroppo da noi le allodole non cambiano gusti. E il consenso è ingrediente fondamentale a queste latitudini. In società dimenticano che il grande successo De Laurentiis l’ha ottenuto a consenso zero, anzi sotto zero.

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