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Bombolo, il figlio: «In autogrill sulla Pontina scomparve. Si era fermato a un matrimonio, lo trovai a tavola con gli sposi»

Al Corsera: «Dovevamo andare in gita con la scuola al santuario del Divino Amore, papà non seguì il direttore, deviò e ci portò a mangiare a Rocca di Papa»

Bombolo, il figlio: «In autogrill sulla Pontina scomparve. Si era fermato a un matrimonio, lo trovai a tavola con gli sposi»

Al Corsera Alessandro Lechner, uno dei tre figli di Bombolo dei poliziotteschi e delle commedie sexy anni Settanta-ottanta, racconta suo padre Franco:  «Per mamma Regina era un altro bambinone da accudire, tale a quale a come lo vedevate al cinema. Lo sgridava perché ci lasciava fare tutto. Mi chiamava Alitandlo, si divertiva a storpiare tutti i nomi».

Perché lo chiamavano Bombolo? «Da piccolo era cicciotto, camminava a balzelloni. C’era pure la canzoncina: “Era alto così, era grosso così, lo chiamavan Bombolo”. E quel soprannome poi se l’è portato dietro, anche se da ragazzo era magro».

Un uomo semplice, nato povero che ha lavorato come ambulante per mandare alle scuole private e tutti e tre i suoi figli. Però che spasso che era «Verso l’una finiva il giro e si fermava a mangiare alla taverna di Picchiottino. Tra un bicchiere e una pietanza, con gli amici del rione, improvvisava delle scenette. Uno scherzo tirava l’altro. Doveva venire a prenderci a scuola alle quattro, si presentava non prima delle sei».

Fu lì che lo scoprirono Castellacci e Pingitore e lo vollero per due film «All’inizio faceva fatica a studiare i copioni, anche semplici. Perché non sapeva leggere, non bene. A casa dovevamo aiutarlo. Con gli anni diventò più bravo, riusciva ad imparare a memoria anche dialoghi lunghissimi, non sa quanto ne andava orgoglioso. E in locandina il suo nome compariva in alto, accanto a quello di Oreste Lionello».

Le giornate più belle. «Quando mi portava a Passoscuro, a prendere le telline. Grande nuotatore. “Ricordati che il mare è traditore”».

Una sua botta da matto. «Giocavo a calcio, mi accompagnò per una trasferta a Latina. Quando il pullman si fermò a un autogrill sulla Pontina, scese anche lui con il presidente e l’accompagnatore. Tornarono soltanto loro, lui no. Si era fermato a un matrimonio lì vicino, al ritorno lo trovai a tavola che brindava con gli sposi e la torta».

E non solo «Gita scolastica di seconda media all’istituto dei Fratelli Lasalliani. Prima tappa le Fosse Ardeatine, quindi il santuario del Divino Amore. Fratel Giovanni si era raccomandato: “Restate in fila dietro le altre auto, così non vi perdete”. Arrivati a un incrocio, tutti svoltarono a sinistra. Papà invece prese sparato a destra, per i Castelli. E ci portò dritti a Rocca di Papa, da “Le Gallinelle”, trattoria di un amico suo, a mangiare un piattone di carbonara con un bel fiasco di vino della casa. Io e i miei tre amichetti, tredicenni, ci divertimmo tantissimo, poi ci toccò sorbirci la ramanzina del direttore».

I Mondiali del 1982.

«Subito dopo la finale, scese in strada a festeggiare. La gente gli corse dietro. Fu caricato su un camion e portato in carosello a piazza del Popolo, tornò alle 4 di mattina».

Poi la malattia  «Era dimagrito, non era più lui, anche se volle continuare a lavorare fino alla fine. Quel brutto male lì, 37 anni fa, non riuscirono a curarlo, oggi si sarebbe salvato».

L’ultimo ricordo. «Era uscito dall’ospedale il giorno del mio compleanno, il 12 agosto. Stavamo a tavola, era provato. “Guarda che festa brutta che hai avuto”. “No, papà, per me è la più bella, perché sei a casa con me”. Ci mettemmo a piangere tutti e due. Nove giorni dopo è morto».

 

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