erede al trono

Bin Salman, tutti i passi falsi del giovane principe saudita

di Roberto Bongiorni

Il principe saudita bin Salman (AP)

6' di lettura

Un anno esatto fa volevano tutti avvicinarsi a lui, strappare una foto, sperare in una stretta di mano, in un biglietto da visita scambiato con i suoi consiglieri. Oggi corre voce che molti dei top manager presenti a Riad per la Future Investment Initiative, la “Davos del deserto”, siano stati consigliati di non apparire pubblicamente a fianco del principe più potente d'Arabia. Ad altri – riporta un quotidiano britannico - è stato caldeggiato di evitare foto in pubblico con lui.

L'oscura vicenda di Jamal Khashoggi, il noto giornalista assassinato il 2 ottobre nel consolato saudita di Istanbul da un commando di agenti segreti, e la poco trasparenza da parte di Riad nel fornire una versione credibile e documentata dei fatti, stanno danneggiando gravemente l'immagine del giovane principe.

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Il gruppo delle illustri defezioni (ieri è stata la volta del Ceo di Siemens, Joe Kaese) da parte del mondo della Finanza e dell'economia al Future Investment Initiative ha reso la “Davos del deserto” una conferenza orfana dei nomi più importanti, almeno quelli occidentali. La prima spiegazione ufficiale saudita dell'assassinio che sta provocando un terremoto geopolitico mondiale – ovvero che si è trattato di una missione non autorizzata di cui non sapevano nulla né Bin Salman né i vertici dei servizi segreti sauditi - non convince. Quella di Mbs è la parabola di un principe brillante e coraggioso, ma anche molto ambizioso, forse troppo. Comunque intollerante verso il dissenso. Mbs voleva mostrarsi al mondo come un capo di stato illuminato e riformatore, l'alleato arabo che l'Occidente cercava da tempo. Ma la poca trasparenza dimostrata in diverse circostanze, e le discutibili iniziative sullo scacchiere mediorientale, hanno generato sospetto e perplessità.

La campagna in Yemen, il Vietnam saudita
Nominato a soli 31 anni principe ereditario nel giugno del 2017 da suo padre, re Salmān, Mohammed Bin Salman, conosciuto anche con l'acronimo di Mbs, era già ministro della Difesa da quasi due anni. Sarebbe stato proprio lui il promotore della campagna militare in Yemen, scattata nel marzo 2015 contro i ribelli Houti, sostenuti dall'Iran. La coalizione di Paesi arabi sunniti guidata da Riad ha così dato il via ad una serie di martellanti bombardamenti. Tutt'altro che chirurgici. In cui ha farne le spese sono stati moltissimo civili innocenti. Quella che doveva essere una guerra rapida, si trasforma presto in una sorta di Vietnam saudita. I ribelli sciiti occupano ancora la capitale Sanaa, lo Yemen è diventa la più grave crisi umanitaria del 2018 e Riad continua a spendere ingenti somme di denaro – soprattutto per acquistare armi dagli Stati Uniti – in una missione dai risultati deludenti in cui fatica a vedere la fine.

Nonostante gli insuccessi della campagna yemenita, il giovane Mbs diveniva due anni dopo l'uomo più potente del regno. La svolta avviene il 20 maggio del 2017, quando accoglie a Riad il presidente americano Donald Trump e forgia un'alleanza strategica in chiave anti-iraniana in cui vengono firmati accordi di fornitura di armi americane per 110 miliardi di dollari.
Mbs piace a Trump. Piace anche a Israele, comunque è più apprezzato dai suoi predecessori. Per una ragione: l'odio che il giovane principe nutri nei confronti dell'Iran, nemico numero uno di Israele, è sincero e viscerale. Mbs è peraltro profondamente ostile all'estremismo islamico.

L'embargo totale contro il Qatar
È proprio pochi giorni dopo la visita di Trump che, pur senza il consenso di Washington, Mbs dà il via alla sua seconda guerra, questa volta diplomatica, contro il Qatar. Reo, ai suoi occhi, di sostenere il terrorismo islamico e di intrattenere illegittime relazioni con l'Iran. Insieme alle monarchie del Golfo e all'Egitto, Mbs decreta un embargo totale – aereo, navale e terrestre – contro il piccolo ma ricchissimo Emirato. Confida di farlo capitolare presto. Ma fa male i suoi calcoli. Doha resiste, anzi rafforza le relazioni commerciali e diplomatiche con Iran e Turchia.

“Vision 2030”, il costosissimo sogno di Mbs
Sul fronte interno Mbs persegue con determinazione il suo ambiziosissimo piano: affrancare l'economia dell'Arabia Saudita dalla dipendenza del petrolio, modernizzarla e riformarla puntando su energie rinnovabili, turismo e hi-tech. Questi sono i pilastri del suo costosissimo piano: “Vision 2030”. Per realizzarlo, il giovane principe non può fare a meno degli investimenti stranieri. In gioco ci sono commesse da decine di miliardi. Occorrono riforme strutturali dell'economia, è necessario snellire la burocrazia, ma soprattutto assestare un duro colpo alla corruzione. Solo così le grandi compagnie occidentali, i Governi e le organizzazioni internazionali guarderanno ai progetti del giovane Mbs con maggior considerazione. Come Neom, l'avveniristica città del futuro, un'enorme zona franca che dovrebbe essere collegata ad Egitto e Giordania. Fu presentata da Bin Salman proprio un anno fa, in occasione del Future investment initiative 2017. Una città digitale deputata a sviluppare le industrie della “Nuova Arabia Saudita” , quella del dopo petrolio. Energie rinnovabili, settore idrico, biotecnologie, filiera alimentare, scienze tecnologiche e digitali, produzione avanzata. Ma anche media e intrattenimento. Un progetto da 500 miliardi di dollari.

La controversa retata contro la corruzione
La curiosità tra le compagnie occidentali rasenta l'entusiasmo. Che tuttavia si spegne presto. Il 4 novembre 2017 Mbs ordina la maxi retata anti corruzione. Oltre 200 fra ministri, businessmen e principi vengono arrestati. Tra i quali i 10 uomini più ricchi del mondo arabo. Senza pubblicare prove e senza accuse formali, in cambio del loro rilascio la monarchia intende ricavare dai “risarcimenti” per oltre 100 miliardi di dollari. L'hotel di lusso Carlton-Ritz di Riadsi trasforma nella la prigione dorata principi, tra i quali il comandante della Guardia nazionale, ex ministri. Anche per tre dei dieci uomini più ricchi del mondo arabo, tra i quali al Walid bin Talal bin Abdulaziz.
Alcuni potenti principi riescono ad ottenere la liberazione pagando risarcimenti anche di un miliardo di dollari. Altri resistono agli arresti. Alla fine in molti vengono scarcerati. Ma è un'operazione che solleva molte perplessità in Occidente.

Il giallo delle dimissioni del premier libanese
Proprio il 4 di luglio avviene sempre a Riad una vicenda misteriosa. Ancora oggi non si sa esattamente cosa sia accaduto. Saad Hairi, il politico sunnita fino a quel punto sostenuto dalla corona saudita per guidare il Libano, annuncia da una località sconosciuta di Riad le sue inattese dimissioni da primo ministro. Hariri viene trattenuto per alcuni giorni dai servizi di sicurezza sauditi. Corre voce, non confermata, che Bin Salman, non abbia gradito la collaborazione tra Hariri e gli Hezbollah (alleati dell'Iran) all'interno del Governo libanese di unità nazionale. E' una mossa che rischia di avere un grave impatto sui già precari equilibri mediorientali. Probabilmente qualche potenza occidentale interviene per mediare la crisi. Hariri torna a Beirut, resta premier. Ma i libanesi non dimenticato. Alle elezioni politiche -le prime in nove anni - avvenute lo scorso maggio è il blocco di Hariri a registrare i risultati peggiori. Molti elettori confessano di non aver apprezzato il caso Hariri, interpretato come un'ingerenza saudita negli affari interni del Libano.

Le riforme sociali del principe moderato

Nonostante i passi falsi sullo scacchiere politico mediorientale il principe Bin Salman si distingue in casa sua per le innovative riforme sociali che, per quanto ancora di impatto non rilevante, nessuno prima di lui aveva osato portare avanti. Mbs desidera che tali riforme sociali accompagnino il piano “Vision 2030 in modo da affrancare il regno saudita dall'immagine di Paese molto conservatore dove i diritti delle donne sono limitati in osservanza di una interpretazione particolarmente rigida dell'Islam, il wahabismo.
Dopo la revoca del divieto di guida per le donne, e dopo il permesso di assistere alle partite di calcio maschili negli stadi, in aprile autorizza la riapertura delle sale cinematografiche per le donne. Un altro passo in avanti sul cammino delle riforme. Ma agli occhi di molte grandi investitori sono ancora passi troppo piccoli e timidi. Le vere sfide sono altre.

Che fine ha fatto l'Ipo di Saudi Aramco?
Il progetto più complesso di Mbs è la quotazione del 5% della Saudi Aramco, la compagnia petrolifera saudita. Dall'Ipo più grande della storia Riad si attendeva di raccogliere 100 miliardi di dollari. Una somma ingente, necessaria a coprire in parte le spese del piano Vision 2030. Si può dire che Mbs fosse il padrino di questa Ipo, che nell'arco di pochi mesi aveva provocato delle grandi rivalità tra potenze occidentali, ma anche asiatiche, desiderose di ospitare sulle loro rispettive Borse la collocazione del 5% di Aramco.
Il piano era stato svelato a inizio 2016, e l'entusiasmo fu tanto, in tutto il mondo. Avrebbe dovuto aver luogo nel 2017. Poi il nulla. Ma secondo alcune fonti mediorientali il progetto è rimandato a tempo indeterminato, se non abbandonato.
Anche in questa vicenda c'è qualcosa di poco chiaro. Ma per un Paese che vuole mostrarsi riformatore, e attrarre ingenti investimenti stranieri, la trasparenza è un passaggio obbligato.

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