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Per un pensiero altro

Coscienza e coscienze

"Per un Pensiero Altro" è la rubrica filosofica di IVG: ogni mercoledì, partendo da frasi e citazioni, tracce per "itinerari alternativi"

Generico dicembre 2023

“E’ accaduto che è venuto a me il segno demonico e consueto – mi trattiene sempre da quello che sto per fare – e mi è sembrato di udire una voce proprio da lì, che mi proibiva di andarmene prima di essermi purificato, come se avessi errato nei confronti di ciò che è divino” afferma Socrate nel Fedro, o meglio, è quanto il suo discepolo Platone gli fa pronunciare mentre si stava allontanando dopo aver affrontato un discorso intorno a Eros ma si vede costretto a ritornare sui propri passi come lo esorta a fare una voce interiore. Per Platone, infatti, la coscienza è una voce senza suono, il paradosso è che esiste solo quando un soggetto la sente, è così che per poterla ascoltare il soggetto deve farsi valle dell’eco dove il suono che gli ritorna è quello della propria voce. Nella prospettiva platonica la coscienza è un demone (daimonion) che non induce all’azione, al contrario, “mi trattiene sempre da quello che sto per fare”, suggerisce di riflettere, di discutere con se stessi. È sempre Platone che fa spiegare a Socrate come la coscienza sia diversa dall’istinto, lo fa riferendosi alla Palinodia di Stesicoro di Imera e alla sua rivisitazione della narrazione omerica della meravigliosa e tragica relazione tra Paride ed Elena. Mentre Omero aveva mantenuto invariata l’arcaica versione nella quale Elena abbandonava il marito, Stesicoro lo aveva imitato in un primo momento tanto da essere punito dagli dei con la perdita della vista, ma si era ravveduto nella successiva versione nella quale la moglie di Menelao rimaneva fedele al marito ottenendo in premio al poeta di riavere la vista. Insomma, Omero incapace di correggersi rispetto al volere degli dei viene punito con la cecità, Stesicoro è il simbolo antesignano di Socrate, di chi sa dare ascolto alla voce divina che parla attraverso il daimonion che abita le profondità dell’uomo. La coscienza censore platonica nasce dall’incontro tra le radici istintuali dionisiache e la ragione apollinea in grado di “correggerne gli effetti” elevando l’uomo capace all’ascolto.

Impossibile non cogliere le strette connessioni con quanto sancito nel Concilio Vaticano II negli anni sessanta: “Nell’intimo della coscienza l’uomo scopre una legge che non è lui a darsi, ma alla quale invece deve obbedire e la cui voce, che lo chiama sempre ad amare e a fare il bene e a fuggire il male, quando occorre, chiaramente parla alle orecchie del cuore […]. L’uomo ha in realtà una legge scritta da Dio dentro al suo cuore […]. La coscienza è il nucleo più segreto e il sacrario dell’uomo, dove egli si trova solo con Dio, la cui voce risuona nell’intimità propria”, anche in questo caso la coscienza è un topos nel quale si può sentire la voce espressione di una legge divina, all’ascoltatore non resta che uniformarvisi. Se così fosse la voce che esprime verità eterne dovrebbe mantenersi invariata nel tempo, nello spazio, nelle diverse culture e in ogni singolo essere umano: siamo sicuri che esista una sola coscienza assoluta? Non si rischierebbe di fondare una interminabile guerra santa tra i vari uditori che, spesso in assoluta buona fede, ascoltano parole profondamente diverse? Può essere pungolo produttivo rileggere l’aforisma 16 della seconda dissertazione della Genealogia della morale dal significativo titolo “Colpa, Cattiva coscienza e simili di F. W. Nietzsche nel quale il grande pensatore tedesco definisce la “cattiva coscienza come quella grave malattia in balìa della quale doveva cadere l’uomo sotto la pressione della più radicale tra tutte le metamorfosi che egli abbia mai vissuto – quella metamorfosi in cui si venne a trovare definitivamente incapsulato nell’incantesimo della società e della pace”. In Nietzsche la sacra coscienza cristiana diviene la castrante, servile e farisaica attitudine borghese, prossima a quello che un suo riferimento filosofico, R. W. Emerson, definiva scimmia dell’armonia, il conformismo e che oggi si è evoluto nell’altrettanto malinconico “politicamente corretto”.

Nello splendido e oramai antico saggio dal titolo “Il crollo della mente bicamerale e l’origine della coscienza”, Julian Jaynes ci riporta nuovamente a Omero anche se la sua riflessione confronta l’Iliade e l’Odissea. L’eroe al centro della prima opera è notoriamente Achille, eroe che sente la voce degli dei e a essa si uniforma, nel secondo poema epico l’eroe eponimo è Odisseo che si confronta con Atena, che è la sua stessa ragione. Secondo Jaynes la struttura bicamerale della nostra mente ha, in un primo momento, messo in contatto la parte che l’uomo sapeva di possedere con il secondo emisfero ancora non percepito dal soggetto come se stesso. Tale spaccatura ha collocato “la voce di dentro” in un altrove che ha assunto i connotati del divino, dell’inconfutabile. Quando la coscienza si è espansa inglobando anche la seconda voce ecco che ne è nato l’eroe moderno, Ulisse, capace di dialogare con se stesso facendo incontrare la voce con la ragione. Quanto utile sarebbe ampliare la nostra riflessione sugli itinerari percorsi e suggeriti da Duglas Hofstadter in “Anelli dell’io” o da Erich Neumann in “Storia delle origini della coscienza”, ma circoscriviamo l’argomento e le fonti anche per tentare una risposta ad alcuni amici che hanno scritto in riferimento a un mio recente articolo che già affrontava il tema della coscienza anche se da una differente prospettiva, quella del tradimento di se stessi. La questione può sintetizzarsi in: l’uomo rispetto alla coscienza è soggetto, oggetto o entrambe? Ma ancora, come suggerisce il dibattito che ne è seguito: è opportuno distinguere l’ambiguo utilizzo del termine coscienza al quale si attribuiscono significati diversi quali consapevolezza, senso etico, anima, espressione di una cultura, memoria. La pretesa, molto socratica, di una “definizione definitiva” del concetto di coscienza è, come accade spesso, una sorta di autoinganno, un’urgenza dell’uomo spaventato allo scoprirsi abitato e viaggiatore di un altrove che è lui stesso diveniente, pertanto mi limiterò a utilizzare un linguaggio simbolico anche perché la coscienza è anche e forse soprattutto linguaggio e il linguaggio è la costruzione di un simbolo fonetico che prova a cogliere il viaggio dell’essere.

Non credo sia corretto e utile distinguere nella coscienza il conscio dall’inconscio, l’emisfero emotivo da quello razionale, l’esperienza vissuta e quella alla quale si predispone la nostra accoglienza, l’etica indotta da quella innata, la voce del divino da quella umana, ritengo che si possa meglio coglierne il senso avvertendola come un altrove in noi che non è limitato dal corpo, che si espande in ogni direzione come cerchi nell’acqua che pur allargandosi conservano l’originario centro definendolo proprio nel momento in cui se ne allontanano. In un simile altrove diveniente l’io si aggira immerso in una penombra crepuscolare che gli consente di avvertire le infinite e indeterminate presenze di sé e delle proprie possibilità, dotato di una torcia perenne grazie alla quale può gettare una luce sufficiente alla visione solo per un breve tratto. In questo questo modo saranno la direzione dell’incedere, l’intensità della fiamma della torcia, la curiosità innata e stimolata dagli incontri a determinare la “coscienza della coscienza”. Un simile viaggio non consente una definizione se non accettandone il continuo divenire che, per definizione, ne è l’antitesi. Se sostituiamo a “La Nature” il termine “La Consience” ecco che, in qualche misura, i versi baudelaireiani di Corrispondenze sembrano cogliere quanto cerco di esprimere: “La Consience est un temple où de vivants piliers/ Laissent parfois sortir de confuses paroles;/L’homme y passe à travers des forêts de symboles/Qui l’observent avec des regards familiers.” (La Coscienza è un tempio nel quale viventi pilastri/lasciano a volte uscire parole confuse/l’uomo vi passa attraverso delle foreste di simboli/che lo osservano con sguardi familiari)

Per un Pensiero Altro è la rubrica filosofica di IVG, a cura di Ferruccio Masci, in uscita ogni mercoledì.
Perchè non provare a consentirsi un “altro” punto di vista? Senza nessuna pretesa di sistematicità, ma con la massima onestà intellettuale, il curatore, che da sempre ricerca la libertà di pensiero, ogni settimana propone al lettore, partendo da frasi di autori e filosofi, “tracce per itinerari alternativi”. Per quanto sia possibile a chiunque, in quanto figlio del proprio pensiero. Clicca qui per leggere tutti gli articoli

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